Giustizia: decreto-carceri, in vigore da oggi le misure urgenti contro il sovraffollamento di Anna Costagliola www.diritto.it, 3 luglio 2013 In vigore da oggi il D.L. 1 luglio 2013, n. 78 (cd. decreto carceri), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di ieri (G.U. 2 luglio 2013, n. 153) e contenente disposizioni tese a fornire una prima risposta del Governo in carica al problema del sovraffollamento penitenziario, al fine anche di scongiurare il rischio di nuove condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il problema del sovraffollamento carcerario non è solo un problema riguardante la sfera morale e sociale per la nostra democrazia, ma si configura, nella sua sostanza, come una problematica strettamente interconnessa alla tematica della legalità, comportando detto fenomeno costi altissimi causati dalla lesione dei diritti fondamentali di decine di migliaia di persone detenute. Alle origini del problema è innanzitutto un sistema carcerario con strutturale carenza di edifici adeguati. Nell’ultimo decennio, l’aumento della popolazione carceraria italiana ha generato un forte sovraffollamento degli istituti di pena che ha contribuito ad un notevole deterioramento delle qualità della vita dei detenuti, già provati per le condizioni di limitata libertà. In una sola cella arrivano ad alloggiare fino a sei/otto detenuti, favorendosi in tal modo il proliferare di malattie infettive. L’invivibilità del carcere acutizza o provoca anche patologie psicofisiche, insonnia, depressione e anoressia. A fronte di tale situazione, chi è meno in grado di sopportare la situazione di invivibilità è portato a reagire con gesti estremi, come il suicidio o lo sciopero della fame e della sete. Tuttavia, la grave situazione di sovraffollamento non consente di avviare a soluzione il problema in tempi rapidi, per cui si è imposta con prepotente urgenza all’attenzione del Governo la necessità di un intervento immediato per alleviare la situazione di particolare disagio in cui si trova la popolazione carceraria, fermi restando gli interventi più complessi e articolati, anche di tipo strutturale, che potranno dare risultati soltanto nel medio e lungo periodo. L’intervento riformatore si muove nell’ottica di favorire l’adozione di efficaci meccanismi di decarcerizzazione unicamente in relazione a soggetti di non elevata pericolosità; resta ferma, invece, la necessità dell’ingresso in carcere dei condannati a pena definitiva che abbiano commesso reati di particolare allarme sociale. Sul versante della deflazione carceraria, il provvedimento prevede misure dirette che vanno ad incidere strutturalmente sui flussi carcerari, sia sul fronte degli ingressi in carcere sia su quello e quella delle uscite dalla detenzione. Sotto tale profilo, il legislatore dell’emergenza ha inteso rimuovere alcuni automatismi, ancorati ad astratte presunzioni di pericolosità, che invero risultano privi di un reale significato in termini di cd. “difesa sociale” e che, in maniera spesso indiscriminata, hanno condotto in carcere, negli ultimi anni, un numero assai elevato di persone, impedendo loro di accedere alle misure alternative alla detenzione subito dopo il passaggio in giudicato della condanna. Pertanto, attraverso la modifica apportata all’art. 656 c.p.p., l’immediata incarcerazione è stata riservata ai soli condannati in via definitiva nei cui confronti vi sia una particolare necessità del ricorso alla più grave forma detentiva. Oltre alle condanne per reati contemplati dall’art. 4bis dell’ordinamento penitenziario, la misura è stata estesa anche alle condanne per il reato di maltrattamenti in famiglia commesso in presenza di minori di quattordici anni, alle condanne inflitte per atti persecutori aggravati commessi a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità ex L. 104/1992, ovvero con armi o da persona travisata, secondo quanto previsto dal terzo comma dell’articolo 612bis c.p. Nei confronti degli altri condannati si è intervenuti sulla cosiddetta “liberazione anticipata”, istituto che premia con una riduzione di pena, pari a 45 giorni per ciascun semestre, il detenuto che tiene una condotta regolare in carcere e partecipa fattivamente al trattamento rieducativo (v. art. 54 ord. pen). In base alle nuove previsioni, il pubblico ministero, quando il condannato non si trovi in stato di custodia cautelare e vi siano periodi di custodia cautelare o di pena fungibili in relazione al titolo esecutivo da eseguire, prima di emettere l’ordine di esecuzione della pena, deve richiedere al magistrato di sorveglianza l’eventuale applicazione della liberazione anticipata. In questo modo, le detrazioni di pena connesse alla liberazione anticipata, istituto che rimane invariato quanto ai presupposti e agli effetti, sono “anticipate” al momento dell’emissione dell’ordine di esecuzione, sia per ragioni di equità, sia per limitare l’ingresso nelle carceri per brevi periodi di detenzione. Sarà possibile, infatti, sospendere l’ordine di esecuzione (applicando il meccanismo previsto nei commi 1, 5 e 10 dell’art. 656 c.p.p.) ogniqualvolta la pena residua da espiare risulti inferiore a tre anni, al netto delle detrazioni derivanti dalla liberazione anticipata, salvo che si tratti di soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere o, comunque, condannati per reati per i quali non è consentita l’applicazione dei benefici penitenziari (articolo 4bis L. 354/1975). Nel primo caso, il pubblico ministero dovrà emettere l’ordine di esecuzione della pena, ma contestualmente deve anche trasmettere gli atti al magistrato perché determini le detrazioni di pena relative alla liberazione anticipata. Il decreto prevede poi l’innalzamento a quattro anni del limite di pena per la sospensione dell’ordine di esecuzione nei confronti di particolari categorie di condannati per i quali l’ordinamento penitenziario, all’art. 47ter, co. 1, già prevede la detenzione domiciliare negli stessi limiti di pena da espiare. Queste categorie di soggetti, qualora debbano espiare una pena compresa tra i tre ed i quattro anni, potranno, dunque, accedere alla detenzione domiciliare di cui al detto art. 47ter, co. 1, O.P., anche dallo stato di libertà, senza fare necessariamente ingresso in carcere. Ulteriori misure sono disposte dal D.L. 78/2013 per ampliare le possibilità di accesso alla misura alternativa del lavoro di pubblica utilità e della detenzione domiciliare (art. 2). Resta fermo il divieto di accesso alle misure alternative ed ai benefici penitenziari per i condannati per i reati previsti dall’art. 4bis O.P. Sono ancora abrogate le disposizioni che limitano per i condannati recidivi qualificati l’accesso ai benefici penitenziari (permessi premio, semilibertà) e vietano la concessione per più di una volta di misure alternative alla detenzione in un’ottica di progressione trattamentale. Ciò sul presupposto che tali condannati non sono necessariamente portatori di una significativa, attuale, pericolosità sociale. Sono infine ampliati i compiti assegnati al Commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie all’interno del quadro normativo fissato dal decreto del Presidente della Repubblica 3 dicembre 2012. Si tratta ora di vedere se gli interventi programmati dal Governo avranno un reale effetto deflattivo sulla popolazione carceraria. Giustizia: Lavori di Pubblica Utilità, così i detenuti diventano un’opportunità per gli Enti di Roberta Giuliani Il Sole 24 Ore, 3 luglio 2013 Con il “Decreto Carceri” le amministrazioni locali potranno impiegare i detenuti per lavori utili alla collettività come giardinaggio, pulizia delle strade e recupero del patrimonio ambientale. I detenuti e gli internati potranno essere assegnati a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito nell’esecuzione di progetti di pubblica utilità presso lo Stato, le Regioni, i Comuni, le Province o presso gli enti e le organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato. L’articolo 2 del Dl 1° luglio 2013 n. 78, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 2 luglio 2013 n. 153, ha introdotto il nuovo comma 4-ter all’articolo 21 della legge 26 luglio 1975 n. 354 che ha dettato le norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà. Gli Enti locali in base a questa norma potranno impiegare i detenuti per lavori utili alla collettività come giardinaggio, pulizia delle strade e recupero del patrimonio ambientale. Non solo, con la modifica introdotta al Dpr 9 ottobre 1990 n. 309 ad opera dell’articolo 3 del Dl n. 78, viene esteso il beneficio del lavoro di pubblica utilità anche all’ipotesi di reati commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, salvo che si tratti di reati gravi. Il lavoro di pubblica utilità trova la sua disciplina generale nell’articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, contenente le disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace: questa particolare tipologia di impiego non può essere inferiore a dieci giorni né superiore a sei mesi e consiste “nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato”. Il comma 3 dell’articolo 54 ha stabilito poi che “l’attività viene svolta nell’ambito della provincia in cui risiede il condannato e comporta la prestazione di non più di sei ore di lavoro settimanale da svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato. Tuttavia, se il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità per un tempo superiore alle sei ore settimanali”. Commissario straordinario del Governo. L’articolo 4 del Dl 78/2013 proroga fino al 31 dicembre 2014 le funzioni del Commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie e ne amplia i compiti all’interno del quadro normativo fissato dal decreto del Presidente della Repubblica 3 dicembre 2012. Come si legge nella relazione del Governo, sono dunque direttamente attribuiti al Commissario “i compiti di programmazione dell’attività di edilizia penitenziaria, di manutenzione straordinaria, ristrutturazione, completamento, ampliamento delle strutture penitenziarie esistenti, ma anche di realizzazione di nuovi istituti penitenziari e di alloggi di servizio per la polizia penitenziaria, nonché compiti di destinazione e valorizzazione dei beni immobili penitenziari e di individuazione di immobili dismessi al fine della realizzazione di strutture carcerarie”. Le funzioni di indirizzo, di vigilanza e controllo sull’attività del Commissario straordinario restano in capo al Ministro della giustizia, d’intesa con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Prevista poi l’intesa con l’Agenzia del demanio per l’adozione degli atti di destinazione, valorizzazione e individuazione degli immobili da parte del Commissario. Tali atti saranno sottoposti al controllo di regolarità amministrativa e contabile con obbligo, a carico del Commissario, di trasmissione periodica di una relazione sullo stato di attuazione dei compiti assegnati. Al Commissario non spetta alcun tipo di compenso ed è espressamente escluso l’impiego di nuove risorse. Giustizia: "tortura" nelle carceri italiane, è bene iniziare a chiamare le cose con il loro nome di Luigi Manconi Il Foglio, 3 luglio 2013 In base alla Convenzione contro la tortura delle Nazioni unite (1987) l’Italia e gli altri stati aderenti si sono impegnati a bandire la tortura dalle proprie pratiche disciplinari, procedurali e punitive, e di sanzionare l’illegittimo ricorso a essa. Ventisei anni e siamo ancora lì, a quell’obbligo internazionale che, peraltro, segue un preciso obbligo costituzionale: “È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà” (art. 13, comma 4). L’unica norma incriminatrice prevista dalla Costituzione, ma anch’essa disattesa ormai da quasi settant’anni. Eppure, come documenta Patrizio Gonnella nel suo “La tortura in Italia” (Derive Approdi, 2013), la tortura fa capolino da alcune sentenze recenti che, a dispetto del silenzio delle norme, non si negano il potere della parola, e chiamano le cose con il proprio nome. Qualificano, così, le violenze e gli abusi su persone private della libertà come fatti di “tortura”. Gonnella costruisce intorno alla “parola indicibile” (come la definisce Mauro Palma nella postfazione) un dizionario della violenza pubblica: dignità, verità, silenzio, eccezione, dolore, e via elencando, secondo un ordine concettuale che lega parole, luoghi e pratiche. Certo, la tortura è un estremo della privazione della libertà. Un estremo illegittimo ed eccezionale (illegittimo anche se eccezionale): eppure, quella pratica ci dice anche che la promiscuità coatta dei corpi è già un atto immediatamente violento, che induce dolore e, alla lettera, pena. Il confine tra la sofferenza legittima e quella illegittima è labile, tanto quanto è difficile contenere gli effetti concreti della privazione della libertà. Pensiamo al problema della detenzione delle donne, madri di figli minori, che convivono con loro in carcere. In nome della relazione irrinunciabile con la madre, quei bambini sono costretti a crescere in un ambiente patogeno, fino al compimento del terzo anno d’età. Successivamente, la madre sconterà la sua pena non solo nel distacco dagli affetti, ma dentro istituzioni organizzate sulla vita di quella enorme maggioranza di detenuti maschi (il 95 per cento circa). Ne scrive dettagliatamente Cristina Scanu, ne “La mamma è in prigione” (Jaca Book, 2013), la prima inchiesta sulla detenzione femminile in Italia. Immaginare alternative a questo oltraggioso scandalo nello scandalo, che imprigiona bambini da 0 a 3 anni, è possibile. Realizzare spazi meno ostili del carcere dove possano convivere madri e figli, oltre a rispondere a un imperativo morale, potrebbe sollecitare la fantasia sociale e il coraggio legislativo verso nuovi luoghi e pratiche di controllo e di reinserimento dei reclusi. Senza che ciò comporti, necessariamente, il fatto di finire ammassati e annichiliti nell’angustia oppressiva di una cella. Un’altra situazione estrema, altrettanto insensata, è quella rappresentata dalla detenzione dei tossicomani. Il “Libro Bianco” sulla legge Fini-Giovanardi, curato da Antigone, Cnca, Forum Droghe e Società della Ragione, riporta dati di grande interesse. Alla fine del 2012 sugli ingressi totali in carcere (63.020), quelli per violazione del solo art. 73 (detenzione) della legge antidroga sono stati 20.465, pari al 32,47 per cento rispetto al 