Giustizia: la strada stretta dell’amnistia di Liana Milella La Repubblica, 1 maggio 2013 Io non so, francamente, se la sinistra abbia davvero deciso di suicidarsi, prima col governo che molti hanno battezzato “dell’inciucio”, e poi prossimamente con l’amnistia. Per dare l’idea di cosa pensi il popolo del Pd di un provvedimento così impegnativo posso citare un fatto di cui sono stata testimone. Prima delle elezioni ho partecipato a un dibattito in cui il protagonista era l’attuale presidente del Senato Pietro Grasso, allora capolista per il Lazio, e io ero nelle vesti di intervistatrice. Bene. Gli ho posto la domanda sull’amnistia, per capire se fosse o meno favorevole. Ho premesso che, in generale, la gente non lo è, ma vive l’amnistia come un colpo alla sicurezza, la considera una scorciatoia dietro la quale sta l’incapacità di gestire in modo efficiente le carceri. Ho aggiunto che era sufficiente fare un sondaggio in sala per alzata di mano - e ci saranno state 200 persone di cui molte del Pd - per avere la riprova della mia convinzione. Grasso ha detto la sua e poi mi ha esortato a fare effettivamente la verifica che avevo proposto. Le mani a favore dell’amnistia sono state pochissime, quelle contrarie la netta maggioranza. Del resto, lo stesso Berlusconi, intervistato da Claudio Tito su Repubblica, alla domanda sull’amnistia ha risposto che se fosse varata “la gente non capirebbe”. Ora, due premesse sono necessarie. La prima, ideologica. In sé e per sé, non ho nulla contro l’amnistia. Un governo forte, in un paese stabile, si può permettere una misura di clemenza. Soprattutto se, fino a quel momento, ha fatto di tutto per gestire al meglio il pianeta carceri (e, per responsabilità di tutte le forze politiche, non è così). Se ha fatto le leggi giuste (depenalizzazione ragionevole ed equilibrata, misure alternative alla detenzione), se ha abolito quelle sbagliate perché “produttrici” di detenuti (leggi: Bossi-Fini sull’immigrazione, Fini-Giovanardi sulla droga, Cirielli sui benefici carcerari), se l’amnistia non si trasforma in un inutile pannicello caldo - com’è accaduto per l’indulto del 2006, quando le celle si riempiono di nuovo nell’arco di un paio d’anni - allora nulla osta che percorra la strada dell’amnistia. La seconda premessa è politica. È un governo “forte” che si può permettere un’amnistia. Un governo senza ombre. E sul governo Letta invece l’ombra di Berlusconi e dei suoi processi, delle sue eventuali condanne, si staglia lunghissima. L’amnistia dev’essere un provvedimento pulito, trasparente, nella logica e nello spirito di favorire i poveracci che stanno in galera. Non a caso, per l’amnistia come per l’indulto, si parla di una misura di clemenza. Per questo il Papa non si vergogna a chiederla, per questo un presidente come Napolitano non ha timore di invocarla. Ma sarebbe un cattivo regalo percorrere la strada di un’amnistia inquinata, già sporca all’origine, viziata inesorabilmente dal sospetto del favoritismo per Berlusconi o per chiunque si trovi nelle sue condizioni. E sono tante, troppe le inchieste anche recenti che hanno travolto la “casta”. Intendiamoci. Si può varare un’amnistia con esclusioni tali e con un tetto di pena talmente basso da escludere non solo chi ha commesso reati gravissimi e gravi (e così si è fatto in passato), ma anche tutti i crimini dei colletti bianchi, il grande capitolo dei delitti contro la pubblica amministrazione. Quindi fuori la concussione (leggi processo Ruby di Berlusconi), fuori la frode fiscale (leggi processo Mediaset di Berlusconi), fuori corruzioni, falso in bilancio, e così via. Berlusconi, da questa ipotetica amnistia, non dovrebbe trarre alcun vantaggio. I suoi fans si chiederebbero: e perché? La risposta sarebbe semplice: perché i suoi reati, se confermati da una condanna definitiva, sono troppo gravi per essere cancellati. Perché, conviene ricordarlo, l’amnistia è un totale colpo di spugna che cancella pena e reato. Sarebbe, comunque, una battaglia estenuante. Destinata a mettere un timbro permanente sul governo dell’inciucio. Io non so se chi parla di carcere - Letta per primo nel suo discorso alle Camere, Cancellieri, Schifani, e tanti altri - abbia davvero in mente l’amnistia per risolvere il dramma del sovraffollamento. So però che politicamente la via dell’amnistia è strettissima, inevitabilmente fangosa, piena di botole, e che da essa si esce sì con uno sconto di pena, ma anche con le ossa rotte. Post scriptum. A questo punto sono anche curiosa di sapere cosa pensano dell’amnistia gli amici del blog… Mi interessa capire se la considerano una misura strutturale per risolvere i problemi delle carceri e della giustizia, o un intervento estemporaneo, più dannoso che vantaggioso. Giustizia: Cancellieri; le carceri sono una priorità… e cresce il partito dell’amnistia di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 1 maggio 2013 “Il sovraffollamento delle carceri è una priorità che mi sta molto a cuore”, dice Anna Maria Cancellieri nei nuovi panni di ministro della Giustizia. E quando dal Senato si sposta a via Arenula mette subito al lavoro gli uffici ministeriali per un aggiornamento della situazione - dai suicidi (57 nel 2012, 11 nel 2013) al sovraffollamento (65.785 i detenuti presenti su 44mila posti regolamentari che in realtà sono 38mila perché 7mila sono inutilizzabili o per mancanza di poliziotti o per inagibilità) - in vista di una riunione con i capi Dipartimento del ministero. Nel pomeriggio sale al Quirinale e incontra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che da anni ormai parla del carcere come di un’”emergenza nazionale” (lo ha ribadito anche dopo la sua rielezione), chiedendo tra l’altro misure alternative alla detenzione. Mesi fa confessò che avrebbe firmato senza esitazione un provvedimento di amnistia se vi fosse stata la maggioranza parlamentare necessaria, che però non c’era. Ma oggi è un altro giorno, un’altra stagione politica: le “larghe intese” e la “necessità di una pacificazione” possono favorire la clemenza, sia pure non subito. Tema delicato, visto il clima nel Paese e il rischio di abbandonare la via delle riforme “strutturali”. Ma tant’è. Di certo il carcere è una priorità del governo, come ha detto il premier Enrico Letta, “rilanciato” con enfasi dal capogruppo al Senato Renato Schifani, che ieri ha chiesto, tra gli applausi bipartisan, interventi “urgenti, decisi e risolutivi”. Silvio Berlusconi, accanto a lui, annuiva ripetutamente. La voglia di amnistia è palpabile tra Camera e Senato, dove sono già state depositate sei proposte di legge (Pd, Pdl, Gruppo misto). Nessuno ne parla ufficialmente, ma la clemenza sembra ai più lo sbocco inevitabile per risolvere il sovraffollamento e anche qualche grana giudiziaria “eccellente”. Tanto più se continuano a tardare le riforme “strutturali”, indicate anche dalla Corte dei diritti dell’uomo - misure alternative alla detenzione, messa alla prova, modifica delle norme sulla recidiva - e allo studio di altri Paesi, come la Francia, per ridurre il ricorso al carcere e aumentare la sicurezza dei cittadini. Certo è che ieri non è passato inosservato l’impeto di Schifani