Giustizia: nuova battaglia di Pannella per l’amnistia, inizio uno sciopero della sete Notizie Radicali, 20 luglio 2013 Il leader radicale: "Bisogna cessare Subito questo crimine. Il mio è un atto di amore verso le istituzioni". Pannella annuncia un nuovo sciopero della sete, un Satyagraha per la giustizia, per chiedere quell’amnisitia che servirebbe non solo a mettere fine alle condizioni inumane di vita dentro le carceri ma anche a ottenere la cancellazione delle procedure di infrazione dell’Italia. "Il mio è un atto di amore verso le istituzioni" annuncia l’anziano leader radicale che spiega: "farò un giorno di sciopero della sete e dopo un giorno farò le analisi per sapere in quali condizioni sarò per proseguirlo". A giorni, annuncia sempre Pannella, dovrebbero prendere il via altre azioni non violente nelle carceri. "Dobbiamo arrivare immediatamente alla cessazione di questa flagranza criminale e poter ottenere entro fine anno la decadenza dell’imputazione nei nostri confronti" dice Pannella ricordando, tra l’altro che, tra cause civili e processi penali, sono 15 milioni le famiglie italiane che patiscono per il malfunzionamento della giustizia. Per mettere fine però alla drammatica situazione che vivono i detenuti nelle carceri italiane Pannella spinge anche per la formalizzazione del reato di “tortura”. "Non lo vogliono a causa delle carceri" dice il leader storico dei radicali che invita anche gli operatori di giustizia, dai giudici ai direttori delle carceri, ad "opporsi all’ordine di carcerazione" quando viola i diritti e le tutele previste dalla Costituzione. Giustizia: cara Bonino, l’Italia si impegni per il rispetto dei diritti umani, ora o mai più… di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone) Il Manifesto, 20 luglio 2013 “Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti”. Questo è scritto all’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Una Carta che non è un esercizio di stile, una summa di buone intenzioni, un elenco di propositi generosi. Dal primo dicembre del 2009, per chi se lo fosse dimenticato, la Carta di Nizza ha la stessa forza giuridica dei Trattati istitutivi della Ue. Vincola le istituzioni europee ma vincola anche gli Stati membri. “Sulla base della discussione avuta con la società civile, con i pubblici ufficiali, i giudici, gli avvocati, e alla luce delle interviste con le vittime di violenze e con altre persone in stato di privazione della libertà, il Rapporteur Speciale sulla tortura delle Nazioni Unite conclude che l’uso della tortura in Kazakistan va oltre casi isolati”. Il professore austriaco Manfred Nowak giunse a queste conclusioni pochi anni addietro dopo che gli erano pervenute innumerevoli, credibili e circostanziate denunce di tortura, in molti casi dimostrate da una evidente prova medico-legale. Conclusioni non distanti d’altronde da quelle a cui è successivamente giunta Amnesty International. Nell’ultimo Rapporto sui diritti umani in Kazakistan curato dagli Stati Uniti d’America si legge di denunce di assassinii illegali imputabili al Governo, di torture nei confronti dei dissidenti politici nonché della assenza di organismi indipendenti di controllo per chi è ristretto nella libertà personale. Tra le osservazioni critiche del Regno Unito nei confronti del Kazakistan, espresse in occasione dell’ultima Universal Periodical Review davanti al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, vi era quella relativa alla necessità di istituire un meccanismo preventivo di controllo dei luoghi di detenzione come richiesto dal Protocollo Opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. L’Italia ha quindi evidentemente commesso una illegalità. Come una illegalità è stata commessa nella rendition di Abu Omar. Vedremo se la moral suasion nei confronti delle autorità kazake eviterà il peggio per le due povere donne e consentirà loro di evitare di finire sotto le unghie affilate degli apparati di sicurezza di quel Paese. Detto questo, siamo però noi italiani, dal punto di vista del rispetto delle norme internazionali e quindi su un piano astratto e generale, così tanto diverso rispetto ai kazaki? Vediamo un po’ cosa dicono di noi ad esempio Nazioni Unite e Stati Uniti d’America. Nell’ultimo Rapporto della Casa Bianca sull’Italia