28 per cento del 2006. Nello stesso 2012, sul totale degli ingressi, i tossicomani sono stati 18.225 (il 28,92 per cento rispetto al 27,16 per cento del 2006). È assai significativo, poi, che in particolare nello scorso anno la repressione si sia concentrata sulla cannabis, con una percentuale del 42,5 per cento sul totale delle denunce. E, così, dopo la flessione del 2009-2010, aumentano le segnalazioni al prefetto per consumo personale: dai 32.575 del 2010 ai 35.762 del 2012, di cui 28.095 per cannabinoidi. Se ne ricava un dato rivelatore, e, direi, allarmante: dal 1990 al 2012 le persone segnalate ai prefetti per le sanzioni amministrative sono state 853.004; e le misure irrogate risultano più che raddoppiate. E, tra quanti sono stati segnalati alle prefetture, crollano le richieste di programmi terapeutici: da 6.713 nel 2006 a 340 nel 2012. D’altra parte, diminuiscono le misure alternative: da 3.852 persone in affidamento nel 2006 a 2.816 a metà del 2012. Prima del 2006, la maggioranza dei tossicomani godeva dell’affidamento a partire dalla condizione di libertà, con la nuova legge il rapporto si è invertito: al 30 maggio 2012,1.854 persone erano in affidamento dopo essere passate dal carcere, a fronte di 962 soggetti provenienti dalla libertà. Come emerge nitidamente da questi dati, l’impatto carcerario della legge antidroga è la principale causa del sovraffollamento e, dunque, uno dei nodi essenziali sui quali intervenire. Ma su questo, ahinoi, la capacità di produrre confusione e di creare allarme da parte di un sistema politico-mediatico in evidente stato di alterazione mentale, è grande. Basti un esempio. Sul Fatto del 22 giugno scorso, il fine giureconsulto e autorevole tossicologo Carlo Giovanardi, celato sotto un fascinoso e aristocratico nom de piume femminile (Beatrice Borromeo, o qualcosa del genere) ha distillato - si ponga attenzione al linguaggio - alcuni pensierini sugli effetti della paventata “legge svuota carceri” (e poco importa se il decreto effettivamente approvato abbia previsto cose diverse): “Avviso ai criminali: se avete in mente di delinquere, vi conviene fare uso di droghe. E, se ancora non “vi fate”, abbiate cura di cominciare quando vi condannano. Prendiamo il caso di un rapinatore allergico alla cocaina: appena beccato, va in carcere. Se però dimostra che, al momento del reato o dopo averlo commesso, ha assunto sostanze stupefacenti o psicotrope, anziché in galera andrà a svolgere lavori di pubblica utilità. Finora poi questo beneficio era concesso solo per i reati minori del Testo unico sulla droga (come piccolo spaccio o modesta detenzione). Ora non più: i delinquenti tossici ringraziano”. Che Dio lo (la) perdoni. Giustizia: con il decreto-carceri diciamo addio alla Cirielli. E il resto? di Sandro Margara Il Manifesto, 3 luglio 2013 Che cosa dire del Decreto Legge 26.6.2013, appena varato dal nuovo ministro della Giustizia Cancellieri? Ci sono luci ed ombre, che è già qualcosa di questi tempi. Cominciamo con le mezze luci. Il decreto è stato presentato come l’elevazione della pena ammissibile da 3 a 4 anni per la detenzione domiciliare. Per vero la pena ammissibile alla detenzione domiciliare era già di quattro anni, ridotta a tre per uno dei vari ritocchi dell’art. 47ter, collegato alla legge ex-Cirielli, di cui puntualmente troviamo la cancellazione delle tracce nel nuovo decreto. Perché l’art. 47ter viene rivisto e riorganizzato, con la soppressione del comma 01 e del comma 1.1, della limitazione prevista alla fine del comma 1bis, nonché, infine, degli artt. 30 quater e 50bis e del comma 7 dell’art. 58 quater. Era ora e già che c’erano potevano sopprimere tutta la legge ex- Cirielli, che ha fatto tornare la recidiva ai tempi felici (per la recidiva) del Codice Rocco. Razionale il rimpiazzo del comma 0.1 con la lettera e-bis del comma 1 dell’art. 47ter, per gli ultrasettantenni, aggiunta ai casi previsti originariamente dal comma 1, dell’art. 47ter detenzione domiciliare; anche se questo allungherà i tempi di ammissione, fulminei nel primo caso di applicazione, riguardante Cesare Previti, per il quale era stata voluta la norma (“di persona, personalmente”, come dice un personaggio del Commissario Montalbano di Camilleri). Abbiamo esaminato prima l’articolo 2. L’art. 1 del decreto legge contiene disposizioni che riguardano l’art. 656 del C.p.p., cui vengono aggiunti i commi 4bis e 4ter, con disposizioni che appaiono ragionevoli, ma che avranno come risultato l’allungarsi (di molti mesi, se non di anni) dei tempi di ammissione alla detenzione domiciliare, con l’andirivieni tra pm, magistrato di sorveglianza e Tribunale di sorveglianza. Il risultato per il quale è stato pensato il nuovo sistema è modesto, come le modifiche dei commi 9 e 10 dell’art. 656 C.p.p.(contenute nella residua parte dell’art. 1 del d.l.). L’art. 3 del nuovo decreto legge estende, attraverso il comma 5ter, l’applicazione del comma 5bis dell’art. 73 del Dpr 9/10/1990, n.309, che consente ai consumatori di sostanze stupefacenti, responsabili di ipotesi non attenuate, la possibilità di sostituire alla pena detentiva e pecuniaria, il lavoro di pubblica utilità, prevista dalla legge sul giudice di pace (art. 54). Un piccolo e limitato passo avanti per una legge rovinosa, attaccata recentemente anche sul piano della costituzionalità. È l’art. 4 che rivela quella che potremmo chiamare la filosofia del decreto legge. Tale articolo fa emergere che c’è ancora una fiducia nella soluzione edilizia: un numero di posti maggiore in carcere risolve tutte le nequizie delle carceri italiane. Invece, non è così. L’alluvione di detenuti è il frutto dell’alluvione della penalità, indotta da specifiche leggi, tra cui brillano la Bossi-Fini (in quasi tutte le regioni del Centro-Nord gli stranieri sono la maggioranza) e la Fini-Giovanardi (questa legge è responsabile di buona parte dei nuovi arresti), nonché la ex-Cirielli, responsabile dell’entità delle pene (causa recidiva) e della limitazione alle misure alternative. Questo avviene a criminalità calante o stabile. Il nuovo decreto legge non tocca queste, che sono le vere cause del sovraffollamento. Quando le carceri ci sono, inesorabilmente le si riempiono, particolarmente se non se ne toccano le cause. C’è tanto bisogno di quattrini in questa nostra Italia che li dissipa fra cacciabombardieri e carceri inutili a ridurre il sovraffollamento. Giustizia: carceri sovraffollate, a maggio 2014 scatterà la multa Ue… e il conto sarà salato di Valter Vecellio Notizie Radicali, 3 luglio 2013 Dicono che le questioni relative al carcere e alla giustizia non fanno parte degli accordi di Governo; dicono che altri sono i problemi, le urgenze. Dicono che l’amnistia non è la soluzione, non risolve, che è un pannicello caldo; peccato che in alternativa non propongano nulla e nulla stiamo facendo. Il conto di questo non proporre e non fare nulla verrà pagato dai cittadini. Perché se la situazione delle nostre prigioni non muterà in modo sostanziale entro il maggio del 2014, lo Stato italiano dovrà pagare una maxi multa ai quasi 67 mila detenuti, per violazione dei diritti umani. A maggio 2014 infatti scade l’ultimatum della Corte di Strasburgo all’Italia: bisogna garantire ad ogni persona rinchiusa in cella uno spazio minimo di 4 metri quadrati, sufficientemente illuminato e pulito; bisogna inoltre assicurare, tramite le attività sociali all’interno del carcere, che il detenuto passi un buon numero di ore fuori dalla cella. Cosa succede se, oltre al decreto carceri emanato dal governo Letta, non si farà qualche altro intervento che vada nella direzione di uno svuotamento delle prigioni accompagnato da interventi di ampliamento e ristrutturazione dell’edilizia carceraria? Con una sentenza dell’8 gennaio 2013, la “sentenza Torreggiani”, la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia a pagare 100.000 euro di risarcimento a 7 detenuti che avevano fatto ricorso perché costretti a dormire in troppi in celle minuscole, nelle quali dovevano passare quasi 20 ore su 24 per mancanza di attività sociali nel carcere. Centomila euro diviso sette detenuti fanno 14.285 euro che lo Stato italiano deve sborsare per ogni carcerato. Secondo i dati dell’Amministrazione Penitenziaria del ministero della Giustizia, nelle 206 carceri italiane ci sono 66.271 detenuti, a fronte di una capienza di 45.568 posti. Moltiplicando la cifra del risarcimento per i circa 20 mila detenuti in eccesso, si ottiene una somma che di circa 300 milioni di euro. Se invece lo Stato dovesse risarcire l’intera popolazione carceraria, dovrebbe sborsare quasi un miliardo di euro. Il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, che ha detto che un’amnistia “darebbe un grosso aiuto”, ricorda che la capienza di 45 mila posti non è da prendere alla lettera perché “molti padiglioni sono chiusi per lavori o necessitano ristrutturazioni e l’Europa è dal 1990 che ci riprende”. Ecco, ricordiamoci queste cifre, quando ci dicono che le questioni delle carceri e della giustizia non fanno parte degli accodi di Governo, che sono altri i problemi e le urgenze, e l’amnistia non risolve. In Italia un detenuto su quattro è tossicodipendente L’impatto della legge antidroga Fini-Giovanardi sul carcere riguarda 4 detenuti su 10: dal 2006 al 2012 in Italia sono aumentati gli ingressi in carcere per droga e sono raddoppiati i detenuti per la violazione dell’art. 73, riguardo la detenzione di sostanze illecite. È questo il bilancio del quarto libro bianco sugli effetti della legge Fini-Giovanardi presentato questa mattina presso la Camera dei deputati da La Società della ragione, Forum droghe, Antigone e il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca). Secondo il libro bianco, oltre all’incostituzionalità per la Fini Giovanardi sollevata dalla Corte di Cassazione, su cui si dovrà esprimere la Consulta, c’è un dato di fatto che demolisce la legge antidroga: “Se l’obiettivo del legislatore del 2006 era il contenimento dei comportamenti connessi alle droghe illegali attraverso l’inasprimento punitivo non è stato raggiunto. Un detenuto su tre entra in carcere ogni anno per la violazione dell’arti. 73 (detenzione). Alla fine del 2012 gli ingressi totali in carcere erano 63.020, quelli per violazione del solo art. 73 della legge antidroga 20.465, pari al 32,47 per cento rispetto al 28 per cento del 2006. Raddoppiano, invece, i detenuti: al 31 dicembre 2012 erano 65.701, di cui quelli ristretti per art. 73 erano 25.269, pari al 38,46 per cento. A fine dicembre 2006 erano 14.640. Circa quattro detenuti su dieci sono ristretti per violazione dell’art. 73”. Per quanto riguarda i dati, il Libro bianco mette in guardia dalle “conseguenze indesiderate” dovute al passaggio della sanità in carcere al Servizio sanitario nazionale. Dal 2011 in poi, infatti, la rilevazione non è più a carico dell’Amministrazione penitenziaria, ma avviene attraverso le Regioni, tramite i Sert. A cambiare, però, sono stati i criteri di classificazione dei detenuti tossicodipendenti, che seguono le linee di indirizzo del Dipartimento politiche antidroga. Tuttavia, secondo le organizzazioni promotrici del Libro bianco, la scelta dei nuovi criteri è stata voluta per “ottenere una diversa classificazione dei detenuti tossicodipendenti per incidere sulle politiche giudiziarie e carcerarie. In altre parole, dietro lo schermo della “scientificità” e del “rigore diagnostico”, emerge il vero obiettivo politico: celare per quanto possibile il fallimento di quello che era stato propagandato come il punto forte della legge del 2006: ottenere la diminuzione dei tossicodipendenti in carcere. Infine, secondo il Libro bianco, crescono segnalazioni e denunce per cannabis. Crollano i programmi terapeutici, passati dai 6.713 del 2006, ai 340 del 2012, e gli affidamenti in prova ottenibili con pene o residuo pena fino a 6 anni. Giustizia: la dignità non solo dei detenuti con il decreto Cancellieri di Antonello Laiso www.agoravox.it, 3 luglio 2013 La dignità di una nazione si legge anche nei suoi metodi di contrasto della criminalità, ma soprattutto nel modo in cui affronta la riabilitazione di chi ha commesso un reato. La speranza è che il decreto Cancellieri possa costituire un passo in tal senso. Il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto inerente il sovraffollamento delle carceri presentato dal Ministro Cancellieri. Era doveroso per la nostra Nazione approvare norme in tal senso che permettono di dare una prima efficace risposta a quel sovraffollamento cronico endemico delle nostre carceri, ed alla relativa invibilità delle stessi. Il diritto ad una dignità in primis dei detenuti oltre ad un diritto alla vivibilità degli stessi in una struttura carceraria imponevano da tempo soluzioni a tale problema di antica data. L’emergenza carceraria si è fatta persino più incombente in ragione della reiterata condanna ai danni del nostro Paese da parte della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ma di certo non era questa la motivazione per la quale si è intervenuto ed alla quale si doveva intervenire già da tempo per l'alleggerimento del sistema penitenziario nostrano. La manovra di riforma ricalca la linea a favore dell’adozione di significativi dispositivi di de-carcerizzazione con riguardo esclusivo a quei soggetti considerati di non elevata pericolosità, ferma restando però l’obbligatorietà dell’ingresso in carcere per i condannati a pena definitiva giudicati colpevoli per reati di elevato allarme sociale. La non pericolosità degli idonei a misure di prevenzione e/o di carcerazione non in strutture carcerarie non puo' far gridare quell'"al lupo al lupo" quando non s'intravede neanche in lontananza l'ombra del lupo. La diminuizione dei flussi in entrata che comporta tale decreto con pene alternative alla carcerazione unitamente all' aumento dei flussi in uscita per periodi di bonus legati alla carcerazione e per buona condotta sarà quell'efficace soluzione per diminuire di parecchie migliaia i detenuti nelle nostre carceri. La credibilità di una Nazione è costituita anche dal suo sistema carcerario ed ancor prima dal sistema legislativo normativo di quelle pene che devono essere a riscatto di un delitto. Conseguentemente tale riscatto di un delitto tramite "quella pena" deve essere necessariamente quel percorso che coincide in una rieducazione del detenuto affinché questi non possa più delinquere. Il dovere di quella pena deve obbligatoriamente essere accompagnato dal diritto di quelle norme di vivibilità in tali strutture situazione che spesso non erano esaudite. Una situazione come l'attuale di quel noto e cronico sovraffollamento imponeva una soluzione oltre per un rispetto a chi riscatta una pena - che è una persona come noi - anche per noi stessi. La nostra immagine agli occhi di quell'Eurozona che tanto ci osserva ed alla quale dobbiamo equipararci con quelle regole comuni di Eurociviltà imponeva una scelta che non potrà che rendere onore alla nostra Nazione. Giustizia: Cancellieri; grandi lobby contro le riforme, per le carceri meglio l’amnistia di Massimo Martinelli Il Messaggero, 3 luglio 2013 “Chi teme il cambiamento difende vecchi privilegi”. Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, in un’intervista al Messaggero tende la mano agli avvocati dopo le polemiche sulle lobby: “Troviamo insieme un accordo”. E sull’emergenza carceri dice: “Farebbe comodo un’amnistia”. La riforma della giustizia resta centrale. “Il tunnel della giustizia italiana - spiega Cancellieri - richiede anni e anni di riforme molto serie. E so che tutto quello che stiamo facendo dà fastidio a qualcuno. Molte volte sono piccoli interessi di bottega, altre vere e proprie lobby”. Ministro Cancellieri, la polemica con gli avvocati napoletani non si è ancora sopita e lei parla già di lobby che si oppongono alle riforme. Dove sono, esattamente? “Sono sotto gli occhi di tutti. L’esistenza di queste lobby è evidente perché ogni cambiamento provoca delle reazioni molto forti quando non è gradito a tutti”. Perché non è gradito il cambiamento? “C’è sempre qualcuno che ha delle rendite di posizione che va a perdere. E quindi si oppone. Il cambiamento richiede coraggio, inventiva, mettersi in gioco. Significa imparare a fare cose diverse da quelle che si facevano fino al giorno prima. E parlo di ogni tipo di cambiamento, a qualunque livello di qualunque cosa si parli, c’è sempre qualcuno che lo contrasta perché comunque ha delle rendite di posizione perse. Poi, naturalmente, chi non conta nulla perde e basta. Chi ha alle spalle eserciti armati riesce a difendere le proprie posizioni”. Chi è che ha da perdere qualche rendita in questo tunnel buio della giustizia italiana? “Il tunnel della giustizia italiana richiede anni e anni di riforme molto serie. E so che tutto quello che stiamo facendo dà fastidio a qualcuno. Molte volte sono piccoli interessi di bottega, quindi non vere e proprie lobby ma piccoli campanilismi magari giustificati, penso al sindaco che si vede cancellare l’unica attività del suo comune che è il tribunale; ed è chiaro che la difende e cerca di opporsi. Può essere anche lecito, ma quello che manca e che è sempre mancato è capire come l’interesse generale debba essere così forte e così importante da predominare su tutto il resto”. Oltre al sindaco del piccolo comune c’è la lobby degli avvocati che non manda giù la legge sulla mediazione obbligatoria. Perché non si convincono? “Non tutti. Ho un incontro con loro a breve e sono sicura che troveremo un punto d’intesa. Basta fare le cose giuste nel migliore dei modi e sicuramente troveremo un’intesa. L’importante è che si lavori ad altissimi livelli dal punto di vista degli operatori”. Gli avvocati, ad esempio, dicono che il tentativo di conciliazione è una inutile perdita di tempo. “Può darsi che abbiamo ragione, non ho la bacchetta magica, però so che quando è stata applicata, la conciliazione ha dato degli ottimi risultati. Allora agli avvocati dico: proviamola, mettiamoci persone autorevoli e preparate a gestirla e sperimentiamola. Poi siamo sempre in tempo a cambiare, ma almeno proviamoci. Nessuno è infallibile, magari hanno ragione gli avvocati, ma almeno discutiamone senza preclusioni solo per principio”. Lei vorrebbe l’amnistia? “Non ho fatto nessun appello. Ho sempre detto che è una scelta politica”. Però si capisce che è favorevole. “Io ho un problema che devo risolvere che è quello del sovraffollamento ed è un problema notevole. E l’amnistia mi aiuterebbe molto. Questo non significa che se non c’è la volontà politica, vada fatta”. Ha avuto segnali di recepimento dalla politica? “No”. State facendo anche la depenalizzazione. “Stiamo lavorando parecchio su questo, c’è una commissione molto preparata al lavoro, presto avremo dei risultati”. Il timore è che si depenalizzino reati minori ma che destano allarme sociale. “Nessun reato che desta allarme sociale sarà depenalizzato”. Cosa pensa di quell’anziano signore che per difendere la moglie ha sparato ad un rapinatore e adesso è accusato di omicidio volontario? “Queste purtroppo sono situazioni molto complesse sulle quali è difficile dare giudizi senza conoscere la dinamica dei fatti. E io sinceramente non la conosco bene. Le armi sono sempre pericolose, ma su questa vicenda preferisco non fare commenti”. C’è quell’articolo 52 sulla legittima difesa che è po’ ambiguo. “Bisogna vedere a che tipo di pressione è stato sottoposto quel signore”. Giustizia: la penalista Giulia Bongiorno; è normale che ogni categoria tuteli i suoi interessi di Fabrizio Caccia Corriere della Sera, 3 luglio 2013 Giulia Bongiorno, 47 anni, palermitana, penalista di grido, difensore in aula d’imputati eccellenti, da Giulio Andreotti a Vittorio Emanuele di Savoia, dai manager Google all’allenatore della Juventus Antonio Conte, è stata in Parlamento fino a pochi mesi fa: An, Pdl, Futuro e Libertà. Ex presidente della Commissione giustizia della Camera dal 2008 al 2010, poi riconfermata fino al 2013, respinge tutte le accuse al mittente. “Le grandi lobby esistono in qualunque settore, esistono da sempre. Ed anzi è scontato che ogni categoria, ogni corporazione, abbia i suoi interessi e li tuteli. È normale che sia così. Ma le leggi poi le fanno il Parlamento e il governo. Il governo non può, non deve, mai, arrendersi: un ministro non può scaricare sulle lobby i problemi che incontra. Occorre mediare, incontrare, ricercare compromessi. L’ho vissuto sulla mia pelle, so cosa significa”. Siete una grande lobby, voi avvocati, e in Parlamento frenate le riforme: l’ha detto ieri il ministro della Giustizia, avvocato Bongiorno... “Sì, ho letto le sue dichiarazioni. Che devo dire? Concordo col ministro Cancellieri sulla difficoltà dei problemi della giustizia in Italia. Però, di sicuro, già il labiale di sabato scorso non era stata una buona partenza da parte sua...”. Il labiale catturato da Sky, quella frase infelice pronunciata durante un convegno (“Li vado a incontrare, così ce li togliamo dai piedi”) mentre un gruppo di avvocati in sala aveva iniziato a rumoreggiare. “Ecco, appunto, in futuro auspicherei un atteggiamento più benevolo nei confronti della categoria...”. La geografia giudiziaria è un tema complesso. Cambiare le circoscrizioni vuol dire sopprimere sedi, sezioni, procure, tribunali, giudici di pace... “Sì certo, se escludi Lucca subentra Lecco, sembra uno scioglilingua, Cancellieri ha ragione, esistono i campanilismi, le resistenze, è un percorso difficile, ma bisogna andare avanti comunque, il ministro dev’essere dura, decisa: del resto una traccia ce l’ha già, è quella che le ha lasciato il ministro Severino prima di lei. Certo, con la maggioranza che la sostiene oggi, cioè Pd-Pdl, lei non farà mai niente”. Non sembra una previsione tanto rosea… “È la realtà, purtroppo. Pd e Pdl la pensano diversamente su tutto in tema di giustizia: separazione delle carriere, magistratura, circoscrizioni. C’è una netta diversità di vedute, una visione opposta, che ho respirato anch’io quand’ero a Montecitorio. Ed è per questo motivo che la politica oggi non mi manca: la situazione mi sembra uguale a quando ho lasciato io. La stessa paralisi. Ma purtroppo non esiste una scorciatoia”. E allora cosa dovrebbe fare, la Cancellieri? “La Cancellieri è una donna esperta, sa quello che deve fare. Purtroppo non c’è una formula, bisogna semplicemente avere la forza di andare avanti per tentativi. Andare a parlare, per esempio, con gli avvocati. Perché non sono soltanto loro a frenare sulla giustizia”. Le lobby sono tante... “Appunto, ci sono anche dei magistrati che si oppongono alla revisione delle circoscrizioni. Però non per questo bisogna fermarsi. E non è necessario per forza ottenere il consenso di tutti, ricercare l’unanimità a tutti i costi”. Lei, però, in Commissione giustizia qualche volta la ottenne… “Sì, in effetti, nel nostro piccolo, qualche volta ci siamo riusciti a mettere d’accordo Pd e Pdl su alcune questioni: tipo la legge contro lo stalking, oppure qualche provvedimento sulle carceri. Ecco, il clima costruttivo di quelle sedute in Commissione, forse, è la cosa che mi manca di più”. Dica una cosa che ragionevolmente si può fare subito… “Si deve! Ridurre la durata dei processi: ecco la priorità. Facemmo uno studio approfondito, noi della Commissione, le cui conclusioni apparvero quasi banali: cambiando il sistema delle notifiche, non più il piccione viaggiatore, cioè l’ufficiale giudiziario, ma introducendo le notifiche telematiche, si può evitare il rinvio di tanti processi. Basterebbe ascoltare i suggerimenti di tutti: anche degli avvocati”. Giustizia: il penalista Gaetano Pecorella; intolleranza pura verso chi tutela diritti di libertà di Antonio Manzo Il Mattino, 3 luglio 2013 “Una reazione spropositata, esagerata. Mi dispiace per quel che è accaduto con gli avvocati di Napoli... credo che il ministro Cancellieri stia reagendo così all’astensione dichiarata dall’organismo unitario dell’avvocatura e alla opposizione sul progetto di revisione delle circoscrizioni giudiziarie”. Gaetano Pecorella, uno dei più noti penalisti italiani oltre che ex presidente della commissione giustizia della Camera dei Deputati, in quota Pdl, non ci sta a subire l’accusa di essere il socio in toga di una lobby antiriforma. Avvocato Pecorella, converrà almeno sul fatto che la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, ad esempio, venga imposta da un’Italia che è cambiata? “La mappa delle circoscrizioni giudiziarie vada profondamente riformata. Ma da qui ad operare con criteri standard, diffusi a tavolino su una cartina geografica dell’Italia e senza alcuna valutazione territoriale, spesso perfino delle vie di comunicazioni, ce ne passa davvero. Noi conosciamo i mali della giustizia italiana, facciamo il nostro mestiere a contatto con la giustizia malata e le assicuro che il primo problema no nè la revisione delle circoscrizioni giudiziarie”. Ma sono anche misure che tendono a risparmiare duplicazioni di uffici giudiziaria distanza di pochi chilometri, ad evitare che l’erario paghi sedi improprie. Cioè risparmio… “Pensi che in Sardegna si vuole abolire il tribunale di Olbia per trasferire tutto su Tempio Pausania. Ma le strade della Sardegna le conoscono? O meglio, conoscono la geografia giudiziaria e le esigenze locali? E poi, vogliamo parlare di spending rewiev? Ebbene, c’è il caso di Chiavari dove è stato costruito un nuovo palazzo di giustizia, costato quattro milioni di euro. Ebbene Chiavari sarà cancellata dalla geografia giudiziaria. Schizofrenia pura”. Non crede che sia davvero poco fermarsi all’opposizione sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie? “È vero. Ma le dò al mia esperienza personale di presidente dell’unione delle camere penali dal 1994 al 1998. Tanti dossier, tante proposte, a partire dalla separazione delle carriere, nulla di fatto per cambiare la situazione giudiziaria. Ma almeno si ragionava su proposte. Oggi quali sono le grandi riforme della giustizia proposte da un ex prefetto? Sfollare le carceri? Mi sembra un po’ poco. I problemi della giustizia esistono prima che il cittadino finisca in carcere, spesso con carcerazioni preventive ingiuste ed inumane. È chiaro che c’è folla nelle carceri rispetto alle reali possibilità di accoglienza. Il carcere, spesso, è la metafora dei processi che non si celebrano. E ci si dimentica che gli imputati sono persone con i loro diritti ed anche con il dovere di pagare un prezzo se hanno commesso delitti”. Ma all’accusa di lobbismo anti riforma come replica? “Una accusa ingiusta. Non sarebbe male se gli avvocati italiani fossero una lobby come in America. Purtroppo oggi non è così in Italia”. Cosa consiglierebbe al suo collega Alpa, presidente del consiglio nazionale forense, che oggi incontrerà il ministro Cancellieri? “Ho stima e fiducia nel collega Alpa ed è un grande avvocato che non ha bisogno dei miei consigli” E se ci fosse lei? “Contesterei al ministro che in Parlamento non ha presentato un nuovo modello di giustizia”. Quale logica ispira, secondo lei, questo attacco alla presunta lobby degli avvocati? “È intolleranza per il ruolo dell’avvocato in una società sempre più autoritaria”. Ma oltre al ministro Cancellieri anche la Confindustria attaccò la lobby… “Si, è vero. Ma stavolta è un ex prefetto che attacca gli avvocati. È ispirata dalla logica di una concezione sociale nella quale l’avvocato che è soggetto del dissenso viene tollerato e non accettato. Ce ne accorgiamo: la rivendicazione di alcune garanzie è avvertita come un fastidio, la difesa come un orpello alle discussioni. È un problema culturale di una società che lentamente degrada in autoritarismo silente e preoccupante”. Giustizia: Carlo, Irina e quei ragazzi dai coltelli facili. Inchiesta su Istituti Penali Minorili di Antonio Menna Il Mattino, 3 luglio 2013 Un ragazzo su cinque tra quelli reclusi negli Istituti di pena minorili italiani è della Campania, che con il 20,9 % è seconda, in questo triste primato, solo alla Sicilia, da cui proviene, invece, circa il 23 % dei detenuti nei quindici Ipm italiani. La media, per il 2011, per la Campania, è di 3,7 reclusi ogni 10mila minori residenti. Molto più di quella nazionale, attestata all’1,9%. Del resto, a tutto il Sud (comprese le isole) va il record della detenzione minorile: il 54,3% dei baby reclusi è meridionale. A questo si aggiunge che la stragrande maggioranza dei detenuti minorenni del Centro-Nord ha residenza italiana ma origini straniere (Romania, Marocco, Serbia) mentre è bassa la percentuale di detenuti minorenni stranieri al Sud. I dati arrivano dall’Istat che ha condotto, d’intesa col Ministero della Giustizia, una ricerca sui reati compiuti dai minori in Italia, disegnando il quadro di