Carceri sovraffollate, nuovo grido d’allarme del volontariato Ristretti Orizzonti, 25 luglio 2013 “Abbiamo sempre creduto nelle pene alternative. Ora rischiamo il collasso, è necessario intervenire in fretta”. È così che si esprime unanime il volontariato. Anche perché la decisione della corte europea dei diritti dell’uomo impone all’Italia di riportare la condizione delle carceri nella normalità entro il 27 maggio 2014. “Ci sono ventimila detenuti di troppo”, spiega Marcello Bortolato del tribunale di sorveglianza di Padova. E 550 sono ricorsi pendenti per la violazione dei diritti dei detenuti. “O troviamo una soluzione con l’inserimento alternativo entro maggio o sarà necessario svuotare le carceri con un’amnistia per evitare pesantissime sanzioni”. Anche per Domenico Manzione, sottosegretario al Ministero dell’interno, “i numeri sono più che impietosi. Abbiamo 67mila detenuti, ben 20mila in più rispetto alla capienza. È necessario fare molto più di quanto ipotizzato dalla nuova legge, ormai insoddisfacente rispetto ai bisogni. Ed è essenziale che il volontariato sia messo in condizione di poter dare il proprio contributo nell’esecuzione esterna della pena”. Manzione ritiene inoltre che ci sia “una violazione palese della convenzione europea dei diritti dell’uomo, che ci costerà molto. Anche in termini economici. Ogni sentenza di condanna della corta si accompagnerà infatti a un risarcimento che lo Stato italiano dovrà pagare”. Per questo il volontariato e tutto il terzo settore si pone l’obiettivo di favorire l’accoglienza, ridurre i flussi in entrata nelle carceri e incrementare le possibilità di uscita grazie all’estensione dei percorsi penitenziari che non si esauriscono all’interno delle mura carcerarie. Proposte e gridi d’allarme sono emersi nel corso del primo appuntamento sul tema delle carceri organizzato dopo la recente approvazione del decreto Cancellieri (il numero 78 del primo luglio 2013). Il tavolo di confronto promosso dal Centro Nazionale per il Volontariato e Seac in collaborazione con la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, dal titolo “Carcere, gestire l’alternativa. Istituzioni e terzo settore a confronto”, si è svolto questa mattina a Roma. Un laboratorio cui hanno partecipato oltre cinquanta realtà di settore provenienti da tutta Italia, ognuna delle quali ha condiviso idee ed esperienze. “Il carcere è un tema che si cala nell’attualità. E intervenire in questo momento così critico per il paese significa compiere una scelta di civiltà” spiega Edoardo Patriarca, presidente del Cnv e parlamentare Pd. “Desideriamo progettare, organizzare e coordinare uno spazio comune d’intervento per favorire e sostenere l’inserimento lavorativo. Lo dobbiamo fare con la partecipazione e il sostegno di tutta la società civile, a partire dal volontariato e da tutto il terzo settore. Lo possiamo fare solo coinvolgendo anche gli enti locali, le istituzioni e l’amministrazione penitenziaria. Per questo abbiamo iniziato a elaborare una piattaforma e un metodo condiviso. Ed è anche importante conoscersi. Per questo daremo il via a un monitoraggio delle realtà di settore per conoscere i collegamenti coi territori e per individuare le potenzialità di espansione e i rapporti con la comunità locale. È quanto mai necessario offrire risposte concrete, senza poi trascurare il rapporto col Governo e con le pubbliche amministrazioni”. Elisabetta Laganà, presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, chiede inoltre un patto per l’integrazione sociale e un piano nazionale straordinario di dismissione. Critica inoltre l’assenza del volontariato all’interno delle commissioni ministeriali. “Non siamo stati invitati”, dice la Laganà. “Tutti sanno che le esperienze esterne riducono la recidiva. Purtroppo queste esperienze stanno scomparendo. È quindi importante dar voce a tutte le realtà del terzo settore, il cui valore è insostituibile”. La prima risposta arriva proprio dal sottosegretario del Ministero alla giustizia, Cosimo Maria Ferri: “Sulla presenza del volontariato nelle commissioni, oggi stesso parlerò col ministro Cancellieri perché si possa trovare subito una soluzione. Lo Stato, del resto, deve dare risposte precise. E dobbiamo ringraziare il volontariato, che ci aiuta a rendere il paese migliore e più sicuro. Purtroppo a volte la politica è debole di fronte a questi problemi”. Positivo il commento del presidente Cnv. “L’apertura del sottosegretario Ferri è un segnale positivo” commenta Patriarca. “E un segnale positivo di questo gruppo di lavoro è di aver ottenuto il primo risultato concreto”. Le critiche non hanno risparmiato neppure la conversione in legge del decreto Cancellieri, che secondo il responsabile dell’ufficio ispettivo Dap Francesco Cascini “ha peggiorato le cose. Per venticinquemila detenuti - aggiunge - esistono condizioni di vita inaccettabili. Quindi c’è molto da fare, sia sul piano dei diritti sia per il reinserimento. Sarebbe sufficiente applicare le norme esistenti, che nel mondo penitenziario sembrano però ignorate da anni. Il nostro compito è quindi quello di cambiare il sistema penitenziario”. Nel corso dell’incontro, cui hanno partecipato anche il portavoce del Forum terzo settore Pietro Barbieri e il presidente di CSVnet Stefano Tabò, sono stati definiti alcuni obiettivi: oltre a favorire l’accoglienza e la difesa dei diritti dei detenuti, le realtà di terzo settore sono decise a sollecitare gli interventi della politica affinché siano sostenute le pene di pubblica utilità; è stato inoltre definito l’avvio di un progetto di ricerca da svolgere in collaborazione con la Fondazione Volontariato e Partecipazione. Questo gruppo esteso di lavoro s’incontrerà di nuovo a novembre, mentre i risultati dell’indagine, che partirà in autunno, saranno presentati nel corso del Festival del volontariato in programma a Lucca nell’aprile 2014. “Quello che si è appena avviato è un percorso importante, capace di potenziare affinché si possano raggiungere insieme le giuste soluzioni”, commenta in chiusura la presidente del Seac Luisa Prodi. Giustizia: la crisi non si chiama Berlusconi, ma lui è principale impedimento a risolverla di Giovanni Valentini Gazzetta del Mezzogiorno, 25 luglio 2013 Tra le tante crisi che affliggono oggi il nostro Paese - istituzionale, politica, economica e sociale - c’è anche una crisi specifica della Giustizia da affrontare e risolvere? Certo che esiste e da tempo. Ma non si chiama Silvio Berlusconi; non riguarda soltanto lui bensì tutti i cittadini italiani che hanno o possono avere problemi giudiziari: e non solo di ordine penale, quanto civile, amministrativo o del lavoro. La crisi della Giustizia non è meno grave delle altre. E anzi, s’intreccia con quella politica, economica e sociale, perché influisce sul loro corso e ne condiziona il superamento. In questo senso, si può dire che Berlusconi non è “vittima della Giustizia”, come spesso lui e i suoi sodali lamentano, ma piuttosto costituisce l’impedimento principale alla ricerca di una soluzione, nella misura in cui la sua figura s’identifica con questa crisi e le sue vicende giudiziarie coincidono con essa. In attesa della fatidica data del 30 luglio, quando la Cassazione dovrà decidere definitivamente sulle due sentenze che hanno già condannato l’ex presidente del Consiglio a quattro anni di reclusione e a cinque di interdizione dai pubblici uffici per frode fiscale, converrà dunque fissare - come si suol dire - alcuni “paletti”, ribadire cioè alcuni punti fermi che rischiano di essere travolti e confusi dallo tsunami delle polemiche politiche. E il primo riguarda senz’altro quella divisione dei poteri - legislativo, esecutivo e giudiziario - che dai tempi di Montesquieu appartiene alla civiltà del diritto. Nel ventennio berlusconiano, troppe volte abbiamo già assistito a uno stravolgimento di questo principio da parte di Berlusconi e del suo partito, a colpi di provvedimenti “ad personam” (vedi Cirielli), lodi Alfano o Schifani, legittimi o illegittimi impedimenti, per non ricordare ora che “la legge è uguale per tutti”. Si può ben dire perciò che Berlusconi non è “perseguitato” dalla Giustizia -come lui stesso sostiene, con il supporto dei suoi avvocati parlamentari e di molti suoi seguaci - perché è entrato in politica; ma al contrario è entrato in politica per non essere “perseguito” dalla Giustizia, per sottrarsi alle imputazioni della magistratura e non rispondere delle accuse che gli sono state addebitate. Tant’è che in tutti questi anni ha usato sovente il proprio potere per cambiare in corsa le regole, per introdurre modifiche normative o procedurali che hanno accorciato i tempi di prescrizione o addirittura abrogato alcuni reati, come il falso in bilancio che notoriamente è uno degli strumenti principali per praticare la corruzione. In definitiva, quindi, l’unica vera domanda a cui bisogna rispondere caso per caso è se Berlusconi è colpevole o innocente. Ai cittadini che hanno a cuore la legalità non interessa tanto sapere se la magistratura ha preso di mira il Cavaliere, quanto piuttosto se il Cavaliere ha violato o meno il codice penale. E comunque, come mi ha scritto di recente su Twitter un lettore, “forse non è democraticamente giusto eliminare un concorrente politico per via giudiziaria, ma lo sarebbe impedire per via politica la condanna di un colpevole?”