Giustizia: il ministro Cancellieri; su amnistia sono favorevole... ma non decido io Asca, 30 luglio 2013 Quella su una eventuale amnistia “non è una decisione che mi appartiene ma appartiene al Parlamento perché è una decisione politica. Tuttavia anche a voi ripeto quello che ho già detto altre volte: che io sarei favorevole”. Lo ha detto il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri rispondendo, secondo quanto riferito, a un detenuto del penitenziario di Sollicciano nel corso di un incontro con una delegazione di detenuti. Il ministro oggi ha visitato il penitenziario, afflitto da un cronico problema di sovraffollamento. A proposito del carcere fiorentino, il ministro aveva rilevato, parlando con i giornalisti, che “al di là, purtroppo, del sovraffollamento che è un dato di fatto, Sollicciano è un carcere modello sotto il profilo dell’impegno sociale”. Oltre a quello dell’eccessiva presenza di detenuti rispetto alla struttura, sono stati molti i temi sottoposti dai carcerati all’attenzione del ministro, a partire dalla possibilità di lavorare all’interno della struttura e su questo la Cancellieri ha ribadito il suo “impegno prioritario”. Tra i temi sottoposti all’attenzione della Cancellieri anche quello dell’avvicinamento dei figli alle madri in carcere e i problemi di cura dei detenuti tossicodipendenti. Nardella: visita Cancelieri segnale attenzione “L’incontro del Ministro Cancellieri con i detenuti è un segnale importante di attenzione, non solo nei confronti del sistema carcerario, ma soprattutto verso le condizioni di vita dei detenuti che si trovano a vivere situazioni drammatiche”: così ha commentato la vista a Sollicciano Dario Nardella, deputato fiorentino PD, che ha accompagnato oggi il Ministro Anna Maria Cancellieri. “Abbiamo ascoltato l’esperienza diretta di chi è costretto a vivere in celle di pochi metri quadrati e soprattutto senza una vera prospettiva di riscatto e di lavoro” ha poi proseguito. La questione più volte rimarcata dagli interventi dei detenuti riguarda il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena “senza un programma di attività e di riabilitazione sociale e psicologico il carcere serve solo a limitare la libertà personale, mentre deve essere un processo riabilitativo, fondato su attività e sull’integrazione con il mondo del lavoro. In questa direzione va il progetto di cui mi sto occupando personalmente nel tentativo di migliorare le condizioni di vita dei detenuti, non solo quando sono in carcere, ma anche quando ne usciranno” ha concluso Nardella. Detenuti al ministro Cancellieri: più lavoro e madri con i figli Una delegazione di detenuti di Sollicciano ha esposto i problemi della popolazione carceraria al ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri che oggi ha visitato il penitenziario fiorentino. Non solo il sovraffollamento, tra i problemi, ma anche la necessità di poter lavorare mentre si è in carcere, la possibilità per le madri detenute di tenere vicino a sé i figli e per i tossicodipendenti di curarsi in comunità. La richiesta di avere lavoro all’interno del carcere è una necessità ma anche una speranza per il reinserimento nella società al momento di uscire a fine pena. Il ministro Cancellieri ha risposto che quello sul lavoro è un suo “impegno prioritario, preso fin dall’inizio, e voglio portarlo avanti”. Ma, ha sottolineato il ministro, “non possiamo farlo dappertutto, bensì in realtà dove ci sono le condizioni, come a Firenze e in Toscana, grazie sia alle nostre istituzioni centrali sia alle istituzioni e agli enti locali”. Un altro detenuto ha posto il problema dell’avvicinamento dei figli alle madri in carcere, in particolare rispetto alla sottrazione della potestà genitoriale. Il ministro ha evidenziato che la questione si pone sotto un profilo più strettamente legislativo. Una detenuta tossicodipendente ha chiesto, per chi è nella sua condizione, di poter lasciare il carcere per curarsi in una comunità. Il guardasigilli ha puntualizzato che la questione dei tossicodipendenti nei penitenziari “non può essere generalizzata neanche rispetto ai problemi del sovraffollamento e vanno esaminate le singole situazioni di ciascuno, anche rispetto alla gravità dei reati commessi”. Un altro detenuto ha letto un documento relativo al decreto cosiddetto “svuota carceri” chiedendo che venga riproposto in maniera più incisiva. “Confermiamo l’impegno della Regione Toscana perché ai detenuti siano garantite la stessa tutela della salute e le stesse cure che spettano ai cittadini liberi. Come servizio sanitario toscano poniamo particolare attenzione alla salute dei cittadini detenuti e abbiamo avviato un processo di collaborazione e di dialogo con le istituzioni dell’intero apparato penitenziario. L’adozione di protocolli di cura idonei favorirà un miglioramento dell’intero processo assistenziale” ha detto l’assessore al diritto alla salute Luigi Marroni che ha accompagnato oggi pomeriggio il ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri nella visita al carcere di Sollicciano e, prima, alla Scuola superiore della magistratura nella villa di Castel Pulci. La Regione Toscana, ricorda una nota, lavora da tempo per garantire ai detenuti il diritto a un’assistenza sanitaria pari a quella dei cittadini liberi: sono state messe a punto linee guida per la tutela della salute mentale e la prevenzione del rischio suicidario. Giustizia: anche i famigliari dei detenuti in sciopero fame a sostegno di Marco Pannella Notizie Radicali, 30 luglio 2013 Una lotta non violenta per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni disastrose delle carceri italiane. Alle ore 2 e 54 di stanotte erano 2.410 loro che avevano aderito alla iniziativa dello “sciopero della fame” di Marco Pannella e promossa da Alessandra Terragni partendo da Facebook. Novanta di essi sono detenuti del carcere di Voghera. Per loro la Terragni è in collegamento diretto con i famigliari. Più di 190 i cuneesi. Lo sciopero della fame è iniziato alle 23:59 del 29 luglio 2013, e finirà alle 23:59 del 30 luglio 2013. Una lotta non violenta per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni disastrose delle carceri italiane. Moltissimi gli Agenti di Polizia Penitenziaria che hanno fatto sentire la propria voce restando nel silenzio della propria abitazione o lavorando senza assumere cibo. Un segnale, questo, che evidenzia il disagio di tutti, detenuti ed Agenti. La detenzione è, di per se, una forma afflittiva già abbastanza lacerante: vivere in cattività, ed in pessime condizioni, deturpa le anime. Lavorare con persone costrette in spazi ristrettissimi è penalizzante anche per gli operatori che ogni giorno vivono in simbiosi con persone in gabbia. Giustizia: decreto-carceri, no alla custodia cautelare per finanziamento illecito ai partiti Il Giorno, 30 luglio 2013 Con la modifica introdotta al Senato al dl svuota-carceri non solo non scatterà più la custodia cautelare in carcere per lo stalker, ma anche per chi finanzia illecitamente i partiti e chi rende falsa testimonianza. Trincea Pdl a favore delle modifiche al testo. Con la modifica introdotta al Senato al dl ‘svuota-carceri’ non solo non scatterà più la custodia cautelare in carcere per lo stalker, ma anche per chi finanzia illecitamente i partiti e chi rende falsa testimonianza. È questa la conseguenza di un emendamento presentato da Gal e poi approvato a Palazzo Madama. La settimana scorsa, in commissione Giustizia del Senato e poi in Aula, è stata approvata una proposta di modifica al decreto cosiddetto svuota-carceri che aumenta il tetto massimo, perché scatti la custodia cautelare in carcere, dai 4 a 5 anni. A presentarlo è stato Lucio Barani, del gruppo ‘Grandi Autonomie e Liberta”; ha poi ricevuto parere favorevole del governo ed è stato approvato dall’intera maggioranza. Le conseguenze di questa modifica alla quale sembra che il Pdl non voglia proprio rinunciare, sono di una certa importanza: non solo non ci sarà più il carcere preventivo per chi commette il