Detenuto rinuncia alla cella più grande pur di non perdere il suo posto da bibliotecario di Vera Mantengoli Il Mattino di Padova, 31 luglio 2013 Nessuno ci avrebbe creduto, eppure è successo: la giustizia si è umanizzata. La storia del detenuto Stefano Carnoli merita di essere raccontata. Pur di non perdere il suo posto da bibliotecario ufficiale del carcere di Padova, Carnoli ha infatti chiesto di tornare nelle ristrettezze delle celle del “Due Palazzi”. L’inizio della vicenda risale a poco tempo fa quando Carnoli vince un ricorso per aver denunciato, come tanti altri detenuti, la condizione poco umana della sua cella (in tre i meno di tre metri quadri). Senza essere interpellato Carnoli viene trasferito nel carcere di Cremona dove avrebbe avuto più spazio, perdendo però il lavoro che da tre anni lo vedeva al centro di un percorso rieducativo eccellente. Indignati dal fatto che una persona possa essere trattata come un pacco la cooperativa “AltraCittà” e la redazione di “Ristretti Orizzonti” tentano in tutti modi di riportarlo a Padova, iniziando una battaglia definita dalla maggioranza “contro i mulini a vento” e dalla minoranza di idealisti “unica e necessaria”. Il finale questa volta premia i sognatori gettando una luce di speranza nell’intero sistema giudiziario, ma andiamo per ordine. Il fatto che il bibliotecario Stefano di 47 anni, in carcere da 5 e con la prospettiva di uscire tra altri 4, abbia deciso di rinunciare a uno spazio fisico umano pur di continuare il suo percorso educativo fa pensare, soprattutto in questi giorni quando il caldo insopportabile trasforma le carceri un vero inferno. E soprattutto sapendo che, all’inizio dell’estate, il Carnoli aveva vinto il ricorso. Il trasferimento a Cremona, eseguito con la giustificazione di portarlo in una cella più grande, era suonato a tutti come una punizione. “La prima cosa che abbiamo fatto” racconta Rossella Favero presidente di “AltraCittà” è stata cercare di capire da dove provenisse questa decisione. Il direttore del carcere di Padova, Salvatore Pirruccio, non ne sapeva nulla e si è dimostrato anche lui molto rammaricato, ma la decisione sembrava irrevocabile. Alla fine si è capito che avevano deciso a Roma. A quel punto abbiamo iniziato a volere chiarezza, nonostante tutti ci dicessero che era una battaglia persa in partenza. Ma se non si lotta per cause in apparenza perse che battaglie sono?”. La mobilitazione corale (associazioni, volontari, bibliotecari) affinché Stefano torni “a casa” si fa sentire raggiungendo i giornali locali da “Il Mattino” (22 luglio) alle testate nazionali come “Il Foglio (Adriano Sofri, 18 luglio) e “La Repubblica” (Corrado Augias, 23 luglio). Negli articoli si sottolinea la faticosa conquista di un lavoro in carcere e il fatto che l’Italia a gennaio 2013 sia stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo per “trattamento inumano e degradante nelle carceri”. La Corte dà tempo un anno per mettersi al passo con le direttive europee, pena salatissime multe all’Italia e risarcimenti a tutti i detenuti che denunciano la loro situazione. “L’esperienza di Stefano” continua Ornella Favero di “Ristretti Orizzonti” fa capire che bisogna evitare che avvengano i trasferimenti in questo modo perché trasformano la persona in una merce che viene sballottata”. Insomma, la richiesta di spiegazioni arriva perfino alla ministra Anna Maria Cancellieri che, in risposta ad Augias il 24 luglio, afferma che “avendo fatto ricorso per il sovraffollamento, doverosamente è stato predisposto il suo trasferimento”. Giustizia: le nuove norme sulla carcerazione, i limiti possibili di Carlo Federico Grosso La Stampa, 31 luglio 2013 L’emendamento al decreto svuota carceri approvato la settimana scorsa al Senato ha aumentato da 4 a 5 anni il tetto richiesto per l’applicabilità della custodia cautelare in carcere (modifica dell’art. 280 comma 2 c.p.p.). La ratio dell’innovazione è evidente: si è inteso rendere più incisivo il decreto che tende a circoscrivere la popolazione carceraria attraverso una delimitazione dei casi in cui è consentito al giudice emettere ordinanza di custodia cautelare in carcere. Alla vigilia del passaggio del decreto alla Camera sono scoppiate tuttavia le polemiche. Con la modifica introdotta, qualcuno ha osservato, si preclude (assurdamente) l’applicabilità della custodia cautelare in carcere ad ipotesi delittuose gravi e talvolta odiose, quak lo stalking, l’abuso di ufficio, il finanziamento illecito dei partiti (oltre che alle false informazioni al pubblico ministero, al favoreggiamento personale, alla contraffazione di brevetti industriali, e a tutti gli altri reati puniti appunto con la pena massima di anni quattro). Sembrerebbe che la maggioranza del Pd intenda, a questo punto, ritornare alla versione originariamente licenziata dal governo, mentre una parte del Pdl, quantomeno con riferimento a talune delle menzionate fattispecie delittuose (ad esempio il finanziamento illecito dei partiti), si appresterebbe a difendere la versione approvata al Senato. La questione, pur di non grandissimo momento, merita una sia pure rapida messa a fuoco, non fosse altro che per il suo significato emblematico. In linea generale si può affermare che lo strumento della custodia cautelare deve essere trattato con molta circospezione, dato che consente d’incarcerare (o di privare comunque della libertà personale), per esigenze di mera cautela processuale (evitare la fuga dell’indagato, l’inquinamento delle prove ovvero la reiterazione dei reati), soggetti che sono attinti da gravi indizi di colpevolezza ma nei confronti dei quali non vi è stato un accertamento giudiziale di responsabilità penale “al di là di ogni ragionevole dubbio”. In questa prospettiva non mi sembra azzardato sostenere che, sul terreno di una corretta politica criminale, il legislatore debba puntare a circoscrivere il più possibile i casi in cui la magistratura è legittimata a ricorrere alla sua utilizzazione. Sul presupposto che la custodia cautelare in carcere abbia progressivamente subito una radicale modificazione, trasformandosi da istituto con funzione prettamente cautelare in una vera e propria forma anticipatoria della pena (con violazione del principio costituzionale di presunzione d’innocenza), se non addirittura in un indebito strumento di pressione psicologica nei confronti dell’indagato, è d’altronde in cantiere un’iniziativa referendaria attraverso la quale s’intenderebbe eliminare radicalmente la custodia cautelare nei confronti di ogni reato non grave. Il problema, tuttavia, è valutare che cosa s’intenda per “reato non grave” con specifico riferimento alle esigenze cautelari. Una valutazione che non può essere fatta in astratto, ma in concreto, tenendo conto delle specificità dei singoli reati. Ebbene, proprio con riferimento alla vicenda originata dalla modificazione dell’art. 280 c.p.p. approvata dal Senato emergono le conseguenze abnormi alle quali può condurre una proposta di modificazione fatta in termini generali ed astratti senza una preventiva attenta considerazione dei singoli casi che, in conseguenza della sua adozione, sarebbero stati coinvolti dalla nuova disciplina. Con riferimento ad alcuni reati, ad esempio le false dichiarazioni al pubblico ministero o la contraffazione di brevetti, la sottrazione alla possibilità di utilizzo della custodia cautelare in carcere potrebbe anche essere condivisa. Ma per reati quali lo stalking (reato assolutamente odioso, che tocca in maniera prevalente le donne e che molte volte esige l’immediato allontanamento anche fisico del colpevole dalla possibilità di avvicinare la vittima) o il finanziamento illecito dei partiti (che è molte volte l’anticamera della corruzione), eliminare del tutto la possibilità della custodia cautelare in carcere è, sicuramente, una sciocchezza. Con riferimento allo stalking la reazione bipartisan di alcune donne del Pd e del Pdl induce a bene sperare su di un ripensamento in sede di esame alla Camera. Non vorrei che in materia di finanziamento illecito dei partiti prevalesse tuttavia un diverso orientamento (non è un caso che alcuni giorni fa in ambito politico si sia addirittura ventilata l’eventualità di depenalizzare tale reato, con conseguenze prevedi bili sull’ulteriore degrado della moralità nelle pubbliche gestioni). Forse, a questo punto, la soluzione preferibile sarebbe ritornare semplicemente al testo originario del governo, che aveva evidentemente valutato che qualche pennellata in materia di custodia cautelare non avrebbe sicuramente contribuito a risolvere (in meglio) il problema dell’affollamento carcerario. Al di là della specifica questione di merito, la presente vicenda legislativa induce tuttavia, ancora una volta, a qualche amara considerazione sul modo con il quale il nostro Parlamento, forse soltanto per la fretta, affronta i difficili temi della riforma del nostro arcaico sistema di giustizia. Giustizia: Magistratura Democratica; sul decreto carceri uno sconfortante balletto Adnkronos, 31 luglio 2013 “Sconfortante il balletto di reati ora sottratti alla carcerazione preventiva, ora inclusi, ora oggetto di ripensamenti. Sconfortante che questo balletto venga qualificato come ‘questione di civiltà”, quando di civile non c’è niente nel finto dibattito pubblico che parla della drammatica condizione carceraria”. È quanto affermano, in una nota congiunta, Luigi Marini e Anna Canepa, rispettivamente presidente e segretario generale di Magistratura democratica. “Evitare il carcere preventivo a pericolosi stalker o a indagati per