Quando l’umanità vince sulla burocrazia Ristretti Orizzonti, 28 luglio 2013 Il bibliotecario Stefano torna nella biblioteca della Casa di reclusione di Padova. Sabato pomeriggio Stefano Carnoli è stato riportato dalla Casa Circondariale di Cremona alla Casa di Reclusione di Padova. In queste due settimane abbiamo scommesso sulla possibilità che l’umanità vincesse sulla burocrazia. E... abbiamo vinto! Quindici giorni fa Stefano Carnoli, bibliotecario nella casa di Reclusione di Padova, inserito da tre anni in un percorso di formazione e lavoro della nostra cooperativa, è stato improvvisamente e senza sapere perché trasferito nel carcere di Cremona. Il perché si è presto saputo: il magistrato di Sorveglianza aveva accolto il suo reclamo contro il sovraffollamento ai sensi delle indicazioni della Corte Europea per i diritti umani, che stabilisce i 3 metri quadrati come spazio minimo per una persona in cella. Per “rispettare” questo diritto ecco il trasferimento d’ufficio, deciso dal Ministero, in un carcere dove i centimetri erano rispettati, ecco la brusca interruzione di un percorso di rieducazione riuscito. In queste due settimane noi e Ristretti Orizzonti abbiamo protestato contro questo provvedimento: appelli al Ministro e al Ministero, lettere e articoli nei giornali, coinvolgimento di associazioni e di volontari... abbiamo creduto nella possibilità che la situazione di illegalità delle carceri nel nostro paese venga gestita non con provvedimenti burocratici ma mettendo le persone al centro dell’attenzione. Il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria ha deciso di riportare Stefano a Padova: è un segno di umanità, della capacità delle istituzioni di cambiare idea. Ne siamo davvero lieti. Cooperativa AltraCittà e Redazione di Ristretti Orizzonti Giustizia: agosto nell’oblio il mese più crudele di Enzo Brogi (Consigliere regionale del Pd in Toscana) La Repubblica, 28 luglio 2013 Agosto è l’inferno nelle carceri. Tre quattro persone in dodici metri quadrati: sudori, razze, lingue, religioni se ci sono, ed età tutto compresso, anche per ventidue ore. Agosto in carcere, se possibile, il mese più duro. Il caravanserraglio dei dannati, lontani dall’oblio di chi è fuori, lontani dalla nostra Costituzione che richiamerebbe la pena e la rieducazione, non l’accanimento e la vendetta. Anche in Toscana i dati sono drammatici, la media è del 138% sulla capienza regolare, con picchi che in alcuni istituti sfiorano il 190%. Sono 4.148 persone nello spazio per 3.261, un problema a cui sommare celle anguste e spazi fatiscenti, la carenza di attività lavorative e rieducative, servizi igienici e ambienti comuni insalubri. Dati che sono simili a livello nazionale e che hanno portato all’Italia una condanna da parte della Corte di Strasburgo per trattamenti detentivi contrari ai diritti umani. Una vergogna, confermata dal rapporto del Consiglio d’Europa che ci mette al terzultimo posto sui 47 paesi europei, peggio di noi solo la Serbia e la Grecia. Tutto questo deriva da problemi strutturali, legislativi e giudiziari che riguardano le competenze dello Stato. Ma la Regione Toscana non può stare ferma, la regione illuminata che per prima nel mondo ha abolito la tortura e la pena di morte, attenta da sempre ai diritti umani e alla legalità, deve intervenire. Da ormai cinque anni la responsabilità della salute in carcere rientra nel Servizio Sanitario Pubblico, e quindi in carico alle Regioni. La Toscana è una delle regioni più virtuose, impegnata con atti concreti e con risorse economiche (1.650.000 euro nel biennio 2013-2014 per interventi per la salute dei detenuti). Bene, ma non basta. Il dato sconvolgente, infatti, è che solo il 27% dei detenuti in Toscana risulta sano, nonostante un’età media di 38 anni. La stessa percentuale è tossicodipendente e dovrebbe seguire percorsi di disintossicazione all’esterno. Il 37,3% è affetto da disturbi psichici, il 14,4 da malattie dell’apparato digerente, l’11,1 da malattie infettive. Tassi anche di tre volte superiori rispetto alla popolazione generale. E il sovraffollamento anche in questo caso è uno dei problemi più gravi, incidendo pesantemente sullo stato di salute dei detenuti. Il carcere, dunque, anche nella nostra Toscana si conferma come un luogo che alimenta sofferenza e malattia. Per questo dobbiamo mettere in atto provvedimenti basati su una visione più ampia del diritto alla salute in carcere, che non può limitarsi a garantire i livelli essenziali di assistenza e a offrire prestazioni sanitarie uguali a quelle previste per i cittadini liberi (e anche questo non sempre avviene), ma deve invece riuscire a offrire pari opportunità di salute. Insomma in carcere non ci si deve ammalare più di quanto sia possibile fuori, e restituire alla società persone sane è un obiettivo di sanità pubblica. A maggio scorso, quando mi sono fatto promotore di una seduta speciale del Consiglio Regionale, abbiamo impegnato la Giunta su una serie di azioni, e presto chiederemo impegni ancora più stringenti sulla salute in carcere. Dovremo però continuare a esercitare pressione sul Governo. Dovremmo insediare una Commissione straordinaria sulle “nostre galere”. Dall’inizio del mese di luglio è in vigore il decreto legge Cancellieri, un provvedimento tampone adottato urgentemente per rispettare le prescrizioni che l’Europa ci impone entro il maggio 2014. Sono interventi che vanno nella giusta direzione, quella di un alleggerimento del nostro sistema penitenziario, favorendo l’uscita dal carcere di soggetti non pericolosi e limitando il ricorso alla detenzione in carcere, soprattutto per chi è in attesa di giudizio (il 40% dei detenuti, altro triste podio europeo) e che dovrebbero far uscire circa 3/4000 persone. Di fronte a 66mila detenuti su una capienza di 47.000 e a una condanna “per trattamento inumano e degradante”, è chiaro che servono interventi più radicali, una seria riforma che riduca i tempi della giustizia, depenalizzi le condotte lievi, favorisca il ricorso alle pene alternative, incrementi i fondi per il lavoro e le attività rieducative dei detenuti, e intervenga su leggi che hanno ingolfato le nostre carceri di persone per le quali si potevano senz’altro trovare soluzioni alternative alla cella, come la Fini-Giovanardi sulle droghe e la ex-Cirielli sulla recidiva. E soprattutto metta fine a una visione del carcere come discarica sociale, dove alla pena si sommano altre pene. Enrico Rossi, segnò il suo primo giorno di lavoro da Presidente andando a Sollicciano con 400 materassi nuovi. Un atto emblematico, importante, se riuscirà ad avere un seguito. Giustizia: familiari dei detenuti in sciopero della fame con Pannella, oltre 2.000 adesioni www.clandestinoweb.com, 28 luglio 2013 Le famiglie dei detenuti sostengono Marco Pannella nella sua lotta contro le condizioni disumane in cui versano i penitenziari italiani. Sono già oltre 2.000 le persone che hanno aderito allo sciopero della fame, accettando di abbracciare la battaglia nonviolenta lanciata dal leader storico del Partito Radicale. Da anni Pannella insieme ai radicali sostengono la difesa della legalità e dello stato di diritto. L’iniziativa è stata lanciata su Facebook dalla militante genovese dell’associazione Il Detenuto Ignoto Alessandra Terragni, iscritta anche all’Associazione Per la Grande Napoli, attraverso il gruppo Oltre il muro e le manette… stop tortura! Sandro Gozi e Marco Pannella in visita ai detenuti in sciopero fame di Regina Coeli L’onorevole del Pd Sandro Gozi, il leader dei Radicali Marco Pannella e altri esponenti del partito