reato di stalking, ma anche per chi finanzia illecitamente i partiti, per l’abuso d’ufficio (la pena massima di questo reato era stata portata a 4 anni nella precedente legislatura), per chi rende false informazioni ai Pm. Si salvano infine dalla custodia cautelare anche i reati di favoreggiamento, contraffazione, introduzione nello Stato e vendita di marchi contraffatti. Sono tutti reati per i quali é prevista una pena massima di 4 anni. Mentre ormai il tetto perché scatti la custodia cautelare in carcere è di 5 anni. In commissione Giustizia della Camera ora si vorrebbe modificare il testo del decreto per tornare alla versione licenziata dal governo, ma il Pdl non sembra intenzionato a rinunciare alle modifiche introdotte al Senato. E il tempo stringe visto che il decreto è atteso nell’Aula di Montecitorio per domani. Giustizia: decreto-carceri; niente custodia cautelare in carcere per chi fa stalking Corriere della Sera, 30 luglio 2013 Altro che larghe intese: sulla necessità di misure più severe per lo “stalking” nel nostro Parlamento si registrano larghissime intese. Ma nei giorni scorsi il Senato, probabilmente senza valutare con attenzione le conseguenze, ha approvato un emendamento al decreto carceri grazie al quale potrebbero non scattare più né la custodia cautelare né gli arresti domiciliari per questo reato. In commissione Giustizia del Senato, infatti, nei giorni scorsi è stato accolto da tutta la maggioranza con parere favorevole del governo l’emendamento presentato da Lucio Barani. (Gal) che sposta il tetto per il carcere preventivo dai quattro ai cinque anni. Grazie a questa modifica, confermata dall’Aula di Palazzo Madama (il decreto è ora all’esame della Camera), l’articolo 280 del codice di procedura penale cambierebbe così: “La custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti, consumati 0 tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni”. Ma l’articolo 612 bis, quello che disciplina il reato di “stalking”, prevede che la pena per questo reato vada da sei mesi a quattro anni e quindi questo reato resterebbe fuori. Sono molti ora, in commissione Giustizia della Camera, quelli che chiedono a gran voce di cambiare il testo del decreto per evitare che si compia “l’ennesimo errore”. Duro il capogruppo della Lega Nicola Molteni: “Chiunque voti favorevolmente un provvedimento simile dovrà assumersene la responsabilità. Ogni ferita, ogni abuso ed ogni omicidio che seguirà questo disegno sciagurato avrà un nome, un volto, una coscienza”. Anche il presidente della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti (Pd), non ha dubbi sull’opportunità di modificare il decreto: “Il fatto che non possa più scattare la custodia cautelare in carcere per lo stalker è davvero grave. Il decreto carceri va rivisto e corretto”. Secondo la Ferranti, poi, “questa storia dello stalking è grave soprattutto alla luce del dibattito che si è avuto alla Camera sul testo per la messa alla prova. Tutti infatti hanno alzato gli scudi per evitare che lo stalker potesse godere di misure alternative al carcere. E ora che si fa? Si esclude per questo reato perfino il carcere preventivo? Bisogna modificare la norma”. La parola passa ora a Montecitorio. Il Senato cancella l’arresto per stalking (La Repubblica) Nel giorno in cui un’altra donna è stata massacrata da chi pretendeva di amarla, invece di nuovi provvedimenti in loro difesa, sulle italiane arriva una nuova doccia fredda: gli stalker rischiano infatti di non scontare più la custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari. Il motivo? All’interno del dl carceri in commissione Giustizia al Senato è stato accolto circa dieci giorni fa da tutta la maggioranza, con parere favorevole del governo, l’emendamento che sposta il tetto per il carcere preventivo dai 4 ai 5 anni. Peccato che per gli stalker la pena prevista, salvo casi specifici, vada da sei mesi a 4 anni. “È l’ennesima dimostrazione che le donne e la violenza su di loro non è un argomento che interessa. È un dato di fatto che nemmeno l’allontanamento dell’aggressore, dello stalker, è un provvedimento che viene preso a sufficienza, eppure è semplice. Si lascia fare, si lascia correre e si continua a lasciarle morire”. Giulia Bongiorno, avvocato, ex deputato e fondatrice di Doppia difesa, associazione per le donne vittime di maltrattamenti, è drastica. Ma non è l’unica stupita e contrariata. Sono molti ora, in commissione Giustizia della Camera quelli che chiedono a gran voce di cambiare il testo del decreto anche per evitare che si compia “l’ennesimo errore”. Il provvedimento, secondo il Pd, andrebbe comunque rivisto per tornare “allo spirito originario proposto dal governo”. Dopo Cristina, inseguita e uccisa a Massa Carrara, ieri un’altra donna è stata ammazzata dall’ex marito a Taurisano in provincia di Lecce. Si chiamava Erika Ciurlia, è stata punita come altre quest’anno nel nostro Paese per aver deciso di andarsene, di chiudere un rapporto, di separarsi. Lui, Franco Capone carrozziere, 46 anni, lei 43, collaboratrice domestica, avevano vissuto assieme un quarto di secolo mettendo al mondo tre figli prima che lei, stanca di soprusi, decidesse di separarsi. Erika un paio di mesi fa era tornata a vivere, insieme alle due figlie di 25 e 5 anni, a casa dei genitori. Il figlio diciottenne, invece, era rimasto col padre e si trovava lì quando, ieri mattina, ha sentito all’improvviso i colpi di pistola. È corso al piano inferiore della villetta e ha trovato a terra i corpi dei genitori. Franco Capone era conosciuto in paese come un uomo mite, ma, quando la moglie a maggio aveva manifestato la volontà di separarsi, si era trasformato: aveva alzato la voce, aveva impugnato un’ascia davanti agli stessi poliziotti chiamati in soccorso. Erika lo aveva denunciato e nelle settimane successive poliziotti e carabinieri avevano perquisito più volte la casa dell’uomo in cerca di armi. Nulla. Lui, davanti agli agenti, non mostrava ira. “Io la amo - ripeteva - e non posso vivere lontano dai miei figli”. Fingeva calma, ma dentro preparava lucidamente la vendetta. Secondo gli inquirenti, infatti, avrebbe premeditato il delitto. Si sarebbe procurato l’arma e poi, con tono gentile per non farla sospettare di nulla, ha invitato la moglie a casa con una scusa. Giustizia: il decreto-carceri all’esame della Camera, dichiarazioni di esponenti politici Ristretti Orizzonti, 30 luglio 2013 Ferranti (Pd): alla Camera correggeremo modifica a stalking “Durante l’esame alla Camera del dl Carceri correggeremo le modifiche fatte al Senato perché giudichiamo impensabile che non sia prevista la custodia cautelare per il reato di stalking”. Lo rende noto la presidente della Commissione Giustizia di Montecitorio, Donatella Ferranti, la quale spiega: “L’obiettivo di far scattare la custodia cautelare per i reati punibili con un minimo di cinque anni di reclusione ha aspetti lodevoli ma non può essere realizzato senza valutarne le conseguenze nei vari casi. O si torna ai quattro anni - ipotizza la parlamentare - o si prevedono specifici reati per i quali sia comunque prevista la custodia cautelare e tra essi deve rientrare anche quello di stalking. Giuliani (Pd): gruppi uniti per correzioni su custodia cautelare 30 Luglio 2013 - 17:18 "Ha ragione la presidente della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti: quanto accaduto nel corso dell'iter a Palazzo Madama, deve essere rimediato". Lo afferma Fabrizia Giuliani, deputata del Pd, già relatrice in commissione Giustizia della mozione unitaria sulla violenza di genere. "Sono certa che alla Camera - aggiunge Giuliani - già all'esame in commissione, riusciremo a reintegrare il reato di stalking tra quelli per i quali è prevista la custodia cautelare. Auspico, infine - ha concluso Giuliani - che tutte le forze politiche votino compattamente in tal senso: per contestare in modo concreto la violenza contro le donne che scandisce in modo drammatico la cronaca quotidiana è necessario un atto di responsabilità di tutte