Padova: venerdì si è svolta la Giornata di studio “Il male che si nasconde dentro di noi” di Aldo Comello Il Mattino di Padova, 19 maggio 2013 Venerdì al carcere penale di via Due Palazzi, organizzata dalla redazione di Ristretti Orizzonti, si è svolta la giornata di studio “Il male che si nasconde dentro di noi”, un grande, inquietante affresco sulla violenza declinata in tutte le forme: da quella sulle donne a quella legata alla vendetta, alla violenza praticata come metodo rieducativo. Hanno partecipato all’incontro costruendo un dialogo intenso un centinaio di detenuti e circa 600 iscritti. Nel 2012 sono state assassinate, molte tra le mura domestiche e da persone che avrebbero dovuto proteggerle, 130 donne. Un corollario della manifestazione che ha acuito la sensibilità dei giovani è stato la collana di incontri che ha coinvolto 3.000 studenti padovani sui rapporti donna-uomo, dal titolo “Facciamo la differenza”. Ieri, tra le decine di narrazioni, quella di un padre che ha voluto accompagnare la figlia, spinto da un senso di protezione, ad un colloquio con i detenuti. “Mi sono accorto” spiega, “che il confine tra normalità e delinquenza è fragile e sottile, che la violenza può emergere di colpo e portarti al di là del muro, tra le sbarre”. È intervenuta la regista Francesca Archibugi. Ha detto che quando si disgrega la convivenza e una storia romantica si trasforma gradualmente in una conflittualità sempre più spinta fino ad arrivare all’omicidio, ci sono chiari segni premonitori: la donna viene sottoposta ad un mobbing occulto, ad una persecuzione mascherata. Tra i relatori il giornalista Riccardo Iacona, il criminologo Adolfo Ceretti, il sociologo Giovanni Ricci, figlio di uno degli agenti della scorta di Aldo Moro, ucciso nell’agguato di via Fani. Giustizia: aumentano i detenuti e crollano i finanziamenti al Dap di Matteo Mascia www.rinascita.eu, 19 maggio 2013 Il Governo di Enrico Letta continua a temporeggiare su tantissime problematiche. La giustizia potrebbe restare immune da qualsiasi processo di riforma, stretta tra le pressioni del Popolo della libertà e l’approccio acritico di larga parte del Partito democratico. La dialettica finirà per incancrenirsi sulle intercettazioni e sulla separazione delle carriere tra magistratura giudicante e magistratura inquirente. Solo pochi volenterosi si concentreranno sui problemi delle carceri, sull’incredibile consistenza dell’arretrato civile e penale o sulla gestione dei pazienti che si apprestano ad essere rilasciati dagli ospedali psichiatrici giudiziari. Un film già visto nel corso di tutta la cosiddetta “seconda repubblica”. Alle parole hanno fatto seguito pochissimi fatti, gli sforzi del singolo sono stati messi su un binario morto dalle Commissioni prima e dell’Aula poi. Sovraffollamento, diminuzione degli spazi a disposizione dei detenuti, drastica riduzione delle risorse. Sono gli annosi problemi che continuano ad affliggere il sistema penitenziario nazionale; dinamiche che sono state illustrate durante un convegno organizzato, ieri, a Firenze. Secondo la ricerca presentata in occasione dell’appuntamento toscano, la popolazione detenuta in Italia ha raggiunto cifre senza precedenti, ben superiori alle oltre 61mila presenze del luglio 2006, data dell’ultimo provvedimento di indulto. Al 31 marzo 2013 la popolazione detenuta è pari a 65.831 unità, 4.800 in più del giugno 2006. Alla dichiarazione dello stato di emergenza per il sovraffollamento carcerario, 13 gennaio 2010, nelle carceri italiane c’erano 64.791 persone, a fronte di una capienza di 44.073, con un tasso di affollamento del 147 per cento (147 detenuti ogni 100 posti). Dal 31 dicembre 2009 al 31 marzo 2013 la capienza del sistema penitenziario nazionale è passata da 44.073 a 47.045 posti, registrando così un aumento ufficiale di 3.000 posti, pari ad una crescita di oltre il 6 per cento. In realtà, però, la crescita delle capienze dipende da un diverso calcolo degli spazi disponibili piuttosto che dalla effettiva disponibilità di nuovi spazi i quali invece sembrano essere sempre meno, un artifizio contabile-amministrativo utile solo a rappresentare una situazione diversa rispetto a quella vissuta da ristretti ed agenti di Polizia penitenziaria. La riduzione delle risorse viene sottolineata da alcuni dati recentemente diffusi dall’Associazione Antigone, una delle più attive sul fronte della difesa dei diritti dei cittadini sottoposti all’esecuzione penale. Nel 2007, con una presenza media giornaliera di 44.587 detenuti, il bilancio del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ammontava a quasi 3 milioni e 100mila euro. Nel 2011, a fronte di una presenza media giornaliera di 67.174 detenuti, il bilancio è sceso a poco più di 2 milioni e 760mila euro, con un taglio del 10,6 per cento. I costi del personale sono calati solo del 5,3 per cento, quelli per gli investimenti (edilizia penitenziaria, acquisizione di mezzi di trasporto, di beni, macchine ed attrezzature) del 38,6 per cento e quelli per il mantenimento, l’assistenza, la rieducazione ed il trasporto detenuti, addirittura del 63,6 per cento. La sofferenza maggiore è per il mantenimento di attività trattamentali adeguate, come ad esempio l’accesso al lavoro, previsto per i detenuti con condanna definitiva come vero e proprio diritto. Nel primo semestre 2012 a lavorare sono stati 13.278 detenuti, meno di un quinto del totale dei reclusi e comunque una cifra assai inferiore rispetto al numero dei condannati (che al 30 giugno erano 38.771). È la percentuale più bassa dal 1991, conseguenza dei drastici tagli del budget previsto nel bilancio del Dap per le retribuzioni dei detenuti che negli ultimi anni si è ridotto del 71 per cento: dagli 11 milioni di euro del 2010 si è passati ai circa 3 del 2013. Tendenze utili a mortificare - come se ci fosse il bisogno - lo scopo rieducativo della detenzione o delle misure alternative alla permanenza in cella. In questo modo, i penitenziari continueranno a sfornare ex detenuti con percentuali di recidiva elevatissime. Il ministro Anna Maria Cancellieri dovrà dimostrare di avere la volontà per imporre un cambio di rotta radicale. I partiti dovranno cercare di apportare il proprio contributo senza scadere nella bassa propaganda elettorale. L’attuale situazione non è funzionale alle esigenze dei cittadini. Solo chi è in malafede può affermare il contrario. Giustizia: “sentenza Torreggiani”, Strasburgo pronta a respingere il ricorso italiano? di Matteo Mascia www.rinascita.eu, 19 maggio 2013 La Corte Europea dei diritti dell’uomo sta per decidere in merito al ricorso presentato dallo Stato alla cosiddetta “sentenza Torreggiani” sul sovraffollamento delle carceri. Decisione di Strasburgo in grado di imporre una rivoluzione tra le mura dei penitenziari italiani. A prendere la decisione sulla richiesta del Governo italiano sarà un panel di cinque giudici, magistrati che andranno a formare la cosiddetta “Grande Camera”. Se il ricorso non dovesse essere accettato, la sentenza di condanna dell’Italia pronunciata l’8 gennaio scorso da una delle sezioni della Corte diventerebbe immediatamente definitiva. L’Italia avrebbe allora un anno di tempo per mettere in atto una serie di misure per risolvere il problema del sovraffollamento e risarcire coloro che ne sono stati danneggiati. Procedura di ristoro parzialmente paralizzata da un recente decreto licenziato dall’esecutivo di Mario Monti, articolato che permette allo Stato di non liquidare i danni conseguenti ai ritardi della giustizia o agli errori giudiziari. La Corte potrebbe