viene ricordata la assenza del crimine di tortura nel codice penale nonché la sentenza del giudice di Asti che a causa di questa lacuna assicurava di fatto impunità penale a quattro agenti di polizia penitenziaria accusati di violenze brutali. Nell’ultimo Rapporto del Consiglio delle Nazioni Unite in sede di Universal Periodical Review ci è stato ricordato che il nostro Paese non ha adempiuto a vari obblighi posti dal diritto internazionale dei diritti umani, tra cui quello della criminalizzazione della tortura e quello di istituire un organismo indipendente di controllo dei luoghi di detenzione. Proprio come accade in Kazakistan. Ambedue i Paesi hanno firmato e ratificato le Convenzioni Internazionali senza poi implementarle nei propri territori. La brutta vicenda kazaka ci dovrebbe portare a riflettere intorno al nostro ordinamento e al suo essere monco in materie così sensibili rispetto alla democrazia e allo stato di diritto. Per questo ci appelliamo alle ministre della Giustizia e degli Esteri, Cancellieri e Bonino, affinché portino in consiglio dei ministri un disegno di legge governativo che colmi queste insopportabili lacune, ovvero che introduca il delitto proprio di tortura nel codice penale e istituisca un organismo nazionale di controllo di tutti i luoghi di detenzione. Giustizia: Mario Staderini (Radicali); tortura e diritti umani? Emma ha le mani legate Intervista a cura di Eleonora Martini Il Manifesto, 20 luglio 2013 I casi Abu Omar e Shalabayeva; i diritti umani e la tortura, in Kazakistan come in Italia. Temi che chiamano in causa inevitabilmente i Radicali, per le lotte che hanno sempre sostenuto e per le responsabilità di governo di Emma Bonino. Ma per Mario Staderini, segretario di Radicali italiani, seppure è chiaro “il nesso paradossale di un’Italia che non ha mai conosciuto l’habeas corpus e in cui lo stato di diritto è stato distrutto”, e dunque “ha poco da insegnare al Kazakistan”, non è lecito attribuire all’attuale ministro degli Esteri responsabilità dirette né sul caso Abu Omar né sul rimpatrio della moglie del dissidente kazako. Forse si può però sperare che Bonino prenda al più presto un’iniziativa per spingere il nostro Paese verso la legalità internazionale, introducendo almeno il reato di tortura nel nostro ordinamento penale. Eppure anche D’Alema si è detto stupito e ha domandato se alla Farnesina fossero in letargo, durante l’operazione di rendition di Alma Shalabayeva e di sua figlia… Ho già risposto a D’Alema chiedendogli se come ministro degli Esteri sarebbe stato avvertito in tempo in virtù del fatto di essere stato a lungo presidente del Copasir, il Comitato di controllo dei servizi? Se davvero fosse cosi sarebbe grave. Invece io penso che sono due le partite in corso, su questo caso: la prima è quella sulle responsabilità della deportazione illegale e le ripercussioni politiche relative. E su questo, come ormai acclarato, Bonino è del tutto estranea. È nella seconda partita, cioè quella per tutelare i diritti delle due donne con l’obiettivo di riportarle in Italia, che il ministro degli esteri è competente; ed Emma Bonino si è attivata immediatamente, dopo essere venuta a conoscenza del caso. L’Onu ha richiamato l’Italia con un rapporto firmato dagli esperti dei diritti dei migranti e della tortura. Si parla del caso specifico ma è evidente che il richiamo è rivolto a un Paese che dimostra poca attenzione ai diritti umani... Infatti non è un caso che in Italia non esiste il reato di tortura, come non esiste un format del servizio pubblico Rai sui diritti umani. Perché le nostre istituzioni sono consapevoli che l’Italia non è in grado di garantire i diritti umani a chi finisce nelle mani dello Stato, che si tratti di una caserma, di un Cie o di una galera. E questo pone una questione più generale, quella che noi Radicali chiamiamo la flagranza criminale dello Stato. Il nesso paradossale è che da questo punto di vista abbiamo ben poco da insegnare al Kazakistan, anche se lì vige una forma autoritaria classica. Forse però anche al nostro apparato di sicurezza difetta la cultura dei diritti umani? Credo piuttosto che il problema stia nelle istituzioni, nell’assenza di procedure di garanzia, nello Stato che non vuole mettersi nelle condizioni di evitare