le forze parlamentari". Agostini (Pd): lavorare in sinergia contro stalking Per il reato di stalking deve essere prevista la custodia cautelare in carcere e noi lavoreremo perché si torni al testo originale approvato alla Camera. Si tratta di un reato grave, basti pensare che quasi ogni giorno apprendiamo notizie di uccisioni di donne. Bisogna lavorare di più e in sinergia perché magistratura, forze dell’ordine, servizi sociali, valutino la gravità del fenomeno della violenza e applichino seriamente le leggi che già ci sono. Non dobbiamo dimenticare inoltre che quotidianamente tante donne si salvano grazie al lavoro prezioso dei centri antiviolenza, che bisogna rafforzare ed estendere, anche accelerando la presentazione del nuovo piano d’azione contro la violenza. Carfagna (Pdl): presenterò emendamento su stalker “Una modifica aberrante. Alla Camera presenterò un emendamento affinché anche per gli stalker scatti la custodia cautelare”. Lo scrive sul suo blog (www.maracarfagna.net) la portavoce del gruppo Pdl alla Camera dei deputati, Mara Carfagna, sulla modifica al dl Carceri, introdotta dal Senato, grazie alla quale per lo stalker potrebbe non scattare più la custodia cautelare. “Le tragiche vicende di cronaca degli ultimi giorni, evidentemente - aggiunge Carfagna - non sono sufficienti per far comprendere a certi legislatori la gravità sociale del problema”. Repetti (Pdl): rivedere esclusione carcere per stalking “Non possiamo abbassare la guardia nei confronti della violenza contro le donne. Per questo l’emendamento passato in Commissione Giustizia che di fatto esclude il carcere per il reato di stalking, le cui vittime sono soprattutto donne, è un segnale molto negativo. Per queste ragioni, il Parlamento dovrà impegnarsi a modificare questa ennesima assurda ingiustizia”. Lo afferma Manuela Repetti (Pdl). Carceri: Molteni, legge vergognosa, pronti a battaglia totale “Se il Governo e la maggioranza Pd e Pdl pensano di reintrodurre nel decreto svuota carceri misure di beneficio e premiali nei confronti dei recidivi pluriaggravati ovvero nei confronti di chi ha dimostrato di essere un criminale seriale, la Lega Nord è pronta alla guerra totale sul provvedimento utilizzando qualunque tipo di strumento ostruzionistico parlamentare. È una legge vergognosa e dannosa e che avrà effetti devastanti per la sicurezza dei cittadini a cui ci opporremo duramente”. Lo dichiara Nicola Molteni, capogruppo della Lega Nord in commissione giustizia a margine delle audizioni di oggi al decreto svuota carceri. Giustizia: hanno ucciso il mio Federico e rimetteranno la divisa senza nemmeno pentirsi di Raphaël Zanotti La Stampa, 30 luglio 2013 Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, era scesa in piazza per contestare le guardie carcerarie che sotto il suo ufficio manifestavano in difesa dei colleghi. Calamite sul frigorifero, una vetrinetta strapiena di oggetti, fotografie, coppe sportive e in un angolo, vicino al grande tavolo, un televisore. Rigorosamente non al plasma. Una casa normale, come tante. A cui manca una sola cosa, da 8 anni: un ragazzo. Si chiamava Federico Aldrovandi, aveva 25 anni, è stato ucciso. È diventato un simbolo. Ma per Patrizia Moretti, la madre era ed è soprattutto un figlio, il suo, quello che manca a questa casa. Oggi sarà un giorno speciale per la famiglia Aldrovandi. Questa mattina esce da carcere Paolo Forlani, l’ultimo dei 4 poliziotti condannati in via definitiva per aver ucciso Federico. Luca Pollastri, l’altro detenuto, è uscito sabato. Monica Segatto ieri ha terminato il suo periodo di domiciliari. Resta Enzo Pontani, ai domiciliari. Verrà presto liberato: ha solo iniziato la detenzione dopo gli altri. Poi, tutti e quattro, avranno finito di scontare la loro pena: 6 mesi. Loro, i poliziotti, dicono che è un’ingiustizia: gli unici in Italia, da oltre trent’anni, ad aver scontato per intero una pena per omicidio colposo (3 anni se li è mangiati l’indulto). Lei, Patrizia Moretti, riflette: “Sei mesi per aver ucciso qualcuno è sbagliato, ingiusto, doloroso e soprattutto inaccettabile - dice - E non perché sei mesi siano pochi, anche se sarebbe ipocrita dire che non lo siano. Ma perché sei mesi non sono bastati. Se il carcere dev’essere riabilitativo, come io credo, ebbene per queste persone non lo è stato: non si sono mai pentiti, non hanno mai avuto una parola di dispiacere per la morte di Federico. Mai”. Patrizia Moretti, la sua famiglia, gli amici, hanno combattuto 8 anni per avere ragione. E domani tutto questo sarà finito. Almeno penalmente. La paura più grande, oggi, per Patrizia è che quei 4 poliziotti tornino a vestire la divisa. Cosa possibilissima, quasi automatica. La commissione di disciplina ha già emesso il suo verdetto: sei mesi di sospensione. “A fine anno, tutti torneranno in servizio. Quattro poliziotti, armati, condannati per omicidio, torneranno per le strade con un buffetto e senza che nemmeno si siano resi conto di quello che hanno fatto”. Patrizia era preparata a questo giorno. “Sapevamo che sarebbe arrivato”. Ma è amaro lo stesso. “È la cultura delle istituzioni che deve cambiare. Questi poliziotti sono stati protetti, è evidente. E questo mi fa male. Quel che invece mi rassicura è che l’opinione pubblica ha reagito. Anche se la giustizia ha fatto il suo corso, è la condanna dell’opinione pubblica ciò che più conta. Solo così riusciremo a cambiare la cultura nelle istituzioni”. La cultura e anche qualcos’altro. Oggi l’ultimo poliziotto che ha ucciso Federico uscirà dal carcere. Dopo sei mesi. Pena scontata. Patrizia sa che potrebbe riaccadere. E allora l’opinione pubblica non basta: “Chi può, istituisca il reato di tortura. Chi non lo vorrebbe istituire ha una sola ragione: evidentemente lo perpetra. E questo non è più accettabile”. Lettere: i provvedimenti sull’emergenza carceri Quotidiano di Calabria, 30 luglio 2013 Spettabile redazione, nei prossimi giorni il Parlamento voterà alcuni provvedimenti finalizzati al contrasto dell’emergenza penitenziaria. Si tratta della conversione in legge del decreto del Governo 1 luglio 2013, n. 78, e il testo unificato delle proposte di legge con la delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie. Non so, personalmente, se avranno gli effetti salvifici per il sistema carcere di cui parlano gli entusiasti fautori dei due provvedimenti o le conseguenze nefaste per l’ordine pubblico, i cittadini e la sicurezza sociale che denunciano coloro che li hanno contestati e li contestano. So che nelle carceri italiane la tensione resta alta. Star chiuso in cella 20 ore al giorno, senza far nulla, nell’ozio e nell’apatia, alimenta una tensione detentiva nelle sovraffollate celle fatta di risse, aggressioni, suicidi e tentativi suicidi, rivolte ed evasioni che genera condizioni di lavoro dure, difficili e stressanti per le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. Negli ultimi giorni, poi, è accaduto di tutto: nel carcere di Napoli Poggioreale un gruppo di rivoltosi si è barricato in cella per contestare il sovraffollamento della struttura e solo la professionalità e le capacità di gestione dell’evento critico da parte del personale di Polizia hanno permesso di porre fine alla protesta senza l’uso della forza. A Monza e Roma Rebibbia due detenuti si sono tagliati la gola mentre nel carcere di Aosta 4 poliziotti sono rimasti feriti a seguito di una colluttazione avvenuta con un detenuto magrebino. Un agente è stato aggredito nel carcere di Sanremo mentre in quello di Cremona sabato pomeriggio un detenuto albanese ha tentato di evadere durante l’ora d’aria ma è stato prontamente bloccato dagli agenti di Polizia Penitenziaria e il giorno dopo un altro ha tentato di impiccarsi nella sua cella: salvato dai poliziotti penitenziari è però morto in ospedale ventiquattro ore dopo. Sono allora d’accordo con chi sostiene che la discussione deve partire dal sistema penale e non dal carcere. E l’organizzazione della pena che deve essere cambiata. Il principio è quello di