un’adolescenza perduta, di un diritto alla vita smantellato fin dall’età più lieve. Ventimila i reati commessi nel 2011 dai ragazzi in Italia. Sei volte su dieci sono rapine (24%), furti (21%), e altri contro il patrimonio. Ma non mancano lo spaccio di droga (12%), i reati contro la persona come violenze, lesioni, risse, pestaggi, e qualche omicidio (2,3%). Per la maggior parte sono commessi da italiani (83 %), soprattutto da maschi (oltre il 90%), e solo il 20 % ha meno di 15 anni; ma sei volte su dieci, nonostante la giovanissima età, si tratta di recidivi. Hanno già commesso un reato, hanno già conosciuto la giustizia. Mentre non conoscono, probabilmente, infanzia e adolescenza. Una strada segnata dall’approdo al carcere, che è spesso un incubatore di nuovo crimine, e da storie di solitudine profonda, dove fermenta il gesto criminale prima ancora che si compia. Così piccoli, così grandi. Quasi tutti i detenuti hanno alle spalle storie familiari di degrado, di povertà, di abbandono. I ragazzi arrivano nella rete della giustizia minorile dal mare grande della marginalità sociale. Le loro famiglie sono spesso note ai Servizi sociali comunali, e l’approdo ai Centri di prima accoglienza, alle Comunità e poi al carcere vero e proprio, sembrano tappe di un giro segnato. Dietro i numeri, infatti, ci sono volti, racconti di vita, ma anche straordinarie sorprese, riscatti improvvisi. Da Nisida, per esempio, unico istituto di pena minorile napoletano, uno dei tre italiani (con Pontremoli e Roma) che ospita anche donne, arrivano molte storie che si somigliano nel tratto iniziale (degrado familiare, povertà), nella immancabile recidiva, ma qualche volta, di colpo, si accendono di speranza. “La possibilità s’illumina all’improvviso - dice un operatore di Nisida, quando mai te l’aspetti. In un attimo vedi che quel ragazzo violento e apatico s’interessa a qualcosa. Su quell’interesse si può costruire una strada”. È successo così a Vito, arrivato a Nisida a quindici anni direttamente da Secondigliano, dopo aver mandato in coma un coetaneo con cui aveva litigato a colpi di catena, quelle per legare gli scooter. Una detenzione di alcuni mesi vissuta nell’apatia, con la speranza esibita pubblicamente che quel ragazzo mandato in coma, morisse. Poi, l’improvviso interesse. A Nisida arrivano due familiari di una vittima innocente di camorra. Fanno parte di un progetto con l’associazione Libera. Vito ascolta, si avvicina, è colpito dal loro dolore, poi ne parla agli insegnanti, che capiscono l’emozione del ragazzo. Vito comincia a partecipare alle attività dell’Istituto e oggi esibisce pubblicamente un’altra speranza: aprire un negozio. Lo stesso obiettivo di Giuseppe, sedici anni ad aprile, di Scampia. Padre con 20 anni di carcere per omicidio, madre ai domiciliari per droga, il ragazzo fa una rapina alla persona sbagliata, un poliziotto in borghese, che gli esplode contro un paio di colpi; due mesi in coma, parte dell’intestino asportato, una gamba perduta. Così vicino alla morte da decidere di recuperare la vita. Giuseppe si mette a studiare, prende la licenza media. Ora ha un progetto: aprire un negozio con la mamma, appena avrà scontato gli ultimi due anni. È il lavoro, la chiave che apre la cella. È il lavoro, la preoccupazione di Gaspare. Anche lui è arrivato a Nisida direttamente dalla strada. Padre tunisino, madre italiana, per piccoli furti, mesi in comunità. Ma proprio qui, dopo aver subito un presunto tentativo di violenza, ammazza il suo educatore. Per lui arriva una lunghissima condanna. Ma qui la luce si accende nel rapporto con un libro. Gaspare, fermo alla terza elementare, comincia a leggere. Prima cose semplici, poi di più. Come un bambino che non ha tempo, fa tutte le tappe in pochi mesi. Poi vuole sistemare la biblioteca dell’Istituto, e quando arriva l’età di passare nel “carcere dei grandi” riesce ad ottenere un penitenziario dell’Italia centrale, con una grande biblioteca, di cui oggi è il curatore. Vuole lavorare con i libri, anche fuori. Perché vede una strada. La stessa che vede Carlo, a Nisida per omicidio, questa volta di un coetaneo, dopo una rissa. Nell’Istituto incontra un maestro di musica (Pino De Maio), e con lui impara a cantare. Si riprende il sogno. Intanto lavora in un bar, come garzone, ma sarà un artista - giura - ed è meglio credergli. Come Irina ha creduto a Sergio: due giovanissimi detenuti rumeni, entrambi per furto. Lui la intravede a Nisida, se ne innamora, chiede di imparare a scrivere per mandarle biglietti d’amore. Lo fa, la conquista. Oggi sono sposati, hanno due figli, e lavorano entrambi. Ogni tanto tornano a raccontare che c’è, dietro i numeri dell’Istat, e i destini segnati di tante storie, anche un’altra strada, un’altra possibilità. Un’altra vita, magari. L’operatore sociale: ci accorgiamo di loro quando commettono un crimine “Arriviamo tardi, sempre troppo tardi. Ci accorgiamo di loro quando commettono un crimine. Ma dovremmo farcene carico prima, quando questi ragazzi sono bambini e, a volte, hanno scritto sul volto il loro destino”. Lo dice con amarezza, Salvatore Esposito, operatore sociale, esperto di politiche per minori, già dirigente della Regione Campania e del Comune di Napoli, oggi alla guida di un Comunità alloggio per minori a Somma Vesuviana, “La tartaruga”, gestita dall’associazione “Il Pioppo”. Ventimila reati commessi da minori nel 2011.Lamaggior parte da ragazzi del Sud. Contiamo i numeri dopo, ma che cosa si può fare prima? “Di fronte alle statistiche sale il rammarico. Quanti di questi ragazzi potevano essere indirizzati verso un altro destino? Bastava intervenire per tempo. Sappiamo tutto. Se andiamo in una scuola elementare di Scampia, o di qualche altro quartiere problematico di Napoli e guardiamo negli occhi i bambini di terza, per esempio, possiamo già leggere nei loro occhi, sui loro visi, quello che potrebbe essere il destino che li aspetta”. Molto conta la famiglia, soprattutto quando non c’è. “Conta moltissimo, anche per assenza, per cattivo esempio. Se leggiamo le storie familiari, vediamo che spesso tutto sembra già scritto. Questo acuisce il rammarico. Sappiamo già dove sono i problemi, quali potrebbero essere gli sbocchi, ma interveniamo tardi. Facciamo poco, quasi nulla sui bambini, prima che diventino capaci di agire in autonomia, e spesso di sbagliare”. Povertà e degrado, sembrano essere gli elementi che condannano un bambino. Chi deve intervenire? “Le istituzioni non investono, o lo fanno pochissimo, sulla fase di prevenzione e di tutela dell’infanzia. Poi spendono per luoghi di detenzione, che sono spesso palestre di devianza. Leggendo quei numeri io dico che si deve intervenire sui bambini quando sono piccolissimi, e lo si deve fare con un grande programma nazionale di stato sociale per i bambini. Il nodo è l’incrocio tra la povertà e il degrado. Famiglie senza mezzi in contesti di marginalità frantumano l’infanzia, è lì che bisogna intervenire. Lo raccontano anche i dati. Gran parte dei ragazzi che finiscono nel circuito della giustizia minorile ha precedenti in famiglia, viene da situazioni di disagio sociale ed economico, proviene quasi sempre dalle stesse zone, da quei quartieri dove viene negato il diritto all’inclusione, alla buona pratica, perfino alla bellezza. Da noi, in Comunità, abbiamo un giardino, e stanze colorate. Quando i ragazzi vengono qui, il loro primo commento è che sono entrati in un albergo extralusso, come se non fossero proprio abituati alla normalità di un ambiente curato. I bambini, in contesti di povertà, diventano quasi degli ostaggi sociali. È la povertà materiale, che diventa anche povertà immateriale, di valori, che condanna. Quando nasce un bambino in una famiglia povera, le istituzioni devono esserci. Devono essere lì”. Ci sono, però, anche esempi di riscatto possibile. Minori che nell’esperienza dura del carcere riescono a trovare una strada. “Dopo il reato, la possibilità è quella di programmi personalizzati. Bisogna farsi carico dell’individuo nella sua specificità, Ognuno di noi ha un’abilità, un talento. Bisogna tirarlo fuori, farglielo coltivare. Ma anche per questo sono necessari investimenti, risorse. I programmi personalizzati richiedono figure specializzate, un lavoro profondo anche sui modelli culturali. È necessario quello che anni fa abbiamo chiamato Programma di adozione sociale. Una società che lavora sulla dignità della persona. La capacità di dare a questi ragazzi senza un passato, la speranza di un futuro”. Giustizia: Totaro (Fdi); messa alla prova incentiva criminalità, ci opporremo duramente Ansa, 3 luglio 2013 “Fratelli d’Italia si oppone e si opporrà duramente a questo provvedimento sulla “messa alla prova” perché riteniamo che non si voglia intervenire veramente sul sovraffollamento carcerario. Chi gira per i penitenziari d’Italia sa bene che esiste una situazione grave di presenze eccessive nei nostri istituti di pena, ma il ragionamento fatto qui è diverso: si fa un’operazione di carattere culturale, perché con interventi del genere è chiaro che dopo poco tempo le strutture carcerarie avranno di nuovo una presenza eccessiva e il problema non sarà certo risolto”. Lo ha detto Achille Totaro, deputato di Fratelli d’Italia, durante il dibattito in Aula sulla ddl sulla messa alla prova. “Ad esempio - ha aggiunto - il furto in abitazione è un reato gravissimo, ed è previsto in questa legge che possa essere amnistiato, in quanto il cittadino che commette un simile reato può andare dal giudice e dire “io voglio redimermi, voglio cambiare”, anche se è recidivo. E come dimostrato da ciò che si può leggere troppo spesso nelle cronache giornalistiche, spesso in casi simili vi sono persone che hanno subito violenza, vi sono state donne stuprate, e persino proprietari d’appartamento che sono stati uccisi. Ebbene, un signore che viene preso a commettere questo reato può chiedere al giudice di poter espiare la pena fuori dal carcere. Secondo noi è inaccettabile. Fate un gran parlare in campagna elettorale della sicurezza dei cittadini, salvo poi venire in Parlamento e proporre simili provvedimenti, che non puniscono coloro che commettono reati, ma vanno nella direzione opposta, cioè quella di incentivare la criminalità italiana e straniera”. Giustizia: il sindaco di Verona, Flavio Tosi, scrive al ministro “no a legge svuota carceri” Ansa, 3 luglio 2013 “Il cosiddetto Decreto svuota carceri, non rappresenta una soluzione strutturale al problema del sovraffollamento delle carceri, non tutela la sicurezza dei cittadini e non rende il sistema carcerario rispettoso della dignità dei detenuti”. Lo sostiene il sindaco di Verona, Flavio Tosi, che ha inviato una lettera sulla questione al ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Per Tosi “le cause del sovraffollamento sono note: da un lato l’eccessiva lentezza dei tempi processuali e, dall’altro, l’inadeguatezza ed inefficienza di ogni provvedimento attuato finora, i cui effetti sono stati solo quelli di rimettere in libertà per pochi mesi migliaia di detenuti, gran parte dei quali, poi, più o meno rapidamente, sono rientrati in carcere per nuovi reati”. “In attesa di una riforma della giustizia che riduca i tempi processuali - scrive Tosi -, credo sia possibile affrontare il sovraffollamento carcerario senza essere condizionati dall’emergenza, ma programmando una soluzione realisticamente realizzabile”. Per questo il sindaco di Verona propone di diversificare “i luoghi di reclusione in base alla pericolosità dei detenuti: per i condannati per reati giudicati socialmente meno pericolosi o di minor allarme sociale, potrebbero essere approntate strutture più leggere di quelle attuali utilizzando gli edifici delle numerosissime caserme dismesse e che potrebbero essere adattate con minor spesa rispetto alla costruzione di nuove strutture”. Giustizia: Letizia (Radicali); il decreto-carceri va nella direzione giusta… ma solo in teoria di Angelo D’Ambra www.webnapoli24.com, 3 luglio 2013 Abbiamo incontrato Domenico Letizia, membro dell’Associazione Radicale “Legalità e Trasparenza” di Caserta, già candidato alla Camera dei Deputati per la lista di scopo radicale “Amnistia Giustizia Libertà”, per discutere con lui della questione carceri. Questa è l’intervista che poniamo all’attenzione dei nostri lettori. Il Consiglio dei ministri, dopo diversi rinvii, ha approvato il decreto carceri per contrastare il sovraffollamento ed evitare le sanzioni minacciate dalla Corte Europea di Strasburgo. Si prospetta una diminuzione di circa seimila carcerati nei prossimi due anni con un minore ricorso alla reclusione ed un maggiore utilizzo del lavoro socialmente utile. Nelle due centosei galere italiane vivono più di sessantaseimila persone a fronte di circa quarantamila posti e depenalizzazione, misure alternative e riorganizzazione degli istituti sembrano quindi le parole chiave per correggere questo insostenibile e disumano sistema. Il ministro Cancellieri inoltre insiste sulla necessità di un’amnistia. Siamo sulla strada giusta? “In teoria sì, in pratica per nulla. L’unico aspetto positivo di tale chiacchiericcio mediatico è che finalmente si è posta l’attenzione sulla questione giustizia in questo paese, nonostante tale situazione sia allarmante e criminale da decenni. L’unica e autentica soluzione al problema del sovraffollamento delle carceri italiane è l’Amnistia per la Repubblica, gli italiani, invece, hanno il dovere morale di correre a firmare i referendum sulla giustizia giusta e i diritti civili, si pensi alla depenalizzazione per l’uso delle droghe leggere o all’abolizione della legge Bossi Fini, queste rappresentano azioni concrete e autenticamente riformiste, il resto è propaganda, mentre nelle nostre carceri si continua a morire e contemporaneamente migliaia e migliaia d’italiani inseguono una giustizia civile e penale che dopo decenni di attesa da responso, spesso anche non attinente alla vera giustizia”. Solo nel 2012, ci sono stati cinquantasei suicidi nelle carceri italiane. Anche a Poggioreale di recente si è suicidato un detenuto sottoposto ad isolamento giudiziario. Il carcere napoletano ospita, oltre a scarafaggi e topi, duemila ottocento persone ma ha una capienza di mille quattrocentotrenta posti. Le condizioni sono invivibile ed è stata anche aperta un’interrogazione parlamentare su presunte violenze all’interno dell’istituto. Quali