Conferenza Volontariato Giustizia Veneto: lettera aperta all’Assessore regionale Remo Sernagiotto Ristretti Orizzonti, 24 luglio 2013 Gentile Assessore, le scrivo, come responsabile della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia, per segnalarle un problema, per noi molto serio: la scarsa attenzione del suo assessorato al volontariato penitenziario. A tal proposito le segnaliamo che non è mai stata convocata la Commissione Interistituzionale Area Penitenziaria istituita con Dgr n. 2353 del 01.08.2003 prevista per monitorare lo stato di attuazione del protocollo d’intesa ministero della giustizia - Regione Veneto dell’08.04.2003. Noi chiediamo che il suo Assessorato riconosca la CRVG quale interlocutore rappresentativo di tutto il volontariato impegnato in ambito giustizia del Veneto, come non è avvenuto finora, e lo dimostra il fatto che la Conferenza è stata ignorata nella convocazione del 24.06.2013 rivolta ai presidenti degli enti che svolgono attività socio educative e di recupero di persone soggette a provvedimenti giudiziari per il 27.06.2013 ore 12.00 a Venezia per discutere dello stanziamento di euro 250.000,00. A tal proposito ci sentiamo di suggerire tra i criteri di valutazione dei progetti la priorità da dare alle coop sociali che offrono lavoro e possibilità di accedere alle misure alterative alla detenzione e alle associazioni di volontariato che operano con progetti socio educativi in carcere e progetti di collaborazione con gli Uepe. Non riteniamo giusto che 3 province su 4 vengano escluse arbitrariamente dal finanziamento col pretesto che godono di un finanziamento della Fondazione Cariverona, poiché di questo finanziamento beneficiano solo poche persone (riguardano esclusivamente persone oggetto di possibile affidamento a misure alternative o post pena con inserimenti abitativi e lavorativi) mentre la totalità dei detenuti non viene sostenuta con attività socio educative. Distinti saluti, Maurizio Mazzi Presidente della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia del Veneto Giustizia: via libera del Senato a legge di conversione del decreto-carceri, che ora passa alla Camera Asca, 24 luglio 2013 Con 206 voti a favore e 59 contrari l’assemblea del Senato ha approvato il decreto carceri in materia di detenzione ed esecuzione della pena. Il provvedimento, che scade il 31 di agosto, passa ora all’esame della Camera. Il decreto contiene interventi in tema di arresti domiciliari e di sospensione dell’ordine di esecuzione delle pene detentive che hanno lo scopo di ridurre gli ingressi in carcere. In sede di dichiarazione di voto si sono dichiarati contrari Lega Nord e M5S. Il Carroccio ha posto l’accento sulla pericolosità sociale del provvedimento, definendolo un indulto mascherato che non affronta con misure strutturali il problema del sovraffollamento carcerario. Forti critiche anche per la mancata esclusione di reati gravi dai benefici previsti dal decreto-legge, e richiesta di pene più certe e severe. Movimento 5 Stelle ha criticato il dl per l’assenza di misure strutturali di depenalizzazione e la mancanza di un piano per le carceri, denunciando l’incostituzionalità della proroga delle funzioni del commissario straordinario per le infrastrutture carcerarie. Al termine della dichiarazione di voto del Carroccio c’è stata una protesta in Aula da parte dei senatori leghisti che hanno esposto cartelli contro la legge e contro il ministro Cancellieri, nei cui confronti un senatore ha urlato più volte “Vergogna ministro!”. Sui cartelli, che mano a mano che venivano ritirati dai commessi venivano sostituiti con altri, si è letto: “Donne, attenzione escono gli stalker”, “Polizia arresta, governo assolve”, “Polizia e Carabinieri beffati”. Giustizia: decreto-carceri a rischio indebolimento, oggi il voto in aula al Senato di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 24 luglio 2013 Gli avvocati di Antigone: l’asse Pdl, Lega e M5S ha ripristinato preclusioni alle misure alternative che il Governo aveva eliminato. Rischia di tagliare il traguardo spompato e indebolito il ddl di conversione del decreto “svuota carceri”: entrato in aula, al Senato, ieri non è riuscito neanche ad arrivare al voto sull’articolo le su tutti gli emendamenti presentati, molti dei quali “riformulati” all’ultimo minuto e verbalmente, in un clima crescente di confusione. Per esempio sui reati esclusi dalla sospensione dell’ordine di esecuzione della condanna, come i furti pluriaggravati, o commessi da recidivi specifici infra - quinquennali. È bastato evocare, dalle file del Pdl, le vecchine scippate all’uscita dall’ufficio postale per bloccare tutto e aggiornarsi ad oggi. Al di là dell’ostruzionismo di Lega e M5S, che (non senza demagogia) invocano la “certezza della pena”, sembra che anche la maggioranza stia facendo perdere al governo il sostegno necessario per un carcere più dignitoso, come ci impone la Corte dei diritti dell’uomo. A forza di perdere pezzi, infatti, il dl rischia di diventare non l’occasione di rilancio delle misure alternative ma un pannicello caldo, così da rendere ancora più pressante il ricorso all’amnistia e all’indulto. Ne aveva già parlato il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri al momento del varo del dl e ieri un altro esponente del governo, il ministro della Difesa Mario Mauro, ha rilanciato la clemenza, “che dovrebbe precedere - ha detto - qualsiasi riforma carceraria, e non seguirla”. Ma l’iniziativa spetta al Parlamento, dove peraltro il partito della clemenza è ampio e trasversale. Anche se non sarà facile per chi, oggi, si scandalizza delle misure alternative (che non sono libertà né sono concesse in automatico), giustificare, domani, misure di clemenza che, in automatico, “liberano” migliaia di detenuti. Tanto più se la clemenza sarà di ampia portata perché finalizzata alla “pacificazione”. Certo è che il dl ha perso pezzi importanti già in commissione Giustizia del Senato. L’Associazione Antigone denuncia “l’asse Pdl, Lega, M5S che, insieme ad alcuni deputati Pd, ha fatto rientrare dalla finestra alcune delle preclusioni alle misure alternative, giustamente soppresse nel dl del governo, contenute nella famigerata legge ex Cirielli” (tra cui alcuni limiti alla detenzione domiciliare per i recidivi). Gli avvocati penalisti parlano di “totale inversione di marcia” e chiedono al ministro di “difendere personalmente, in aula, l’ispirazione del provvedimento, anche perché attua un punto fondamentale del programma”. Ma dalle prime battute è evidente che il governo teme di essere battuto. Perciò sta concedendo molto. Forse troppo. Giustizia: Grillini e Lega contro lo “svuota carceri”, che oggi arriva in Aula di Andrea Colombo Il Manifesto, 24 luglio 2013 Tra i tanti falsi movimenti che il governo ha accumulato in questi mesi, un provvedimento concreto c’è, ma non è detto che arrivi incolume in porto: è il cosiddetto decreto “svuota carceri” approntato dal ministro Cancellieri. Se non è solo una legge del tutto insignificante come tante altre non è merito né del governicchio né della sua larghissima ma impotente maggioranza. Per una volta è merito dell’Europa, che ha dato all’Italia un anno di tempo per risolvere la tragedia del sovraffollamento delle carceri prima che scatti la sanzione per comportamento inumani e degradanti. La commissione Giustizia del Senato ha già provveduto a peggiorare notevolmente il testo originario del governo, come denunciato ieri dall’Unione delle camere penali, dall’associazione Antigone e dal garante per i detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Al momento però, almeno la ratio del decreto è salva. È possibile che il danno si completi stamattina in Aula. La conversione del decreto doveva essere votata ieri. La discussione si è invece arenata subito su due punti fondamentali, accantonati per dare tempo di trovare una soluzione di compromesso. Subito dopo, però, anche il voto sul resto della legge è stato rinviato a oggi, dato il numero sovrabbondante di richieste di riformulazione degli emendamenti. Non è affatto certo che dalla palude di palazzo Madama il decreto non esca snaturato. La minaccia ha un’identità precisa: il Movimento 5 Stelle, che sul tema ha fatto ieri blocco con la peggiore Lega che si possa immaginare, quella forcaiola e giustizialista, pronta a titillare i peggiori umori popolari. I pentastellati hanno votato con la Lega a favore della pregiudiziale prima, poi dell’inversione dell’ordine dei lavori, affermando che in un caso come questo la decretazione d’urgenza è fuori luogo. E sì che trattasi forse dell’unico caso in cui, data la minaccia di pesanti sanzione europee, i requisiti d’urgenza ci sono davvero. Non che i senatori del M5S abbiano fatto nulla per nascondere l’intento ostruzionista. Hanno detto forte e chiaro, con parole molto simili a quelle dei leghisti, che la soluzione del problema carceri sarebbe in realtà semplicissima. Basterebbe “come suggerito da Gratteri, riaprire carceri come Pianosa o l’Asinara”. Basterebbe, a loro parere, restaurare quel monumento all’inciviltà che era il supercarcere dell’Asinara. L’eventualità che, su alcuni elementi decisivi, Pdl, Lega eM5S votino insieme annacquando il decreto fino a renderlo