individuare la giusta pena e non il “giusto carcere”. Il numero attuale di detenuti dimostra invece che attualmente il carcere non è considerato come residuale al sistema della pena, ma coincide con la pena. Ma è del tutto evidente che il carcere, specie così com’è strutturato oggi, non può essere la panacea di tutti i mali. C’è più sicurezza nell’inventa-re alternative che puntare sul carcere? Forse sì, se si confrontano i dati che dimostrano come il condannato che espia la pena in carcere ha un tasso di recidiva del 68,4% contro il 19% di chi ha fruito misure alternative e addirittura l’l% di chi è inserito nel circuito produttivo. Forse uno sforzo maggiore i nostri legislatori potrebbero farlo: favorendo l’obbligatorietà del lavoro in carcere, le espulsioni dei condannati stranieri per far scontare loro la pena nei penitenziari dei Paesi di provenienza, accelerando i tempi dei processi e diminuendo i tempi della custodia cautelare in carcere. E anche favorendo strutture sociosanitarie per permettere di scontare la pena, in luoghi differenti dai penitenziari; potenziando i posti disponibili per persone affette da disturbi psichici in comunità terapeutiche o a doppia diagnosi e il ricovero diretto, in comunità terapeutiche, per i tossicodipendenti. Garantendo però, sempre, il diritto dei cittadini onesti ad avere città più sicure e contestualmente assicurando la giusta punizione per coloro che commettono reati. Un caro e cordiale saluto. Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto Sappe Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria Toscana: Assessore Marroni; la Regione è impegnata per tutela della salute dei detenuti Asca, 30 luglio 2013 “In occasione di questa visita del ministro Cancellieri qui a Sollicciano, confermiamo l’impegno della Regione Toscana perché ai detenuti siano garantite la stessa tutela della salute e le stesse cure che spettano ai cittadini liberi. Come servizio sanitario toscano poniamo particolare attenzione alla salute dei cittadini detenuti e abbiamo avviato un processo di collaborazione e di dialogo con le istituzioni dell’intero apparato penitenziario. L’adozione di protocolli di cura idonei favorirà un miglioramento dell’intero processo assistenziale”. Così l’assessore al diritto alla salute Luigi Marroni che ha accompagnato oggi pomeriggio il ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri nella visita al carcere di Sollicciano e, prima, alla Scuola superiore della magistratura nella villa di Castel Pulci. La Regione Toscana, ricorda una nota, “lavora da tempo per garantire ai detenuti il diritto a un’assistenza sanitaria pari a quella dei cittadini liberi: sono state messe a punto linee guida per la tutela della salute mentale e la prevenzione del rischio suicidario. In tutti gli istituti penitenziari è garantita l’assistenza psichiatrica e la presenza di infettivologi. Ad oggi si è arrivati a un buon livello di informatizzazione dei dati sanitari penitenziari, ed è in fase di implementazione il progetto regionale di cartella clinica penitenziaria informatizzata: si tratta di una cartella sanitaria informatizzata, che è stata installata in tutti gli istituti penitenziari toscani, attraverso la quale, una volta a regime, sarà possibile monitorare in modo sistematico lo stato di salute dei pazienti detenuti e gestire i loro trattamenti sanitari (visite, cure, somministrazione di farmaci), garantendo privacy e sicurezza”. Piemonte: opposizioni insieme per il Garante dei detenuti, contro proposta maggioranza Ansa, 30 luglio 2013 Pd, Sel, Fds, Idv e Radicali insieme per sostenere l’istituzione del Garante regionale delle carceri. La conferenza stampa congiunta che si È tenuta oggi, presenti Eleonora Artesio (capogruppo Fds), Aldo Reschigna (capogruppo Pd), Monica Cerutti (capogruppo Sel), Andrea Buquicchio (capogruppo Idv) e Igor Boni (presidente Associazione radicale Adelaide Aglietta), era finalizzata ad annunciare che alla ripresa dei lavori dell’Assemblea regionale, sarà questo uno dei cavalli di battaglia. Al centro delle critiche la proposta di legge regionale della maggioranza definita “paradossale” da Artesio: “Dopo aver tentato a lungo di ridimensionarne il ruolo, attribuendone le funzioni al Difensore civico, ora il centro destra, con la proposta di unificare nella stessa figura il garante dei detenuti e quello degli agenti di polizia giudiziaria, svela la propria vera natura, che quella di non riconoscere i carcerati come persone portatrici di diritti”, ha detto. Reschigna ha ricordato il forte conflitto in Consiglio regionale tra maggioranza e opposizione. “Dobbiamo combattere perché il garante sia una cosa seria - ha dichiarato - non può essergli riconosciuto solo un rimborso spese, se vogliamo che davvero giri per il Piemonte lavorando nelle diverse realtà”. Anche per Cerutti “la nomina del Garante dei diritti dei detenuti non deve essere solo un’emergenza di un periodo difficile come può essere il mese di agosto, ma deve essere una questione centrale”. La proposta di legge della maggioranza in merito ai compiti del Garante dei detenuti è il prodotto di una cultura razzista e xenofoba, ha sostenuto Andrea Buquicchio. “È grave - ha sottolineato - che insieme ai diritti dei detenuti il Garante debba occuparsi anche di quelli degli agenti penitenziari. È del tutto evidente che in alcuni casi il Garante potrebbe trovarsi ad affrontare controversie che vedono contrapposti una persona reclusa ed un agente. Cos sarebbe come affidare allo stesso avvocato sia la difesa e sia l’accusa nel medesimo processo”. A sua volta Boni ha ricordato che la Corte europea condanna continuamente l’Italia per le condizioni in cui versano le sue carceri. In Piemonte - ha ricordato - ci sono 13 strutture che potrebbero ospitare al massimo 3.679 detenuti e invece ne contengono 4.951. Cremona: detenuto morto suicida, carcere nella polemica, i sindacati vanno all’attacco di Mauro Cabrini Provincia di Cremona, 30 luglio 2013 Cà del Ferro sotto la lente. Un 66enne si è impiccato in cella. I nodi: sovraffollamento e carenza dell’organico della polizia penitenziaria. La direttrice Bellezza replica. L’immediato soccorso garantito dagli agenti della polizia penitenziaria, così come le terapie di rianimazione praticate prima dal personale del 118 e poi dai medici dell’ospedale, si sono rivelati vani: è morto nella tarda mattinata di ieri, nel reparto di Terapie intensive del Maggiore dove si trovava ricoverato e piantonato, il detenuto che alle dieci di domenica, legando un lenzuolo alla porta del bagno e approfittando dell’assenza dei due compagni di cella, si era impiccato m carcere. La vittima è il 66enne mantovano Mario Vignoli. Non un personaggio qualunque: conosciuto come ‘l’ereticò per la sua vena polemica creativa spesso espressa con proteste e costumi pittoreschi, noto a livello nazionale per le sue incursioni nelle chiese e, in particolare, per quella in piazza Duomo a Milano durante la visita di Papa Ratzinger, era recluso a Cà del Ferro dal giugno 2012 per “tentata strage”. Accusa dovuta al fatto che, nell’estate di un anno fa, dopo essersi barricato in casa per contestare uno sfratto, all’arrivo dell’ufficiale giudiziario aveva fatto esplodere la palazzina di via Francesca est a Rodito, dove risiedeva, innescando quattro bombole di gas. La prima udienza del processo era fissata per il prossimo ottobre. La tragedia, in attesa che la magistratura completi i propri accertamenti, ha innescato la reazione dei sindacati. “Purtroppo - attacca Donato Capece, segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) - l’intervento tempestivo degli agenti in servizio, che si sono mossi con la consueta professionalità a dispetto dalla carenza di organico, non è servito a salvargli la vita. E così, siamo ancora una volta costretti ad aggiornare l’elenco delle vittime per suicidio dietro le sbarre. Del resto, nella situazione in cui versano attualmente gli istituti, gli eventi critici sono destinati ad aumentare in modo esponenziale