sono le condizioni invece della Casa Circondariale di San Tammaro (Ce)? “Pessime e davvero degradanti. In una delle ultime ispezioni carcerarie ove ero presente insieme a Luca Bove e con il (già) senatore radicale Marco Perduca, abbiamo riscontrato delle condizioni davvero preoccupanti al limite della civiltà. Durante l’estate, sistematicamente, manca l’acqua per lavarsi e i detenuti sono costretti ad acquistarla facendola riscaldare dalle finestre delle loro misere celle e con questa successivamente lavarsi. Un sistema criminale che andrebbe approfondito poiché dietro questo meccanismo camorristico vi è qualcuno che si arricchisce alle spalle dei detenuti e dei parenti dei detenuti. Il problema principale del carcere è quello del sovraffollamento, ma la situazione è drastica anche per i parenti “liberi” che ogni dì vanno a trovare i propri cari facendo file enormi sotto il sole intenso d’estate e il freddo gelido d’inverno poiché non vi sono sale d’attesa o un qualcosa di decente dove poter attendere e sostare”. Torniamo al decreto. Sono state numerose le parole di apprezzamento, ma anche le critiche. I penalisti hanno espresso il timore che la riforma sia in realtà assai leggera, anche i sindacati Sappe e Osapp parlano di “misure importanti ma non decisive”, Lega e IdV vi si oppongono rimproverando un eccessivo buonismo verso chi ha sbagliato, Pd e PdL invece lo difendono. Certo fare qualcosa era necessario, l’Italia non può più essere condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, c’è però da dire che il decreto oltre a parlare di un più oculato ricorso alla detenzione, prevede anche che entro il 2016 siano pronti diecimila posti in più. Non c’è forse un controsenso? Questo governo sa che direzione prendere? “Come è solito, il fare della partitocrazia è far rumore sul nulla, soprattutto se si tratta di formazioni politiche giustizialiste fino al midollo, ma poi ricche di “scandali” e “vergogna politica”, come l’Italia dei Valori e il suo patrimonio immobiliare coi soldi del contribuente o la Lega Nord razzista, omofoba, però amante dei diamanti dei paesi che denigra; aggiungo che con tutti i movimenti separatisti e secessionisti che sono implosi all’interno della Lega Nord, il progetto leghista è sepolto, finito, perfino i militanti stanno abbandonando il Carroccio. Gianfranco Miglio è da anni che si rivolta nella tomba (permettete la forzatura) per la vergogna dell’azione politica che quel partitino “antistatalista”, ma super ancorato alla “pappa pubblica”, ha sviluppato in questo paese. L’unica vera alternativa alla sistematica violazione dei diritti umani e civili dei detenuti e di tutto il mondo penitenziario a partire dalle guardie carcerarie è il procedimento giuridico denominato Amnistia. L’obiettivo di una società che vuole divenire davvero laica, libera e rispettosa della dignità umana non è quello di costruire nuove patrie galere, magari privatizzandole come è stato anche proposto, ma puntare utopicamente ad una società senza galere; attenzione però, non parliamo di utopie insensate ma di proposte politiche concrete, un esempio è la situazione della Norvegia, ove non esistono delle vere e proprie patrie galere ma delle comunità, simili per lo più a delle case famiglia dove il detenuto, seguito e assistito, s’inserisce nel mondo lavorativo, studiando ed apprendendo una professione, il tutto senza che vi sia violazione della dignità umana”. Di che cosa hanno più bisogno i detenuti? Il detenuto ha semplicemente bisogno di divenire un cittadino accettato dalla comunità, un individuo che ha commesso degli errori che è pronto a pagarli impegnandosi, se vuole, per la sua comunità e per lo sviluppo di questa. Ciò avverrà solo quando l’alternativa alla punizione e alla discriminazione diverrà il potenziamento delle capacità di ogni singolo individuo, inserito in un circuito che proponi un alternativa al nulla attuale. Se per “detenuti” intendiamo anche i ragazzi arrestati che per una serata hanno fatto uso di cannabis o il migrante senza permesso di soggiorno direi, semplicemente, che il potere ogni giorno commette un crimine contro l’umanità e il sensato vivere quiete. Uno schiaffo alla libertà che ogni individuo per diritto innato possiede. Giustizia: perché il decreto sulle carceri sembra figlio di un dio minore… di Maria Grazia Caligaris (Presidente Associazione “Socialismo Diritti Riforme”) Sardegna Quotidiano, 3 luglio 2013 Nessun dubbio sul fatto che la neo Ministra della Giustizia Anna Maria Cancellieri sappia di ciò che parla. Non è infatti insignificante che, presentato il provvedimento al Consiglio dei Ministra, abbia dichiarato la sua adesione convinta a un’indispensabile amnistia. È pienamente consapevole infatti che il nuovo decreto del Governo Letta non è in grado di restituire piena dignità alla detenzione così come non eviterà la sanzione della Corte di Strasburgo. Lo dicono anche le previsioni più ottimistiche che fanno ritenere in due anni la riduzione di 6 mila detenuti nelle 206 carceri italiane. Numeri però che contano poco se si considera che la capienza regolamentare è di circa 45 mila posti e i cittadini privati della libertà sono 67 mila. Il decreto Cancellieri insomma è figlio di un Dio minore, esattamente come lo è stato quello di Paola Severino. Entrambi sono condizionati dal primo “svuota carceri” dell’ex Guardasigilli Angelino Alfano. Il problema infatti non è solo quello del numero eccessivo di detenuti dietro le sbarre, ma che alle condizioni di invivibilità determinate dagli spazi angusti, si aggiunge l’inattività a cui sono costretti i cittadini privati della libertà e la reclusione per almeno 20 ore al giorno. L’esempio di Buoncammino a Cagliari è emblematico. 500 detenuti per 345 posti regolamentari e una costante inerzia dentro le celle che impedisce qualunque rieducazione. Una situazione riscontrabile ovunque in evidente contrasto con la Costituzione. Attualmente inoltre è notevolmente peggiorata perché il Paese attraversa una pesante crisi economica con risvolti ancora più negativi per i detenuti ai quali è negato il più delle volte l’accesso al lavoro per assenza di opportunità. In realtà come la Sardegna è ancora peggio. Le strutture penitenziarie dunque sono fuori legge perché l’applicazione delle pene segue un iter non più rispondente alle finalità per le quali la detenzione è stata istituita. Per essere ancora più chiari occorre dire che le carceri italiane sono strettamente legate a principi costituzionali, mentre qualche legge, come quella che punisce il reato di clandestinità, non lo è affatto. Diventa quindi indispensabile rivedere il sistema giudiziario ristabilendo un equilibrio tra reato e pena. Il decreto Cancellieri invece è nato in un contesto politico anomalo che non permette interventi riformatori. Le “larghe intese” non consentono di agire perseguendo finalità conseguenti a indirizzi definiti. Ad aggravare la situazione è il diffuso senso di insicurezza. La realtà sociale è quotidianamente rappresentata come un luogo di pericolosa convivenza, dove è necessario vivere esercitando costante attenzione e diffidenza verso il prossimo. Anziché operare sul fronte del riequilibrio della ricchezza, delle opportunità e della prevenzione del disagio sociale, si è individuato il carcere come luogo ideale dove nascondere le difficoltà. Un decreto non può ristabilire un patto violato tra Stato e cittadino. Può aiutare a rivalutare alcuni aspetti problematici. È evidente che favorire le pene alternative, l’affidamento ai servizi sociali, i lavori socialmente utili così come assegnare ai domiciliari persone anziane e ammalate o le donne con bimbi in tenerissima età, ha un preciso significato, apprezzabile sotto qualunque profilo, ma non risolutivo di una condizione insostenibile. Il decreto Cancellieri insomma sembra piuttosto voler ricordare che esistono pene alternative al carcere per moltissime persone e va benissimo, ma purtroppo non basta. L’ultima parola spetta al Parlamento per migliorare il testo e promuovere un’azione riformatrice. Subito però serve un po’ di coraggio. Lombardia: il Garante Giordano; serve subito un’amnistia, per le carceri che scoppiano di Alessandro Barcella Il Giornale, 3 luglio 2013 Qualche luce molto intensa, cui ispirarsi, e altrettanto intense ombre. È la metafora del sistema carcerario lombardo, che raccontiamo attraverso le parole di Donato Giordano, Garante regionale per i Detenuti. “Il mio compito è innanzitutto quello di garantire ai detenuti l’erogazione di prestazioni legate alla tutela della salute, al miglioramento della qualità della vita, all’istruzione e alla formazione e a ogni altra funzione finalizzata al recupero e reinserimento sociale e nel mondo del lavoro” spiega Giordano. Reinserimento dunque: una prima “spinosissima” questione: “Senza il volontariato sarebbero davvero pochissimi gli ex detenuti in grado di reinserirsi ed essere accettati dalla società. Il terzo settore in questo Paese fa la parte del leone, le istituzioni non se ne occupano”. Luci e ombre, dicevamo all’inizio. Anche tra le quattro mura delle 19 carceri lombarde. “Abbiamo 9.228 detenuti ospitati per una capienza che dovrebbe essere attorno ai 6.051: dunque un problema esiste. Cremona, Pavia e Voghera dovrebbero ora ampliare le disponibilità di posti, sino a 700 unità, attraverso nuove strutture già approvate. Accanto all’emergenza sovraffollamento occorre però raccontare a tutti l’eccellenza di Bollate, carcere milanese che va portato a modello. Su 1.182 detenuti oltre il 40% lavora, all’interno e all’esterno. È un carcere dove non esistono sezioni chiuse e la recidiva una volta scontata la pena è tra le più basse in assoluto, credo tra il 3 e il 4% contro il 20-30% di media nazionale. Qui operano ad esempio due call center per il pubblico e per il privato e ci sono numerose altre attività tra cui un maneggio e società sportive. Un vero modello, insomma”. Nessun eccessivo buonismo verso chi ha sbagliato: occorre davvero pensare al sistema in modo del tutto nuovo. “Non si ha il coraggio di capire che bisogna depenalizzare e creare misure alternative - conclude Giordano - alleggerendo il carico di processi o notizie di reato che ingolfano il sistema. Nessuno ha il coraggio di dire che occorre un’amnistia. Iniziamo ad alleggerire le Procure depenalizzando tutta una serie di reati leggeri o prevedendo vere misure alternative, che al momento non vengono concesse. L’occasione della mediazione civile? È stata affossata dalla lobby degli avvocati”. E le ombre allora si allungano, con Bergamo che ospita 500 detenuti dei quali quasi il 60% tossicodipendenti e San Vittore che “straripa” mentre due raggi sono chiusi da tempo per lavori. Sicilia: il Garante Fleres; la legge sui “domiciliari” non funziona, sono aumentati i reclusi Il Velino, 3 luglio 2013 “Il saldo di efficacia della legge 199/2010, che prevede la concessione degli arresti domiciliari per i reclusi, non recidivi, a cui mancano meno di 18 mesi di carcere per concludere la pena, è stato nullo, anzi, a giudicare dalle cifre ufficiali, del tutto privo di effetti”. Lo afferma il Garante dei diritti dei detenuti della Sicilia, Salvo Fleres, a proposito delle statistiche del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del primo semestre del 2013, secondo cui benché in Sicilia 1.273 reclusi siano stati assegnati agli arresti domiciliari, in esecuzione della legge 199/2010, la popolazione carceraria è lievemente cresciuta, da 7.093 a 7.144 unità. “Ove fosse ancora necessario - commenta Fleres - dimostrare che il sistema penitenziario italiano abbia bisogno di un forte scossone, circostanza sostenuta più volte anche dal ministro della giustizia, le cifre riportate fornirebbero un elemento di assoluta inconfutabilità. Le leggi carcerogene Bossi-Fini, in materia di clandestinità, e Fini-Giovanardi, in materia di tossicodipendenza - sottolinea il Garante - stanno affollando gli istituti di pena ed abbassando il grado di rieducazione, senza aumentare il livello di sicurezza della società”. Dai dati emerge inoltre che in Sicilia i detenuti in attesa di primo giudizio sono passati dai 1.421 del 31 dicembre 2012 ai 1.473 del 30 giugno 2013. Tra le regioni con il più alto numero di reclusi, la Sicilia, con 7.144 presenze, passa dal terzo al quarto posto, preceduta dalla Lombardia, con 9.307 detenuti, dalla Campania, con 8.165 detenuti e dal Lazio, con 7.205 detenuti. La maggioranza degli stranieri detenuti in Sicilia è costituita da marocchini, seguiti da romeni, albanesi e tunisini. Le donne in carcere sono 168, mentre i semiliberi sono appena 99. “In queste condizioni - conclude Fleres - c’è solo da augurarsi che il recente provvedimento del Governo, mirante a riformare alcune disposizioni penitenziarie, anche ai fini di un possibile sfollamento, segua un iter parlamentare celere ed ulteriormente migliorativo, altrimenti il nostro Paese non sarà nelle condizioni di rispettare né i vincoli, né i termini impostigli recentemente dall’Unione Europea, in materia di regolare detenzione”. Firenze: tutto il degrado di Sollicciano nelle fotografie scattate dalla Uil-Pa Penitenziari di Jacopo Storni Corriere della Sera, 3 luglio 2013 Pareti ammuffite, muri sfondati, discariche a cielo aperto, ragnatele nei soffitti, escrementi di piccione sulle finestre, nidi di uccelli nei corridoi, impianti antincendio fuori uso, porte e vetrate rotte, infiltrazioni d’acqua. Sollicciano sembra un carcere del Terzo Mondo. L’istituto penitenziario fiorentino - come denunciano ampiamente le foto scattate dalla Uil-Pa Penitenziari, sindacato degli agenti penitenziari - versa in condizioni di degrado disumano. A questo si aggiunge il sovraffollamento cronico della struttura, dove dimorano quasi mille detenuti a fronte di una capienza regolamentare di circa 500. Il degrado a Sollicciano Nelle celle da 3 vivono 6 reclusi in spazi ristrettissimi. Molte celle devono ricorrere ai letti a castello per comprimere i detenuti. Una situazione insostenibile secondo gli agenti della Uil Pa, che chiedono adesso le dimissioni del direttore del carcere Oreste Cacurri. A pesare sul degrado c’è sicuramente la carenza di risorse a livello statale, ma secondo Uil-Pa, “il direttore è responsabile di una situazione che in parte potrebbe essere evitata”. “Credo che emergano precise responsabilità per il degrado e la fatiscenza