. Questo è l’interrogativo che ciascuno di noi deve porsi in coscienza. Poi resta, intatta, la crisi della giustizia: penale, civile, amministrativa, del lavoro. Una crisi che purtroppo dura da molti anni, compromettendo - insieme alla vita democratica - anche quella sociale ed economica del nostro Paese: la certezza del diritto è innanzitutto tempestività del giudizio. Si tratta di un disservizio pubblico prodotto da diverse cause organizzative, strutturali e anche culturali, vale a dire di cultura giuridica. Quanto alle disfunzioni del sistema, lasciamo pure la parola agli addetti ai lavori e agli esperti. Sulle cause di fondo, invece, per quanto riguarda la giustizia penale si può concentrare il discorso su due punti fondamentali: la parità delle parti e la cosiddetta “terzietà” del giudice. Non è un mistero per nessuno che oggi né l’una né l’altra sono pienamente garantite nella nostra realtà processuale e perciò occorre provvedere nell’interesse generale. Senza mitizzare le soluzioni a fini di propaganda politica, quasi fossero di per sé taumaturgiche, bisogna riconoscere tuttavia che sia la separazione delle carriere sia la responsabilità civile dei magistrati corrispondono a due esigenze da soddisfare. A condizione, beninteso, di non delegittimare la funzione giudiziaria, di non mortificarne l’autonomia e l’indipendenza, di non sottomettere la magistratura al potere politico proprio in nome di quella “divisione” predicata da Montesquieu. La separazione delle carriere, fra magistrati inquirenti e giudicanti, è la garanzia minima della parità fra accusa e difesa e quindi della “terzietà” del giudice: non solo di quello finale che emette il verdetto, ma anche dei giudici intermedi (gip e gup) davanti ai quali si forma già il processo. Quanto alla responsabilità civile del magistrato che sbaglia, per colpa o per dolo, non si vede perché non si debbano applicare a questa rispettabile categoria di dipendenti dello Stato gli stessi criteri che valgono per tutti gli altri, pubblici o privati. Tanto più che anche quando i magistrati commettono dolosamente un errore giudiziario, e purtroppo in diversi casi è accaduto, alla fine a pagare è il Ministero di Grazia e Giustizia, vale a dire tutti noi cittadini e contribuenti. La verità dunque è che fino a quando il Cavaliere resterà sulla scena politica, con tutto il suo carico di accuse e di processi, questa crisi non si potrà affrontare liberamente né tantomeno risolvere. Qualsiasi ipotesi o proposta sarà inficiata dalla commistione dei poteri che lui incarna. E la “persecuzione” di cui Berlusconi si lamenta continuerà a costituire una cortina fumogena, impedendo di affrontare i problemi reali dei cittadini comuni di fronte alla legge. Giustizia: il Senato approva e peggiora provvedimento “svuota carceri” della Cancellieri di Andrea Colombo Il Manifesto, 25 luglio 2013 Il decreto sulle carceri è passato al Senato. Non è lo stesso testo che il governo aveva inviato. I senatori lo hanno peggiorato e neanche poco, però l’anima del provvedimento per ora è salva. Sempre che la camera non danneggi ulteriormente. La scelta positiva di fondo è quella di intervenire non “in uscita”, con qualche misura svuota-carceri che sarebbe comunque necessaria, ma “in entrata”, sostituendo per i reati di non forte allarme sociale il carcere con i domiciliari e le misure alternative alla detenzione. Il Senato ha però messo paletti robusti: ha inserito tra i reati che precludono i domiciliari, con l’incendio doloso e le violenze in famiglia, anche il furto aggravato. In secondo luogo ha salvato una parte della legge ex Cirielli, quella che salvava dal carcere gli incensurati ma vietava le misure alternative, i permessi e i domiciliari ai recidivi. Come ha detto in aula De Cristofaro (Sel) era “garantista con i garantiti e giustizialista con i socialmente giustiziati”. Tra le leggi che in pochi anni hanno aumentato di un terzo la popolazione carceraria (da 40 a oltre 60mila detenuti) e provocato la censura europea, con annessa minaccia di sanzioni, la ex Cirielli figura in testa alla classifica. Il governo l’aveva cancellata. Il Senato l’ha parzialmente ripristinata: quando cioè la recidiva si realizza nell’arco di cinque anni, restano i divieti della ex Cirielli. A vuoto, inoltre, il tentativo di limitare i danni di un’altra legge criminogena, la Fini-Giovanardi sugli stupefacenti. Il senatore Pd Casson aveva proposto un emendamento che escludeva la carcerazione per i tossicodipendenti che stiano seguendo percorsi di riabilitazione. Niente da fare. Il Pdl ha fatto muro e la Fini-Giovanardi è rimasta intatta. Non resteranno invece intatti gli agenti penitenziari. Dal decreto è infatti saltata la norma che aumentava la tassa sulle sigarette elettroniche per raggranellare i 35 milioni necessari a salvare i dipendenti dell’amministrazione penitenziaria. In definitiva, si è registrata ieri la difficoltà, forse l’impossibilità, di modificare strutturalmente le leggi criminogene con una maggioranza che conta al suo interno chi quelle leggi le ha volute. Tanto più che il Pdl è incalzato da un Lega agguerrita, che ha combattuto emendamento per emendamento (spesso con l’appoggio del M5S), ha ottenuto cospicui risultati peggiorativi e alla fine ha ugualmente inscenato la sua manifestazione a uso degli elettori amanti della forca tirando fuori a ripetizione, durante le dichiarazioni di voto, cartelli del tipo: “Donne attente, escono gli stalker”. Grazioso. In materia di giustizia, le carceri non sono state l’unica voce a tenere banco ieri a palazzo Madama. La commissione Giustizia avrebbe dovuto approvare in via deliberante, cioè definitiva, la nuova legge sul voto di scambio. La Camera aveva però modificato il testo sostituendo la “promessa” di voti in cambio di favori con il “procacciamento” degli stessi e specificando che la vendita dei voti doveva avvenire “consapevolmente”. Parolette che, secondo i pm e Roberto Saviano, capovolgono il senso della legge rendendo quasi impossibili le indagini. Tutto rinviato a lunedì prossimo, con il Pd deciso a ripristinare la formula originaria. Sempre che il Pdl sia d’accordo. Al momento non lo è. Giustizia: il passo indietro sui recidivi ridimensiona l’impatto sull’affollamento di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 25 luglio 2013 Decreto “svuota carceri”, sì del Senato al testo del Governo. Finanziamento illecito ai partiti, cancellato il carcere preventivo: un emendamento porta da 4 a 5 anni il tetto per la custodia cautelare. Niente più carcere preventivo per il finanziamento illecito ai partiti e per tutti i reati puniti con una pena massima inferiore a 5 anni Lo ha deciso ieri l’Aula del Senato, alzando da 4 a 5 anni il tetto al di sotto del quale non potrà più scattare la custodia cautelare in carcere. E tra i (pochi) reati sottratti alle manette ci sono anche alcuni falsi nonché l’illecito finanziamento ai partiti. L’emendamento è stato votato all’unanimità e inserito nel ddl di conversione del decreto “svuota carceri”, peraltro letteralmente “svuotato” della sua parte più significativa, quella che cancellava le preclusioni introdotte nel 2005 con la legge ex Cirielli nei confronti dei recidivi, dì nuovo esclusi, quindi, da qualunque beneficio e misura alternativa (detenzione domiciliare, affidamento in prova al servizio sociale, permessi premio) nonché dalla possibilità di ottenere la sospensione dell’esecuzione della condanna. È dunque un decreto svuotato quello approvato ieri dal Senato con 206 sì e 59 no, che ora passa alla Camera con l’obiettivo di essere licenziato prima della pausa estiva, cioè entro il 10 agosto. Uno svuotamento che, oltre a contraddire lo spirito del provvedimento voluto dal governo, avrà anche effetti surreali: i recidivi che in base al decreto legge hanno già ottenuto (o li otterranno nei 60 giorni della conversione in legge) benefici e misure alternative, rischiano dì vederseli revocare e di tornare in carcere sulla base della diversa legge di conversione. Una schizofrenia legislativa difficile da spiegare se non con i timori del governo di essere sconfessato dalla sua stessa maggioranza, incapace di portare avanti con coerenza la battaglia di civiltà per il carcere (che va ben al dì là dell’emergenza sovraffollamento) e di opporsi con determinazione a chi - Lega, M5S - cavalca un distorto concetto di “certezza della pena” per conquistare consenso popolare. Non senza contraddizioni: i grill ini, da un lato firmano appelli contro l’emergenza carcere che prevedono anche il superamento delle preclusioni contenute nella ex Cirielli e, dall’altro, in Parlamento votano per mantenere quella legge carcerogena. Il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri fa buon viso a cattiva sorte. “Sono contenta perché abbiamo portato a casa un primo risultato, dopo alcuni cambiamenti che sì erano rivelati necessari” dice uscendo da Palazzo Madama Ma al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria prevale sconforto e delusione per questo passo indietro del Senato, che di fatto azzera l’effetto decongestionamento, stimato prudenzialmente dal ministro, al momento del varo del dl, in 6mila persone, quasi tutte recidive (le uniche, nella realtà, che vanno in carcere). Quanto basta per rafforzare la richiesta di amnistia e indulto, tanto più che ad agosto le carceri si trasformeranno in inferno. E forse è questo l’obiettivo vero del Parlamento, sebbene la clemenza non appartenga al novero delle misure “strutturali” che la Corte dei diritti dell’uomo ci ha imposto di adottare entro maggio 2014, dopo