se non si troverà una celere soluzione alle criticità che contraddistinguono la maggior parte degli istituti italiani. A partire ovviamente dal sovraffollamento, con la stessa struttura cremonese che ospita 413 detenuti contro un massimo previsto di trecento. L’incapacità dell’amministrazione penitenziaria centrale di fronteggiare l’emergenza è sempre più chiara: ogni giorno accade qualcosa di grave e non è certo con le fantasie dei dirigenti sulla vigilanza dinamica che si risolveranno i problemi. In realtà, stiamo assistendo alla resa dello Stato alla criminalità. Pensare a un regime penitenziario aperto e a sezioni detentive sostanzialmente auto gestite dai reclusi, favorendo così un depotenziamento del ruolo della polizia penitenziaria, relegata ai margini a tutto discapito della sicurezza, è fumo negli occhi. E intanto si continua a morire”. Polemiche che la direttrice della locale casa circondariale, Ornella Bellezza, scansa: “Trovare un nesso causale fra il dramma che si è consumato e il sovraffollamento, cavalcando tematiche che non hanno alcun punto di incontro, mi pare francamente strumentale. E non voglio entrare nel merito, anche per delicatezza e per il dovuto rispetto ai famigliari”. Rossano Calabro (Cs): detenuto greco morto in carcere, per l’autopsia è impiccagione di Giuseppe Savoia Quotidiano di Calabria, 30 luglio 2013 L’esame autoptico espletato dal medico di medicina legale, dottoressa Lavorato, lo scorso venerdì nell’obitorio del presidio ospedaliero “Nicola Giannettasio” di Rossano, su disposizione del pubblico ministero di turno della procura della repubblica presso il tribunale di Rossano, Maria Vallefuoco, sul detenuto cinquantatreenne straniero, di origine greca, Nikolaos Maragkos, ha confermato la morte sopraggiunta per asfissia da impiccagione. La salma è stata, a seguito dell’autopsia, restituita ai familiari che oggi partiranno da Brindisi alla volta di Atene, dove il prossimo martedì si terranno i funerali. A riprendere il corpo dell’uomo sono venuti in città l’unico fratello (al quale qualche giorno prima di compiere la tragedia aveva scritto una lettera) e una cugina. Il detenuto era ristretto nel circuito di media sicurezza della casa di reclusione di località Ciminata Greco, allo scalo di Rossano da alcuni mesi proveniente da quella di Crotone, in attesa di giudizio, per essersi reso responsabile di violazione della legge sull’immigrazione, violenza e resistenza a pubblico ufficiale. “La casa di reclusione di Rossano, al pari delle altre strutture nazionali e regionali - ha dichiarato dopo l’evento tragico il segretario generale aggiunto del Sappe Giovanni Battista Durante - è interessata da sovraffollamento di detenuti. Infatti, a fronte di 233 posti regolamentari, risultano essere presenti circa 320 detenuti, dei quali circa 130 appartenenti al circuito di alta sicurezza. A Rossano sono anche ristretti, in un apposito reparto, 11 detenuti per reati di terrorismo internazionale”. “Da tempo - è la conclusione richiediamo l’adeguamento dell’organico del Corpo di Polizia Penitenziaria per l’intera regione e per la struttura di Rossano che ha cambiato destinazione d’uso, tant’è che a fronte delle 90 unità previste dal Decreto Ministeriale del 2001, oggi funziona, con notevoli difficoltà, attraverso l’utilizzo di circa 130 appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria che, lo scorso anno, sono stati costretti ad effettuare circa 47.000 ore di straordinario”. Firenze: Daniela, biologa in pensione… in sciopero della fame contro la galera incivile di Michele Bocci La Repubblica, 30 luglio 2013 Il primo sciopero della fame la signora Daniela Mantellassi da Prato lo fa a 67 anni. Vuole protestare contro le condizioni delle carceri italiane, in particolare quelle di Sollicciano. Ha smesso di mangiare a mezzanotte di domenica, e ieri pomeriggio verso le 18 ha iniziato a sentire la fatica. Ma non ha vacillato, non aveva nessuna intenzione di tornare indietro. “Vado avanti, mi mancano ancora poche ore. A mezzanotte e cinque farò uno spuntino”. È la quarantanovesima persona che partecipa alla staffetta di digiuni indetta a livello nazionale tra gli altri dai Radicali e organizzata a Firenze dal garante dei detenuti del Comune. “Mi sembra che quello delle carceri sia un problema sotto gli occhi di tutti - dice Daniela Mantellassi, che è una biologa in pensione - Ne ho parlato con un’amica che ha fatto lo sciopero qualche giorno prima di me. Ho inviato una mail e mi hanno assegnato il giorno. È la prima volta in vita mia che faccio una protesta del genere ma il tema carceri lo seguo dagli anni Sessanta, mi ricordo ancora gli articoli che allora uscivano sull’Espresso”. La protesta è contro il sovraffollamento. “Probabilmente a causa della lentezza della giustizia, in prigione ci sono un sacco di persone che non ci dovrebbero stare. E inoltre mi sembra assai poco adatto a un paese civile far stare in galera colore che hanno commesso reati minimi. Un tempo l’Italia era una paese attento a questi temi, ora siamo in fondo alle classifiche sulle condizioni delle carceri nei paesi occidentali”. Chi vuole aderire al digiuno a staffetta, che viene fatto anche da alcuni detenuti, può scrivere una mail a garante. detenuti@comune.fi.it, o chiamare lo 055.2769137. Gli verrà assegnato il giorno in cui fare la sua protesta. “La visita della ministra della Giustizia Annamaria Cancellieri a Sollicciano avviene in un momento assai preoccupante dopo che la maggioranza al Senato ha impallinato il decreto del Governo che cancellava l’obbrobrio della legge Cirielli sulla recidiva - scrive il garante per i detenuti Franco Corleone. Il carcere di Firenze è in attesa di una riforma profonda. Ecco i punti qualificanti per applicare il Regolamento del 2000 e incentivare responsabilità e autonomia dei detenuti: chiusura immediata della Casa di cura e custodia per detenute con seminfermità mentale; fine dei lavori per la seconda cucina entro un mese; inizio dei lavori al Femminile per il rifacimento dei servizi igienici nelle celle; adozione entro la fine dell’anno della tessera telefonica; apertura dei refettori per consumare i pasti non in cella; previsione di uno spaccio per l’acquisto dei prodotti del sopravvitto eliminando speculazioni e garantendo trasparenza su qualità e prezzi; utilizzo del Giardino degli Incontri, l’ultimo progetto dell’architetto Giovanni Michelucci, non solo per i colloqui ma anche per le visite lunghe”. In Toscana, fanno notare dall’ufficio del garante, al 31 dicembre 2012 erano presenti 4.148 detenuti, di cui 1.719 (oltre il 40%) per violazione dell’art. 73 della legge Fini-Giovanardi sulle droghe e 1.137 tossicodipendenti. Cifre che spiegano la ragione del sovraffollamento. Firenze: ministro Cancellieri; avanti tutta sul progetto della casa per le detenute madri La Repubblica, 30 luglio 2013 Avanti tutta sulla “casa” alternativa per madri detenute con bambini che il carcere di Sollicciano aspetta da almeno 6 anni. E avanti tutta anche con l’impegno a sviluppare progetti di lavoro per i carcerati. Così garantisce il ministro della giustizia Annamaria Cancellieri in visita al penitenziario di Sollicciano. E ai detenuti che la accolgono nella sala teatro del carcere urlando “amnistia-amnistia” e dopo le chiedono un’opinione sul tema in un incontro riservato, lei non chiude le porte in faccia. Anzi: “Non è una decisione che mi appartiene perché è propria del Parlamento, è una decisione politica. Tuttavia anche a voi ripeto quello che ho già detto altre volte: io sarei favorevole”, dice la ministra proprio mentre i Radicali fiorentini invocano a gran voce lo sfoltimento delle celle. A pochi giorni dalla clamorosa bocciatura del decreto svuota carceri, impallinato in Senato dal Pdl, la guardasigilli arriva a Firenze per una giornata che avrebbe dovuto dedicare a due temi: prima la visita alla scuola di magistratura di Castelpulci, eccellenza e vanto del ministero, quindi il dramma del carcere. Solo che il maltempo dirotta il volo