Giustizia: l’anestesia del cuore che ci rende insensibili di Adriano Sofri La Repubblica, 9 luglio 2013 Nessun uomo è un’isola. Nessuna isola è un’isola. Anche la parabola del buon samaritano può essere raccontata di nuovo al passaggio da una strada di periferia a una strada d’acqua: “Donne e uomini, bambini e vecchi salivano dalla costa libica a Lampedusa, e i briganti li depredarono e li lasciarono mezzo morti in mezzo al mare. Una motovedetta maltese passava di lì, e allargò la rotta”. “Anche una nave da diporto passava, e virò di bordo. Ma un peschereccio che tirava le reti li vide, e ne ebbe pietà…”. Interrompo la parafrasi grossolana, per non arrivare al punto in cui il ferito viene affidato alla locanda dal samaritano che paga di tasca sua, e parafrasare la locanda con un Centro di identificazione ed espulsione, in cui incarcerarli per sei mesi rinnovabili, per il reato di esser nati altrove - a Samaria, forse. Lo scorso 23 giugno, quando all’ultimo momento il papa Francesco si tenne alla larga dal concerto per l’Anno della fede, adducendo “impegni improrogabili”, si mormorò che non volesse fare incontri impropri: chissà. Chissà se davvero abbia pronunciato la frase che gli è stata attribuita: “Io non sono un principe rinascimentale”. Frase singolarmente pregnante, in una situazione della curia che può ricordare i fasti e i nefasti di quel periodo meraviglioso, e che soprattutto richiamava involontariamente i cinquecent’anni dalla scrittura del Principe di Machiavelli. In questi giorni c’è stata una imprevedibile cadenza di inviti avanzati e disdetti, che ha coinvolto istituzioni civili, religiose, automobilistiche, e poi il desiderio del papa di non essere accompagnato nel suo pellegrinaggio da autorità politiche, a parte la signora sindaco dell’isola generosa. Devono essere segni dei tempi. Il papa Francesco ha confidato gran parte della propria entrata in scena ai gesti, gli improvvisati e i meditati. Il più meditato era questo: dove fare il primo viaggio. Ammesso che uno di noi si fosse messo nei panni del papa che prendeva la sua decisione (si può fare: quel Machiavelli lo scrisse addirittura tre volte in una sola lettera, di cui contava che fosse fatta leggere al papa di allora, “Se io fussi il papa…”; e prima Cecco, “s’ i fosse papa, allor sarei giocondo, ché tutt’i cristiani imbrigarei”), ecco, non ne avremmo trovata una più significativa e commovente di questa, di andare a Lampedusa. In un bellissimo mare d’estate, mutato da troppi anni nel cimitero d’acqua dei disperati e di chi ha voluto nonostante tutto sperare, e nel deserto d’acqua delle traversate dei superstiti. Il gesto primo era la corona deposta su quel mare, con la richiesta di perdono, incontro agli altri che arrivavano fortunosamente. Lo aspettavano, dei vivi, gli sbarcati, i pescatori e gli altri marinai impegnati a soccorrere la migrazione, e gli abitanti dell’isola vagheggiata come un ponte d’azzardo verso l’Europa. E poiché la gran parte di quelli che vengono dalla costa africana sono musulmani, la visita è stata anche una Ratisbona sui generis. Ipersensibili ai gesti e ai simboli, le cronache si sono saziate dello zucchetto al vento, della motovedetta della Guardia Costiera, della papamobile sostituita da una campagnola presa in prestito (appena dopo aver deplorato i preti con le macchine ultimo modello: ci sarà una gran rottamazione…), di saluti e carezze nella lingua universale del Mediterraneo, del pastorale a croce fatto dei pezzi di legno colorato delle barche dei migranti, di tutto ciò che appartiene alla vita quotidiana e fa effetto di straordinario dopo tante cattive abitudini di etichetta e protocollo, e insinua perfino un sospetto di demagogia. Come presentarsi da un balcone molto alto, e dire: Buonasera. Ma le parole erano altrettanto importanti, e anch’esse sono suonate tanto più straordinarie quanto più normali, a cominciare dal “Dio ci giudicherà in base a come abbiamo trattato i più bisognosi” consegnato al twitter Pontifex. Non solo Dio, del resto. Si può voltarlo, il twitter: “I bisognosi ci giudicheranno in base a come li abbiamo trattati”. Dice anche, il papa, che toccare la carne di chi soffre è come toccare Cristo. “Anche la vita di Francesco d’Assisi è cambiata quando ha abbracciato il lebbroso perché ha toccato il Dio vivo”. Anche questo pensiero, questa esperienza, sa stare in piedi per sé, e una vita può essere cambiata quando si abbracci un lebbroso perché si è abbracciato un lebbroso. Era stato il parroco dell’isola a invitare il papa, il mese scorso. “Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta, non si ripeta per favore”. Francesco predilige un tono affabile, come questo “per favore”, come la descrizione della meta cui tendono i migranti, “persone in viaggio verso qualcosa di migliore”. Ricorda i richiami di Dio ad Adamo, “Dove sei, Adamo?” e a Caino, “Dov’è tuo fratello?”, e toglie alla tragedia degli annegati il segno della sventura ineluttabile per assimilarla all’omissione di soccorso e, anzi, all’omicidio. “Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri”. Parola di naviganti, “disorientato”, di chi ha perso il suo oriente, della “anestesia del cuore”, della “globalizzazione dell’indifferenza”. “Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: “Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?”. La cultura del benessere… ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla…”. Abbiamo dimenticato come si fa a piangere per la pena degli altri e la nostra indifferenza, dice, e ha cura di usare il “noi” che lo chiama in correità, salvo abbandonarlo per la terza persona plurale dei “trafficanti, quelli che sfruttano la povertà degli altri”, e “coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo”. Coloro, i pescicani umani piccoli e grossi, hanno già in uggia la mania (lieta, del resto, non lugubre né vittimista) di questo gesuita infrancescato per la semplicità e i poveri. Si sentivano al riparo della distinzione fra quel che è di Cesare e quel che è di Dio. I non credenti, o i credenti a loro modo, hanno però altrettante buone ragioni per temere il giudizio dei bisognosi e per abbracciare i lebbrosi. Che Cesare e i suoi impiegati non possono perseguitare o disprezzare se non tradendo se stessi, oltre che il loro Dio. Per non dire di Gesù, quel famoso pauperista. Giustizia: carcere, diritto, legalità, le