anche decidere che le argomentazioni del governo italiano per un rinvio davanti alla Grande Camera sono valide, dovrà essere fissata una data per l’udienza e il verdetto finale potrebbe non arrivare prima di un anno o più. I Radicali hanno affermato che l’organo giurisdizionale internazionale avrebbe già deciso di rigettare il ricorso di Roma. “Come era ampiamente prevedibile, l’Italia ha subito l’ennesima umiliazione in sede europea. Giustizia: quanto ci manchi caro Enzo Tortora… di Dimitri Buffa www.clandestinoweb.com, 19 maggio 2013 Oggi, 18 maggio 2013, sono esattamente 25 anni da quando la tua morte (provocata per il tramite di un tumore maligno da quella parte della magistratura italiana che con il proprio protagonismo politico ed esistenziale adesso ha infettato l’Italia tutta) gettò un intero Paese nello sconforto e nella disperazione. Il problema delle riforme della giustizia, oggi come allora, sembra camminare quasi solo sulle spalle del partito di cui fosti il presidente più amato: il Partito radicale. E anche nell’Italia del terzo millennio gli altri partiti politici non hanno il coraggio di guardare alla condizione carceraria come a una infrastruttura che non funziona e getta l’Italia nel discredito a livello europeo, con centinaia di condanne della Corte dei diritti dell’uomo, e oramai mondiale. In questo triste giorno andrebbe ricordato un atto che si commenta da solo di cui fu protagonista, il 23 ottobre 1984, l’Anm. Che, invitata a partecipare a un convegno a Strasburgo dagli stessi Radicali, con Tortora da poco eletto al parlamento europeo e da poco dimessosi e fattosi riarrestare per potere partecipare da cittadino qualunque al processo che di lì a poco sarebbe iniziato a Napoli, ritenne non solo di declinare tale invito che giungeva dallo stesso Parlamento europeo, ma anche di emettere un comunicato in cui si stigmatizzzava la relazione dell’ex esponente del Pr Mauro Mellini, ritenuta delegittimante e infamante contro la magistratura in generale e i colleghi napoletani che avevano imbastito il caso Tortora in particolare. Gli stessi che nonostante i loro macroscopici errori vennero difesi corporativisticamente dall’Anm e poi dal Csm e che alla fine fecero una bellissima carriera all’interno del dorato mondo della “ultracasta” in toga. Un mondo in cui, nonostante il referendum Tortora del 1987, vinto con oltre l’80% degli italiani favorevoli alla responsabilità civile diretta del magistrato che commette errore grave, ancora oggi chi sbaglia non paga. Ecco un ampio stralcio delle parole di Tortora dell’epoca così come riportate da Radio radicale, per commentare lo sdegnato rifiuto degli esponenti del sindacato dei giudici di partecipare a quel convegno emblematicamente intitolato alla giustizia sul “caso Italia”: “ho chiesto da parlamentare radicale a Strasburgo, per rispetto alla magistratura del mio Paese, di essere privato dell’immunità. È da notare che un analogo atto non dico di cortesia - il mio è un atto dovuto, io devo essere cittadino tra i cittadini - ma di incontro per guardarsi francamente negli occhi e dirsi che cosa sta succedendo in Italia, vedendo che l’Associazione nazionale dei magistrati lo evita, io ne traggo poco buoni auspici per il futuro del nostro Paese. Non si esce da questo vicolo cieco dell’immeschinimento. La stampa oggi offre direi delle macroscopiche occasioni di dimostrare quello che in certi casi, quando è assatanata contro i radicali, quando è animata non dal desiderio di informare razionalmente ed è in preda ai furori isterici dell’odio, diciamo pure dell’odio e del pregiudizio antiradicale. Lo abbiamo sotto gli occhi. Io da Strasburgo leggo su Strasburgo cose che non sono mai avvenute. Io da Strasburgo leggo di scandali che non ci sono stati. Io leggo di deformazioni che sono gravissime. Il “caso Italia” è questo. Potremmo addirittura dire che le relazioni dotte, perfino quelle dei magistrati, sono state applaudite, badate…forse questo lo sentite dire unicamente da me o da noi. Tutti i magistrati che a titolo personale sono intervenuti dopo la scomunica dell’Associazione hanno parlato in piena tranquillità, hanno detto cose che ovviamente in parte possono non coincidere con l’opinione degli altri. Io credo che le riforme vadano avanti con i confronti e non con le fughe. Il credo che i cambiamenti vadano avanti guardando in faccia tutti gli aspetti del problema, non sottraendone uno in nome di una suscettibilità offesa. E allora si ripropone, in un campo molto più delicato, il clamoroso, ridicolo fenomeno della beffa delle pietre di Modigliani a Livorno, no?! I critici, per fortuna non hanno ancora - i critici d’arte - il diritto di mandare la gente in galera. Se continua così, l’avranno, suppongo. Ma se una corporazione, qualunque essa sia, si chiude acriticamente a riccio di fronte alla possibilità di un confronto…E non vedo come si possa operare un confronto nel campo della giustizia senza interpellare quella componente essenziale che sono i magistrati del cui impegno nessuno ha mai dubitato, della cui solitudine nessuno ha mai dubitato. Ma ci è consentito pensare anche un pò alla solitudine dei cittadini che spesso sono travolti dal male, dai malesseri di questa giustizia sfasciata, che commette più, diciamolo pure, delitti e danni. Una giustizia, una macchina della giustizia sfasciata che non una macchina della giustizia efficiente.” Per la cronaca Tortora quando parla di “cose mai avvenute” si riferisce alla montatura meditaica che fu fatta su una comparsata di Oreste Scalzone. Che profittò del proscenio per fare i soliti proclami contro l’Italia definendosi perseguitato politico. I giornali montarono la cosa e nascosero il resto del convegno. Come se il tutto fosse stato organizzato per dare spazio a Scalzone e non al caso Tortora che era ieri come oggi il “caso Italia”. Anche queste parole di Enzo Tortora ci provocano il rimpianto e la malinconia per la mancanza oggi di un uomo politico della sua onestà intellettuale. L’Italia di oggi è persino peggiore di quella in cui lui lottò sino alla morte, coi microfoni di Radio radicale sempre accesi a via Piatti 8 a Milano, per una giustizia giusta. Noi non ti dimenticheremo mai amato Enzo Tortora. Giustizia: Roberto Saviano e gli “sbianchettamenti” Radicali nella storia di Enzo Tortora di Rita Bernardini www.radicali.it, 19 maggio 2013 Caro Roberto Saviano, con il tuo articolo a pag. 7 dell’Espresso in edicola hai fatto veramente un capolavoro. Nel voler riprendere il filo dell’esemplare lotta “gandhiana” di Enzo Tortora, privi Enzo della sua storia radicale, ometti la sua identità che lo portò ad affermare “ero liberale perché ho studiato, sono radicale perché ho capito”. La tua è un’operazione di cancellazione che fa orrore. Scrivi del referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, omettendo di dire da chi fu promosso. Scrivi della battaglia “politica” di Enzo Tortora, omettendo di dire che fu Presidente del Partito Radicale. Parli della sua rinuncia all’immunità parlamentare, omettendo di dire che fu candidato alle europee nelle liste del Partito Radicale. Scrivi del suo “difendersi nel processo e non dal processo”, omettendo di dire che solo una forza di militanti che credevano in lui e nella sua “estraneità” ai reati imputatigli da parte di chi lo accusava di essere “un cinico mercante di morte”, poteva, per esempio, recapitare in mezza Italia a tutti i 640 coimputati, le impugnazioni degli scandalosi atti processuali. Ma più che con le mie parole, preferisco risponderti con quelle di Enzo Tortora. Pensa, sono