sull’argomento. “Nella solennità di questo momento - ha detto - vorrei condividere con lei (Letta, ndr) l’urgenza di un intervento - al quale ha fatto cenno ieri alla Camera e che mi sta molto a cuore - finalmente deciso, e che sia risolutivo, per riportare entro i confini della civiltà e del diritto la condizione delle nostre carceri”. Applausi scroscianti. “Da Presidente del Senato - ha aggiunto - ho avuto la possibilità di verificare personalmente angustie e tribolazioni in cui è costretta a vivere la stragrande maggioranza dei detenuti, una condizione che rispecchia drammaticamente la fragilità, le incongruenza e le storture del nostro sistema giudiziario, un sistema giudiziario, signor Presidente del Consiglio, lungo, farraginoso, squilibrato nel rapporto tra accusa e difesa e - me lo lasci dire e lo faccio con senso di responsabilità e angoscia - aperto ad ogni incursione da parte di chi non esita a trasformare un’indagine in una gogna, con la violazione costante e compiaciuta di ogni segreto istruttorio riferito alla privacy”. Applausi solo del Pdl. “Bisogna salvaguardare la dignità dell’uomo in ogni passaggio e al tempo stesso mostrare forza e determinazione contro le mafie e il terrorismo” ha proseguito Schifani, rivendicando la firma di Berlusconi (“lungimirante uomo di Stato che oggi consente all’Italia di trovare la strada della pacificazione”) su numerose leggi antimafia. Il carcere impegnerà subito la nuova compagine governativa, non foss’altro perché ci sono tre scadenze ravvicinate cui far fronte. La prima a dicembre, perché scade la legge “svuota carceri” sulle misure alternative, già prorogata (e ampliata) dall’ex guardasigilli Paola Severino, che ha soprattutto dimezzato il fenomeno delle “porte girevoli” (chi entra e esce dal carcere nel giro di pochissimi giorni). A gennaio, poi, scade la moratoria concessa all’Italia dalla Corte di Strasburgo per evitare altre condanne per “trattamenti inumani e degradanti” (il governo Monti ha impugnato la sentenza per guadagnare qualche mese in più). La terza scadenza riguarda gli Opg, che dovrebbero chiudere a marzo 2014 (termine già prorogato di un anno). È presto per sapere come si muoverà Cancellieri. Circolano voci sulla sua intenzione di puntare sul piano-carceri (e sul commissario straordinario, il prefetto Angelo Sinesio), sui braccialetti elettronici e su un’altra proroga della “svuota carceri”. Nei cassetti del ministero, però, ci sono altri e più consistenti, interventi “strutturali”, come i progetti-Severino e della commissione ministero-Csm sulle misure alternative e su numerose modifiche normative. “Politiche” molto diverse, insomma, specchio di culture diverse e foriere di risultati anch’essi molto diversi. Giustizia: Letta in aula evoca l’amnistia. Non ringrazia solo Berlusconi www.blitzquotidiano.it, 1 maggio 2013 La parola amnistia, per carità, il prudente Enrico Letta s’è ben guardato dal pronunciarla in aula mentre chiedeva la fiducia. “Vago sulla corruzione, evoca l’amnistia. E Berlusconi incassa”, titola malizioso il Fatto Quotidiano (30 aprile) l’articolo che Marco Lillo ha dedicato alla questione giustizia. Malizioso per difetto, il titolo, perché Berlusconi, almeno su questo, non detiene un monopolio assoluto: serve ricordare i balletti su indulto e amnistia per salvare i Consorte o per rimettere il coperchio al vaso di Pandora Mps? A parlare di amnistia in Parlamento senza peli sulla lingua o retro pensieri inconfessabili finora sono stati sempre e solo, per motivi opposti, la Lega Nord e i Radicali. In attesa di capire quanto il giustizialismo grillino sia contaminabile dal garantismo per i poveri cristi che languono in galera da anni, magari in attesa di giudizio, tutte le altre forze politiche l’amnistia la corteggiano in segreto. In pubblico, le preci, i lamenti, le alte grida per la ormai intollerabile situazione delle carceri italiane (l’ossimoro dell’emergenza permanente) è il segnale che qualcosa bolle in pentola, che l’ora è propizia. Anche perché per deliberare su amnistia e indulto (la prima estingue il reato, il secondo la pena) serve una maggioranza altissima, due terzi, come stabilisce l’articolo 79 della Costituzione. E quando ricapita una occasione del genere, con Pdl e Pd che amoreggiano senza il bisogno di nascondersi? Altrimenti, si cambia la Costituzione, come pure ha sollecitato Napolitano. Urge una Convenzione, Berlusconi si è già candidato a guidarla. Giustizia: il governo alla prova di carcere e droghe di Stefano Anastasia Il Manifesto, 1 maggio 2013 “E la nave va” scrisse una volta Bettino Craxi, citando Federico Fellini. La nave Italia andava e Craxi era al timone, come oggi Enrico Letta. Nel film di Fellini la nave andava nonostante tutto. Non sappiamo se il neo-premier saprà accontentarsi, come Craxi allora, che la nave vada. Certo è che non di piccolo cabotaggio e di ordinaria amministrazione ha bisogno l’Italia. In modo particolare a proposito di giustizia e carceri, droghe e diritti. Tutti sanno che il nostro Paese è sorvegliato speciale in Europa. Con una pratica dilatoria degna di un azzeccagarbugli di provincia, qualche settimana fa il governo italiano ha fatto ricorso contro la sentenza della Corte europea dei diritti umani che lo obbliga a ripristinare condizioni di legalità nelle carceri entro un anno. Guadagnerà qualche mese, poi il countdown imposto dalla sentenza-pilota riprenderà a scandire il suo tempo. Nel frattempo la Corte costituzionale sarà chiamata a decidere su (almeno) due questioni di legittimità costituzionale del codice penale nella parte in cui non prevede la possibilità di sospendere la pena quando costituisca un trattamento contrario al senso di umanità. Questione già decisa positivamente dalla Corte costituzionale tedesca e dalla Corte suprema statunitense. La condizione di vita nelle carceri è una questione di prepotente urgenza. Così l’ha definita più volte il vecchio e nuovo Presidente della Repubblica. Che ne farà il nuovo governo presieduto da Enrico Letta? Partiamo da cosa non deve fare: quello che hanno fatto i suoi predecessori. Non serve nessun “piano carceri” edilizio (come quello ardentemente voluto, fino al fallimento, da Angelino Alfano, quando era ministro della giustizia del governo Berlusconi). Non serve nessuna misura tampone, come quella detenzione domiciliare speciale su cui puntava inutilmente la ministra Severino. Né servono altri sprechi come quel contratto che garantisce alla Telecom milioni di euro in cambio di braccialetti elettronici che nessuno ha mai visto. Se si vuole affrontare il problema del sovraffollamento e finirla con quelle stucchevoli giaculatorie che siamo abituati a sentir recitare a ogni morte in carcere, bisogna fare poche e semplici cose: depenalizzare il consumo di sostanze stupefacenti e liberare le misure alternative alla detenzione dalle catene che sono state loro imposte da leggi propagandistiche sulla sicurezza. Queste e altre proposte per la tutela dei diritti in carcere, dall’istituzione di un garante nazionale dei detenuti all’introduzione del reato di tortura, sono l’oggetto della campagna di leggi di iniziativa popolare promosse da molte