Giustizia: sulle carceri non servono nuovi studi, ma decisioni davvero coraggiose di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 16 maggio 2013 Ma cos’altro dovrebbe far conoscere “l’indagine conoscitiva sull’emergenza carceraria” appena ideata dalla Commissione giustizia del Senato presieduta da Nitto Palma? Già si sa tutto, e da molto tempo. Ci sono i dati ministeriali dell’incivile sovraffollamento di 21.000 persone più della capienza teorica, peraltro gonfiata dal conteggio di molti posti in realtà indisponibili. Le condanne dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per le detenzioni di persone in meno di 3 mq a testa sono talmente note che il governo Monti, con scelta infelice, invece di mettersi in regola entro fine anno come preteso dà Strasburgo, le ha impugnate per congelare l’ultimatum. Vetustà dell’edilizia carceraria, riduzioni di organico nella polizia penitenziaria, sanità negata di fatto in molte celle, stanno tutte nell’informazione di qualità resa da associazioni come Antigone, agenzie come Ristretti Orizzonti, programmi come Radio Carcere. Proposte di legge (anche dell’ex ministro Severino) sono arrivate a un passo dall’approvazione nell’ultima legislatura; e pochi mesi fa la Commissione di studio mista tra Csm e ministero ha addirittura prodotto un articolato normativo per disboscare quelle leggi che producono non “più sicurezza” ma solo “più carcere”. Eppure la politica, che ipocrita suole inchinarsi al capo dello Stato ma da due anni disattende “la prepotente urgenza” additata da Napolitano nel 2011, ora s’inventa l’ennesima “indagine conoscitiva” solo perché non ha la capacità e il coraggio di scegliere tra le ben note opzioni in campo. Chi propende per il successo rieducativo delle misure alternative al carcere non se la sente di spiegarlo all’opinione pubblica. Chi vuole solo costruire più carceri non sa dire dove trovare i soldi. Chi condivide la proposta radicale di un provvedimento di clemenza ha paura che al treno dell’indulto o dell’amnistia, per i detenuti, qualcuno in Parlamento agganci il vagoncino dell’impunità invece per gli indagati eccellenti. E chi vuole abolire norme schizofreniche si scontra con chi sul mercato della paura ha costruito le proprie fortune politiche. Solo che perdere ancora tempo con “indagini conoscitive” può essere un lusso accettabile alla buvette del Senato, meno sui letti a tre piani di celle dove uno deve restare sdraiato, faccia al soffitto, per consentire agli altri almeno di alzarsi. Giustizia: Zanda (Pd); riformiamo il sistema, poi possiamo ragionare di amnistia e indulto di Arturo Celletti Avvenire, 16 maggio 2013 Il governo Letta-Alfano nasce per strappare il Paese da una situazione di pericolo mortale; per salvare l’Italia da una drammatica emergenza occupazionale, economica, sociale. Fare un governo ed evitare di tornare al voto con questa legge elettorale non era una scelta; era un dovere, direi un obbligo, ma...”. Luigi Zanda riflette una manciata di secondi e riparte da quel ma. “...Ma per andare avanti (e dobbiamo andare avanti) serve rispetto, serve pesare scelte e parole”. Siamo al primo piano di Palazzo Madama. L’ufficio del presidente dei senatori del Pd è una sola grande stanza: c’è una scrivania, ci sono un divanetto e tre poltroncine di stoffa chiara, c’è una grande cartina geografica del mondo che copre l’intera parete. Due foto ci guardano: una è quella di Luigi Berlinguer, l’altra quella di Aldo Moro. Al loro fianco c’è un manoscritto di Luigi Sturzo sui difetti dei parlamentari. Parliamo con Zanda per cinquanta minuti. Il capogruppo è duro, i suoi giudizi sono netti. Zanda chiede a Formigoni di lasciare la presidenza della commissione Agricoltura del Senato, rilancia il tema dell’ineleggibilità di Berlusconi, non condivide affatto la scelta dei ministri del Pdl di essere partiti per Brescia per manifestare contro la magistratura. Ascoltiamo in silenzio, poi lo sfidiamo: presidente questo governo si regge su equilibri fragili... Zanda ci ferma: “La lealtà, anzi la profonda lealtà del Pd al governo e a questa strana coalizione è fuori discussione. Ma abbiamo anche un’altra ambizione: conservare il nostro profilo politico, difendere le nostre idee, rimanere quello che siamo. Abbiamo votato la fiducia al governo con il Pdl e con Scelta Civica, ma noi restiamo il Partito democratico e chiediamo rispetto per la nostra identità. Solo così riusciremo a vincere la sfida. A strappare il Paese da una drammatica crisi economica, ad aggiornare la Costituzione, a garantire una profonda, vera, seria riforma della Giustizia. Abbiamo un’occasione: riformiamo il sistema e poi, a fine percorso, potremo discutere sul serio anche di amnistia e di indulto. Sono temi profondi e sarebbe ingiusto banalizzarli e creare false aspettative, ma dentro una grande riforma sono temi che meritano una riflessione supplementare”. Nelle ultime ore la tensione sembra salire e sulle intercettazioni sembra aprirsi un nuovo fronte… Voglio essere chiaro. Uno: le intercettazioni sono uno strumento essenziale per le indagini e vanno certamente mantenute. Due: una modifica della legge che oggi le regolamenta non fa parte del programma di governo. Detto questo, quel che va vietato e sanzionato severamente è la loro diffusione impropria. Ma non basta. Quelle che non hanno attinenza con il procedimento o che riguardano fatti personali degli indagati vanno distrutte. E un secondo motivo di scontro dopo Brescia... I membri del governo non devono scendere in piazza contro la magistratura dimenticandosi della divisione di poteri. Ma anche la magistratura deve avviare una riflessione profonda. È capitato che qualcuno abbia rinunciato a parlare con i provvedimenti giudiziari e abbia fatto inopportune dichiarazioni pubbliche. Si cambi, si ritrovi quel riserbo che spesso manca. Basta questo? No, non basta. Ci sono state inchieste che la magistratura avrebbe dovuto condurre con maggiore prudenza. L’arresto di Ottaviano Del Turco ha cambiato ingiustamente le vicende politiche in Abruzzo. E questo non doveva succedere. Come se ne esce? Cambiando la giustizia. C’è il capitolo dei processi civili: la loro lentezza uccide l’economia nazionale. E c’è il tema delle carceri: sono diventate l’università del crimine, e così generano criminalità. È così: l’affollamento disumano non garantisce un recupero, ha un effetto contrario; chi entra in carcere anche con pene lievi ne esce troppo spesso trasformato in peggio. E allora? Allora servono proposte. Nuove carceri, depenalizzazione di alcuni reati. Amnistia e indulto? Hanno un senso solo se sono legate a misure strutturali. Perché ogni volta che sono state concesse senza riformare il sistema delle pene e senza intervenire sul processo, chi è uscito dal carcere