del ministro a Pisa e ritarda l’arrivo di Cancellieri, trasformando la tappa fiorentina in un approfondimento monotematico su Sollicciano e sulle sue emergenze: 970 detenuti quando la capienza sarebbe di 500, niente refettori per i carcerati, bagni in condizioni pessime nel braccio femminile, lavori al ralenti per la seconda cucina nel ramo maschile. La ministra non visita le celle, dove lo spazio medio per un detenuto è di 3-4 metri quadrati. Però con gli abitanti del carcere si ferma lungamente a parlare. Spiega che quello dei giorni scorsi al Senato è stato un incidente e che ora il governo proverà a porre rimedio alle modifiche del decreto svuota carceri: “Dobbiamo lavorare sulla depenalizzazione e la recidività, lo faremo”, spiega il ministro. Misure alternative al carcere per reati come quello di spaccio per alleggerire i penitenziari, è il senso: in Toscana del resto, al 31 dicembre 2012, erano presenti 4.148 detenuti, di cui oltre il 40% per violazione della Fini- Giovanardi sulle droghe e 1.137 tossicodipendenti. Il cappellano del carcere, don Vincenzo Russo, ferma Cancellieri per consegnarle una lettera scritta di suo pugno su una delle faccende più dure da risolvere: i bambini. Oggi a Sollicciano ce ne sono 3. Piccoli sotto i 3 anni che stanno in carcere con le madri, condannate per reati per cui non possono usufruire di misure alternative alla galera. In passato i bambini sono stati anche 7-8. Un’assurdità che da tempo, almeno dal 2007, Regione, Comune di Firenze e provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria si sono messi in testa di risolvere creando un “Icam”, in pratica una “casa” dove accogliere, sempre in regime di detenzione ma fuori dal carcere, le madri con bambini piccoli per sottrarre i bambini a una detenzione non loro. “Ministro, velocizzi l’iter burocratico “, chiede don Vincenzo ricordando alla ministra che l’immobile c’è (è della Madonnina del Grappa, in via Fanfani) e i soldi pure (400 mila euro messi dalla Regione Toscana). Mancano certificazioni edilizie su cui deve essere l’amministrazione penitenziaria e dunque il ministero a dare l’ok. Anche il sindaco Renzi chiede un’accelerazione sul tema: “Vedere un bimbo crescere in carcere è una contraddizione in termini “, scrive su Facebook. “Noi ci siamo”, garantisce il ministro Cancellieri. E il via libera lo dà di persona al vicesindaco Stefania Saccardi anche il capo delle carceri toscane Carmelo Cantone. Ora i lavori potrebbero partire già entro fine anno. Firenze: progetto “Digitajust”, così i detenuti digitalizzeranno gli atti dei processi La Repubblica, 30 luglio 2013 Gli atti dei processi? Potrebbero essere detenuti a digitalizzarli. Potrebbe toccare a loro fare da amanuensi e trascrivere al computer l’enorme valanga di atti giudiziari del passato, conservati solo in cartaceo, che ancora si affastellano negli archivi giudiziari fiorentini rendendone la consultazione una missione complicatissima. Un gruppo di 10-12 detenuti per cominciare: ogni giorno uscirebbero dal carcere di Sollicciano e verrebbero portati al Pala Giustizia di Novoli. Lì, sotto la guida di personale giudiziario, trascorrerebbero la giornata a digitalizzare atti, a trasferire faldoni di carta su file. Quali? Quelli del tribunale di sorveglianza, per cominciare. Ma anche atti della Procura, a partire da quelli sulle stragi. È il progetto “Digitajust”. L’ambiziosa idea di costituire un vero e proprio laboratorio di digitalizzazione degli atti giudiziari da parte dei detenuti all’interno del Palazzo di Giustizia di Firenze. Unendo l’utile al dilettevole: “Qui stiamo parlando di un lavoro gigantesco, qualcosa come un milione di fogli l’anno. Da anni si parla di un piano nazionale di digitalizzazione degli atti che però non è mai partito e allora noi ci siamo mossi. Chiederemo che a finanziare l’operazione sia la Cassa ammende. In via sperimentale potrebbe durare un paio d’anni, ma l’idea è di incrementare man mano il lavoro se tutto fila liscio”, spiega Antonietta Fiorillo, la presidente del Tribunale di sorveglianza che ha partorito l’idea insieme al procuratore Giuseppe Quattrocchi. Anche perché, è il ragionamento, sono gli stessi detenuti a invocare in ogni occasione lavoro e formazione: questo ha chiesto anche ieri la delegazione di detenuti che ha incontrato il ministro Cancellieri a Sollicciano. Non sarebbe una prima assoluta a livello nazionale perché qualcosa di simile è stato fatto a Rebibbia: però di certo questo “piano Firenze” per l’occupazione dei detenuti ieri è piaciuto alla Guardasigilli che ha detto sì all’idea di Quattrocchi e Fiorillo. Dopo aver partecipato al concerto di un gruppo rock fatto da detenuti, Cancellieri ha parlato con un gruppo di carcerati nel cosiddetto “giardino degli incontri” di Michelucci: “Non vogliamo essere più considerati invisibili: fateci lavorare, dateci la possibilità di formarci”, hanno chiesto in diversi al ministro, ottenendo aperture sincere. “Se il governo dura e ci danno la possibilità di lavorare faremo tanto. Se costruiremo nuove carceri? Non siamo palazzinari: ma certo se una struttura è fatiscente...”, ha detto Cancellieri davanti ai detenuti e ad una pattuglia foltissima di parlamentari e consiglieri regionali, tutti Pd e tutti vicini a Renzi: da Enzo Brogi a Simona Bonafè, da Rosa Maria Di Giorgi a Dario Nardella. Il sindaco Renzi avrebbe dovuto essere con la ministra a Sollicciano ma il volo dirottato ha fatto saltare l’incontro: Renzi, impegnato in una girandola di incontri amministrativi e politici (dal ministro Delrio, con cui ha pranzato al Four Seasons), ha tuttavia telefonato a Cancellieri e ribadito l’impegno del Comune per il carcere: 400 mila euro l’anno su progetti per i detenuti. “La visita di Cancellieri a Sollicciano dimostra che il dramma c’è”, osserva Brogi. Nardella apprezza: “L’incontro del ministro coi detenuti è un segnale importante di attenzione”. Di Giorgi nota il segnale di profonda innovazione e di forte valore simbolico e pratico del progetto di digitalizzazione degli archivi digitali. Per la Regione c’era l’assessore alla salute Luigi Marroni: “Stiamo sviluppando il progetto di una cartella sanitaria informatizzata per i detenuti”. Venezia: manifestazione dei centri sociali “ci vogliono condizioni migliori in carcere” di Vera Mantengoli La Nuova Venezia, 30 luglio 2013 Il suono come strumento di solidarietà. Ieri, nelle ore più calde della giornata, dalle 15 alle 16, gli attivisti dei centri sociali “Rivolta”, “Morion” e “Sale Docks” si sono radunati sotto le mura del carcere maschile di Santa Maria Maggiore per portare un messaggio di solidarietà a tutti i detenuti che in questi giorni, a Venezia come in tutta Italia, protestano per le condizioni disumane di sovraffollamento, spesso battendo sulle sbarre nella speranza di fare sentire la loro presenza. La quarantina di persone si è piazzata alla fine di Rio Terà dei Pensieri e ha acceso uno stereo con diversi tipi di musica in modo da far sentire loro che non erano soli e che qualcuno li stava ascoltando. I secondini non sono intervenuti e hanno proseguito il loro servizio di sorveglianza sul percorso che costeggia il muro. Dall’interno invece la popolazione carceraria, in questo periodo 275 persone per una capienza di 150, ha risposto fischiando, applaudendo e facendo sventolare stracci tra le sbarre in modo da mostrare un segno. Tra Jailhouse Rock di Elvis Presley e Don Raffaè di Fabrizio De Andrè e molti altri brani, gli attivisti hanno parlato di sovraffollamento e di come il carcere non sia purtroppo una priorità del Governo, riprendendo anche alcuni dati dell’Associazione Antigone che denuncia che in Italia ci sono 30 mila detenuti in più rispetto alla capienza. “Ci vogliono condizioni migliori”, hanno detto al microfono, “e che vengano prese più in considerazioni le misure alternative. È necessario poi dimenticare la Legge Fini Giovanardi sulle droghe, una barbarie che punisce il consumo con la galera e intasa le carceri”. I manifestanti sono favorevoli