la nota condanna dell’Italia per trattamenti inumani e degradanti (a Strasburgo già pendono circa 5mila ricorsi di detenuti, ma il numero è in aumento). Ciò nonostante, la maggioranza valuta il voto di ieri come un “passo avanti coraggioso” e preannuncia che, in occasione dell’esame del ddl sulla messa alla prova, andrà avanti su questa strada, soprattutto per limitare ancora il ricorso alla custodia cautelare. Giustizia: corsa a ostacoli su carceri e tribunalini… non cancellate i passi avanti Il Sole 24 Ore, 25 luglio 2013 Il decreto “svuota-carceri” non ha fatto neanche in tempo a compiere un mese di vita che già è stato “svuotato” dal Senato. E la riforma della geografia giudiziaria è stata appena legittimata dalla Corte costituzionale che già il Senato si avvia a rinviarla. Paradossi italiani, di una politica incapace di produrre “politiche” serie, razionali e coerenti. Eppure era proprio sul terreno delle “politiche” che il premier Enrico Letta aveva chiesto di giudicare l’operato del suo governo di “scopo”. Oggi, di fronte a una maggioranza che procede in modo disordinato e sciatto, continuando a cavalcare il populismo e la paura invece della responsabilità, il governo sembra intimorito e aver perduto la bussola. Le battaglie dì civiltà, come quella per un carcere sensato che sia “fabbrica di libertà” e non di criminalità, richiedono impegno e determinazione soprattutto sul piano culturale, prima che su quello delle norme. Se non c’è condivisione culturale, le “politiche” diventano schizofreniche e ingannatorie. Chi assimila alla libertà le misure alternative al carcere dice il falso e così chi paventa criminali a piede libero, persino nei casi di stupri di gruppo. Questa torsione della realtà imporrebbe una “tolleranza zero”. Lo stesso dicasi per chi continua a rappresentare, irresponsabilmente, la nuova geografia giudiziaria come un arretramento dello Stato di fronte alla legalità e alla criminalità mafiosa, ignorando persino quanto affermala Corte costituzionale. La giustizia ha bisogno di parole nuove e leali per produrre “politiche” serie, di crescita culturale, economica e civile. Il governo deve (ri) trovarle. E non solo perché ce lo chiede l’Europa. Giustizia: ok del Senato al decreto “svuota carceri”, assumere detenuti conviene di più di Beatrice Migliorini Italia Oggi, 25 luglio 2013 Il decreto svuota carceri (78/2013) approda alla camera per la seconda lettura e fa spazio alle detrazioni fiscali. È stato, infatti, approvato ieri in aula al senato, prima del via libera al decreto, l’emendamento che prevede la possibilità per le imprese di usufruire di un credito di imposta dal valore variabile in caso di assunzione, per un periodo non inferiore a 30 giorni, di detenuti o soggetti internati ammessi al lavoro esterno o di detenuti semiliberi provenienti da detenzione o che abbiano beneficiato di misure alternative. Esito favorevole ha poi avuto anche la votazione sull’emendamento proposto dal governo in base al quale il commissario straordinario per le infrastrutture carcerarie, oltre ad atti di cessione e permuta degli immobili, potrà anche costituire diritti reali a favore di terzi sugli immobili. L’emendamento sul credito d’imposta, a firma del relatore Nico D’Ascola (Pdl), nel dettaglio prevede l’inserimento, all’interno del decreto, dell’art. 3-bis composto di 3 commi. l primo di questi è stabilita la possibilità per le imprese che danno occupazione a soggetti detenuti o internati ammessi al lavoro esterno, di usufruire di un credito di imposta di 700 euro mensili per ogni lavoratore assunto, mentre, al secondo comma, è stabilita la possibilità per le imprese che assumono detenuti semi liberi provenienti dalla detenzione, di usufruire di un credito d’imposta mensile nella misura massima di 350 euro per ogni lavoratore. Giustizia: “svuota-carceri” è ok dal Senato, ma niente benefici per i recidivi specifici di Anna Rita Rapetta La Sicilia, 25 luglio 2013 Niente anticipo della tassa sulle sigarette elettroniche a settembre. La norma contenuta nel cosiddetto svuota carceri è stata eliminata in zona cesarini dal testo approvato ieri dal Senato con 206 sì e 59 no. La palla ora passa all’Aula di Montecitorio, dove non sono escluse ulteriori limature. Secondo la proposta di modifica, approvata la scorsa settimana dalla commissione Giustizia di Palazzo Madama, le e-cig, tassate come i tabacchi al 58,5%, avrebbero dovuto portare nelle casse dello Stato i 35 milioni di euro necessari per evitare il taglio del personale carcerario. La notizia della tassazione aveva scatenato le proteste dei rivenditori e dell’Anafe (Associazione nazionale fumo elettronico) che hanno dato vita a un sit-in davanti a Montecitorio. Il relatore D’Ascola, ieri, ha ritirato la proposta di tassazione e con esse la garanzia che non ci saranno tagli alla polizia penitenziaria. Il testo che esce dal Senato, recepisce le modifiche approvate in commissione Giustizia: viene ripristinata la misura che prevede la detenzione domiciliare per i recidivi solo se la pena inflitta non supera i tre anni. Resta la modifica introdotta dall’emendamento di Gal che fa scattare la custodia cautelare in carcere per i delitti per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, e non quattro come prevede la norma vigente. I permessi premio per i minori si allungano: non potranno superare i 30 giorni (attualmente il limite è di 20 giorni), per un massimo complessivo di 100 giorni (finora 60). “Sono contenta, perché abbiamo portato a casa un primo risultato, dopo alcuni cambiamenti che si erano rivelati necessari”, commenta il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, lasciando il Senato dove la Lega Nord ha protestato con una serie di cartelli. “No delinquenti per strada”, “Certezza della pena”, “Polizia e carabinieri beffati”, “Polizia arresta, governo assolve”, “Donne, attenzione: escono gli stalker”. Dai banchi del Carroccio si levano grida contro il Guardasigilli. “Vergogna ministro”, urla il senatore Jonny Crosio mentre i commessi cercano di riportare l’ordine in Aula. “Alla fine si è trovata la quadra del cerchio”, taglia corto il ministro parlando con i cronisti. E Giuseppe Lumia, capogruppo del Pd in commissione Giustizia, assicura: “La detenzione domiciliare esclude i reati gravi, con in testa i reati di mafia e 41bis. Non c’è quindi alcun cedimento sul nostro sistema di sicurezza escludendo anche reati come quelli per gli incendi boschivi, i furti aggravati, i maltrattamenti sui minori e i recidivi gravi”. “Si apre una strada nuova. Siamo appena all’inizio - conclude. Altri passi dovremo fare e la strada sarà lunga, ma è un primo passo da apprezzare e valorizzare”. Anche il Pdl considera l’approvazione dello svuota carceri solo un primo passo, nella speranza che si arrivi a un’amnistia, che all’occorrenza potrebbe essere utile pure al Cavaliere. “Non sarebbe una scelta perdonistica, ma un atto di umanità verso chi ogni giorno è costretto a sopravvivere in condizioni riconosciute vergognose anche dall’Ue”, afferma il vicepresidente dei senatori del Pdl, Giuseppe Esposito, vicepresidente del Copasir. Ipotesi subito stoppata da Edmondo Cirielli, deputato di Fratelli d’Italia, che si dice stupito dalla soluzione prospettata da un esponente del Pdl visto che “il centrodestra in campagna elettorale ha promesso più sicurezza per l’Italia e non certamente nuovi indulti o amnistie”. “L’amnistia - aggiunge - non può e non deve essere la soluzione. L’emergenza si affronta con riforme strutturali. Svuotare semplicemente le carceri è inutile e non si tutela la società”. Giustizia: decreto-carceri approvato dal Senato, commenti di esponenti politici Ristretti Orizzonti, 25 luglio 2013 Cancellieri: contenta di questo primo risultato “Sono contenta, perché abbiamo portato a casa un primo risultato, dopo alcuni cambiamenti che si erano rivelati necessari”. Lo afferma il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, lasciando il Senato dopo il voto favorevole al ddl sull’esecuzione della pena, che ora passa all’esame della Camera. Alla domanda sulle tensioni che comunque si sono registrate nella maggioranza, il ministro ha replicato: “Alla fine, come si suol dire, si è trovata la quadra del cerchio. Insomma, s’è fatto...”