violazioni dei diritti umani. I motivi per cui si espellono due persone verso il Kazakistan sono gli stessi per cui Maroni poteva pianificare i respingimenti verso la Libia condannati dalla Corte europea di Strasburgo. Più in generale, l’immigrato - al pari del “tossico” - è trattato come categoria e spersonalizzato, diventa un numero e si finisce col far venir meno la sua individualità. Durante la scorsa legislatura i Radicali chiedevano anche al governo, e non solo al parlamento, di prendere un’iniziativa forte - anche se solo simbolica - sui temi della giustizia e dei diritti umani. Ora che siete al governo con Emma Bonino non sarebbe opportuna un’iniziativa in tal senso, per esempio per introdurre il reato di tortura? Premesso che i Radicali non sono al governo, perché la nomina di Bonino non è frutto di un accordo politico. Però è frutto del riconoscimento delle lotte politiche radicali… È cosa ben diversa. Perché se i Radicali fossero al governo avrebbero un’influenza politica diversa, avrebbero un’interlocuzione a tutto campo. Sono però certo che Emma, insieme al ministro Cancellieri con cui si è creato un buon rapporto, sta già lavorando su tutti i fronti su cui potrà intervenire. Non so però se il ministro degli Esteri può essere proponente su una materia come questa, anche se è oggetto di convenzioni Onu. La politica è ancora in impasse... E infatti per superare l’impasse serve la spinta popolare. Per questo con i nostri 12 referendum vogliamo imporre alla politica alcune questioni sociali cancellate: la riforma della giustizia, le politiche criminali, l’immigrazione, le droghe... Riforme per incidere proprio su quelle procedure illegali sotto il profilo del diritto internazionale e su quei luoghi dove l’Italia non riesce a garantire i diritti umani. Intanto però i Radicali italiani hanno già raccolto migliaia di firme sulla proposta di legge di Antigone per l’introduzione del reato di tortura. E contemporaneamente ci siamo costituiti amicuscuriae nei procedimenti per tortura contro lo Stato italiano nel caso del detenuto sardo Saba e nel caso Diaz che arriveranno a breve davanti alla Corte europea dei diritti umani. E sul caso Abu Omar? La Farnesina ha già alzato le mani davanti alla decisione di Panama… L’estradizione non è competenza del ministro degli Esteri ma di quello di Giustizia. Se Emma Bonino fosse premier, sarebbe diverso. Ma purtroppo così non è. Giustizia: Ucpi; emendamenti peggiorano decreto-carceri… prevalgono calcoli di parte Adnkronos, 20 luglio 2013 Il testo della legge di conversione del decreto legge recentemente emanato dal governo “sta subendo nel passaggio parlamentare dei rimaneggiamenti che ne stanno sminuendo progressivamente la capacità di affrontare, con coerenza e sistematicità, la drammatica situazione del sovraffollamento carcerario”. Così l’Unione Camere Penali in una nota, in cui si sottolinea che la direzione della prima tornata di votazioni degli emendamenti è “decisamente in senso peggiorativo della legge”. Per i penalisti, “i lavori in commissione Giustizia del Senato stanno dimostrando che, ad onta dei proclami elettorali e del catalogo delle buone intenzioni cui danno fondo le forze politiche, quando si tratta di tradurre i propositi in fatti concreti prevalgono sempre calcoli di parte ed impera la demagogia della sicurezza”. “Accanto a pochi miglioramenti - aggiungo i penalisti - quali la modifica dell’art. 280 del codice di procedura penale per alzare da quattro a cinque la soglia di pena edittale dei reati che consentono la custodia cautelare in carcere e le modifiche alla legge Smuraglia per ampliare le possibilità di lavoro dei detenuti, vi sono molti arretramenti, quali il ripristino delle preclusioni per i reati di furto, nonché il ripristino delle precedenti limitazioni della detenzione domiciliare per i recidivi, la cui rimozione con il decreto legge sanava in parte i guasti provocati dalla legge Cirielli”, rimarca L’Ucpi. Per l’Ucpi inoltre, “non si è rimediato alla mancata previsione della applicazione provvisoria dell’affidamento in prova al servizio sociale, cosicché residua un potere d’intervento provvisorio del magistrato di sorveglianza molto limitato, che avrà scarsissima applicazione pratica. A tacere, infine, della modifica sui