all’indulto e all’amnistia, ma soprattutto a un piano serio per evitare che le persone siano messe in condizioni disumane e sottoposte a un disagio come quello che stanno provando in questi giorni di afa e umidità. La manifestazione ha ricordato una dura realtà con 30 suicidi dall’inizio dell’anno, come ricorda il sito di “Ristretti Orizzonti”: “Noi diciamo che di carcere si muore. Non lasciamo che questa vergogna proceda oltre”. Savona: sezione detentiva nella scuola di Polizia di Cairo Montenotte? il “no” del Sappe www.ivg.it, 30 luglio 2013 Una sezione detentiva nella Scuola di Polizia di Cairo Montenotte? Secco no del Sappe: “Scelta sbagliata ed illogica. È necessario un nuovo carcere nella Valbormida per superare la vergogna del Sant’Agostino di Savona”. “Le diffuse incapacità di dirigenti ed amministratori locali a realizzare un nuovo carcere per la città di Savona non possono supportare scelte sbagliate ed illogiche quale quella di creare un reparto detentivo nella Scuola di Polizia di Cairo Montenotte. Realizzare un carcere dento la Scuola di Polizia è assurdo ed è impraticabile per ragioni pratiche, logistiche e funzionali. Gli scienziati che l’hanno pensata dovrebbero spiegare perché, nonostante i soldi stanziati, Savona non ha ancora un nuovo carcere che sani la vergogna del S. Agostino”. A dichiararlo è il Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe Donato Capece, commentando alcuni sopralluoghi tenuti presso la Scuola di Polizia di Cairo Montenotte. “Da tempo, come primo e più rappresentativo Sindacato della Polizia Penitenziaria, sosteniamo che una riqualificazione importante per la Valbormida può essere quella di utilizzare le aree dismesse per costruirvi un nuovo carcere - continua Capece. Per questo il Sappe ha interessato i vari Ministri della Giustizia, da ultimo la Guardasigilli Annamaria Cancellieri, ed il Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria Prefetto Sinesio. Un intervento che potrebbe essere favorito dalle recenti normative che favoriscono l’edificazione di nuove strutture attraverso il project financing, ossia (per utilizzare l’espressione impiegata dal legislatore) la realizzazione di opere pubbliche senza oneri finanziari per la pubblica amministrazione”. “Senza senso davvero è invece ipotizzare una sezione detentiva nella Scuola di Polizia, ipotesi che contestiamo fermamente. Sarebbe ora che chi è stato incapace di ottenere la realizzazione di un nuovo carcere per Savona si assumesse le conseguenti responsabilità”. Capece torna a sottolineare come oggi “il carcere di Savona è contro il dettato costituzionale della rieducazione del detenuto ed espone gli agenti di polizia penitenziaria a condizioni di lavoro gravose e a rischio, in ambienti bui, malsani e in questo periodo surriscaldati”. Rimini: progetto Sert-Comune; su “La voce di Romagna” una pagina gestita da detenuti Ansa, 30 luglio 2013 Il detenuto diventa giornalista e racconta il carcere al mondo fuori dalle mura. Il progetto, al quale hanno collaborato l’assessorato alla cultura del Comune di Rimini, l’associazione Papillon costituita da ex detenuti e volontari, il Sert di Rimini e il quotidiano La Voce di Romagna, si concretizzerà con la pubblicazione, sul quotidiano romagnolo, di una pagina con cadenza mensile (la prima in pubblicazione giovedì primo agosto) interamente gestita dalla popolazione carceraria. Il direttore de “La Voce”, Stefano Andrini, ha spiegato la finalità della pagina: “Una scommessa voluta non per far parlare quelli fuori dal carcere ma per far parlare quelli dentro lanciando un ponte fra due mondi che in una sorta di situazione kafkiana spesso si ignorano”. Il presidente regionale di Papillon, Valerio Guizzardi, ha aggiunto: “In carcere succedono molte cose che i cittadini ignorano, la gente conosce del carcere soltanto il lato peggiore. Esiste nei confronti dei carcerati un pregiudizio sociale difficile da scardinare quando i detenuti ritornano in libertà. E questo fa capire perché la recidiva resta molto elevata”. È possibile che un progetto analogo venga avviato anche a Ravenna e Forlì. Lanciano: detenuto ferisce agente, taglio all’addome di 30 cm, 4° episodio in sette mesi www.primadanoi.it, 30 luglio 2013 L’aggressione all’interno del carcere di Lanciano è avvenuta ieri e ne dà notizia il segretario provinciale Uilpa Ruggero Di Giovanni. “Ciò che è accaduto ieri”, racconta il referente, “rappresenta senz’altro l’episodio più grave dell’intera storia dell’istituto frentano”. Da qui il racconto: un assistente capo di Polizia Penitenziaria è stato aggredito da un detenuto marocchino che, usando una lametta, gli ha provocato un profondo taglio al ventre lungo circa 30 centimetri. Il detenuto, in carcere per lesioni personali e rapina, secondo il sindacato era già noto alle “cronache carcerarie” come una “testa calda” e proprio per la sua indole violenta è stato trasferito più volte in diversi istituti fino a giungere a Lanciano nel mese di marzo 2013. “Quanto è accaduto”, va avanti Di Giovanni, “mostra chiaramente i limiti imposti dall’amministrazione alla gestione dell’istituto frentano, da una parte la cronica carenza di personale che impone al personale turni massacranti e che ormai troppo spesso si concretizzano nel doppio turno (12 ore di servizio), in alcuni casi addirittura 17 ore di servizio consecutive e dall’altra l’assenza di un direttore titolare che comporta una discontinuità nella linea di comando creando l’habitat naturale dove i comportamenti borderline dei detenuti la fanno da padrone”. All’inizio del 2013 il direttore titolare è stato inviato a prestare servizio nell’istituto di Vasto con la reggenza del Carcere di Sulmona, mentre per il carcere di Lanciano è stata scelta la formula della “reggenza” da parte di Maria Lucia Avantaggiato che però, avendo altri incarichi presso il Carcere di Pescara ed il Prap di Pescara riesce a garantire una presenza effettiva di soli 2/3 giorni settimanali. “È evidente che qualcosa non ha funzionato e continua a non funzionare ai vertici del carcere di villa Stanazzo”, attacca ancora il sindacato, “il personale aveva più volte lamentato l’indole estremamente aggressiva del detenuto ed il fatto che lo stesso usava portare al seguito almeno una lametta; evidentemente questo, tutti i rapporti disciplinari e le minacce che lo stesso usava fare quando veniva contrariato non sono stati sufficienti a mettere in allerta le massime autorità dell’istituto, che non hanno saputo o voluto prendere i dovuti accorgimenti”. Secondo i calcoli del sindacato questa sarebbe la quarta aggressione nel penitenziario dall’inizio dell’anno. Roma: programma di Sant’Egidio per alleviare ai detenuti i disagi dell’estate Radio Vaticana, 30 luglio 2013 Caldo e alte temperature non danno tregua al paese. Oltre agli anziani ci sono delle categorie come gli emarginati, i senza fissa dimora e soprattutto i detenuti delle carceri italiane che ne accusano il duro colpo. La Comunità di Sant’Egidio nel periodo estivo cerca di alleviare per quanto possibile le sofferenze dovute alla caldissima stagione dei detenuti con programmi di aiuto assistenza e solidarietà. Federica Baioni ha intervistato sull’argomento la dott.ssa Francesca Zuccari della Comunità di Sant’Egidio. R. - Il sovraffollamento delle carceri chiaramente pesa molto in questo periodo estivo, dove il caldo è un’aggravante in più. La Comunità di Sant’Egidio, normalmente, visita i detenuti delle carceri di Rebibbia, di Regina Coeli, sostenendoli nella loro presenza in carcere. In particolare, d’estate distribuiamo generi di prima necessità, che sono molto importanti, perché in carcere molti sono poveri, non hanno mezzi e, soprattutto, non hanno famiglia. Diventa difficile, dunque, avere un cambio di vestiti oppure il sapone per lavarsi. Ci recheremo, quindi, nei vari reparti per distribuire questi generi. Le distribuzioni sono un’occasione importante d’incontro, perché ci dà la possibilità di parlare con questi detenuti, di raccogliere le loro