. Favi e Leva (Pd): bene decreto, adesso niente passi falsi "Il decreto legge sul carcere approvato ieri in prima lettura dal Senato, è da considerasi come un primo intervento legislativo per realizzare una strategia complessiva che faccia ridurre la bulimia di carcere che ha percorso gli anni passati". Lo hanno dichiarato Sandro Favi, Responsabile Nazionale Carceri del PD e di Danilo Leva, Presidente Forum Giustizia del PD. "Il PD è preoccupato di alcuni rigurgiti di quella filosofia che si sono manifestati nel corso dell’esame parlamentare, e che ha portato a legiferare ingiustificati inasprimenti della vita detentiva e a varare leggi sbagliate come la ex Cirielli e la Fini-Giovanardi. Ci auguriamo che i prossimi provvedimenti del Governo possano anche recuperare la nostra proposta avanzata in Senato affinché l’Amministrazione Penitenziaria disponga di tutto il personale necessario ad una coerente politica penitenziaria incentrata sulla rieducazione dei condannati e sulle misure alternative al carcere”. Barani (Gal): sì al decreto ma ragionare su indulto e amnistia “Dinanzi alla emergenziale situazione in cui versano i penitenziari italiani e quindi i detenuti, costretti in celle sovraffollate e fatiscenti, il provvedimento approvato questa mattina in Senato rappresenta una scelta di civiltà e di garanzia dei diritti dei carcerati”. Così il senatore del gruppo Grandi Autonomie e Libertà Lucio Barani commenta l’approvazione da parte dell’Aula di Palazzo Madama del decreto sull’esecuzione della pena, cosiddetto svuota carceri. In particolare, spiega Barani, “sono soddisfatto per alcune modifiche apportate al testo da miei emendamenti che intervengono a limitare l’istituto della carcerazione preventiva, ad ampliare il numero di enti presso i quali i detenuti possono essere assegnati per svolgere attività lavorative a titolo gratuito e ad aumentare il numero di permessi per i minori in carcere”. “Con l’approvazione di un ordine del giorno a mia prima firma - prosegue il senatore di Grandi Autonomie e Libertà - si è poi impegnato il governo a mettere in campo iniziative volte a intervenire nei confronti di quanti dispongano o consentano la reclusione in penitenziari non conformi alla legge e nei quali, per inidoneità strutturali e igienico-sanitarie, non sia possibile un’effettiva riabilitazione e rieducazione dei detenuti, come invece previsto dalla Costituzione. Si tratta di misure importanti - conclude Barani - che mettono lo Stato ed i suoi funzionari e dipendenti, anche quelli che non pagano mai per gli errori commessi dinanzi alle proprie responsabilità”. Moretti (Ugl), bene approvazione decreto, ma preoccupati per scomparsa tassa e-cig “Prendiamo atto dell’approvazione al Senato del Ddl svuota carceri, ma esprimiamo forti preoccupazioni sulla scomparsa della tassa sulle sigarette elettroniche, una norma che evitava il taglio del personale carcerario”. Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, spiegando come “allo stato attuale, il carico di lavoro sull’organico della polizia penitenziaria sia di un’enorme portata, e una mancata copertura del turn-over metterebbe in ginocchio il sistema operativo del comparto”. “Siamo favorevoli - aggiunge Moretti - ad una modifica del modello di gestione detentiva ma esigiamo certezze per quanto riguarda le necessarie dotazioni di organico volte all’apertura di nuove strutture penitenziarie. Per questo motivo - conclude - al Ministro Cancellieri, che incontreremo il 31 luglio, chiederemo in particolare l’apertura di un tavolo tecnico per la verifica delle necessità organiche volte al buon funzionamento di tali strutture, oltre ad una garanzia di mantenimento degli importanti compiti istituzionali svolti sul recupero e il reinserimento del reo nella società dal personale di polizia penitenziaria”. Marroni (Pd): cambiare procedure per detenuti rientranti in Italia Gli italiani detenuti all’estero posso chiedere di rientrare in Italia per scontare la pena. Una volta avvenuto il trasferimento, i detenuti possono accedere alle misure alternative al carcere, previo invio di una relazione da parte dell’istituto di pena straniero attestante la condotta durante la carcerazione. In un’interrogazione al Ministro della Giustizia e al Ministro degli Affari Esteri, Umberto Marroni chiede di avviare una nuova procedura che preveda l’invio di una relazione sulla condotta carceraria del condannato contestualmente al suo trasferimento, in modo da ridurre il numero ed il costo degli adempimenti oltre che il disagio per la popolazione detenuta. Giustizia: a proposito di suicidi in carcere Lucia Brischetto La Sicilia, 25 luglio 2013 Premesso che il suicidio è una fatto “unico” e che nessuno potrà mai spiegare perché una persona decide di togliersi la vita specie quando si trova in stato di detenzione e che le cause dei suicidi sono tante, c’è da riflettere sul suicidio in stato di detenzione. Riflessione e disquisizione scientifica che ha fatto nei giorni scorsi anche la neolaureata alla specialistica Vanessa Maria Vinci all’Università di Catania dopo anni di tirocinio e studio in un Istituto penitenziario. Il suicidio in carcere è spesso la causa più frequente della morte della popolazione detenuta. Gli studiosi della delicata materia Caglio e Piotti asseriscono che il suicidio del detenuto rappresenta “un atto di fuga”. Questo luttuoso evento pone l’istituzione penitenziaria di fronte alla propria impotenza perché il detenuto è titolare solo della sua vita e pertanto mette in atto il gesto auto soppressivo per liberarsi dallo status di recluso. Asseriscono gli esperti che questi suicidi rappresentano una forma disperata e violenta di comunicazione. Non trascorre giorno senza che si registri il preoccupante aumento dei tassi di suicidio negli “inferni” dei nostri luoghi di detenzione. La depressione e il suicidio contemperano l’abbandono di ogni speranza. Asserisce la scienza che ogni suicidio è “unico” e nessuno potrà mai spiegare fino in fondo perché una persona decide di togliersi la vita. Riferiscono gli esperti che il suicidio rappresenta “una uscita attraverso la morte, il tentativo di tornare ad uno stato di normalità, un atto patologico di rigenerazione”. Il suicidio in carcere pone l’istituzione di fronte alla propria impotenza. Il detenuto è titolare soltanto della propria vita, pertanto col gesto auto soppressivo vuole riaffermare se stesso come essere umano. I suicidi in carcere rappresentano una forma disperata e violenta di comunicazione che non ha trovato risposta istituzionale. Accade anche che il suicidio esprima un significato dimostrativo, infatti il recluso vedendosi dimenticato dalle istituzioni, dalla società civile e spesso anche dalla famiglia, decide di porre in essere la propria morte per suscitare senso di colpa negli altri. Da qui i suicidi ribelli con significato di vendetta ed estroversione dell’aggressività e i suicidi rinunciatari con significato di fuga ed introversione. Il detenuto prende coscienza del crimine consumato facendo assumere al suicidio il significato di espiazione della colpa con relativo castigo. Durante la detenzione, la personalità del soggetto subisce una “disorganizzazione” rilevante in quanto il soggetto è privato di tutti gli status che avevano caratterizzato la sua vita all’esterno. Il Comitato Nazionale per la Bioetica, ha chiesto al Ministero della Giustizia di elaborare un piano di azione nazionale per la prevenzione dei suicidi in carcere, attraverso azioni dirette non tanto alla selezione dei soggetti a rischio, quanto al tempestivo riconoscimento e intervento su tutti i soggetti a rischio. E c’è da tenere in grande considerazione il fatto che l’impatto con il carcere nei primi periodi di detenzione e il sovraffollamento senza un servizio immediato e permanente di ascolto, rendono difficile assicurare interventi efficaci ed immediati. Sull’emergenza carceri è intervenuto anche il Presidente della Repubblica dichiarando che il tasso dei suicidi è altissimo e che la qualità della vita è indegna di un paese civile: oltre 68mila detenuti rinchiusi in edifici destinati a non più di 45milapersone. Pertanto fra i compiti dell’amministrazione penitenziaria rientra anche quello di “contenere il disagio esistenziale dei soggetti privati dalla libertà personale e di prevenire il compimento di atti auto aggressivi”. Lettere: il vero carcere come lo conosco io di Ludovico Gay La Repubblica, 25 luglio 2013 Premesso che ho trascorso 120 giorni a Regina Coeli aspettando la Corte di Cassazione che affermasse che non c’erano i presupposti per un mio arresto, premesso questo particolare, vorrei che fosse noto all’onorevole Boldrini che in tutto il periodo, per altro recente, non ho mai visto una delle persone presenti alla sua visita. Nelle foto le divise che indossano per l’occasione sono diverse. Non ho mai visto, pur avendone cambiate parecchie e adocchiate altrettante, una cella così pulita come quella pubblicata su Repubblica. E non credo di essere io quello a cui è stato mostrato un carcere diverso da quello reale. Questo per puntualizzare lo stato della custodia cautelare. Marche: diritto allo studio ed a rapporti affettivi stabili per i figli di genitori detenuti Agenparl, 25 luglio 2013 L’on. Piergiorgio Carrescia ha presentato, come primo firmatario, una Mozione sottoscritta da oltre quaranta parlamentari di quasi tutti i partiti, per impegnare il Governo ad intervenire per garantire il diritto allo studio ed a rapporti affettivi stabili per i figli di genitori detenuti nelle nostre carceri. È una situazione che sfugge ai più ma che riguarda, in Italia, circa 100.000 minori, una popolazione minorile molto vulnerabile anche in considerazione delle conseguenze che la detenzione di un genitore porta nella loro vita sono il “lato oscuro del male e del sistema penale”. Anche se nel nostro ordinamento penitenziario, tra gli elementi del trattamento, sono inseriti i rapporti affettivi stabili con i familiari e siano previste “sale colloqui” per favorire l’incontro con i minori, in realtà l’organizzazione penitenziaria è tale che le “colpe dei padri ricadono sui figli” che sono pesantemente penalizzati nel diritto allo studio e nelle relazioni con i congiunti detenuti. Nella Regione Marche, segnala l’on. Carrescia, dei circa 400-500 minori figli dei detenuti solo alcuni riescono nel corso dell’anno scolastico ad avere un colloquio con proprio padre o con propria madre senza perdere giorni e giorni di scuola a causa degli orari d’accesso ai penitenziari che coincidono con l’orario scolastico. Non si tiene in sostanza conto del dovere del minore all’istruzione. Sarebbe invece sufficiente individuare orari destinati