di 29 anni fa e, per questa nostra povera Italia, attualissime. “È ripugnante veder la parola “politica” (e “politica” in senso furbastro, da maneggioni o portaborse del potere) inserirsi adesso nel giudizio su quella mia scelta che qualcuno continua a considerare “scandalosa”. Sono, lo premetto, solo punture di pidocchi, dopo le coltellate, vere, profonde, che la cosiddetta Giustizia mi ha sferrato. Ma qui i pidocchi contano. Vorrei dire che, sinora, solo i pidocchi hanno contato. Sbarrai gli occhi, non so se più nauseato o indignato, quando lessi che un autorevole capotribù democristiano scriveva: “Mi auguro che Tortora riesca a dimostrare la propria innocenza”, rivelando che la più mostruosa inversione del concetto di onere della prova era ormai avvenuta, nella coscienza di troppa gente. Perché qui, ormai, è addirittura l’innocenza che, con fatica, strazio e anni di tormento, deve giungere a dimostrare di essere tale; non sono gli altri che, e con le prove e non con calunnie, devono in tempi rapidi provare la colpevolezza di un cittadino. Qualcosa di ignobile è avvenuto nella nostra legislazione. Sta avvenendo sotto gli occhi di tutti: e alla barbarie non si può più dare decentemente il nome di Diritto. Rifarei la scelta radicale tra un minuto. La rifarei ogni minuto. Sono profondamente convinto che oggi, in Italia, solo questa sparuta pattuglia di profeti disarmati vede chiaro, vede lontano e osa chiamare le cose con il loro nome. Il “caso Tortora” dev’essere, soprattutto, simbolo e bandiera di un riscatto che non può più tardare. Ricevo, in queste ore frenetiche, che hanno trasformato in vita di uomo quella che era, sino al quattro maggio, solo la vita di un insetto, costretto a nutrirsi di consolatori elzeviri fati di carta e di parole, fiumi di lettere. Dal carcere e non dal carcere. Ricevo ogni giorno testimonianze agghiaccianti sui soprusi, le infamie, le illegalità che quotidianamente vengono compiute. L’Italia è tutto un immenso “Muro Lucano”, che io eleggerei davvero a capitale di questa Repubblica fondata non più sul lavoro, ma sul sopruso, cementato nel silenzio. Ho compreso, in questi giorni, come persino la verità, quando si tinge di parola “radicale”, diventi sospetta, non più vera, o meno di prima, e oggetto di attacchi velenosi, irresponsabili, abbietti. Spettacolo su spettacolo, film dopo film, io sto attraversando l’intera programmazione di un’Italia incredibile e invivibile, che mai come in questo momento, proprio perché l’ho vista, e la vedo vivere, sento il bisogno, sento l’urgenza di contribuire a cambiare. Cambiare nel profondo, cambiare nelle sue strutture marcite e putrescenti: cambiarla non “contro”, ma per amore della democrazia. Una democrazia senza più bugie, senza più ipocrisie, senza più parassiti: una democrazia insomma fondata sulla vita e sulla speranza. Vederli oggi contorcersi, i cosiddetti partiti, nel fare a gara per attribuirsi meriti che non hanno, e primogeniture che non posseggono, è spettacolo melanconico. Occorreva un uomo chiamato Tortora, esibito in catene come un trofeo di caccia, in un osceno carosello televisivo, per destare il Ministro Martinazzoli da un sonno lungo quanto quello di Aligi? E questo ministro democristiano che protesta con lettere e parole che dovrebbe rivolgere a se stesso, contro il “sussulto inquisitorio” che percorre l’Italia? Decrittato a dovere, l’etrusco, il mesopotamico, che è il vero linguaggio democristiano, dice quel che la gente dice in tram; oggi c’è la manetta facile in un paese dove tutto è diventato facile, tranne l’onestà, tranne il carattere.” […] Archivio Partito radicale - Tortora Enzo - 14 marzo 1984 Occorreva un Tortora... di Enzo Tortora (Notizie Radicali N. 66, 1984) Giustizia: Kabobo in cella a San Vittore, 6 metri quadrati del settimo raggio di Andrea Galli e Gianni Santucci Corriere della Sera, 19 maggio 2013 In privato siede sul letto, uno scatto improvviso anche nel pieno della notte, le braccia appoggiate alle gambe, le mani che si fermano all’altezza delle ginocchia; in pubblico siede a terra, un lento abbassarsi pure quando piove, lontano dagli altri detenuti e dalla piccola tettoia. Nella cella del settimo raggio che ospita il Conp, il Centro di osservazione neuropsichiatrica di San Vittore, il detenuto Mada Kabobo vive in isolamento. E quando non gliela impongono, è lui che cerca la solitudine: nell’ora d’aria (in realtà divisa in due momenti quotidiani, il mattino e il pomeriggio) evita sguardi e parole, contatti e domande. Fermo lì inchiodato al pavimento, sfidando il cielo. Primo piano del carcere, affaccio sul cortile interno, sei metri quadrati di spazio, sorveglianza continua per evitare che il killer cerchi un’altra morte: la sua. Il letto d’acciaio è saldato, e ugualmente (e d’acciaio) è saldato il gabinetto. I rubinetti sono impossibili da svitare. La finestrella è costruita con una grata che rende molto difficile annodare una corda oppure un lenzuolo alla ricerca dell’impiccagione. Kabobo di rado sbircia la finestra. Non guarda i giornali e le riviste: è analfabeta, vero, però non gli interessa nemmeno sfogliare le pagine per far scorrere il tempo in prigione, che oggi compie una settimana. Non gli sono state consegnate le lamette, il detenuto non ha visione della barba che cresce, semmai la sente e misura al tatto visto che la cella è priva d’uno specchio. Se ha bisogno di lavarsi, lo portano nelle docce comuni. E sono docce terribilmente sorvegliate. Fra i più esperti e preparati d’Italia, gli agenti della polizia penitenziaria di San Vittore hanno la capacità di predisporre piani speciali di vigilanza sui detenuti maggiormente a rischio. Mada Kabobo lo è. Soprattutto per la sua capacità di sfoggiare sorrisi diabolici, di distendere e rilassare i lineamenti del viso, di assumere un generale atteggiamento di calma, addirittura di serenità. Non urla, non piange, non invoca, non protesta, non sbraita, non picchia i pugni. Mangia con voracità a colazione, pranzo e cena; non avanza nulla, parlasse chiederebbe altri piatti ancora, e sono piatti di plastica, alla pari delle posate e dei bicchieri. È muto, Mada Kabobo. Semplici spifferi escono dalla sua bocca quando lo costringono a interagire, per esempio nelle visite mediche e psichiche (le prime analisi hanno dato esiti negativi, nessuna traccia di alcolici, farmaci o droghe al momento dell’arresto). I dottori si servono della consulenza gratuita di un connazionale dell’assassino, un ghanese del sesto raggio. L’uomo fa da interprete, gira le domande e riporta le flebili inconsistenti risposte di Kabobo. Il quale resta ancorato all’atteggiamento già esibito nell’interrogatorio, assistito dall’avvocato Matteo Parravicini che ha deciso di difenderlo gratuitamente: sembra collocato in un’altra dimensione spazio temporale, il killer, sembra lontano, quasi fosse uno spettatore dell’ultima fila distratto e annoiato. Il funzionario dell’Ambasciata del Ghana che l’ha incontrato a San Vittore, dopo esser arrivato da Roma, ha confidato lo stupore per la provenienza di Kabobo, nel senso che la terra d’origine è famosa nella nazione per l’aria pacifica che vi si respira e per i suoi abitanti, tradizionalmente gente tranquilla. Del resto non sarebbe nel punto di partenza bensì nelle tappe del viaggio fino all’Italia che potrebbero esser iniziati i segni della follia. I campi di prigionia in Libia? Sevizie, persecuzioni, torture? Qualche volontario gli ha regalato delle sigarette, accese oltre le sbarre da una guardia (vietato tenere accendini e fiammiferi in cella) e consegnate