associazioni in questi mesi. Basterebbe ai gruppi parlamentari anticipare l’impegno delle associazioni e depositare quelle proposte, iniziare a discuterne e trasformarle in legge entro il termine stabilito dalla Corte europea dei diritti umani. Tocca scegliere, però: se si vuole restare nell’Europa dei diritti, non è più tempo per la propaganda sulla sicurezza. La raccolta delle firme continuerà il 9 maggio nelle Università testimoniando l’entusiasmo e la convinzione dei giovani. Giustizia: Amnesty scrive a Letta “l’esecutivo si impegni per i diritti umani” Adnkronos, 1 maggio 2013 “Il governo, di qualsiasi natura e composizione esso sia, è un attore fondamentale per la realizzazione di importanti passi in avanti del nostro ordinamento nei confronti dei diritti umani. Questi, dunque, devono essere messi al centro dell’azione governativa, anche e soprattutto quando venga individuata una lista di provvedimenti urgenti per il paese che goda del sostegno della grande maggioranza delle forze politiche parlamentari”. Lo scrive, in una lettera inviata al neopremier Enrico Letta, la direttrice generale di Amnesty International Italia Carlotta Sami. Nel dettaglio Amnesty International Italia ha sottoposto al presidente del Consiglio la sua “Agenda in 10 punti” per i diritti umani in Italia. Tra le richieste della Ong figurano: garantire la trasparenza delle forze di polizia e introdurre il reato di tortura; fermare il femminicidio e la violenza contro le donne; assicurare condizioni dignitose e rispettose dei diritti umani nelle carceri; fermare la discriminazione, gli sgomberi forzati e la segregazione etnica dei rom; garantire il controllo sul commercio delle armi favorendo l’adozione di un trattato internazionale; combattere l’omofobia e la transfobia e garantire tutti i diritti umani alle persone Lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate). Come rimarca una nota di Amnesty, “l’Agenda in 10 punti” per i diritti umani in Italia è stata lanciata in occasione della campagna elettorale ed è stata firmata dai leader delle forze politiche attualmente rappresentate nel governo (Pier Luigi Bersani, Silvio Berlusconi, Mario Monti e Marco Pannella) e da altri 437 candidati (il 90% dei quali ha risposto sì a tutti i punti), di cui 117 sono poi stati eletti in parlamento”. In quest’ottica la direttrice generale della ong Sami ha preannunciato la richiesta di un incontro con il premier Letta e con i ministri competenti sui temi contenuti nell’Agenda. Giustizia: Gonnella (Antigone): serve un viceministro per le carceri Ansa, 1 maggio 2013 “È ora che si proceda alla nomina di un sottosegretario alla giustizia, o ancor meglio di un viceministro, con delega alle carceri all’altezza del compito”. A sollecitarlo è Patrizio Gonnella presidente dell’associazione Antigone che si batte per i diritti nelle carceri. “Dopo il Papa e il Capo dello stato anche il presidente Letta ha fatto cenno alla questione carceraria da affrontare con decisione. E va affrontata - aggiunge Gonnella - sapendo che vi sono almeno tre scadenze: entro un anno bisogna rimediare alla condizione di affollamento come prescritto dalla Corte Europea dei diritti umani; entro il 31 dicembre 2013 bisogna rivedere il sistema delle misure alternative perché va a scadenza la legge Alfano sulla detenzione domiciliare; entro marzo 2014 la legge prevede che bisogna chiudere gli Ospedali psichiatrici giudiziari”. “Quanto agli ospedali psichiatrici - prosegue Gonnella - va altresì nominato un commissario straordinario competente che garantisca il raggiungimento di tale obiettivo di civiltà”. “Aldilà di tutti i giudizi sul Governo - conclude il presidente di Antigone - ora vedremo se il tema sarà trattato come merita oppure finirà nel carnaio del manuale Cencelli”. Giustizia: il ministro Delrio; no all’amnistia, ma il problema delle carceri va affrontato Italpress, 1 maggio 2013 “Il problema delle carceri è drammatico e va affrontato, ma personalmente sono molto contrario all’amnistia, sono invece favorevole al reinserimento lavorativo”. Lo ha detto il ministro per gli Affari regionali Graziano Delrio ospite a Otto e mezzo su La7. Lettere: anche a Enzo Tortora non avrebbero riconosciuto il risarcimento per ingiusta detenzione di Giulio Petrilli Ristretti Orizzonti, 1 maggio 2013 Da un verso mi consola , da un altro mi rattrista, scoprire che anche a Enzo Tortora nonostante l’assoluzione, non avrebbero riconosciuto il risarcimento per ingiusta detenzione, quindi avrebbe vissuto la stessa condizione che sto vivendo io. Infatti c’è una sentenza, contro le figlie dell’ex conduttore televisivo che avevano querelato il pentito Melluso per diffamazione, in quanto costui, seguitava pubblicamente nelle interviste, a sostenere, anche dopo assoluzione di Tortora, che lo stesso aveva comprato droga da lui. Nella sentenza la giudice Clementina Forleo, gip del tribunale di Milano, nel 1987, non solo respinse la querela, ma condannò le figlie del presentatore televisivo al pagamento delle spese processuali motivando il tutto con: “La sentenza di assoluzione del Tortora rappresenta soltanto la verità processuale sul fatto-reato a lui attribuito e non anche la verità reale del fatto storicamente determinatosi”. Come a dire il giudizio penale “l’assoluzione” non interessa nulla, la stessa risposta che la corte d’appello di Milano ha scritto nell’ordinanza di rigetto della mia richiesta risarcitoria per ingiusta detenzione, aggiungendo che ho avuto la colpa morale di frequentazioni sbagliate. Da anni, tanti anni, sto portando avanti la battaglia per il risarcimento per ingiusta detenzione a tutti. Quasi sempre da solo, altre volte con attestati di solidarietà, ma è una battaglia difficile, quasi impossibile e l’epilogo per me ci sarà il 30 maggio prossimo , quando la Cassazione pronuncerà il verdetto definitivo, che avverrà, con la spada di Damocle del parere negativo verso il mio risarcimento del Procuratore Generale. Per quel giorno sto organizzando un sit-in davanti la Cassazione a Roma. Ho scontato ingiustamente sei anni di carcere speciale , con l’accusa di partecipazione a banda armata (Prima Linea), per poi essere assolto con sentenza definitiva nel luglio 1989. Ricordando le parole indimenticabili pronunciate dall’On. Enzo Tortora il 27.02.87 la sera del suo ritorno in Tv quando disse: “Dunque dove eravamo rimasti? Potrei dire tantissime cose e ne dirò poche. Una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni. Molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai. E questo “grazie” a questa cara, buona gente, dovete consentirmi di dirlo. L’ho detto, e un’altra cosa aggiungo: io sono qui, anche per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi. Sarò qui , resterò qui anche per loro. Ed ora cominciamo come facevamo esattamente una volta.” Ecco alla luce di queste parole sentirò profondamente la partecipazione di Enzo Tortora (che ho conosciuto in carcere), alla manifestazione del 30 maggio e questo mi riempie di gioia perché le battaglie si possono perdere ingiustamente , ma le grandi solidarietà rimangono. Friuli Venezia Giulia: sul tema del carcere di Pordenone la Regione chiama la