drammatiche attualità di cui non si parla… Valter Vecellio Notizie Radicali, 9 luglio 2013 Niente. Non una parola. L’altro giorno un agente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere romano di Rebibbia viene trovato impiccato nel garage di casa; si accerta che si era tolto la vita quattro o cinque giorni prima. Le ragioni che possono aver indotto A.D.M. a farla finita possono essere le più varie. Ma è azzardato ipotizzare che forse non del tutto estranee sono le condizioni in cui lavorava, quello che ogni giorno, al di là della sua volontà e della volontà dei suoi colleghi, era costretto a vedere, subire, sopportare, forse perfino “fare”? È un interrogativo, un sospetto. Ad ogni modo, è il sesto caso dall’inizio dell’anno. E ogni giorno è un bollettino di guerra: da Piacenza la notizia che nel locale carcere sono stipati 313 detenuti dove al massimo dovrebbero essere 178. A Teramo sono 401 dovrebbero essere 300; in compenso il personale di polizia penitenziaria conta 160 unità, dovrebbero essere 220. In Lombardia la situazione è disperata e disperante, il garante regionale dei detenuti Donato Giordano invoca l’amnistia e il contestuale alleggerimento del lavoro delle Procure depenalizzando “tutta una serie di reati leggeri o prevedendo vere misure alternative che al momento non vengono concesse”. Le cifre: in Lombardia complessivamente i detenuti sono 9.228, la capienza delle 19 carceri lombarde è di 6.051. A Rimini la locale Camera Penale denuncia la situazione del carcere: “Detenuti in condizioni disumane tra topi, scarafaggi, celle allagate e sovraffollate… Celle allagate, aria irrespirabile, topi scarafaggi che circolano indisturbati e per finire l’incubo di un’epidemia di scabbia…”. A Verona è un sindacato della polizia penitenziaria, il Sappe, a denunciare “una situazione intollerabile… carenze strutturali specie nell’area adibita all’ora d’aria e di sicurezza considerato che in più occasioni, nel gioco delle turnazioni un solo agente è chiamato a controllare un intero reparto…”. 450 i posti disponibili, 900 i detenuti, 300 agenti, di cui 45 in malattia, “vittime dello stress”. A Napoli un detenuto rinchiuso a Secondigliano si impicca, era un “invisibile”: un tunisino quarantenne, stava scontando una pena per un reato legato alla droga. Emilio Fattoriello, segretario nazionale del SAPPE: “Si tratta della quinta morte all’interno delle carceri campane in pochissimo tempo: quattro suicidi e una morte per cause naturali”… Di tutto questo ne parla, ne scrive qualcuno? E a proposito di quello che non si legge, non si scrive. Alzi la mano chi ha avuto la possibilità di leggere quello che sostiene Roberto Speranza, presidente dei deputati del Pd. Intervistato dal “Foglio”, Speranza dice che “dovremmo dire con parole chiare che in Italia esiste un problema di abuso di carcerazione pentiva, e ignorare questo problema significa, ancora una volta, fare la figura delle sfingi. Se poi dobbiamo andare avanti nel ragionamento io arrivo a dire che nel nostro paese esiste un equivoco sulla funzione del carcere. Il carcere non ha solo una funzione punitiva, ma anche riabilitativa. E mi permetto di dire di più: nel rispetto totale delle vittime dei reati io credo che il nostro partito, per onorare la funzione riabilitativa del carcere, dovrebbe aprire una riflessione su un tema importante: l’abolizione dell’ergastolo. E la famosa lezione di Aldo Moro del 1976 credo sia davvero un punto da cui partire”. Auspicio che si sottoscrive, e sfida da raccogliere. Nei fatti già lo si fa, se è vero che nel pacchetto dei dodici referendum per i quali si stanno faticosamente raccogliendo le firme, ce n’è uno che, per l’appunto, riguarda l’abolizione dell’ergastolo. Avrà firmato, Speranza? Comunque, parliamone; e soprattutto informiamo. Come occorrerebbe informare della solitaria iniziativa assunta da Sandro Gozi, parlamentare dl PD, con - anche - tessera radicale in tasca. Gozi parla di “un abuso della custodia cautelare che è pari al 25 per cento dei detenuti contro una media europea del 10 per cento. Di fronte a una situazione del genere amnistia e indulto evidentemente non bastano. Senza di essi, tuttavia, non riusciremo ad uscire da questa situazione di piena illegalità…”. Dobbiamo, chissà, fare appello al papa Francesco… Quest’uomo, anche lui figlio di emigranti, venuto da “quasi la fine del mondo”, dovrà presentarsi in una delle tante Lampeduse carcerarie, e chiedere lui, scusa per noi, e invocare “mai più”, visto che la classe politica, non sa, non vuole, incapace com’è di intendere, ma non di volere. Giustizia: il sovraffollamento delle prigioni non è un male acuto… è cronico di Pietro Di Muccio de Quattro L’Opinione, 9 luglio 2013 Gli Stati Uniti d’America hanno trecento milioni d’abitanti. L’Italia, sessanta milioni. Tre milioni d’Americani sono in galera. Gl’Italiani detenuti sono sessantamila. Dunque l’1% contro lo 0,1% della popolazione. Troppo gli Usa? Poco l’Italia? Per capirci, i carcerati americani sono tanti quanti gli abitanti dell’intera città di Roma. Per contro, i carcerati italiani equivalgono a una cittadina di provincia. Mentre, rispettando la percentuale statunitense, dovrebbero ammontare a seicentomila, come Palermo. La differenza è spiegabile in vari modi. Escluso il grado di rispetto della legge. Non è che gli Americani ne sono meno rispettosi di noi e perciò finiscono in galera dieci volte di più. È che, invece, gl’Italiani considerano la legge dieci volte meno degli Americani. Inoltre, finire in galera in Italia è più facile che in America. Restarci è molto più difficile. I detenuti in attesa di giudizio sono una vergogna nazionale, sia perché, salvo casi eclatanti, non dovrebbero stare in galera, sia perché vi sono mantenuti in promiscuità con i condannati definitivi. Lo Stato non costruisce le carceri indispensabili. Fa un uso intensivo delle celle disponibili. Nega ai carcerati il minimo spazio vitale che riconosce anche agli animali d’allevamento e da macello. Il sovraffollamento delle prigioni non è un male acuto, dipendente da un’occasionale impennata dei crimini. È cronico. Tanto vero che, per sgombrare le galere, da sempre lo Stato elargisce amnistie, condoni, opportunità processuali, benefici carcerari. Agisce da schizofrenico: con la repressione, incarcera; con lo sfollamento, scarcera. L’umanità della pena rappresenta il tratto