illecito finanziamento - spiegano - non ha nulla a che vedere con il sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani. Allo stesso modo, innalzare da 4 a 5 anni il limite di pena richiesto per la custodia cautelare non può essere certo il rimedio per sanare il degrado delle prigioni del nostro Paese. Più che un intervento strutturale, sembra l’ennesima scelta che rischia di cadere tra le accuse reciproche al primo caso clamoroso”. “Sconfortante -concludono Marini e Canepa- assistere a modifiche delle nostre leggi nate sull’onda dell’emozione o dettate da piccole furberie. Se questo non è tempo di interventi organici e razionali, meglio risparmiare al Paese le ricorrenti ipocrisie estive. Si cerchi, piuttosto, di aiutare col proprio rispetto coloro che queste leggi sono chiamati ad applicare tra mille difficoltà”. Giustizia: Unione Camere Penali; su carceri politica sempre più debole e contraddittoria Il Velino, 31 luglio 2013 La conversione in legge del decreto svuota carceri “è iniziata male e rischia di proseguire addirittura peggio”. Così in una nota l’Unione Camere Penali, che fa notare come dopo il ripristino in Senato delle preclusioni a carico dei recidivi, che ha “restaurato gli effetti carcerogeni della legge Cirielli cui si voleva mettere la parola fine, adesso la Camera dovrebbe adoperarsi per recuperare lo spirito iniziale dell’intervento legislativo, riammettendo i recidivi di piccolo spessore criminale alla detenzione domiciliare ed alle misure alternative, cosa che avrebbe un primo - anche se non risolutivo - effetto deflattivo sul numero dei detenuti. Preoccupa, invece, che nelle ultime ore questi temi siano andati progressivamente in ombra - sottolineano i penalisti - per discutere del limite minimo per la custodia cautelare in carcere, peraltro con argomenti che contraddicono la posizione ufficiale delle maggiori forze politiche in tema di carcerazione preventiva”. Per l’Ucpi, la “facile demagogia” di indicare specifici reati che sarebbero sottratti al carcere è “sufficiente a provocare la retromarcia di una politica sempre più sconsolantemente debole, nonostante sia risaputo che le carceri sono piene di persone in attesa di giudizio, in barba al principio di civiltà che vorrebbe la detenzione prima della sentenza definitiva come assolutamente eccezionale e, comunque, contenuta - dove possibile, e cioè nella quasi totalità dei casi - nella misura degli arresti domiciliari”. In definitiva, concludono i penalisti, “mentre la civiltà e la tenuta del sistema richiederebbero, tolti i pochi casi di pericolo attuale, il divieto tout court del carcere prima della sentenza definitiva, viceversa assistiamo all’incapacità di attuare questa elementare modifica. Il che dimostra che la politica attuale è incapace di operare le riforme di cui la giustizia necessita con urgenza assoluta”. Giustizia: Pannella (Radicali); sovraffollamento è tortura, per i detenuti e per gli agenti Ansa, 31 luglio 2013 “Il sovraffollamento delle carceri è una tortura. E in Italia abbiamo uno Stato che mantiene e impone strutture tortura dove non ci sono torturatori ma solo torturati, dal direttore, alle guardie penitenziarie, al cappellano e ai detenuti. Anche le famiglie degli agenti sono torturate”. Lo ha detto il leader radicale Marco Pannella, intervenendo oggi a margine della seduta straordinaria del Consiglio provinciale di Firenze che si è tenuto nel carcere fiorentino di Sollicciano. “Abbiamo uno Stato tecnicamente canaglia - ha aggiunto - che è in palese violazione di alcuni diritti come ci ha detto anche la Corte europea dei diritti dell’uomo. Il sovraffollamento è la peste italiana. Abbiamo fatto una legge, la cosiddetta Pinto, per mettere qualche pezza. Adesso, per inadempienza dell’Italia la legge Pinto sta sovraffollando la giustizia europea, tanti sono i ricorsi e le mancate attuazioni da parte dello Stato italiano”. Pannella ha poi aggiunto “viva il diritto, ma diamo corpo alle leggi. In Italia non possiamo riconoscere il reato di tortura in Italia, come in tutti i paesi moderni, perché a quel punto scatterebbe immediatamente la strage come reato di pericolo”. Il leader radicale ha poi ricordato i referendum presentati dal proprio partito come quello per l’abolizione dell’ergastolo. “Anche questo amor di Papa che abbiamo - ha concluso - in 48 ore ha abolito l’ergastolo nella Città del Vaticano ed è anche andato a Lampedusa dove è nata la Bossi-Fini”. Giustizia: M5S; il decreto-carceri arricchirà i palazzinari… sulla pelle dei detenuti Agenparl, 31 luglio 2013 Una gigantesca speculazione che arricchirà i palazzinari sulla pelle dei detenuti. È questo il giudizio dei deputati del M5S sulla previsione della cessione degli immobili penitenziari contenuta nel decreto cosiddetto “svuota carceri”. Oggi in commissione Giustizia sono stati sentiti i vertici del Dap e il Commissario straordinario delle carceri, Angelo Sinesio. “Dalle audizioni - sostengono i deputati M5S in commissione Giustizia - è emersa che l’emergenza carceri potrebbe essere risolta in poco tempo e con investimenti mirati. È stato lo stesso Sinesio - aggiungono - a rivelare che l’emergenza è stata in realtà provocata dall’inerzia delle amministrazioni competenti”. Inerzia che ha portato, allo stato attuale, alla consegna di “zero” nuovi posti del piano carceri e - alla data limite imposta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo - porterà alla creazione di 2.773 nuovi posti per i detenuti contro gli oltre 20mila necessari. Numeri che parlano chiaro di un’emergenza che non può essere affrontata col “piano carceri” e che porta, direttamente, al più volte annunciato provvedimento di amnistia da parte del ministro Cancellieri e alla costruzione di nuovi istituti con la dismissione delle vecchie carceri, soprattutto gli edifici ad alto valore aggiunto, posti nel centro delle città. I deputati del Movimento 5 Stelle annunciano la presentazione di un “contro-piano carceri” che, quasi a costo zero, permetterebbe di risolvere in maniera definitiva il problema del sovraffollamento mantenendo ferma la certezza della pena. Giustizia: Clemenza e Dignità; la certezza della pena è stata uccisa dal panpenalismo www.imgpress.it, 31 luglio 2013 “Sulla drammatica situazione delle carceri italiane, e in merito alle soluzioni che via via vengono meramente prospettate o approvate, ricorrono spesso, nei commenti politici, parole “pesanti”, quali, colpo di spugna, resa dello Stato, e molto altro ancora”. Lo dichiara in una nota Giuseppe Maria Meloni, responsabile di Clemenza e Dignità, che aggiunge: “In merito a tale aspetto, si rende opportuno chiarire, per un minimo senso di onestà intellettuale, che ciò che ha distrutto e sta distruggendo il concetto della certezza della pena in Italia, non sono, certamente, i pochi provvedimenti clemenziali o di vaga ispirazione clemenziale, intervenuti, ma proprio tutte quelle politiche miopi, succedutesi negli anni, che hanno voluto vedere nella sanzione penale, e, quindi, nel carcere, la soluzione di ogni problema, compresi quelli dettati dall’emarginazione sociale, dalle malattie, dalle grandi disperazioni e dalla povertà”. “Era evidente prima e ed è evidente ancora oggi, - conclude - che un panpenalismo esasperato, una volta contestualizzato in un sistema che prevede l’obbligatorietà dell’azione penale, una volta contestualizzato all’interno di un sistema sanzionatorio penale che è basato prevalentemente sulla privazione della libertà personale, e una volta contestualizzato in un sistema di misure, in cui non sono precisamente e tassativamente delineate le ipotesi di custodia cautelare in carcere, avrebbe portato e porta, ad un tale punto di sovraffollamento, ad un tale grado di ingestibilità dei penitenziari, così da richiedere ciclicamente il ricorso a provvedimenti di svuotamento delle carceri”. Giustizia: per tenere gli stalker in cella si pensa ad aumentare pena per reato di stalking di Flavia Amabile La Stampa, 31 luglio 2013 La cronaca è impietosa, a ritmi drammatici propone casi fotocopia di stalker che, nonostante le denunce, riescono a uccidere le loro ex-mogli o compagne. In tanti chiedono misure più severe ma, invece, quasi come una beffa, dieci giorni fa in Senato la commissione Giustizia ha fatto in modo che per i crimini commessi in caso di stalking potrebbe non scattare più la custodia cautelare in carcere. La Camera ha promesso di intervenire non appena la commissione Giustizia riceverà il provvedimento svuota-carceri dentro cui è contenuta la modifica che sta creando sconcerto. Ma dieci giorni fa venne accolto da tutta la maggioranza, con parere favorevole del governo, l’emendamento presentato da Lucio Barani (Gai) che spostava il tetto per il carcere preventivo dai 4 ai 5 anni, modificando l’articolo 280 del codice di procedura penale. Barani ha difeso il suo emendamento sostenendo che “la battaglia contro la carcerazione preventiva è una battaglia di civiltà, a oggi che io sappia non c’è nemmeno uno stalker in custodia cautelare in carcere”. Ma la sua voce è rimasta isolata. Era stata la Lega il 24 luglio a sollevare per prima la questione in Senato esponendo cartelli: “Attente, donne: stalker in circolazione”. Poi l’emendamento è stato presentato dal Pdl Contro l’attuale testo anche Lega e Pd sono arrivate le reazioni di tutti gli altri. Donatella Ferranti del Pd e presidente della commissione Giustizia della Camera, promette di modificare il provvedimento. Le senatrici del Pd, che hanno approvato l’emendamento prima in commissione e poi in aula, definiscono la conseguenza