al detenuto che fuma con lentezza e impercettibili sbuffi di fumo; non ci sono stringhe sulle scarpe e non c’è la cintura ai pantaloni; una luce al neon illumina la cella di Mada Kabobo, ed è una stanza nuda e spoglia, vuote le pareti, nulla poggiato a terra, tutti gli effetti personali del killer del Niguarda sono stati trattenuti in magazzino all’arrivo, sabato scorso, ma erano comunque poca cosa. Giustizia: AssoTutela; le pene dovrebbero essere riabilitative e non persecutorie… www.romadailynews.it, 19 maggio 2013 “Le pene dovrebbero essere riabilitative e non persecutorie”. Lo dichiara il Presidente di AssoTutela Michel Emi Maritato in una nota. “Il condannato, dopo aver scontato la propria pena deve essere messo in condizione di poter rientrare a far parte della società a pieno titolo perché un uomo che, prima di entrare in carcere per pagare il proprio debito con la giustizia, ha sempre spacciato droga ed esce dal carcere a 40 anni senza sapere cosa fare per cominciare una vita all’insegna della legalità e senza aver imparato nessun lavoro, ma con le stesse conoscenze che aveva prima di essere arrestato, non riuscirà facilmente a non ricadere nello stesso errore. I carcerati dovrebbero lavorare a progetti utili alla società mentre scontano la loro pena. Durante il periodo di reclusione dovrebbero fare “gavetta” in modo da fare del bene per la comunità e per se stessi”. La questione delle carceri è certamente una questione annosa e ostica in merito alla quale Maritato aggiunge: “Se parliamo di tutela dei cittadini, dobbiamo renderci conto che, anche se chi si trova in carcere ha sbagliato, potrebbe cambiare strada se messo nelle giuste condizioni e potrebbe essere molto utile alla comunità, dopo aver pagato il proprio debito. Ovviamente non parliamo di chi reitera il reato, ma di chi ha sbagliato e vorrebbe rimediare al proprio sbaglio, ma non è in grado di farlo se lasciato solo”. AssoTutela, pertanto, organizzerà una petizione con 5.000 firme per richiedere un incontro con i carcerati al fine di instaurare un dialogo basato sull’ascolto delle loro esigenze in modo da trovare soluzioni concrete per la riabilitazione dei cittadini italiani carcerati. “Allo stesso modo - prosegue Maritato - chiediamo che anche i carcerati abbiano la possibilità di votare poiché chi viene eletto fa leggi anche per loro. Riteniamo giusto, quindi, che tutti i cittadini italiani debbano poter esprimere il loro parere in merito all’elezione della classe politica dalla quale vogliono essere rappresentati” e conclude “I carcerati che, invece non hanno cittadinanza italiana devono fare ritorno al loro parere di origine. Le carceri potrebbero essere davvero una scuola di vita e non un luogo in cui rinchiudere tutti coloro risultano scomodi”. Spoleto (Pg): suicida un detenuto 44enne, si è impiccato alle sbarre con i lacci delle scarpe Ristretti Orizzonti, 19 maggio 2013 Si è tolto la vita impiccandosi con dei lacci alle sbarre della finestra del bagno nella cella del carcere di Maiano in cui era detenuto. Mustapha Hajjaji, il cittadino marocchino che nel novembre scorso a Umbertide ha ucciso i due figli di 8 e 12 anni, è stato trovato intorno alle 7 del mattino dagli agenti della polizia penitenziaria in servizio. Sul 44enne pendeva l’accusa di omicidio premeditato. Sul posto sono immediatamente intervenuti i carabinieri del Nucleo operativo della compagnia di Spoleto e il magistrato di turno, la dottoressa Mara Pucci. I rilievi del caso sono proseguiti con scrupolo per l’intera mattinata, anche se nella cella assegnata che Hajjaji da qualche giorno non condivideva con nessuno tutto è risultato perfettamente in ordine. Il pm Pucci, naturalmente, ha già disposto l’autopsia sul corpo dell’uomo. Il 44enne marocchino, seguito da uno psichiatra del penitenziario, era sottoposto a un’attenta e assidua sorveglianza, stando a quanto risulta la cadenza era di circa mezz’ora. Con ogni probabilità, Hajjaji alle prime luci dell’alba ha atteso che l’agente di turno passasse per il controllo. Dopodiché si è alzato dal letto, è entrato in bagno, ha legato i lacci alle sbarre della finestra, ha infilato il cappio e si è tolto la vita. Hajjaji era considerato un soggetto a rischio. Negli istanti immediatamente successivi all’efferato crimine, il marocchino si era ferito alla gola e ai polsi, poi aveva chiamato la moglie annunciando: “La sto facendo finita”. L’immediato intervento dei militari e a ruota dei sanitari avevano salvato l’uomo. Non solo. Nel luglio scorso, quindi prima del brutale omicidio dei due figli, l’uomo finse di impiccarsi. Nel cuore della notte aveva svegliato la moglie, che lo aveva già denunciato per maltrattamenti, ed era salito su una scala, minacciando di togliersi la vita. Sarebbe dovuto comparire davanti alla Corte d’assise di Perugia l’11 luglio prossimo per essere processato Mustapha Hajjaji, il manovale che oggi si è suicidato nel carcere di Spoleto dove era rinchiuso per avere ucciso i due figli. Nei giorni scorsi il gip di Perugia aveva disposto per lui il rito immediato, accogliendo la richiesta della procura. Hajjaji era in cella da solo da cinque giorni dopo il trasferimento del suo compagno. Veniva controllato ogni 15 minuti e alle 6.45 era ancora vivo. Quando la polizia penitenziaria è tornata alle 7 il muratore non ha risposto. A quel punto gli agenti sono entrati trovandolo morto in bagno. Nei giorni scorsi Hajjaji era apparso tranquillo a uno dei suoi difensori, l’avvocato Gianni Zaganelli. Al legale, anche recentemente aveva ribadito di avere agito per gelosia e che il suo primo obiettivo era la ex moglie. Non trovandola in casa - è emerso dall’indagine dei carabinieri - aveva però ucciso i figli. Hajjaji non avrebbe lasciato messaggi. Nella tasca dei pantaloni aveva comunque un foglietto con il numero di telefono della sorella che vive nel nord Italia. Nell’ultimo mese a Maiano altri due tentati suicidi. Stando a quanto risulta, nelle ultime settimane nel carcere spoletino sarebbero due i tentati suicidi. A scongiurare il peggio salvando altrettanti detenuti è stata solo la professionalità degli agenti della penitenziaria, prontamente intervenuti. In entrambi i casi i reclusi hanno tentato di impiccarsi. Nell’episodio più recente, verficatosi una decina di giorni fa, il detenuto è stato trasportato in ospedale dove, durante le 48 ore di ricovero, è stato sottoposto alle cure mediche del caso. Sappe: suicidio detenuto è sconfitta per lo stato “È l’ennesima triste notizia che ci troviamo a commentare, quella della morte di un ristretto”. Lo afferma Donato Capece, segretario generale del Sappe, commentando la morte di un detenuto suicida nel carcere di Spoleto. Il suicidio in carcere ‘è sempre - oltre che una tragedia personale - una sconfitta per lo Stato. Ma la responsabilità di questa morte, così come dei tentati suicidi, delle risse, degli atti di autolesionismo, delle colluttazione, è delle diffuse incapacità ad assumere provvedimenti seri e concreti per deflazionare le sovraffollate carceri italiane. Si tratta - prosegue Capece - della ennesima drammatica morte di una persona ristretta. Nella situazione in cui versa attualmente il pianeta carcere gli eventi critici potranno solo che aumentare in modo esponenziale e l’operato del personale di Polizia Penitenziaria risulterà vano se non si troverà una celere soluzione a tutte quelle criticità legate alla maggior parte degli istituti penitenziari italiani”. “Se la già critica situazione penitenziaria del Paese non si aggrava ulteriormente - prosegue il sindacalista - è proprio