distintivo dello Stato liberale, come la certezza della giustizia costituisce l’altra faccia del garantismo giudiziario. La privazione della libertà è sanzione necessaria e sufficiente, se la violazione della legge penale viene accertata tramite un processo equo. Il condannato resta un essere umano che non deve essere afflitto oltre il dovuto per assicurare l’indispensabile protezione della società. Mai la cella può essere la stia del detenuto. Giustizia: una proposta di legge sulla commutazione presidenziale della pena di Cristiano Lorenzo Kustermann Notizie Radicali, 9 luglio 2013 Riprendendo il precedente articolo gentilmente pubblicatomi nel settembre 2012 da “Notizie Radicali” prima del provvedimento di Napolitano in favore del giornalista-direttore Alessandro Sallusti “L’obliata prerogativa presidenziale di commutare la pena di cui all’art. 87 Cost.” mi cimento nuovamente in un terreno per me scivoloso, quale quello del diritto e della procedura penale (che pure rientra nel diritto pubblico, ma mi sento assai più sicuro scrivendo ad esempio di diritto delle autonomie locali), ed azzardo la stesura di una proposta di legge ordinaria volta a dare finalmente attuazione all’art. 87, undicesimo comma, della Costituzione. Detta disposizione a ben vedere sottintende la non-coincidenza tra l’istituto della grazia e quello della commutazione della pena, distinzione che è stata riscoperta dal Quirinale, e poi dai mass-media e dall’opinione pubblica, appunto con la giusta commutazione dell’assurda pena detentiva per reato giornalistico in pecuniaria in favore di Alessandro Sallusti. Orbene si tratta di vedere quanti Sallusti ci sono nelle carceri italiane, come giustamente ha detto Rita Bernardini. Per questo, in attesa della indispensabile amnistia (come sostiene financo un Ministro della Giustizia) volta a interrompere le uccisioni e torture perpetrate da anni nelle carceri-lager a causa delle omissioni di un certo stato-canaglia europeo (quale sarà?) anche ai danni del personale penitenziario, sottopongo ai lettori ed ai tecnici del settore un testo che vuole essere uno spunto per l’elaborazione di una leggina urgente sulla commutazione presidenziale della pena, che possa incoraggiare il nostro Presidente ad avvalersi più intensamente di questo istituto, espressivo di una norma costituzionale di “chiusura” del sistema giudiziario e volta ad umanizzare la giustizia penale. Ciò ben sapendo che la madre di tutte le riforme è la riforma radicale della giustizia penale e civile e di tutte le magistrature, come ben presente ai promotori dei nuovi quesiti referendari radicali sulla giustizia per legalizzare l’Italia prima che tutti - come profetizzato da Alberto Sordi nel film “Detenuto in attesa di giudizio” o da Edoardo Bennato nel brano “In prigione in prigione!” - diventiamo vittime incurabili di male carceri o malagiustizia quale fu Enzo Tortora. PROPOSTA DI LEGGE (In tema di commutazione presidenziale della pena) ART 1 (Modifiche al codice di procedura penale) 1. Nel codice di procedura penale dopo l’art. 681 è aggiunto il seguente art. 681 bis: “ART 681 bis. 1. La commutazione della pena è un atto formalmente e sostanzialmente rimesso al Presidente della Repubblica ai sensi dell’art. 87, undicesimo comma della Costituzione, soggetto a controfirma del Ministro della Giustizia, volto ad assicurare al condannato con sentenza penale definitiva un trattamento sanzionatorio piu’ aderente al senso di giustizia ed umanità per il singolo caso e che sia maggiormente conforme in concreto ai principi di proporzionalità e rieducatività di quello sancito giudizialmente in base ai rigori della legge, tenuto conto del reale peso affittivo delle sanzioni giudiziali comminate alla luce delle specifiche condizioni oggettive ambientali, personali, familiari. 2. La commutazione può trasformare la pena da detentiva in non detentiva, o, nell’ambito delle pene non detentive, può mutare la tipologia sanzionatoria secondo i principi di cui al precedente comma. 3. Si applicano all’istituto della commutazione presidenziale della pena le stesse disposizioni vigenti per la concessione presidenziale della grazia, salvo quanto diversamente stabilito dal presente articolo. 4. Se il condannato è detenuto o internato in un istituto penitenziario o in un settore di esso sovraffollato rispetto alla capienza di legge per delitti diversi dall’omicidio volontario, violenza sessuale, lesioni dolose gravissime, atti persecutori, strage o crimini contro l’umanità, la domanda di commutazione può assumere forma collettiva ed essere presentata dal detenuto o internato unitamente ad altri detenuti o internati del medesimo istituto o settore che versino nelle stesse condizioni di cui sopra. 5. La commutazione della pena può essere concessa, anche in assenza di domanda o proposta dell’interessato, con decreto del Presidente della Repubblica ai sensi dell’art. 87, undicesimo comma, Cost., pure in forma collettiva, essendosi soppesati singolarmente i casi dei richiedenti ed acquisito il parere del direttore dell’istituto penitenziario e del magistrato di sorveglianza che si esprimono entro il termine perentorio di 60 giorni dalla ricezione della richiesta di esso anche in ordine alla sussistenza del sovraffollamento complessivo o parziale nella struttura. Decorsi inutilmente i 60 giorni si prescinde dal citato parere e si può acquisire nei successivi 30 giorni il parere del vertice della polizia penitenziaria operante nell’istituto. 6. La commutazione collettiva della pena, ferma restando la necessità di una previa valutazione caso per caso delle posizioni dei singoli eventuali richiedenti, o detenuti o internati interessati, può essere concessa anche a più detenuti o internati condannati per lo stesso titolo di reato, benché eventualmente detenuti o internati in diversi istituti penitenziari, nei casi in cui la detenzione per tale titolo di reato risulti statisticamente rilevante nel concorrere a determinare il sovraffollamento carcerario o, alla luce di esso anche su scala nazionale, nel rendere di fatto contraria al senso di umanità o sproporzionata rispetto alla gravità del fatto o contraria al fine rieducativo l’afflizione per quel tipo di reato derivante in concreto dall’espiazione della pena detentiva alla luce delle oggettive attuali condizioni del sistema carcerario italiano e delle difficoltà di reinserimento sociale dei detenuti o internati. 