permessi premio che finisce, forse per un mero errore, per renderli concedibili soltanto ai condannati con pena non superiore a quattro anni”. “C’è ancora il tempo per correggere la rotta - concludono i penalisti - e le forze politiche dovranno utilizzarlo al meglio riportando la legge di conversione all’interno dello spirito che, sia pur con effetti incompleti, ha ispirato le norme in discussione”. Giustizia: Ucpi; Governo difenda decreto-carceri, rischio è di ritornare a legge ex-Cirielli Agi, 20 luglio 2013 “È necessario che il Governo, ovvero il ministro, difenda personalmente nelle aule parlamentari l’ispirazione del provvedimento, anche perché lo stesso è attuativo di un punto fondante del programma governativo, e le conseguenze politiche della bocciatura sarebbero tanto ovvie quanto devastanti”. Così l’Unione Camere Penali in una nota dove si ribadisce che il decreto legge emanato dal governo per contenere il sovraffollamento carcerario “è stato già stravolto in sede di conversione dall’approvazione in Commissione di alcuni emendamenti che, di fatto, lo svuotano di contenuto e segnano una totale inversione di marcia rispetto al suo criterio aspirativo”. Basta dire che, se il voto venisse confermato - prosegue l’Unione Camere Penali - nel prosieguo dell’iter parlamentare, verrebbero ripristinate tutte le precedenti preclusioni dettate dalla recidiva, per capire come l’effetto sarebbe quello di ripiombare nel regime della famigerata legge Cirielli, che tutti vorremmo lasciarci alle spalle - si conclude - avendo riempito le carceri oltre ogni livello di sopportazione e ragionevolezza”. Lettere: Pannella, le carceri e le altre vittime La Nazione, 20 luglio 2013 Gentile direttore, possibile che ci voglia sempre e soltanto uno sciopero della fame di Marco Pannella per solleticare l’opinione pubblica sulle condizioni disumane delle nostre carceri? Se non fosse per lui, Pannella dico, nessuno ne parla mai, o quasi mai. Nemmeno i giornali. Gli edifici non sono adeguati ad accogliere tutti i detenuti, quindi tanto vale fare una bella amnistia e ricominciare da zero. Sto parlando dei disgraziati, non degli assassini incalliti. Voi giornali non ne parlate mai. Giorgio Merli, Pontedera Risponde il direttore Gabriele Cané Caro Merli, anch’io sono un ammiratore di Pannella, a cui riconosco coraggio, capacità di mettersi in gioco, fino a mettere a repentaglio la propria salute. Gli riconosco anche un costante impegno sul fronte dei diritti civili. Credo però che dovrebbe, o avrebbe dovuto, occuparsi di più anche dei doveri. Credo che avrebbe dovuto prestare attenzione a tutte le vittime della società e non solo a una parte. Per quanto riguarda i carcerati, sarebbe demenziale affermare che le nostre galere rispondono a tutti i requisiti di civiltà. Ci mancherebbe. Ma non bisogna neppure dimenticare che gli “abitanti” di queste strutture sono signori che la società ha ritenuto di dover tenere alla larga (o alla stretta) dagli altri cittadini, perché hanno fatto del male. Se loro sono vittime di una situazione spesso disumana, non dimentichiamo dunque che fuori ci sono le loro vittime, gente a cui hanno tolto i beni, la salute, a volte anche la vita. La pietà, insomma, dovrebbe essere a 360 gradi. E Pannella, forse, qualche scioperetto della fame potrebbe farlo anche per un negoziante o un anziano rapinato, a cui in un attimo è andato in fumo il lavoro di una vita. Gabriele Cané Siracusa: la moglie di Alfredo Liotta “chiarezza sulla morte in carcere di mio marito” La Sicilia, 20 luglio 2013 “Non si può accettare la morte di un detenuto in cella, per questo voglio che si faccia chiarezza sul decesso di mio marito. Aveva bisogno di cure in una struttura sanitaria, invece è stato lasciato morire in carcere”. Dopo un anno, torna a fare sentire la sua voce Patrizia Savoca, moglie di Alfredo Liotta, il detenuto morto a 41 anni a luglio 2012 nel carcere Cavadonna di Siracusa, dove scontava l’ergastolo. Il giorno dopo la morte del marito, Patrizia Savoca aveva chiesto che si facesse chiarezza sulle cause del decesso in carcere, sul perché l’uomo non era stato mai assistito in una struttura sanitaria nonostante il suo evidente deperimento organico. “Sarei rimasta in silenzio se mio marito fosse morto in un letto di