grazie alle donne e agli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria, che tra il 2010 ed il 2012 sono intervenuti tempestivamente in carcere salvando la vita a più di 3.000 detenuti che hanno tentato di suicidarsi ed impedendo che gli oltre quattordicimila atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze”. “Certo che quel che non serve per risolvere questa umiliante situazione penitenziaria - prosegue il rappresentante del Sappe - è la delegittimazione del ruolo di sicurezza affidato alla Polizia Penitenziaria, come invece previsto dal Capo Dap Giovanni Tamburino che vorrebbe consegnare le carceri all’autogestione dei detenuti attraverso fantomatici patti di responsabilità”. Una scelta (che il Vice Capo Luigi Pagano cerca addirittura di presentare in giro come una positiva “rivoluzione normale” delle carceri) favoleggia di un regime penitenziario aperto, di sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità favorendo un depotenziamento del ruolo di vigilanza della Polizia Penitenziaria mantenendo però in capo ai Baschi Azzurri il reato penale della colpa del custode (articolo 387 del Codice penale)”. “Di fatto - prosegue la nota del Sappe - da quando è operativa questa disposizione del Dap, abbiamo constatato un aumento di aggressioni, di suicidi, dei tentati suicidi sventati per fortuna sventati dai poliziotti penitenziari, delle evasioni e di quelle tentate, delle risse e degli atti di autolesionismo. Se gli agenti non possono controllare stabilmente le celle - conclude Capece - le responsabilità non possono essere le loro ma di chi quella nota circolare ha firmato, il Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino, e di chi la spaccia per rivoluzione normale delle carceri, il Vice Capo Luigi Pagano, che il ministro Guardasigilli non può ulteriormente lasciare alla guida del Dap”. Roma: detenuto di 46 anni muore al “Pertini”, era malato e in attesa di affidamento Ristretti Orizzonti, 19 maggio 2013 Gino Dolce, 46 anni, detenuto a Rebibbia Nuovo Complesso, Reparto G11, è deceduto all’ospedale “Pertini” giovedì scorso, 16 maggio 2013. Aveva varie patologie, ha avuto una trombosi, una broncopolmonite, è stato in coma. Nel 2008 era stato ricoverato allo “Spallanzani” per 4 mesi e non si riprendeva da una meningite, aveva avuto febbre a 40 per settimane e aveva perso l’uso dell’occhio dx (2008). Lamentava che non gli dessero analgesici per il mal di testa e che le gocce da comprare con la domandina venissero autorizzate sempre tardi. Per un incidente del 2006 gli avevano messo viti nelle ginocchia che avevano provocato una trombosi. Doveva avere anche un intervento alla colonna per separare le vertebre, per gli osteofiti sulle vertebre e un intervento per un lipoma. Per il fegato seguiva una terapia perché per un incidente del 2007 gli avevano tolto la milza. Recentemente persisteva la trombosi alla gamba destra per cui prendeva l’anticoagulante orale. Aveva interrotto la terapia all’occhio, perché gli avevano detto che i farmaci erano a pagamento - l’oculista stesso se ne era poi lamentato per le gravi ed evidenti conseguenze - poi ha saputo che quelle fiale non devono essere a pagamento. È stato in cella con 3 fumatori. Inoltre, in seguito a visita con lo penumologo, si doveva eseguire polisonnografia presso struttura esterna per una probabile sindrome da apnee notturne. Tale visita era stata richiesta da tre mesi fa ma non era ancora stata fissata. Una Camera di consiglio stava valutando l’affidamento presso una casa famiglia o forse era già decisa. Fiorentina Barbieri Sportello di Antigone presso la CC di Rebibbia NC Roma: Garante dei detenuti Lazio; a Rebibbia importanti esperienze arte, cultura e lavoro Ansa, 19 maggio 2013 Una giornata all’insegna delle esperienze maturate, dai detenuti del Reparto di Alta Sicurezza di Rebibbia Nuovo Complesso, nei campi della cultura, dell’istruzione, dell’arte e del lavoro. È stato questo il senso della manifestazione Le virtuose esperienze, organizzata a Rebibbia dal Garante dei detenuti del Lazio con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, l’Università di Roma Tor Vergata, il Centro Studi Teatrali Enrico Maria Salerno e il Circolo Uisp - Sport per tutti. Nella sezione Alta Sicurezza di Rebibbia - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - abbiamo dato vita ad un modello sperimentale che coinvolge a pieno titolo cultura, lavoro, arte ed istruzione nel percorso di recupero sociale dei detenuti. Oggi abbiamo voluto fare un bilancio di questo sforzo ed i risultati sono a dir poco soddisfacenti. In controtendenza con quanto accade al sistema penitenziario nazionale, qui a Rebibbia abbiamo dimostrato quanto sia ancora attuale il dettato dell’art. 27 della Costituzione e che un carcere diverso e migliore è ancora possibile. Per quanto riguarda l’università, durante l’evento sono stati consegnati i libretti universitari per l’anno accademico 2012/2013. Nel settore dell’Istruzione universitaria il Garante ha ideato il progetto S.U.P. (Sistema Universitario Penitenziario), grazie al quale i detenuti che frequentano l’Università sono aumentati, in 8 anni, del 610%. Un importante settore del progetto - la Teledidattica, che consente ai reclusi di seguire i corsi dal carcere - ha assunto rilievo nazionale ed è stato indicato quale best practice da replicare in altre realtà dal Ministero della Giustizia che ha previsto che i reclusi di Alta Sicurezza in tutta Italia possano essere trasferiti a Rebibbia se decidono di iscriversi all’Università. A Rebibbia N.C., l’esperienza della Teledidattica dura da 7 anni. Attualmente sono 24 i detenuti/universitari di cui il 90% entrati in carcere solo con licenza elementare. Sono stati sostenuti 158 esami (media voto di 28/30esimi), 1.500 ore di lezione registrate, 250 ore di tutoraggio e 50 ore di seminari. I docenti universitari coinvolti sono stati 153. Si prevede che 16 studenti /detenuti si laureeranno entro il 2014 in Economia, Giurisprudenza e Lettere. . Il carcere per noi non è solo restrizione o punizione, è stato conoscenza, cultura, arte e, soprattutto, convivenza civile - hanno detto gli studenti durante la consegna dei libretti - Gran parte di noi hanno iniziato questo percorso di studio senza avere nemmeno la media inferiore, oggi ci ritroviamo a racimolare il materiale per preparare la tesi di laurea. Un percorso che ha ordinato le nostre vite, le nostre idee, le nostre prospettive regalandoci la maturità e la consapevolezza di essere uomini diversi e, soprattutto, con prospettive ed interessi totalmente differenti e lontani anni luce dai soggetti senza futuro tratti in arresto anni ed anni orsono. Per quanto riguarda l’attività teatrale, nell’Alta Sicurezza di Rebibbia opera, da 11 anni, la compagnia Liberi Artisti Associati che conta oggi 25 attori. In questi anni di attività, sono state rappresentate nove opere e 25 rappresentazioni teatrali con oltre 30.600 spettatori esterni. La compagnia ha vinto il Premio anima per il teatro 2009 e il Premio anima per il cinema 2012. Da un loro lavoro è nato il film Cesare deve morire, dei fratelli Taviani, vincitore dell’Orso d’Oro al Festival del cinema di Berlino del 2012 e pluripremiato in tutto il mondo. Per quanto riguarda, infine, l’attività del circolo Uisp, questo conta nell’Alta Sicurezza 85 tesserati ed un direttivo di 7 persone che, ogni settimana, si riunisce per decidere le programmazioni delle attività culturali e sportive. Un lavoro, questo, che ha portato in questi anni all’organizzazione di numerosi eventi sportivi con la