7. La commutazione della pena, singola o collettiva, contestualmente concessa a più condannati può in ogni caso comportare l’adozione di misure umanizzanti differenziate anche in ragione delle differenti condizioni in cui versa il condannato, delle oggettive situazioni di sovraffollamento carcerario e della durezza della pena già scontata, della condotta del condannato. ART 2 (Modifiche al codice penale) 1. Nel codice penale è aggiunto il seguente articolo 174 bis: ART 174 BIS (Commutazione presidenziale della pena) 1. La commutazione presidenziale della pena di cui all’articolo 87, undicesimo comma, Cost. determina l’irrogazione di una sanzione meno afflittiva, non detentiva, e piu’ aderente al fine rieducativo, al posto della sanzione giudiziale. 2. Nell’art. 174.1 sono abrogate le seguenti parole: “o la commuta in un’altra specie di pena stabilita dalla legge”. Giustizia: dall’Azienda Regionale Sanitaria Toscana un’agenda per la salute dei detenuti di Giampaolo Donzelli La Repubblica, 9 luglio 2013 Di recente l’Azienda Regionale Sanitaria (Ars) della Toscana ha reso pubblici i risultati di una ricerca condotta nel corso del 2012 nei 17 penitenziari toscani sullo stato di salute dei detenuti. Lo studio, coordinato da Francesco Cipriani, ha compreso anche i detenuti minori di età, ristretti nelle case di Firenze e Pontremoli. Com’è noto, è stata una legge del 2008 ad estendere al SSN la competenza sanitaria sulle carceri italiane. Bene ha fatto quindi la Regione Toscana, mostrando fra le prime la necessaria attenzione verso questa fascia di popolazione, ad approfondire la conoscenza su un universo concentrazionario rimasto da sempre nell’ombra, un poco opaco e riottoso ad analisi puntuali e documentate. Dalla ricerca risulta che nel 2012 i detenuti in Toscana erano oltre 4 mila, la metà dei quali straniera, con una età media di 38,5 anni. Quasi il 10% dei detenuti è risultato senza alcun titolo di studio (contro il 4% fra la popolazione generale); poco più del 12% ha un diploma di scuola superiore (rispetto al 36% della fra i minorenni, l’assenza di istruzione raggiunge il picco del 50%. Pochissimi i laureati. La ricerca ha risentito delle difficoltà incontrate nel reperimento delle fonti documentali. Le conclusioni sono tuttavia attendibili e rendono un quadro fatto di molte ombre e qualche luce. D’altra parte, le carceri italiane non possono essere descritte come luoghi in cui possano essere assunti stili di vita che abbiano una qualche azione di educazione alla salute. Tralasciando coloro che hanno o continuano a fare uso di stupefacenti, il numero dei fumatori di tabacco è assai elevato, pari al 72% dei detenuti; solo il 43% fa esercizio fisico; appena il 33% è dedito ad abituale attività di lavoro (fra quest’ultimi le donne sono in maggioranza). Naturalmente, fra le cattive abitudini alimentari va incluso l’abuso di alcool, maggiormente diffuso fra la popolazione straniera che non fra gli italiani. In questo quadro, le malattie psichiatriche sono risultate il 41% del totale; seguono quelle dell’apparato digerente, quasi il 15% e poi quelle infettive, 11%. Significative anche le malattie endocrine e del metabolismo, associate spesso a cattiva nutrizione e ridotta attività fisica. Le malattie infettive sono: l’HIV, con valori stimabili di 25 volte superiore alla normale popolazione; la tubercolosi: 0,9% fra i reclusi, contro lo 0,008% della popolazione italiana; sifilide: 0,6% contro lo 0,004%; impressionante il dato dell’epatite C: 229 casi, pari al 58,3% di tutte le malattie infettive. Dalla ricerca esce confermato il fatto che spesso i disturbi mentali precedono il carcere, ma certamente il carcere li aggrava. Quasi il 48% assume farmaci antidepressivi, ansiolitici e antipsicotici. Quasi la metà dei pazienti con patologie psichiatriche risultano affetti da forme psicotiche particolarmente gravi. Tale quadro, di per sé grave, è ulteriormente appesantito dal numero elevato di atti autolesionistici denunciati in Toscana nel corso del 2012, pari a 204, cioè il 6,1% dei detenuti con 44 tentati suicidi, cioè l’1,3%. Per i suicidi la ricerca non dà invece risultanze riferite alla Toscana, mentre nel 2012 sono stati 56 i detenuti suicidatisi in carceri di altre regioni italiane, con una frequenza che risulta ben 17 vote superiore a quella fra la popolazione non detenuta. In definitiva, le conclusioni della ricerca confermano il perdurare nelle nostre carceri di condizioni di vita e materiali non accettabili. È un dover di civiltà, oltre che un obbligo giuridico superare la forte promiscuità, la totale mancanza di intimità, le condizioni di inedia e apatia, quando non di violenza o sopruso, imposte da un ambiente e da regole spesso non attente alla dignità del detenuto, né di chi ne ha la custodia. La ricerca dell’ARS contiene però ulteriori indicazioni che non dobbiamo lasciare cadere. Per i responsabili politici e istituzionali che si occupano delle politiche della salute, per i medici e i professionisti che sono a fianco dei malati, esse costituiscono la possibile agenda per un impegno rinnovato nei confronti di una popolazione “penalizzata”, che merita perciò tutta la nostra attenzione, se non vogliamo che il titolo delle ricerca “La salute dei detenuti in Toscana abbia alla fine un risvolto di involontaria ironia, se non di sarcasmo. Giustizia: Garavini (Pd); giro vite su perizie mediche in carcere, contro fuga mafiosi Ansa, 9 luglio 2013 “Il recente arresto in Colombia del boss Roberto Pannunzi ripropone la necessità di un giro di vite al sistema delle perizie, per evitare che medici compiacenti facilitino la fuga di boss criminali spacciandoli per gravemente malati, come è successo già troppe volte”. Lo dice Laura Garavini, componente dell’ufficio di presidenza del Partito Democratico alla Camera, in merito al caso Pannunzi, il “re della coca” clamorosamente evaso nel 2010 durante un soggiorno in una clinica romana, disposto per una cardiopatia ischemica. Garavini ha presentato una proposta di legge che introduce nuove regole per la designazione dei periti e dei consulenti di parte nel processo penale. “Bisogna creare le condizioni - spiega - affinché le consulenze e le perizie mediche siano impermeabili alla corruzione e alle infiltrazioni del crimine organizzato. Il diritto alla salute va garantito, ma bisogna