c’è troppo spesso tornato. Ma mi faccia andare oltre: c’è un grande nodo politica-giustizia e in gran parte la soluzione è in mano alla politica. Si spieghi… Dobbiamo chiedere alla politica, come primo requisito, di non violare la legge. Qui c’è la radice del problema. Dobbiamo insistere sulla necessità che la politica abbia comportamenti esemplari. E il nodo non si risolve mettendo il bavaglio alla magistratura. Si risolve pretendendo scelte e passi... Sta pensando a qualcosa di preciso? Sto pensando a Roberto Formigoni. È stato eletto presidente della Commissione Ambiente del Senato anche con il nostro voto. Rientrava nell’accordo di governo e l’abbiamo rispettato, nonostante fosse oggetto di un’indagine dettagliata e carica di risvolti. Poche ore dopo essere stato eletto è arrivata però una richiesta di rinvio a giudizio con due imputazioni gravi: associazione a delinquere e corruzione. Beh, penso che Formigoni dovrebbe prenderne atto e, responsabilmente, rinunciare alla presidenza della Commissione. Lo dovrebbe fare a propria tutela, ma anche a tutela del Parlamento. C’è un altro tema: l’ineleggibilità di Berlusconi… Secondo la legge italiana Silvio Berlusconi, in quanto concessionario, non è eleggibile. È ridicolo che l’ineleggibilità colpisca Confalonieri e non lui. Poi se vuole una valutazione politica allora sta facendo la domanda alla persona sbagliata: io sono un avversario politico di Berlusconi. Si parla di pacificazione, l’idea di nominarlo senatore a vita... I senatori a vita li sceglie il capo dello Stato, ma non vada avanti: in sessantasette anni di Repubblica non è mai stato nominato nessun senatore a vita che abbia condotto la propria vita come l’ha condotta Berlusconi. Non credo che debba aggiungere altro. La requisitoria di Ilda Boccassini e quella richiesta di interdizione perpetua ha lasciato in molti qualche dubbio. Lei che pensa? Tortora si è dimesso da parlamentare europeo per accettare il processo; Andreotti è stato presente a tutte le udienze... Berlusconi, invece, ha scelto di usare (e io direi in maniera spesso inopportuna) il legittimo impedimento. Io preferisco, senza nessun tentennamento, il comportamento dei primi due. Parliamo di Brescia... A inizio intervista parlavo di esigenza di rispetto tra Pd e Pdl. La scelta di Alfano, Lupi e Quagliariello di manifestare contro la magistratura nega questa esigenza. Non metto nulla in discussione, ma l’onestà politica deve farci descrivere in modo sincero quello che vediamo: i ministri del Pdl stavano mettendo in pericolo l’esecutivo. Vede, la prudenza usata da Letta nella composizione della squadra di governo, dove non è entrato nessun ex ministro proprio per garantire il minor attrito possibile, veniva messo a rischio da una mossa politica molto sgraziata... In quelle ore ha pensato ad altro? Ho pensato anche a quanto sia invasiva nei confronti della dirigenza del Pdl la leadership di Silvio Berlusconi. Crede che con un ruolo diverso del Cavaliere la riforma della giustizia sarebbe più facile? Le rispondo politicamente: Berlusconi ha la responsabilità della qualità delle scelte del Parlamento. Non faccia pesare i suoi problemi personali sulle decisioni di Camera e Senato. Pensi al Paese. Si parla di riforme e anche il Pd comincia a ragionare di presidenzialismo... Il presidenzialismo è perfettamente compatibile con la democrazia e non ho pregiudiziali. Ma l’elevato tasso di populismo che vedo nel Paese mi obbliga a un di più di freddezza. Giustizia: Cancellieri; stiamo costruendo un progetto per l'emergenza carceraria... Italpress, 16 maggio 2013 "Stiamo costruendo un progetto per l'emergenza carceraria, un progetto variegato su diversi sistemi. Parlerò in Parlamento nell'audizione che farò la prossima settimana. Lo stiamo mettendo a punto, l'unica cosa che so con certezza è che ci sara un forte impegno, determinato e molto sentito". Queste le parole del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, intervenuta oggi a Rebibbia alle prove aperte dello spettacolo teatrale “Giulio Cesare a Rebibbia”, interpretato dai detenuti-attori della Sezione G12 del carcere romano. Prima dello spettacolo il neo ministro ha commentato l’appello di oggi del Csm per porre fine all’attacco ai magistrati da parte della politica. “Sono temi dei quali parlerò nel presentare il programma di governo - ha aggiunto. Sono una persona molto serena, vorrei che la serenità fosse la base di tutti i nostri rapporti”. “No comment” sulla manifestazione dei giorni scorsi del Pdl contro la magistratura, la Cancellieri ha poi risposto a una domanda sull’emergenza carceraria. “Stiamo costruendo un progetto per l’emergenza carceraria - ha affermato - un progetto variegato su diversi sistemi. Parlerò in parlamento dell’audizione che farò la prossima settimana, lo stiamo mettendo a punto, l’unica cosa che so con certezza è che ci sarà un forte impegno, determinato e molto sentito”. Sull’eventuale utilizzo in futuro del braccialetto elettronico il Ministro Cancellieri ha poi detto: “Se n’è parlato per un problema legato in particolare allo stalking, ma è un tema sul quale dovremmo tornare anche per definire dopo 10 anni che questo braccialetto esiste se vale o meno la pena di mantenerlo in vita. È stato pagato, ma non le cifre che dicono, vorrei che fosse chiaro. La piattaforma informatica comunque viene regolarmente pagata ed è sottoutilizzata. Bisogna capire, e possono dircelo solo gli operatori, se vale la pena tenerlo e se si può farne a meno. Io mi rimetto a chi questo mestiere lo fa perché noi non abbiamo certo la competenza, anche per definire una vicenda che si trascina da anni. È una cosa che dicevo anche da Ministro degli Interni - ha sottolineato. Ora dall’altra parte dico: facciamo la sperimentazione, vediamo a che punto siamo e definiamo una volta per tutte, anche perché sul tema girano molte leggende, la prima, ripeto, quella sui costi”. Il Ministro ha poi assistito allo spettacolo diretto da Fabio Cavalli, progetto che ha portato alla realizzazione di “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani, il film più premiato del 2012. Giustizia, vendetta, lealtà, congiura, libertà, tradimento: questi i temi del Giulio Cesare shakespeariano che il regista e i suoi venticinque attori/detenuti hanno restituito al pubblico attraverso una versione dialettale insieme popolare e colta. “Il teatro - ha detto il ministro Cancellieri, come tutte le forme culturali e associative è uno strumento importante per dare una valenza alla vita del detenuto. Credo sia una strada da percorrere con molta forza”. Giustizia: la petizione di "Bambinisenzasbarre" raccoglie 11mila firme in meno di 48 ore di Sabrina Vincenzo www.clandestinoweb.com, 16 maggio 2013 In poco meno di 48 ore ottimo successo per