partecipazione di personalità del mondo della cultura, dello spettacolo e dello sport. Saluzzo (Cn): la Giunta conferma per prossimi 5 anni detenuti in lavoro di pubblica utilità www.targatocn.it, 19 maggio 2013 Convenzione-accordo con il Tribunale cittadino. Potranno essere impegnati anche in Enti o Associazioni del territorio che perseguano finalità di interesse pubblico. La Giunta Comunale di Saluzzo ha aderito alla richiesta avanzata dal Presidente del Tribunale ed ha stipulato con il Palazzo di Giustizia cittadino una convenzione della durata di cinque anni grazie alla quale alcuni detenuti potranno espiare la propria pena eseguendo lavori di pubblica utilità presso il Comune di Saluzzo o Enti dalle finalità a questi strumentali quali la Fondazione Apm - Scuola di Alto Perfezionamento Musicale e la Fondazione Amleto Bertoni, in quanto enti strumentali oppure ancora presso associazioni del territorio che perseguano finalità di interesse pubblico. Con l’atto deliberativo il Comune di Saluzzo consentirà che i soggetti -destinatari del lavoro sostitutivo di pubblica utilità prestino presso di sé la loro attività non retribuita in favore della collettività con preferenza per quelle di carattere sociale e/o culturale ed a condizione che la condanna non risulti inferiore a 160 ore di utilizzo. Prima dell’ammissione al lavoro di pubblica utilità il Comune di Saluzzo svolgerà un colloquio con l’interessato, allo scopo di individuare le mansioni maggiormente adeguate sia in relazione all’interesse pubblico che in relazione alle competenze possedute dal condannato. La prestazione lavorativa del condannato potrà avvenire secondo un orario concordato col medesimo, anche per un tempo superiore alle sei ore settimanali, nei limiti comunque delle otto ore giornaliere. Durante lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, il Comune di Saluzzo si è impegnato ad assicurare il rispetto delle norme e la predisposizione delle misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale dei condannati curando altresì che l’attività prestata sia conforme a quanto previsto dalla convenzione. In nessun caso l’attività potrà svolgersi in modo da impedire l’esercizio dei fondamentali diritti umani o da ledere la dignità della persona né il Comune potrà corrispondere ai condannati una retribuzione, in qualsiasi forma, per l’attività da essi svolta. Attualmente svolgono lavoro di pubblica utilità presso il Comune di Saluzzo due soggetti: uno presso le strutture comunali ed uno presso la Fondazione Scuola di Alto Perfezionamento Musicale. Milano: il carcere di Bollate, luogo di educazione e non solo di reclusione www.legnanonews.com, 19 maggio 2013 Dalle parole di chi ci lavora e vive si può senz’altro dire che il carcere di Bollate è veramente “un luogo di educazione e non solo di reclusione”, proprio come recitava il titolo della serata organizzata dall’associazione culturale La Zuppiera di San Vittore Olona. L’intento dell’incontro, svoltosi nella sala sottostante la chiesetta di San Giovanni, è stato quello di far riflettere, attraverso le parole di educatori, operatori e detenuti del carcere di Bollate ritenuto un “modello” da seguire, sull’esperienza rieducativa all’interno delle carceri italiane. “È la prima volta che organizziamo una serata su questo tema - ha affermato il vice presidente de La Zuppiera Pino Bravin. La società deve conoscere meglio questa realtà di uomini, di rapporti che si stringono e si allontanano, di sofferenze, e della funzione di recupero, parte importante in una società democratica”. L’educatrice Catia Bianchi, che opera nel carcere di Bollate, ha ricordato che nella struttura vi sono 1200 detenuti, il 10% rappresentato da donne. “In carcere ci si finisce - ha dichiarato - per scelte di vita sbagliate oppure a causa di coincidenze negative, c’è chi ruba per fame e questo fenomeno è in aumento per come sta cambiando la società, oppure perché si è illegalmente presenti in Italia. Ci si basa su certezza della pena, sullo scontare la condanna in maniera costruttiva e nel dare responsabilità al detenuto”. Tante le attività svolte nel carcere. Come il “Progetto musica” che, durante la serata, ha visto alcuni suoi componenti eseguire brani dedicandoli al pubblico, presente numeroso in sala. Profonde le testimonianze di alcuni detenuti: “In carcere puoi lavorare, studiare oppure far nulla. Dipende dalla tua volontà di voler trovare l’occasione di poter cambiare. Ci sono carceri sovraffollate e altre meno - un’altra dichiarazione - ma quello che accumuna tutte è la mancanza di... libertà. Il carcere di Bollate ti permette di imparare dalle difficoltà, ti insegna ad ascoltarti e ascoltare gli altri”. Palermo: “Evasivamente”, esposizione pittorica dei detenuti del carcere Pagliarelli Ansa, 19 maggio 2013 Si intitola “Evasivamente” l’esposizione pittorica realizzata da alcuni detenuti del carcere Pagliarelli di Palermo in mostra all’ottava festa del consumo critico di Addiopizzo al Giardino inglese di Palermo. Gli elaborati in mostra sono l’esito del processo creativo dei partecipanti al laboratorio di Art Therapy condotto dai tirocinanti Adriana Falanga, Barbara Arrigo, Gabriele Lazzara, Ylenia Iannizzotto e Manuela Ligotti. La piccola mostra si iscrive nel percorso di bene comune alla base dell’attuale edizione della festa di Addiopizzo. I dipinti sono esposti per gentile concessione del carcere Pagliarelli e la loro esposizione alla festa è stata pensata per favorire i percorsi di inclusione sociale dei detenuti. Sulmona (Aq): “Vivere e morire di carcere”, convegno criminologia organizzato dall’Ipa www.rete5.tv, 19 maggio 2013 L’esecutivo locale di Sulmona dell’International Police Association (Ipa), con il patrocinio della comunità montana sirentina, del comune e della pro loco di Molina Aterno, delle università di Urbino e di Chieti, con il consiglio dell’ordine degli avvocati di Sulmona, della fondazione “Istituto per lo studio del diritto dell’esecuzione penale e del diritto penitenziario” onlus, organizza, giovedì 13 giugno dalle ore 15, presso la Sala polivalente della casa di reclusione di Sulmona il IV Convegno di Criminologia, “Vivere e morire di carcere”. Il convegno si svolgerà in occasione della decimo anno dalla scomparsa della direttrice Armida Miserere e fa seguito a numerosi comunicati stampa legati agli aspetti sia positivi che negativi caratterizzanti il carcere. La cornice scelta è proprio il carcere conosciuto per “i suoi ingiusti e pregiudizievoli connotati negativi ma di fatto, così com’è sottolineato da tutti i politici che hanno avuto modo di visitarlo, ivi compreso l’allora ministro della giustizia Roberto Castelli, è stato ritenuto uno dei migliori d’Italia”, segnala Mauto Nardelli dell’Ipa. Nella discussione saranno infatti affrontati sia il disagio lavorativo di tutti gli operatori del carcere sia i tanti aspetti positivi che emergono, per esempio l’indotto realizzato dal carcere. L’accreditamento dovrà essere fatto, entro e non oltre, il 25 maggio 2013, scrivendo a mauronardella@virgilio.it o telefonando al 3389391466. I lavori inizieranno con i saluti del presidente D.R. Abruzzo Pellegrino Gaeta per poi proseguire con l’introduzione di Mauro Nardella, presidente dell’Ipa Sulmona. Interverranno Massimo Di Rienzo, direttore casa reclusione Sulmona; Valentina Pierfelice, avvocato penalista, cultore Università G. D’Annunzio di Pescara e docente Ministero della Giustizia; Mario Fulcheri, titolare cattedra di Psicologia clinica Università di Chieti; Rocco Primavera, Criminologo-Università di Urbino; Pierluigi