evitare che venga usato come scusa per sfuggire alla pena o per proseguire gli affari illeciti. La nostra proposta di legge stabilisce criteri più stringenti sull’incompatibilità per gli incarichi peritali e, quando sia effettivamente accertato che il detenuto non è nelle condizioni di salute per restare in carcere, stabilisce che il giudice possa sempre adottare i provvedimenti idonei a evitare il pericolo di fuga. Per questo istituisce anche una lista degli ospedali e degli istituti di cura che presentano i requisiti più idonei di affidabilità e sicurezza”. Giustizia: Sappe; con inizio ramadan attenzione a detenuti islamici, rischio estremismo Adnkronos, 9 luglio 2013 In vista dell’inizio, domani, del mese di Ramadan, il Sappe, Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, richiama l’attenzione sulle esigenze dei molti detenuti di fede islamica presenti nelle carceri italiane. “Uno dei problemi fondamentali nella gestione delle carceri è determinato proprio dai detenuti stranieri - sottolinea il segretario, Donato Capece - Per quanto riguarda questi ultimi, dei 66.028 detenuti presenti al 30 giugno scorso, il 35,19% sono stranieri, per un totale di 23.233; di questi oltre 18mila sono extracomunitari. Attualmente, dai dati derivanti dagli ingressi in carcere, oltre 10mila detenuti circa si sono dichiarati di fede islamica, quindi, praticanti e rispettosi dei precetti religiosi, a partire dal mese del Ramadan, in cui digiunano durante il giorno”. L’Amministrazione, ricorda il Sappe, “deve fornire un vitto separato dagli altri detenuti, poiché quelli di fede islamica non mangiano alcuni cibi, come la carne di maiale. Sono tutte diversità che unite a quelle della lingua contribuiscono a rendere ancora piu’ difficile il lavoro all’interno delle carceri”. Rispetto a questi detenuti, “l’attenzione della Polizia Penitenziaria è maggiore, anche per monitorare l’eventuale rischio di diffusione del fondamentalismo” assicura il Sappe, che denuncia il rischio che il carcere possa diventare “il luogo in cui, sempre piu’ spesso, piccoli criminali vengono tentati da membri di organizzazione terroristiche detenuti” Il Sappe ritiene quindi necessario “uno sforzo formativo per dare agli uomini e alle donne della Polizia Penitenziaria tutti quegli strumenti tecnico-cognitivi per incrementare la propria professionalità, adattando le competenze e i metodi esistenti con nuovi standard operativi, in modo da trattare tali situazioni senza prescindere dalla diverse culture che si incontrano all’interno del carcere. In tali termini la Polizia Penitenziaria, che gioca un ruolo di primaria importanza all’interno dell’opera di prevenzione di tali fenomeni dal fronte delle carceri, può fornire un contributo di sempre maggiore eccellenza nel contrasto del fondamentalismo islamico”. Sardegna: ministro Cancellieri inaugura carcere Sassari… “no progetti per l’Asinara” Sardegna Oggi, 9 luglio 2013 Il Ministero della Giustizia non ha in programma nessun progetto che porti alla riapertura del carcere all’Asinara. A fugare i dubbi è stato il guardasigilli Annamaria Cancellieri, a Sassari per l’inaugurazione della nuova struttura penitenziaria di Bancali. Il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri smentisce le voci che nei mesi scorsi avevano indicato l’isola dell’Asinara come nuovo approdo per i detenuti grazie alla riapertura del carcere. Niente di tutto ciò, ma qualora la Regione valutasse l’ipotesi da Roma potrebbe essere presa in considerazione. Queste le parole di Cancellieri. Per il segretario del Pd, Silvio Lai “il ministro stamane ha confermato che l’Asinara è e resterà un parco. Da parte del governo non c’è alcun progetto di riapertura del carcere nell’area protetta e di questo non possiamo che essere soddisfatti. Concordiamo con il ministro Cancellieri - prosegue Lai - sull’importanza che riveste per Sassari e per l’intera Sardegna l’apertura di una struttura come quella di Bancali, che di fatto segna un deciso cambio di rotta anche nella gestione della popolazione carceraria, di chi in carcere lavora e di chi fa volontariato per il recupero delle persone detenute. Ora occorre proseguire il lavoro sul carcere a Cagliari. Dal ministro è giunta anche la conferma della possibilità di sperimentare proprio in Sardegna sistemi alternativi alla pena in carcere. Per quanto riguarda il San Sebastiano - conclude il parlamentare democratico, - la sfida è quella di restituire ai sassaresi un edificio che ha 160 anni; è un pezzo della storia della città e sul quale va sviluppato un progetto innovativo che non lo sprechi come risorsa per il centro città e lo sviluppo dei servizi al territorio. Su questo punto, con il sindaco di Sassari Ganau, ho potuto registrare la massima disponibilità del ministro e della amministrazione penitenziaria” L’Ugl denuncia: organico insufficiente Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, inaugurerà oggi a Sassari il nuovo carcere di Bancali dove ieri mattina vi è stato un sopralluogo della delegazione dell’Ugl che ha ribadito la scarsità di personale nell’istituto. Il trasferimento a Bancali dei 150 detenuti dal San Sebastiano, tra le peggiori strutture penitenziarie d’Italia destinata alla chiusura definitiva, è stato completato ieri. Il nuovo carcere ospiterà reclusi anche dalla Penisola, 92 dei quali in regime di 41 bis. Il ministro sarà accompagnata dal capo del Dap Giovanni Tamburino, dal Commissario straordinario del Governo per le Infrastrutture carcerarie Angelo Sinesio e dal provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Gianfranco De Gesu. La Cancellieri nel pomeriggio si sposterà ad Alghero per inaugurare il Museo della memoria nella colonia penale di Tramariglio intitolato all’agente di custodia Giuseppe Tomasiello, ucciso da un detenuto il 24 gennaio del 1960 durante un tentativo di evasione. Il ministro Cancellieri arriverà quindi all’indomani della denuncia dei sindacati, pronti a consegnare la relazione sulle carenze di personale di custodia, da loro constatate, nella struttura. “Abbiamo rilevato adeguati sistemi di automazione e standard detentivi corrispondenti alla norma sull’allocazione dei detenuti, ma il personale di custodia non può rimanere identico a quello già in forze nella vecchia struttura di San Sebastiano, perché insufficiente”, ha dichiarato il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, al