Cancellieri Messaggero Veneto, 1 maggio 2013 Non solo lavoro e ospedale nell’agenda pordenonese della presidente della Regione Debora Serracchiani, ma anche il carcere: è stata lei stessa a sollevare l’argomento in occasione dell’incontro con sindaco e giunta a dimostrazione della volontà di prendere in mano la questione della realizzazione di un nuovo istituto penitenziario a Pordenone per liberare il castello di piazza della Motta dai detenuti e avviarlo verso una possibile riqualificazione. “Ho dato incarico agli uffici - ha affermato la Serracchiani - di predisporre una breve nota sullo stato dell’arte in maniera tale da potermi confrontare in tempi che mi auguro brevi col neo ministro alla Giustizia Rosanna Cancellieri. Vogliamo capire, in particolare, se Pordenone è ancora al vertice delle priorità e se c’è un finanziamento disponibile per realizzare l’opera”. Allo stato delle cose, il piano carceri pone Pordenone al vertice in capo alla lista, insieme a Torino, anche se concretamente le risorse devono essere assegnate, pur individuate in un ammontare complessivo di 45 milioni di euro; di questi 25 milioni dovevano essere stanziati dal ministero e i restanti 20 dalla Regione e da Provincia e Comune. Una prospettiva modificata a seguito della disponibilità espressa dall’impresa Polese, come capogruppo, di realizzare un project financing per la caserma Dall’Armi di San Vito al Tagliamento che la Regione si è dichiarata disponibile a valutare, congelando, conseguentemente, la scelta di stanziare la propria quota, mai entrata a bilancio. Ora la partita, su tutti i versanti - Regione da una parte e ministero dall’altra - si riapre pur in un contesto finanziario che, tra carenza di risorse e patto di stabilità, “ingabbia” la possibilità di effettuare significativi investimenti. Dei 4 nuovi penitenziari previsti dal piano carceri, quello di Torino è in fase di ultimazione della progettazione (così come Pordenone), mentre la struttura di Camerino, nelle Marche, è ormai prossima alla gara di assegnazione delle opere. Già in corso, invece, l’appalto per la costruzione del nuovo penitenziario di Catania, anch’esso di 450 posti, uno standard che accomuna, per ragioni di costi, tutte le carceri che verranno realizzate nel nostro Paese. Milano: a San Vittore muore detenuto di 78 anni, era malato e doveva scontare solo 6 mesi La Repubblica, 1 maggio 2013 Aveva 78 anni, era malato da tempo, doveva scontare ancora sei mesi di pena, poi sarebbe stato libero. Nel febbraio del 2012 era stato condannato a sei anni e 20 giorni per riduzione in schiavitù di una ragazza marocchina e concorso in numerosi furti. Dal carcere di San Vittore è uscito nella notte tra domenica e lunedì, ma per essere ricoverato d’urgenza all’ospedale Fatebefratelli, dove è morto poche ore dopo. E nessuno si è ricordato di avvisare la famiglia. A scoprire che Sliman Bombaker, libico di origini irachene, era morto per l’aggravarsi delle sue condizioni, è stato il suo avvocato, Enzo Lepre. “Ho chiamato in carcere per sapere come stava il signor Bombaker e mi hanno detto quello che era successo - racconta l’avvocato. Non avevano avvisato né il sottoscritto né i 10 figli che vivono a Milano. Si sono giustificati dicendo che non avevano nessun numero. Falso, il mio assistito riceveva telefonate giornaliere dai figli e i loro numeri sono segnati sui registri. Mi chiedo in che Paese viviamo”. Bombaker era malato di diabete, lo scorso anno aveva avuto un infarto, una grave insufficienza renale lo aveva quasi paralizzato e solo poche settimane fa si era procurato un trauma cranico cadendo in cella. “Un quadro incompatibile con il carcere - spiega l’avvocato. Anche il medico di San Vittore aveva detto che la situazione sarebbe potuta degenerare da un momento all’altro e che era da scarcerare”. Ma il 18 aprile, il tribunale del riesame ha negato i domiciliari. “Di fatto è stato impedito ai figli di vegliare il padre nelle ultime ore della sua vita”, accusa Lepre. Lecce: poliziotto penitenziario di 54 anni si suicida impiccandosi nel carcere minorile www.lettera43.it, 1 maggio 2013 Ha scritto due biglietti: uno per i figli e l’altro per la magistratura. E poi si è impiccato. Ha deciso di togliersi la vita appendendosi a un albero del giardino del carcere minorile di Lecce, un Poliziotto penitenziario di 54 anni. A fare la tragica scoperta è stato un collega dell’uomo. Sul posto sono subito arrivati altri agenti di Polizia Penitenziaria e funzionari della squadra mobile, oltre al medico legale Alberto Tortorella che ha confermato il suicidio. L’agente, originario di Novoli in provincia di Lecce era separato e nel biglietto indirizzato ai due figli ha chiesto scusa per il gesto. Nel biglietto destinato alla magistratura, invece, la vittima farebbe riferimento a presunti contrasti con persone al di fuori dell’ambito famigliare. Pare inoltre che l’agente di Polizia Penitenziaria sarebbe dovuto andare in pensione tra pochi mesi. “La notizia di un nuovo suicidio tra gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria ci sconvolge. L’ennesima tragedia tra i Baschi Azzurri dovrebbe fare seriamente riflettere tutti coloro che colpevolmente hanno trascurato e trascurano il disagio lavorativo dei poliziotti penitenziari. Non è più possibile assistere inermi a queste morti assurde. È stato accertato che i suicidi di appartenenti alla Polizia Penitenziaria, benché verosimilmente indotti dalle ragioni più varie e comunque strettamente personali, siano in taluni casi le manifestazioni più drammatiche e dolorose di un disagio derivante da un lavoro difficile e carico di tensioni. Ma l’Amministrazione penitenziaria così come quella della Giustizia minorile non sono stati in grado di predisporre alcun intervento concreto risolutivo, anche per le diffuse colpe di Capi Dipartimento, Direttori Generale, Provveditori Regionali, Direttori di Centri per la Giustizia minorile, di Cpa ed Ipm. Quanti si sono premurati di verificare davvero le condizioni di disagio dei poliziotti? Quanti hanno messo in campo efficaci strategie per contrastare il disagio lavorativo, anche attraverso collaborazioni con centri di ascolto? Sono probabilmente meno delle dita di una mano. E questa è una vergogna, una colpevole vergogna”. Non nasconde la sua ira Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, alla notizia di un nuovo suicidio tra i poliziotti penitenziari. In pochissimi mesi abbiamo avuto colleghi suicidi a Trapani, Formia, San Vito al Tagliamento, Battipaglia, Torino, Mamone Lodè, Caltagirone, Viterbo. uno persino sulla nave che da Genova lo portava al paese d’origine, in Sardegna E dal 2000 ad oggi sono stati circa 100 i poliziotti penitenziari che si sono uccisi, 1 direttore di istituto (Armida Miserere, nel 2003 a Sulmona) e 1 dirigente regionale (Paolino Quattrone, nel 2010 a Cosenza). Come ci può continuare a sottovalutare queste tragedie?”