ospedale o in una semplice infermeria - dice Patrizia Savoca - ma non posso accettare la morte in una cella; questo significa che mio marito non è stato creduto neanche in fin di vita ed è stato lasciato morire in carcere”. A distanza di 12 mesi, la signora Savoca non si arrende e porta avanti quella che definisce una battaglia per i diritti umani e per tutti i detenuti. Questa volta accanto a lei, oltre ai suoi legali, ha anche l’associazione “Antigone”, che dopo avere visionato gli atti ha deciso di sostenerla. L’associazione ha presentato un esposto alla procura della Repubblica di Siracusa con il quale chiede che vengano chiariti “molti aspetti oscuri e contraddittori” delle cause che hanno portato alla morte di Alfredo Liotta e pone questi quesiti: “Cosa è stato fatto per i problemi fisici e psichici del detenuto, considerati “strumentali” dal personale penitenziario, quando nel giro di sei mesi aveva perso circa 40 chili e non riusciva più neanche a camminare? Perché non sono stati monitorati i parametri vitali e non è stato mai neanche pesato? Azioni fondamentali per accertare lo stato di malnutrizione e il potenziale rischio di morte. Infine, perché non è stato ricoverato in una struttura ospedaliera?”. La signora Savoca, poi, smentisce lo sciopero della fame che sarebbe stato attuato da suo marito in carcere. “Ma quale sciopero - dice - nei colloqui non mi ha mai accennato a nessuno sciopero, anzi mi chiedeva di essere aiutato, che io facessi qualcosa perché capiva che in carcere non aveva nessuna speranza di essere curato. Voglio sottolineare - aggiunge la signora Savoca - che io ho parlato pubblicamente di questa vicenda solo dopo la morte di mio marito. Non voglio difendere alcun reato ed alcun detenuto ma i detenuti non devono essere ulteriormente colpevolizzati. Tutti hanno diritto di essere curati in strutture sanitarie e metto la mia faccia per dire che episodi del genere non devono più accadere”. Sassari: processo per morte in cella di Marco Erittu, prossima udienza a settembre La Nuova Sardegna, 20 luglio 2013 “La verità solo noi la sappiamo, che non è stato ucciso, è morto con una spugna in bocca”, cioè si sarebbe suicidato. Così parlava - intercettato - un agente della Penitenziaria amico e collega di Mario Sanna, poliziotto, tra gli imputati al processo sulla morte di Marco Erittu nel vecchio carcere di San Sebastiano, il 18 novembre 2007. Salvatore Fresu è salito per due volte sul banco dei testimoni, davanti alla Corte d’assise, per rispondere allo domande del pm Giovanni Porcheddu, martedì, e ieri a quelle del difensore di Sanna, Agostinangelo Marras. Il legale ha letto le trascrizioni delle intercettazioni ambientali captate nell’auto di Sanna durante i viaggi che i due facevano tra Torralba e Sassari per raggiungere il posto di lavoro. Alle 5.40 del 17 aprile 2011 Fresu e Sanna commentano l’articolo de La Nuova Sardegna sulla riapertura del caso Erittu, che per la prima volta cita l’ipotesi di un omicidio, dopo l’archiviazione dell’inchiesta per suicidio. “Ma cosa stanno scherzando questi?”, ha letto Marras, difensore assieme a Mattia Doneddu. Per consentire a Fresu di spiegare, in aula: “Fra noi non credevamo all’omicidio, io ero stupito, tra noi si parlava di suicidio”, ha confermato il testimone. Che poi ha voluto ribadire la stima che altre divise, prima di lui, avevano espresso nei confronti del collega imputato. “Sanna è sempre stato ligio, tutti conoscono che persona è”. Altre intercettazioni. il 20 aprile 2011, alle 17,42 Sanna racconta qualcosa che insospettisce gli inquirenti. Secondo la Procura, lui aprì la porta della cella ai componenti del presunto commando omicida, il reo confesso Giuseppe Bigella (condannato a 16 anni per omicidio) e l’allora detenuto Nicolino Pinna. Lui nega, e ammette solo di aver trovato il cadavere. O meglio, di essersi accorto che il recluso stava morendo. “Quando lo abbiamo trovato era agonizzante ed era tutto coperto nella coperta, e il braccio così (che penzolava fuori dal letto, ndc), io me ne sono accorto che aveva il braccio fuori. E ho detto: “Si è impiccato Erittu”. Per la difesa, la frase rivela come l’imputato fosse convinto, da allora, che il detenuto non fu ucciso, ma scelse di togliersi la vita, anche perché poco prima si