ai colloqui in carcere accessibili ai minori figli di detenuti garantendo, come già avviene in alcune strutture, che le visite avvengano anche di domenica. L’estensione dei colloqui nei giorni festivi rappresenterebbe un momento di ripresa reale dei rapporti con i propri figli. Non occorrono spese: serve solo una maggiore attenzione alle esigenze dei minori e una maggiore flessibilità organizzativa. La Mozione dell’on. Carrescia e degli altri firmatari impegna il Governo a dare immediate disposizioni affinché sia garantita in tutti gli Istituti penitenziari sia un’idonea logistica per gli incontri fra genitori e figli sia l’estensione dei colloqui nei giorni festivi al fine di garantire il diritto allo studio dei ragazzi che frequentano la Scuola di ogni ordine e grado. Sardegna: stop arrivo mafiosi nelle carceri sarde, Capelli presenta una proposta di legge L’Unione Sarda, 25 luglio 2013 Il deputato del Centro Democratico, Roberto Capelli, ha presentato in Parlamento una proposta di legge per fermare il trasferimento nelle carceri della Sardegna dei boss mafiosi in regime di 41 bis. Contemporaneamente ha trasmesso la sua proposta a tutti i parlamentari sardi di ogni schieramento con l’invito a fare fronte comune “per evitare - spiega - che l’Isola e la sua economia vengano infiltrate come avvenuto in passato nel nord Italia, quando esisteva l’obbligo di confino”. “In Sardegna - argomenta Capelli - sono reclusi già 300 boss e quest’anno potrebbero arrivarne altri 189. Questo in virtù di una scelta del 2009, quando l’allora ministro dell’Interno della Lega Maroni inserì nella legge n. 94 l’inciso che i detenuti in regime di 41 bis dovevano essere mandati preferibilmente in aree insulari. La mia proposta, che raccoglie il grido di allarme dei sindaci, della società civile, dei magistrati, degli organi di stampa e, non ultimo, dell’avvocato Annamaria Busia che si è battuta per amplificare l’attenzione dei sardi sulla vicenda, cancella quell’inciso. Mi auguro - sottolinea il deputato - che non ci siano steccati a dividere i deputati e i senatori sardi di qualunque schieramento e che tutti insieme possiamo modificare la legge”. “L’auspicio - afferma l’avvocato Busia - è che la presa di coscienza sia unitaria per tutte le forze politiche. I nostri parlamentari, a prescindere dal colore politico, devono sentirsi in qualche maniera coinvolti su questo tema che è di interesse collettivo. Speriamo che per il bene dei sardi questi segnali possano arrivare sui tavoli delle decisioni importanti e modificare al più presto questa legge che penalizza già di per sé un sistema giudiziario e delle carceri isolane fin troppo bistrattato”. Calabria: Nicolò (Pdl); carenza di personale, situazione delle carceri merita attenzione Asca, 25 luglio 2013 “L’allarme lanciato dal sindacato autonomo di polizia penitenziaria, il Sappe, sulla situazione interna alle carceri calabresi merita l’attenzione adeguata dello Stato”. Lo afferma il Vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, Alessandro Nicolò (Pdl). “L’insufficienza degli organici rispetto alle necessità di sicurezza e per il numero della popolazione detenuta sta seriamente pregiudicando i compiti di istituto, stante la difficoltà per il personale di potere fruire di riposo e costretto a svolgere turni di lavoro massacranti. Le aperture di nuove strutture di detenzione, come Arghillà e Catanzaro, pur con tutti i lati positivi, stanno incrementando ulteriormente i sacrifici richiesti al personale di Polizia penitenziaria poiché nessun potenziamento di unità lavorative è stato previsto, con la conseguenza di acuire le difficoltà ormai quotidianamente denunciate dal Sappe. La Regione ieri, con la firma del protocollo d’intesa finalizzato all’apertura del Centro diagnostico di Catanzaro, ha dato prova di raccogliere efficacemente le indicazioni ed i bisogni che emergono da questo settore, ma è lo Stato e le politiche nazionali che devono imprimere la necessaria svolta. Occorrono - dice Nicolò - interventi settoriali mirati che prevedano, anzitutto, la possibilità di copertura totale del turn over ai fini di una costante stabilizzazione della dotazione di personale scongiurando così la perdita secca di servizi e di posti di lavoro. Anche in tempi di spending review - osserva Alessandro Nicolò - lo Stato deve scegliere le priorità di intervento e la sicurezza non è certamente materia di mediazione. Vi è da sottolineare - prosegue Nicolò - che in Calabria era stato avviato con risvolti positivi, un modo nuovo di affrontare le dinamiche di recupero dei detenuti, come dimostrato dall’esperienza del Luigi Daga di Laureana di Borrello. Un lavoro prezioso, sostenuto con lungimiranza dal Provveditorato regionale alle carceri, che aveva aperto le porte della speranza ai detenuti più giovani, fornendo loro assistenza formativa, con l’obiettivo, una volta espiata la pena, di potere accedere al mercato del lavoro con una efficace e spendibile specializzazione. Ieri il ministro Cancellieri ha ascoltato il comitato pro- carcere di Laureana di Borrello, di cui condivido le finalità e l’impegno, ma le questioni poste devono diventare patrimonio di tutta la deputazione calabrese per sensibilizzare non solo la politica nazionale ma le strutture burocratiche che hanno il compito di concretizzare gli indirizzi della politica e del Governo”. Roma: suicida un detenuto a Rebibbia, è il quarto nelle carceri del Lazio nel 2013 Il Velino, 25 luglio 2013 Si è tolto la vita tagliandosi la gola con una lametta all’interno della sua cella, nella sezione G8 del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso. È morto così, un detenuto italiano di 53 anni originario di Roma, Piero Bottini. La notizia è stata resa nota dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Quello di Piero è il quarto suicidio nelle carceri del Lazio nel 2013. Da gennaio ad oggi i decessi registrati negli istituti della regione sono stati 12: quattro suicidi, tre per malattia e quattro per cause ancora da accertare. In base alle statistiche, nove dei dodici decessi del 2013 si sono registrati a Rebibbia Nuovo Complesso. A quanto appreso dai collaboratori del Garante, Bottini era arrivato a Rebibbia N.C. a fine giugno, proveniente da un carcere toscano. Dopo aver passato gli ultimi nove anni in carcere, doveva ancora scontarne quattro. Dal momento del suo ingresso in carcere l’uomo, che era stato lasciato dalla moglie, era stato preso in carico dall’area educativa e segnalato a psicologa e psichiatra dal momento che manifestava segni di squilibrio e rifiutava la terapia che gli era stata assegnata. “Anche se occorrerà aspettare i risultati delle indagini avviate - ha detto il Garante Angiolo Marroni - credo si possa dire che quello di Piero è un dramma della disperazione e della solitudine. Dalle informazioni raccolte, quest’uomo era stato detenuto/attore a Sollicciano, ma sembra avesse passato un periodo della sua detenzione anche negli ospedali psichiatrici giudiziari di Aversa e Montelupo Fiorentino. La fine della sua vita tormentata deve essere, poi, inquadrata nel contesto di un carcere come quello di Rebibbia Nuovo Complesso, il più grande del Lazio, con un sovraffollamento del 46 per cento, senza un direttore a tempo pieno e dove si sono registrati ben nove decessi in soli sette mesi. Mi domando ancora una volta, anche per questo ennesimo dramma, se il carcere, per una persona così fragile e psicologicamente disagiata, fosse la soluzione migliore”. Nieri (Sel): in carcere suicidi 19 volte più frequenti che fuori “A pochi giorni dalla visita della presidente della Camera Laura Boldrini a Regina Coeli, che aveva richiamato l’attenzione mediatica sul sovraffollamento strutturale dei nostri istituti di pena, oggi apprendiamo che un detenuto di 53 anni si è tolto la vita a Rebibbia N.C., dove il sovraffollamento è arrivato al 46 per cento. Non è mai facile riuscire a cogliere in pieno il disagio di una persona che arriva a compiere un gesto così drammatico, ma è significativo ricordare che i suicidi commessi nelle carceri italiane hanno una frequenza circa 19 volte maggiore rispetto a quelli commessi dalle persone libere. I detenuti che si tolgono la vita, spesso, lo fanno negli istituti dove le condizioni di vita sono particolarmente difficili a causa del sovraffollamento, appunto, ma anche delle poche attività trattamentali e della scarsa presenza del volontariato”. È quanto dichiara il vicesindaco di Roma Capitale Luigi Nieri. “Si uccide chi conosce il proprio destino e ne teme l’ineluttabilità, ma anche chi soffre per una mancanza totale di prospettive. È evidente che episodi tragici come questo vanno scongiurati, prima di tutto, tutelando la dignità delle persone incarcerate e costruendo per loro un percorso di riabilitazione effettiva, per non togliere a una persona già privata della libertà personale, anche il rispetto di se stesso e la voglia di vivere. La pena, è scritto nella nostra Costituzione, deve avere funzioni rieducative: chi ha sbagliato deve avere l’occasione di riabilitarsi e reinserirsi nella società”. Nieri conclude: “La mia solidarietà alla famiglia e agli amici del nostro sfortunato concittadino”. Monza: dramma nel carcere, detenuto tenta il suicidio, ricoverato in prognosi riservata www.mbnews.it, 25 luglio 2013 Sarebbe un caso di tentato suicidio quello avvenuto oggi, 24 luglio, alle ore 13.30 circa, all’interno del carcere di Monza dove, un detenuto di 30anni di origine