. Osapp: ministro Cancellieri agisca Il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, commenta il suicidio dell’agente di custodia nel carcere minorile di Lecce affermando che “è l’ennesimo suicidio di un poliziotto penitenziario vittima non del carcere ma dei problemi del carcere. La guardasigilii Cancellieri si affretti - chiede Beneduce - ad inserire i problemi del lavoro negli istituti penitenziari per adulti e minori tra le emergenze a cui il governo deve porre immediato riparo”. Uil-Pa: non strumentalizzare Eugenio Sarno, segretario generale del sindacato Uil-pa Penitenziari, esprime il cordoglio per il suicidio nel carcere minorile di Lecce di un agente che, sottolinea Sarno, era iscritto alla Uil da circa 20 anni. “Benché ogni suicidio celi sempre motivazioni non sempre indagabili, abbiamo ragione di credere - afferma Sarno - che in questo caso la professione e l’ambiente lavorativo siano da escludere tra le cause scatenanti dell’estremo gesto”. “In questi momenti di così grande dolore auspico - conclude il segretario generale della Uil-pa - che questa tragedia non sia artatamente strumentalizzata, ancor più da parte di chi nel passato ha assunto posizioni rigide verso l’IPM di Lecce e atteggiamenti critici verso l’intero contingente di polizia penitenziaria colà in servizio”. Napoli: prosegue la lotta per l’amnistia… tornano i presidi a Poggioreale di Fabrizio Ferrante www.epressonline.net, 1 maggio 2013 L’inizio della settimana è stato caratterizzato, per i radicali napoletani, dal ritorno in grande stile della mobilitazione per l’amnistia e la Giustizia. Ieri e oggi si sono svolti due presidi che hanno contribuito in maniera determinante a far crescere il numero degli aderenti all’iniziativa nonviolenta promossa da Marco Pannella, consistente in cinque giorni di sciopero della fame - ma Pannella ha ripreso anche quello della sete - che si concluderà al termine della giornata odierna. Per i militanti dell’associazione radicale Per la grande Napoli si apre un’intensa fase di mobilitazione su più fronti. Già partita la raccolta firme per la proposta di legge di iniziativa popolare Eutanasia Legale con i primi tavoli svoltisi in città la settimana scorsa e che riprenderanno nel fine settimana a piazza Bellini (venerdì dalle 22) a via Scarlatti (sabato dalle 17) e a via Partenope (dalle 10-30 e per tutta la giornata). A questa battaglia si unirà a breve anche quella inerente i sei referendum per un ritorno alla sempre utile tradizione radicale di politica fatta in strada, con la sola forza delle idee e della militanza. Da queste parti, tuttavia, non ci si dimentica di quella che da almeno due anni viene sistematicamente individuata come una delle maggiori urgenze su cui intervenire e il riferimento non può che portare al dramma carcerario altrimenti detto “prepotente urgenza” per citare Giorgio Napolitano. Ieri e oggi si sono svolti due presidi a Poggioreale, che hanno avuto se non altro il merito di riportare in auge una lotta che, per qualche strano motivo, sembra appassionare solo Pannella e pochi altri all’interno dello stesso movimento radicale. Eppure il momento attuale autorizza, anche alla luce delle dichiarazioni di Enrico Letta - e non solo - sul degrado nelle carceri e sulle sentenze Cedu, a sperare che nei prossimi mesi qualcosa possa effettivamente succedere e appare incomprensibile non rilanciare come merita, un tema dirimente come la Giustizia. Non è dunque casuale, bensì forse sintomatica, la commozione che ha contraddistinto l’intervento di Marco Pannella a Radio Radicale sull’attività dell’associazione Per la grande Napoli a sostegno dell’amnistia, nei minuti in cui il presidio era in corso. Un collegamento giunto al termine della breve dichiarazione di Luigi Mazzotta (clicca qui per ascoltarla all’interno del servizio sul presidio odierno; clicca qui per il servizio sul presidio di ieri) ai microfoni dell’organo della lista Marco Pannella, in cui l’anziano leader ha pienamente manifestato la sua gioia per quanto ascoltato da Napoli. “Sono in fila con voi” ha detto Pannella rivolgendosi ai parenti, concludendo il suo intervento con un entusiastico “w la Grande Napoli”. Anche Pannella deve essersi accorto che la mobilitazione nazionale sul tema carceri è stata pressoché assente in questi giorni di satyagraha con l’eccezione della nostra città, dalla quale sono giunte in due giorni 44 adesioni al digiuno. Un dato enorme, se rapportato a quello complessivo che in questo caso difficilmente raggiungerà le tre cifre. Forse Pannella, che venerdì sarà a Napoli assieme agli esponenti del Pdl - fra cui Luigi Compagna, senatore Pdl iscritto all’associazione Plgn che ha presentato una delle tre proposte di legge per l’Amnistia e l’Indulto, le altre sono a firma dei deputati Pd, Sandro Gozi e Luigi Manconi - per sostenere l’iniziativa “Cosentino libero” sarà lieto di sapere che Luigi Mazzotta, il sottoscritto e gli altri militanti saranno nuovamente al fianco dei parenti del “detenuto comune” dalle 7 del mattino. Chissà che, dopo l’euforia odierna, non segua una piacevole improvvisata del vecchio leone d’Abruzzo per dare corpo a quella presenza in coda coi parenti, da lui stesso evocata questa mattina. I militanti napoletani e i cittadini in coda all’esterno della Casa Circondariale di Poggioreale lo aspettano a braccia aperte. Roma: il Garante Angiolo Marroni; minorenne tunisino detenuto per errore tra gli adulti Il Velino, 1 maggio 2013 Arrestato e condannato per detenzione di stupefacenti, da oltre due mesi un adolescente tunisino di 17 anni sta scontando la sua pena come adulto a Rebibbia Nuovo Complesso, nonostante i documenti dimostrino la sua minore età. La vicenda è stata segnalata dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni che ha immediatamente chiesto all’autorità giudiziaria di accelerare le pratiche per favorire il trasferimento dell’adolescente nella più idonea struttura per minori di Casal del Marmo. “Il carcere - ha detto Marroni - è un ambiente difficile da vivere per gli adulti, figurarsi per un adolescente straniero che si trova in Italia senza famiglia e senza nessun altro punto di riferimento. Protrarre ancora a lungo la sua detenzione fra gli adulti potrebbe avere conseguenze devastanti”. Amir (nome di fantasia) è sbarcato da solo, a 15 anni, sulle coste italiane ed ha iniziato a lavorare in nero come muratore. Venuto in Italia, come tanti altri giovani della sua età, per contribuire al sostentamento della famiglia, è stato invece costretto a doversi difendere. Infatti, la condizione di immigrato irregolare e la mancanza di una rete familiare e assistenziale hanno fatto in modo che le sue prime frequentazioni pregiudicassero la sua integrazione. “La sua - ha detto il Garante - è una storia triste e, purtroppo, nota. Chi avrebbe potuto aiutarlo si è mostrato invece aguzzino”. Dopo sette mesi dal suo arrivo in Italia, è stato fermato ed arrestato per reati di minima entità legati alla detenzione di hashish e alla ricettazione di un vecchio motorino e, per questo, è transitato nel carcere minorile di Treviso ed in una Comunità per minori. Circa due mesi fa Amir è stato di nuovo arrestato per detenzione di stupefacenti e condannato a 8 mesi di carcere. Subito dopo la condanna, è stato trasferito come adulto a Rebibbia Nuovo Complesso nonostante si fosse dichiarato minorenne e nonostante questa circostanza fosse confermata sia dalla documentazione