era tagliato braccia e guance per protesta. Il punto è che durante le indagini Sanna e il collega Giuseppe Sotgiu (accusato di favoreggiamento) diranno di aver trovato il corpo per terra, non sul letto. A Fresu, in auto, Sanna racconta pure: “Lo abbiamo trovato ancora che respirava”. In aula ieri il testimone, su richiesta del legale, ha chiarito che delle chiavi della cella - porta blindata e quella a sbarre - “ci sono due copie”. Una era in dotazione a Sanna, in servizio in quel braccio la sera della morte. “Ma l’altra era in rotonda”, cioè nel punto dove convergono i bracci e spesso si fermano i poliziotti, ha spiegato Fresu. E il legale ne ha sottolineato la risposta. Poi il teste ha voluto chiarire: “Sanna è sempre stato tranquillo le poche volte che ne abbiamo parlato”. Durante l’esame del pm, martedì, Fresu aveva risposto con molti “non ricordo”, attirando l’avvertimento del presidente della Corte, Pietro Fanile (a latere la collega Teresa Castagna) sulla possibilità di incorrere in sanzioni per testimonianza reticente. Nessuna domanda dai legali di Pino Vandi (Pasqualino Federici, Patrizio Rovelli, Elias Vacca), di Pinna (Luca Sciaccaluga) o della parte civile (Nicola Satta, Lorenzo Galisai, Marco Costa) o dei due imputati per favoreggiamento, Sotgiu e Faedda (Gabriele Satta, Gerolamo Pala, Giulio Fais). Il processo riprende il 13 settembre. Modena: carcerati al lavoro per servizi di Sgp, squadra di operai a tutela di decoro urbano La Gazzetta di Modena, 20 luglio 2013 Arriveranno al massimo in tre e per non più di due giorni a settimana. Ma con sufficiente preavviso potranno effettuare anche più giornate di servizio. Sono i detenuti a fine pena avviati al reinserimento lavorativo che Sgp metterà in squadra per accrescere il numero degli addetti alle manutenzioni, in collaborazione con il carcere di Modena. La convenzione è stata stipulata fra l’amministratore unico di Sassuolo Gestioni Patrimoniali Corrado Cavallini e la direttrice della casa circondariale Rosa Alba Casella. Da un lato favorirà il recupero di soggetti che, scontata la pena vengono reinseriti nell’ottica di una giustizia “riparativa” anziché “punitiva”; dall’altro la patrimoniale comunale, che si occupa delle manutenzioni ma è carente di uomini e mezzi economici, otterrà mano d’opera a basso costo. Niente stipendio infatti, ai detenuti che verranno a Sassuolo dovranno essere corrisposti il vitto, il trasporto dal carcere e ritorno, le tutele assicurative e i mezzi per lavorare. Nient’altro. Ma potranno occuparsi di molti lavori necessari in città: in elenco ci sono la potatura di cespugli e siepi; pulizia di aiuole, aree verdi e parchi; raccolta delle foglie; interventi resi necessari a causa di eventi atmosferici; tinteggiatura di elementi di arredo urbano; concorso all’allestimento di aree che ospitano eventi. Sono molte delle cose a cui è stata sempre chiamata la squadra operai comunale, quelle azioni che possono contribuire al decoro cittadino. La convenzione prevede che il servizio tecnico comunale faccia la supervisione dei lavori affidati ai detenuti; mentre la garanzia dell’idoneità psicofisica dei soggetti scelti è di competenza della casa circondariale di Modena. Con questa ed altre azioni il Comune e Sgp puntano a continuare a garantire le necessarie manutenzioni in città, nonostante una stagione di tagli pesantissimi che sta per arrivare e aggiungersi a quelle già vissute negli ultimi anni. Firenze: sovraffollamento carceri, la ministra Cancellieri va in visita a Sollicciano Ansa, 20 luglio 2013 La ministra della Giustizia visiterà l’istituto di pena il 29 luglio assieme al garante dei detenuti Franco Corleone. “Abbiamo avuto l’impressione di una seria determinazione a compiere ulteriori atti anche normativi anche superando evidenti resistenze. Le prossime settimane ci diranno se questa impressione è troppo ottimistica”. Così, in una nota, il garante dei Diritti per i detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, commenta l’esito dell’incontro sul tema della riforma del sistema carcerario avuto nei giorni scorsi con il ministro per la Giustizia Anna Maria Cancellieri che sarà a Firenze in visita nel carcere di Sollicciano, secondo quanto riferito, il 29 luglio. “Alla Ministra - ricorda Corleone - ha