italiana, pluripregiudicato, si sarebbe inferto delle profonde ferite. Stando alle prime indiscrezioni pare che l’uomo, rinchiuso nella struttura di via San Quirico dal 13 luglio scorso per ricettazione, nel momento in cui ha deciso di farla finita si trovasse all’interno di una cella nella sezione di infermeria in via precauzionale. L’uomo si sarebbe inferto delle profonde ferite alla gola e al braccio con un’arma ancora da trovare. Pare che nei giorni scorsi il 30enne avesse più volte manifestato segni di squilibrio, tanto da rendere necessario il suo trasferimento in infermeria, dove chiuso in una cella è stato sottoposto a un regime di sorveglianza speciale. Immediati i soccorsi da parte degli uomini del 118 intervenuti sul posto con un’ambulanza e un’automedica. Le condizioni del carcerato sono apparse subito gravi ed è stato trasportato in codice rosso all’ospedale San Gerardo di Monza. Dopo essere stato sottoposto ad un delicato intervento chirurgico ora l’uomo, in prognosi riservata, non dovrebbe più essere in pericolo di vita. Palermo: Uil-Pa; in 40 scatti raccontato il degrado dell'ex "Grand Hotel Ucciardone" Adnkronos La denuncia di una delegazione Uilpa penitenziari sulle "condizioni detentive ai limiti dell'inciviltà e i luoghi di lavoro insicuri e insalubri" nella struttura siciliana, dove sono "ristretti 519 detenuti a fronte di una disponibilità di 242". La storia degradata e degradante dell'ex "Grand Hotel Ucciardone" immortalata in 40 scatti. A fotografare, ieri, alcune aree del penitenziario palermitano è stata una delegazione Uilpa penitenziari, per denunciarne le "condizioni detentive ai limiti dell'inciviltà e i luoghi di lavoro insicuri e insalubri". "Ad oggi - riferisce il sindacato degli agenti penitenziari - nelle quattro sezioni attive (su nove) dell'Ucciardone erano ristretti 519 detenuti a fronte di una disponibilità di 242 posti. E in Sicilia sono detenuti circa 7800 detenuti a fronte di una disponibilità di posti pari a poco più di 4.200". "La visita che il Presidente Boldrini ha effettuato qualche giorno fa a Regina Coeli trova la nostra piena approvazione - commenta in una nota Eugenio Sarno, segretario generale Uilpa - seppur nella consapevolezza che le rigide regole del protocollo prevedono che la visita sia preannunciata. Cio' determina, pero', un'alterazione del quadro delle realtà , che è ben peggiore di quella che il presidente Boldrini ha potuto certificare nella visita a percorso guidato. Auspichiamo, pertanto - aggiunge - che le varie autorità che intendano rendersi conto del livello insostenibile di degrado, inciviltà e inumanità che connota gran parte dei nostri penitenziari vadano a visitare i penitenziari senza alcun annuncio e preavviso; altrimenti si alimenta il dubbio che vogliano fare solo passerella". Sarno ricorda poi che "nei prossimi anni, in Sicilia, è previsto un incremento di circa 1700 posti detentivi. A Palermo Pagliarelli, infatti, è pronto un nuovo padiglione di circa 200 posti (bisogna solo trovare le risorse umane da destinare a quella struttura). Analogamente è in corso di apertura un nuovo padiglione (200 posti) ad Enna. Entro due anni nuovi padiglioni da 200 posti a Trapani, Caltagirone e Siracusa. Entro tre anni sarà completata la ristrutturazione della 5a e 6a sezione dell'Ucciardone (circa 320 posti). Mentre il piano carceri prevede entro cinque anni l'edificazione di un terzo istituto penitenziario a Catania da 400 posti. Questo sarà certamente un obiettivo utile a deflazionare il sovraffollamento isolano - conclude Sarno - speriamo solo che si assumano anche le risorse umane per garantire la funzionalità di quelle strutture". Sassari: Consiglio comunale vota compatto “all’Asinara non torni il carcere” La Nuova Sardegna, 25 luglio 2013 Il fuoco alle polveri l’ha dato Sergio Scavio (Sel) dicendo: “Parlo come consigliere della maggioranza ufficiale”. Rivolto a Isidoro Aiello, che nei giorni scorsi ha pubblicamente affermato : “Sono orgoglioso di essere un dissidente della maggioranza. Subito dopo il sindaco e rincara : “Sì, Aiello non fa parte della maggioranza ufficiale”. Siparietto, ieri in Consiglio. Aiello non ha replicato, poi, all’uscita da Palazzo Ducale, tra lui e Ganau scherzoso scambio di battute. Il sindaco: “In fondo questa maggioranza è un può un casino”. Consiglio comunale unito per respingere anche solo l’ipotesi che all’Asinara possa tornare il carcere, compreso quello “leggero”. Ieri è stato approvato all’unanimità l’ordine del giorno proposto dal consigliere sardista Franco Era. Unica posizione discorde quella del democratico Simone Campus, che al momento del voto è uscito dall’aula. “Nonostante le dichiarazioni rassicuranti che puntualmente arrivano dai rappresentanti dello Stato, l’Asinara non è ancora al sicuro dal pericolo che possa esservi riaperta la struttura carceraria - ha detto l’esponente sardista - . Dichiarazioni che sembrano essere più di facciata che reali. Ma noi non possiamo permettere che nell’isola e il suo parco convivano turismo e detenuti. L’Asinara è un luogo strategico per lo sviluppo turistico di tutto il Nord Sardegna e questo indirizzo deve essere confermato”. Era ha aggiunto che anche gli altri Comuni del territorio, la Provincia e la Regione devono manifestare lo stesso intento con un atto ufficiale. E al sindaco ha chiesto che, come rappresentante delle autonomie locali (Ganau è presidente del Cal) sensibilità su un tema così importante per lo sviluppo del territorio. Appello subito accolto dal sindaco che si detto d’accordo su ogni possibile azione di contrasto a un possibile ritorno del carcere all’Asinara. “Abbiamo già dato un pesante contributo quando il supercarcere era aperto - ha ricordato Ganau - ed ora basta. Sin dalle prime voci di una probabile riapertura abbiamo sempre espresso parere contrario”. “La sola ipotesi che l’Asinara possa di nuovo ospitare detenuti è uno schiaffo alla nostra comunità e alla nostra autonomia - ha rincarato Isidoro Aiello, capogruppo dell’Idv -. Grazie al governo Monti ci hanno rifilatoe continueranno a rifilarci i 41 bis, nonostante il pericolo di infiltrazione mafiose che la loro presenza potrebbe comportare per l’isola. Perciò da parte nostra occorre una netta presa di posizione per evitare che si riaprano le celle dell’Asinara, ma anche per cancellare la legge che impone il trasferimento dei soggetti ad alta pericolosità nelle isole”. Di una “jattura” ha parlato Giancarlo Rotella e anche Raffaele Tetti e Ottaviano Canalis hanno contestato che l’Asinara possa essere di nuovo un luogo di detenzione. La loro presenza sarebbe incompatibile con il turismo, è stato rimarcato. Non è stato invece d’accordo Simone Campus, per il quale l’isola si presterebbe alla riabilitazione e al successivo reinserimento di carcerati che debbano scontare pene per reati non gravi. Sassari: il sindaco scrive alla Cancellieri per l’acquisizione del carcere di San Sebastiano Adnkronos, 25 luglio 2013 L’Amministrazione comunale di Sassari è disponibile ad avviare tutte le procedure di acquisizione dell’area e della struttura del carcere dismesso di San Sebastiano. Oggi il Sindaco di Sassari, Gianfranco Ganau ha formalizzato con una lettera al ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri la richiesta avanzata in via informale al rappresentante del Governo, durante l’incontro a Sassari in occasione dell’inaugurazione del nuovo Carcere di Bancali. Nella lettera il primo cittadino spiega le ragioni che inducono l’Amministrazione comunale a richiedere l’acquisizione dell’area, “situata nel centro cittadino e confinante con il Tribunale - spiega Ganau - aspetto non di poco conto, considerato che questo consentirebbe di ampliare agevolmente gli spazi dedicati agli uffici dello stesso con successivi interventi, che in prospettiva potrebbero consentire di riaccorpare le altre funzioni giudiziarie dislocate in diverse aree della città, ad esempio la Corte d’Appello e la sede dei Giudici di Pace, con un conseguente miglioramento delle funzioni dell’intero sistema giudiziario ed un importante risparmio anche in termini economici. Una parte del carcere potrebbe essere salvaguardata - aggiunge il primo cittadino di Sassari - e destinata ad ospitare il museo del carcere, a testimonianza di una realtà carceraria si spera definitivamente superata”. Alessandria: Commissione Politiche Sociali, nel carcere poco organico e tanti detenuti di Alessandro Barberis www.tuononews.it, 25 luglio 2013 Commissione Politiche Sociali, presieduta da Paolo Berta, dedicata alla situazione del casa di reclusione “Cantello e Gaeta” quella svoltasi questa mattina a Palazzo Rosso. Presenti alla seduta, oltre al Vicesindaco Oria Trifoglio, il Comandante della casa di reclusione “Cantiello e Gaeta” Daniele Angelo Evola, il responsabile dei servizi educativi all’interno della casa, dott. Valentini, della dott.sa Ivana Scotti, delegata del servizio tutela salute in carcere, e alcuni educatori che operano con i carcerati. È stato fornito un quadro particolarmente esaustivo della situazione carceraria alessandrina: poco organico a disposizione, moltissimi detenuti, per lo più stranieri e che arrivano al di fuori dal territorio alessandrino, una casa circondariale, quella sita all’interno della città, ormai vecchia, non conforme agli standard di sicurezza e di vivibilità per i carcerati. La Commissione è stata voluta anche per l’interessamento del Consigliere Mariarosa Procopio, che funge la funzione proprio