della modifica “una contraddizione in termini ed è assolutamente prioritario allontanare l’aggressore per proteggere la vittima”. Carlo Giovanardi, senatore del Pdl, sostiene che eventuali provvedimenti nei confronti del persecutore “possono addirittura far da detonatore per gesti estremi” e che, quindi, l’unica salvezza è “un programma di protezione che consenta alla potenziale vittima di trovare una nuova residenza e un nuovo lavoro”. Per il resto il Pdl è compatto nel sostenere la modifica alla Camera ma propone anche di aumentare “la pena massima per il reato di stalking” nella speranza di evitare problemi. Una proposta sostenuta anche da Fdi. Ma Felice Casson, senatore del Pd, che durante la votazione uscì dalla commissione, risponde che la proposta del Pdl “non serve à niente perché resterebbero comunque fuori dal carcere preventivo altri reati gravi”. Anche la campionessa di nuoto Federica Pellegrini si dice sconcertata: “Molte donne che subiscono violenze sono state prima molestate così e hanno sporto denuncia. Si parla tanto fare qualcosa contro il femminicidio e poi....” Lorenzo Puglisi, presidente dell’Associazione Sos Stalking, ritiene “inaccettabile escludere l’unica misura cautelare in grado di neutralizzare gli stalker più pericolosi”. Giustizia: dimenticano detenuta in cella, ora i giudici pagano lo sbaglio di Clemente Pistilli Il Giornale, 31 luglio 2013 Dimenticarsi un’imputata in carcere, privare una persona del diritto alla libertà garantito dalla Costituzione italiana, è una violazione grave per dei magistrati e da sanzionare. Inutile il ricorso fatto da una gip del Tribunale di Ancona e da un pm della Procura del capoluogo marchigiano contro la sentenza emessa nei loro confronti a dicembre dal Csm. La “punizione” è stata confermata, con un pronunciamento innovativo in materia, dalle sezioni unite della Corte di Cassazione. Il caso riguarda una detenuta, arrestata il 22 aprile 2005, su ordine di carcerazione emesso quattro mesi prima, condannata in primo grado e in attesa del processo d’appello. Il difensore della donna, essendo scaduti i termini per la carcerazione preventiva, aveva chiesto per ben due volte la liberazione dell’imputata. Il pm di Ancona incaricato del caso si era però opposto, proponendo di metterla ai domiciliari, e la giudice per le indagini preliminari non aveva provveduto alla scarcerazione. Il caso è finito davanti alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. Il pm e la giudice si sono giustificati battendo sui vuoti nell’organico dell’ufficio giudiziario di Ancona, sulle carenze organizzative e infine sulla difficile situazione che stavano vivendo sul piano personale, la gip per essersi da poco separata e il pubblico ministero per aver perso il padre. Per il Csm tali argomenti potevano influire sull’entità della sanzione, ma non mandare assolti i due, ritenuti responsabili di un comportamento “inescusabile”. Il 4 dicembre scorso la sentenza emessa da Palazzo dei Marescialli ha così previsto per i due magistrati la sanzione dell’ammonimento, ritenendoli appunto responsabili di illecito disciplinare, per “grave violazione di legge, determinata da negligenza inescusabile”. Per il Consiglio superiore della magistratura aver privato la detenuta della libertà per 62 giorni in più del previsto è stata una grave omissione dei magistrati, in quanto ha “inciso sul diritto fondamentale della libertà personale” dell’imputata, ledendo il diritto costituzionalmente protetto di libertà”. La negligenza, poi, è stata considerata inescusabile ritenendo le carenze degli incolpati “macroscopiche”. “La mancata dovuta scarcerazione - hanno evidenziato da Palazzo dei Marescialli - era effetto di comportamenti omissivi di ambedue gli incolpati, che aveva violato il valore più alto garantito dalla Costituzione,, quello della libertà personale”. Dire no per due volte alla richiesta legittima di libertà fatta da un’imputata, per il Csm è giustificabile soltanto ipotizzando che i magistrati incaricati del caso non abbiano proprio letto gli atti. La gip e il pm non si sono arresi e hanno presentato ricorso in Cassazione, ora rigettato dalle sezioni unite civili della Suprema Corte. Le “toghe” punite hanno ribadito quanto già sostenuto dinanzi al Consiglio superiore della magistratura, precisando che il procedimento penale a carico dell’imputata è complesso e tanto sul fascicolo quanto sui registri non era stato annotato il termine di custodia in carcere, errore questo non dei magistrati, ma determinato dalla generale organizzazione degli uffici. La giudice ha infine ripetuto che in quel periodo stava vivendo una situazione personale “assai grave”, relativa alla separazione dal marito, mentre il pubblico ministero ha ribadito che, sempre in quel periodo, era scosso dalla morte del padre. Giustificazioni che non hanno scalfito il provvedimento del Csm, avallato appieno dagli ermellini. “Ogni magistrato - hanno specificato i giudici nella sentenza - è tenuto a vigilare sul permanere delle condizioni cui la legge subordina la privazione della libertà personale dei soggetti da lui indagati, non rilevando, come esimenti di tali condotte violative di un dovere d’ufficio, la esistenza di situazioni personali o familiari, salvo la natura eccezionale di queste ultime circostanze che abbia impedito l’ordinario lavoro del magistrato”. Il messaggio è chiaro: mai più una persona priva della libertà anche un giorno in più di quanto previsto per legge. Lettere: contenzione zero… di Antonella Tuoni (Direttore reggente Opg Montelupo Fiorentino) Ristretti Orizzonti, 31 luglio 2013 Il largo respiro del mare - (sono in vacanza, anche se ancora per poco) - mi suggerisce una riflessione che desidero condividere con chi avrà voglia di proseguire nella lettura. Scrivo queste poche righe non per velleità autocelebrativa ma per sincero desiderio di scuotere qualche coscienza. Nel febbraio del 2011 ho assunto la reggenza della direzione dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. Non sto a soffermarmi sulla complessità gestionale di una tale struttura, appesantita dalla riforma del 2008 (passaggio della sanità penitenziaria alla sanità pubblica) e dalla attività della così detta commissione Marino; a maggior ragione per una pivella come la sottoscritta, laureata in giurisprudenza, che, pur avendo vent’anni di carcere sulle spalle, poco sapeva degli ospedali psichiatrici giudiziari. Uno fra i tanti problemi che mi sono trovata a fronteggiare è stata la contenzione fisica ovverosia la pratica di legare al letto (mi dicono con ago e filo alla mano dei poliziotti penitenziari, allora agenti di custodia) gli internati violenti, sulla base di una semplice prescrizione medica. La cosa non mi quadrava affatto: sottoponevano al mio “visto” certificati medici che prescrivevano la contenzione; a parte la, per me, inconciliabilità della cura, che evoca le azioni dell’accudimento, dell’ascolto e della accoglienza, con una coazione fisica che evoca azioni diametralmente opposte, il riferimento normativo invocato a giustificazione di tale pratica era addirittura un regio decreto del 1909 e l’art. 41 della legge 354/75. E la costituzione? L’art. 13? Possibile d’altra parte che nessuno si fosse mai posto il problema (mi risulta che la pratica della contenzione esista dacché esistono gli Opg) della legittimità se non addirittura della liceità di una “procedura” tanto invasiva da non poter essere certo classificata come una mera modalità di esecuzione di una pena (rectius misura di sicurezza)? Possibile che nessuno si fosse mai domandato se legare ad un letto per giorni e giorni un internato in una cella di un istituto penitenziario sulla scorta di un semplice certificato medico non integrasse gli estremi di una limitazione della libertà personale di gran lunga superiore (e come tale intollerabile senza il presidio di un controllo giurisdizionale) a quella conseguente alla esecuzione di una misura di sicurezza? Ma si sa l’assuefazione al “si è sempre fatto così” e l’insidioso “chiudere gli occhi” in una istituzione totalizzante come il carcere sono sempre in agguato e possono fiaccare anche l’animo più intrepido. Ciononostante, da neofita della materia, non mi sono data per vinta: ho cercato di approfondire l’argomento ed in assenza, almeno per quanto abbia potuto verificare io, di letteratura scientifica sull’argomento, ho fatto appello alle mie modeste conoscenze giuridiche e, complice il piano sanitario regionale della regione toscana, ho deciso che in un istituto da me diretto la contenzione non avrebbe più dovuto essere praticata. Decidere il da farsi è stato semplice, direi quasi naturale, mantenere il timone barra a dritta un po’ più impegnativo: le rivoluzioni culturali per piccole che siano hanno sempre i loro fisiologici oppositori (ed io ne ho dovuti contrastare tanti e compatti) e richiedono tempi lunghi di metabolizzazione. Per quanto poi sia assolutamente irremovibile rispetto ai presupposti giuridici che mi hanno determinata a bandire la contenzione dall’Opg di Montelupo Fiorentino imponendo il ricorso al trattamento sanitario obbligatorio (ordinanza sindacale ecc.) ed il conseguente ricovero nel competente servizio di prevenzione, diagnosi e cura, riterrei utile una rilevazione scientifica dei dati (numero di condotte clastiche, di episodi di aggressione ecc. parametrati al numero di internati) ed una altrettanto scientifica lettura di essi al fine, pur esso, scientifico di valutare le conseguenze cliniche di un orientamento che dichiari definitivamente e per sempre fuori legge la contenzione fisica nella cura della malattia mentale. In conclusione la domanda non è più “perché è stata praticata per un tempo interminabile la contenzione negli Opg e negli altri luoghi che ospitano pazienti psichiatrici? Ma è la seguente: “perché ancora, come mi risulta, si continua a praticarla?”