irriconoscibile è dunque concreta. I punti chiave accantonati ieri sono essenzialmente due. Il primo riguarda i reati minori per i quali non possono comunque essere disposti i domiciliari. La commissione ha inserito nella lista nera gli incendi dolosi, i maltrattamenti in famiglia e i furti con almeno due aggravanti. Il governo ha modificato il testo già emendato dalla commissione specificando che vanno esclusi solo i furti con scasso e con strappo. La nuova formulazione non è andata giù al Pdl Caliendo che ha chiesto di tornare al testo, più rigido, varato in commissione. Il secondo nodo riguarda la cosiddetta recidiva reiterata. La commissione vorrebbe escludere dalla possibilità di accesso ai domiciliari e alle misure alternative tutte le recidive compiute in un arco di anni limitato. Il governo intende restringere l’arco di tempo all’interno del quale la recidiva osterebbe alle misure alternative. “Non si tratta di sottovalutare il problema - spiega il senatore di Sel Peppe De Cristofaro - ma sta di fatto che la carcerazione non diminuisce affatto il tasso di recidiva, anzi. Disporre i domiciliari, al contrario, è proprio la via per limitare la recidività”. L’elemento è fondamentale. L’aspetto di gran lunga centrale del decreto, quello che permette a De Cristofaro di affermare che si tratta di una “positiva inversione di tendenza”, è proprio la cancellazione della legge ex Cirielli, quella che impedisce la concessione delle misure alternative ai recidivi e così, in combinato disposto con la Bossi - Fini sull’immigrazione e con la Fini - Giovanardi sugli stupefacenti, ha portato dietro le sbarre decine di migliaia di persone in più nel giro di pochi anni. Partito sull’onda di un’emergenza, il decreto è però diventato subito molto più del classico cerotto appiccicato per evitare la sanzione. Il ministro Cancellieri ha deciso infatti di intervenire non solo e non tanto con misure volte a svuotare per pochi mesi le prigioni ma anche sulle dinamiche che hanno fatto impennare gli ingressi nelle patrie galere: a partire proprio dalla eliminazione della ex Cirielli. La commissione Giustizia ha già parzialmente ripristinato quella legge sciagurata. Se la si potrà considerare comunque solo un triste ricordo o se sarà ancora in grado di fare immensi danni, però, lo deciderà solo oggi l’Aula del Senato. Giustizia: la memoria corta dei senatori M5S di Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone) Il Manifesto, 24 luglio 2013 Tira brutta aria al Senato. Edmondo Cirielli, la cui legge tanti danni ha prodotto al nostro sistema penale e penitenziario, ha trovato nuovi estimatori e difensori al Senato. Nei giorni scorsi la Commissione Giustizia è riuscita nell’intento di peggiorare il decreto - legge del governo pensato per affrontare la questione drammatica del sovraffollamento delle carceri. Un asse composto dal Pdl, dalla Lega, dal Movimento 5 Stelle e da alcuni deputati del Pd è riuscito a far rientrare dalla finestra alcuni pezzi della famigerata legge ex Cirielli sulla recidiva. La legge era stata abrogata quasi del tutto con il decreto - legge del governo dello scorso primo luglio. Ora, grazie al nuovo asse della sicurezza, sono tornati in vita alcuni limiti alla concessione della detenzione domiciliare nei confronti dei recidivi. Il decreto, così come modificato, è adesso all’esame dell’Aula di Palazzo Madama. Il parlamento fino ad ora è riuscito a far peggio del governo delle larghe intese. Il tutto con la responsabilità del M5S. Solo Sel, Scelta Civica e quasi tutto il Pd hanno difeso il testo originario, che non aveva nulla di stravolgente o di risolutivo. Si legge nei resoconti stenografici del Senato che il senatore del Movimento 5 Stelle Cappelletti “concorda con quanto osservato dalla collega Stefani della Lega circa l’inopportunità di comprimere i tempi dell’esame del decreto - legge, ed osserva che sarebbe auspicabile ottenere un rinvio del termine degli emendamenti da parte dell’assemblea”. Non ci sarebbe urgenza a suo dire. D’altronde durante la discussione parlamentare i 5S votano spesso insieme a Pdl e Lega provvedimenti il cui effetto è quello di far crescere ulteriormente la popolazione detenuta. Non c’è urgenza a loro dire. E le 30 mila persone in più rispetto ai posti letto regolamentari? E la dignità violata nelle carceri stracolme e senza spazi? E i morti di salute negata? E i morti suicidi? E le migliaia di tossicodipendenti reclusi in osservanza dei nomi di Gianfranco Fini e Carlo Giovanardi? E le condanne della Corte europea sui diritti umani? Non c’è urgenza dicono la Lega e il M5S. E così fanno asse con quelli del Pdl di origine An. Eppure alcuni dei parlamentari del M5S avevano sottoscritto prima del voto di febbraio le nostre tre proposte di legge di iniziativa popolare, nelle quali a caratteri cubitali era scritta la abrogazione delle leggi sulla immigrazione, sulla droga, sulla recidiva. Ricordo ai senatori del Movimento 5 Stelle che: 1) i colletti bianchi non sono mai recidivi e quindi la legge Cirielli non li riguarda; 2) la recidiva si abbatte sui pesci piccoli: più piccolo è il pesce più le norme sulla recidiva lo colpiscono; 3) il proibizionismo sulle droghe fa prosperare le mafie e riempie le galere di giovani consumatori; 4) è eticamente disdicevole tentare di racimolare consenso parlando alla pancia e non alla testa delle persone. Nei mesi scorsi abbiamo molto tifato per Stefano Rodotà, capo dello Stato. La ritenevamo una bella proposta di cambiamento. Ricordo che Stefano Rodotà è stato tra i fondatori della rivista Antigone, circa trent’anni fa. Sarebbe un bel gesto di umiltà se i senatori del M5S chiedessero a lui consiglio prima di votare provvedimenti in materia penale e penitenziaria insieme a leghisti e post-fascisti. Giustizia: le carceri al collasso, il lato oscuro della Repubblica di Matteo Mascia Rinascita, 24 luglio 2013 L’emergenza carceraria raggiungerà il suo culmine durante il mese di agosto. Le giornate più calde dell’anno porteranno all’estremo le condizioni in cui sono costretti a vivere i cittadini ristretti. Una situazione nota a tutti ma, purtroppo, evitata dai principali esponenti di Pd e Pdl. Il tema viene infatti affrontato con piglio demagogico, si ha il timore che qualsiasi intervento sulla materia dell’esecuzione penale possa innescare l’indignata reazione degli elettori. Timorosi che un indulto o un’amnistia possano mettere a repentaglio le proprie esistenze o le proprie proprietà. Dopo diverse settimane di protagonismo, anche la titolare della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, ha cessato di invocare l’avvio della procedura parlamentare per la concessione dell’amnistia. “Il sovraffollamento delle carceri non è più tollerabile, spero che governo e Parlamento possano dare una risposta di dignità ai detenuti e a chi lavora”, ha detto la presidente della Camera, Laura Boldrini, durante la visita ai detenuti del carcere di Regina Coeli. “Ritengo che sia importante tenere alta l’attenzione sull’emergenza carceri e sono qui proprio per dare attenzione a questo tema”, spiega la deputata marchigiana, per la quale la situazione delle carceri è “la cartina di tornasole del livello di civiltà di un Paese”. Per la presidente di Montecitorio “la certezza del diritto è fondamentale: chi ha sbagliato deve pagare, non chiediamo sconti, ma è giusto che chi entra in carcere possa uscire migliore, è giusto che ci sia la rieducazione e in una situazione di sovraffollamento è difficile rieducare perché non si fa altro che tirare fuori il peggio dell’essere umano e non il meglio”. “Nel codice - sottolinea Boldrini - non c’è scritto che un’ulteriore pena debba essere quella del sovraffollamento. Costruire nuove strutture è complicato perché non ci sono risorse ma in alcuni carceri ci sono padiglioni non utilizzati e con un po’ di fondi sarebbe possibile renderli agibili”. In più bisogna mettere in atto “misure alternative e considerare le misure di custodia cautelare perché il 40 per cento dei detenuti non ha una condanna definitiva”. Sul tema del carcere è intervenuta anche Paola Pinna, deputata sarda del Movimento 5 stelle. La parlamentare ha ricordato una grave lacuna del nostro ordinamento penale: la mancanza di una fattispecie che punisca chi si rende colpevole di tortura e trattamenti degradanti. Un vuoto legislativo che ha spesso permesso alle persone rinviate a giudizio per condotte violente, maltrattamenti e vessazioni di poter godere della prescrizione o di essere colpite con le pene previste nel caso di lesioni. “Dopo aver ricevuto una toccante lettera da parte di un detenuto che aveva subito un trattamento inumano e degradante all’interno di un penitenziario italiano ho sentito la necessità di interrogare il ministro della Giustizia, per capire quali siano le intenzioni dell’attuale Governo in merito all’introduzione del reato di tortura in Italia. Purtroppo, son cosciente del fatto che il caso di cui sono stata resa partecipe è uno dei tanti che si verificano frequentemente nelle nostre carceri, e non solo lì” ha spiegato la Pinna commentando il deposito di un suo atto di sindacato ispettivo. “Con la recente sentenza Torreggiani - prosegue la deputata - la Corte dei diritti dell’uomo