di educatore in carcere. La seduta è stata aperta dal vicesindaco, Oria Trifoglio: “Come Comune noi possiamo dare un contributo davvero minimo, ma possiamo offrire una grande disponibilità a collaborare, capire quali sono le problematiche e cercare di risolverle”. “Il senso della Commissione di oggi è di partire a discutere, a livello informativo, della situazione dei detenuti e degli operatori che ogni giorno in silenzio svolgono la loro attività. Il malessere dei detenuti spesso si ripercuote sul benessere degli operatori penitenziari” ha aggiunto la consigliere Procopio. “Ad Alessandria ci sono due istituti penitenziari, ed è considerato il secondo punto del Piemonte dopo Torino, con un totale di circa 900 detenuti - ha spiegato il Comandante dell’Istituto Cantello e Gaeta Daniele Angelo - Gli appartenenti alla criminalità alessandrina sono veramente pochi, non si arriva alle 100 unità, mentre 290 provengono da altre zone. A San Michele ancora peggio. Io posso parlare per la casa circondariale Cantello e Gaeta, dove la maggior parte sono imputati e persone condannate fino ad un massimo di 5 anni, quindi trattasi di micro criminalità. Sono soggetti a margine della società, commettono reati come furti, piccole rapine, sono spesso stranieri e irregolari, con nessuna possibilità di inserimento sociale. C’è poi una grossa fascia di tossico o alcol dipendenti, moltissimi di giovane età, tra i 18 e i 25 anni. Non ci sono tanti alessandrini in percentuale perché stiamo vivendo un momento di grandissimo affollamento penitenziario, e il nostro istituto recupera gli sfollamenti di Milano e Torino, quindi delle grandi città, le quali periodicamente inviano detenuti agli istituti vicini. Questo è un grosso problema, non solo dal punto di vista dell’affollamento, ma anche sanitario e sociale, in quanto si tratta di persone sconosciute al nostro territorio, di cui non abbiamo informazioni. Siamo privi di strumenti e soprattutto di risorse, il Ministero della Giustizia sta tagliando l’impossibile, ad un certo punto c’erano addirittura dubbi se arrivassero i fondi per dare da mangiare ai detenuti. Passando ai numeri, al Cantiello e Gaeta ci sono 100 detenuti italiani e 290 stranieri: quest’ultimi sono 199 extracomunitari, maggiormente dal Magreb, mentre coloro originari dell’Africa Nera arrivano tutti da Torino. Per i comunitari, la maggior parte sono rumeni e albanesi. Abbiamo poi una grossa carenza di organico: con la gestione di quasi 400 detenuti, il servizio in turnazione prevede solo 50-60 persone in servizio attivo. Dovremmo avere in organico in totale 222 operatori, attualmente siamo solo 173, con 21 persone fuori sede. La struttura poi è molto vecchia e vetusta: è un vecchio convento riconvertito molti anni fa, da allora non è cambiato nulla, è una struttura non più adeguata agli standard di sicurezza ma anche di vivibilità. Siamo infatti vicini ad un ospedale, ad un hospice e con tantissime vie di fuga; inoltre all’interno non ci sono spazi di socialità adeguati, come posti per passeggiare: abbiamo solo un campo sportivo, rimesso a posto un paio di anni fa grazie alla Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria che ci ha permesso di rimetterlo a posto”. Il Dott. Valentini, responsabile dei servizi educativi all’interno della casa circondariale ha spiegato: “All’interno del carcere offriamo la possibilità ai detenuti di imparare, di studiare un lavoro per quando usciranno, come ad esempio con i corsi di falegnameria. Pensiamo inoltre alla possibilità di utilizzare i carcerati come volontari per riparazione sociale, facendoli lavorare in enti pubblici e tribunale. Purtroppo dobbiamo denunciare l’assenza di specialisti all’interno del carcere, con problematiche sanitarie per persone che per 20 ore sono chiuse dentro una cella”. Proprio dei problemi sanitari parla la dott. Ivana Scotti: “Il più problema più pressante è la mancanza di un oculista e di un ortopedico all’interno della struttura. Quando i detenuti hanno bisogno, devono essere portati in ospedale, con l’organizzazione di una scorta e il malumore dei cittadini comuni che sono costretti a farli passare. Abbiamo pensato di avere un ecografo in carcere, portatile tra le due strutture alessandrine, del costo di 20 mila euro, ma mancano i soldi purtroppo”. Successivamente si passa alla discussione con i commissari. Filippo Zaio(Insieme per Rossa) ringrazia i presenti e ricorda le attività in atto dei detenuti in Cittadella, mentre Mauro Cattaneo(PD) racconta l’esperienza di un amico in carcere. Roberto Sarti (Lega Nord) spiega come “il lavoro dell’operatore penitenziario è molto difficile e delicato, anche dal punto di vista sanitario. Il numero del personale è assolutamente ridotto, ci vorrebbe un decreto svuota carceri serio, con accordi bilaterali con i paesi interessati, per permettere ai cittadini extra e comunitari di scontare la pena nel loro paese; ci vuole l’espulsione dei clandestini con pena superiore ai 2 anni. In questo modo se abbiamo meno detenuti per un servizio pur carente, sarebbe comunque un miglioramento”. Caserta: i detenuti di Carinola diventano birrai grazie alla cooperativa “Laudante” www.pupia.tv, 25 luglio 2013 Il Festival dell’Impegno Civile entra nel carcere di Carinola. Lo fa per sostenere il progetto di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, “Semi di responsabilità, fermento di libertà”, avviato dalla cooperativa “Carla Ludante” all’interno dell’istituto penitenziario, al fine di realizzare un birrificio artigianale e coltivare i terreni affidati. “L’esperienza pilota nel carcere di Carinola - spiegano i responsabili della cooperativa Laudante - si inserisce in un processo già avviato di sviluppo economico e sociale fondato sul protagonismo di una fitta rete di associazioni ed imprese sociali, oltre ad essere inserita in una più ampia strategia del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, definita ‘Circuiti regionali’, grazie al quale sarà realizzata nell’istituto di Carinola una casa di reclusione per detenuti di media sicurezza, con la sperimentazione di una custodia attenuata”. I prodotti realizzati dai detenuti rientreranno nell’iniziativa “Facciamo un pacco alla camorra”, risultato di un progetto in rete che vede coinvolte cooperative sociali nel riuso produttivo e sociale dei beni confiscati alla camorra con la conseguente realizzazione di prodotti che oggi hanno tutti i requisiti della qualità e si pongono al centro di un commercio equo e sostenibile. Per la distribuzione dei prodotti, inoltre, sono già attivati accordi commerciali con imprenditori del mondo antiracket per la distribuzione in birrerie e negozi della Campania. I prodotti realizzati nel carcere, inoltre, saranno destinati alle mense scolastiche del Comune in cui è collocata la casa circondariale, così come prevede un accordo con l’amministrazione comunale. Giovedì 25 luglio, nella tenuta agricola del carcere, si è tenuto un speciale del Festival per la presentazione del progetto. Un appuntamento promosso dalla cooperativa “Laudante” e dall’associazione “FormAzione Viaggio”, in collaborazione con la direzione del carcere di Carinola e l’amministrazione penitenziaria regionale, nell’ambito del “Festival dell’Impegno Civile - Le Terre di Don Diana” e del progetto “Facciamo l’impresa. A Ri.Pro.Va. del Bene” sul riutilizzo, la promozione e la valorizzazione dei beni confiscati. Hanno partecipato: il comandante regionale del Corpo Forestale dello Stato, Vincenzo Stabile, il vicecapo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Luigi Pagano, il consigliere regionale Massimo Grimaldi, la direttrice del consorzio Polieco, Claudia Salvestrini. A moderare il giornalista Toni Mira, caporedattore de L’Avvenire. Gli onori di casa sono spettati alla direttrice della casa circondariale, Carmen Campi. Ad illustrare il progetto l’ingegner Alessandra Tommasino della cooperativa “Laudante”. Presenti, inoltre, i familiari delle vittime innocenti di camorra, il presidente provinciale di Libera, Gianni Solino, insieme agli scout dell’associazione presieduta da don Luigi Ciotti. Viterbo: agente aggredito da un detenuto, è il quarto in due settimane www.viterbooggi.eu, 25 luglio 2013 “È la quarta aggressione in sedici giorni. A questo gioco al massacro non ci stiamo più”. Le organizzazioni sindacali di categoria che tutelano gli interessi del personale di Polizia penitenziaria nel carcere di Mammagialla denunciano l’ennesima aggressione ad un agente: “Erano circa le 13 - scrivono in un comunicato - quando un agente, addetto alla sezione detentiva, è stato aggredito alle spalle da un detenuto. È vero che è il nostro lavoro; ma crediamo che non è giusto pagare per negligenze o azioni necessarie arrivate in ritardo da parte di qualcuno che può e deve riportare alla normalità il carcere di Viterbo”. La situazione secondo i sindacati sta diventando insostenibile e minacciano di entrare in stato di agitazione: “Pertanto denunciando con forza la nostra protesta, ci chiediamo e chiediamo: che cosa sta facendo la nostra direttrice, mentre aspettiamo gli interventi del Prap e del Dap. Non è questa una situazione di prassi legata al periodo estivo, i segali di una popolazione detenuta concentrata di psichiatri, e gruppi di detenuti extracomunitari, e comunitari irrequieta, e poco incline alla normale condivisione della struttura che istituzionalmente li deve contenere tutti. Vogliamo direttive di intervento, chiare e risolutive