termine del sopralluogo effettuato in mattinata. Aggiungendo che “la nuova struttura è stata progettata con una capienza complessiva di 465 posti ed in essa saranno reclusi non solo i 150 detenuti dell’istituto di San Sebastiano, trasferiti ieri, ma anche altri provenienti da tutta la Penisola, molti dei quali ad elevato indice di pericolosità e sottoposti a regime di 41 bis. La necessità organica per il funzionamento in sicurezza del nuovo istituto - prosegue Moretti - è di 338 unità, mentre al momento sono in servizio solo i 156 agenti del vecchio carcere, 20 dei quali distaccati, e temiamo che l’accelerazione per l’apertura della nuova sede, che sarà inaugurata oggi dal ministro Cancellieri, determini un sovraccarico di lavoro per il personale e porti al trasferimento dei detenuti previsti prima del promesso incremento di organico”. Oggi, ha spiegato il sindacalista, la segreteria regionale della Federazione consegnerà al ministro una relazione sulle necessità organiche della Sardegna, anche in vista della nuova apertura di Cagliari, perché “oltre ai piani previsti dal Guardasigilli sulle pene alternative e sul nuovo piano carceri per aumentare la capienza ricettiva, è necessario un adeguamento del personale che garantisca la sicurezza negli istituti”. Sdr: ministro affronti problema bimbo dietro sbarre “Dispiace rilevare che in occasione della inaugurazione della nuova Casa Circondariale di Sassari, nella frazione di Bancali, risulti presente in cella un bimbo di ormai quasi tre anni. È urgente che Annamaria Cancellieri assuma un’iniziativa forte per evitare a un innocente di trascorrere la prima infanzia dentro una struttura penitenziaria”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, facendo osservare come “il trasferimento renderà ancora più difficile la vita del piccolo che forse non potrà frequentare neppure un asilo considerata anche la distanza dal centro città”. “Le pari opportunità in una Nazione civile impongono - sottolinea Caligaris - uguali diritti e doveri per tutti. Pur ammettendo che possano esistere “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza” nonché un “rischio certo di recidiva” per la mamma, è inconcepibile non si possa trovare in Sardegna una struttura in grado di evitare al bambino il trauma della carcerazione. Non si spiega insomma perché i bambini in tenera età con le rispettive madri possano usufruire a Milano dell’Icam (Istituto a Custodia Attenuata per madri detenute), mentre in Sardegna, che peraltro è un’isola, debbano vivere in sezioni femminili”. “Non si tratta, e la Ministra della Giustizia lo sa bene, della indiscussa umanità delle Agenti di Polizia Penitenziaria o dei diversi operatori all’interno del carcere. È corretto però evidenziare - osserva la presidente di SdR - la disuguaglianza di trattamento e di considerazione verso minori già svantaggiati. È risaputo peraltro che la permanenza dietro le sbarre influenza pesantemente la crescita e lo sviluppo cognitivo e affettivo dei bambini. Nel nostro Paese però si ignorano principi e doveri verso i minori salvo quando entrano nel circuito delinquenziale”. “È arrivato il momento - conclude Caligaris - di affrontare una volta per tutte il problema della detenzione degli innocenti. Insieme a quelli in attesa di giudizio, ci sono purtroppo in Italia oltre 50 bambini in carcere, tra i quali quello di Sassari-Bancali”. Lai (Pd): bene l’apertura del nuovo carcere a Sassari, ora chiudete Buoncammino “L’apertura della nuova struttura a Bancali alla presenza del Ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, è sicuramente un segnale importante, per Sassari e per l’intera Sardegna, voluto da tempo per chiudere il carcere ottocentesco ormai inagibile. Si tratta di un gesto concreto atteso da decine di anni per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione carceraria come per coloro che in carcere ci vivono non essendo carcerati.” Così il segretario regionale Pd e senatore di Sassari Silvio Lai, che continua “Per questo domani parteciperò all’inaugurazione del nuovo carcere sassarese”. “Il prossimo passo deve essere la chiusura di Buoncammino, struttura ormai inadeguata per consentire davvero una convivenza civile ed il recupero delle persone detenute, nonostante gli sforzi della direzione e del personale impiegato” Ha proseguito Lai: “Al Ministro Cancellieri sottoporremo anche il problema degli organici della Polizia penitenziaria e dei detenuti sardi che scontano la pena in struttura fuori dall’Isola, malgrado il diritto riconosciuto alla territorialità della pena. Siamo certi dell’attenzione che l’esponente del Governo avrà per questi temi, la cui soluzione è indice di civiltà di un Paese.” Sicilia: il Garante dei detenuti; il ministro ha ragione, troppe lobby nella giustizia Ristretti Orizzonti, 9 luglio 2013 Il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri nella sua ultima visita a Catania per inaugurare il reparto detenuti dell’Ospedale Cannizzaro ha palesato i suoi dubbi in merito alla presenza di troppe lobby nel sistema della giustizia italiana. Un pensiero che è condiviso da Salvo Fleres, garante dei diritti dei detenuti della Sicilia, che ritiene come questa presenza rallenti i processi riformatori nel campo giuridico, dell’esecuzione penale e soprattutto sulle politiche delle carceri. “Fino a quando le Commissioni Giustizia di Camera e Senato saranno composte - dichiara a Justice Tg - prevalentemente, da avvocati e magistrati e fino a quando sarà forte la complicità occulta e trasversale tra giustizialisti e securitari che siedono nei due rami del Parlamento, le riforme della giustizia e dell’esecuzione penale, ancorché urgenti, verranno concepite solo come ridefinizione degli equilibri e degli interessi di queste categorie, non certo come strumenti in grado di rendere migliore il sistema e la società nella quale viviamo”. Salvo Fleres da tempo si batte per un modello di giustizia assolutamente diverso: più efficiente, più sicuro, ma anche più dignitoso trasparente e celere. “Da italiano - aggiunge Fleres - mi sentirei più tranquillo se in Commissione ci fossero imprenditori vessati dalla burocrazia e dal fisco, persone che sono state recluse ingiustamente, cittadini che attendono un giudizio civile da oltre 20 anni, perchè essi capirebbero, meglio di tanti altri, ciò che serve per evitare le storture presenti