ha sancito, per la seconda volta, la violazione da parte del nostro Paese dell’articolo 3 della Cedu che vieta tortura, trattamenti o pene inumane degradanti. La situazione in cui ci troviamo è paradossale - incalza la Pinna - sembra che tutti lo vogliano ma nessuno sia in grado di attuare questo principio così semplice e fondamentale”. “Nonostante la nostra stessa carta costituzionale vieti la tortura - continua la segretaria della commissione Politiche Europee - l’Italia abbia aderito a convenzioni e trattati internazionali che vietano tale condotta inumana e nelle Aule parlamentari si siano avviati procedimenti legislativi, mai conclusi, non siamo riusciti a introdurre tale fattispecie di reato nel nostro ordinamento. Auspico che il Ministro Cancellieri voglia adottare importanti decisioni in questa materia”. L’eletta pentastellata ha poi fatto presente che la norma sarebbe anche una garanzia per tutti gli operatori delle Forze dell’ordine, oggi chiamati a pagare per le responsabilità dei più violenti. Il Parlamento deve affrontare il tema nel più breve tempo possibile. È inutile continuare a baloccarsi con argomenti propagandistici. Giustizia-Carceri-Amnistia: quattro notizie e un bebé di Valter Vecellio Notizie Radicali L’ultima stoccata l’ha data l’ex ambasciatore statunitense a Roma David Thorne. Prima di lasciare l’Italia ha rilasciato una lunga intervista a “La Stampa”, e ha buttato lì una frase che è passata inosservata. Thorne, che peraltro conosce bene il nostro paese, ci è cresciuto da bambino, ed è anche uomo d’affari affermato, a un certo punto, parla dei guai dell’Italia, che riassume in una sola parola: “Incertezza”. Gli investimenti stranieri dimezzati, il sistema produttivo al collasso si spiegano appunto con “incertezza…per fare investimenti bisogna avere certezze e l’Italia è diventato il paese dell’incertezza, prima di tutto nel sistema della giustizia…”. Come si dice, prendi e porta a casa. Il nesso molto stretto tra il funzionamento del sistema giudiziario e il funzionamento del sistema economico, e in ultima istanza, del “sistema paese” viene individuato e messo in evidenza come meglio non si potrebbe. Parrebbe una notizia. Ora parla il ministro della Difesa, Mario Mauro. Ecco cosa dice: “Un provvedimento di amnistia credo debba precedere qualsiasi riforma carceraria e non seguirla. L’amnistia e l’indulto sono strumenti previsti dalla Costituzione che devono essere seguiti da percorsi di riforma significativi. Basta seguire le indicazioni della storia dove, anche quando è stata fatta la riforma della giustizia dopo la seconda guerra mondiale, questa è stata preceduta da amnistia e non seguita dall’amnistia”. Un’affermazione in perfetta sintonia con quanto dice il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri. E naturalmente in questo conto occorre metterci la nostra Emma Bonino. Tre ministri, Giustizia, Esteri, Difesa sono per l’amnistia. Anche questa parrebbe una notizia. Il presidente della Camera Laura Boldrini visita il carcere romano di Rebibbia. Ne rimane, dicono i resoconti di agenzia, turbata: “Situazione intollerabile, non più accettabile a causa del sovraffollamento”. Dopo aver visto celle prive di spazio, dove spesso manca l'acqua e con materassi marci che si sbriciolano, dice rivolta ai detenuti in sciopero della fame: “Condivido il vostro sentimento di indignazione”. Parrebbe la terza notizia. La quarta, infine: centinaia di famiglie e migliaia di detenuti sostengono Marco Pannella nel suo Satyagraha contro le condizioni disumane in cui versano i penitenziari italiani. “Sono già oltre 1.000 le persone che hanno aderito allo sciopero della fame, accettando di abbracciare la battaglia nonviolenta lanciata da Pannella”, riferisce l’agenzia; che prosegue: “Da anni Pannella insieme ai radicali sostengono la difesa della legalità e dello stato di diritto. L’iniziativa è stata lanciata su Facebook dalla militante genovese dell’associazione Il Detenuto Ignoto Alessandra Terragni, iscritta anche all’Associazione Per la Grande Napoli attraverso il gruppo ‘Oltre il muro e le manette… stop tortura!’”. Ecco. Noi naturalmente siamo lieti che sia nato un erede al trono d’Inghilterra, che assomigli alla madre e non al padre, e ci interroghiamo noi pure sul nome più appropriato. Ci si permette solo di osservare che le quattro notizie di cui abbiamo parlato non hanno avuto un decimo di spazio rispetto al neonato della casa reale inglese. Per non dire del silenzio che grava sui dodici referendum. Giustizia: lo sciopero della fame a Regina Coeli, la civiltà giuridica e la politica Il Foglio, 24 luglio 2013 Siccome ci si abitua sempre anche al peggio, e l’umanitarismo per l’umanitarismo non è il nostro forte, si rischia di abituarsi anche alla notizia che, con l’arrivo del primo vero caldo dell’estate, arriva anche il primo sciopero della fame dei detenuti contro le condizioni di degrado fuori da ogni norma e legge in cui sono costretti a vivere. Ma è un’abitudine da non prendere, punto. Per cui è e resta una notizia, come ogni anno è una notizia, che i detenuti del secondo e terzo braccio di Regina Coeli, un carcere dove sono ammassati oltre mille detenuti su una capienza di circa 700, dove lavorano 460 agenti penitenziari quando la pianta organica ne prevede più di 600, debbano ricorrere a uno strumento così estremo, così urticante, per poter mettere all’attenzione del mondo di fuori, e della politica, la loro condizione. E poiché la condizione non è solo la loro, proteste analoghe potrebbero iniziare a breve in molti altri dei duecento istituti di pena italiani. Di fuori, almeno nel mondo della politica, ci sono quasi solo i Radicali ad ascoltare. Ieri nel carcere romano sono entrati Marco Pannella e Rita Bernardini (l’altro giorno c’era stata il presidente della Camera Laura Boldrini). Il problema delle carceri italiane non è una questione di umanitarismo, ma di civiltà giuridica e di decisione politica. Siamo un paese in cui il 42 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio. Di questi circa la metà risulta innocente, una volta celebrati i processi per la cui lunghezza media andiamo tristemente famosi. Ancor più triste è la contabilità mortuaria: dall’inizio dell’anno ci sono stati 90 decessi, di cui 29 suicidi, e sono ben 7 gli agenti penitenziari che si sono tolti la vita. Lo scorso 8 gennaio la Corte europea dei diritti dell’uomo ha richiamato l’Italia a uscire al più presto da questa situazione, valutabile come tortura. Al Senato è in via di conversione il decreto carceri che dovrebbe alleggerire la situazione. Il ministro Annamaria Cancellieri ha ribadito che l’amnistia “dal punto di vista tecnico, servirebbe eccome”, ma sa benissimo che è un problema politico. Così come è un problema politico la malattia della giustizia da cui tutto questo discende. Ma finché non si potrà parlare di durata dei processi, di abuso della carcerazione preventiva, e di tante altre cose ancora, la malattia non potrà guarire. Giustizia: droghe e carcere, aspettando Godot di Francesco Muser Il Manifesto, 24 luglio 2013 Il 25 giugno, alla Camera dei deputati è stato presentato come tradizione il Libro Bianco sugli effetti della legge Fini-Giovanardi, anticipando come sempre la Relazione annuale del Governo. L’anno scorso, il ministro Riccardi dette il via libera al documento solo ad agosto, quest’anno il silenzio è determinato dalla mancata designazione del responsabile politico per la politica delle droghe. È bene riproporre i dati del 2012 elaborati dalla Società della Ragione, da Forum Droghe, da Antigone e dal Cnca, con l’adesione di Magistratura Democratica e dell’Unione delle Camere Penali. Sette anni di applicazione della legge antidroga del 2006 sono un tempo politicamente fin troppo lungo; statisticamente, rappresentano un periodo significativo per un giudizio fondato sull’impatto della normativa sul funzionamento della giustizia, sull’attività di polizia, sul sovraffollamento delle carceri, sul circuito sanzionatorio relativo al semplice consumo. Un detenuto su tre entra in carcere per violazione dell’art. 73 della legge voluta da Giovanardi, che sanziona molteplici condotte, dalla coltivazione, allo spaccio, alla cessione, alla detenzione di sostanza stupefacente: si tratta di 20.465 persone, pari al 32,47% del totale degli ingressi nell’anno 2012. Quanto ai detenuti presenti in carcere al 31 dicembre 2012 (65.701 persone), di questi i ristretti per l’art.73 ammontano alla cifra ancora più impressionante di 25.269 soggetti, pari al 38,46%. Qualcuno potrebbe dire che comunque si tratta di trafficanti/spacciatori. Non è così perché il traffico e il grande spaccio sono puniti dall’art. 74, per il quale risultano detenuti, sempre al 31 dicembre 2012, solo 761 soggetti. Dunque, c’è da presumere che la gran parte di quei 25.269 siano i famosi “poveracci” che affollano il carcere, i “pesci piccoli” dello spaccio e i consumatori colti dalla polizia con un poco di sostanza in più della “soglia “ (al di sopra della quale si presume che il possesso di droga sia a fine di spaccio). Il ministero dell’Interno, avvalendosi della relazione della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, è puntuale come un orologio svizzero