la campagna lanciata dall’associazione Bambinisenzasbarre, su Change.org: la petizione “Non un mio crimine ma una mia condanna” ha infatti già raccolto più di 11.000 adesioni. Si tratta di un segnale forte per richiamare l’attenzione del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e del ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, che vogliono così sollecitare “le massime Istituzioni e della società civile sul bisogno che il bambino nelle sue occasioni speciali – il primo giorno di scuola, la recita di fine d’anno, la Comunione e le diverse cerimonie religiose – possa condividerle, anche se per poche ore, con il proprio papà o la propria mamma nonostante la loro detenzione”. Lia Sacerdote, presidente dell’associazione Bambinisenzasbarre, ha spiegato che “Sulla scia della campagna di raccolta fondi "Non un mio crimine, ma una mia condanna" di queste ultime due settimane e del flusso delle emozioni suscitate da questa iniziativa e’ derivata la petizione lanciata in questi giorni con gli amici di Change.org. Forse molto simbolica e un po’ visionaria, ma che nasce dall’esigenza di far conoscere ad un numero maggiore di persone la questione dei bambini figli di genitori detenuti e le sue ripercussioni in termini psicologici e, più in generale, sociali. Una situazione spesso dimenticata, poco conosciuta o non compresa. Le oltre 11.000 firme, fin qui raggiunte, ci indicano però che il diritto del bambino, a qualunque situazione etnica, religiosa o di classe questo appartenga, è riconducibile ad un unico concetto universale ed è centrale nella coscienza sociale di molti”. Sono 100.000 in Italia i bambini figli di genitori detenuti che ogni anno entrano nelle 213 carceri italiane per dare continuità al legame affettivo con il proprio papà o la propria mamma detenuti. La petizione lanciata dall’associazione intende proprio sollecitare le istituzioni e la società civile sul bisogno che il bambino ha nelle sue occasioni speciali, come il primo giorno di scuola o la recita di fine d’anno, di condivisione con i genitori nonostante la loro detenzione. Lettere: quando la legge si inchina alla ragione di stato… di Sergio Romano Corriere della Sera, 16 maggio 2013 In diversi casi si è venuti a conoscenza di detenuti rilasciati per decisione del loro governo. L’ultimo caso, in ordine di tempo, riguarda i due marò per i quali si chiede un provvedimento del governo indiano. Mi tornano alla mente anche ordini esecutivi del presidente americano per alcuni prigionieri di Guantánamo. Casi nei quali la decisione di rilascio non è della magistratura, ma del governo. Mi chiedo come sia possibile e quali azioni siano necessarie perché un governo decida su fattispecie che esulano dalle competenze del potere esecutivo appartenendo all’autonomia di quello giudiziario e soltanto da questo possono essere definite. Vuole chiarire questo dubbio? Federico Argentieri Risponde Sergio Romano Caro Argentieri, Non credo che vi sia uno Stato, nella società internazionale, che non riservi a se stesso il potere di graziare, amnistiare o espellere prima del giudizio una persona quando il provvedimento viene ritenuto utile alla sicurezza nazionale. All’epoca del rapimento di Aldo Moro vi furono proposte di leader politici e dello stesso presidente della Repubblica (era Sandro Pertini) per uno “scambio di prigionieri”. In una recensione di Giovanni Bianconi al libro di David Sassoli e Saverio Garofani sulle riunioni del Consiglio dei ministri durante quelle drammatiche giornate (Corriere del 3 maggio), vi sono a questo proposito notizie interessanti. Giulio Andreotti, allora presidente del Consiglio, disse che erano state prese in considerazione “proposte di scambi in altri Paesi (Cile)”, mentre il ministro della giustizia Francesco Paolo Bonifacio suggerì un’amnistia “per alleggerire la tensione nelle carceri, terreno di battaglia dei brigatisti”. Se queste proposte non ebbero corso, la ragione fu politica, non giuridica. Il governo e il gruppo dirigente della Democrazia cristiana temettero che ogni proposta conciliante avrebbe fatto delle Brigate Rosse un interlocutore politico e rafforzato la loro posizione agli occhi del Paese. Ma in altre circostanze non avrebbero esitato a proporre e a realizzare uno scambio. Più tardi, nel 1998, quando la Gran Bretagna di Tony Blair chiuse il sanguinoso capitolo irlandese con gli accordi del Venerdì Santo, il governo di Londra liberò i terroristi dell’Ira (Irish Republican Army) che stavano scontando lunghe pene nelle carceri del Regno Unito. Più recentemente abbiamo appreso che Abdullah Ocalan, leader del Partito comunista curdo, stava tirando le fila, dalla cella di una prigione turca, dell’intesa con il governo di Ankara per la soluzione della questione curda. Ricordo ai lettori che Ocalan, dopo la sua partenza dall’Italia (dove trovò rifugio per qualche settimana), fu arrestato dall’Intelligence turca in Africa, processato e condannato all’ergastolo. Se l’intesa non verrà boicottata dai falchi delle due parti, Ocalan, probabilmente, avrà diritto a un trattamento di favore. Lo stesso potrebbe accadere al palestinese Marwan Barghouti, leader della prima e della seconda Intifada, condannato a cinque ergastoli dai tribunali israeliani. Se e quando il governo di Gerusalemme adotterà sulla questione palestinese una linea più conciliante, sarà impossibile fare a meno di Barghouti, oggi forse il più popolare fra i leader della resistenza palestinese. Le ricordo infine, caro Argentieri, che i ministri della Giustizia italiani hanno più volte rifiutato di firmare la richiesta di estradizione proveniente dai magistrati milanesi per i funzionari dei servizi d’Intelligence degli Stati Uniti coinvolti nel rapimento dell’Imam Hassan Mustafa Osama Nasr, meglio noto come Abu Omar. Anche questa fu una delle numerose occasioni in cui i criteri politici (sicurezza nazionale, buoni rapporti con un altro Stato) prevalgono su quelli giuridici. Sicilia: nomina Garante detenuti; l’Unione forense a tutela diritti umani scrive a Crocetta Comunicato stampa, 16 maggio 2013 Onorevole Rosario Crocetta, Presidente Regione Sicilia, e per conoscenza, Ecc.mo Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana. Egregio Presidente, la situazione penitenziaria siciliana ha raggiunto quasi il punto di non ritorno, peculiarmente più grave nella pur drammatica situazione nazionale. Lo stato delle cose necessita di urgenti e appropriati provvedimenti per modificare una realtà indegna di una società civile. Il sovraffollamento, la negazione di diritti, l’impossibilità dei pur valorosi operatori penitenziari di assicurare sufficienti servizi per rendere la detenzione conforme ai parametri costituzionali ed europei, impongono al governo del Paese di intervenire con