come Rita Bernardini sono andati in visita al carcere romano di Regina Coeli, dove i detenuti della II, III e IV sezione sono in sciopero della fame per sostenere gli obiettivi di Pannella e la sua lotta non violenta. Sandro Gozi appoggia da anni la battaglia del partito radicale e anche i 12 referendum sulla giustizia giusta e sta sostenendo in questo momento Marco Pannella che è al 5° giorno di sciopero della fame e della sede. Grazie all’interessamento di Sandro Gozi e di altri esponenti come i senatori Luigi Compagna e Benedetto Della Vedova, che Pannella, Rita Bernardini, Irene Testa e Matteo Angioli, sono andati in visita al penitenziario nonostante non siano più rappresentati in Parlamento. Giustizia: Provenzano verso la revoca del 41bis, c’è il parere favorevole delle Procure palermo.blogsicilia.it, 28 luglio 2013 Le procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze hanno dato parere favorevole alla revoca del 41 bis per il capomafia Bernardo Provenzano. Il parere, che ora andrà al ministro della Giustizia, che decide sulle applicazioni del regime carcerario duro, era stato sollecitato dal legale del boss, Rosalba Di Gregorio in considerazione delle precarie condizioni di salute del capomafia. L’ultimo bollettino medico dall’infermeria del carcere di Parma dove Provenzano è rinchiuso, parlano di “parametri vitali ai limiti”. Secondo i medici che lo hanno in cura, infatti, il capomafia e “vigile solo se stimolato. Il suo eloquio non è comprensibile, quando è presente e ha presentato alterazioni dello stato di coscienza”. Il caso delle condizioni di salute di Provenzano era stato sollevato dalle immagini esclusive di Servizio Pubblico che testimoniavano di una condizione di salute ormai compromessa. Ma le richieste dell’avvocato Di Gregorio hanno sempre suscitato polemiche e giudizi controversi riguardo la possibilità di revocare il 41 bis al capomafia. Il via libera delle procure dove sono in corso processi con Provenzano imputato, apre la strada ad una revoca. Che toccherà comunque al ministro Anna Maria Cancellieri. Scontro sulla revoca del 41 bis a Provenzano (La Repubblica) C’è l’ok di tre procure e il parere negativo della direzione nazionale antimafia. La revoca del 41 bis, il carcere duro, al capo di Cosa nostra Bernardo Provenzano, in condizioni di salute sempre più gravi, scatena ancora polemiche. Il sì arriva, a cinque mesi dalla richiesta dell’avvocato Rosalba Di Gregorio, dai pm di Palermo, Caltanissetta e Firenze. La decisione finale spetta adesso al ministro della Giustizia. Le capacità psichiche del boss, hanno messo nero su bianco i periti interpellati dai magistrati, sarebbero praticamente nulle e questo gli renderebbe impossibile comunicare con l’esterno e mantenere rapporti con gli uomini d’onore liberi, che è poi ciò per cui il 41 bis è stato istituito. Le considerazioni dei magistrati - interpellati perché furono loro a proporre l’applicazione del 41 bis per il capomafia - si scontrano con quelle della Dna. Per la Procura nazionale antimafia, che si è espressa negativamente sulla questione, le condizioni di Provenzano, descritte dai medici, non sarebbero infatti così gravi. Provenzano - dicono dalla Dna - è il capo di Cosa nostra e quindi si deve evitare che abbia contatti indebiti con l’esterno. Cioò significa che finché è detenuto, per la Dna deve restare al carcere duro, dove peraltro è assicurata l’assistenza sanitaria. Il fascicolo è ora al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che dovrà esprimersi e inviare tutto al ministro della Giustizia. L’applicazione del 41 bis, infatti, è atto di competenza esclusiva del Guardasigilli. “Siamo indignati, scandalizzati e pronti ad andare in via dei Georgofili sotto il solleone a chiedere attenzione per i nostri figli ammazzati e resi invalidi”, dice la presidente dell’associazione dei Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli. “Così - continua - si revoca quella questione di principio che mai avrebbe dovuto venire meno davanti ai morti ammazzati dalla mafia e che da troppo tempo era nell’aria”. Di opinione opposta l’avvocato Rosalba Di Gregorio: “Quello dei pm è un parere adottato in base alla legge. Il 41 bis va applicato ai soggetti socialmente pericolosi. Provenzano è in stato semi-vegetativo”. L’ultimo bollettino del reparto detenuti di Parma, dove il boss da giugno è ricoverato per un’infezione, descrive un paziente “vigile solo se stimolato”. Lettere: in cella a Poggioreale siamo morti viventi di Salvatore Di Vaio Giornale di Napoli, 28 luglio 2013 Gentile Direttore, sono un detenuto del padiglione Livorno di Poggioreale e ancora una volta lancio un grido di allarme nella speranza che il ministro venga a conoscenza dei disagi che quotidianamente viviamo in quest’inferno. Fa un caldo pazzesco e non ci viene consentito di scendere a passeggio in pantaloncini, come si fa in altri istituti di pena. Inoltre possiamo fare soltanto due docce a settimana. Per la pulizia alle celle ci viene fornito una bottiglietta di Lindoform al mese per sei persone e un rotolo di carta igienica a persona al mese. Ma è mai possibile che nessuno interviene? Siamo essere umani e non animali anche se abbiamo commessi errori e ne stiamo espiando le pene. Mi chiedo perché nessuno ha un minimo di clemenza per noi morti viventi. Dietro queste mura non esiste il rispetto per noi poveri detenuti. Lancio io da parte di tante persone l’appello a chi può darci una mano. Aiutateci! Firenze: l’inferno delle carceri, il ministro Cancellieri in visita a Sollicciano di Simona Poli La Repubblica, 28 luglio 2013 A Sollicciano domani pomeriggio arriverà il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Chiedono di incontrarla i detenuti che da 48 giorni osservano il digiuno insieme a tantissimi italiani che hanno aderito alla campagna contro il sovraffollamento dei penitenziari. In Toscana i carcerati sono 4.148. Tra loro 1.719 sono dentro per reati legati alla detenzione di droga. E Sollicciano contiene il 183 per cento di reclusi in eccedenza rispetto alla sua capienza. “SONO numeri che spiegano bene quale sia il problema chiave del sovraffollamento”, spiega Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze e membro della commissione nazionale per la riforma del carcere presieduta da Mauro Palma. “Ho chiesto al ministro che a Sollicciano faccia ripartire i lavori fermi per la seconda cucina maschile, che chiuda la casa di cura e custodia per detenute in stato di semi infermità mentale e che acceleri i lavori per adeguare i servizi igienici nelle celle femminili. Il carcere di Firenze col suo giardino degli incontri deve diventare un nuovo modello, non più porte chiuse ma spazi comuni per vedere i parenti e aiutare la socializzazione interna. Mi aspetto che Cancellieri prenda degli impegni con chi sta soffrendo tra quelle mura”. Il digiuno a staffetta va avanti, chi volesse aderire può inviare u n a m a i l a garante.detenuti@comune.fi.it o chiamare lo 055.2769137. E ha lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla grave situazione delle carceri anche il “Jailhouse Tour” che partirà domani proprio da Sollicciano: lo organizza la trasmissione radiofonica Demo di Rai Radio 1, che alle 16 registrerà nel carcere, davanti a una platea di detenuti appartenenti sia al braccio maschile che a quello femminile, una puntata speciale nel corso della quale farà esibire i talenti musicali più brillanti “scoperti” nei suoi undici anni di vita. Tra gli ospiti i cantautori Francesco Baccini, Massimo Altomare e i Presi per Caso, gruppo rock formatosi all’interno