in questi delicatissimi settori. Quando il Ministro Cancellieri se la prende con certe “lobbies” - conclude il garante - non esprime solo una sua più o meno condivisibile opinione, ma si limita a registrare un fatto che è sotto gli occhi di tutti e che, così stando le cose, contribuisce a bloccare i processi di sicurezza, giustizia e sviluppo in cui è impantanata l’Italia, alimentando la sfiducia verso lo Stato, ma anche quella che ci proviene dall’Unione Europea, che considera il nostro Paese giudiziariamente non conforme agli standard degli altri membri”. Novara: Camera Penale; amnistia e interventi strutturali, per svuotare davvero carceri www.corrieredinovara.com, 9 luglio 2013 Governo che si insedia, decreto “svuota-carceri” che arriva. Quello dell’esecutivo-Monti si è rivelato sostanzialmente insufficiente a far tornare i conti negli istituti di pena sovraffollati, e a riportare un minimo di umanità. Ora ci prova il nuovo Guardasigilli Anna Maria Cancellieri, supportato dal premier Letta, col nuovo provvedimento entrato in vigore nel fine settimana. Subito bocciato dall’Unione delle Camere penali, la cui sezione novarese è presieduta dall’avvocato Fabrizio Cardinali: “Il decreto-legge intitolato “Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena” si appalesa del tutto inidoneo rispetto alle ragioni della sua emanazione indicate nel preambolo (perdurante sovraffollamento delle carceri; insufficienza dell’attuale disciplina a fronteggiare situazioni contingenti di inadeguatezza delle strutture penitenziarie; mancata risoluzione del problema da parte della legge 26/11/2010 n. 199 e successive modificazioni: cosiddetto “svuota carceri”)”. Spiega meglio il presidente Fabrizio Cardinali: “La stima del Ministero in ordine al fatto che la nuova normativa riguarderà 4.000 detenuti è, a mio avviso, alquanto ottimista. Il decreto introduce il computo anticipato degli sconti per la buona condotta sui periodi di detenzione eventualmente presofferti per evitare a chi con tali sconti scenderebbe sotto i 3 anni di pena residua (limite per la sospensione dell’esecuzione) di entrare in carcere prima di poter richiedere la concessione del citato beneficio. Inoltre - continua l’avvocato Cardinali - si eliminano le preclusioni alla sospensione dell’esecuzione ed alla fruizione della detenzione domiciliare ex art. 47-ter l. 354/75 per i recidivi reiterati”. Che significa? “Che anche un recidivo, se condannato a pena inferiore ai 3 anni, rimarrà fuori dal carcere, fino alla decisione del Tribunale di Sorveglianza di concedergli o meno i benefici penitenziari, ivi compresa la detenzione domiciliare, prima preclusa. Si ampliano inoltre le possibilità di uscita per i tossicodipendenti riconosciuti e si prevede il lavoro volontario gratuito in favore della collettività per i condannati. Trattasi di poca cosa a fronte del numero impressionante di detenuti che, come noto, è superiore a 70.000 unità mentre la capienza regolamentare è di poco superiore a 40.000”. Genova: nel carcere di Marassi un detenuto e 3 agenti “positivi” al test della tubercolosi La Repubblica, 9 luglio 2013 Controlli a tutto il personale della casa circondariale. A fine giugno la malattia era stata diagnosticata ad un detenuto ricoverato nel centro clinico. La denuncia della Uil Penitenziari. Scatta l’allarme tubercolosi nel carcere di Marassi: almeno tre agenti sono risultati positivi ai test della tubercolosi. La malattia era stata diagnosticata a fine giugno ad un detenuto italiano di 44 anni ricoverato nel Centro Clinico. Da allora il sindacato Uil Penitenziari Liguria ha denunciato scarsi controlli e il forte rischio contagio per agenti e detenuti. I medici interni della casa circondariale hanno sottoposto ad accertamenti clinici tutti gli agenti e il personale civile del carcere. “La possibilità che il contagio potesse riguardare anche il personale era un rischio da noi ben rilevato sin dal primo momento”, ha dichiarato il segretario regionale Uil Penitenziari Fabio Pagani. In realtà gli agenti sono risultati positivi all’esame che evidenzia non la malattia, ma un contatto con il batterio, contatto che può essere avvenuto anche molti anni prima e fuori dal carcere. Un caso di tbc tra i detenuti nel carcere genovese di Marassi (Adnkronos) Il provveditorato regionale per la Liguria dell’amministrazione penitenziaria comunica che nella seconda metà di giugno, nell’ambito dei controlli periodici effettuati dal servizio sanitario interno, un detenuto è risultato positivo per tbc in atto. Il detenuto è stato subito isolato e sottoposto ad accertamenti più approfonditi e alle terapie previste. Rimarrà in isolamento fino alla conclusione degli accertamenti. Il provveditorato precisa che “il personale, soprattutto se operante nel reparto sanitario, è munto di appropriati dispositivi di protezione da indossare allorquando entra in contatto con persone detenute che possano essere portatrici di malattie aero-contagiose” e che “sono state attivate procedure per una più estesa azione di monitoraggio nei confronti di quel personale che ne faccia richiesta, ovvero che risulti più esposto ai rischi di contagio, in ragione dell’impiego operativo”. Reggio Calabria: Centro Reggino Solidarietà; un detenuto su quattro è tossicodipendente di Dario Lo Cascio www.strettoweb.com, 9 luglio 2013 Il Ce.re.so., Centro Reggino di Solidarietà, denuncia tramite le parole del suo presidente, Don Pietro Catalano, la grave situazione carceraria che continua a persistere in Italia, e vede con occhio positivo il decreto “svuota carceri”. Di seguito la nota integrale: “Un detenuto su quattro è tossicodipendente. Basterebbe questo per farci accogliere con un giudizio positivo il decreto “recante disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena”, per ridurre il numero dei detenuti in Italia, in vigore dal 3 luglio. Il cosiddetto “svuota carceri”. Più volte l’Italia è stata condannata da parte di organismi europei ed internazionali per la situazione degradata delle carceri. Troppo spesso - ed i numeri parlano chiaro - la carcerazione ha prodotto tutt’altro che effetti positivi sulla sicurezza dei cittadini, portando chiaramente in primo piano la necessità di un intervento legislativo integrato con un programma efficace di reinserimento dei detenuti nella società. Inutile, oltre che anacronistico, risulta oggi parlare ancora