sollecitudine e alla Regione Siciliana di attivare azioni di sensibilizzazione e di stimolo, anche nel garantire servizi di sua pertinenza come l’assistenza sanitaria ai detenuti così come impone la legge di riforma. In questo quadro si colloca anche l’intervento di assicurare un buon funzionamento dell’organo di garanzia all’uopo istituito quale garante per i diritti fondamentali dei detenuti. Fra qualche mese scadrà il mandato settennale del garante nominato a suo tempo dall’onorevole Salvatore Cuffaro il quale ha fatto ricadere la scelta su un parlamentare allora in carica. Allo scopo di evitare qualsiasi tipo di strumentalizzazione e il ripetersi di errori che hanno purtroppo la credibilità dell’organo di garanzia la scrivente Associazione auspica che la procedura di scelta e di nomina del nuova garante per la Sicilia avvenga nella massima pubblicità e trasparenza nel rispetto della normativa vigente e soprattutto nella consapevolezza di far cadere la preferenza su soggetti politicamente indipendenti, autorevoli e profondi conoscitori della problematica carceraria. e dei diritti umani. Poiché la Sua azione politica sembra improntata a innovativi criteri di severo rigore e trasparenza siamo certi che Ella farà di tutto per assicurare che la selezione del nuovo garante avvenga alla luce del sole e non come in passato obbedendo a superate logiche non meritocratiche tanto più inaccettabile tanto è delicato l’alto compito cui è onerato l’organo di garanzia. Con perfetta osservanza. Avv. Ermanno Zancla Coordinatore per la Sicilia dell’Unione Forense per la tutela dei diritti umani Nuoro: detenuto 45enne stroncato da infarto mentre gioca nel campo di calcio del carcere L’Unione Sarda, 16 maggio 2013 Tragica fine di un detenuto ieri all’interno del carcere di Nuoro di Badu ‘e Carros. L’uomo, Giampaolo Casula, 45 anni, di Tortolì, si è accasciato al suolo durante una partita di calcio, probabilmente a causa di un arresto cardiaco. Un fulmine a ciel sereno che ha messo sotto choc sia gli altri detenuti che il personale della polizia penitenziaria che lavora all’interno del carcere. L’uomo è stato colpito con tutta probabilità da un malore, anche se ancora manca l’ufficialità. Nel momento in cui ha avuto l’infarto stava giocando in porta. A nulla è servito l’intervento del medico del carcere, che dopo aver cercato di fare il possibile non ha potuto far altro che constatare il decesso del detenuto. Disperazione e sgomento tra i compagni che stavano giocando assieme a lui, che da subito hanno capito che si trattava di qualcosa di grave. Anche se ancora manca la conferma ufficiale, nessuno ha dubbi sul fatto che si tratti di un infarto, tanto che non è stata neanche aperta un’inchiesta sull’accaduto. Il campo di calcio del carcere barbaricino di Badu ‘e Carros è uno spazio particolarmente apprezzato dai detenuti, e permette ogni giorno ai tanti costretti all’interno dell’istituto penitenziario di poter fare esercizio fisico all’aria aperta. Genova: chiudono gli Opg, a Marassi le nuove celle a misura degli ospiti “problematici” di Giulia Destefanis La Repubblica, 16 maggio 2013 Dalle finestre si fatica a guardare fuori, perché le grate, per scongiurare gesti autolesionisti, hanno maglie strettissime. Ci sono telecamere a infrarossi sopra i cinque letti e in bagno, “così il controllo dalla cabina di regia è 24 ore su 24”, spiegano. Sono le due celle di ultima generazione del carcere di Marassi che, annuncia il direttore Salvatore Mazzeo, “apriranno a giugno e ospiteranno i detenuti con problemi psichiatrici, per i 30 giorni di osservazione psichiatrica”. Il periodo, cioè, “che serve a valutare se la persona è ancora compatibile con la detenzione, e può rimanere in carcere, oppure no”, aggiunge Gianfranco Nuvoli, direttore Salute Mentale Valbisagno: una fase che prima avveniva direttamente negli Ospedali psichiatrici giudiziari - che ospitano appunto gli autori di reato con problemi psichiatrici, ma sono in via di dismissione - e ora avverrà in carcere. A sommarsi alle difficoltà del grande istituto penitenziario, prima tra tutte il sovraffollamento (la Liguria si è appena confermata seconda regione con le carceri più affollate dopo la Lombardia), c’è quindi per Marassi una nuova sfida. Che riguarda il mondo dei “folli-rei”, e ha radici lontane: quelle della denuncia, da parte della Commissione parlamentare di Ignazio Marino nel 2011, dell’inumanità degli Opg; e quelle di una legge del 2012 che ne ha fissato la chiusura, a marzo 2013 poi prorogata a fine anno, e finanziato le regioni perché attivino strutture sostitutive, dove l’esigenza curativa prevalga su quella di sicurezza. Protagonisti della rivoluzione, dunque, sono le carceri, che devono gestire le osservazioni psichiatriche, ma soprattutto le regioni, chiamate a prendersi cura dei propri internati. Ed eccoci ad oggi: a Marassi si predispongono le due celle nel nuovo reparto di Osservazione psichiatrica, all’interno del Centro clinico dell’istituto, il sesto d’Italia. Dal canto suo, la Regione, incassati 3 milioni e 800 mila euro per il 2012 e quasi 2 per il 2013, inizia ad accogliere i folli-rei liguri. Sono 50 in tutto - su una popolazione nazionale di 1.100 - dai pluriomicidi ad autori di reati meno gravi. “Inseriamo nelle comunità terapeutiche le persone a bassa pericolosità - spiega Sergio Schiaffino, responsabile Salute Mentale e Dipendenze della Regione Liguria - E per gli altri costruiremo una struttura nel territorio della Asl 5”. Dunque in provincia di Spezia: ma il luogo preciso è ancora top secret. “Non sarà un nuovo Opg, ma una struttura da 25 posti riabilitativa, anche se chiusa. Dobbiamo ancora capire come saremo sostenuti dalle forze dell’ordine per il controllo”. Tornano dunque echi della riforma Basaglia, con la sfida di superare gli O.p.g. senza riaprire i manicomi. La Liguria sarà pronta? Sassari: nuovo carcere senza collegamento autobus, protesta della Garante e del Sindaco La Nuova Sardegna, 16 maggio 2013 Entro la fine del mese di giugno il carcere di Bancali aprirà i battenti. Ma restano irrisolti diversi problemi come il mancato finanziamento del collegamento urbano fra Sassari e la nuova struttura penitenziaria. Una decisione che ha contrariato, e non poco, il sindaco Gianfranco Ganau. “Abbiamo appreso con disappunto che La Regione Sardegna ha dato parere contrario per la realizzazione ed il finanziamento di una tratta di collegamento urbano con il nuovo carcere di Bancali, chiedendo all’Azienda Trasporti Pubblici cittadina, l’attivazione a scapito di altre linee - afferma Ganau. Evidentemente la Regione non è a conoscenza dell’inadeguatezza dei collegamenti del trasporto pubblico locale urbano, dovuti allo sviluppo della città di questi anni che penalizza soprattutto le