nel presentare la sua relazione annuale: dalla quale sappiamo che il maggior numero di denunce riguarda i derivati della cannabis (hashish, marijuana, piante). Sono 15.466 denunce sul totale di 36.796: il 49%, in ascesa di otto punti rispetto al 2011. Il capitolo sui tossicodipendenti è ugualmente impressionante: su 63.020 ingressi nel 2012, 18.225 sono i tossicodipendenti, pari al 28,92%; i detenuti tossicodipendenti presenti in carcere al 31 dicembre 2012 sono 15.663, pari al 23,84% del totale. I dati che presentiamo sono del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e del ministero dell’Interno. Non sappiamo se la relazione al Parlamento redatta dal Dipartimento Antidroga, quando uscirà, si atterrà ancora alla nuova classificazione proposta nel 2011, fra “dipendenti” e “assuntori senza dipendenza”. Dietro lo schermo della “scientificità”, questa classificazione malamente nasconde il tentativo di ridimensionare il numero dei tossicodipendenti in carcere, per celare il fallimento delle norme più propagandate della legge: quelle che avrebbero dovuto allargare l’accesso dei tossicodipendenti alle terapie alternative al carcere. La realtà è che i tossicodipendenti continuano a stare in carcere e che la legge antidroga contribuisce in maniera sostanziale al sovraffollamento carcerario: con il risultato della recente condanna dell’Italia per violazione dei diritti umani da parte della Corte di Strasburgo. Ce n’è più che d’avanzo per provvedimenti urgenti nel campo della normativa e della politica antidroga. Il governo, ministra Cancellieri in testa, batta un colpo. Giustizia: Scalia (Pd); rieducazione detenuti incide su sicurezza sociale Asca, 24 luglio 2013 Iniziata oggi al Senato la discussione in aula del ddl di conversione del decreto legge in materia di esecuzione della pena. Il provvedimento intende dare una prima soluzione al sovraffollamento penitenziario agendo sia sul piano normativo che su quello dell’edilizia carceraria. Dopo aver respinto le questioni pregiudiziale e sospensiva della Lega è iniziata la discussione generale. Il senatore Francesco Scalia (Pd), intervenuto nella discussione, ha evidenziato che “riaffermare il primato costituzionale della finalità rieducativa della pena, eliminando automatismi ed affidando il trattamento punitivo alla valutazione discrezionale del magistrato, incide non solo sulla dimensione della popolazione carceraria - il problema che stiamo affrontando - ma anche sulla complessiva sicurezza sociale. È un dato, infatti, che il condannato che espia la pena in carcere recidiva in oltre il 68% dei casi, laddove chi ha fruito di misure alternative alla detenzione ha un tasso di recidiva del 19%, che si riduce all’1% fra quanti sono immessi in un circuito lavorativo”. Scalia ha infine concluso sulla necessità di rivedere la disciplina in materia di custodia cautelare: “Oltre il 40% della popolazione penitenziaria è costituito da persone in attesa di giudizio, persone, cioè, che secondo la nostra Costituzione dobbiamo presumere innocenti e che tali, in larga misura, vengono poi dichiarati all’esito del processo. Bisogna, quindi, intervenire sul terzo comma dell’art. 275 c.p.p., eliminando la presunzione legale di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere per soggetti gravemente indiziati dei reati lì indicati, lasciandola per i soli delitti di mafia: la sola presunzione legale che ad oggi ha superato il vaglio di costituzionalità della Corte. La custodia cautelare in carcere deve tornare ad essere, nel nostro sistema, l’extrema ratio: la misura cui ricorrere in presenza di esigenze cautelari non fronteggiabili con alcuna altra misura. Questa valutazione deve essere affidata al magistrato e non deve rappresentare il portato automatico e necessitato dell’imputazione per particolari tipi di reato, salvo - come detto - che per i delitti di mafia”. Giustizia: decreto-carceri al voto del Senato, primi commenti di esponenti politici Ristretti Orizzonti, 24 luglio 2013 Casson: bene decreto, ora intervenire su intero sistema giustizia “Da anni discutiamo del sovraffollamento penitenziario che rappresenta un’emergenza nazionale, ma con questo provvedimento ci si muove su una doppia linea di intervento che può incidere positivamente sulla difficile situazione nella quale si trovano decine di migliaia di detenuti. Ora si intervenga anche sulle norme che riguardano l’intero sistema giustizia”. Lo ha affermato il senatore Pd Felice Casson, vicepresidente della commissione Giustizia intervenendo in aula sul decreto svuota carceri. “Da un lato - ha spiegato - ci sono le misure dirette a incidere strutturalmente sui flussi carcerari, che agiscono sugli ingressi sia in uscita che in entrata; dall’altro, si prospettano maggiori opportunità di trattamento alternativo al carcere per i detenuti meno pericolosi, proprio per andare incontro alle indicazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo e alla necessità di rispettare le persone evitando situazioni di aggravamento e di peso, mirando alla rieducazione della pena sancita dalla nostra Carta costituzionale. In ogni caso - conclude Casson - questo decreto interviene sull’ultimo segmento del settore giustizia e sarebbe per altro più opportuno che si intervenisse sull’intero sistema, partendo modifiche del codice penale, come la depenalizzazione, modifiche sulle norme della custodia cautelare, ampliamento delle misure alternative al carcere e delle attività lavorative per i detenuti”. Esposito (Pdl): il decreto non basta, serve amnistia “Con l’approvazione di oggi in Senato del decreto sulle carceri si è fatto qualche passo in avanti, ma è ancora troppo poco. In attesa di altri provvedimenti, pur necessari, è giunto il momento di ricorrere all’uso dell’amnistia. Non sarebbe una scelta perdonistica, ma un atto di umanità verso chi ogni giorno è costretto a sopravvivere in condizioni riconosciute vergognose anche dall’Ue. Chi è chiamato a scontare una pena ha il diritto di essere pienamente riabilitato alla società così come sancito dalla nostra Costituzione”. Lo ha dichiarato il vicepresidente dei senatori del Pdl, Giuseppe Esposito, vicepresidente del Copasir. M5S: Pd brancola nel buio e penitenziari si svuotano “Le posizioni che il Pd sta tenendo in aula sul cosiddetto decreto mini-svuota carceri (ricordiamo che non è lo stesso provvedimento in discussione alla Camera) sono chiare come una notte senza luna. È il Partito Democratico che è confuso e brancola nel buio accusando altri dei propri comportamenti”. Lo dice Mario Giarrusso capogruppo Movimento 5 Stelle Giunta per le elezioni e immunità parlamentari Senato della Repubblica. “Il Movimento 5 Stelle - aggiunge - ha espresso chiaramente la propria contrarietà al decreto, perché mancano i presupposti per la sua emanazione. Siamo da trent’anni in emergenza carceraria, dopo decine di indulti e amnistie si continua a procedere sbagliando in via emergenziale e non ragionata e sistematica. Il Pd non venga ad accusare il Movimento 5 Stelle di incoerenza o di inseguire altri. Da sempre il Movimento 5 Stelle ed il movimento dei Meet Up sin dal 2006, sono contro ogni tipo d’indulto palese o mascherato. Sin dai tempi degli scellerati indulti del ministro Mastella”. “Il Pd se li ricorda? Noi abbiamo proposto di affrontare la materia in maniera seria con una legge ordinaria in modo da consentire al Parlamento di ben ponderare gli effetti delle norme - prosegue Giarrusso, che ricordiamolo riguardano la libertà dei cittadini. Il Movimento 5 Stelle non è giustizialista ma chiede che provvedimenti importanti come questi siano frutto di una lunga, prolungata e condivisa discussione aperta all’apporto di tutti: cittadini, associazioni, movimenti, esponenti di maggioranza e opposizione. Il contrario della decretopoli balneare di Letta & Co”. Asse M5S - Lega a senato, Lumia “grillini in confusione” Movimento Cinque Stelle e Lega marciano insieme in Aula al Senato sul dl Svuota Carceri. I due gruppi, sebbene per ragioni diverse, hanno infatti sostenuto la proposta avanzata dal senatore grillino Santangelo di non passare all’esame degli articoli del “decreto recante disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena”. Mentre i grillini contestavano il ricorso alla decretazione d’urgenza perché, come spiegato da Vito Crimi, “sarebbe stato preferibile ricorrere a un disegno legge”, i leghisti hanno fatto notare che “le emergenze del paese sono di natura economica” chiedendo di passare all’esame del decreto Lavoro. “Il Movimento 5 Stelle è in piena confusione e si fa dettare la linea dalla Lega”. Commenta così il senatore Giuseppe Lumia, capogruppo Pd in commissione Giustizia la richiesta di inversione dell’ordine del giorno per bloccare la discussione del decreto svuota carceri avanzata dalla Lega e sostenuta dal Movimento Cinque Stelle. “Al M5S non interessa intervenire per migliorare la difficilissima situazione che vivono migliaia di uomini e donne all’interno degli istituti di pena, visto che i suoi senatori sono arrivati addirittura a smentire se stessi accodandosi alle richieste della Lega. Il calendario dell’aula rimane invariato e provvederemo al più presto ad approvare il decreto atteso, resta la perplessità sul