. Lettere: ad oggi la detenzione è inutile, se non peggiorativa www.gonews.it, 31 luglio 2013 “La presenza a Sollicciano del ministro Cancellieri insieme ad alcuni rappresentanti del Parlamento rappresenta un segnale positivo di attenzione da parte del governo e delle Camere alla questione sempre più urgente delle carceri”. Lo ha detto il consigliere delegato alle carceri Eros Cruccolini che ha raccolto alcuni interventi fatti dai detenuti nell’incontro di lunedì scorso con i rappresentanti istituzionali. Ecco le parole di Daniele e Agnese: Daniele: Il decreto svuota carceri così come è non può raggiungere l’obbiettivo che si era posto. Il testo del decreto sulle carceri varato dal Governo è uscito peggiorato dal passaggio al Senato. Gli arresti domiciliari al posto della detenzione, per i reati di non forte allarme sociale, sono stati vietati per un certo numero di reati, tra i quali il furto aggravato. Così facendo viene seriamente limitato il numero di coloro che potranno scontare la pena agli arresti domiciliari invece che in carcere. Cosa più assurda è stata reintrodotta per i recidivi la possibilità di accedere alle misure alternative o ai domiciliari, prevista dalla criminogena legge ex Cirielli, che il governo in qualche modo aveva cancellato, è stata parzialmente ripristinata per chi si rende colpevole di recidiva nell’arco di cinque anni. Nonostante tutto questo vogliamo vedere dei segnali positivi e una inversione di tendenza. Per troppi anni abbiamo assistito a una esaltazione maniacale della pena (pene certe, indulti mascherati, orde di delinquenti rimessi in libertà… che poi guardandoli chi sono questi delinquenti, ci sono casi di detenuti che hanno preso 2 anni per una cioccolata; un anno per uno yoghurt) e della detenzione come unico rimedio possibile. Dimostrazione sono appunto le leggi come la ex Cirielli, la Fini-Giovanardi, la Bossi-Fini, e chi più ne ha più ne metta, affidando al carcere il compito di affrontare nodi che richiederebbero interventi precisi alla risoluzione di tali problemi. Agnese: Il carcere è una discarica sociale, le leggi varate negli ultimi anni penalizzano i più deboli di una società incapace di trovare soluzioni concrete. Deve essere ben chiaro che sovrappopolamento non è mancanza di posti letto ma di ogni servizio indispensabile: dalla difficoltà di seguirci da parte degli operatori di polizia penitenziaria, educatori, medici, alla qualità del servizio stesso per il cibo, la fornitura, le scuole e quant’altro; il tutto aggravato dalla crisi economica che peggiora ulteriormente la situazione. Il carcere così com’è perde ogni funzione sociale e rieducativa, il carcere così come è è assolutamente inutile se non peggiorativo, dato che ogni giorno viviamo le ingiustizie di un sistema che ci dovrebbe reinserire, per esempio da più di un anno combattiamo inascoltati poiché i prezzi applicati sui prodotti in vendita all’interno dell’istituto sono molto più alti rispetto all’esterno, c’è stata anche un’interrogazione parlamentare; praticamente succede che guadagniamo novanta euro (se lavoriamo, che non è detto, anzi) e per acquistare l’indispensabile ne spendiamo settanta in una sola spesa, e il resto del tempo come dobbiamo sopravvivere? Basta con le parole, speriamo che ci siano finalmente azioni concrete e coraggiose. Piemonte: per settembre l’opposizione promette battaglia sul garante dei detenuti La Repubblica, 31 luglio 2013 Il Consiglio regionale dovrà discuterne da settembre ma Pd, Rifondazione, Sel e Italia dei valori, che da più di anno chiedono, senza esito, che sia nominato un responsabile per questo incarico, si preparano fin d’ora a smontare pezzo per pezzo la nuova proposta di legge presentata da Pdl e Fratelli d’Italia che prevede di unire la figura del garante dei detenuti a una, nuova, che si occupi di tutte le persone che vivono in carcere, agenti compresi. “Ne parliamo ora, prima delle tradizionali visite che i parlamentari fanno nelle carceri per Ferragosto - hanno spiegato ieri i capigruppo dei partiti d’opposizione, insieme al radicale Igor Boni. La legge che il Piemonte si prepara a discutere è una follia, perché i detenuti hanno una peculiarità e serve una figura che si occupi di loro”. Nel mirino delle opposizioni, c’è anche l’intenzione di riconoscere al garante solo un rimborso spese. “Noi crediamo che sia un impegno serio - ha detto il capogruppo del Pd Aldo Reschigna - e che non vada fatto a tempo perso. Non si può pensare che chi fa su e giù il Piemonte, visitando le carceri per rendersi davvero conto della situazione, riceva solo un rimborso spesa: è stupido populismo” ha concluso. Aversa (Ce): detenuto di 40 anni si impicca nell’ospedale psichiatrico giudiziario Ristretti Orizzonti, 31 luglio 2013 Un detenuto quarantenne si è suicidato nell’Opg di Aversa. Si chiamava Gilberto Midilli, originario di Roma. È stato ritrovato morto in cella il 28 luglio scorso, alle ore 21.00. Ferrara: caso Adrovandi… giustizia non è ancora compiuta La Nuova Ferrara, 31 luglio 2013 Sono già stati scarcerati i due agenti di polizia che hanno scontato all’Arginone la condanna per la morte di Federico Aldrovandi. Luca Pollastri è tornato in libertà sabato, in anticipo rispetto al previsto per questioni tecniche legate ai conteggi sui permessi. Paolo Forlani invece ieri ha usufruito di una giornata di permesso, e la scarcerazione avverrà nella giornata di oggi. I due poliziotti erano in carcere da fine gennaio, dopo che il Tribunale di Sorveglianza di Bologna aveva respinto la richiesta di scontare con pene alternative al carcere i sei mesi di condanna (tre anni e mezzo) non coperti dall’indulto. Libera anche Monica Segatto, ai domiciliari da metà marzo per decisione del tribunale di Sorveglianza di Padova, mentre per Enzo Pontani (da fine aprile anche lui ai domiciliari per l’applicazione del decreto svuota-carceri da parte del tribunale di Milano) se ne riparlerà a fine agosto poiché per un cavillo tecnico la sua posizione era stata esaminata un mese più tardi. “Giustizia non è ancora compiuta”, ha dichiarato all’Ansa la mamma di Federico, Patrizia Moretti - Ci sono alcune cose ancora in sospeso e la giustizia va molto al di là di loro stessi, di quello che dovranno pagare o scontare”. Per Moretti, “giustizia sarà fatta quando la polizia non tollererà più comportamenti del genere”. La madre di Aldrovandi ha detto anche di non attendersi alcun gesto da parte degli agenti, dopo i sei mesi di detenzione, per Luca Pollastri e Paolo Forlani quasi tutti passati in carcere: “Sono passati otto anni e di tempo per meditare ne hanno avuto. E si sono già ampiamente espressi in molte occasioni, direi che sono sempre stati coerenti”, ha aggiunto, facendo presente di aver presentato querele. I quattro agenti sono stati sospesi dal servizio per sei mesi su decisione del Ministero dell’Interno. Prima della detenzione era rimasti per 28 giorni sospesi dal servizio, poi il provvedimento era stato “congelato” per tutta la durata della permanenza in carcere. Restano dunque da essere applicati altri cinque mesi di sospensione. “I procedimenti disciplinari non sono di mia competenza”, si limita a dire l’avvocato Gabriele Bordoni, uno dei legali della difesa. È anche pendente il giudizio davanti alla Corte dei Conti dell’Emilia Romagna, scaturito dalla contestazione di danno patrimoniale sollevata dalla procura regionale della magistratura contabile, per il risarcimento di 2 milioni di euro pagati alla famiglia dal Ministero dell’Interno e per il danno di immagine arrecato alla polizia. L’istruttoria è arrivata alle fasi finali. “Non abbiamo ancora ricevuto alcuna notifica - fa sapere ancora Bordoni - attendiamo gli atti”. Cremona: tragedia dietro le sbarre, quella di “Pietro l’Eretico” è una morte annunciata La Gazzetta di Mantova, 31 luglio 2013 “Quell’uomo in carcere non avrebbe dovuto metterci piede, è abbastanza evidente che avesse un disturbo psichiatrico, visti i suoi comportamenti”. Non ha peli sulla lingua il dottor Antonio Esti, dirigente psichiatra dell’Opg di Castiglione delle Stiviere e consulente della casa circondariale di Mantova. Per lui il suicidio avvenuto nel carcere di Cremona di Mario Vignoli, 66 anni - noto come Pietro l’Eretico per le sue proteste pubbliche contro la Chiesa vestito con un saio - è una sorta di “omicidio istituzionale”. “Le carceri - sostiene lo psichiatra - stanno diventando un ricettacolo di malati, e la stragrande maggioranza degli istituti non è in grado di curare pazienti affetti da patologie psichiatriche. Nel caso di Vignoli non so se fosse stata richiesta una perizia psichiatrica e quale sia stato l’esito”. In realtà, come fa presente il legale difensore di Vignoli, l’avvocato Davide Pini, “la consulenza era stata fatta e lo aveva dichiarato “capace di intendere e volere”. Nessuno però, nemmeno lo psicologo che aveva avuto un colloquio con lui un paio di giorni prima, aveva avuto la percezione che volesse suicidarsi. Il carrozziere di Rivalta aveva agito per disperazione quando nel giugno dello scorso anno l’ufficiale giudiziario era andato a bussare alla sua porta con l’ordine di sfratto in mano, accompagnato da carabinieri e vigili del fuoco. S’era barricato dentro, aveva aperto le bombole del gas e acceso