anagrafica prodotta dalla questura di Udine che dai tratti somatici, che evidenziano chiaramente la sua minore età. Negli ultimi giorni, inoltre, anche il consolato tunisino di Roma ha prodotto il certificato di nascita attestante che Amir è, in effetti, nato Sousse nel 1996. A seguito dell’allarme del Garante, accolto e condiviso dal direttore di Rebibbia, la documentazione è stata tempestivamente trasmessa alla IV sezione penale del Tribunale di Roma, dalla quale si attende ancora un riscontro per l’immediato trasferimento di Amir nel Carcere Minorile di Casal del Marmo. “Questo ragazzo - ha concluso Marroni - ha ora bisogno di essere seguito con attenzione, considerata la fragilità dello stato emotivo in cui attualmente versa. Il suo vissuto pregresso, e l’inadeguatezza di una struttura per adulti dove sta drammaticamente vivendo suo malgrado, esposto com’è a rischi di ogni genere, lo hanno già portato a minacciare ripetutamente gesti autolesionistici”. Viterbo: infermieri a Mammagialla, revocato l’avviso di assunzione www.tusciaweb.eu, 1 maggio 2013 La notizia della revoca dell’avviso pubblico per il conferimento di 16 infermieri per la casa circondariale di Mammagialla di Viterbo, riporta clamorosamente alla ribalta il disfacimento sanitario che vive, ormai da vecchia data, la Sanità viterbese, alle prese con una interminabile lista di riduzioni e tagli che hanno ridotto ai minimi termini l’assistenza e le prestazioni specialistiche, riscontrabili nella mancanza di posti letto ospedalieri, nell’allungamento delle liste d’attesa, nella chiusura di interi reparti nei presidi di frontiera, nelle carenze di organico infermieristico e medico e nello smantellamento delle strutture sanitarie accreditate. La soddisfazione che aveva generato il provvedimento del commissario Antonio De Santis e che dava una piccola boccata d’ossigeno all’estremo bisogno occupazionale per i giovani del nostro territorio, è stata soffocata da questa inaspettata mossa dell’attuale commissario Ausl, Luigi Macchitella che, a seguito di approssimative “disposizioni regionali” , in data odierna, ha revocato l’avviso per l’assunzione di 16 infermieri presso il carcere viterbese. Tutto ciò accade in un contesto sanitario che sta vivendo giorni di autentica emergenza causata dall’esasperazione di centinaia di operatori sanitari che non ricevono lo stipendio da diversi mesi, come a Villa Buon Respiro e alla Nuova Santa Teresa e, ancora, dalle minacce di licenziamento e di riduzione di servizi presso la casa di cura psichiatrica Villa Rosa, insomma, una Sanità allo sbando che ha ceduto le sue priorità ai trambusti della “campagna elettorale” per il rinnovo del consiglio comunale di Viterbo, una competizione politica che sembra non essersi accorta della detestabile situazione che sta interessando non solo centinaia di lavoratori disoccupati o prossimi disoccupati, ma anche i più elementari diritti dei malati che, colmo dei colmi, si vedono castigati anche nella somministrazione di pasti precotti e, spesso, immangiabili. Con la presente, sig. Presidente, si esterna la necessità di avviare una urgente e meticolosa indagine regionale che possa individuare le responsabilità di uno schizofrenico “iter amministrativo” che sta generando ansia, preoccupazione e sconforto in tutti coloro che, nell’avviso pubblico, avevano individuato una possibilità di riscatto e di dignità per il loro futuro, fermo restando le intangibili necessità assistenziali da tutelare nella struttura di Mammagialla e, più in generale, negli ospedali di Viterbo e Provincia, occorrenze sanitarie ancora una volta posticipate da un altalenarsi di provvedimenti che, se non fosse per gli effetti devastanti arrecati alle cose ed alle persone, si potrebbero definire imbarazzanti “scherzi di Carnevale”. Roberto Talotta consigliere comunale uscente Parma: i detenuti diventano assistenti personali dei compagni di cella disabili di Stefania Galli www.superabile.it, 1 maggio 2013 La vita per una persona con disabilità non è mai semplice e molto spesso a peggiorare la situazione ci si mettono anche le istituzioni, proprio loro che dovrebbero invece tutelarle. Eppure la Costituzione italiana parla chiaro: nell’articolo 3, infatti, viene sancito che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Tutti hanno pari dignità, quindi, nessuno escluso. Nella realtà di tutti i giorni, però, non è proprio così e può capitare di assistere a situazioni completamente opposte. E se, nella vita normale risulta difficile comprendere che dietro ad una sedia a rotelle si trova una persona, dietro le sbarre la situazione appare ancora più problematica. Si perché non bisogna dimenticare che i disabili si trovano anche in carcere. E nel nostro Paese non sono pochi: la Lombardia, con 121 persone con disabilità, è la Regione che detiene il primato, seguita da Campania (96), Lazio (51), Marche (34) e Sicilia (34), ancora Toscana (31), Piemonte e Valle D’Aosta (23), Veneto, Trentino e Friuli Venezia Giulia (20), Puglia (17), Emilia-Romagna (16), Sardegna (16), Calabria (14), Umbria, Abruzzo-Molise, Liguria (tutte con 3 detenuti) e, infine, Basilicata (1). A fornire le cifre è l’Ufficio Servizi sanitari del Dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria. I dati, però, si riferiscono alla fine del 2006 e da allora non ci sono stati ulteriori aggiornamenti. Secondo sempre queste stime, ci sono nel Bel Paese 11 strutture penitenziarie che hanno sezioni attrezzate, 175 i posti ma ben 90 sono inagibili. Dati non proprio confortanti. Eppure nel panorama carcerario italiano si sta tentando di porre rimedio anche a questo problema. Caso esemplare è quello della casa circondariale di Parma dove è presente un centro clinico, reparto in cui sono ricoverati detenuti non necessariamente disabili, con patologie che necessitano di cure intensive tali da non poter essere eseguite in cella. C’è anche un reparto paraplegici che invece accoglie nove persone in sedia a rotelle, alcune con un bisogno di assistenza 24 ore su 24, mentre nella sezione minorati fisici vivono 50 detenuti con impedimenti e difficoltà di diverso genere e diversa gravità. Con l’obiettivo di assistere queste persone sono partiti, primo caso in Italia, corsi per formare detenuti come veri e propri operatori sociosanitari, che siano in grado, quindi, di assistere altri carcerati con disabilità. Nove detenuti hanno deciso di intraprendere questo percorso, importante non solo per chi andranno ad aiutare ma anche per loro stessi. Tramite questo percorso di studi si permette, infatti, al carcerato di poter fare esperienza per il proprio futuro lavorativo fuori dal carcere, dando la possibilità reale a queste persone di potersi creare un futuro al di là delle sbarre. Questa iniziativa rientra nel progetto “Benessere psicofisico negli istituti penitenziari”, elaborato dalla Asl in collaborazione con il centro “Forma Futuro”, per offrire ai detenuti, inclusi quelli disabili, risorse, dignità, autostima, crescita e una forza conquistata dentro con l’obiettivo di spenderla fuori. Due dei nove carcerati che hanno seguito il corso e hanno ottenuto la qualifica di operatore assistenziale