richieste, di affrontare le situazioni più problematiche. D. - Ci sono collaborazioni, se così possiamo chiamarle, tra i detenuti romani e i detenuti invece africani: occasioni di incontro ed assemblee. Ce ne parla? R. - La Comunità è presente anche in molte carceri in Africa, dove evidentemente le condizioni di detenzione sono veramente molto dure. Chiediamo ai detenuti di fare qualcosa per queste persone che si trovano in una situazione di maggior bisogno rispetto a loro. I detenuti sono molto contenti di fare qualcosa: il fatto di poter aiutare qualcun altro dà sempre dignità a tutti, particolarmente a chi si trova in questa situazione. Ognuno, dunque, dà una propria offerta, anche piccola, ma che sanno arriverà a destinazione. Lì, infatti, abbiamo i nostri volontari - in Malawi e Mozambico - nelle carceri, per distribuire questi aiuti. Pakistan: talebani attaccano carcere di Dera Ismail Khan, liberati centinaia di detenuti Ansa, 30 luglio 2013 Le forze di sicurezza pachistane hanno ripreso oggi all’alba il controllo, dopo ore di scontri con i talebani del Tehrek-e-Taliban Pakistan (Ttp), delle installazioni del carcere di Dera Ismail Khan (provincia nordoccidentale di Khyber Pakhtunkhwa). Gli insorti hanno attaccato il carcere permettendo la fuga di decine, forse centinaia di detenuti. Il bilancio provvisorio delle vittime è di otto morti e una decina di feriti. a situazione è tornata sotto controllo grazie anche all’intervento dell’esercito, mentre il governo ha imposto il coprifuoco a Dera Islail Khan nel tentativo di bloccare le decine di militanti che hanno partecipato all’attacco in grande stile del carcere. In una comunicazione da una località sconosciuta con l’Ansa, il portavoce del Ttp Shahidullah Shahid ha sostenuto che “150 combattenti talebani hanno attaccato la prigione, liberando circa 300 detenuti”. Da parte sua, l’Ispettore generale delle carceri Khalid Abbas ha sostenuto che “35-40 militanti che indossavano uniformi della polizia hanno provocato prima una esplosione, che ha fatto crollare uno dei muri di recinzione del centro di detenzione, e poi hanno gravemente danneggiato due trasformatori elettrici, che hanno fatto piombare la struttura nel buio più completo”. Nessuna fonte ufficiale ha voluto confermare la fuga dei detenuti proclamata dal Ttp, ma un responsabile della polizia, che non ha voluto essere identificato, ha ammesso che “si’, sono stati liberati alcuni detenuti, ma al momento è impossibile precisarne il numero”. Per quanto riguarda le vittime degli scontri, il portavoce degli insorti ha ammesso la perdita di due uomini, mentre il vice commissario di polizia della città Amir Khattak ha parlato di “cinque agenti ed un membro della sicurezza di un vicino ospedale uccisi e di una decina di feriti”. Stati Uniti: lo “svuota carceri” modello americano, Fremont lancia le celle a pagamento di Valentina Pasquali Corriere della Sera, 30 luglio 2013 Centocinquanta dollari a notte. Per una vita dignitosa. Anche in galera. In California nasce la prigione esclusiva per ricchi. Prigioni sovraffollate e troppo costose da mantenere? La cittadina di Fremont, nei dintorni di San Francisco nella California settentrionale, vuole risolvere il problema e guadagnarci anche sopra. Ma lo stratagemma impiegato assomiglia più all’offerta del mese di un sito di viaggi che a una nuova politica pubblica. Per 155 dollari a notte più un contributo una tantum di 45 dollari, i condannati per crimini minori, per esempio la guida in stato di ebbrezza, possono ora scontare le proprie pene nella nuova galera comunale, piccola, pulita e quasi sempre vuota. In questo modo, sostengono le autorità locali, i contribuenti recupereranno alcuni dei soldi investiti nella sua costruzione. Al contempo, per chi se lo può permettere, l’iniziativa rappresenta un’occasione ghiotta di sfuggire a ben più duri soggiorni nelle carceri sporche e gremite della vicina Oakland. Le polemiche però non mancano. “Questo programma solleva una serie di questioni di uguaglianza e giustizia”, ha detto a Lettera43.it Carl Takei, avvocato del National prison project (progetto delle prigioni nazionali) della American civil liberties union, la più grossa organizzazione no profit americana che si occupa della difesa dei diritti e delle libertà civili. “Si offre la possibilità a chi ha soldi di ricevere una punizione diversa da chi non ne ha”. Il problema del sovraffollamento delle carceri americane non è da sottovalutare. Dal 1970 a oggi, il numero di detenuti negli Stati Uniti è aumentato del 700%, ben oltre la crescita della popolazione complessiva e del tasso di criminalità. E la California è stata protagonista di questo fenomeno. Nel luglio del 2011, la Corte Suprema degli Stati Uniti arrivò addirittura a ordinare che, date le condizioni disumane cui erano sottoposti i suoi detenuti, lo Stato ne riducesse drasticamente il numero di almeno 33 mila unità. Il governatore Jerry Brown lanciò quindi una serie di riforme del sistema di giustizia pensate soprattutto per svuotare i grandi penitenziari statali. E tra le iniziative vi fu anche il trasferimento di migliaia di detenuti alle galere locali, gestite in maniera indipendente dalle municipalità e impreparate all’ondata di nuovi arrivi. Di qui l’idea delle forze dell’ordine di Fremont di mettere a disposizione del sistema carcerario regionale la propria struttura, che è per il momento sottoutilizzata. Tuttavia, questo approccio ha il difetto di discriminare i prigionieri sulla base del reddito. Non una novità negli Stati Uniti. Si pensi agli imputati che si possono permettere gli avvocati famosi e quelli invece che, indigenti, devono accettare i servizi gratuiti dei legali messi a loro disposizione dal tribunale. E ancora, l’uso della cauzione. “Tra tutti quelli che sono detenuti in attesa di giudizio, è rilasciato solo chi può versare una certa somma di denaro a garanzia del fatto che apparirà in tribunale durante il processo”, ha spiegato a Lettera43.it Jesse Jannetta, ricercatore che si occupa di Giustizia presso l’Urban center di Washington Dc, “il che significa che l’aspetto meramente pecuniario determina ogni giorno la composizione della popolazione carceraria”. Anche altri tentativi fatti più di recente di ridurre il numero di detenuti finiscono per dipendere dai mezzi finanziari di chi è in galera. Numerosi distretti americani stanno ora sperimentando con il braccialetto elettronico, che monitora i movimenti dei condannati anche quando è permesso loro di tornare a vivere nelle proprie comunità. La partecipazione a questi programmi è però molto spesso a pagamento, accessibile ancora una volta solo a chi se lo può permettere. Certo, ogni sforzo di svuotare le carceri migliora le condizioni di vita non solo di chi ne esce, ma anche di chi rimane dentro, ma in strutture più vivibili. “A volte viene fatto il parallelo con il sistema stradale, diviso tra strade gratuite e autostrade a pagamento”, ha spiegato Jannetta. “Di sicuro si separa chi ha i mezzi economici da chi non li ha, ma allo stesso tempo si alleggerisce il traffico per tutti”. Una strategia ingiusta ma che piace, soprattutto in tempi di crisi economica e tagli alla spesa pubblica, con i contribuenti che sono poco propensi a pagare per un sistema, quello carcerario, estremamente costoso e difficile da gestire. Arabia Saudita: direttore sito accusato di cyber-crimini, condanna 7 anni e 600 frustate Ansa, 30 luglio 2013 Il direttore di un sito saudita è stato condannato a sette anni di reclusione e a 600 frustate per aver fondato un forum su internet che viola i valori dell’islam e fa propaganda del pensiero liberale. Lo riferiscono i media sauditi. Raif Badawi, autore del sito Free Saudi Liberals dove si discuteva del ruolo della religione in Arabia Saudita, è detenuto da giugno 2012 dopo essere stato accusato di cyber-crimini e disobbedienza nei confronti del padre che in Arabia Saudita è considerata un crimine. Il giudice, riferisce il quotidiano al-Watan, ha ordinato la chiusura del sito.