un fiammifero. Solo per un caso non c’erano stati morti e feriti, se non un carabiniere con un paio di costole rotte. È l’accusa di strage che lo aveva portato in carcere, prima a Mantova, poi a San Vittore e infine a Cremona. “Sono psichiatra alla casa circondariale di Mantova, ci vado un paio di volte la settimana - spiega ancora Esti - ma per alcuni detenuti sarebbe necessaria un’assistenza continuativa, sette giorni su sette. Cosa però impossibile in un carcere come quello di Mantova o di Cremona dove non esiste un’assistenza sanitaria specialistica. Il suicidio di questo detenuto non è avvenuto per caso, per me si tratta di una morte annunciata”. Parole pesanti, che non pesano tanto sulle persone che si sono occupate del caso giudiziario, quanto sul sistema giustizia. Accusato di strage, s’impicca in cella (La Gazzetta di Mantova) “Se mi cacciano via da questa casa, la faccio saltare”. Mario Vignoli, 66 anni, l’aveva annunciato tante volte. Poi l’aveva fatto davvero. Le difficoltà economiche, la prospettiva di perdere la casa, e chissà quale altro disagio, l’avevano convinto che quella fosse l’unica soluzione: aveva aperto la bombola del gas e acceso un fiammifero mentre ufficiale giudiziario, vigili del fuoco e carabinieri cercavano di entrare nella casa di via Francesca Est da cui doveva essere sfrattato per l’affitto non pagato da un anno e mezzo. Strage è l’accusa con cui il carrozziere di Rivalta era finito in carcere, in attesa di processo, nel giugno dell’anno scorso. Anche se il suo gesto disperato, pur avendo rischiato di causare morti e feriti, aveva provocato solo due costole rotte a un carabiniere. Pietro l’Eretico, così battezzato per il saio, le manifestazioni pubbliche di dissenso contro la Chiesa cattolica e la sua personale crociata contro la decadenza dei costumi, è morto ieri mattina in un letto di rianimazione dell’ospedale di Cremona. Il suo cuore si è fermato dopo ventiquattro ore di coma: domenica mattina era stato trovato impiccato alla porta del bagno della sua cella. A nulla è valso il tentativo di salvarlo, sebbene l’intervento degli agenti di polizia penitenziaria sia stato rapido. Il dramma che ha messo la parola fine alla difficile esistenza di Vignoli risale a domenica mattina. Il carrozziere di Rivalta era detenuto nel reparto infermeria per problemi di salute, in particolare i valori alterati della glicemia che richiedevano ogni giorno terapie e particolari attenzioni. Alle dieci l’agente di guardia ha aperto le porte delle otto celle distribuite lungo il corridoio. Come ogni giorno, i detenuti avrebbero avuto libero accesso alla sala di ricreazione, dove possono giocare a carte, a bigliardino o fare altre attività insieme. L’ufficio dell’agente si trova accanto alla cella dove Vignoli era rinchiuso assieme ad altri due reclusi. Il poliziotto, man mano che i detenuti uscivano, si spostava verso il fondo del corridoio, in direzione della sala di ricreazione. Poi, una volta guidata la fila di detenuti, è tornato verso l’ufficio e qui s’è accorto che Vignoli non era uscito dalla cella. È corso dentro e l’ha trovato, accasciato sulle ginocchia, il volto cianotico, tra la porta e la parete del bagno. Il collo era serrato da un cappio, fatto con un brano di lenzuolo bagnato e annodato, per renderlo più robusto. L’altro capo era legato al cardine più alto della porta. Immediato l’allarme al personale medico del carcere e all’ambulanza, accorsa dall’ospedale, che dista mezzo chilometro dal carcere. Il polso batteva ancora ma Vignoli era privo di coscienza. In ospedale è stato tentato il tutto per tutto. Ma il miracolo non c’è stato. Gli sono stati fatali due cose: il fatto che gli sia mancato l’ossigeno al cervello per alcuni minuti e che le sue condizioni di salute fossero già compromesse. Ora da più parti si scatenano le accuse, non ultima quella di non aver consentito, dopo la perizia psichiatrica, il ricovero in una struttura alternativa al carcere. O di aver sballottato un uomo che soffriva di disagi profondi, nell’arco di poco più di un anno, dal carcere di Mantova a quello milanese di San Vittore e infine a quello di Cremona. “È un disperato ma non è un criminale” aveva spiegato un amico di infanzia che aveva tentato di convincere Vignoli ad uscire quando, un attimo prima di incendiare il gas, si era asserragliato nella casa di Rivalta. Il sindacato agenti insorge “Sempre più eventi critici” (La Gazzetta di Mantova) “Nella situazione in cui versa il pianeta carcere, gli eventi critici potranno solo aumentare in modo esponenziale e l’operato del personale di Polizia Penitenziaria risulterà vano se non si troverà una rapida soluzione alle criticità legate alla maggior parte degli istituti penitenziari italiani”. Donato Capece, segretario generale del Sappe, il Sindacato autonomo polizia penitenziaria, punta il dito contro la gestione dell’amministrazione penitenziaria e la sua “incapacità di fronteggiare l’emergenza carceri”. “Ogni giorno accade qualcosa di grave in uno degli oltre 200 penitenziari del Paese - spiega in una nota - il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria non ci sembra in grado di fronteggiare l’emergenza. Non è con le fantasie di Tamburino e Pagano, capo e vice capo del Dipartimento, sulla vigilanza dinamica dei penitenziari pensate per alleggerire l’emergenza carceraria che si risolvono i problemi (via gli agenti dalle sezioni, sostituiti da telecamere di controllo ndr). Questa soluzione, in realtà, è una resa dello Stato alla criminalità: vuol dire porre in capo a un solo poliziotto quello che oggi fanno quattro o più agenti, a discapito della sicurezza e mantenendo il reato penale della colpa del custode”. Firenze: oggi 31 luglio Consiglio provinciale straordinario nel carcere di Sollicciano met.provincia.fi.it, 31 luglio 2013 Mozione all’Assemblea di Palazzo Medici Riccardi sullo stato delle cinque istituzioni penitenziarie nel territorio, Opg compreso. Il Presidente del Consiglio provinciale Piero Giunti, unitamente al Presidente della Giunta Andrea Barducci, ha convocato un Consiglio provinciale straordinario mercoledì 31 luglio 2013 presso il carcere di Sollicciano, “per fare il punto in merito alle competenze dell’Ente in relazione alla vita del pianeta carceri, ai programmi svolti e all’attività delle associazioni del volontariato carcerario in essi coinvolti: competenze che a volte sfuggono, ma che hanno rilevanza nel mondo degli istituti di pena”. La seduta è in programma alle 15 ed avrà all’ordine del giorno la discussione della situazione della struttura di detenzione fiorentina. Si tratta della prima seduta di questo genere per il Consiglio provinciale e ad essa prenderanno parte 150 detenuti. “Parleremo del sovraffollamento, delle carenze strutturali di Sollicciano, e di come attuare politiche attive di formazione per il reinserimento sociale dei detenuti”, spiega Giunti. Oltre alla stampa sono state invitate numerose personalità politiche, tra le quali anche Marco Pannella, che ha già dato la sua adesione e parteciperà ai lavori. La commissione consiliare Politiche sociali del Consiglio provinciale di Firenze ha approvato a maggioranza una proposta di mozione sullo stato delle istituzioni penitenziarie nella Provincia di Firenze. Questo il testo: “Il presente documento, che il Consiglio provinciale approva in questa seduta straordinaria, ha come obiettivo l’individuazione di elementi di politica amministrativa relativi ad alcuni dei tanti problemi del sistema penitenziario ed è il frutto unitario del lavoro della Quarta commissione della Provincia a seguito di un lungo periodo di approfondimento, pur mantenendo i gruppi presentatori del documento in Consiglio Provinciale posizioni, sensibilità e idee diverse rispetto alle modalità di soluzione e di proposta programmatica rispetto alle politiche carcerarie; il Consiglio Provinciale Evidenzia le condizioni degli istituti di pena in Italia contrarie allo spirito della riforma penitenziaria del 1975, ispirata a una maggiore umanizzazione della pena, e lo stesso enunciato dell’art. 27 della Costituzione italiana; denuncia il grave sovraffollamento, le carenze di risorse economiche, la scarsità di personale di Polizia Penitenziaria e sanitario, lo stato di degrado strutturale in cui versano, a livello generale, gli istituti di pena della Regione Toscana. Nelle carceri toscane, secondo gli ultimi dati diffusi dal “Garante Regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale”, relativi al 31dicembre 2012, sono presenti 4.148 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 3.261 con un tasso di sovraffollamento del 127,2%; le donne sono 152, gli stranieri 2.286; Richiama la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, pronunciata l’8 gennaio 2013, c.d. sentenza Torreggiani, che costituisce una pesante condanna nei confronti dell’Italia e del suo sistema penitenziario, giacché condanna il nostro Paese per violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea ovvero la proibizione di trattamenti inumani e degradanti; Ricorda che nel territorio della provincia di Firenze sono siti cinque istituti di pena di vario livello amministrativo: la casa circondariale di Firenze “Sollicciano”, l’istituto a custodia attenuata di Firenze “Gozzini”, l’istituto penitenziario minorile di Firenze “Meucci”, l’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo e l’istituto a custodia attenuata “Pozzale” di Empoli; Ringrazia il Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria (PRAP) e la direzione del N.C.P. Sollicciano per aver coadiuvato e