in cui versa la struttura - dice Eugenio Sarno, segretario generale Uil Pa Penitenziari - Le difficoltà gestionali relative ai tagli di fondi, che pure siamo consapevoli esserci, non giustificano minimamente il livello di abbandono che abbiamo potuto monitorare. Sollicciano è una vera e propria bomba ecologica ed occorre intervenire con immediatezza per ripristinare condizioni minime di salubrità ed igiene”. Uil Pa inoltrerà il servizio fotografico “a tutte le autorità competenti dell’amministrazione penitenziaria, al ministro Cancellieri, al sindaco Renzi, al presidente della Provincia Barducci, al presidente della Regione Rossi, al Procuratore Capo, al Prefetto e al direttore generale dell’Asl competente”. Firenze: a Sollicciano “lo sciopero del carrello” per protestare contro il sovraffollamento Ansa, 3 luglio 2013 Il Garante dei detenuti: “È un segno di presa di coscienza e di rivendicazione di piena cittadinanza e soggettività da parte della popolazione detenuta”. I detenuti e le detenute di Sollicciano hanno proclamato “lo sciopero del carrello”, cioè del vitto passato dall’Amministrazione Penitenziaria, come sostegno al digiuno a staffetta per la legalità nelle carceri e per superare il sovraffollamento. “È un segno di presa di coscienza e di rivendicazione di piena cittadinanza e soggettività da parte della popolazione detenuta - dice il garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone - che va ricordato, ha aderito a Firenze alla raccolta di firme per le tre proposte di legge di iniziativa popolare, raccolta che ha ottenuto l’adesione anche da parte di ristretti in altri istituti. Anche il consigliere della Provincia di Firenze Massimo Lensi (radicale nel Gruppo Misto) e Maurizio Buzzegoli, dell’associazione radicale Andrea Tamburi, sostengono lo “sciopero del vitto”. “Appoggiamo questa iniziativa nonviolenta dei detenuti affinché con urgenza si prendano dei seri provvedimenti - dichiarano Lensi e Buzzegoli. Le proposte della ministra Cancellieri sono solo un palliativo che non risolverà i problemi della giustizia e del carcere: è necessario e urgente che il Paese inizi un dibattito politico e sociale su questi temi e al tempo stesso che il Parlamento cominci a pensare ad un provvedimento di amnistia, l’unico per rientrare nei ranghi costituzionali e nelle direttive delle giurisdizioni internazionali”. I due esponenti radicali accennano quindi ai referendum radicali: “Come forza extraparlamentare stiamo tentando di raccogliere 500.000 firme per eliminare quelle leggi criminali e criminogene e attraverso i referendum sulla Giustizia Giusta far diventare questo Paese veramente democratico”. Brescia: la Corte europea per i diritti umani chiede i dati sui reclusi di Canton Mombello di Thomas Bendinelli Corriere della Sera, 3 luglio 2013 Nei giorni scorsi la Corte europea per i diritti umani ha chiesto all’ufficio del garante dei detenuti di Brescia un apposito file contenente i dati dei 354 detenuti che avevano fatto ricorso nel gennaio scorso. “Un segnale importante, il ricorso va avanti”, ha affermato il 2 luglio a palazzo Loggia il garante dei diritti dei detenuti Emilio Quaranta. “Una vicenda preziosa - ha sottolineato il sindaco Emilio Del Bono - sosteniamo i ricorrenti non solo formalmente, col garante, ma anche politicamente”. Il ricorso dei detenuti contro la situazione degradante nella quale sono costretti a vivere risale al 2 gennaio. Non una class action, ma 354 ricorsi individuali per i quali il rappresentante unico dei ricorrenti è proprio Emilio Quaranta. La strada bresciana segue l’onda di analoghi ricorsi presentati da altri sette detenuti nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza e rispetto ai quali nel gennaio scorso la Corte europea ha condannato l’Italia, rigettandone poi il ricorso a fine maggio. Ora l’Italia ha un anno di tempo per risolvere la situazione del sovraffollamento carcerario e “delle condizioni inumane” in cui obbliga i detenuti. Se non lo farà, dovrà risarcire chi (100 mila euro circa solo per i sette detenuti di Busto Arsizio e Piacenza) farà ricorso. Trascorso l’anno di tempo, dalla prossima primavera alla corte verrà discusso anche il ricorso dei detenuti bresciani. Il decreto del governo della scorsa settimana affronta solo parzialmente il problema, facilitando la concessione di pene alternative ma intervenendo solo in minima parte su altri aspetti, dall’edilizia carceraria alle leggi (quella sulle droghe in primo luogo) che negli anni hanno riempito oltre ogni limite gli istituti di pena. A dare il loro appoggio al ricorso, oltre al rappresentante dell’Ordine degli avvocati Giovanni Salvi anche diversi capigruppo dell’opposizione in Loggia quali Francesco Onofri (Civica), Laura Gamba (Cinque Stelle) e Mattia Margaroli (Pdl). “Canton Mombello deve essere chiuso e sostituito con un’altra struttura più adeguata - ha detto Quaranta - Bene che su questo si possa fare rete tutti insieme”. “È dal 1996 che Canton Mombello è considerato il primo carcere da chiudere - ha ricordato Del Bono - ma nei tanti piani per l’edilizia carceraria alla fine Brescia è sempre stata sfilata. Ora bisognerà fare tutte le pressioni necessarie per far sì che il Governo metta finalmente le risorse”. Canton Mombello sovraffollato I detenuti ricorrono alla Corte (Brescia Oggi) In 354 hanno sottoscritto la denuncia presentata per garantire i “diritti umani”. Il garante solidale spiega: “È una vera schifezza” Sindaco in prima linea: “Già sentito il Ministro”. “Il carcere di Canton Mombello è una schifezza”: parola di Emilio Quaranta, garante dei detenuti, che ieri ha illustrato il ricorso presentato alla Corte per i Diritti umani del consiglio d’Europa relativo alle condizioni di sovraffollamento e disagio dei carcerati di Brescia. Un ricorso sottoscritto da 354 detenuti di Canton Mombello che hanno scelto Quaranta come loro rappresentante. Una sorta di class action perché “avere un metro quadro o poco più a disposizione per vivere è considerato tortura e trattamento inumano e degradante e viola l’articolo 3 della Convenzione Europea sui diritti dell’Uomo”, come ha sottolineato il garante. Nella struttura di via Spalti San Marco ci sono 96 celle, qualcuna di 12,40 metri quadrati (di cui solo 4 calpestabili) e qualcun’altra di 18 (tre calpestabili). In queste condizioni non solo è impossibile condurre un’esistenza dignitosa, ma è assai arduo attuare progetti di rieducazione che permettano ai detenuti di sentirsi “reclusi ma non esclusi”, come recita il motto di una delle associazioni vicine ai carcerati. Un motto ripreso dal sindaco Emilio Del Bono, che ieri ha voluto confermare l’impegno dell’amministrazione a fianco delle iniziative per i detenuti, garantendo pieno sostegno al ricorso presentato alla corte Europea. “È un’iniziativa preziosa e non solo simbolica - ha valutato Del Bono - perché il carcere è parte della comunità cittadina e come tale deve essere percepito, anche se non è facile. Non solo: il carcere deve essere un elemento di risocializzazione, perché soltanto così, con persone che vengono rieducate e riammesse nella comunità, è possibile creare sicurezza”. Il Sindaco ha ribadito l’impegno a “moltiplicare la pressione sui ministeri di Giustizia e dei Lavori Pubblici per ottenere le risorse che finora ci sono state negate: più volte Brescia era stata inserita in un piano di edilizia carceraria per poi esserne esclusa al momento della realizzazione”. Del Bono ha anche confermato la volontà di proseguire sulla strada della “costruzione di un nuovo carcere e non all’ampliamento dell’esistente, confermando il sito di Verziano: anche se non è di competenza comunale, faremo di tutto per creare le condizioni per questo progetto. Nei giorni scorsi ho sentito il ministro Annamaria Cancellieri che mi ha confermato di avere Brescia nel cuore”. Il ministro ed ex prefetto di Brescia è stato lodato per il decreto che porta il suo nome e che dovrebbe costituire una prima risposta al sovraffollamento e all’alleggerimento del sistema penitenziario. “Sono fiducioso”, ha valutato Quaranta, ammettendo però che a Brescia la magistratura di sorveglianza è particolarmente severa, a conferma della denuncia fatta tempo fa da diverse realtà in merito ai pochi provvedimenti di pene alternative presi in città. “Il problema tuttavia è generale - ha precisato il garante -: c’è bisogno di una robusta depenalizzazione, perché oggi in Italia tutto è reato”. Alla conferenza stampa hanno preso parte anche i capigruppo delle opposizioni. Da tutti, seppur con toni decisamente diversi, sulle tematiche relative al carcere alla Giunta è arrivata la garanzia di “sostegno” (Francesco Onofri di Piattaforma Civica e Laura Gamba del M5S) o “quantomeno sensibilità” (Mattia Margaroli del Pdl). Quanto al ricorso alla Corte Europea, sostenuto anche dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e dalla Camera Penale di Brescia i tempi sono molto lunghi: “Alla Corte ci vorranno almeno due anni per fissare l’udienza dove poi andremo a discutere”, la previsione dei giureconsulti. Parma: la Garante regionale Desi Bruno incontra i detenuti e raccoglie le loro segnalazioni Ristretti Orizzonti, 3 luglio 2013 Effettuare colloqui con i detenuti firmatari di lettere collettive indirizzate al suo ufficio: a questo scopo, Desi Bruno - Garante regionale delle persone private della libertà personale - ha visitato gli Istituti Penitenziari di Parma. A fronte di una capienza regolamentare di 385 ed una “tollerata” di 652, alla data del 24 giugno erano presenti 643 detenuti, di cui 420 condannati in via definitiva, 58 in regime di 41bis, 85 in “alta sicurezza”; 191 gli stranieri. 18 i detenuti ammessi a lavorare all’esterno. Il personale di Polizia penitenziaria è di 382 unità effettivamente in servizio, a fronte di 406 assegnazioni, su una pianta organica di 479 dipendenti. Fra le questioni sottoposte alla Garante, è risultata di particolare rilievo quella del diritto allo studio, rappresentata da appartenenti al circuito differenziato dell’alta sorveglianza, alcuni dei quali ergastolani cosiddetti “ostativi”, per i quali è previsto davvero un “fine pena mai”, non avendo alcuna prospettiva di accesso alle misure alternative. Costoro hanno posto l’attenzione sulla centralità degli studi universitari nell’ambito del loro percorso di rieducazione e/o responsabilizzazione, e come strumento di riscatto personale; alcuni sono già iscritti a corsi universitari, altri hanno intenzione di farlo appena conseguita la licenza superiore. Le condizioni in cui cercano di studiare sono difficili: non esiste ovviamente la possibilità di frequentare i corsi, e sono assai rari i contatti con i professori; quando sono disponibili degli appositi spazi all’interno degli Istituti, lo sono per limitate fasce orarie; la solitudine nel percorso di studio è solo in parte ridotta grazie all’aiuto che i volontari prestano durante la preparazione degli esami; infine, i detenuti subiscono forti limitazioni nella possibilità di utilizzare la strumentazione che è nella normale disponibilità di qualsiasi studente in stato di libertà (dal computer, anche senza collegamento ad internet, alla stampante, alla calcolatrice scientifica), la cui autorizzazione all’utilizzo è vagliata caso per caso dalla Direzione del carcere. Altro tema posto da una segnalazione collettiva di ergastolani condannati in via definitiva (inviata anche ad altre istituzioni), è quello della difficoltà della convivenza con molte persone portatrici di patologie anche gravi, presenti non solo come ricoverati al Centro diagnostico terapeutico (Cdt), ma in tutto l’Istituto; questa convivenza forzata provoca un peggioramento delle condizioni di vita complessive, con profili di inidoneità delle sezioni comuni a far fronte alle esigenze delle persone malate. L’esistenza del Cdt ha forza attrattiva di molte persone malate, che non hanno però collocazione nel centro ospedaliero. Dagli ergastolani è poi venuta la richiesta di scontare la reclusione in cella singola. La giurisprudenza sul punto è controversa. E anche le prassi dell’Amministrazione penitenziaria non sono uniformi: in alcuni casi i detenuti provengono da istituti, come Spoleto e Carinola, in cui veniva assicurata la cella singola, mentre a Parma, per le condizioni di sovraffollamento, ciò non è possibile. L’auspicio della Garante è che nell’ambito della riorganizzazione dei circuiti penitenziari regionali, alcune sedi penitenziarie possano caratterizzarsi con la previsione di spazi appositamente dedicati a queste persone, al fine di consentire condizioni di vita più dignitose. Rimini: la Camera penale denuncia; al carcere dei Casetti rischio di epidemie Andrea Rossini Corriere Romagna Gli avvocati della Camera penale scrivono una lettera alla direttrice per segnalare problemi e violazioni. Detenuti in condizioni disumane tra topi, scarafaggi, celle allagate e sovraffollate. Celle allagate, aria irrespirabile, topi e scarafaggi che circolano indisturbati e per finire l’incubo dell’esplosione di un’epidemia di scabbia: quattro detenuti colpiti dalla malattia sono finiti in isolamento, in quarantena, e un’intera sezione e` stata temporaneamente chiusa per il pericolo di contagio: è la fotografia drammatica del carcere riminese dei Casetti, specchio del collasso in cui versa l’intero sistema penitenziario italiano. A denunciare l’intollerabile situazione che determina sofferenze non previste in nessuna sentenza di condanna sono gli avvocati riminesi in una lettera indirizzata alla “direttrice” (in realta` risulta in missione, in quanto gia` alla guida del carcere forlivese) Teresa Mercurio Palma, gia` alle prese con l’emergenza determinata dal nubifragio. Oltre al rischio scabbia e alla presenza di ratti e insetti la Commissione carcere della Camera penale di Rimini segnala una serie di violazioni legate al sovraffollamento (fino a 7 uomini in un’area di 13 metri quadrati, stando all’ultima visita del garante), problema destinato ad acuirsi nel periodo estivo: tra luglio e agosto viene effettuata la meta` degli arresti annuali. «Non si seguono i criteri di suddivisione dei detenuti che prevede la separazione tra detenuti giovani (sotto i 25 anni) e adulti e tra quelli in custodia cautelare e i definitivi» si legge nella lettera a firma dell’avvocato Ninfa Renzini (alla raccolta delle doglianze hanno partecipato anche gli