periferie e quindi rende impensabili tagli delle tratte già esistenti”. Secondo Ganau “spaventa l’insensibilità dell’Amministrazione regionale rispetto alle problematiche di una struttura nuova e così delegata quale quella rappresentata dal nuovo carcere, dove risiederanno, opereranno e si recheranno detenuti, agenti di polizia giudiziaria, avvocati, agenti di polizia penitenziaria, dirigenti del carcere, assistenti sociali e famiglie di detenuti per un totale di migliaia di persone”. Altrettanto dura la reazione del Garante dei detenuti, Cecilia Sechi che si dice amareggiata e sconcertata per la decisione della Regione. “ Sappiamo tutti che il carcere di Bancali ha una capienza di molto superiore rispetto a quello di San Sebastiano ed è a tutti gli effetti una delle nuove carceri sarde che vengono edificate fuori dalla città - sostiene Cecilia Sechi. Per tali motivi questa decisione della Regione implica un ulteriore isolamento del carcere rispetto alle visite dei familiari, ma anche degli altri visitatori dei detenuti, creando difficoltà per gli agenti, operatori e per tutti coloro che animano la vita carceraria tentando di rispettare l’articolo 37 della Costituzione. Con la stessa amarezza sorprende che la Regione chieda all’Atp tagli sapendo che gli enti locali soci, comune e provincia, sono in una situazione di crisi tale da non poter più mantenere adeguatamente neppure i servizi di base per i cittadini, come più volte denunciato dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani (Anci) e dal Consiglio delle Autonomie Locali della Sardegna”. Nel frattempo il segretario generale della Uil-Pa Penitenziari Eugenio Sarno ha visitato San Sebastiano, con uno sguardo al futuro. “Per quanto ci è dato sapere - sottolinea Sarno - il nuovo carcere ospiterà anche una sezione destinata a soggetti sottoposti al 41-bis. Ciò porrà una riflessione sulle dotazioni organiche della polizia penitenziaria perché è certo che le circa 200 unità attualmente previste non saranno sufficienti a gestire la nuova struttura”. Firenze: a Villa Caciolle il cappellano di Sollicciano dà un’occasione agli ex detenuti di Maria Cristina Carratù La Repubblica, 16 maggio 2013 “Fine pena mai… non è solo l’ergastolo”. È anche il carcere che continua quando si esce, una condanna che trascolora in un’altra, un’illusione spacciata per libertà, perché fuori c’è il vuoto. Giuseppe, Paolo, Gabriele, Maurizio, Vito, Biagio, Alejandro, Antonio, Michele, Francesco, dieci, venti, trent’anni già trascorsi dietro le sbarre, pene dure per reati gravi o gravissimi, esistenze condannate più o meno dalla nascita, a Scampia o nel rione Sanità, a Genova Cornigliano o nel Maghreb. A Villa Caciolle, a Novoli, grande villa di proprietà dell’Opera Madonnina del Grappa e arredata con i mobili regalati da amici, tutti, a turno, fanno tutto, spesa, cucina, pulizie, anche se ai fornelli il migliore è Michele che prima di beccarsi vent’anni è stato macellaio, e il grande giardino è appannaggio di Biagio, dentro per due decenni e in attesa di un altro processo, ma intanto qui può stare con moglie e figlia, venute da Napoli. Ex carcerati, detenuti in pena alternativa, semiliberi, con piccoli o lunghi residui di pena, molti con un lavoro, anche se precario, o part time, imposto per legge come condizione per i benefici di pena ma, ovviamente, difficile da trovare. “Fuoriusciti” che non sanno dove andare, una decina residenziali e 6 o 7 che dormono a Sollicciano ma di giorno fanno capo questa che, dice don Vincenzo Russo, cappellano di Sollicciano e fondatore di Villa Caciolle, “non è un parcheggio, ma una casa e una famiglia”. Magari non la propria (o anche sì, come nel caso di Biagio), ma certo un luogo “a misura di persona, dove ricostruirsi una dignità, ristabilire legami umani, e scoprire che si può ricominciare”. Qualcosa di diverso, insomma, “dall’accoglienza istituzionale, magari anche efficiente, delle associazioni convenzionate con gli enti pubblici, cioè pagate per questo”, perché, dice don Vincenzo, “oltre a un letto e a un pasto chi esce dal carcere cerca innanzitutto se stesso, e il gesto che cura una persona non si fa per professione, nasce da un incontro, da un’amicizia”, che è appunto il segreto di questa storia “diversa”. Villa Caciolle conta solo sull’Opera della Madonnina, che, quando può, offre qualche occasione di lavoro, come a Giuseppe, trent’anni passati “dentro”, impiegato nella società sportiva dell’Opera, e ora collaboratore inseparabile di don Vincenzo. A Paolo, 33 anni in massima sicurezza, è stato trovato un lavoro come operatore agricolo in una Onlus che si occupa di disabili, dove, dice, “ho imparato a rivivere stando accanto a un ragazzo paralizzato”, a Maurizio come factotum part time al Mandela Forum, a Gabriele che lavora nell’amministrazione penitenziaria, ma Michele, il cuoco, è disoccupato, come Antonio e altri. “Ogni giorno qui si è in cerca di sostegni” dice don Vincenzo, “chi può offrire qualcosa, anche solo una mano da volontario, è benvenuto”. Intanto si aspetta (permessi del Comune permettendo) di fare dell’ex scuola dell’Opera affacciata sul giardino, che due anni fa ha accolto i rifugiati del nord Africa (“accuditi” da loro, Giuseppe, Paolo, Michele, Antonio…) una pizzeria autogestita. “Ci darebbe soldi, e lavoro”. La burocrazia, per una volta, saprà fare uno sforzo? Velletri (Rm): Consigliera Bonafoni; c’è grave sovraffollamento, 632 detenuti in 444 posti www.romadailynews.it, 16 maggio 2013 “L’allarme lanciato oggi dalla Fp Cgil Polizia Penitenziaria del Lazio ci racconta di una situazione di sovraffollamento che non risparmia certo le carceri della nostra Regione. L’ho potuto constatare anche nella visita che ho effettuato lo scorso 9 maggio al carcere di Velletri proprio con una delegazione del sindacato”. A dichiaralo in una nota è la consigliera regionale Marta Bonafoni del Gruppo Per il Lazio che dopo la visita alla sezione del carcere femminile di Rebibbia ha fatto un sopralluogo nell’istituto detentivo alle porte di Roma. “In un carcere con una capacità di 444 posti risultano attualmente detenute 632 persone - riferisce Bonafoni - una situazione che ho verificato di persona: nelle celle del reparto transiti, solitamente destinate alla sosta temporanea dei detenuti, erano invece ospitate su materassi e brandine una decina di persone che non avevano trovato posto nei reparti a loro altrimenti destinati. La situazione è poi ulteriormente aggravata dalla carenza di personale tra la polizia penitenziaria, con un rapporto di 1 agente ogni 3 detenuti che rende quasi impossibili le condizioni di lavoro e di vita nel carcere ed esaspera il clima all’interno dell’istituto”. “Una situazione che non smetterò di monitorare - conclude la consigliera Bonafoni - e