attivamente collaborato alla decisione dell’amministrazione provinciale di Firenze di convocare il Consiglio Provinciale all’interno della struttura penitenziaria di Sollicciano; Saluta gli ospiti presenti al Consiglio Provinciale a Sollicciano e li ringrazia; Prende atto, con dispiacere, delle dimissioni di Alessandro Margara, Garante Regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, e lo ringrazia per il prezioso lavoro svolto; Richiama le deliberazioni di Consiglio Provinciale n.97 del 27/6/2011 e n.135 del 22/11/2012; Richiama le competenze della Provincia di Firenze in materia di formazione professionale e educazione scolastica; competenze importanti per definire politiche attive sul territorio con la finalità di stabilire un nesso tra Istituti penitenziari e società attraverso un trattamento del detenuto finalizzato alla rieducazione e al reinserimento; Ricorda il lavoro di approfondimento svolto dalla Quarta Commissione Consiliare (sociale, lavoro e formazione) della Provincia che, in numerose sessioni di lavoro, ha incontrato, a volte direttamente all’interno degli istituti penitenziari, alcune direzioni amministrative penitenziarie (Sollicciano e Opg di Montelupo), le Istituzioni comunali di Firenze, Empoli e Montelupo, gli operatori del volontariato carcerario, i sindacati di Polizia Penitenziaria, il Garante per i diritti dei detenuti del Comune di Firenze al fine di valutare, in maniera priva di pregiudizi e scivolamenti ideologici, le possibilità reali per il ripristino di una soglia minima di umanità carceraria e di normalità nella funzione della giustizia; Ricorda che, secondo un’indagine voluta dall’Agenzia Regionale di Sanità (Ars) che ha coinvolto quasi i tre quarti dei detenuti toscani, il 33,2% di costoro soffre di patologie psichiatriche, fra le quali si segnalano disturbi derivati al consumo di stupefacenti (12,7%) e le nevrosi (10,9%), frequentemente legate al difficile adattamento alla reclusione; Ricorda inoltre un’indagine voluta dall’Agenzia Regionale di Sanità (Ars) nel 2012 con la quale si rende evidente che oltre il 70% della popolazione detenuta nelle carceri toscane (età media 38,5 anni, con basso livello di istruzione, composta per la metà da stranieri e per la quasi totalità - 96,5% - maschile) sono comunque affetti da almeno una patologia: soprattutto disturbi psichici, malattie infettive e disturbi dell’apparato digerente. Considera gravemente insufficiente l’attuale numero di unità operative di Polizia penitenziaria, di unità amministrative e di educatori presenti all’interno delle strutture penitenziarie della Provincia di Firenze, così come considera deficitaria l’assistenza psicologica, a cominciare da quella legata alle attività di osservazione e trattamento dei detenuti, per cui si rende necessario l’adeguamento degli organici del personale penitenziario e amministrativo, nonché dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi, non solo per ciò che concerne la loro consistenza numerica, ma anche per ciò che riguarda la promozione di qualificazioni professionali atte a facilitare il reinserimento sociale dei detenuti e per garantire adeguata tutela della loro salute; Considera seriamente insufficiente l’attuale numero di unità operative di Polizia penitenziaria, alla luce di quanto stabilito con il decreto ministeriale 8 febbraio 2001; Considera positivamente il lavoro svolto dalle numerose associazioni di volontariato nel carcere senza le quali le condizioni di vita all’interno delle strutture penitenziarie sarebbero in condizioni peggiori di quelle, già gravissime, attuali; Valuta il sovraffollamento, la mancanza di spazi, l’inadeguatezza delle strutture carcerarie, la mancanza degli organici e del personale civile, lo stato di sofferenza in cui versa la sanità all’interno delle carceri, una situazione contraria ai principi costituzionali e alle norme del regolamento penitenziario impedendo il trattamento rieducativo e minando l’equilibrio psico-fisico dei detenuti, con incremento, anno dopo anno, dei suicidi e di gravi malattie; Deplora il ritardo nel superamento degli Opg, dovuto all’inerzia del Governo e a una legge di difficile attuazione, applicata poco agevolmente nelle parti relative alle dimissioni “senza indugio” degli attuali internati, per inadempienze delle Regioni e delle Asl/Dipartimenti di salute mentale”. Bologna: spazi per l’affetto alla Dozza, l’appello del Garante dei diritti dei detenuti di Luigi Spezia La Repubblica, 31 luglio 2013 Come impedire che un neonato entri in cella con la madre? Come permettere a un bambino di far visita al padre detenuto senza quasi accorgersi del luogo di pena? La garante dei detenuti Elisabetta Laganà lancia le sue proposte: “Alla Dozza bisogna favorire in ogni modo l’affettività”. Per esempio con “spazi meno traumatici per i colloqui per figli e genitori”. In tempi di crisi, in cui non ci sono soldi per costruire nuove carceri più “umane”, per gli stessi motivi è difficile pensare a trasformare quelle esistenti. Farle diventare come quelle della Svezia, dove manca la libertà ma nient’altro. Manca anche lo spazio per respirare, in un carcere sovraffollato nato ai tempi del terrorismo e concepito per quei tempi duri. Laganà, nella sua relazione annuale a favore delle persone private della libertà, fa un’analisi impietosa, che viene a cadere negli stessi giorni in cui si scopre che alla Dozza vive in cella con la madre una neonata di due mesi, caso non nuovo nemmeno per Bologna. Partendo da qui, la garante afferma che “sarebbe auspicabile creare una rapida alternativa per le madri con bambini”. Se ne parla da anni, forse una legge potrebbe cambiare le cose, come dice Massimo Ziccone, educatore del carcere, dove non è che siano molto contenti di tenere dei bambini. Il tentativo di creare aree il meno carcerarie possibili dove i parenti e soprattutto i bambini in visita possano incontrare i detenuti è una questione di cui alla Dozza si parlava già vent’anni fa, ma l’istituzione non ha in tutto questo tempo dato proprio risposte “svedesi”, se la garante scrive che vanno predisposti “spazi più neutri e meno traumatici per i colloqui per figli e genitori”. Madri con bambini ne entrano tanti nei giorni di colloquio alla Dozza ed è deprimente anche soltanto vedere com’è la sala d’attesa accanto al cancello d’entrata. I tentativi dei vari (troppi) direttori che si sono avvicendati in questi vent’anni non hanno portato grandi cambiamenti. Non c’è solo il problema dell’affettività, in un carcere in cui in questi giorni gli agenti di polizia piangono la morte dello storico comandante, Sabatino De Bellis, andato da qualche anno in pensione. Manca il lavoro, per esempio. Laganà chiede di aumentare i rapporti con le coop, le imprese e le fondazioni bancarie e invita il Comune a offrire lavori di pubblica utilità, come previsto da un accordo del 2012. E infine, nel criticare la politica “che non sembra capire l’insostenibile drammaticità della situazione”, suggerisce di organizzare un Consiglio comunale in carcere “per un confronto diretto”. Carinola (Ce): da detenuti a contadini, la legalità dà i suoi frutti di Antonio Maria Mira Avvenire, 31 luglio 2013 “Caro figlio, non pensare che la vita ci è ostile, si raccoglie quello che si semina e noi non siamo dei buoni contadini”. Così scrive un detenuto del carcere di Carinola, nel Casertano, al figlio anche lui carcerato. Ma la storia cambia e proprio tra queste alte mura dei semi stanno crescendo e daranno buoni frutti, prodotti del lavoro di “buoni contadini”, detenuti e volontari, carcere e società civile insieme. Un risultato che si tocca con mano nei due ettari di girasoli che ondeggiano a una leggera brezza. Ma è solo il primo passo. Progetto “Semi di responsabilità”, nato dalla collaborazione tra l’amministrazione penitenziaria il Comitato don Peppe Diana, Libera Caserta, la cooperativa Carla Laudante e col sostegno di Agrinsieme Campania. Il territorio che propone e il carcere che risponde positivamente. Una storia che riparte. Questo carcere, infatti, nasce nel 1983 come colonia agricola, più di sei ettari di buona terra, una vigna, mezzi agricoli e perfino un’enorme serra. Poi l’emergenza criminalità organizzata lo ha trasformato in un carcere di massima sicurezza. E quei campi non sono stati mai seminati. Fino a quest’anno quando, dopo la trasformazione in carcere a sicurezza attenuata, proprio i detenuti assieme agli agenti penitenziari e ai volontari hanno ripulito, dissodato, irrigato e sparso quei semi che ora stanno dando dei rigogliosi girasoli. Presto saranno revisionati trattori e seminatrici e rimessa in sesto anche la serra. E così dopo i girasoli, destinati alla produzione di energia da biomasse, arriveranno prodotti locali come le cicerchie e le fave da inserire nel “Pacco alla camorra”, accanto ai prodotti delle cooperative che lavorano sui terreni confiscati alla camorra e a quelli degli imprenditori antiracket. Un’iniziativa del “modello casertano dell’antimafia sociale” di grande successo (quest’anno venduti ben 14mila “pacchi”) che ora vedrà la new entry dei detenuti, una partecipazione che chiude il cerchio. E i prodotti saranno usati nelle mense delle scuole del comune. “È un nuovo intreccio, dalla confisca dei beni alla confisca dei detenuti che come i beni devono essere tolti alle mafie e riportati sulla strada della responsabilità - spiega Alessandra Tommasino del Comitato don Peppe Diana. Un’alternativa al sistema criminale partendo proprio dal carcere e dalle buone pratiche”. Come, a settembre, la ristrutturazione, sempre