di Rebibbia. Il tour proseguirà nelle prossime settimane nei carceri di San Gimignano, Pisae Massa. Guardasigilli visita carcere di Sollicciano (Adnkronos) Due impegni in Toscana domani per il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Nel primo pomeriggio, intorno alle 14.30, il guardasigilli sarà a Villa di Castel Pulci a Scandicci, per visitare la sede della Scuola Superiore della Magistratura (inaugurata quasi un anno fa, il 18 settembre 2012, dall’allora ministro Severino) e incontrare il presidente Valerio Onida e i componenti del Comitato Direttivo. Successivamente, alle 15.45, il ministro Cancellieri si sposterà alla casa circondariale di Sollicciano, dove è accolta dal provveditore regionale per la Toscana Carmelo Cantone e dal direttore dell’istituto Oreste Cacurri. Nel teatro del carcere fiorentino, il guardasigilli assiste alle esibizioni musicali dei “Presi per caso”, gruppo di ex detenuti del carcere romano di Rebibbia, e del collettivo dei detenuti di Sollicciano, nell’ambito del Demo Festival Award, concorso radiofonico di Rai Radio1 destinato a giovani musicisti sconosciuti. A seguire, il ministro visiterà il Giardino degli incontri, lo spazio interno all’istituto destinato all’incontro dei detenuti con i familiari e la comunità esterna. Prima di lasciare Sollicciano, il procuratore della Repubblica Giuseppe Quattrocchi e il presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze Antonietta Fiorillo illustreranno al ministro il progetto “Digitajust”, finalizzato alla costituzione di un laboratorio di digitalizzazione degli atti giudiziari da parte dei detenuti all’interno del Palazzo di Giustizia di Firenze. Padova: alta tensione al carcere Due Palazzi, ergastolano aggredisce medico www.padovaoggi.it, 28 luglio 2013 Giovedì ha chiesto di essere visitato sostenendo di non sentirsi bene ma una volta portato in infermeria si è avventato con calci e pugni su Salvatore Montalto, medico del carcere di Padova. Per lui prognosi di 20 giorni. I fatti risalgono a giovedì, quando - come riportano i quotidiani locali - un detenuto 45enne italiano, intorno alle 18.30, ha chiesto di essere visitato per problemi di salute. Una volta portato in infermeria, il recluso, condannato a due ergastoli per reati di mafia, ha pestato a sangue il medico del carcere Due Palazzi di Padova, Salvatore Montalto, sferrando calci e pugni fino all’arrivo degli agenti di polizia che, allarmati dalle urla del dottore, sono riusciti a bloccare l’aggressore. Uno scatto d’ira incontrollata che, secondo la Cgil penitenziari del Veneto è da ascriversi alle condizioni di sovraffollamento e la cronica carenza di personale che, con il caldo estivo, rendono ogni anno l’istituto di pena una bomba a orologeria. Solo mercoledì, due detenuti avevano deciso di iniziare uno sciopero della fame proprio per denunciare la mancanza dello spazio vitale stabilito per legge a disposizione di ogni detenuto. Accompagnato subito al pronto soccorso, al medico è stata prescritta una prognosi di 20 giorni. Per il detenuto invece è scattato l’isolamento. Secondo la ricostruzione fornita dal recluso agli agenti, l’ergastolano sarebbe “esploso” di rabbia dopo essersi lamentato delle cure ricevute in carcere, giudicate inadeguate, e dopo aver chiesto senza successo al medico (cui non spetta certo la competenza sull’argomento) di essere trasferito in un altro istituto e in una cella singola. Ergastolano aggredisce il medico a calci e pugni (Il Mattino di Padova) Un ergastolano ha aggredito il medico a calci e pugni. È accaduto giovedì intorno alle 18,30 nella casa di reclusione Due Palazzi, il carcere per chi è condannato in via definitiva. L’uomo, un quarantenne siciliano, alle spalle reati gravissimi, si trovava rinchiuso in una cella al primo piano della struttura penitenziaria. Aveva sollecitato la visita sanitaria, lamentando problemi di salute. Un agente lo ha accompagnato nella stanza, allo stesso piano, adibita a infermeria. Agente che poi è uscito un istante per ragioni di servizio (il personale è ridotto all’osso). All’improvviso, l’aggressione: l’ergastolano è balzato contro il medico, picchiandolo con calci e pugni. Medico di esperienza, da anni in servizio nel carcere, che ha urlato. Il detenuto è stato bloccato dagli agenti e messo in isolamento. Altri ergastolani hanno espresso sdegno per il comportamento del recluso che rischia di danneggiare tutti. “Tutta la nostra solidarietà al medico” commenta Giampiero Pegoraro, coordinatore padovano della Fp Cgil polizia penitenziaria, “Questi episodi non devono succedere ma temo per il futuro. Purtroppo sono anche il risultato del disagio che si vive in carcere tutti i giorni”. Rimini: la Garante Desi Bruno; criticità del carcere, prima sezione sarebbe da chiudere www.newsrimini.it, 28 luglio 2013 Lunedì alle 10.30, come riportato dal quotidiano La Voce, l’onorevole del Pdl Sergio Pizzolante visiterà il carcere di Rimini e, accompagnato dal presidente dell’associazione Papillon, incontrerà la direttrice e le famiglie dei detenuti. La situazione del carcere riminese è infatti critica per via del sovraffollamento che nei mesi estivi portano anche 300 detenuti a fronte di una capienza di 169. La garante regionale Desi Bruno ha effettuato due ispezioni nel carcere riminese lo scorso anno (a febbraio e in agosto) ed una nel febbraio 2013 e ha riscontrato notevoli criticità. Nel febbraio 2012 erano presenti 204 detenuti (a fine anno i dati del ministero ne sancivano invece 174) Il 70% erano stranieri, il 60/65% tossicodipendente. I condannati in via definitiva erano meno della metà (88) e mediamente di lieve entità le pene. Nella sua relazione però il Garante evidenzia come il sovraffollamento non consenta di adibire un reparto ai soli condannati in via definitiva così i detenuti risultano posizionati nelle celle senza alcuna considerazione della posizione giuridica. Ma c’è di peggio: nella visita del febbraio 2012, la prima sezione presentava sei detenuti in celle di 15/16 metri quadri con letti a castello a tre posti. In estate si può anche arrivare, si legge nella relazione, a 10 persone con i materassi stesi a terra. Il 50% degli arresti avviene infatti tra luglio e agosto e le presenze ai Casetti superano le 300 unità. “Il reparto risulta da ristrutturare completamente con serie infiltrazioni d’acqua in occasione di eventi metereologici, con i bagni in pessime condizioni”. Proprio la prima sezione è stata oggetto di un intervento da parte dell’Ausl ma, nonostante questo, nella visita del febbraio di quest’anno la garante evidenzia come “sebbene sia stato dimezzato il numero delle persone presenti (38), permane una situazione caratterizzata da gravi condizioni igienico sanitarie, che ne consiglierebbero caldamente la totale chiusura, e di sovraffollamento delle celle”. Nella relazione si parla poi della sezione Andromeda con 16 posti in custodia attenuata per tossicodipendenti in vista dell’inserimento in comunità (“una esperienza di particolare nota da estendere ad altre realtà”) e della sezione invece chiusa in vista di ristrutturazione (sarebbero 600mila gli euro stanziati). I servizi offerti Il carcere di Rimini è dotato di due classi di alfabetizzazione per stranieri, scuole elementari e medie. Presenti due psicologi, cinque educatori e due mediatori culturali. Quattro o cinque medici generici coprono le necessità dei detenuti tra le 8 e le 22. Assicurata l’assistenza dentistica. Presenti ai Casetti la Caritas che si occupa dell’abbigliamento per gli indigenti, i sindacati per le pratiche di disoccupazione, lo