comportamento di un gruppo parlamentare allo sbando che nella sua furia ostruzionista non è in grado di compiere le scelte giuste per il Paese e per i suoi cittadini”, ha sottolineato Lumia. Giustizia: non c’è l’obbligo del carcere per violenza sessuale di gruppo di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 24 luglio 2013 No alla custodia cautelare in carcere per il reato di violenza sessuale di gruppo quando il caso concreto consenta di applicare misure alternative. Prosegue l’opera di smantellamento della presunzione assoluta di pericolosità che aveva caratterizzato parte dei frequenti (negli ultimi anni) pacchetti sicurezza. Ieri la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 275, comma 3, terzo periodo, del Codice di procedura penale. La norma bocciata dalla Consulta con la sentenza n. 232, relatore il giudice Giorgio Lattanzi, prevede che quando esistono gravi indizi di colpevolezza per il delitto di violenza sessuale di gruppo si applica unicamente la custodia cautelare in carcere. Ora la Consulta ha stabilito che, se in relazione al caso concreto, emerge che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte in altro modo, il giudice può procedere diversamente. Nella sentenza, peraltro, la Corte conferma la gravità del reato, da considerare tra quelli più “odiosi e riprovevoli”. Ma la “più intensa lesione del bene della libertà sessuale”, “non offre un fondamento giustificativo costituzionalmente valido al regime cautelare speciale previsto dalla norma censurata”, scrive la Corte. Richiamando anche precedenti decisioni la Consulta ricorda come “la disciplina delle misure cautelari debba essere ispirata al criterio del minore sacrificio necessario: la compressione della libertà personale deve essere, pertanto, contenuta entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto. Ciò impegna il legislatore, da una parte, a strutturare il sistema cautelare secondo il modello della “pluralità graduata”, predisponendo una gamma di misure alternative, connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale, e, dall’altra, a prefigurare criteri per scelte “individualizzanti” del trattamento cautelare”. Nel caso specifico, la presunzione non si giustifica neppure facendo riferimento al carattere plurisoggettivo della violenza sessuale di gruppo. Il confronto con la forza del legame di associazione mafiosa è, infatti, improprio, vista la diversa intensità in termini di intimidazione e assoggettamento di quest’ultima. In generale, nella riflessione della Corte, le presunzioni assolute, soprattutto quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati; inoltre l’irragionevolezza della presunzione assoluta si può cogliere tutte le volte in cui è “agevole” formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa. Deve, pertanto, concludersi che la norma censurata è in contrasto sia con l’articolo 3 Costituzione, per l’irrazionale assoggettamento ad un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi riconducibili alla fattispecie in esame e per l’ingiustificata parificazione dei procedimenti relativi al delitto di violenza sessuale di gruppo a quelli concernenti delitti caratterizzati dalla “struttura” e dalle “connotazioni criminologiche” tipiche del delitto di cui all’articolo 416 - bis codice penale; sia con l’articolo 13, primo comma Costituzione, quale referente fondamentale del regime ordinario delle misure cautelari (...) Sicilia: viaggio all’interno del sistema penitenziario e delle sue falle di Patrizia Romano www.inchiestasicilia.com, 24 luglio 2013 Dalle pene corporali a quelle detentive. Il sistema penitenziale borbonico in Sicilia spazza via molti luoghi comuni su questo infausto periodo. I Borbone riformano l’intero sistema carcerario, dando vita a un nuovo ordinamento che tiene conto delle esigenze elementari dei carcerati e della necessità di educarli, al fine di permettere loro di iniziare una nuova vita, una volta espiata la pena. Tale riforma, però, grazie al forte ostruzionismo provocato dalla burocrazia siciliana, non produce gli effetti desiderati. Da allora, di riforme ne sono state apportate a iosa, ma i risultati continuano a essere insoddisfacenti. Gli obiettivi riformisti della rieducazione e del reinserimento sociale sono sfuggiti ai Borbone e continuano a sfuggire agli attuali governi. Le strutture carcerarie, in molti casi, sono fatiscenti e obsolete, oltre che insufficienti ad accogliere un numero sempre più elevato di detenuti. Le celle sono sovraffollate. L’organico è carente e opera in condizioni di alto rischio. L’ambiente è oltremodo promiscuo. Le condizioni igienico-sanitarie sono precarie. I sistemi di sicurezza inadeguati. La violenza tra i detenuti è l’unica forma di comunicazione, qualche volta con il tacito “lascia-fare” degli agenti di guardia. Il numero dei suicidi è sempre più elevato. Insomma, la situazione, nel suo complesso, è veramente drammatica, con gravi ripercussioni non solo per la popolazione carceraria, ma anche per chi le ruota attorno e per chi sta fuori. Uno dei problemi più gravi rimane il sovraffollamento che si acuisce in rapporto alla carenza strutturale. Gli istituti penitenziari sull’Isola, infatti, sono insufficienti. Secondo dati forniti dalla relazione del Garante per i diritti dei detenuti in Sicilia, Salvo Fleres, i detenuti siciliani rappresentano il 10% della popolazione carceraria italiana. Complessivamente sono più di 8 mila, contro i 26 istituti penitenziari presenti su tutta l’Isola. Quasi il doppio della capienza prevista dalla legislazione, che fissa in 4.500 posti la capienza tollerabile. Il sistema giudiziario, se opportunamente applicato, potrebbe alleggerire il numero dei detenuti. Circa l’80% di questi potrebbe non essere in carcere. Infatti, oltre 2 mila tra imputati e ricorrenti sono ospitati in istituti di pena, più di 300 sono internati, ossia detenuti considerati soggetti pericolosi, senza aver di fatto commesso alcun reato specifico. La detenzione in carcere comporta, oltretutto, costi molto elevati. Ogni giorno, un detenuto costa alla società 250 euro circa. Soldi che potrebbero essere utilizzati per le attività rieducative e per il reinserimento. Grazie all’attività di riabilitazione sociale, circa l’80% dei detenuti, scontata la pena, non ritorna a delinquere. Il reinserimento, infatti, avrebbe dovuto essere uno degli aspetti fondamentali dei pacchetti di riforme varati nei secoli. Su questo fronte, però, le cose non funzionano affatto: soltanto il 27% dei detenuti viene impiegato in attività lavorative e meno del 9% lavora alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. I corsi di formazione professionale coinvolgono, a malapena, il 13% dei detenuti. Eppure, l’articolo 15 dell’ordinamento penitenziario prevede una serie di interventi che dovrebbe attuare la stessa amministrazione penitenziaria. Poco o niente viene fatto pure nell’ambito lavorativo su base industriale, che consiste in attività gestite dall’amministrazione penitenziaria o da imprenditori esterni e al lavoro al di fuori, che avviene attraverso l’ammissione del recluso al beneficio all’esterno e dell’affidamento in prova al servizio sociale. Di tutto questo, dicevamo, viene fatto ben poco, nonostante la Sicilia sia stata l’unica regione ad approvare la legge regionale numero 16 del ‘99, che prevede la concessione di aiuti a favore di attività lavorative autonome da parte di detenuti in espiazione di pena. La creazione di sistemi detentivi alternativi a quello intramurario potrebbe arginare il problema del sovraffollamento. Gli obiettivi, annunciati dal provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, sembrano, però, seguire un’altra direzione. Per i prossimi anni è prevista, infatti, la costruzione di nuove strutture, come quattro nuovi carceri, di cui uno a Catania, due nuovi padiglioni a Palermo e ad Agrigento; inoltre, sono stati già approvati i progetti per la costruzione di nuove sedi a Caltagirone, Siracusa e Trapani. La Sicilia invece è l’unica regione d’Italia a non avere recepito il decreto dell’1 aprile 2008 sul sistema sanitario, che assicura il trasferimento dell’assistenza dal Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) all’amministrazione regionale. Sarebbe sufficiente, anche in un solo ospedale per provincia, destinare ai detenuti un reparto con un minimo di tre posti letto per garantire loro un’adeguata assistenza. Non esiste alcuna tutela per la salute dei detenuti e non si fa nulla per favorire l’attività del personale sanitario. La situazione è veramente grave se consideriamo che soltanto il 20% dei reclusi può dirsi veramente sano. Il 38% circa si trova in condizioni mediocri, il 37% in condizioni precarie e il 4% ha delle patologie gravi. L’altro aspetto che appesantisce ulteriormente la situazione è la presenza di tossicodipendenti, che rappresentano il 21% circa della popolazione carceraria e che sono soggetti particolarmente predisposti a qualsiasi tipo di patologia. Per non parlare, poi, dei detenuti affetti da Hiv. Vista la promiscuità che mette a grave rischio tutti gli ospiti della stessa cella, si preferisce nascondere il loro stato di salute che affligge i loro compagni di stanza agli altri detenuti. La situazione