fatta da carcerati e volontari, delle aree verdi all’interno del carcere che saranno destinate a orti sociali e ai colloqui coi parenti per i detenuti che ottengono premialità per buona condotta: altra cosa che i freddi e anonimi parlatori. E ancora la nascita di un piccolo birrificio artigianale dove lavoreranno detenuti e volontari, utilizzando orzo e luppolo coltivati sui terreni. E un’iniziativa per recupero e riciclo delle plastiche, proposta dal direttore del Consorzio Polieco, Claudia Salvestrini e subito accettata dalla direttrice del carcere Carmen Campi. Porte aperte, dunque. Ne è ulteriore segnale il Festival dell’impegno civile, organizzato dal Comitato e da Libera sui beni confiscati, che quest’anno ha fatto tappa anche nel carcere. Nello stesso spirito del progetto agricolo. “La squadra del carcere collabora con voi - sottolinea la direttrice, scambi di passioni e emozioni. Il modello casertano del contrasto alla camorra è un concerto di istituzioni. Mancava il carcere, ora c’è. Ed è un importante rapporto col territorio”. Ne è convinto anche il sindaco di Carinola, Luigi De Risi. “Per anni siamo stati la città del carcere, ora il carcere si apre e noi siamo pronti perché l’accoglienza l’abbiamo nel Dna. Potrebbe essere anche un’occasione - propone - di integrazione coi nostri cittadini in difficoltà, con chi ha perso il lavoro”. Carcere e territorio. Perché, come insiste Simmaco Perillo della cooperativa “Al di là dei sogni” che su un bene confiscato opera con malati di mente, compresi ex Opg, “questo è un laboratorio di vita, di dignità, di libertà. Qui le persone sembravano finite. Ricordiamo che non ci libereremo mai dalla camorra se in questo circuito di libertà non tireremo dentro anche i detenuti”. Un concetto che riprende Luigi Pagano vice capo del Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria). “Non c’è terra di nessuno. O c’è legalità o non c’è. Anche in carcere. Altrimenti restituiremo i detenuti peggiorati. O ci siamo noi o c’è qualcun altro che recluta manovalanza. Con l’assurdo che noi intanto spendiamo soldi”. Ecco perché “c’è l’orgoglio per questa iniziativa che fa entrare la società nel carcere e questo, vi assicuro, altrove non c’è: si aprono le porte e fuori non c’è nessuno”. Un progetto che guarda al dopo. “Non dobbiamo solo controllare dei corpi ma restituirli alla società, operando per un reinserimento. Ricordiamo che ogni persona recuperata è un pericolo in meno per la società. Quindi questo non è assistenzialismo ma un vero investimento in sicurezza. Questo è il segno e il sogno che vogliamo dare. E in questa terra così difficile è ancora più importante”. Salerno: sit-in davanti carcere, sciopero della fame dei Radicali e dei parenti di detenuti www.salernonotizie.it, 31 luglio 2013 Sciopero della fame a Salerno di Radicali e familiari dei detenuti nel carcere di Fuorni. Giovedì primo agosto, a partire dalle ore 7, in occasione dei colloqui con i familiari dei detenuti, davanti al carcere di Fuorni, si raccoglieranno adesioni per il digiuno a sostegno della sete di Marco Pannella e firme per i 12 Referendum sulla “Giustizia Giusta” e i nuovi diritti civili. I Radicali e i familiari di detenuti saranno in sciopero della fame e dalle ore 10.30 daranno vita ad un sit-in nonviolento davanti al piazzale della Casa Circondariale salernitana “a sostegno della lotta gandhiana del leader Radicale per sollecitare l’opinione pubblica sulla condizione disumana delle carceri e per la difesa della legalità e dello Stato di diritto”. Sono già oltre 2400 - si legge ancora nella nota diffusa dai Radicali - le adesioni di parenti di cittadini detenuti che hanno deciso di iniziare lo sciopero della fame, ma cominciano ad arrivare adesioni al digiuno anche da numerose carceri, dalle catacombe, come le ama definire Pannella, l’ennesima lezione di nonviolenza e di difesa dello stato di diritto. Cagliari: ergastolano consegue laurea ed encomi, ma il Dap trasferisce a Badu e Carros Ristretti Orizzonti, 31 luglio 2013 Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria non smette mai di stupire. È in grado di contraddire se stesso assumendo iniziative assurde. Ha impedito a un detenuto, laureatosi in Giurisprudenza con il massimo dei voti e autore di due libri durante la carcerazione, di conseguire un nuovo titolo accademico trasferendolo per ragioni di spazio da Spoleto al carcere nuorese di Badu e Carros. La vicenda ha per protagonista Marcello Dell’Anna, 45 anni, di Nardò, piccolo centro della Puglia. Ex esponente di spicco della Sacra Corona Unita, condannato all’ergastolo, Dell’Anna è considerato un esempio inequivocabile di una riuscita rieducazione detentiva. In carcere da 20 anni, ha subito una profonda metamorfosi, ricevendo alcuni encomi per meriti diversi dopo un lungo periodo di carcere duro scontato nel Penitenziario di Novara. L’ergastolano, che dopo 7 anni a Livorno è stato trasferito a Spoleto, ha accettato il giudizio e la pena inflittagli dedicando il tempo allo studio. Autore di due libri, lo scorso 25 maggio ha ottenuto 14 ore di libertà, senza scorta, in occasione della laurea che ha conseguito a Pisa con 110 e lode. Al termine del permesso, accompagnato dal figlio e dalla moglie, è tornato in cella. L’entusiasmo per avere raggiunto un così importante traguardo, ancora più significativo per chi negli anni della giovinezza aveva negato valore alle Istituzioni, intendeva proseguire gli studi essendosi iscritto ad un ulteriore corso accademico ma il Dap lo ha trasferito improvvisamente, con altri 17 ergastolani, prevalentemente siciliani, calabresi e napoletani, a Badu e Carros, interrompendo quel percorso riabilitativo e formativo portato avanti per 4 lustri. Allontanandolo così dalla famiglia e costringendolo a convivere con altri detenuti, nonostante a chi deve scontare una pena lunga viene assegnata una cella singola. Un ricorso gerarchico per un immediato trasferimento in un Istituto dove sia possibile studiare e effettuare i colloqui con i familiari è rimasto senza risposta. Il motivo per cui è stato mandato a Nuoro è stata la necessità di aumentare i posti letto della sezione AS3 del carcere umbro. È una palese conferma, a parte qualche lodevole eccezione, che i detenuti, anche quelli che dimostrano di voler cambiare se stessi con l’impegno e la partecipazione attiva al recupero, sono considerati numeri dentro un contenitore, schede di anonimi individui inseriti in fascicoli che possono essere in ogni momento spostati e trasportati come dei pacchi. Quello di Dell’Anna è inoltre un esempio inequivocabile del mancato rispetto della territorialità della pena e dello scarso peso attribuito alla rieducazione anche quando è attestata da encomi per comportamenti distinti, pubblicazioni di libri e diplomi di laurea. Il principio della rieducazione, sancito dalla Costituzione e dalla legge sull’Ordinamento Penitenziario, non può essere sacrificato per ampliare il numero dei posti letto. In questo modo non solo si demotiva il cittadino privato della libertà ma si ledono i suoi diritti negando la stessa funzione dell’Istituzione carceraria. L’assegnazione del detenuto a Nuoro ha perfino negato una evidente vittoria del sistema detentivo su un personaggio che aveva segnato negativamente con il crimine la cronaca. Evidenzia i tratti contraddittori di un modus operandi burocratico che assegna i detenuti nei diversi Istituti secondo criteri spesso orientati a risolvere problemi logistici anziché per ragioni normative dello Stato. Si riscontrano atteggiamenti punitivi anziché rieducativi. In questo modo si attua una barbarie che provoca conseguenze gravissime anche sulle famiglie - non colpevoli dei reati - costrette a sostenere spese ingenti e faticosi viaggi per poter effettuare un colloquio con il parente recluso. Maria Grazia Caligaris Presidente Associazione “Socialismo Diritti Riforme” Cagliari: “Poesie in catene”, presentato oggi il libro dell’ex detenuto Evelino Loi Ristretti Orizzonti, 31 luglio 2013 Cento poesie per testimoniare che cos’è l’esperienza detentiva, per riflettere sulla quotidianità dentro le strutture penitenziarie, per ricordare i cittadini privati della libertà. Le ha composte Evelino Loi che dietro le sbarre ha trascorso una consistente fetta della sua vita prima e dopo la legge sull’ordinamento penitenziario e la Gozzini. “Poesie in catene” è stato presentato a Cagliari per iniziativa dell’associazione culturale “Socialismo Diritti Riforme”, alla presenza, con l’autore, della presidente Maria Grazia Caligaris, del segretario Gianni Massa e della ex presidente della Provincia di Cagliari già assessore provinciale delle Politiche Sociali Angela Quaquero. “L’iniziativa - ha detto Gianni Massa - intende richiamare ancora una volta l’attenzione dell’opinione pubblica sulla situazione dei detenuti e degli Agenti nel carcere di Buoncammino. L’associazione, grazie alla generosità di Evelino Loi, consegnerà alla Casa Circondariale di Cagliari 20 copie della raccolta. Un segnale di attenzione in un momento di particolare difficoltà per chi vive all’interno di Buoncammino”. “Una poesia non può - ha sottolineato Maria Grazia Caligaris - cancellare il sovraffollamento. Può però essere utile per riflettere, per condividere emozioni, per richiamare la solidarietà. La realtà detentiva è oggi sofferenza per l’eccessivo numero di ristretti, per le carenze in ambito sanitario, per la realtà socio-economica che sta dentro e fuori le carceri. Non possiamo ignorare che nella sezione femminile di Buoncammino ci sono 4 donne incinte e a