Rizzo, Comandante casa Reclusione di Sulmona; Effati Homayoun, Medico Specialista medicina del lavoro; Tony Silveri, Cardiologo. A concludere Nicola Trifuoggi, già Procuratore Capo Tribunale e Bruna Brunetti, Provveditore Regionale Amministrazione Penitenziaria Abruzzo/Molise. A moderare è stato chiamato il giornalista Giuseppe Fuggetta. Comitato Scientifico Organizzativo: Nardella Mauro, Sanelli Nicola, Cinzia Simonetti, Biondi Gionni, Americo Michele, Rosso Mario, Cristina Martinelli. Accreditamento entro e non oltre il 24 Maggio 2013 inviando e-mail a nardellamauro@virgilio.it o telefonando al 3389391466. Vicenza: detenuti ma liberi nello sport con Csi, oggi in carcere meeting di atletica leggera Giornale di Vicenza, 19 maggio 2013 Torna puntualmente oggi il meeting di atletica leggera che si disputa all’interno della Casa circondariale di Vicenza. La manifestazione, articolata su un triathlon di specialità ossia il getto del peso con attrezzo di 5 chilogrammi, la velocità sugli 80 metri e quella di mezzofondo sugli 800 piani. Teatro della sfida il campo di calcio del carcere nel quale verranno approntate le corsie per la gara di velocità quindi la pedana per il getto del peso e disegnato l’anello per la gara di mezzofondo. Gli atleti sono i detenuti della casa circondariale e gli studenti dell’Itis Lampertico di Vicenza. L’organizzazione del meeting è del Gs Vicenza Est in collaborazione con il Centro Sportivo Italiano di Vicenza, i cui volontari varcheranno la soglia del carcere il mattino per preparare il campo di gara. Alle 15, nell’ora di aria a disposizione dei detenuti, verranno disputate le gare. Gli organizzatori del Vicenza Est avevano già fatto gareggiare alcuni reclusi in regime di semilibertà nel Meeting della Stanga ed il passo successivo di portare una manifestazione sportiva di atletica in carcere è stato quasi un passo obbligato. Saranno gare ufficiali alla presenza di una task force del Csi guidata da Pietro Antonio Pellizzaro con i giudici di atletica Claudio Bordin, Antonio Dal Santo, Mario Lovato e Pierfranco Viel. Si tratta di una giornata di dialogo e apertura verso l’esterno in un momento di grande difficoltà dell’apparato carcerario che riguarda anche il San Pio X, con circa 340 reclusi a fronte di una capienza di 150 posti. Ai giudici di gara del Centro Sportivo Italiano, alla direzione del carcere vicentino ed agli agenti di polizia penitenziaria va il grazie anticipato degli organizzatori per la disponibilità manifestata nel supportare la manifestazione, divenuta ormai una classica nella programmazione sportiva della casa circondariale. Messina: Sinappe; detenuto romeno tenta la fuga dal carcere, ma viene bloccato nel cortile Ansa, 19 maggio 2013 Grave episodio nella struttura di Gazzi. Lo straniero ferisce lievemente un agente. Allarme del Sinappe: organico sottodimensionato e rischio sicurezza. Un romeno ha tentato di evadere dalla casa circondariale di Gazzi. Il grave episodio risale a venerdì scorso: il cittadino straniero ha cercato di approfittare dell’apertura di una porta per svignarsela. Ha colpito un agente della polizia penitenziaria, ha varcato la soglia e si è diretto nel cortile. Stava per avvicinarsi al muro di cinta, quando è stato fermato da alcuni poliziotti. A denunciare l’episodio è il Sinappe: il sindacato continua a ribadire che la pianta organica dell’istituto carcerario è ridotta all’osso. Parma: teatro in carcere, in via Burla l’esito del laboratorio con i detenuti paraplegici www.parmatoday.it, 19 maggio 2013 Il laboratorio è finanziato dal Comune di Parma, quello dei burattini da Provincia e Ausl di Parma. L’assessore Laura Rossi: “I laboratori sono uno strumento volto a migliorare le condizioni di vita dei carcerati”. Dopo il settimo anno di esperienza teatrale con un gruppo di detenuti della sezione paraplegici degli Istituti Penitenziari di Parma, Europa Teatri ha presentato oggi l’esito del progetto di laboratorio teatrale 2012/2013, nel teatro degli istituti penitenziari di via Burla che, quest’anno, si è unito al laboratorio dei burattini portato avanti dalla cooperativa sociale “Le Mani Parlanti”. Il laboratorio di teatro è finanziato dal Comune di Parma, quello dei burattini da Provincia e Ausl di Parma. Il carcere di Parma ospita de detenuti paraplegici, da qui l’idea di realizzare uno spettacolo anche con il loro coinvolgimento. Ed è stato un successo. Allo spettacolo, esito dei due laboratori, erano presenti l’assessore al welfare del Comune Laura Rossi, l’assessore ai servizi sociali della Provincia Marcella Saccani e Paolo Volta di Ausl Parma. Il direttore aggiunto del carcere Lucia Monastero ha introdotto i presenti al significato di questa iniziativa, alla presenza del comandante della polizia penitenziaria Augusto Zaccariello. “L’attività laboratoriale - ha spiegato Lucia Monastero - si affianca a diverse attività proposte ai carcerati finalizzate al loro recupero ed alla socializzazione, in alcuni casi all’immissione nel mercato del lavoro. Nel caso dei laboratori di teatro e dei burattini risulta prevalente la funzione legata alla gestione degli aspetti emozionali”. La messa in scena dello spettacolo ha rappresentato un momento di festa per tutti i detenuti. Un modo per guardare al quotidiano con speranza. “I laboratori - ha spiegato l’assessore al welfare del Comune Laura Rossi - sono uno strumento volto a migliorare le condizioni di vita dei carcerati, nell’ambito di una collaborazione con gli istituti penitenziari che si è ampliata negli anni tramite azioni volte a dare nuove prospettive ai carcerati stessi”. “Il colpo” è il titolo dello spettacolo messo in scena. Un momento significativo per i partecipanti al laboratorio che hanno visto così concretizzarsi il loro impegno in un percorso di formazione che ha valenza non solo sociale ma anche di crescita personale. “Lo spettacolo - ha precisato l’assessore ai servizi sociali della Provincia Marcella Saccani - è un’opportunità per chi vive in carcere, pezzi di luce nel difficile cammino della riabilitazione e del recupero in vista di un reinserimento nella società”. Entrambi i laboratori hanno visto il coinvolgimento di diversi soggetti: a partire dallo stesso Istituto Penitenziario, Comune di Parma, Provincia di Parma, Ausl di Parma, Europa Teatri, Cooperativa sociale “Le Mani Parlanti”. Il laboratorio teatrale è stato condotto da Carlo Ferrari e Franca Tragni, mentre il laboratorio dei burattini è stato condotto da Corrado Vecchi e Veronica Pastorino. Il titolo dello spettacolo messo in scena è: “Il colpo” con David, Luigi, Massimo, Nazareno, Roberto, Junis, Carlo e Franca. Drammaturgia e regia Carlo Ferrari e Franca Tragni. L’attività svolta rientra nella più ampia progettualità finalizzata al miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti fornendo loro l’opportunità di esprimersi e vivere alcuni momenti di socializzazione. Vigevano: “Educarsi alla libertà”… reintegrarsi con il teatro, i detenuti vanno in scena La Provincia Pavese, 19 maggio 2013 Il teatro per reintegrarsi con la società: è lo scopo di “Educarsi alla libertà”, progetto promosso dalla Fondazione Enaip Lombardia, in collaborazione con la casa circondariale di Vigevano e la Provincia di Pavia, patrocinata dal Comune. “L’iniziativa ha una doppia valenza - dice Davide Pisapia, direttore del carcere dei Piccolini. Serve ai detenuti per creare un canale di comunicazione con il mondo esterno e fa ricordare alla città che il carcere è un suo servizio, così come lo sono l’ospedale e il Comune”. Il reinserimento sociale è