all’interno degli istituti di pena è aggravata dalla forte carenza organica. La mancanza di personale si è acuita in seguito all’aumento dei detenuti, contro l’andamento del personale in atto che, negli ultimi anni, ha perso oltre 200 unità. Alla fine degli anni Novanta, infatti, la polizia penitenziaria in Sicilia contava 893 unità. Oggi appena 671. Accanto a questo, assistiamo a una repentina riduzione del capitolo missioni, che è passato da 2.400 euro nel 2007 ai 1000 euro degli ultimi tre anni. La carenza di personale ha gravi ripercussioni sul sistema. Basti pensare che il carcere di Noto non apre perché mancano 100 unità rispetto a quelle in atto. A Gela, invece, necessiterebbero circa 100 unità in più. Al Pagliarelli di Palermo, dovrebbero essere assegnate ex novo circa 40 unità. All’Ucciardone mancano infine 20 unità per l’adeguamento dell’infermeria. Il quadro è veramente sconfortante. Tuttavia, una migliore organizzazione del lavoro e un maggiore ricorso alle tecnologie migliorerebbe la situazione. Si stima che, se in tutte le celle ci fossero le prescritte docce, se le porte interne fossero meccanizzate, se negli ospedali fossero ricavati piccoli reparti per la degenza dei reclusi e se si realizzasse una più accorta e meno dispendiosa gestione delle sedi di assegnazione e dei trasferimenti dei reclusi, si determinerebbe un risparmio pari al 20% del personale di custodia previsto in organico, con recuperi finanziari rilevanti per le casse dello Stato. Lazio: il Garante Angiolo Marroni; con caldo condizioni inumane nelle carceri… basta parole Adnkronos, 24 luglio 2013 “I detenuti cercano di richiamare l’attenzione sulla situazione carceraria, che con l’arrivo del caldo inevitabilmente porterà a maggiore isolamento e sofferenza. Il carcere di Regina Coeli andrebbe chiuso senza alcuna esitazione, e invece continueranno ad arrivare detenuti che saranno costretti a vivere in condizioni inumane”. Così il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, commenta all’Adnkronos lo sciopero della fame promosso dai detenuti di Regina Coeli per protestare contro l’emergenza caldo nelle carceri italiane già sovraffollate. “Io sono assolutamente convinto che questa realtà si affronta solo se si va alla radice del problema e cioè al fatto che si deve modificare la legislazione attuale che per ogni comportamento illecito produce detenzione. Se non si fa questo, tutto il resto sono parole - sottolinea Marroni - Sull’amnistia ho seri dubbi che si farà, credo che due terzi del parlamento non la voterebbe - spiega Marroni - Sull’indulto non credo sia utile”. “Il ministro della Giustizia in qualche modo stava andando nella giusta direzione ma in questi giorni la commissione giustizia del Senato è riuscita a peggiorare quel provvedimento - aggiunge - Io spero che il Senato prima e la Camera poi facciano passare questo provvedimento che, seppure insufficiente, mostra comunque la volontà di cambiare. Padova: detenuti in sciopero della fame, per diritto di essere in cella in due e non in tre Dire, 24 luglio 2013 Due detenuti della Casa di Reclusione di Padova in sciopero della fame, con cui rivendicano il diritto di essere in cella in due e non in tre: i loro nomi sono Pasquale Giordano e Said Abdurahmanovic, terzo blocco, lato A, cella 23, Casa di reclusione di Padova. Scioperano appellandosi all’accoglimento del ricorso alla Corte Costituzionale da parte del Magistrato di sorveglianza circa i 3 mq come soglia minima dello spazio in cella. Lo scorso febbraio, infatti, il Giudice di Sorveglianza di Padova Marcello Bortolato, presentò ricorso alla Consulta per chiarire la costituzionalità dell’articolo 147 del codice penale che non prevede tra i motivi di sospensione della pena il sovraffollamento del carcere. E chiese alla Consulta una sentenza “additiva”, che cioè dia ai giudici la facoltà di sospendere e rinviare l’esecuzione in carcere della pena di un detenuto non soltanto quand’essa potrebbe determinare “grave infermità fisica” (unico evento oggi contemplato dalla legge), ma anche nei casi in cui verrebbe scontata in condizioni intollerabili di sovraffollamento e dunque si risolverebbe in “trattamenti disumani e degradanti”, secondo la definizione della Corte europea dei Diritti dell’uomo di Strasburgo nelle sentenze che hanno condannato già due volte l’Italia per aver lasciato ai carcerati meno di 3 metri quadrati a testa. L’espressione “numero chiuso” naturalmente non compare mai nella dotta ordinanza redatta dal Giudice di Sorveglianza di Padova Marcello Bortolato, nel collegio presieduto da Giovanni Maria Pavarin. Ma sarebbe la conseguenza pratica se la Consulta accogliesse la questione: come negli Stati Uniti, dove la Corte Suprema nel 2011 ha confermato l’ordine che nel 2009 una Corte federale aveva intimato al governatore della California di ridurre di un terzo la popolazione carceraria in base all’ottavo emendamento della Costituzione americana che vieta le pene crudeli; o a come in Germania, dove sempre nel 2011 la Corte costituzionale ha richiamato il dovere di interrompere reclusioni “disumane” se le soluzioni alternative sono improponibili. Il dilemma postosi al Tribunale riguardava una richiesta di sospensione e differimento della pena avanzata da un detenuto che, dopo 33 giorni con a disposizione 3,03 metri quadrati nella casa di reclusione di Padova (889 presenze contro 369 posti regolamentari), era stato trasferito nella casa circondariale (226 detenuti contro una capienza di 104) per 9 giorni con 2,43 mq a disposizione, e per 122 giorni con 2,58 mq di spazio, peraltro in concreto ridotti dal mobilio. Comunque sempre meno dei 3 mq a testa che Strasburgo (nelle sentenze Sulejmanovic e Torreggiani di condanna dell’Italia nel 2009 e 2013) ha ritenuto parametro vitale minimo al di sotto del quale c’è violazione flagrante dell’articolo 3 della Convenzione dei Diritti dell’uomo e dunque, per ciò solo, “trattamento disumano e degradante”. Il Tribunale muove dalla propria impotenza: deve eseguire una pena che sa disumana e degradante, ma non può evitarlo perché l’articolo 147 (invocato dall’avvocato Diego Bonavina) consente di rinviare l’esecuzione della pena solo in caso di grave malattia. Eppure, ragionano i giudici, mentre la pena resta legale anche se la rieducazione verso la quale deve obbligatoriamente tendere non viene raggiunta, il fatto che essa non possa consistere in un trattamento contrario al senso di umanità significa che “la pena inumana non è legale, cioè è “non pena “, e dunque andrebbe sospesa o differita in tutti i casi in cui si svolge in condizioni talmente degradanti da non garantire il rispetto della dignità del condannato”. Da qui la richiesta alla Consulta di estendere anche a questi casi la facoltà del giudice di rinviare la pena dopo aver operato, volta per volta nella vicenda singola, un “congruo bilanciamento degli interessi da un lato di non disumanità della pena, e dall’altro di difesa sociale”. Sassari: detenuto tenta suicidio, Sindacati PolPen rilanciano allarme per carenza agenti Ansa, 24 luglio 2013 Nuovo tentativo di suicidio nelle carceri sarde. Dopo i recenti episodi, l’ultimo quello della settimana scorsa nell’istituto di Lanusei, il segretario generale aggiunto del sindacato Osapp, Domenico Nicotra, denuncia un fatto registrato nel nuovo carcere di Bancali, a Sassari, appena inaugurato dal ministro della Giustizia. “Ancora una volta - commenta Nicotra - solo grazie alla Polizia penitenziaria, ormai allo stremo delle forze, si è scongiurata l’ennesima morte nelle patrie galere. Il detenuto di nazionalità romena, che già nell’arco di 15 giorni ha tentato il suicidio, Å stato infatti tratto in salvo solo grazie all’intervento degli agenti del carcere”. Il sindacalista rilancia l’allarme al Guardasigilli per la carenza di organico delle carceri sarde: “il rischio - dice - è che la prossima volta, con un altro aspirante suicida, non si arrivi in tempo”. Prende posizione anche Maria Grazia Caligaris, presidente dell’Associazione Socialismo Diritti Riforma. “Le nuove strutture penitenziarie non sono in grado di annullare il disagio, forse qualche volta possono contenerlo - sottolinea - L’adozione di misure alternative e l’inclusione sociale sono le uniche soluzioni valide per evitare gravi gesti di autolesionismo”. Reggio Calabria: Nicolò (Pdl); nuovo carcere Arghillà importante per dignità detenuti Asca, 24 luglio 2013 “Legalità e sicurezza quali scelte sociali prioritari per ridisegnare il nuovo sistema carcerario calabrese nell’ottica di una nuova dignità del detenuto: è questo il messaggio più importante che si lega all’inaugurazione del carcere di Arghillà che scrive una pagina storica in termini di operosità, efficienza ed affermazione della centralità della persona”. A dirlo, è il vice Presidente del Consiglio regionale della Calabria, Alessandro Nicolò, che ha partecipato alla cerimonia odierna di inaugurazione della struttura penitenziaria. “Venticinque anni segnati da una lenta burocrazia e da ritardi che hanno sempre rimandato al domani quello che era una esigenza fondamentale: dotare il nostro territorio di strutture adeguate e moderne dove il reo possa realizzare il suo reinserimento sociale e lavorativo. Per