avvocati Martina Montanari Germano De Pace). Si assiste inoltre alla coabitazione forzata tra persone di etnie e culture diverse, mentre «i transessuali vivono in uno stato di ingiustificata e ulteriore segregazione rispetto agli altri». «I detenuti sono impossibilitati a seguire qualsiasi attivita` di arricchimento culturale o di formazione professionale», per non parlare della palestra mai riaperta dopo l’evasione di cinque persone risalente ormai a dieci anni fa. E’ evidente a tutti che si tratta di una condizione complessivamente degradante e disumana e dunque inaccettabile, in quanto incompatibile con i principi costituzionali e i valori della Convenzione europea per i diritti dell’uomo. Verona: Sappe; nel carcere di Montorio situazione intollerabile, prendete provvedimenti www.veronasera.it, 3 luglio 2013 Per il segretario della polizia penitenziaria “su 450 posti disponibili i detenuti sono giunti a superare le 900 unità. Carico di lavoro stressante per il personale che sui circa 300 agenti ben 45 sono in malattia” “La situazione del carcere di Montorio Veronese ha superato ogni limite di tollerabilità e vanno presi provvedimenti”. Lo ha affermato Giovanni Battista Durante, segretario generale del Sappe, Sindacato della polizia penitenziaria, che martedì mattina ha visitato la struttura penitenziaria. Per Durante “su 450 posti disponibili i detenuti sono giunti a superare le 900 unità; a tutto ciò si aggiunge un tale carico di lavoro per il personale che sui circa 300 agenti ben 45 sono in malattia vittime dello stress”. Inoltre “ci sarebbero carenze strutturali, specie nell’area adibita all’ora d’aria, e di sicurezza considerato che in più occasioni, nel gioco delle turnazioni, un solo agente è chiamato a controllare un intero reparto. La situazione di criticità oltre a toccare gli agenti - rileva Durante - interessa naturalmente i detenuti che essendo in sovrannumero mal riescono a gestire gli spazi esigui. Crescono così i pericoli per gli agenti ma anche per le dinamiche tra detenuti tant’è che solo sabato scorso si sarebbe verificata una violenta rissa che ha coinvolto ben sette carcerati”. Mentre si svolgeva il sopralluogo di Durante, sull’argomento “carceri”, anche il sindaco di Verona Flavio Tosi era intervenuto: “Il cosiddetto decreto svuota carceri, non rappresenta una soluzione strutturale al problema del sovraffollamento delle carceri, non tutela la sicurezza dei cittadini e non rende il sistema carcerario rispettoso della dignità dei detenuti”. Foggia: Radicali; figlio malato in carcere, la mamma protesta davanti al tribunale di Lecce www.leccesette.it, 3 luglio 2013 La mamma di un detenuto di 25 anni, Pietro Mele, rinchiuso nel carcere di Foggia e affetto da gravi malattie, ha protestato oggi davanti al tribunale di Lecce insieme con i responsabili provinciali dell’associazione radicale “Nessuno tocchi Caino”, chiedendo il trasferimento del giovane nel carcere leccese di “Borgo San Nicola”. Con un sit-in davanti al Tribunale di viale De Pietro i manifestanti hanno voluto ricordare all’opinione pubblica e ai magistrati la situazione in cui si trova Piero Mele, originario di Galatina e condannato a 10 anni (di cui sette già scontati). Mele è reo confesso dell’omicidio di un pastore di 62 anni di Galatone, Luigi Zuccalà, commesso nel 2007 in concorso con altre due persone. Secondo la madre del giovane, le condizioni di salute di Pietro Mele sono incompatibili con il regime carcerario. Il giovane al momento dell’arresto era già affetto da cirrosi epatica. Secondo la mamma di Mele, in carcere la malattia sarebbe degenerata in un tumore al fegato. Oltre a chiedere cure adeguate per il figlio, la madre chiede che venga trasferito nel carcere di Lecce per l’impossibilità, per motivi economici, di poterlo andare a trovare a Foggia. Benevento: oggi volontari al carcere di Capodimonte per giornata “Bambini senza sbarre” www.ntr24.tv, 3 luglio 2013 “Non un mio crimine, ma una mia condanna...” è il grido di oltre un milione di bambini europei, 100.000 solo in Italia, che hanno un genitore detenuto e ogni giorno varcano i portoni dei tanti Istituti Penitenziari presenti in Europa per mantenere il legame affettivo con il proprio genitore detenuto, di fondamentale importanza per crescere. In occasione della Campagna di sensibilizzazione europea che si svolge ogni anno nel mese di giugno, i volontari carcerari del Cesvob “Cantieri di Gratuità” sono stati invitati ad animare la giornata di incontri tra famiglie e figli, nell’ambito dell’impegno sempre profuso dall’Istituto per la promozione di una relazione positiva tra i figli ed i genitori detenuti, in particolare alla situazione delle donne in carcere e all’impatto della detenzione del genitore sulla vita sociale e familiare del bambino. La giornata si terrà mercoledì 3 luglio 2013 dalle ore 8.30 alle ore 15.30 e coinvolgerà tutti i detenuti con figli e sarà coordinata dalla responsabile della formazione del Cesvob Olimpia Luongo. Ricorda il presidente del Cesvob, Antonio Meola, che è in corso anche una petizione al Parlamento Europeo per esortare gli Stati membri a facilitare il mantenimento delle relazioni tra genitori imprigionati ed i loro figli attraverso la creazione di un ambiente di visita favorevole alle attività centrate sul bambino, permettendo un contatto genitore-figlio adeguato. Con la petizione si chiede che la Risoluzione 2007/2116 (Ini) approvata a Strasburgo il 13 marzo 2008, che ribadisce l’importanza del rispetto dei diritti del Fanciullo indipendentemente dalla posizione giuridica del genitore, sia realmente applicata da ogni Stato membro e così i conseguenti interventi e buone pratiche per raggiungere questo fine. Perché a tutti i bambini sia rispettato il diritto di essere bambini. La campagna annuale di sensibilizzare vuole far riflettere tutti sull’importanza del riconoscimento e visibilità di questi bambini e dei loro bisogni senza per questo stigmatizzarli, nel pieno rispetto del diritto di ogni bambino di essere tale. Allo stesso tempo, intende far comprendere come la continuità e il rafforzamento del legame affettivo con i propri genitori, seppur detenuti, agisca in termini di prevenzione sociale. Questo perché il figlio potrebbe rischiare o di ripetere l’esempio del padre da cui è forzatamente separato e, a causa della sua improvvisa assenza, ne potrebbe idealizzare il comportamento o al contrario, potrebbe comprenderne le debolezze e gli errori e, quindi, essere in grado di scegliere un diverso stile di vita. Per il genitore detenuto, invece, il figlio con cui riesce a mantenere un legame diventa la motivazione forte per non ripetere il reato e ritornare ad essere per lui un modello. Pertanto, l’intera comunità è chiamata a mettere in atto tutte quelle pratiche positive che permettano a questi bambini di subire il minor danno possibile da questa difficile situazione e, al contempo, garantire loro il diritto all’infanzia. Roma: Sappe; nel carcere di Rebibbia un detenuto e i suoi familiari aggrediscono agente Adnkronos, 3 luglio 2013 “Incredibile episodio di violenza ieri da parte di un detenuto e di alcuni suoi familiari durante il colloquio che si svolgeva nell’area verde del Nuovo Complesso di Rebibbia”. È quanto denunciano Giovanni Battista de Blasis e Maurizio Somma, rispettivamente segretario generale aggiunto e segretario nazionale per il Lazio del Sappe. Un agente di Polizia Penitenziaria che aveva richiamato il detenuto, sottolineano, è stato aggredito “con un violento pugno”. “Ancora più grave -prosegue la nota- è stato l’atteggiamento e la complicità dei familiari del detenuto, che hanno insultato e minacciato il nostro agente. Nonostante tutto, il collega della Polizia Penitenziaria è riuscito ad evitare più gravi conseguenze. Accompagnato al Pronto Soccorso dell’ospedale Sandro Pertini, sono stati dati sette giorni di prognosi”. “A lui va naturalmente tutta la nostra vicinanza e solidarietà -scrivono ancora de Blasis e Somma - ma ci domandiamo quante aggressioni ancora dovrà subire il nostro Personale di Polizia Penitenziaria perché si decida di intervenire concretamente sulle criticità penitenziarie”. Taranto: Osapp; detenuto immigrato danneggia cella ospedale Santissima Annunziata Ansa, 3 luglio 2013 Un detenuto extracomunitario ricoverato presso l’ospedale Santissima Annunziata di Taranto in una stanza del quarto piano utilizzata come cella, ha provocato notevoli danni alla struttura e alle telecamere della videosorveglianza. Lo rende noto Angelo Palazzo, segretario provinciale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria), secondo il quale “è stato chiesto l’intervento di altri agenti per riportare la calma”. “Queste situazioni - aggiunge Palazzo - causano notevole disaggi al servizio dei poliziotti penitenziari che devono affrontare situazioni del genere col personale già sotto organico”. L’Osapp chiederà al ministro di Grazia e Giustizia Cancellieri “di inserire nel piano svuota carceri il rimpatrio nelle proprie nazioni dei detenuti extracomunitari che costano allo Stato italiano circa 150 euro al giorno”, “l’invio di almeno 40 unità per rafforzare l’organico del penitenziario tarantino” e “automezzi idonei che servono al normale svolgimento delle traduzioni dei detenuti”. Messina: neo Sindaco Renato Accorinti celebra matrimonio in carcere Ansa, 3 luglio 2013 Il sindaco di Messina Renato Accorinti, accompagnato dal segretario generale, Santi Alligo e dalla funzionaria del servizio di stato civile Angela Salvo, ha celebrato un matrimonio nel carcere di Gazzi. Ad unirsi in matrimonio Francesco C., 51 anni, richiuso nella casa circondariale e Maria C., 46 anni. I due sono entrambi napoletani ed hanno due figli di 23 e 15 anni. “Ci conosciamo da 28 anni e ora vogliamo unire il nostro amore”, ha detto la sposa entrando in carcere accompagnata dai figli. Durante la cerimonia il primo cittadino, conosciuto per le sue battaglie contro il ponte sullo Stretto, non indossava la solita maglietta contro la mega struttura ma questa volta una con scritto “Free Tibet”. Si tratta del secondo matrimonio in 15 anni nel carcere di Messina. Accorinti ha poi incontrato il direttore della Casa circondariale, Calogero Tessitore e il commissario di polizia penitenziaria, Antonella Machì. Il sindaco ha dichiarato che “è intenzione dell’amministrazione comunale, d’intesa con i vertici della casa circondariale, avviare una collaborazione per agevolare il reinserimento sociale dei detenuti finalizzato anche al recupero del patrimonio ambientale della città di Messina. Entro breve tempo si terrà un nuovo confronto tra le parti per la realizzazione dei progetti che sono stati avviati nel corso di questa prima riunione”. Volterra (Pi): Festival del Teatro, gli attori-detenuti del carcere protagonisti in scena www.pisatoday.it, 3 luglio 2013 Dal 18 al 28 luglio i riflettori dell’ormai tradizionale festival si accenderanno ancora una volta: quest’anno si festeggiano i 25 anni di teatro della Compagnia della Fortezza, uno degli spazi più innovativi della scena teatrale italiana e internazionale. La ventisettesima edizione del Festival VolterraTeatro, che si svolgerà dal 18 al 28 luglio prossimi, avrà come evento centrale la celebrazione dei 25 anni di teatro della Compagnia della Fortezza. A questo importante “compleanno” saranno dedicate tante iniziative che vedranno protagonisti, accanto al gruppo della Compagnia, grandi artisti che giungeranno a Volterra per questa occasione speciale. Il programma di questa manifestazione, che si definisce dedicata a “teatro, musica, danza, video, arte e cultura”, è stato presentato stamani a Firenze nel corso di una conferenza stampa cui hanno preso parte l’assessore regionale alla cultura Cristina Scaletti, Silvia Pagnin, assessore alla cultura della Provincia di Pisa, e Armando Punzo, direttore artistico di VolterraTeatro. “Ancora una volta VolterraTeatro e la Compagnia della Fortezza dimostrano tutto il loro valore e la capacità creativa cresciuta in tanti anni di attività - ha sostenuto l’assessore Scaletti - per questo la Regione continuerà a sostenere il lavoro di Punzo e dei suoi collaboratori, come non ha mai smesso di fare. La Giunta ha scelto di garantire la vita culturale in Toscana, valutandola strumento essenziale di crescita collettiva proprio vivendo una crisi socio-economica così pesante. Per questo - ha concluso - non abbiano tolto un euro al progetto regionale per il Teatro in carcere. A VolterraTeatro abbiamo confermato il finanziamento di 43mila euro, mentre alla Compagnia della Fortezza riassegneremo anche nel 2013 oltre 200mila euro perché possa proseguire nel suo lavoro dentro la struttura carceraria e continui ad essere punto di riferimento a livello regionale e nazionale per questo tipo di intervento”. Elemento centrale della rassegna sarà il nuovo lavoro della Compagnia della Fortezza, la storica formazione teatrale diretta da Punzo e composta da detenuti-attori, anzi attori-detenuti, come è stato sottolineato, che opera nel carcere di Volterra. Da venticinque anni le mura della Fortezza Medicea di Volterra custodiscono infatti uno degli spazi più innovativi della scena teatrale italiana e internazionale, momento esemplare di come si può agire nel carcere attuando fino in fondo il compito di riavvicinare i detenuti alla loro vita e a quella sociale, interagendo in modo costruttivo con tutte le strutture carcerarie e coinvolgendole in un quadro di crescita complessiva. Immigrazione: il senatore Manconi (Pd); 19mila migranti morti in Mediterraneo dall’88 Dire, 3 luglio 2013 Critico il senatore del Pd: “Papa Francesco lancerà in mare una corona di fiori. Farà quel gesto che le autorità politiche e istituzionali italiane non hanno ritenuto opportuno fare”. “Nel corso del 2011, ogni giorno 5/6 migranti provenienti dall’Africa hanno perso la vita nel mare Mediterraneo, nel tentativo di raggiungere le coste dell’Italia e dell’Europa”. È quanto afferma il senatore del Partito Democratico Luigi Manconi, presidente della Commissione speciale per la tutela dei diritti umani a Palazzo Madama. “Lunedì prossimo Papa Francesco si recherà nell’isola di Lampedusa - sottolinea Manconi - e, tra l’altro, lancerà in mare una corona di fiori in memoria di quanti sono morti in quelle acque. Il pontefice farà, dunque, quel gesto che le autorità politiche e istituzionali italiane non