hanno intanto iniziato il loro percorso lavorativo presso il centro clinico del carcere, mentre gli altri sette andranno a sostituire gli operatori attualmente esistenti nella struttura penitenziaria. “Il carcere è di per sé un luogo di disagio, per il fatto stesso di limitare la libertà” sottolinea Francesco Ciusa, dirigente medico presso la Asl, direttore del programma Salute all’interno del penitenziario . “Per restituire abilità alle persone occorre togliere una certa dose di sofferenza, in modo che ciascuno possa diventare padrone della propria riabilitazione”. E chi meglio di un altro detenuto può comprendere e quindi togliere questa dose di sofferenza ad un altro detenuto. E si sa, anche per una persona abile, il carcere è luogo di sofferenza e di abbattimento per antonomasia. È di fondamentale importanza, quindi, che i detenuti facciano della propria esperienza in carcere una esperienza di ricostruzione di sé anche per ritrovare un rapporto non solo con se stessi, ma con tutta la società. E per fare ciò il carcere deve tornare ad assumere quel ruolo per cui è stato costituito, cioè essere un luogo educativo e non punitivo. Milano: uso dell’alloggio di servizio, il Sappe contro l’ex direttrice del carcere di Bollate Redattore Sociale, 1 maggio 2013 Il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria aveva accusato Lucia Castellano di mantenere in uso l’alloggio dell’amministrazione penitenziaria. La replica: “Sto liberando l’alloggio, come richiestomi dal Dap. Non capisco il motivo della polemica”. “Mi sembra davvero una polemica meschina. Mi sono sempre comportata come prevede il dpr 314 del 2006”. Così Lucia Castellano, ex direttrice del carcere di Bollate e oggi in consiglio regionale nelle file della Lista Ambrosoli, ribatte alle accuse mosse da Donato Capece, segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria). “Non capisco come possa essere possibile e tollerabile che un ex direttore di carcere, già assessore comunale a Milano della Giunta Pisapia ed oggi consigliere regionale lombardo, continui a mantenere in uso un alloggio di servizio dell’Amministrazione penitenziaria”, scrive Capece nel comunicato che ha dato il via allo scontro. “Che lasci l’appartamento a un agente di polizia penitenziaria che lavora a 1.300 euro al mese”, aggiunge il sindacalista. Cosa che è successa, ribatte Castellano. Il 17 aprile, infatti, su richiesta del Dipartimento amministrazione penitenziaria la consigliera regionale ha dato disponibilità dell’appartamento per un bando straordinario, della durata di un anno, proprio per gli agenti del carcere. Ora sta liberando l’alloggio dai mobili e chiudendo le utenze di acqua, luce e gas: “Sia chiaro che non l’ho fatto prima solo perché è uno spazio che non serviva a nessuno, perché destinato al direttore del carcere e nessuno dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria me lo aveva richiesto”, puntualizza Castellano. L’ex assessore alla casa della Giunta Pisapia specifica poi che non abita più quella casa dal 2008, quando ancora era direttrice del carcere. “Tengo a dire che c’è una palazzina a due piani dove sta un appartamento ormai vuoto dal 2009, che apparteneva al vecchio comandante del carcere. Non capisco allora il motivo della polemica nei miei confronti”, conclude. Volterra (Pi): la settima edizione di Cene Galeotte sta ormai per giungere al termine... www.online-news.it, 1 maggio 2013 La settima edizione di Cene Galeotte sta ormai per giungere al termine con il suo terzultimo appuntamento che si terrà venerdì 24 maggio. Luogo ed orario restano invariati: alla Casa di Reclusione di Volterra (Pi) alle ore 19.30 si apriranno i cancelli per una nuova cena galeotta dallo sfondo benefico. Il ricavato sarà devoluto alla campagna internazionale “Il cuore si scioglie onlus” che dal 2000 è impegnata, insieme a Unicoop Firenze, nella realizzazione di progetti umanitari, in particolar modo nelle adozioni a distanza. Circa 120 persone potranno gustare i piatti preparati dai detenuti del carcere e da grandi e rinomati chef. Venerdì 24 sarà la volta dello chef Francesco Bracali del Ristorante Mondo Bracali (www.mondobracali.it) di Massa Marittima (Grosseto). Francesco, insieme al fratello appassionato di vini, che da sempre si occupa della sala e della cantina, sono i titolari del ristorante. In un’interessante intervista fatta a Francesco è emersa una sintesi della loro attività, fatta di materia e di persone: “Il nostro ristorante non si fonda sulla chirurgia estetica, ma sulla sapiente maestria che intende esaltare le forme perfette che stanno dappertutto, insite nella natura delle cose. Qui siamo in Maremma e la mia missione è mostrare quel che di semplicemente straordinario si nasconde nei croccanti sentieri di campagna, sulla cremosa spuma di un’onda; impiattiamo il chiacchiericcio al bar del paese e lo serviamo guarnito con glassa brillante di grano in primavera. Il tutto fuso, addizionato, mai mischiato, con una una spruzzatina di fantasia e un pizzico d’alta scuola dal Mondo”. Sarà con Francesco che i detenuti prepareranno un armonico ed intrigante menu, per deliziare gli ospiti della Casa di Reclusione e per fare loro stessi una nuova esperienza a contatto con l’alta cucina italiana. Ad accompagnare l’atteso menu ci saranno i vini di La Regola di Riparbella, azienda toscana a sud d ella Provincia di Pisa nell’area della Doc Montescudaio ed a confine con la Doc Bolgheri. La regola nasce nel 1990 ed è condotta dai fratelli Luca e Flavio Nuti. La superficie vitata è di circa 17 ettari ed è ubicata parte in collina a circa 150-200 mt sul livello del mare, dove si coltivano vitigni a base di sangiovese, cabernet, merlot, petit verdot e syrah, e parte lungo le rive del fiume Cecina, dove si coltivano vitigni a base di vermentino, chardonnay, sauvignon blanc e viognier. L’azienda produce, inoltre, un vino rosato IGT da uve di sangiovese, merlot e syrah oltre ad uno da uve passite, una grappa affinata in barrique ed un olio extravergine di oliva a bassa acidità. L’iniziativa “Cene Galeotte” nasce dall’unione di Unicoop Firenze e della Fisar: la prima si occupa di fornire le materie prime e di retribuire i detenuti; la seconda, invece, della scelta delle aziende vinicole e dei vini da abbinare alle serate ed ai piatti. In sette edizioni, hanno partecipato 10.000 persone. Grazie al progetto Cene Galeotte, inoltre, 16 detenuti hanno trovato lavoro in ristoranti della zona secondo l’art. 21 che regolamenta il lavoro al di fuori del carcere. Per partecipare il costo e’ di 35 euro a persona che verranno interamente devolute per i progetti di solidarietà della Fondazione "Il cuore si scioglie onlus". Cene Galeotte è in collaborazione con il Ministero di Giustizia , la direzione della Casa di reclusione di Volterra, l’associazione Fisar, la direzione artistica del giornalista e critico enogastronomico Leonardo Romanelli. Iran: il suicidio di un detenuto disperato nella prigione “medievale” di Bandar Abbas Ansa, 1 maggio 2013 Un prigioniero si è suicidato nella prigione di Bandar Abbas dopo aver subito due anni di abusi ed aver vissuto in condizioni terribili. Ali Soleimani, 