Bancali anche un bimbo di 3 anni, che nel Centro Clinico cagliaritano ci sono anziani e ammalati, che la convivenza diventa particolarmente difficile quando il caldo arroventa le celle con i letti a castello, quando perfino i passeggi per l’aria sono insufficienti e richiedono turni a rotazione. Le poesie di Evelino Loi raccontano e sembrano esorcizzare una condizione insostenibile”. “Quando un sistema detentivo funziona - ha evidenziato Angela Quaquero - non solo garantisce all’interno della struttura la dignità della persona che deve scontare la pena, ma le offre un’opportunità per formarsi, apprendere un mestiere, imparare a vivere in modo differente. All’uscita poi la mette in condizioni di poter utilizzare al meglio le competenze acquisite. Questo da noi non accade. Non solo, la Provincia di Cagliari, con il sostegno della Regione, era riuscita a ottenere un finanziamento per predisporre una casa-famiglia a custodia attenuata per donne con minori o in attesa in modo da evitare il trauma dell’arresto ai più piccoli ma la risposta del Ministero è stata che non intendeva deportare in Sardegna madri detenute in quanto nell’isola non si registrava un numero adeguato di arresti. In realtà non è così”. “Ho scritto queste poesie - ha affermato Evelino Loi - durante la detenzione. Ogni volta che si presentava una situazione che richiedeva una riflessione, un appunto, una puntuale ricognizione. Sono quindi una specie di diario di un detenuto vagabondo che ha conosciuto il carcere nelle diverse latitudini nazionali e isolane. Ho voluto annotare episodi drammatici di cui sono stato diretto testimone ed eventi più privati e intimi. La sofferenza, il dolore, il pentimento, la passione civile. Spero di riuscire a trasmettere speranza ai detenuti che oggi si trovano a Buoncammino dove anch’io ho trascorso un lungo periodo prima di riconquistare la libertà”. Maria Grazia Caligaris Presidente Associazione “Socialismo Diritti Riforme” Pavia: la Cgil visita il cantiere della nuova ala del carcere “senza personale è difficile” La Provincia Pavese, 31 luglio 2013 Hanno visitato il cantiere della nuova ala di Torre del Gallo, manifestando preoccupazione per l’apertura nei tempi previsti del padiglione in costruzione. “Senza personale è difficile”, fanno sapere Fabio Catalano Puma e Patrizia Sturini, segretari provinciali della Cgli Funzione pubblica che l’altro giorno hanno fatto un sopralluogo insieme al segretario regionale Natale Minchillo nel nuovo padiglione della casa circondariale di Pavia “Presumibilmente verso la metà del mese di settembre la nuova struttura sarà pronta per ospitare circa 300 detenuti - fanno sapere i rappresentanti sindacali. Ma nel breve incontro prima dell’inizio della visita, la direzione dell’istituto ha manifestato una grande preoccupazione in relazione alla presunta mancata intenzione, da parte degli uffici superiori, di assegnare nuovo personale per l’apertura del nuovo padiglione”. Qui, infatti, sostengono i rappresentanti della Cgil, sono 42 le unità necessarie a coprire i posti di servizio. “Questi sono i dati fornitici dall’amministrazione locale - continuano i sindacalisti. Condividiamo le preoccupazioni dell’ente, considerando che all’attuale organico di polizia penitenziaria presso la casa circondariale di Pavia mancano oltre 70 unità. Infatti dei 283 poliziotti previsti, solo 210 prestano servizio presso l’istituto”. La Funzione pubblica Cgil ha richiesto ai vertici dell’amministrazione penitenziaria di provvedere ad assegnare all’istituto pavese almeno 70 unità di polizia penitenziaria. Airola (Bn): “CreAttiva” e giovani detenuti, la ceramica per cominciare una nuova vita Ristretti Orizzonti, 31 luglio 2013 Si è aperta con la visita all’Istituto superiore Giustiniani di Cerreto la giornata organizzata dalla Fondazione Angelo Affinita per i corsisti di “CreAttiva”, laboratorio di ceramica artistica. A darne notizia, in una nota stampa, la fondazione con sede ad Arpaia. “Un grazie alla preside Bernarda De Girolamo e al professore Lazzaro Tancredi, che ha illustrato con passione e orgoglio i lavori esposti all’interno della scuola, testimonianza di una tradizione centenaria, che spazia dagli anni ‘50 ad oggi e interessa sia oggetti artistici che di design. È stato possibile visitare i laboratori di foggiatura, decorazione, lavorazione al tornio e restauro e ricevere una panoramica sulle diverse tecniche e sull’evoluzione di uno dei mestieri più antichi dell’uomo”. Una vera e propria ‘full immersion’ nell’arte, dunque, che ha affascinato non poco i giovani protagonisti. “Le nozioni teoriche si sono poi materializzate sotto gli occhi increduli dei ragazzi e degli accompagnatori nella bottega del maestro Elvio Sagnella di San Lorenzello, che da un blocco di argilla, con pochi gesti esperti ha creato alcuni vasi al tornio. Sagnella inizia la sua storia di artigiano quando a soli 11 anni comincia ad “andare a bottega”; con i suoi racconti - spiegano dalla fondazione - ha consentito di immergersi nella vita di una delle più attive botteghe del territorio, comprendere potenzialità e criticità del mercato, con un messaggio positivo: “Qualsiasi cosa scegliate di fare, fatelo sempre con professionalità e passione e sarete ricompensati”, le sue parole indirizzate ai ragazzi. La giornata trascorsa nel distretto della ceramica si inquadra nel percorso formativo che la Fondazione Affinita finanzia da due anni presso l’Istituto penale minorile di Airola. “La scelta di un laboratorio di lavorazione della ceramica artistica ha l’obiettivo di integrare il percorso formativo con le realtà produttive locali - spiegano i diretti interessati - per stimolare i giovani a rivalutare le opportunità che possono venire dalla tradizione artigianale campana e offrire una prospettiva concreta fuori dal carcere”. La formazione è affidata a Rodolfo Valentino, titolare de “Le Terre” di Benevento, con attività pluriennale nel settore, a cui si aggiunge una consolidata esperienza specifica in corsi con minori a rischio. Una grande iniziativa, dunque, di forte rilevanza sociale per tutti i protagonisti. Sassari: Centro Democratico; incontro su nuovo carcere e arrivo condannati per mafia La Nuova Sardegna, 31 luglio 2013 Anche il Centro Democratico affronta il problema della detenzione di detenuti della criminalità organizzata in regime di 41 bis nel nuovo carcere di Bancali e sull’impatto nel territorio che la presenza di mafiosi genererà. Lo fa promuovendo per venerdì prossimo, 2 agosto, un incontro pubblico nella borgata che si terrà alle 19 al circolo Terra Nostra, in via Bancaleddu, vicino alle scuole elementari. L’incontro è rivolto non solo agli abitanti di Bancali, ma anche della Landrigga, San Giovanni e della città. Interverranno Tore Piana, dirigente regionale del CD; il deputato Roberto Capelli, firmatario di una proposta di legge contro il trasferimento dei reclusi per mafia nelle carceri sarde, l’avvocato Anna Maria Busia; Roberto Desini, sindaco di Sennori; Angelo Accaccia, assessore del Comune di Porto Torres; Nino Marginesu, coordinatore provinciale del partito; e Antonio Lo Monaco, dirigente provinciale. Sono inoltre invitati rappresentanti sindacali e rappresentanti Istituzionali. Stati Uniti: 4,1 mln dollari per 4 giorni di ingiusta detenzione, segnale di grande civiltà di Giulio Petrilli Ristretti Orizzonti, 31 luglio 2013 La notizia che arriva dagli Stati Uniti è da certi versi sorprendentemente sconvolgente, un ragazzo di 24 anni Daniel Chong, detenuto ingiustamente per quattro giorni e lasciato in quel periodo senza cibo e acqua, ha avuto un risarcimento di 4,1 milioni di dollari, un milione per ogni giorno di carcere. Qui in Italia invece, il risarcimento per ingiusta detenzione non può superare la soglia di 516.000 euro, anche se uno ha scontato venti anni di carcere ingiustamente. Ma in Italia non avviene solo questo, il 70 per cento delle persone assolte si vede rifiutare il risarcimento per ingiusta detenzione, in quanto secondo i magistrati, queste persone, avendo avuto frequentazioni sbagliate, hanno tratto in inganno gli inquirenti che hanno emesso il mandato di cattura, una situazione incredibile di cui sono stato vittima anch’io, che nonostante sei anni di carcere ingiusto con l’accusa di banda armata, esattamente 2149 giorni di carcere, non ho avuto il risarcimento per il motivo sopra esposto. Devo riconoscere che questa volta dagli Stati Uniti, è arrivato un segnale di grande civiltà e spero che l’Italia si adegui agli altri paesi sulla legge per il risarcimento da ingiusta detenzione, concedendo il risarcimento a tutte le persone assolte e aumentando la soglia del massimale che è di 516.000 euro. Chiaramente il carcere ingiusto è impagabile , ma l’atto risarcitorio è doveroso da parte dello Stato. Stati Uniti: detenuto fugge dalla prigione in Arkansas sotto gli occhi delle guardie Ansa, 31 luglio 2013 Una fuga rocambolesca ha avuto come protagonista un detenuto evaso dalla prigione della contea di Hot Spings, in Arkansas, negli Stati Uniti. L’uomo, che era stato condannato per una rapina a mano armata e per furto d’auto, è riuscito ad evadere da una finestra interna al carcere nel corso di una delle telefonate concesse periodicamente ai detenuti. Un complice lo ha aiutato distraendo gli agenti di sorveglianza, e Derrick Estelle, ripreso dalle telecamere di sorveglianza della struttura penitenziaria, si è allontanato grazie a una macchina che lo attendeva fuori dal carcere pronta a partire e l’agente che aveva provato a seguirlo per bloccarlo non ha potuto fare nulla.