sportello del comune che si occupa di informazione giuridica. Gli organici scarsi Se i detenuti sono in sovrannumero, il personale deve affrontare il problema inverso. La pianta organica del carcere di Rimini prevede la presenza di 145 agenti mentre quelli presenti effettivamente sono 102/103. Le rimostranze dei detenuti La Garante ha avuto anche contatti con i detenuti che hanno chiesto di poter lavorare (27 sono quelli alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria); in particolare gli stranieri hanno lamentato la mancanza di risorse che impedisce di chiamare casa ed hanno chiesto di incontrare il magistrato di sorveglianza. Casa Madre del Perdono Positivo il giudizio della Garante sulla Casa Madre del Perdono della Papa Giovanni che accoglie detenuti comuni non tossicodipendenti e propone un progetto educativo per una ventina di persone. Bologna: la Dozza è al limite, i detenuti sono il doppio… e non è l’unica emergenza di Lorenza Pleuteri La Repubblica, 28 luglio 2013 Novecento dieci detenute e detenuti, stipati in celle fatte per contenerne la metà. Una bimba di due mesi incarcerata assieme alla mamma, una ragazza di 19 anni arrestata per l’ennesimo furto. L’acqua potabile, insufficiente per tutti, razionata. Gli agenti della polizia penitenziaria costretti a chiedere un furgone in prestito ai colleghi di Forlì, perché anche l’ultimo pulmino rimasto a disposizione si è rotto, per strada. La direttrice pro-tempore, Claudia Clementi, non ancora stabilizzata. Ecco la Dozza, in una delle giornate più torride dell’anno, nel pieno del dibattito sul decreto che dovrebbe cambiare il carcere. Accompagnati dalla garante regionale delle persone private della libertà, Desi Bruno, in via del Gomito ieri sono tornati i senatori Pd Rita Ghedini e Sergio Lo Giudice, per il consueto sopralluogo semestrale. Le loro testimonianze, all’uscita dai raggi, raccontano di problemi cronici che si sovrappongono a emergenze legate alla stagione, alle riduzioni dei fondi per il lavoro, alle scelte di altri amministrazioni dello Stato. “Il numero dei detenuti - constatano i visitatori - è in aumento e resta superiore alla capienza prevista e a quella tollerata. Cresce anche il numero delle persone in attesa di giudizio, il 50%. Anche il personale è in sofferenza. Gli agenti effettivi sono 385, contro i 567 previsti” Nei primi sei mesi dell’anno, dato posto all’attenzione da Desi Bruno, “80 arrestati sono stati portati qui prima del processo per direttissima, anziché essere tenuti nelle celle di sicurezza della polizia, quelle che la questura ha dichiarato inagibili dopo averle usate per decenni senza eccepire. Per 36 di loro, il 45%, il passaggio dal carcere è stato superfluo e ha sovraccaricato un sistema in perenne affanno, scaricando sull’istituto disservizi e carenze di altri anelli del sistema giustizia. Sono stati posti in libertà, per decisioni motivate dei giudici”. Non è tutto. “Per un mese e mezzo i giudici non verranno in carcere per gli interrogatori di convalida, come la norme prevede. I detenuti dovranno essere accompagnati in Tribunale, da loro, con un ulteriore aggravio di impegno per la polizia penitenziaria, con un parco mezzi quasi azzerato”. Che fare, allora? Lo Giudice e Ghedini presenteranno una interrogazione sulle mamme detenute coi figli e sulla necessità di trovare percorsi alternativi. E si attiveranno affinché l’incarico alla direttrice diventi definitivo. Senatori Pd: alla Dozza c’è anche bimba 2 mesi con madre (Ansa) I senatori Pd Rita Ghedini e Sergio Lo Giudice si sono recati stamattina in visita al carcere della Dozza per il consueto sopralluogo semestrale di monitoraggio delle condizioni della casa circondariale di Bologna, insieme con la Garante regionale dei diritti delle persone private della libertà avv. Desi Bruno. “La situazione alla Dozza non È molto diversa rispetto a sei mesi fa - dichiarano i due senatori Pd”. Il numero complessivo di detenuti, leggermente in aumento, ammonta a 910, a fronte di una capienza di 460 posti e un limite di tollerabilità fissato a 820 unità. Circa il 25% dei detenuti è tossicodipendente, il 50 % è in carcere per reati legati alla droga, il 63% è composto da stranieri, il 50% dei reclusi sono in attesa di giudizio, un dato stabile quest’anno ma migliorato nel corso del tempo. Anche la situazione del personale continua a mostrare sofferenze. Gli agenti di polizia penitenziaria in servizio effettivo sono 385 su un organico previsto di 567 unità, e gli educatori sono 8, tre in meno dell’organico”. “Alla Dozza È reclusa, insieme alla madre diciannovenne, una bimba di due mesi. Presenteremo presto un’interrogazione in Senato - precisano i senatori Pd - per chiedere che siano effettivamente attivate le misure che consentano alle madri di poter scontare la pena in alloggi alternativi al carcere: non È sopportabile che dei bambini possano trascorrere in carcere periodi fondamentali per la loro crescita”. “Un altro problema da risolvere presto - continuano Ghedini e Lo Giudice. È quello della stabilizzazione del ruolo della direzione del carcere di Bologna sottoposto a un carosello di nomine temporanee nel corso degli anni. Ci faremo carico di intervenire presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per ottenere la stabilizzazione dell’incarico del direttore oltre all’assegnazione degli agenti che hanno concluso i corsi di formazione”. “Va dato atto, infine, alla direzione del carcere - concludono Ghedini e Lo Giudice - di una forte attenzione nel mettere in campo tutte le misure gestionali utili ad alleggerire le condizioni dei reclusi, aggravate anche dalle alte temperature di questo periodo”. Bologna: Ipm del Pratello, chiesti quattro rinvii a giudizio per gli abusi su un detenuto di Lorenza Pleuteri La Repubblica, 28 luglio 2013 Non avrebbero denunciato all’autorità giudiziaria gli abusi commessi su un detenuto del Pratello, un ragazzo straniero preso di mira almeno cinque volte da due compagni di cella identificati e da altri coetanei rimasti “sconosciuti”, anche dopo due anni di indagini e accertamenti. Non solo. La psicologa dell’Ausl in servizio nella struttura, lei persona adulta e con gli strumenti per difendersi, sarebbe stata “ingannata” e indotta a sostituire una relazione di servizio autentica con un rapporto falso, per nascondere reati e omissioni di altri. Per tutto questo, con contestazioni differenziate in relazione al ruolo e alle presunte responsabilità dei singoli, il pm Antonello Gustapane ha chiuso l’ultimo filone di inchiesta sullo scandalo Pratello chiedendo il rinvio a giudizio dell’ex comandante della polizia penitenziaria del minorile, del coordinatore dell’area educativa e direttore pro tempore e di due ispettori, nell’ordine Aurelio Morgillo, Alfredo Ragaini, Antonino Soletta e Alonzo Caracciolo. Gli episodi approfonditi e addebitati in questa tranche, che ha come “parte offesa” unicamente il ministero della Giustizia, sono datati giugno e luglio 2011 e hanno la medesima vittima, percossa in cella in due occasioni, picchiata in modo più pesante in un’altra e punita con bruciature in altre due ancora. “Dimostreremo che le cose non sono andate così come sembra - accennano gli avvocati difensori dei quattro. Non è vero che i fatti non sono stati portati all’attenzione dell’autorità giudiziaria. Gli episodi sono stati trattati in sede di Consiglio di disciplina, i cui atti vengono sistematicamente trasmessi al giudice di sorveglianza. Del ragazzo vessato si è occupato anche un gip, in sede di concessione del trasferimento in comunità. La psicologa