30 anni, ha cercato di uccidersi per la disperazione dovuta a questo trattamento disumano e alla mancanza di accesso alla giustizia, è stato riferito. I suoi compagni di cella lo hanno trovato sanguinante il 30 Marzo ed è stato portato subito all’infermeria della prigione dove poi è morto. La prigione di Bandar Abbas, nell’Iran meridionale, è famosa per le sue condizioni vergognose e per i maltrattamenti cui vengono sottoposti i detenuti. Ai prigionieri vengono date solo due piccole fette di pane al giorno e l’acqua viene definite “opaca, puzzolente e imbevibile”. Infatti ha causato gravi malattie digestive e renali ai prigionieri. L’elettricità è interrotta per la maggior parte del tempo e ci sono solo 2 ore di acqua calda al giorno per le centinaia di prigionieri che vorrebbero fare la doccia. Altre notizie hanno rivelato le ripetute percosse, le torture fisiche e mentali a cui sono stati sottoposti i prigionieri durante le recenti feste del Nuovo Anno iraniano. Detenuto di Bandar-Abbas giustiziato dopo aver tentato il suicidio (comunicato del Segretariato del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana) Il regime disumano dei mullah ha impiccato un uomo di 28 anni che aveva tentato di uccidersi la notte precedente, dopo aver subito anni di abusi in carcere. E’stato impiccato il 2 marzo, ma ora è stato rivelato che era già in condizioni critiche, al momento della sua esecuzione dopo essersi tagliato la gola. In un'altra occasione, il prigioniero Alireza Shahbazi, di 23 anni, si è suicidato in carcere a Gohardasht il 25 aprile, dopo aver sopportato anni di atrocità dietro le sbarre. Shahbazi stato arrestato all'età di 15 anni, e poiché non poteva permettersi di pagare il prezzo del sangue, ha trascorso otto anni in condizioni spaventose a Gohardasht, che è stato paragonato ad un campo di sterminio. Shahbazi era stato convocato in tribunale la scorsa settimana ,in cui gli agenti del regime gli hanno detto i soldi di cui aveva bisogno per pagare il suo rilascio erano saliti a 15 milioni di tomans. Sapendo che la sua famiglia non poteva permettersi di pagare, si è suicidato nel padiglione 11 del reparto 4 del carcere Gohardasht, a mezzanotte del 25 aprile. I suicidi stanno aumentando nelle atroci condizioni della carceri medievali del regime del Velayat-e faqih, dove la tortura psicologica e l’estorsione di denaro ai prigionieri poveri, sono all'ordine del giorno. Fino ad ora, la reale portata di questo fenomeno brutale non è stata rivelata. Stati Uniti: rivolta di Guantánamo, quattro detenuti in fin di vita di Patricia Lombroso Il Manifesto, 1 maggio 2013 Lo sciopero della fame per disperazione dei detenuti a Guantánamo è giunto all’80esimo giorno. Dopo la violenta irruzione nelle celle da parte della squadra speciale e l’uso dei proiettili di gomma per reprimere la protesta collettiva il 14 aprile scorso, altri detenuti si sono uniti allo stato di agitazione. Il portavoce militare di Guantánamo ammette che lo sciopero della fame “si è esteso a cento persone”, legali difensori e organizzazioni per i diritti umani sostengono che ad oggi sono 136 su 166 i detenuti che rifiutano il cibo. Ufficialmente, l’alimentazione forzata con la tortura dei sondini riguarda 19 detenuti. Le condizioni di molti sono talmente gravi che il Pentagono è stato costretto a rafforzare il reparto medico di Guantánamo. È di ieri la notizia che quattro detenuti sono in fin di vita: tra questi c’è Khiali Gul, catturato in Afghanistan e detenuto senza alcuna prova di colpevolezza, che non è più in grado di parlare né di bere. New York Times e Onu incalzano Obama sulla necessità di chiudere Guantánamo, nell’indifferenza del resto dei media americani. Ieri il presidente ha accennato alla questione a margine della sua conferenza stampa: “Vorrei chiudere Guantánamo - ha detto - perché a quasi 12 anni dall’11 settembre dovremmo trattare diversamente i terroristi. Mi consulterò con il Congresso per questo”. Noam Chomsky, da noi interpellato, insiste affinché l’Europa faccia pressione sul governo Usa per chiudere il “lager”. Obama: mantenere aperto carcere Guantánamo è contro i nostri interessi Il presidente americano Barack Obama preannuncia un nuovo tentativo di chiudere il carcere speciale di Guantánamo, originariamente uno dei punti principali del suo programma nella sua prima campagna elettorale. Gli Stati Uniti, ha detto in una conferenza stampa, devono rivalutare il modo in cui gestiscono i presunti terroristi. “Tutti noi dobbiamo riflettere sulle ragioni per cui facciamo questo. Perché lo facciamo? Mantenere detenuti a tempo indefinito senza processo è contrario ai nostri interessi e deve finire”, ha aggiunto. Stati Uniti: il "trip advisor" delle prigioni, i detenuti americani danno le pagelle di Francesco Semprini La Stampa, 1 maggio 2013 Sistemazione, pasti, personale e sicurezza. Questi e altri aspetti sono oggetto di recensione da parte degli utenti, il cui giudizio viene pubblicato su internet. Questa volta non si sta parlando di alberghi, «bed and breakfast» o villaggi vacanze, bensì di penitenziari. Si tratta di un’iniziativa partita dagli stesso ospiti delle prigioni americane che hanno deciso di passare in rassegna, e sotto la lente di ingrandimento, tutto ciò che riguarda la struttura in cui si trovano per scontare la propria pena. Una volta stilata, la pagella viene pubblicata su siti online come «Yelp», e chi non lo può far direttamente perché per motivi precauzionali non ha accesso alla rete, lo fa fare ai familiari ai quali consegna la propria «review» durante i colloqui. «E’ uno strumento molto prezioso, aiuta a rendere trasparente un sistema che non lo è affatto», spiega Robert Miller, avvocato californiano che ha visitato nella sua carriera cinque penitenziari e 17 celle. E’ possibile trovare commenti di ogni genere, dalla pulizia delle celle, alla qualità del cibo, dai problemi in termini di sicurezza, a possibili maltrattamenti da parte delle guardie carcerarie. Un detenuto della prigione della contea di Arlington, in Virginia, ad esempio, ringrazia i secondini per offrirle sempre dei succhi di frutta freschi quando ha particolarmente sete. Mentre tra i reclusi del famigerato carcere di Rikers Island, quello dove è detenuto tra gli altri Bernie Madoff, qualcuno definisce la prigione «vivace», qualcun altro «orribile e depressiva», a rischio di invasione di topi e bagarozzi. Il punto è che sono comparse anche le prime accuse pesanti sulle quali le autorità penitenziarie di alcune case circondariali hanno fatto scattare opportune e tempestive indagini. «Tutto ciò che permette di aumentare la consapevolezza pubblica sulle condizioni dei detenuti nelle prigioni statunitensi rappresenta un segnale importante», dice un attivista di American Civil Liberties Union, associazione americana per i diritti civili. Non mancano, tuttavia, le critiche da parte di chi considera non opportuno recensire su Internet strutture di una certa rilevanza per la sicurezza nazionale. A rispondere è lo stesso «Yelp», limitandosi a dire che gli utenti possono recensire qualsiasi tipo di azienda che abbia una sede, purché rispetti le regole stabilite dal sito.