di edilizia carceraria. L’unica via percorribile - e di questo ne siamo convinti - è la messa in campo di progetti di recupero sociale che possano garantire risultati molto più positivi ed a lungo termine. Il Centro Reggino di Solidarietà che si occupa di tossicodipendenza da oltre 20 anni ed ha vissuto da protagonista i molteplici passaggi legislativi che sono intervenuti in materia di sanità, pena e tossicodipendenza, non può infatti esimersi dal valutare il “decreto svuota carceri” in termini educativi, riabilitativi e di reinserimento sociale del detenuto tossicodipendente. Così come sancisce la nostra Costituzione, la finalità rieducativa della pena deve rappresentare l’orizzonte verso cui i servizi, siano questi sanitari o riabilitativi, devono tendere. Probabilmente in tal senso la svolta epocale si è avuta nel giugno 2008 quando le competenze sanitarie della medicina generale e specialistica penitenziaria, i rapporti di lavoro e le risorse economiche e strumentali, prima di allora in capo al Ministero della Giustizia, sono state trasferite al Sistema sanitario nazionale e quindi a Regioni e Asl. Si è trattato di una pietra miliare per la tutela della salute dei detenuti e di un importante passo avanti per la civiltà stessa dell’ordinamento penitenziario. Un passo avanti anche nella ricomposizione di un rapporto positivo tra carcere e società. Purtroppo il grande risultato ottenuto è stato presto svuotato di senso e di reale capacità di incidere nei processi riabilitativi poiché, come troppo spesso accade, un ruolo determinante lo ha giocato il fattore economico e le risorse disponibili per dare seguito a tale risultato. Sino al 2008 infatti le Comunità Terapeutiche avevano la possibilità di accogliere i detenuti tossicodipendenti, la cui spesa (retta) risultava a carico del Ministero della Giustizia che gestiva un fondo ad hoc, senza incidere in alcun modo sul “budget” previsto dalle Aziende Sanitarie competenti per la copertura degli utenti a proprio carico. Disponibilità dunque di due fondi distinti: quello per i tossicodipendenti detenuti e quello per gli utenti cd. “liberi” provenienti direttamente dai Ser.T.. Dal 1° gennaio 2009, l’attuazione del trasferimento delle competenze in capo al SSN, ha infatti determinato l’assemblamento delle risorse, prevedendo un fondo unico a carico delle Aziende Sanitarie e comportando di fatto una forte contrazione delle risorse economiche disponibili. Oggi, con le sole risorse della sanità, si è chiamati a gestire quasi il doppio dell’utenza. E se a questo si aggiunge la drammatica condizione calabrese - dove le risorse destinate dalla Regione Calabria per la cura delle dipendenze ammonta solo allo 0,4% dell’intera spesa sanitaria - parlare di educazione e reinserimento sociale diventa una mera illusione. Ad agosto di quest’anno il budget disponibile per il Ce.Re.So. si sarà già esaurito, ponendoci praticamente davanti alla scelta non solo di non poter accogliere più nessuno nonostante le richieste di aiuto siano in continuo aumento, ma addirittura di mettere alla porta chi, con impegno e fatica, cerca di affrancarsi da un passato di sofferenza e devianza. Le comunità terapeutiche, tra cui il Ce.re.so., oggi si trovano a non poter rispondere in termini di accoglienza né al tossicodipendente né al detenuto tossicodipendente. Ed ancora una volta a pagare sono sempre i più poveri”. Il Presidente, Sac. Pietro Catalano Torino: Osapp, esposto a Procura su irregolarità procedimenti disciplinari Adnkronos, 9 luglio 2013 “Abbiamo presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Torino rispetto alle anomalie riscontrate negli atti di alcuni procedimenti disciplinari a carico di appartenenti alla polizia penitenziaria e conclusisi a sfavore degli stessi poliziotti”. A riferirlo in una nota è Leo Beneduci, segretario Generale Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). “Da tali documentazioni, infatti - continua Beneduci - risultavano certificazioni di incontri tra i componenti del Consiglio di Disciplina che, in realtà, non si sarebbero mai tenuti, con quello che ciò potrebbe significare sia dal punto di vista amministrativo e sia dal punto di vista penale. Il sospetto, peraltro, è che tali comportamenti nei confronti degli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, in procedimenti spesso conclusisi con sanzioni disciplinari anche di notevole entità - sottolinea il sindacalista - non siano caratteristica esclusiva del Piemonte, ma si siano verificati e si verifichino tuttora anche in altre regioni”. “Siamo stanchi - conclude - di aspettare i silenzio e che presto, oltre che mediante la carta bollata, dovremo assumere concrete iniziative di protesta”. Stati Uniti: tribunale; Obama decida su alimentazione forzata di detenuti Guantánamo Tm News, 9 luglio 2013 Respinta richiesta sospensione presentata da detenuto. Il tribunale federale di Washington ha respinto la richiesta di un detenuto del carcere militare di Guantánamo, in sciopero della fame, di cessare la sua alimentazione forzata, ma ha chiesto al presidente Barack Obama di pronunciarsi sulla questione. Le autorità del carcere hanno reso noto di aver fatto ricorso all’alimentazione forzata per 44 dei 120 detenuti in sciopero della fame, una protesta iniziata oltre sei mesi fa. Il giudice ha stabilito che le leggi approvate dal Congresso impediscono di intervenire su alcuni aspetti delle condizioni di prigionia di Guantánamo, come l’alimentazione forzata, ma ha sottolineato come vi sia “una persona che ha certamente l’autorità per affrontare il problema” ovvero Obama, in quanto costituzionalmente comandante in capo delle forze armate. Arabia Saudita: pena di morte, decapitato un cittadino accusato di omicidio Aki, 9 luglio 2013 È stata eseguita per decapitazione in Arabia Saudita la condanna a morte comminata a un cittadino del regno accusato di aver ucciso a coltellate un uomo nella regione di Mecca al culmine di una lite. Lo riferisce l’agenzia di stampa ufficiale saudita Spa, che riporta una nota del ministero dell’Interno di Riad. Da gennaio in Arabia Saudita sono state eseguite almeno 57 condanne a morte. Nel 2012, secondo Human Rights Watch, nel regno sono stati messi a morte almeno 69 detenuti. Omicidio, stupro, apostasia, rapina a mano armata, oltre al traffico di droga, sono i reati che nel Paese vengono puniti con la pena di morte.