non è una dipendente della struttura, subordinata ai dirigenti interni. Aveva altri referenti. E l’atto falso di cui si parla lo ha redatto lei”, considerata invece dalla procura vittima di un inganno e presentata come testimone d’accusa. Le richieste di processare i quattro indagati si inseriscono in una storia di violenze e di silenzi molto più complessa e inquietante. Esploso il caso, nel novembre 2011, scattarono le ispezioni ministeriali, emerse una situazione di “totale anarchia” e vennero trasferiti d’ufficio l’allora direttore del minorile, il numero uno della polizia penitenziaria e il dirigente del centro per la giustizia minorile. Partirono le inchieste della procura ordinaria e della procura per i minorenni e si arrivò a parlare di un “Pratello totalmente fuori controllo”. In una tranche vennero messi sotto accusa 35 tra dirigenti, agenti e educatori. Però alla fine la procura ha chiesto il processo “solo” per sei di loro. In un altro filone d’indagine, per la mancata denuncia di violenze sessuali su un detenuto, sono stati invece citati a giudizio l’ex direttore rimosso e due degli indagati nell’ultimo troncone, Morgillo e Caracciolo. Lucca: lettera shock di un ex detenuto “San Giorgio, carcere vergognoso e disumano” di Gianluca Testa www.loschermo.it, 28 luglio 2013 “Una situazione indegna: formiche in cella, dove siamo in quattro anziché in due. E poi sanitari spaccati, fili elettrici scoperti, topi, muffa e immondizia. Ok, è giusto scontare la pena. Ma queste condizioni sono disumane e migliorare questo carcere sarebbe un miracolo. In questo modo, la nostra pena la paghiamo il doppio”. È quello che ci scrive in una lettera un ex detenuto del San Giorgio. È italiano, ha una quarantina d’anni e ora è un uomo libero. Si è però deciso a scrivere per raccontare le condizioni dell’istituto penitenziario lucchese. Lo ha fatto in un momento particolarmente delicato per l’Italia, costretta a fare i conti con la decisione della corte europea dei diritti dell’uomo che ci impone di riportare la condizione delle carceri nella normalità entro il 27 maggio 2014. Cosa significa? Che in dieci mesi la popolazione carceraria dovrebbe passare da 67mila a 47mila persone. Proprio mentre alla Corte di Strasburgo ci sono quasi seicento ricorsi di ex detenuti, decisi a chiedere un equo risarcimento a causa della violazione dei diritti dell’uomo. In sostanza se non faremo qualcosa a breve ne pagheremo le conseguenze. Anche sul piano economico. Le soluzioni sono due: o una nuova amnistia - che risolverebbe solo temporaneamente il problema - o l’avvio di un percorso virtuoso destinato all’incentivo e alla facilitazione delle misure alternative alla pena. È per questo che il Centro nazionale per il volontariato, in collaborazione con le reti nazionali che si occupano di questi temi (Seac e Conferenza nazionale volontariato giustizia), ha organizzato a Roma un primo incontro col mondo del volontariato e di tutto il terzo settore. L’obiettivo è proprio quello di favorire l’applicazione delle pene alternative al carcere. All’appuntamento ha preso parte anche il sottosegretario all’interno Domenico Manzione, residente a Viareggio, che prima di questa nomina, per undici anni, ha prestato servizio alla Procura di Lucca. “I numeri sono più che impietosi. Abbiamo 67mila detenuti, ben 20mila in più rispetto alla capienza”, spiega Manzione. “È necessario fare molto più di quanto ipotizzato dalla nuova legge, ormai insoddisfacente rispetto ai bisogni. Ed è essenziale che il volontariato sia messo in condizione di poter dare il proprio contributo nell’esecuzione esterna della pena”. Manzione ritiene inoltre che ci sia “una violazione palese della convenzione europea dei diritti dell’uomo, che ci costerà molto. Anche in termini economici. Ogni sentenza di condanna della corta si accompagnerà infatti a un risarcimento che lo Stato italiano dovrà pagare”. La lettera dell’ex detenuto del carcere San Giorgio è emblematica di una condizione diffusa e apparentemente irrecuperabile. A partire dalle carenze strutturali. “Il bagno pieno di calcare, i sanitari sono per lo più spaccati” scrive l’ex detenuto. “Nelle sere d’estate, poi, c’è puzzo di fogna all’interno delle celle, che già si presentano in condizioni disumane. In pochi metri, dove dovrebbero esserci solo due detenuti ci sono invece quattro persone. La sera, per mangiare, dobbiamo fare i turni. Perché non c’è spazio per tutti e quattro. E non c’è spazio neppure negli armadi. Quindi le poche cose che abbiamo siamo costretti a conservarle all’interno di contenitori di cartone che mettiamo solo al letto”. Ma non è tutto. “La metà delle docce sono rotte e i muri sono neri di muffa. Nelle celle ci sono dei veri e propri formicai. E quando in cella si rompe un lavandino occorre aspettare anche venti giorni prima che sia riparato”, si legge nella lettera. Il cibo? “Uno schifo. Non abbiamo sale né olio. Le patate sono spesso crude, e il pane è secco. La carne, quando c’è, non sarebbe commestibile neppure per un cane. Il caffè, poi, viene allungato con l’acqua calda: viene versato in un pentolone di acqua riscaldata, proprio come si fa con la pasta. Sotto la finestra della cucina ci sono infine i bidoni della spazzatura. E questo richiama i topi. A volte vengono catturati, altre raggiungono il nostro cibo”. Anche sulla canonica ora d’aria sembrano esserci dei problemi. “Abbiamo a disposizione cinquanta minuti al mattino e cinquanta al pomeriggio. Ma quando siamo all’aperto, non esistendo una copertura o un riparo, quando piove o quando c’è troppo sole non si può stare. Quindi spesso restiamo in cella o in sezione”. A proposito delle sezioni del carcere San Giorgio, nella lettera di legge che “nella maggior parte dei casi ci sono aree inaccessibili perché i muri rischiano di crollare. L’intonaco si stacca un po’ ovunque, i fili scoperti sono scoperti, cadenti e staccati dalla messa a terra”. Ma esistono criticità anche per quel che riguarda il riscaldamento. “Questo inverno - prosegue la lettera - siamo stati un mese senza riscaldamento. E in alcune sezioni resta acceso solo due o tre ore al giorno, anche nei periodi più freddi”. Prato: i detenuti del carcere La Dogaia faranno manutenzione sulle scuole Il Tirreno, 28 luglio 2013 Sarà composto da 5 detenuti del carcere La Dogaia di Prato il gruppo che da domani a sabato 3 agosto nelle scuole elementari delle frazioni di Stazione e Tobbiana, e da venerdì 26 a sabato 31 agosto alle elementari Nerucci di Montale si dedicherà alla manutenzione di alcuni plessi scolastici del comune. Dopo la positiva esperienza nata nel 2011 da un’idea del consigliere Salvatore Pantaleo, che il sindaco David Scatragli e tutta la maggioranza condivisero con entusiasmo, l’amministrazione comunale ha rinnovato la collaborazione con il comando di Polizia penitenziaria della Casa circondariale della Dogaia di Prato e in particolare con il direttore del carcere, Vincenzo Tedeschi e il comandante commissario di Polizia penitenziaria Giuseppe Pilumeli. Il progetto, ancora una volta, ha una forte valenza sociale e mira, oltre a migliorare lo stato dei plessi scolastici, al reinserimento nella comunità di quei detenuti che si sono resi disponibili all’iniziativa. Parte di un percorso rieducativo, il progetto si inserisce, come nel 2011, nelle attività previste dall’ordinamento penitenziario per il recupero di coloro che hanno commesso reati contro la persona o il patrimonio pubblico. Coniuga quindi l’utilità di offrire opportunità e occasioni di riscatto e integrazione a coloro che intendono riabilitare