sulla quale si è recentemente espresso anche il Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni”. Vibo V.: Sappe; carcere al collasso, personale polizia penitenziaria fa turni anche di 13 ore Agi, 16 maggio 2013 Il carcere di Vibo Valentia al collasso. È quanto denuncia il Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) al fine di richiamare l’attenzione sulla grave carenza di organico del penitenziario vibonese e sui pesanti carichi di lavoro che hanno reso la situazione insostenibile. “È solo grazie al senso di abnegazione del personale della polizia penitenziaria che svolge anche 13 ore di lavoro al giorno - spiega il Sappe - che le attività istituzionali nel carcere di Vibo non si sono fermate”. In ogni caso, secondo il Sappe “il carcere vibonese, sovraffollato, soffre le pecche di una politica che sta portando il sistema penitenziario totalmente allo sfascio”, tanto che lo stesso Sappe si batte “da più di due anni per la realizzazione delle docce all’interno delle celle”, progetto però “realizzato solo in un reparto detentivo”. Il segretario provinciale del Sappe di Vibo Valentia, Francesco Ciccone, chiede quindi agli organismi competenti “immediati ed urgenti interventi, con l’incremento del personale, l’assegnazione di nuovi mezzi per i trasferimenti dei detenuti e l’assegnazione di risorse economiche su tutti i capitoli di spesa a partire da quelli per la retribuzione del personale, per la manutenzione degli automezzi e per il carburante”. Cagliari: Uil-Pa; nel carcere di Buoncammino tragedia sfiorata per il crollo di un ballatoio Agi, 16 maggio 2013 Nella sera di martedì si è sfiorata la tragedia nel carcere cagliaritano di Buoncammino dove, intorno alle 20, improvvisamente da un ballatoio che sosteneva la pavimentazione del secondo piano si è staccato un pezzo di granito. Lo rende noto il segretario provinciale della Uil Penitenziari Michele Cireddu. Al momento del crollo, avvenuto nel settore destro della casa circondariale, erano presenti un agente della polizia penitenziaria e un’infermiera che stava somministrando delle medicine. Il granito - riporta il sindacalista - ha provocato la spaccatura del pavimento sottostante e lesioni di altri sostegni cha sono a loro volta a rischio. La polizia penitenziaria è intervenuta mettendo in salvo i detenuti. Da tempo - afferma Cireddu - denunciamo come la struttura sia obsoleta e quindi pericolosa per detenuti e agenti. La fatiscenza strutturale, inoltre, si coniuga con l’alto indice di sovraffollamento del carcere per cui si auspica che vengano effettuate le opportune verifiche a Buoncammino e che si possa al più presto attivare la nuova struttura di Uta. Genova: confronto a Palazzo Ducale su sovraffollamento carceri e trattamenti disumani La Repubblica, 16 maggio 2013 Di carceri, sovraffollamento e trattamenti disumani si è discusso ieri, nella sala del Munizioniere di Palazzo Ducale, nel secondo incontro del ciclo “Uomini dentro - Pensare alla giustizia e alla legalità”, viaggio intorno alla detenzione. “In Liguria c’è un gran bisogno di parlare di carceri - dice l’avvocato Alessandra Ballerini, organizzatrice della rassegna con Enzo Paradiso. C’è un tasso di sovraffollamento di oltre il 150 per cento, e la Regione non ha ancora un garante dei detenuti”. Un centinaio le persone in sala. “Il fatto che l’incontro sia partecipato è un buon segno: anche qui si inizia a pensare ai diritti dei detenuti come qualcosa che riguarda tutti”. In sala c’è Patrizio Gonnella, Presidente di “Antigone”, l’osservatorio sulle carceri, e poi Vladimiro Zagrebelsky, già giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo. È a quest’ultimo, quando parla di trattamenti inumani e degradanti, che si rivolgono Heidi e Giuliano Giuliani, i genitori di Carlo, ucciso a Genova durante gli scontri del G8. Presenti come uditori, contestano a Zagrebelsky la scelta, che fece da giudice europeo, di non considerare trattamento inumano quello delle forze dell’ordine “che infierirono su nostro figlio esanime a terra”. “È buona regola non rispondere su decisioni cui si è preso parte”, risponde il giudice. Che poi, dai temi della tortura e dei trattamenti degradanti, passa alla condanna del sistema carcerario italiano: “Le violazioni possono essere occasionali, frequenti o strutturali. In Italia il sovraffollamento è strutturale: si violano sistematicamente le direttive europee”. Il problema “è definito “emergenza” - aggiunge Patrizio Gonnella - come se fosse una calamità naturale. Ma è frutto di precise scelte di politica criminale. Il principio è quello dell’internamento di massa, nato negli anni 70 negli Stati Uniti. In Italia non si fa che ridurre il welfare e aumentare le politiche della sicurezza: dagli anni 90 la popolazione detenuta è raddoppiata, passando da 30 mila e 65 mila persone”. Una via d’uscita, spiega l’avvocato Stefano Savi, moderatore dell’incontro, può essere un maggior utilizzo delle misure alternative: “Il 40 per cento dei detenuti sono ancora in attesa di giudizio. La giustizia, come una medicina maldestra, somministra sempre la stessa cura, il carcere, quando in realtà, almeno prima delle sentenze, potrebbe usare misure diverse”. Il prossimo appuntamento con la rassegna è il 24 maggio, alle 17.45, con Quando lo Stato viola le regole. Intervengono il sindaco Marco Doria e la Presidente della Camera Laura Boldrini. Roma: il Circolo “Libertà e Giustizia” organizza dibattiti in Casa Reclusione di Rebibbia di Giovanni Iacomini Il Fatto Quotidiano, 16 maggio 2013 Ultimo incontro, per quest’anno, di Libertà e Sapere, il corso di incontri-dibattito che organizziamo nella Casa di Reclusione di Rebibbia. Con Massimo Marnetto e Marta Pirozzi, del circolo romano di “Libertà e Giustizia”, si sono affrontati temi fondamentali relativi alla Costituzione, la dignità, l’importanza delle regole, l’uguaglianza. Ampia partecipazione di detenuti, in un’inedita disposizione a semicerchio intorno ai relatori scelta appositamente per eliminare la distanza che a volte si crea tra chi parla e chi non può che ascoltare. Ne è scaturito un dibattito quanto mai vivace e interessante in cui, senza mai scendere a problematiche e recriminazioni personali, si è parlato di lavoro, rapporti con le famiglie, attività scolastiche e culturali in generale, pene alternative anche come antidoto al sovraffollamento, Codice penale da riformare, informazione e ruolo dei media. Per questi ultimi, era presente la troupe di Rainews24 che accompagna Luce Tommasi e ha realizzato il video. Il minimo comune denominatore che lega tutte queste realtà ed esperienze - dalle scuole con i loro progetti alle associazioni, dai programmi trattamentali a quelli televisivi, per finire al senso ultimo che ispira questo mio blog su ilfattoquotidiano.it - è la ricerca di stabilire collegamenti tra i reclusi e la società esterna. Sarebbe facile e comodo considerare il carcere una specie di discarica sociale in cui rinchiudere i condannati, per presto avviare una rimozione dalla coscienza collettiva. Al di là di considerazioni umanitarie, che per qualcuno potrebbero suonare troppo “buoniste”, va considerato che chiudere i detenuti e “buttare la chiave” non fa che incattivire e rendere le persone davvero irrecuperabili. L’unico modo per dare un senso non solo alle vite di chi si trova a scontare una pena ma anche alle ingenti risorse che vanno a finanziare la macchina della giustizia, è un’efficace azione di reinserimento sociale costellata di iniziative e manifestazioni che - toccando il diritto, l’economia, la filosofia, la scienza, l’arte - offrono una formidabile chance per continuare a cercare orizzonti di vita diversi, migliori, per sé e per la società cui si appartiene. Potenza: due detenuti minorenni evasi dall’Ipm ieri sera, sono già stati ripresi Agi, 16 maggio 2013 Ieri sera, intorno alle 19, sono evasi due detenuti minorenni dall’Istituto penale per minori di Potenza. Sono stati ripresi, il primo quasi subito ed il secondo nelle ore successive. Erano riusciti a fuggire dal campo sportivo dell’istituto di rieducazione. Si tratta di un italiano ed un marocchino, detenuti per rapina. Sappe: va rivisto il dipartimento della giustizia minorile “Sono stati per fortuna riacciuffati in poco tempo i due detenuti evasi ieri pomeriggio dal carcere minorile di Potenza. A distanza di poco tempo l’uno dall’altro, personale della Polizia Penitenziaria con i colleghi della Polizia di Stato hanno arrestato gli evasi: al primo, preso pressoché nell’immediatezza, è seguito la cattura del secondo, sempre nel territorio potentino. Ora uno dei due, maggiorenne, è stato portato nel carcere per adulti”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo Polizia penitenziaria (Sappe), commentando quanto avvenuto ieri nel carcere minorile di Potenza. “È del tutto evidente, come già detto, che anche l’evasione dal carcere minorile di Potenza è il classico sintomo di un sistema che va sempre più verso l’implosione - prosegue Capece. Sono tante le cose che non vanno: le risse, gli atti di autolesionismo, i tentati suicidio, le risse e le colluttazioni avvengono con una costante e drammatica frequenza. Va rivisto il Dipartimento della Giustizia Minorile, che così com’è non va: la tensione è alta non solo nelle carceri per adulti ma anche in quelle per minori. E questo non è certo un segnale positivo, Confidiamo quindi nella nota attenzione e sensibilità del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri perché assuma provvedimenti concreti: come l’avvicendamento dei capi dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e della Giustizia minorile, entrambi fallimentari nella loro gestione”. Benevento: detenuto aggredisce due poliziotti nel carcere di contrada Capodimonte www.ntr24.tv, 16 maggio 2013 Due agenti della polizia penitenziaria sono stati aggrediti da un detenuto nel carcere di contrada Capodimonte. A darne notizia la segreteria del Sinappe. L’episodio si è verificato nel pomeriggio di ieri. A porre in essere il gesto un detenuto del circuito alta sicurezza che si trova rinchiuso nella casa circondariale sannita per reati di criminalità organizzata. Il fatto è accaduto al rientro dal campo sportivo, dove il recluso è andato in escandescenza ed ha aggredito il personale di sorveglianza, ma la prontezza dei poliziotti penitenziari ha evitato il peggio. “Nonostante si lavori in un continuo clima emergenziale, in una struttura sovraffollata, con una carenza di uomini ormai patologica - commenta la segreteria del Sinappe - possiamo affermare con orgoglio che l’indiscussa professionalità dei poliziotti penitenziari conquista giorno dopo giorno gesti eroici di cui quasi nessuno parla. È solo grazie - prosegue - alla prontezza e alla competenza delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria che oggi parliamo di un’aggressione e non di vittime di questo sistema penitenziario “indecente” e di certo la causa di queste aggressioni non può non ricercarsi nel sovraffollamento delle carceri che ospitano circa 20.000 detenuti in più rispetto ai posti letto regolamentari, ma soprattutto, per la mancanza di misure disciplinari esemplari che facciano in modo che gesti simili non abbiano più a ripetersi. La segreteria Sinappe esprime infine vicinanza e solidarietà ai due agenti del carcere sannita che hanno subito l’aggressione e sono stati costretti a ricorrere alle cure mediche presso il Pronto soccorso cittadino”. Eboli (Sa): telefonate hard dal carcere, condannato ex comandante di Polizia penitenziaria La Città di Salerno, 16 maggio 2013 In soli venti giorni aveva collezionato più di ottanta telefonate a linee erotiche, tutte fatte da una stanza del carcere di Eboli dove era comandante del reparto di polizia penitenziaria. Una condotta che, associata alla falsificazione di un registro, è valsa a F.V., ora in pensione, una condanna a 2 anni e 2 mesi emessa ieri dalla prima sezione penale del Tribunale di Salerno. L’indagine è partita quando sulla scrivania della direzione penitenziaria è arrivata una bolletta telefonica anomala, con una cifra di molto superiore agli standard. L’inchiesta della magistratura, condotta dal sostituto procuratore Roberto Penna, ha dimostrato-che le telefonate partivano tutte da uno stesso ufficio, dove il telefono era stato tolto ma l’utenza era rimasta attiva e bastava inserire l’apparecchio per utilizzarla. A far stringere il cerchio sull’allora comandante delle guardie sono stati gli orari delle telefonate, che spesso iniziavano poco dopo le sette di mattina per terminare quando erano quasi le nove di sera. Se n’è desunto che a comporre i numeri non poteva essere un dipendente soggetto a turni di lavoro ma qualcuno che all’interno dell’Icatt abitava, come appunto il comandante. Le indagini hanno inoltre rilevato che i registri in cui si annota l’entrata e l’uscita delle chiavi delle stanze era stato corretto con il bianchetto, una manomissione anche questa attribuita a F.V., che è stato quindi condannato anche per il reato di falso. Le argomentazioni della difesa, secondo cui pure altre persone avevano accesso a quella stanza e avrebbero potuto effettuare le chiamate, non ha convinto i giudici, che hanno sposato la tesi dell’accusa (il pm Penna aveva chiesto 2 anni e mezzo) ed emesso la sentenza di condanna. Pescara: “Questi fantasmi”, detenuti e studenti recitano nell’opera di Eduardo De Filippo www.pagineabruzzo.it, 16 maggio 2013 Grande successo, ieri sera (mercoledì), al teatro Massimo di Pescara per l’originale messa in scena di “Questi fantasmi”, del