iniziata circa due anni fa con il primo laboratorio di sperimentazione teatrale. “La sperimentazione - prosegue Giuseppe Vullo dell’Enaip - ha coinvolto le case circondariali di Vigevano ed Opera”. Lo spettacolo “Terra e Acqua” verrà inscenato nella chiesa di S. Pietro il 29 maggio (info: 340.6732451): “Chi non conosce il carcere - dice il regista Mimmo Sorrentino - potrà comprendere l’atmosfera e il significato dello scorrere del tempo dentro queste mura”. Cinema: a Cannes 2013 film dedicato a Salvatore Striano, da ex detenuto ad attore www.dazebaonews.it, 19 maggio 2013 Giovanna Taviani racconta in un film il riscatto di Salvatore Striano Dall’inferno dei quartieri spagnoli di Napoli alla Toscana dei Fratelli Taviani. Il film sarà proiettato a Roma il 4 giugno (h. 20.30 - Casa del Jazz, Viale di Porta Ardeatina, 55) in un evento patrocinato da “Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie. Il riscatto è dedicato all’ex detenuto Salvatore Striano, protagonista di Cesare deve morire, camorrista in Gomorra e nella fiction “Il clan dei camorristi” (canale 5), adesso un uomo nuovo, impegnato a fondo con il cinema e con il teatro, e in giro per il mondo a portare il suo nuovo messaggio di libertà. La sua storia diventa un processo di “redenzione”, da Napoli a San Miniato, paese di origine dei fratelli Taviani, che qui girarono la Notte di San Lorenzo, in memoria di un’esperienza autobiografica realmente vissuta in queste valli. Il punto di partenza è una cella storica del carcere di Arezzo da cui, di volta in volta, il protagonista “evade” con l’immaginazione per ritrovarsi nella Toscana di Dante e nelle verdi colline di San Miniato. Da una vita bruciata a Omero, Shakespeare, Dante: come la cultura può salvarti la vita. San Miniato non è soltanto il contesto del film, è presente anche con la sua storia recente e passata, con le sue case, le sue piazze, la sua gente. Tra i protagonisti troviamo Lisandro Nacci e Enzo Cintelli, nella parte di se stessi, in quella cioè di due sanminiatesi che raccontano e fanno rivivere a Sasà Striano le vicende storiche di San Miniato, da Pier Delle Vigne, imprigionato dentro la Torre di San Miniato, all’Eccidio del Duomo narrato nella Notte di San Lorenzo, alla storia di Giuseppe Gori, il “piccolo Gramsci” di Cigoli, ricordato durante un incontro a Villa Sonnino dal Comitato a lui intitolato. Francia: l’On. Albano (Pd) presenta interrogazione su morte in carcere di Claudio Faraldi Ansa, 19 maggio 2013 “Mi sembra un atto doveroso, specialmente alla luce del fatto che non si tratta della prima morte “sospetta” di un italiano detenuto nella stessa casa circondariale. La Senatrice Donatella Albano (Pd), ha presentato insieme alla Senatrice Manuela Granaiola, anche lei del Pd, un’interrogazione a risposta immediata al Ministro degli Esteri, Emma Bonino, affinché il Ministero si attivi presso le Autorità francesi per fare chiarezza sulle circostanze e sulle cause della morte del giovane ventimigliese Claudio Faraldi, avvenuta l’8 maggio nel carcere di Grasse, dove era detenuto. “Mi sembra un atto doveroso, specialmente alla luce del fatto che non si tratta della prima morte “sospetta” di un italiano detenuto nella stessa casa circondariale” afferma la Senatrice, “penso al caso di Daniele Franceschi, di Viareggio, il cui corpo fu mostrato ai familiari avvolto in un telo, senza dare la possibilità di vedere se effettivamente ci fossero segni di violenza. Segni che il padre di Claudio Faraldi non ha visto, ma l’esame autoptico previsto per ieri dovrà chiarire definitivamente le cause dell’arresto cardiaco del giovane Faraldi”. Tragedia nel carcere francese, il caso in Parlamento (La Repubblica) “Ieri c’è stata l’autopsia ma avrò delle informazioni sui risultati solo nei prossimi giorni. Spero che non ci siano misteri così da poter seppellire in pace mio figlio”. Così ieri pomeriggio Giancarlo Faraldi, il padre di Claudio, il giovane di Ventimiglia morto in circostanze ancora non chiare la settimana scorsa nel carcere di Grasse in Costa Azzurra. Dopo aver ottenuto dalle autorità francesi la possibilità di vedere la salma del figlio nell’ospedale Pasteur di Nizza nel reparto di medicina legale, l’uomo aveva spiegato ai giornalisti di non aver notato segni evidenti di violenze. Solo i risultati dell’autopsia, e le analisi tossicologiche, potranno però chiarire le circostanza di un decesso comunicato ai famigliari con un a lettera che parlava di un generico “arresto cardiaco”. Faraldi padre aveva spiegato che il figlio, un tempo tossicodipendente da tempo non faceva più uso di droghe e che era di costituzione robusta. “Non credo ad un malore improvviso ma non voglio lanciare accuse. Se gli esami diranno che è morto per cause naturali chiederò scusa alla Francia” aveva detto a caldo. Claudio Faraldi era stato condannato a cinque anni per uno scippo e si trovava a Grasse da circa sei mesi. Nello stesso istituto, nel 2010, era morto un altro detenuto italiano, Daniele Franceschi di Viareggio, vicenda per la quale è in corso un processo a carico di tre sanitari del carcere accusati di reati colposi per negligenze professionali. “Oggi - ha detto Giancarlo Faraldi - mi ha chiamato la mamma di Daniele e mi ha chiesto di andare avanti, di avere la forza di non mollare. Ho apprezzato molto le sue parole, sono solidale con lei e spero che riesca a ottenere al più presto giustizia”. Sulla vicenda di Claudio Faraldi la senatrice del Pd Donatella Albano, ha presentato insieme alla collega di partito Manuela Granaiola, un’interrogazione al Ministro degli Esteri, Emma Bonino, affinché il Ministero si attivi presso le Autorità francesi per fare chiarezza sulle circostanze della morte del giovane. “Mi sembra un atto doveroso - ha detto Albano - specialmente alla luce del fatto che non si tratta della prima morte “sospetta” di un italiano detenuto nella stessa casa circondariale”. Stati Uniti: detenuti di Guantánamo in sciopero della fame da 100 giorni Ansa, 19 maggio 2013 Hanno superato il 100mo giorno di sciopero della fame i prigionieri rinchiusi senza processo e in alcuni casi senza accuse nel carcere di Guantánamo, che l’Onu e tutte le organizzazioni per i diritti umani chiedono agli Usa di chiudere. La protesta riguarda 102 detenuti su 166. Trenta di loro vengono nutriti a forza con delle sonde, metodo classificato dalle Nazioni unite come “tortura”. Venerdì attivisti vestiti di arancione, come le tute dei prigionieri, hanno manifestato davanti alla Casa Bianca e consegnato una petizione con 370 mila firme per la chiusura immediata del carcere. Zimbabwe: insulta presidente Mugabe, docente universitario condannato 3 mesi di carcere Tm News, 19 maggio 2013 Un docente universitario è stato arrestato e condannato ieri a tre mesi di carcere in Zimbabwe per aver offeso il capo di Stato Robert Mugabe, definendolo un “vecchio asino corrotto”. Lo hanno detto oggi i suoi avvocati. Secondo l’accusa, Chenjerai Pamhiri, 38 anni, docente alla Great Zimbabwe State University a Masvingo City, ha insultato Mugabe mentre faceva shopping in un supermercato locale, invitando anche non votarlo nelle elezioni che dovrebbero svolgersi entro l’anno. La polizia lo ha arrestato mentre usciva dal supermercato. “Abbiamo ricevuto la notizia choc della condanna di Pamhiri e ci siamo subito mossi per assisterlo”, ha detto all’Afp Kumbirai Mafunda, portavoce degli avvocati dello Zimbabwe che lottano per i diritti umani. “I nostri avvocati faranno appello contro la sentenza e presenteranno una richiesta di scarcerazione dietro cauzione”, ha aggiunto.