la propria persona e, al tempo stesso, consente all’amministrazione di conservare e rivalutare in maniera appropriata il territorio senza gravare sui fondi comunali. I detenuti saranno accompagnati dal personale di Polizia penitenziaria e avranno il compito di imbiancare i locali scolastici. Gli enti coinvolti sottolineano la soddisfazione per esser riusciti a ripetere l’iniziativa nata da questa collaborazione che fin dalla prima esperienza ha messo in evidenza gli innumerevoli risvolti positivi, sia sotto un profilo di utilità per il paese ma, soprattutto, sotto quello umano. Aosta: Osapp; aggrediti agenti penitenziari al carcere di Brissogne www.imgpress.it, 28 luglio 2013 “Mentre le carceri italiane sono ormai prossime all’implosione le aggressioni ai danni dei Poliziotti Penitenziari da parte dei detenuti si susseguono oramai con cadenza quasi giornaliera.” A dichiararlo è il Segretario Generale Aggiunto dell’Osapp - Domenico Nicotra - che rende noto l’ultimo episodio registrato il 26 luglio presso la Casa Circondariale di Aosta “Brissogne”. Questa volta, continua Nicotra, la scintilla è esplosa a seguito delle rimostranze poste in essere dagli occupanti di una cella che con tali gesti si opponevano alle decisioni assunte dal personale operante che aveva disposto l’ulteriore allocazione nella cella medesima di un detenuto extracomunitario resosi responsabile di aver violato le leggi sugli stupefacenti. Da lì a poco, continua il sindacalista dell’Osapp, tutti gli occupanti della cella e anche il detenuto “nuovo giunto” si sono scagliati congiuntamente contro il pochissimo personale al momento presente, che in numero altamente esiguo stava per soccombere alla violenza dei detenuti.” “Solo il pronto arrivo di altro personale di Polizia Penitenziaria in assetto antisommossa ha consentito il ripristino dell’ordine e la sicurezza penitenziaria, che tuttavia è stato nuovamente minato quando si stava provvedendo al trasferimento in altra sezione del detenuto extracomunitario.” “Come sempre, e forse questa volta ancor di più rimarca Nicotra, a pagarne dazio sono stati addirittura quattro operatori di Polizia Penitenziaria che solo in tarda serata sono stati dimessi dal pronto soccorso con prognosi che vanno da due a quindici giorni, oltre che evidenti danni fisici che non escludono addirittura, per taluni, contusioni alla gabbia toracica.” “È impensabile , afferma il sindacalista dell’Osapp, che sia sempre e solo il personale del Corpo di Polizia Penitenziaria a subire gli effetti di un sistema penitenziario ormai arrivato “alla frutta” e per questo è necessario che il Ministro della Giustizia porti al prossimo Consiglio dei Ministri la questione “Polizia Penitenziaria” perché è diventato impossibile poter garantire la sicurezza e nel contempo tutte le attività trattamentali previste dalle leggi e regolamenti.” “Sono necessari e non più procrastinabili, conclude il sindacalista dell’Osapp, provvedimenti legislativi che possono e debbano incrementare l’Organico di un Corpo di Polizia che quotidianamente patisce una lenta ed inesorabile emorragia anche per effetto di tutte quelle aggressioni che sempre più frequentemente si registrano negli Istituti Penitenziari della Repubblica”. Piacenza: droga in carcere e prostitute a detenuti in permesso, agente patteggia 3 anni www.piacenza24.eu, 28 luglio 2013 Patteggiano anche la convivente dell’assistente della polpen e l’autista delle lucciole. Droga nel carcere delle Novate e incontri con prostitute per i detenuti in permesso. Un caso di cui si era occupata a marzo la polizia municipale di Piacenza con un’indagine sfociata in accuse pesanti per un assistente capo della Polizia penitenziaria, Alfredo Aste, per la sua convivente, Anna Fanara, e per un altro uomo, Giovanni Vallone considerato l’autista delle lucciole che, secondo la ricostruzione degli investigatori, venivano accompagnate in un appartamento di viale Dante dove venivano fatte incontrare con i detenuti. Tre anni di reclusione è la pena patteggiata dall’assistente della Penitenziaria, un anno sei mesi per la convivente e un anno e due per l’autista. C’è anche un medico di base coinvolto nella vicenda, Riccardo Bacchi: è accusato di aver rilasciato falsi certificati medici al poliziotto per permettergli di stare a casa lunghi periodi. Lui però nega tutto e ha deciso di affrontare il processo: il gip infatti, nell’udienza preliminare di ieri, l’ha rinviato a giudizio. Radio: Jailhouse Rock, continua la programmazione anche in estate su Radio Popolare Ristretti Orizzonti, 28 luglio 2013 In estate e fino alla ripresa del palinsesto invernale, la trasmissione Jailhouse Rock, suoni, suonatori e suonati dal mondo delle prigioni, ritorna in onda tutti i venerdì dalle 21 sulle frequenze di Radio Popolare. Jailhouse Rock è una trasmissione musicale e di informazione curata e condotta da Patrizio Gonnella e Susanna Marietti dell’associazione Antigone. Ogni puntata è dedicata a un musicista rock, blues, jazz, country, reggae finito in carcere più o meno giustamente. Da Johnny Cash a Ray Charles, dai Beatles ai Rolling Stones, da Vasco Rossi a Roberto Vecchioni: storie e canzoni di musicisti dietro le sbarre. Dal carcere di Bollate a Milano si potrà sentire una cover dell’autore al centro della puntata. Settimanalmente i detenuti delle carceri di Roma Rebibbia e Milano Bollate elaborano e conducono un giornale radio dal carcere, senza filtri. Ospiti più o meno fissi: Carmelo Cantone (provveditore delle carceri toscane), Mirko Mazzali (avvocato), don Sandro Spriano, Lucia Pistella e le sue freddure su carabinieri e poliziotti vari. Immigrazione: carceri e Cie da vergogna di Piero Innocenti La Gazzetta di Modena, 28 luglio 2013 Non so, con certezza assoluta, se tra qualche giorno o settimana, accadrà qualcosa di (più) violento e di drammatico in qualcuno dei nove centri di identificazione ed espulsione (Cie) sparsi sul territorio nazionale, dove si trovano “detenuti” in condizioni talvolta anche peggiori dei veri carcerati. Centinaia di stranieri, uomini e donne, colpevoli di essere irregolari da identificare. So, tuttavia, che qualcosa di sgradevole si verificherà. È, ormai, una costante delle estati italiane, quando molti vanno in vacanza, tornare alle denunce delle carceri che scoppiano e dei Cie disumani. Aspettiamoci, dunque, il solito penoso intervento su questi temi di politici e rappresentanti delle istituzioni, intervistati, a mezze maniche, in qualche ambiente marino, tutti che convengono sulle criticità del sistema e sulle sofferenze - che si aggiungono alla pena della reclusione- di chi è costretto a vivere in spazi angusti e fortemente degradati. Le ipocrite prese di posizione vengono un po’ da tutte le parti politiche e non nascondo che provo un forte senso di disgusto quando sento (ri)parlare di costruzione di nuove carceri per evitare il sovraffollamento (oltre mezzo secolo fa, a Tivoli, mio padre mi raccontava la stessa cosa) o di provvedimenti “svuota carceri”. Tornando ai Cie e prendendo lo spunto da quanto rilevato pochi giorni fa dal Garante dei detenuti a Milano (cfr. L’Avvenire del 25 luglio u.s. “Salute mentale a rischio nelle carceri e nei Cie”), non si può non tornare, ancora una volta, sul tema per denunciare, con forza, la situazione generale di un sistema che fa acqua da tutte le parti, con un “trattenimento” che può durare mesi e mesi (fino a diciotto mesi). L’eccezione è stata quella della nota signora Shalabayeva, transitata nel Cie di Roma per poche ore e rimpatriata in Kazakistan con un aereo messo a disposizione