assicurato un impegno per affrontare la questione complessiva dei direttori di carcere e per l’applicazione di misure previste dall’Ordinamento Penitenziario e dal Regolamento del 2000. Ha anche assicurato l’approfondimento per quanto riguarda l’uscita dal carcere attraverso misure di accompagnamento sociale e in particolare la possibilità di utilizzo dei permessi umanitari per gli stranieri”. Siena: la Fp-Cgil contro l’aumento della popolazione detenuta nella Casa circondariale Corriere Nazionale, 20 luglio 2013 “La direzione della Casa Circondariale di Siena ha deciso di operare, a seguito di obiettivi attribuiti dal Dap (così ci è stato comunicato), l’aumento della popolazione attualmente detenuta. La soluzione sarebbe quella di trasformare gli uffici amministrativi in celle detentive. La Fp-Cgil di Siena e le Rsu criticano questa scelta. Non è possibile migliorare con un gioco di prestigio, del resto poco efficace, il rapporto dei detenuti con la capienza reale dell’istituto. La qualità dell’istituto ne risulterebbe penalizzata, visti gli evidenti vincoli strutturali di un carcere creato al centro della città all’interno di un ex convento del 1.300, la chiesa di Santo Spirito. Attualmente le celle hanno spazi molto ridotti. La maggior parte della superficie è occupata dai letti a castello, è presente il bagno seppure di minime dimensioni. Le docce sono situate ai piani, nel secondo sono 3 per 50 detenuti, attualmente solo 2 funzionanti. I locali cucina risultano inadeguati e di dubbia conformità ai requisiti igienico-sanitari e di sicurezza degli impianti. La struttura si presenta notevolmente danneggiata, con eccezione dell’area adibita a zona Uffici dirigenziali che si trova nel chiostro, adiacente all’ingresso. La sala di attesa dei familiari risulta completamente inadeguata per dimensioni e condizioni strutturali, è priva di servizi igienici e l’accesso esterno non è accessibile alle persone disabili. La sala colloqui dei detenuti è insufficiente per ospitare i familiari. Gli spazi comuni sono i passeggi, situati all’aperto, in un ambiente totalmente da ristrutturare. Sono presenti un campo di calcetto ricavato dallo spazio dedicato all’aria, circondato da mura, e un piccolo teatro. La capienza dell’istituto, anche sulla base della sentenza di Strasburgo, non corrisponde a quella ipotizzata dalla Direzione. L’attuale capienza regolamentare della struttura è di 50 detenuti - dato rilevato dall’osservatorio Antigone. Ad oggi la popolazione detentiva è di circa 70 persone, mediamente è di 85 detenuti, in passato è stato raggiunto il numero di 110 detenuti. Nonostante questi numeri, quelli di una struttura detentiva di piccole dimensioni, sono notevoli le difficoltà di lavorare in totale sicurezza, in quanto l’attuale pianta organica del personale di polizia penitenziaria è di 23 agenti effettivi organizzati su turnazione, ai quali si aggiunge un’unica educatrice, che ha il suo “ufficio” ricavato all’interno di quella che era una cella detentiva. Ad oggi la presenza di un solo Funzionario Giuridico-Pedagogico rende inevitabilmente assente l’intervento trattamentale per ogni periodo di ferie o assenza a qualsiasi titolo, con l’altrettanto inevitabile conseguenza che al ritorno al lavoro l’educatrice riscontri un carico di lavoro oltremodo aumentato. La capienza dei detenuti è di fatto aumentata già in passato quando la palestra era stata trasformata in nuove celle. Aumentare il numero dei detenuti inoltre comporta un aggravio di lavoro per i pochi agenti in servizio, mettendo in discussione l’efficienza e la sicurezza sul lavoro e la salute psicofisica degli operatori penitenziari. Che cosa possiamo fare? È necessario un piano strutturale chiaro e di prospettiva che non si fermi a tappare i buchi di una situazione complessiva assuefatta allo stato di emergenza, ma che dia a questo istituto, così particolare per la sua posizione all’interno della città, nel territorio della Nobil Contrada del Nicchio, un’immagine nuova e un futuro fatto di maggiore integrazione. Abbiamo bisogno di progetti realizzabili capaci di integrare e non di nascondere anche realtà difficili da gestire come quelle di un carcere. Non ci fermiamo alla semplice critica, assieme all’Amministrazione abbiamo già chiesto