anni, abbiamo denunciato come le condizioni fatiscenti che accompagnano le carceri italiani, di fatto abbiano alimentato atteggiamenti autolesionistici e forme di aggressività che la cronaca, in tutto questo tempo, ci ha tristemente consegnato. Ebbene - continua il vicepresidente Nicolò - il taglio del nastro da parte del Ministro Cancellieri rappresenta un momento storico per la comunità calabrese e per la città di Reggio Calabria, il segno concreto e tangibile della vittoria dello Stato in una terra dove la criminalità alza continuamente la testa, ed anche l’esempio di buona politica che produce risultati mettendo in campo un’azione di velocizzazione per il completamento della struttura”. “Il sistema penitenziario costituisce uno degli indicatori di civiltà di uno Stato che non pensi solo a comminare “vendette, ma che sia garante delle parti. Un sistema che diventi immagine reale della democrazia compiuta e dei diritti dei detenuti quali principi fondanti della nostra Costituzione che la sentenza di Strasburgo e la conseguente condanna dell’Italia hanno riportato nella più stringente attualità e drammaticità. La riconquista dei diritti umani passa da eventi come quello odierno, dalla nascita di un nuovo presidio di legalità in una terra certamente difficile, ma dove, grazie alla sinergia istituzionale, i grandi risultati e i grandi traguardi sono comunque possibili. Ed è in questo contesto - conclude Nicolò - che faccio mio l’augurio del Ministro Cancellieri affinché, dopo Arghillà, Reggio abbia anche il suo nuovo Tribunale”. Reggio Calabria: Cancellieri; il carcere di Laureana di Borrello riaprirà il 30 settembre Asca, 24 luglio 2013 “Il carcere di Laureana di Borrello (Rc) riaprirà il 30 settembre prossimo”. Un impegno solenne quello assunto dal Ministro della Giustizia Giustizia, Anna Maria Cancellieri, nel primo pomeriggio in Prefettura, incontrando una delegazione guidata dal presidente della Provincia Giuseppe Raffa e composta dall’assessore alla legalità Eduardo Lamberti Castronuovo, dal presidente del Comitato “Salvare il carcere di Laureana di Borrello” Rocco Domenico Ceravolo, da Carmela Virgillo e Mario Nasone, dal consigliere provinciale Giuseppe Longo e dal consigliere di parità della Provincia Daniela De Blasio. Garante dell’incontro, che ha registrato la presenza dello staff del Ministro, il prefetto di Reggio Calabria Vittorio Piscitelli. Nel corso della riunione, il ministro Cancellieri, aderendo all’invito dell’Amministrazione provinciale, ha garantito altresì la sua presenza alla mostra, voluta e curata proprio dall’Ente di via Foti, di quadri confiscati ad un operatore economico reggino e in programma il prossimo 3 agosto in uno dei locali del Museo Nazionale della Magna Grecia della città dello Stretto. “Grazie al Prefetto Piscitelli - ha commentato il presidente della Provincia Giuseppe Raffa al termine della riunione - abbiamo avuto il modo d’incontrare il Ministro della Giustizia per illustrare la fondamentale funzione sociale del carcere di Laureana di Borrello. Sul problema il Ministro era abbondantemente informato. Per noi è stato un motivo di grande soddisfazione aver illustrato gli impegni che come Amministrazione provinciale abbiamo assunto affinché questa struttura torni a svolgere quella funzione di riabilitazione sociale che l’ha caratterizzata in passato. Il Ministro ha dato la sua parola d’onore sull’impegno assunto per la riapertura di una struttura ritenuta fiore all’occhiello del Paese nell’accompagnare i detenuti nel loro reinserimento sociale. Il Ministro Cancellieri - ha terminato Raffa - ha dimostrato non solo sensibilità e disponibilità all’ascolto, ma anche grande decisionismo che non può non far bene alla politica e allo Stato che, anche in questa circostanza, ha dimostrato vicinanza al territorio”. Catanzaro: intesa Cancellieri-Scopelliti per apertura nuovo Centro Clinico penitenziario Asca, 24 luglio 2013 Il Presidente della Regione Calabria, Giuseppe Scopelliti, ed il Ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri - informa una nota - hanno firmato in Prefettura, a Reggio Calabria, un protocollo d’intesa, finalizzato all’apertura del Centro Diagnostico Terapeutico presso la Casa Circondariale di Catanzaro. Alla sottoscrizione dell’atto erano presenti, tra gli altri, il direttore generale dell’Asp di Catanzaro, Gerardo Mancuso, e Rubens Curia che ha seguito costantemente il progetto. Si conclude un iter procedurale lungo quasi un decennio, tempo nel quale è stata rifunzionalizzata, adeguata alla normativa sanitaria e dotata sotto il profilo tecnologico, una intera ala del penitenziario di Catanzaro. La struttura si sviluppa su quattro piani, uno dei quali è già in uso ai servizi sanitari dello stesso istituto, ed accoglie ambulatori specialistici e servizi generali. La assoluta peculiarità della struttura è legata alla specializzazione del primo e del quarto piano. Il primo è stato integralmente ristrutturato e finalizzato al trattamento dei detenuti affetti da disabilità motorie: conta di 11 camere con servizi a norma; ha annesse palestre mediche e piscina sanitaria per idrochinesiterapia riabilitativa, mentre il quarto rappresenta la prima concreta ed immediata risposta della Regione Calabria alla recente normativa che prevede la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Infatti alla luce della legge 9 del 17 febbraio 2012 è stato avviato l’iter di riconversione del “Padiglione” nell’ambito dell’ex “Monumentale” di Girifalco a REMS (Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza); ma gli accordi in conferenza unificata, propedeutici alla legge stessa, prevedevano anche l’implementazione dei servizi di salute mentale presso gli istituti penitenziari ordinari. La peculiarità costruttiva della struttura e le mutate esigenze sanitarie hanno quindi consentito di destinare il IV piano a due esigenze “di qualità” in questo ambito: una seconda sezione regionale di Osservazione Psichiatrica destinata a detenuti di Alta Sicurezza (quella dedicata ai detenuti di Media Sicurezza è attiva dal 2006 presso l’Istituto Penitenziario di Reggio Calabria), ed uno specifico reparto per detenuti affetti da patologie psichiatriche. Quest’ultimo, a valenza prioritariamente trattamentale, piuttosto che di mera custodia, avrà come obiettivi progetti clinici e riabilitativi di lunga portata, tali da avviare in sinergia con i DSM di residenza dei detenuti una presa in carico che prosegua oltre il periodo di reclusione, in una visione integrata dell’assistenza specialistica presso le carceri che superi l’episodicità del contesto, ma che si collochi quale momento di una rete territoriale di assistenza e cura, in particolare per queste specifiche aree di fragilità clinica e sociale. È un progetto complessivo di grande respiro e fortemente avanzato, non solo nel panorama nazionale. Infatti altri reparti per disabili sono solo presso l’omologo Centro Diagnostico Terapeutico di Parma e presso la Casa Circondariale di Busto Arsizio (non ancora funzionante), mentre specifici reparti per il trattamento della disabilità mentale sono presenti solo in poche realtà italiane (in particolare a Torino, presso le carceri “Lo Russo e Cotugno”) e solo da qualche anno l’esperienza delle sezioni di Osservazione Psichiatrica, nella quale la Calabria è stata pioniere, si sta diffondendo in Italia. Anche questo è quindi un traguardo ambizioso raggiunto ed in piena sinergia istituzionale tra la Regione Calabria, Dipartimento Tutela della Salute ed Asp di Catanzaro, i cui tecnici hanno guidato la progettazione e realizzazione a norma sanitaria della struttura, ed il Ministero della Giustizia. Inoltre un gruppo di lavoro interistituzionale Sanità - Giustizia, ha dettagliatamente esaminato la struttura e le dotazioni impiantistiche e tecnologiche, confermandone la rispondenza alla normativa nazionale e regionale vigente. Un’ultima considerazione di natura generale è legata ai modelli ed alle strategie di gestione della fragilità mentale presso le carceri calabresi. A breve vedrà la luce il documento conclusivo del progetto sul disagio mentale, elaborato tramite gli “Obiettivi di PSN 2009 - 2010”, congiuntamente dalle ASP regionali con capofila quella di Reggio Calabria. Alla prossima presentazione e validazione scientifica del documento, che inquadrerà le principali problematiche psicopatologiche dei detenuti, gli strumenti di analisi, i protocolli di gestione specialistica a seconda del livello di detenzione e delle problematiche emergenti, dalla fase di attesa del giudizio alle misure di sicurezza presso la Rems di Girifalco, con particolare riguardo anche alla prevenzione del rischio suicidario, farà seguito una formazione diffusa, capillare, a tutti gli operatori del settore, non escluso il volontariato penitenziario. Pordenone: Regione sollecita Stato a cessione del vecchio carcere per costruzione nuovo Messaggero Veneto, 24 luglio 2013 “È necessario un passaggio rapido della proprietà del castello di Pordenone dal demanio statale al Comune. Di questa richiesta si è fatta portavoce la Regione in sede di conferenza dei servizi affinché venga celermente avviato l’iter di trasferimento”. Lo ha dichiarato l’assessore alla