altrimenti entreremo in stato di agitazione per chiedere il commissariamento dell’istituto viterbese”. Volterra (Pi): è di scena la Compagnia della Fortezza… unico palcoscenico il carcere di Gabriele Rizza Il Tirreno, 25 luglio 2013 L’obiettivo è noto, l’intento dichiarato, il progetto cullato. E rimbalza a chiare lettere. “Per un teatro stabile in carcere” campeggia infatti sul cartello affisso al muro del conservatorio proprio davanti alla salita che porta alla casa circondariale all’interno della quale ieri pomeriggio è stato presentato il nuovo spettacolo dei detenuti della Fortezza: “Santo Genet Commediante e Martire”. Per sottolineare la volontà di realizzare un teatro stabile in carcere, il festival di quest’anno, che va avanti fino a domenica, si svolge praticamente tutto dentro le mura del Maschio. E per non lasciare dubbi disegna (ipotizza) la mappa della fortezza volterrana come un insieme di spazi teatrali o teatrabili, una bella sequenza di luoghi variamente aperti sulla drammaturgia e intitolati a Brecht, Dalì, Kafka, Rabelais, Pasolini, Leopardi, Beckett, Cervantes e naturalmente Genet. Che di Casa Punzo è l’ultimo invitato, o forse il primo, per radici ideali e connotati sociali. E che qui già nel 1996 s’era installato con lo spettacolo “I negri”. La storia teatrale di questo angolo di Toscana che poi ha fatto il giro del mondo, diventando oggetto di studi e modello esportabile, è iniziata 25 anni fa, un quarto di secolo: “Quando entrai qui per la prima volta - racconta Punzo - incontrai un gruppo di detenuti, provenivano tutti da Napoli, raccontai loro quello che volevo fare, la mia idea di teatro, e così in una cella al primo piano nacque la Compagnia della Fortezza”. E siccome gli “attori” erano tutti napoletani il primo spettacolo fu “La gatta Cenerentola” di Roberto De Simone e il secondo “Masaniello” di Elvio Porta e Armando Pugliese. Qualcosa, in uno struggente bianco e nero, di quelle ormai leggendarie messinscene, rimbalza dal prezioso volume, “È ai vinti che va il suo amore”, edito dalla fiorentina Clichy, che racconta e ripercorre per immagini e pensieri dello stesso Armando Punzo (firma l’introduzione Massimo Marino) questo importante compleanno fatto di sfide, attese, imprevisti, scommesse, immane fatica e straordinari successi. L’ultimo, che ha debuttato ieri e replica fino a venerdì, è un ritorno al teatro di Jean Genet, “Santo, commediante e martire”, un primo studio clamoroso e sgargiante, dedicato a questo “padre protettore” dei luoghi chiusi, siano carceri o bordelli, case di tolleranza o celle di isolamento, confessionali o manicomi. Il nuovo vagabondaggio dei detenuti attori e del loro regista è un incedere lento e solenne nei corridoi del testo genettiano e in quelli dello spazio scenico tutto ricoperto di specchi e specchiere che sembra di stare in una galleria di Versailles o un salone dell’Ermitage, sparsi fogli d’album come tante stazioni di una umanissima “via crucis”. Accolti noi, visitatori da una passerella di marinai come fuorusciti da un celebre film di Fassbinder del 1982 “Querelle di Brest”, con in sottofondo la voce di Jeanne Moreau che sussurra “Ognuno uccide le cose che ama”. Immigrazione: Cie di Modena nel caos, voci di una richiesta di chiusura di Carlo Gregori La Gazzetta di Modena, 25 luglio 2013 Cie sempre più nel caos. Dopo la rivolta con i nove arresti e dopo la convalida del gip che ha però chiesto immediate indagini igieniche all’Ausl e penali alla Procura, l’altra sera è scoppiata una nuova rivolta. E ieri è iniziato lo sciopero del personale che non viene pagato regolarmente dagli appaltatori della gestione, il Consorzio L’Oasi. E sempre ieri hanno iniziato a circolare voci non confermate di una richiesta di chiusura della struttura modenese inviata al Viminale. Nel frattempo, sempre ieri, in Tribunale è iniziato il processo per danneggiamento e tentato incendio ai tre giovani autonomi modenesi che il 16 giugno avevano protestato davanti al Cie lanciando fumogeni e petardi. Processo iniziato e rinviato: verrà celebrato con rito abbreviato. La struttura di via Lamarmora - pur tagliata fuori dalla città per una scelta fatta fin dalla sua creazione - continua a versare nella confusione tra proteste e rivolte. Lunedì sera è stata una sequela di ore campali con punte drammatiche. Nel tardo pomeriggio un “ospite” aveva provato a incendiare un materasso. I vigili del fuoco hanno spento subito l’incendio. Ma in serata la protesta è tornata a dilagare tra i 24 trattenuti. Chi era presente racconta di fili elettrici diventi, sbarre strappate per farne delle spranghe (però mai usate) e plexiglas rotto per poter scalare meglio i tetti. Anche lunedì sera vittime sacrificali della rabbia sono stati materassi. Come noto, l’accusa degli “ospiti” è che ormai sono infetti, veri e propri incubatori di parassiti dei quali portano i segni sulla pelle. Tuttavia, lunedì i materassi darti alle fiamme erano nuovi. Dopo un primo intervento delle forze dell’ordine e dei vigili del fuoco dalle 23 all’una di notte, pareva che la calma fosse tornata ma tutto è ricominciato dalle 3 alle 5. La rivolta è stata sedata ma pare che nessuno sia stato messo agli arresti. Si sa, tra l’altro, che molto detenuti stanno provando a farsi arrestare in tutti i modi per poi comparire davanti al giudice. Un espediente per uscire dal limbo legale del Cie: lo scopo è ottenere gli arresti domiciliari nell’ultima città dove ci si trovava. Una situazione insostenibile per gli agenti che ora si sentono sotto tiro da queste continue provocazioni fatte per tentare di uscire legalmente. La temperatura del Cie resta alta e ieri circolava voce, non confermata, che dalla Prefettura sia partita una richiesta ufficiale al ministero per farlo chiudere. Nessuna conferma dalla prefettura che invece ribadisce di seguire con grande attenzione la vicenda del Cie (ne è anche referente a livello locale). Intanto è iniziata anche la protesta dei dipendenti, appoggiati dai sindacati. Il “grido di disperazione” degli immigrati ‘“reclusi” nei Centri di identificazione ed espulsione deve trovare il “doveroso ascolto delle istituzioni pubbliche responsabili, garanti del rispetto dei diritti umani inviolabili”. Lo ribadisce l’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali italiane, in un documento dove si traccia un quadro a tinte fosche dei Cie, visitati dall’Ucpi e definiti tra i luoghi “più oscuri del sistema giudiziario italiano” e dove si evidenzia il caso limite di Modena. Droghe: Relazione Dpa; nel 2012 diminuiti gli ingressi in carcere di tossicodipendenti Redattore Sociale, 25 luglio 2013 Relazione al Parlamento 2013. Diminuzione del 18,4 per cento: lo scorso anno i soggetti con problemi socio-sanitari correlati alla droga finiti in carcere erano poco più di 18 mila. Aumentano i nuovi affidamenti nell’ultimo anno, ma il numero complessivo è in diminuzione. Nel 2012 gli ingressi in carcere di soggetti con problemi socio-sanitari correlati alla droga hanno subito una riduzione passando da 22.413 a 18.285 (-18,4 per cento), mentre il 34,5 per cento dei soggetti entrati negli istituti penitenziari nel 2012 per reati in violazione alla normativa per gli stupefacenti sono usciti in libertà nel corso dell’anno. Questo il bilancio tracciato dalla Relazione al Parlamento 2013 sull’uso di sostanze stupefacenti e tossicodipendenze in Italia, elaborata dal Dipartimento politiche antidroga (Dpa). Secondo la Relazione, nel 2012 si è osservato un incremento degli ingressi di soggetti stranieri per reati in violazione della normativa sugli stupefacenti D.P.R. 309/90 che dal 31,3 per cento del 2011 è passato al 34,5 del 2012. Una modesta riduzione si è rilevata, invece, per i soggetti di nazionalità italiana (33,7 per cento nel 2011 e 33,2 per cento del 2012). Riduzione che si registra anche sui minori: rispetto al 2011, si è registrata una riduzione del 16 per cento. “La reclusione di minori in violazione alla normativa sugli stupefacenti ha riguardato quasi esclusivamente il genere maschile (96,6 per cento), con prevalenza di soggetti stranieri (53,4 per cento), poco più che 17-enni, senza apprezzabili differenze tra i minori di diversa nazionalità”. Aumentano i nuovi affidamenti ai servizi sociali nell’ultimo anno, ma il numero totale è in diminuzione. “Nel 2012 - spiega il Dpa - i soggetti affidati sono complessivamente aumentati del 7,6 per cento rispetto al 2011 (da 2.306 soggetti a 2.518). L’aumento maggiore è a carico di quelli provenienti direttamente dalla libertà (18,7 per cento) rispetto a quello provenienti dalla detenzione (1,9 per cento)”. Tuttavia, andando a considerare i numeri complessivi, ai 2.518 affidi concessi nel corso del 2012 vanno aggiunti quelli già in esecuzione da anni precedenti che risultano essere 1.766. Il totale dei soggetti con affidamento per art. 94 è quindi pari a 4.284 soggetti, con diminuzione del 4,8 per cento rispetto all’anno precedente, dove si erano osservati 4.500 casi di affidamento. Sono quasi sempre gli uomini ad andare in affidamento, sono il 94 per cento dei soggetti, mentre per il 91,7 per cento dei casi si tratta di cittadini italiani. La fascia d’età va dai 35 e i 44 anni. “Da segnalare come dato positivo che la maggior parte dei casi archiviati nel corso del 2012, pari al 56,4 per cento, ha avuto la chiusura del procedimento con esito favorevole, mentre le revoche per andamento negativo rappresentano il 23 per cento del totale delle archiviazioni”.