dal governo kazako. La signora resterà, peraltro, l’unica cittadina di quel paese trattenuta ed espulsa dall’Italia, perché dal 2009 a oggi, dei quattro provvedimenti questorili emessi sul territorio nazionale nei confronti di altrettanti cittadini kazaki, tre non furono convalidati dai giudici di pace, mentre solo uno dei kazaki fu dimesso dal Cie per motivi di salute. Imponente, comunque, la moltitudine di stranieri transitati negli ultimi anni nei Cie: 7.039 nel 2010; 7.735 nel 2011; 7.944 nel 2012 e 3.278 nel 2013, alla data del 25 luglio, per un totale di 25.996 persone. I rimpatriati al termine di una permanenza media di una cinquantina di giorni sono stati 12.843. Molti anche i provvedimenti di trattenimento che i giudici di pace non hanno convalidato: 704 nel 2010; 787 nel 2011; 1.049 nel 2012 e 411 nel 2103 al 25 luglio. Duemila quattrocento settantotto sono gli stranieri che sono riusciti a evadere (il termine ministeriale è quello di “allontanatisi arbitrariamente”) nel periodo primo gennaio 2010-25 luglio 2013, quasi tutti uomini (solo quattro donne). Molti pensano che nei Cie arrivino solo cittadini extracomunitari. In realtà non è così. Dal 2010 a oggi sono stati ben 2.143 i comunitari trattenuti nei centri, con una prevalenza netta di rumeni (circa duemila) ma anche tedeschi, austriaci, francesi, polacchi, ungheresi, greci, lituani e spagnoli. Immigrazione: non ci sono soldi per gli appalti, e nei Cie sfuggono anche i diritti di Luca Fazio Il Manifesto, 28 luglio 2013 Dopo 15 anni l’esperienza concentrazionaria più disumana e rimossa del Paese - i Centri di identificazione ed espulsione (Cie) - forse è giunta al capolinea. Certo non per un sussulto antirazzista, e nemmeno per un ripensamento della politica, ma solo perché sono finiti i soldi anche per gestire queste prigioni per stranieri che non hanno commesso alcun reato. Il fallimento totale dell’esperimento palesemente razzista è sotto gli occhi di tutti. Rinchiudere inutilmente persone fino a 18 mesi senza alcun utile tornaconto non è un buon modo di utilizzare soldi pubblici, e il Viminale non può far finta di niente di fronte all’evidenza: nel 2012 sono state “trattenute” 7.700 persone nei Cie di tutta Italia e ne sono state rimpatriate meno della metà. Un numero insignificante se confrontato con il dato ufficiale - e sicuramente sottostimato - degli immigrati senza documenti: 326 mila secondo uno studio della Fondazione Ismu. La situazione ormai è sfuggita di mano anche sotto il profilo dell’ordine pubblico, per non parlare dei diritti umani. Ogni giorno si ripetono episodi di autolesionismo, fughe, denunce di maltrattamenti, blocchi stradali, risse e rivolte sedate spesso con la violenza: ieri, per esempio, una rissa “per futili motivi” scoppiata nel Cie in contrada Imbriacola di Lampedusa, con un poliziotto ferito in maniera piuttosto seria (in quel centro sono imprigionate 977 persone a fronte di una capienza massima di 300). Il caso del Cie di via Corelli, a Milano, che dal 1998 è sempre stato gestito dalla Croce Rossa Italiana (Cri), è esemplare per comprendere la drammaticità della situazione in tutta Italia. Scaduto il bando, la Cri si è detta disponibile a gestire il centro chiedendo una cifra doppia rispetto a quella messa a disposizione dal ministero degli Interni: 60 euro al giorno a persona contro i 30 proposti per affidare l’appalto “selezionando la migliore offerta con il criterio del prezzo più basso” (scrive la Prefettura di Milano). Solo la cooperativa siracusana L’Oasi è rientrata nel tetto fissato offrendo 27,50 euro per persona (fino ad oggi la Cri gestiva a fatica la prigione ricevendo 54 euro a persona). Problema risolto? Tutt’altro. Anzi, in corso Monforte, visti i precedenti della coop L’Oasi, sono piuttosto preoccupati. Lo scorso giugno il prefetto di Bologna ha rescisso il contratto con la medesima coop (28 euro a persona) dopo che diverse associazioni, sindacati compresi, avevano denunciato condizioni degradanti, e stipendi non pagati (il Cie di Bologna è ancora chiuso). Stessi problemi anche al Cie di Modena, dove in questi giorni i lavoratori sono in agitazione perché non ricevono paghe regolari, e anche in questo caso la Cgil ha chiesto alla prefettura la revoca del contratto con la cooperativa L’Oasi. Ancora non è certo come andrà a finire a Milano, perché l’abbandono della Cri in autunno potrebbe anche provocare l’impensabile, almeno come soluzione temporanea: fine di via Corelli? Alcuni amministratori già stanno premendo per questa soluzione. Il sindaco di Modena, Giorgio Pighi, proprio ieri ha proposto la chiusura del Cie cittadino: “Chiudiamolo, sta solo creando problemi alla città e usiamo quell’edificio per affrontare con determinazione, percorrendo strade innovative, l’emergenza delle carceri stracolme e disumane”. Il degrado, le situazioni umilianti, sono ovunque una costante. “Nel carcere di Trapani si sta meglio che nel Cie di contrada Milo”, così ha commentato l’Unione camere penali italiane che ha appena visitato il centro trapanese riscontrando “condizioni di invivibilità”. Anche il sindacato di polizia ormai definisce lager questi luoghi. Felice Romano è segretario del Siulp e dopo le proteste scoppiate in questi giorni in diversi Cie (Torino, Modena, Caltanissetta) ha voluto esprimere “solidarietà a tutti gli operatori di polizia che assolvono al gravoso compito di contrastare le rivolte che caratterizzano ormai ciclicamente la vita e la gestione di questi ambigui e pericolosi lager per immigrati e poliziotti”. Per il Siulp, “detti accadimenti avvalorano la tesi che i Cie siano vere e proprie bombe a orologeria”. Immigrazione: Cie di Modena, la gestione del Consorzio L’Oasi è in forse di Carlo Gregori La Gazzetta di Modena, 28 luglio 2013 Per ora, no alla chiusura dei Cie, Modena compresa. Meno tempo di permanenza, in mancanza di una certezza giuridica che oggi può protratte “l’ospitalità” fino a 18 mesi, e prezzi giornalieri da diversificare in modo da evitare le storture attuali e creare un’economia di scala a seconda della grandezza dei centri. Sono le due ipotesi che sta percorrendo il governo sui Cie, in particolare quello di Modena, la cui situazione esplosiva è ben nota la Viminale. È la posizione ribadita ieri al Senato nell’attesa seduta dedicata al tema. E Giovanardi nel suo intervento ha anche ripetuto una sua pungente battuta sull’ex prefetto Benedetto Basile riferendosi al Cie e alla White List: “La prefettura di Modena avrebbe dovuto dare a se stessa l’interdizione antimafia”. La seduta del Senato era attesa da giorni perché ritenuta cruciale per il Cie di Modena: è la struttura che ha più problemi e ieri lo hanno ricordato Carlo Giovanardi (Pdl) e Stefano Vaccari (Pd) nei loro interventi congiunti a identificare gli stessi problemi. Giovanardi si è soffermato su quella che ritiene una pessima gestione da parte del consorzio L’Oasi, chiamato e voluto dall’ex prefetto Basile. Giovanardi si è chiesto come mai non c’è mai stata una risposta a un’interrogazione sulla questione L’oasi, un consorzio che non paga i dipendenti eppure si ingrandisce con altri Cie (ora quello di Milano) e che pare avere ottimi appoggi al Ministero dell’Interno. Basile, ha ricordato, non ha mai fatto un’ispezione. Non solo, i 30 euro l giorno per “ospite” sono stati una scelta disastrosa: la furia che ha prodotto i danni ha comportato riparazioni da centinaia di migliaia di euro, se non milioni, ha detto Giovanardi. Vaccari ha ripercorso il rapporto tra L’Oasi e i suoi dipendenti: su tredici mensilità in busta paga una sola è