hanno ritenuto opportuno fare. Il mare Mediterraneo, nel corso degli ultimi venticinque anni, ha inghiottito migliaia di cadaveri: uomini, donne e bambini che, partendo dalle coste africane, cercavano un’opportunità di vita nel nostro continente. Queste le cifre crudeli, stimate per difetto, sulla base di dati parziali e di fonti internazionali, da A Buon diritto Onlus - di un’autentica strage”. “Dal 1988 sono circa 19mila, più di due al giorno, le persone disperse - conclude il presidente della Commissione Diritti Umani - o il cui corpo è stato ritrovato privo di vita. Nel corso del 2011, le vittime sono state oltre duemila. Nel 2012 circa 500 . Nei primi mesi del 2013 poco meno di 200. E i mesi estivi annunciano altre tragedie”. Stati Uniti: il sito internet che raccoglie le ultime parole dei condannati a morte di Maghdi Abo Abia www.giornalettismo.com, 3 luglio 2013 Il Texas ha messo on line le ultime parole dei condannati a morte. Lo ha fatto in una sezione specifica del sito internet istituzionale della difesa dello Stato americano che ha festeggiato pochi giorni fa la 500esima esecuzione dal 1976, anno in cui venne re-introdotta la pena di morte. Il sito appare estremamente chiaro. Per ogni detenuto è presente una scheda nella quale viene spiegato il reato di cui il condannato è ritenuto responsabile, il suo nome, il suo cognome, il numero di matricola, l’età, la sua razza, la data di esecuzione e la contea di provenienza. Prendiamo l’ultima scheda, quella della cinquecentesima persona giustiziata dallo Stato della stella. Parliamo di Kimberly McCarthy, nera, cinquantaduenne, uccisa il 26 giugno 2013 e condannata a morte nel 1998. La scheda del detenuto, corredata di fotografia, ci spiega come la donna venne già incarcerata nel 1990 per falsificazioni salvo essere assolta e ci dice perché è stata condannata a morte. Nello specifico ha ucciso a coltellate una settantenne bianca a seguito di una rapina finita male. Inoltre ha usato le carte di credito e la vettura della vittima per fuggire. Le ultime parole dei giustiziati diventano virali (Corriere della Sera) Kimberly McCarthy, uccisa da un’iniezione letale lo scorso 26 giugno, è stata la quarta donna nonché la 500esima esecuzione a morte in Texas dal 1976, anno in cui la pena capitale fu reintrodotta nello stato. Poco prima di morire ha rilasciato la sua ultima dichiarazione: “Voglio solo ringraziare chi mi ha dato coraggio in questi anni. […] Questa non è una sconfitta, è una vittoria. Sapete dove sto andando. Sto andando a casa per stare con Gesù […]”. Le sue parole, raccolte dai testimoni, fanno ora parte di una scheda che chiunque è libero di consultare online, tra le pagine ufficiali del dipartimento di giustizia criminale texano. Un vero “database della morte di stato” che nelle ultime settimane ha “appassionato” molti navigatori americani. Il Texas, stato più attivo negli Usa sulla pena capitale, è uno dei pochi (lo fa anche la California, ma non è così ben strutturato in Rete) a rendere pubblici online documenti così privati: le sue pagine web ufficiali infatti contengono condannato per condannato, dal numero uno al numero cinquecento, una scheda informativa con foto segnaletica, anagrafica, sesso e razza, reato compiuto descritto nei particolari e le date, di ingresso in prigione e di esecuzione. Ma accanto a questa scheda più tecnica, è possibile trovare anche una pagina - ve ne è una per ogni condannato la cui esecuzione è stata portata a termine - in cui è stata copiata l’ultima frase pronunciata dal prigioniero, e proprio quest’ultima, nei giorni in cui la cronaca ha parlato molto della 500esima esecuzione, è divenuta virale e condivisa online in tutti gli Stati Uniti. Il contenuto dei messaggi privati rilasciati dai detenuti prima della morte è soprattutto religioso: messaggi di perdono, di fede, rivolti alla propria religione di appartenenza. Molti ringraziamenti alle persone che hanno accompagnato gli ultimi mesi, talvolta anni e anni, di prigione dei giudicati, soprattutto alle guide spirituali. E poi i saluti: a mogli e mariti, figli, familiari. Il tifo per le squadre del cuore, qualche messaggio politico. Talvolta compaiono messaggi di scuse: alle famiglie delle vittime degli omicidi o alle proprie famiglie di origine. Mentre alcuni continuano a dichiararsi innocenti rispetto al crimine per cui sono stati imprigionati, e altri lanciano offese e polemiche nei confronti di polizia e guardie carcerarie. Qualcuno, ancora, preferisce semplicemente non dire nulla. Proprio a partire dal Texas, dal 2011 è attivo anche un blog, Last words in the chamber, e un account Twitter dove vengono raccolte le ultime frasi dei detenuti nel braccio della morte. Solo lo scorso anno, le sue pagine hanno registrato 3 milioni di visite. Presto, assicurano i curatori, il sito si occuperà anche delle dichiarazioni dei condannati negli altri stati, ma già ora le sue parole sono divenute fonte di studio per avvocati, criminologi, professori universitari oltre che lettura per i voyeur più curiosi, tristemente appassionati alle iniezioni letali in uno stato che vanta un record atroce: il Texas supera di cinque volte il secondo stato più attivo nella pena di morte, ovvero la Virginia. Svizzera: detenuti a rischio malattie infettive, armonizzare l’operato dei servizi sanitari www.cdt.ch, 3 luglio 2013 I detenuti sono confrontati con rischi maggiori di contrarre malattie come l’Aids, l’epatite o la tubercolosi rispetto a chi è in libertà. Per questa ragione, la Conferenza svizzera dei direttori cantonali della sanità (Cds) e quella di giustizia e polizia (Cddgp) hanno adottato una serie di raccomandazioni volte ad armonizzare l’operato dei servizi sanitari in ambito carcerario. I detenuti dovrebbero essere meglio informati sui rischi e i metodi di protezione contro le malattie infettive, si legge in una nota odierna delle due conferenze cantonali. Inoltre, tutte le strutture di esecuzione delle pene dovrebbero permettere al loro personale di partecipare ai corsi sulle questioni mediche organizzati dal Centro svizzero di formazione per il personale penitenziario (Csfpp). Un detenuto costa da 234 a 390 franchi al giorno Incapace di dare cifre esatte, il Consiglio federale ritiene che i costi dell’amministrazione penitenziaria svizzera, in aumento negli ultimi anni, siano vicini al miliardo di franchi l’anno. L’esecuzione delle pene costa alla Svizzera circa un miliardo di franchi l’anno. Il Consiglio federale ha articolato mercoledì questa cifra rispondendo a una mozione. Le spese per detenuto ammontano a 234 franchi al giorno, prima della sentenza, e a 390 franchi dopo la sentenza. Impossibile dare cifre precise, assicura il governo, perchè le carceri sono di competenza dei cantoni e la Confederazione non tiene la contabilità sulle loro spese. Inoltre molti cantoni non sono in grado di fornire informazioni dettagliate sui costi. Nel 2010 Confederazione, cantoni e comuni avevano consacrato circa 9 miliardi alla sicurezza pubblica, tribunali e servizi del fuoco. Circa un decimo era stato allocato all’amministrazione penitenziaria. Le spese sono aumentate di circa un terzo fra il 2005 e il 2010, passando da 802 a 993 milioni di franchi l’anno. La Confederazione partecipa con circa 90 milioni di franchi l’anno. Russia: Amnesty International e le torture sui detenuti di Putin www.giornalettismo.com, 3 luglio 2013 Se lo fanno Obama e alleati non c'è da stupirsi che lo facciano i paesi ex sovietici, dove il potere è ancora in mano agli eredi di quello che fu del partito unico e del Kgb. Dall’Ucraina alle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, Amnesty International denuncia l’esistenza di un programma gemello di quello delle rendition americane. Dice John Dalhuisen, il direttore di Amnesty International in Asia e Europa: "Vent’anni dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, vecchi legami associativi, culture istituzionali comuni e la percezione condivisa attraverso la regione di una minaccia da parte degli estremisti islamici, legano insieme le istituzioni che hanno preso il posto del Kgb sovietico". Il flusso di persone letteralmente rapite e poi trasferite in segreto oltre le frontiere sarebbe robusto in particolare dall’Ucraina alla Russia, in direzione delle repubbliche asiatiche, tutte più o meno dominate da feroci dittature. Un problema grosso è che quei paesi sono a maggioranza musulmana e che quindi i dittatori hanno gioco facile a usare il pretesto del terrorismo per farsi riconsegnare anche quegli oppositori che con l’estremismo islamico. Un altro grosso problema è che quei regimi ovviamente hanno un’idea bizzarra dei diritti umani e praticano sistematicamente la tortura, al punto che già prima dell’emersione della “minaccia islamica” quei dittatori si distinguevano principalmente per i diversi stili nella tortura, c’era quello noto perché amava bollire vivi gli avversari e c’erano tante riletture locali dei grandi classici della tortura, compreso lo squartamento, affidato però e veicoli a motore e non a buoi o cavalli come un tempo, il progresso chiede i suoi pedaggi anche in questo campo. Così il programma delle rendition nello spazio sovietico risulta perfettamente sovrapponibile a quello americano, che infatti non si preoccupa di consegnare gli oppositori politici ai dittatori amici , anche se non hanno nulla a che fare con la minaccia islamica. Tipico ed esemplare il caso degli oppositori libici riconsegnati alle torture di Gheddafi, ma ce ne son molti altri che riguardano le tirannie del Golfo o regimi come quelli di Siria, Egitto, Sudan e via enumerando, per il maggior trionfo della democrazia. Succede così che anche le autorità coinvolte nelle rendition alla sovietica, si limitino a negare di sapere qualcosa delle improvvise sparizioni di persone nei loro paesi e del loro riapparire nelle peggiori galere d’Asia o del loro non riapparire mai più o riemergere mutilati o resi invalidi dalle durissime condizioni di detenzione. Resta il problema che la denuncia di Amnesty rischia di rimanere lettera morta, visto che qualsiasi pressione da parte del “mondo libero” farebbe solo ridere e visto che non si C’è all’orizzonte alcun movimento di massa impegnato a battersi contro orrori del genere. Bolivia: sovraffollamento delle carceri, si cerca di estendere l’indulto di Luca Pistone www.atlasweb.com, 3 luglio 2013 Il governo boliviano sta studiando un piano per estendere l’indulto approvato lo scorso dicembre dal presidente Evo Morales. La Paz intende ora includere nella misura più di 2 mila detenuti al fine di alleviare il sovraffollamento nelle carceri del paese. Le autorità penitenziarie, riportano i media locali, hanno elaborato nuovi rapporti tecnici per chiedere a Morales di emettere un nuovo decreto presidenziale per un’ “estensione dell’indulto”. In totale, potrebbero beneficiarne circa 9 mila persone condannate per reati minori (soprattutto minori di 25 anni, donne incinte e chi ha commesso un reato per la prima volta), mentre tra i 1.200 e i 1.500 detenuti in custodia cautelare opteranno per un “processo abbreviato” per esserne soggetti. L’indulto approvato nel dicembre 2012 avrebbe dovuto interessare 1.900 persone, pari al 13% dei detenuti del paese. Tuttavia, su circa 400 detenuti che hanno presentato i documenti per beneficiare dell’indulto, solo 220 lo hanno ottenuto e altre 180 richieste sono state respinte, secondo i dati ufficiali di maggio. Con il nuovo piano, sarà concesso ai detenuti un maggiore arco di tempo per presentare i documenti richiesti per l’ottenimento dell’indulto. L’83% degli oltre 13.800 detenuti in Bolivia è in stato di detenzione preventiva senza processo e i loro casi soffrono il cronico ritardo della giustizia del paese. Nelle ultime settimane la Bolivia è finita sotto i riflettori di tutti i media internazionali dal momento che circa 2.100 bambini vivono nelle carceri con i propri genitori, una situazione inedita nel mondo, secondo l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Il carcere che presenta i maggiori problemi è quello di San Pedro, a La Paz, costruito per ospitare 600 prigionieri maschi, ma dove al momento ce ne sono 2.500. Il centro è oggetto di continue critiche per la sua precaria infrastruttura e la situazione di estrema insalubrità. Inoltre, di recente è stato segnalato anche il caso di una bambina di 12 anni lì violentata più volte da padre, zio e padrino. Il prossimo 14 luglio si terrà una cerimonia nel limitrofo municipio di Palca, durante la quale i contadini locali formalizzeranno la cessione allo stato di 20 ettari di terra per la costruzione di una nuova prigione per La Paz. Siria: attivisti; in gravi condizioni giornalista di origine palestinese arrestato nel 2011 Ansa, 3 luglio 2013 Si aggravano di giorno in giorno le condizioni di salute del giovane giornalista siro-palestinese detenuto da più di 18 mesi nelle carceri del regime del presidente Bashar al Assad. Lo riferiscono i familiari citati dal Comitato di coordinamento di Muaddamiye, un sobborgo a sud-ovest di Damasco solidale con la rivolta. Le fonti ricordano che Bilal Ahmad Bilal, 26 anni, che collaborava col canale televisivo Filastin al Yawm (Palestina oggi), era stato arrestato alla fine del dicembre 2011 a Muaddamiya dai servizi di sicurezza militari nei pressi dell’aeroporto di Mezze, alla periferia ovest della capitale siriana. Era stato in seguito trasferito nel braccio dei detenuti politici di Saydnaya. Qui - affermano le fonti che non sono state finora smentite dalle autorità di Damasco - Bilal è stato sottoposto a dure torture. I parenti di Bilal affermano inoltre che il tribunale militare di Damasco lo ha condannato a 15 anni di carcere perché riconosciuto colpevole di aver “diffuso informazioni false tese a indebolire il morale della nazione”. Sin dallo scoppio delle prime inedite proteste popolari nella primavera del 2011, il giornalista diffondeva anche sul suo profilo Facebook notizie sulla repressione in corso a Muaddamiye da parte delle forze fedeli agli Assad. La legittimità dell’azione dei tribunali militari siriani in materia di crimini commessi da civili è rimasta in vigore in forza della legge detta dell’anti-terrorismo promulgata nell’ambito delle cosiddette riforme del presidente Bashar al Assad nel 2011, il giorno stesso dell’abrogazione della legge d’emergenza in vigore dal 1962.