grande Eduardo De Filippo: sul palco, detenuti del carcere di Chieti, alcuni agenti di polizia penitenziaria e alunni delle quarte e quinte elementari dell’Istituto Domus Mariae, coordinati dalla regista Paola Capone. La serata è il frutto della collaborazione tra la Fondazione Santa Caterina, l’Istituto Domus Mariae, la casa circondariale di Chieti, la Provincia di Pescara e l’associazione Banco Alimentare dell’Abruzzo Onlus, nell’ambito di un percorso comune di educazione alla legalità intrapreso due anni fa dalla storica scuola paritaria di Pescara e il carcere di Madonna del Freddo. Davvero molto bravi tutti gli attori, che hanno strappato applausi a scena aperta dei novecento spettatori accorsi nel teatro pescarese: a presentarli, uno ad uno al termine dello spettacolo, ci ha pensato il comandante della polizia penitenziaria Valentino Di Bartolomeo. Dopo i saluti iniziali del presidente della Provincia, Guerino Testa, della direttrice del carcere, Giuseppina Ruggero, dell’educatrice Annamaria Raciti e di Paolo Datore Giansante e Valentina Pistola, rispettivamente presidente della Fondazione Santa Caterina e direttrice dell’Istituto Domus Mariae, presentati dal giornalista Luca Pompei, lo spettacolo si è aperto con un prologo che ha visto i bambini protagonisti ed è proseguito con gli atti della commedia con detenuti e agenti di polizia penitenziaria, con nuove apparizioni di alcuni bambini. Gli attori dell’Istituto Domus Mariae sono stati: Claudia Cipollone, Fabio Vittorio D’Agostino, Antonella Di Michele, Maria Luisa Di Zopito, Alessia Miletti, Pietro Morelli e Stefano Pangiarella. Gli attori del laboratorio terapeutico del carcere di Chieti sono stati: insieme alla regista Paola Capone, Giuseppe Civitelli, Julian Dahri, Giuseppe D’Alterio, Cristian Di Marzio, Gioacchino Laezza, Jhonni Levakovic, Sandrina Marchesani e Vincenzo Tammaro. Gli attori della compagnia teatrale della Polizia penitenziaria di Chieti sono stati: Ruggero D’Intino, Gabriella Ientilucci ed Elena Presutto. Le scenografie sono state a cura di Sandro Nubile. Il coordinamento tecnico della serata è stato a cura di: Giulia Guazzieri (Istituto Domus Mariae), comandante Valentino Di Bartolomeo e Annamaria Raciti, entrambi della casa circondariale di Chieti. “Il messaggio di questa serata - hanno detto i promotori - è che così come il voto a scuola non è l’ultima parola sullo studente, anche la pena non lo è per il detenuto: la vita è qualcosa di più grande, e si può sempre iniziare. Questo successo è stato possibile grazie a genitori illuminati che hanno saputo vedere il buono e il bello in questa collaborazione, risultata utile ai loro bambini ma anche ai detenuti. Il carcere, così, può acquistare un’immagine diversa agli occhi di tante persone”. Immigrazione: la Garante regionale Bruno; al Cie di Modena situazione sta precipitando La Gazzetta di Modena, 16 maggio 2013 Situazione critica al Cie di Modena, dove la Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, ha annunciato che tornerà venerdì 17 maggio, quando se ne dovrebbe andare definitivamente la direttrice della struttura, nominata recentemente nonostante il suo doppio ruolo: è dirigente sanitaria del consorzio L’Oasi che gestisce il Centro e, andandosene, lo lascerebbe anche senza assistenza medica. Dall’inizio della gestione firmata L’Oasi (1 luglio 2012), concessa dal Ministero con una gara al massimo ribasso, si sono avvicendati diversi direttori, fino all’attuale dirigente che ha comunicato le proprie dimissioni irrevocabili. In questi mesi, per lo stesso motivo, si erano già allontanati gli altri medici e gli psicologi. Molti rinchiusi assumono farmaci (anche metadone), alcuni presentano serie patologie. A ciò si aggiunge che spesso il Centro è stato sprovvisto di risorse per il soddisfacimento delle necessità elementari delle persone trattenute”. Desi Bruno è stata al Cie di Modena il 10 maggio scorso, quando l’attuale direttrice ha accettato di prolungare di una settimana la propria permanenza, su richiesta del rappresentante della Prefettura presente alla visita. E ha segnalato che il consorzio è stato “ripetutamente sollecitato a far fronte a una situazione che mette a repentaglio la sicurezza di tutte le persone presenti . Francia: Garavini (Pd); bene Farnesina su morte di Claudio Faraldi nel carcere di Grasse Agenparl, 16 maggio 2013 “È il secondo decesso di un giovane detenuto italiano nel giro di soli tre anni nello stesso istituto penitenziario francese di Grasse. Può trattarsi di una drammatica coincidenza, ma vanno accertati nel dettaglio i fatti per potere essere certi che queste morti non potessero essere evitate”. Lo ha detto Laura Garavini, componente dell’Ufficio di presidenza del gruppo Pd alla Camera, depositando un’interrogazione parlamentare in Commissione Affari Esteri. “Mercoledì scorso è deceduto un giovane connazionale, Claudio Faraldi, detenuto nello stesso carcere in cui morì, nel 2010, in condizioni ancora tutte da chiarire, un altro ragazzo italiano, Daniele Franceschi. Va fatta chiarezza su entrambi i casi. Questo è il motivo per cui ho presentato un’interrogazione al Ministro degli Esteri e al Ministro della giustizia. È necessario intervenire presso le autorità francesi affinché si possa essere certi che siano state predisposte tutte le misure necessarie, in modo da evitare il ripetersi di vicende così gravi”. Stati Uniti: pena morte; esecuzione in Texas, 37enne condannato per omicidio di un agente Ansa, 16 maggio 2013 Nuova esecuzione in Texas, la sesta quest’anno e la numero 498 dal ristabilimento della pena di morte nel 1976, per l’omicidio di un poliziotto. Lo hanno annunciato le autorità penitenziarie. Jefferey Williams, afroamericano di 37 anni - di cui 13 nel braccio della morte, è stato ucciso con un’iniezione letale alle 18.37 locali nella prigione Huntsville. Era stato condannato per l’omicidio di un poliziotto in borghese nel 1999 che voleva arrestarlo mentre era alla guida di un’auto rubata nel parcheggio di un motel. Siria: attivisti, forze Assad respingono attacco ribelli a carcere Aleppo Aki, 16 maggio 2013 Le forze del regime di Bashar al-Assad hanno respinto un attacco sferrato dai ribelli contro il carcere di Aleppo, nel nord della Siria. Lo riferiscono gli attivisti dell'Osservatorio siriano per i diritti umani, spiegando che i ribelli si sono ritirati dalla prigione dopo scontri iniziati all'alba di ieri. L'attacco è iniziato con l'esplosione simultanea di due autobomba all'ingresso del carcere. Secondo l'agenzia di stampa statale Sana, i ribelli non sono riusciti a entrare nel centro di detenzione. In ogni caso, non hanno avuto la meglio sulle forze del regime e non sono riusciti a liberare i quattromila prigionieri là detenuti come si erano prefissati.