Pianificazione territoriale, Mariagrazia Santoro, intervenendo alla conferenza dei servizi tenutasi a San Vito al Tagliamento per vagliare il progetto di conversione della caserma Dall’Armi in istituto penitenziario. “Preso atto - ha affermato Santoro - che l’ufficio del commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie ha definitivamente inserito questa nuova struttura penitenziaria nel piano carceri a servizio del circondario di Pordenone, si rende ora necessario garantire il rapido superamento della dismissione del carcere di Pordenone. Se da un lato viene infatti recuperata una struttura dismessa da 20 anni - ha aggiunto l’assessore - dall’altro la Regione intende vigilare affinché non venga creata una nuova area dismessa a Pordenone e, a questo scopo, è necessario accelerare l’iter di passaggio di proprietà del castello dallo Stato al Comune”. Alla conferenza dei servizi erano presenti anche i rappresentanti della direzione regionale del ministero per i Beni e le attività culturali, la Sovrintendenza per i beni archeologici, l’Agenzia del demanio della Regione, la Provincia, la Prefettura, l’Arpa, il Comando provinciale dei Vigili del fuoco, l’Azienda sanitaria, il Comune di San Vito, nonché i rappresentanti di Società italiana per il gas, Enel, Telecom, Caibt e Fvg strade. L’area della caserma Dall’Armi, dismessa da oltre 20 anni, ha una forma a quadrilatero che si estende su circa 50 mila metri quadrati, con diverse strutture e fabbricati un tempo destinati alle varie funzioni militari. L’ipotesi è che al suo interno possano essere ricavate un’area servizi, con uffici e direzione, e un’area sicurezza con il padiglione detentivo. “Il passaggio del castello di Pordenone al Comune - ha commentato l’assessore - è a questo punto l’unica strada percorribile per giungere velocemente a un riutilizzo dell’area carceraria. Il castello - ha concluso - potrebbe così essere restituito alla città e convertito a uso civile, valorizzandone l’inserimento nel contesto urbanistico”. Chieti: domani Preliminary English Test a due persone detenute presso la Casa Circondariale Ristretti Orizzonti, 24 luglio 2013 Nella giornata di domani giovedì 25 luglio nella Casa Circondariale di Chieti, la Scuola di Lingue Athena Docet S.R.L. effettuerà, con apposita commissione, l’esame per il conferimento della Certificazione Internazionale P.E.T. (Preliminary English Test) a due persone attualmente detenute presso la Circondariale. La Commissione si recherà in Istituto nella mattinata di domani e sottoporrà i detenuti alle prove d’esame. Ciò costituisce l’esito di un percorso durato due anni, durante i quali la docente volontaria Rosie Di Rado, di origini italiane ma nata a Perth (Australia), ha impartito con costanza ed ammirevole impegno, lezioni di Lingua Inglese all’interno della Casa Circondariale di Chieti. Il Corso costituisce una delle attività trattamentali dell’Istituto e, sino ad oggi, non ha goduto di fondi economici, pertanto la docente si è occupata personalmente di tutto il materiale da mettere a disposizione degli studenti-detenuti, che la Direzione dell’Istituto è riuscita ad inserire nel corso. Rosie ha offerto materiale, competenze e tempo libero, dedicandosi al corso con professionalità tanto da riuscire ad elevare il livello di conoscenza della lingua inglese di due detenuti del corso al punto idoneo per l’effettuazione di un simile esame, che si ricorda costituisce una certificazione di valore universitario, con riconoscimento internazionale. Vale appena la pena sottolineare il valore che tale possibilità riveste per le persone detenute, in termini di auto-stima e di conferimento di significati positivi a momenti difficili della propria esistenza. Livorno: detenuto pestato dagli agenti penitenziari, parte l’esposto alla Procura La Nazione, 24 luglio 2013 La denuncia arriva dal garante Marco Solimano. L’episodio di violenza sarebbe avvenuto nel carcere delle Sughere. Il Garante dei diritti dei detenuti di Livorno, Marco Solimano, ha presentato ieri un esposto alla procura, dopo aver sentito il sindaco Alessandro Cosimi, poiché nei giorni scorsi al suo ufficio è stata segnalata la notizia di percosse ai danni di un detenuto di nazionalità tunisina che la stessa vittima avrebbe imputato ad agenti penitenziari del carcere livornese. Le percosse avrebbero provocato al detenuto lesioni a un timpano come refertato in ospedale. “L’esposto - spiega una nota dell’ufficio stampa del Comune - ha l’obiettivo di attivare tutti gli strumenti per far luce su una vicenda accaduta all’interno della casa circondariale ‘Le Sugherè e verificare l’attendibilità delle dichiarazioni rese”. Il garante ha incontrato personalmente il detenuto che “ha confermato le stesse dichiarazioni rilasciate il giorno prima alla direttrice del carcere durante un Consiglio di disciplina - prosegue il comunicato - quelle cioè di essere stato percosso da un gruppo di agenti della polizia penitenziaria all’interno di una cella di sicurezza, adiacente all’ufficio matricole”. Inoltre, il garante è stato informato di un referto medico, rilasciato dal reparto di otorino dell’ospedale di Livorno su richiesta del Pronto Soccorso e del personale sanitario del carcere, che diagnostica lesioni al timpano dell’orecchio sinistro del detenuto. Anche la direzione del carcere, in virtù delle dichiarazioni raccolte dal detenuto, ha trasmesso gli atti alla procura di Livorno. Piacenza: detenuto aggredito nella sua cella, due condanne e un rinvio a giudizio www.ilpiacenza.it, 24 luglio 2013 Si è conclusa l’udienza dal giudice Gianandrea Bussi per l’aggressione in carcere a un detenuto, che era stato brutalmente pestato nel luglio di due anni fa. Il giudice ha derubricato, però, il reato originario di tentato omicidio in lesioni volontarie gravissime. Due condanne e un rinvio a giudizio. Si è conclusa così l’udienza dal giudice Gianandrea Bussi per l’aggressione in carcere a un detenuto, che era stato brutalmente pestato nel luglio di due anni fa. Il giudice ha derubricato, però, il reato originario di tentato omicidio in lesioni volontarie gravissime. Un ecuadoriano di 24 anni è stato condannato a tre anni, un marocchino di 38 a due anni e 8 mesi, mentre un agente della polizia penitenziaria è stato rinviato a giudizio per lesioni e falso. Il pubblico ministero Ornella Chicca aveva chiesto pene di sei anni. I due imputati stranieri hanno scelto il rito abbreviato. Soddisfatti i legali degli imputati che hanno visto cadere l’accusa di tentato omicidio. Piero Spalla e Paolo Lentini, che assistevano l’ecuadoriano, hanno detto che leggeranno le motivazioni della sentenza e valuteranno il ricorso in appello. Ipotesi che dovrebbe essere considerata anche dall’avvocato Wally Salvagnini, difensore del marocchino. Il detenuto picchiato, un 45enne ligure, si è visto risarcire il danno con una provvisionale di alcune decine di migliaia di euro. L’uomo, che si era costituito parte civile con l’avvocato Paolo Cattadori, aveva riportato seri traumi, era stato operato e aveva avuto danni permanenti che gli hanno causato un’infermità. Nella scorsa udienza, alla fine di giugno, si era svolta l’udienza dove era stato ascoltato il perito del giudice, il medico Tiziana Folin, che aveva esaminato le lesioni. Anche qui, difese e parte civile si erano divise sui risultati - “quelle lesioni potevano uccidere; non è vero non erano mortali” - sostenendo o meno la validità dell’imputazione di tentato omicidio. Diversa, invece, la strada percorsa dell’assistente della polizia penitenziaria, difeso dagli avvocati Benedetto Ricciardi e Luigi Alibrandi. I legali hanno scelto di andare in dibattimento, perché il loro assistito non ha partecipato al pestaggio né lo ha coperto, essendo in un punto del carcere in cui non poteva vedere cosa stava accadendo. Il detenuto pestato - finì in ospedale per un mese e riportò fratture anche al volto - venne trasferito in un altro carcere. A scatenare la violenza, secondo le indagini, sarebbe stata l’abitudine del genovese a “parlare troppo”. Secondo le indagini della Squadra mobile, mentre i due detenuti lo pestavano con brutalità, l’agente della penitenziaria avrebbe fatto finta di non vedere standosene in disparte. Reggio Emilia: Sappe; agente aggredito da internato Ospedale Psichiatrico Giudiziario Adnkronos, 24 luglio 2013 Un agente della polizia penitenziaria è stato aggredito da un internato ristretto nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia. L’agente, riferisce il Sappe, Sindacato autonomo di polizia Penitenziaria, ha riportato una forte contusione alla mano e al volto e ha dovuto fare ricorso alle cure in ospedale, con una prognosi di cinque giorni. “Ricordiamo che la situazione nelle strutture degli ospedali psichiatrici giudiziari è sempre molto critica, a causa della presenza di persone con gravi problemi psichiatrici che rendono difficile la gestione - denuncia Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe. Gli ospedali psichiatrici giudiziari dovevano essere riorganizzati entro il mese di marzo 2013, ma a causa dei ritardi nella messa a disposizione delle strutture da parte delle regioni e di difficoltà organizzative continuano a rimanere mella stessa condizione di prima”.