stata pagata. Parte non hanno mai avuto una corresponsione e parte sono state sanate con l’intervento della Prefettura. Le ragioni dello sciopero dei dipendenti si sommano con quelle degli agenti costretti a vivere in quello che ormai chiamano un “lager”. Manzione ha risposto che il governo è perfettamente consapevole di cosa accade, soprattutto a Modena, e sta valutando diverse opzioni garantendo che L’Oasi non ha trattamenti di favore al Viminale. In ogni caso, i Cie non saranno chiusi ma ripensati anche se il governo può pensare a una risoluzione del rapporto con L’Oasi. “Credo che sia arrivato il momento di pensare a una riorganizzazione dei Cie, soprattutto di intervenire su quella sorta di automatismo che c’è tra l’uscita del carcere e la presa in carico da parte dei Cie - ha detto il sottosegretario all’Interno, Domenico Manzione - finché rimarrà il problema dell’identificazione degli extracomunitari, si può immaginare non di sopprimere i Cie ma di averli in condizioni di vivibilità ordinaria” e trattenere gli immigrati “per tempi sufficientemente ristretti e strettamente funzionali all’identificazione”. Anche la Garante regionale dei detenuti dell’Emilia-Romagna, Desi Bruno, ha denunciato gravi carenze igieniche e strutturali nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Modena, dove gli operatori sono in sciopero da quattro giorni, scrivendo una lettera a diverse autorità. Al prefetto chiede di autorizzare al più presto una visita dell’Ausl per un controllo degli aspetti igienico-sanitari analogo a quello compiuto nel Cie di Bologna, che dopo un’ ispezione sanitaria è stato prima chiuso per lavori e poi la Prefettura ha revocato l’incarico al consorzio L’Oasi, lo stesso di Modena che si è visto affidare entrambe le gestioni con appalti al massimo ribasso. Ora la richiesta della Garante è di appurare se anche a la situazione sia compatibile con gli standard minimi di rispetto dei diritti umani e della dignità delle persone anche ai fini della chiusura della struttura. Nella lettera - indirizzata anche al sindaco di Modena Giorgio Pighi, al direttore del Dipartimento di sanità pubblica dell’Ausl e all’assessore regionale alla Salute - l’avvocato Bruno affronta “le degradanti condizioni di vita” e ribadisce la richiesta del “superamento dei centri di detenzione amministrativa, frutto di una legislazione sull’immigrazione all’evidenza inadeguata. Immigrazione: la proposta del Sindaco per risolvere la situazione del Cie di Modena www.mo24.it, 28 luglio 2013 “Chiudere il Cie e trasformarlo in struttura per le misure alternative alla detenzione”. In seguito alla situazione di sovraffollamento del Cie di Modena, il primo cittadino di Modena interviene proponendone la chiusura della struttura. Per il Sindaco di Modena, se la struttura non risponde più agli obiettivi per il quale era stato realizzato, sarebbe meglio trasformarlo in una struttura per le misure alternative alla detenzione. Nelle scorse settimane, Giorgio Pighi , come presidente del Forum italiano per la sicurezza urbana (Fisu), ha lanciato 7 proposte concrete contro il sovraffollamento delle carceri, tra le quali anche quella di prevedere nuove modalità di affidamento in prova e di detenzione domiciliare lontano dalla residenza abituale per i reati commessi ai danni di persone conviventi o in conflitto col condannato e per i condannati, sempre più numerosi, che hanno un lavoro ma non sono in condizione di rimanere fuori dal carcere per mancanza di abitazione o di un alloggio adeguato. Giorgio Pighi ha dichiarato: “Chiudiamo il Cie che sta solo creando problemi alla città e usiamo quell’edificio per affrontare con determinazione, percorrendo strade innovative, l’emergenza delle carceri stracolme e disumane”. Libia: più di mille detenuti scappano da carcere vicino a Bengasi, 100 già ripresi La Presse, 28 luglio 2013 In Libia più di mille detenuti sono scappati da un carcere vicino a Bengasi, dando vita a un’evasione di massa. Lo hanno reso noto fonti ufficiali. Non è stato immediatamente chiaro se l’evasione di massa dalla prigione Koyfiya sia avvenuta come parte delle proteste scoppiate dopo l’omicidio dell’attivista Abdulsalam Musmari. C’è ancora confusione su quanti prigionieri siano riusciti a scappare, con cifre che arrivano fino a 1.200 detenuti evasi. Nelle scorse ore centinaia di persone sono scese in strada a Tripoli, Bengasi e in altre città della Libia per chiedere che i partiti islamisti siano sciolti, dopo che ieri il noto attivista anti islamista Abdulsalam Musmari è stato assassinato a Bengasi. Presi 100 detenuti evasi, oltre 900 ancora in fuga (Reuters) Almeno 100 detenuti, su oltre mille fuggiti ieri da una prigione di Bengasi, sono stati catturati nelle ultime ore. Lo riferisce una fonte della Sicurezza libica. La maggior parte dei prigionieri fuggiti era detenuta per reati comuni. L’evasione è avvenuta dopo che era stata scatenata una rivolta. I servizi di Sicurezza hanno detto che all’interno del carcere è scoppiata una sommossa durante la quale i prigionieri hanno incendiato gli abiti e le lenzuola. A quel punto, le guardie hanno aperto le celle per far in modo che i detenuti sfuggissero alle fiamme e oltre mille sono riusciti a scappare. Oggi alcuni prigionieri si sono costituiti mentre altri sono stati catturati anche con l’aiuto dei residenti di Bengasi, culla nel 2011 della rivolta contro l’allora leader Muammar Gheddafi. Medio Oriente: Governo israeliano approva rilascio 104 prigionieri palestinesi Adnkronos, 28 luglio 2013 Il governo israeliano ha approvato la proposta del premier Benjamin Netanyahu per la liberazione di 104 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane da prima degli accordi di Oslo del 1993. Secondo quanto riferisce la radio israeliana, tredici ministri, compreso il premier, hanno votato a favore della proposta, mentre sette sono stati i ministri contrari. La decisione è stata presa nell’ambito della ripresa del negoziato di pace con i palestinesi, in programma a Washington questa settimana. Israele libererà 104 detenuti palestinesi pre-Oslo (Adnkronos) Il governo israeliano domani dovrebbe approvare il rilascio di 104 detenuti palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane da prima degli accordi di Oslo. Lo riferisce il quotidiano Haaretz, sottolineando che in precedenza era stato indicato il rilascio di 82 prigionieri. Secondo un funzionario del governo israeliano, anche la tempistica in quattro fasi per la liberazione dei detenuti, decisa nell’ambito della ripresa dei negoziati con i palestinesi, è destinata a cambiare. La decisione verrà sottoposta ad approvazione nella riunione di governo di domani. Stati Uniti: morto l’uomo salvato dalla pena capitale perché troppo grasso Ansa, 28 luglio 2013 È morto l’uomo salvato dalla pena capitale perché troppo grasso: Ronald Post, 53 anni, dell’Ohio, sette mesi fa era stato graziato perché a causa del suo peso eccessivo, oltre 204 chili, non poteva essere giustiziato in maniera umana. Post è morto giovedì mattina in un ospedale annesso alla prigione dove era detenuto. La portavoce del carcere ha detto che il Dipartimento di Riabilitazione e Correzione dell’Ohio aveva classificato la sua morte come “prevista”. “Per farla breve - ha continuato - non siamo rimasti sorpresi dalla sua scomparsa”. L’uomo era stato condannato a morte per aver ucciso un’impiegata di un motel nel 1983, ma un mese prima della sua esecuzione, programmata per il 16 gennaio scorso, aveva ottenuto che la sua pena fosse commutata in ergastolo senza possibilità di libertà condizionata.