congiuntamente nuovo personale, ma bisogna anche chiedere insieme agli altri attori che operano sul territorio che le risorse regionali da destinare alla ristrutturazione abbiano una ripartizione adeguata per tutti gli istituti detentivi della Toscana. Di recente l’Amministrazione ha inviato una lettera di encomio a tutto il personale (amministrativo e di polizia penitenziaria) per aver garantito attraverso il proprio lavoro un evidente miglioramento dell’ambiente detentivo con un conseguente calo di incidenti e atti di autolesionismo. Dobbiamo difendere questi risultati e condividerli con la cittadinanza. Bisogna riorganizzare gli spazi, avendo come obiettivo la “qualità” e non la “quantità”, non solo affinché sia gestito in modo adeguato il numero di detenuti ma anche per rendere l’ambiente lavorativo sicuro e dignitoso. Come in strutture così particolari come la Casa Circondariale di Siena, che deve darsi come obiettivo quello di diventare una struttura di detenzione ma anche di reintegrazione e di riabilitazione di qualità”. Fp-Cgil Siena Reggio Calabria: Ugl; manca personale, non parteciperemo inaugurazione nuovo carcere Ansa, 20 luglio 2013 “L’Ugl Polizia Penitenziaria non presenzierà all’inaugurazione della Casa Circondariale di Reggio Calabria - Arghillà del 23 luglio 2013”. È quanto afferma, in una nota, il segretario regionale dell’Ugl Polizia penitenziaria, Angelo Di Mattia. Il sindacato non presenzierà alla cerimonia “che si svolger alla presenza del Ministro della Giustizia e di altri importanti rappresentanti istituzionali, in aperto disaccordo tanto con l’attuale politica penitenziaria, attuata a livello centrale con il colpevole avallo delle articolazioni periferiche, che prevede l’attivazione di nuove strutture penitenziarie e padiglioni senza incrementi organici e, soprattutto, sguarnendo sedi già in preoccupante sofferenza, come Paola, Palmi e Reggio Calabria (vecchio complesso). Inoltre, con riferimento alle criticità congenite strutturali e logistiche di cui risulta gravato l’istituto di Arghillà, va sottolineato come permangano ancora irrisolte talune problematiche che ne hanno ritardato l’apertura, come ad esempio il rifacimento della strada di accesso e la costruzione di un plesso idoneo ad ospitare il personale di Polizia penitenziaria costituente il reparto assegnato”. Per Di Mattia “non si possono aprire nuovi padiglioni o istituti senza la previsione di una pianta organica né tantomeno sottrarre risorse ad altre strutture per sopperire alla carenza di personale. Pertanto ci riserviamo la facoltà di proclamare lo stato di agitazione e di interrompere qualsiasi relazione sindacale con il Prap Calabria, come tra l’altro già preannunciato in occasione del medesimo incontro sindacale, laddove le nostre perplessità dovessero restare inascoltate”. Torino: arriva il braccialetto elettronico per i detenuti, misura contro il sovraffollamento Asca, 20 luglio 2013 Arriva a Torino il braccialetto elettronico per i detenuti, il primo è stato imposto ieri dal gip Alessandra Bassi ad un ragazzo nigeriano di 21 anni, in custodia cautelare da sei mesi. Il discorso carceri è da sempre delicato, ma da un pò di tempo a questa parte il sovraffollamento ha portato a rivolte sempre più frequenti e a polemiche, discussioni, posizioni discordanti e quindi una conseguente voglia di giungere ad una soluzione, soprattutto riguardo le condizioni di vita all’interno delle strutture. La reazione più frequente che si può trovare parlando di condizioni delle carceri italiane è quella dell’indignazione, se non altro perché chi risulta condannato e quindi in carcere ci deve stare certo non può lamentarsi delle condizioni di vita, poteva anche scegliere di non arrivare a tanto. Opinione da rispettare, se non fosse per l’altrettanto delicato discorso del diritto, soprattutto quello di sbagliare e poter rimediare in casi non gravi, senza dimenticare i diritti umani. Si parla in questo caso di reati minori, reati per cui è stato introdotto ieri lo strumento braccialetto elettronico per la prima volta a Torino. Il gip Alessandra Bassi ha infatti deciso per questa misura in riferimento al caso di un ragazzo di 21 anni, in custodia cautelare da mesi. Il bracciale, collegato con le forze dell’ordine, impedisce la fuga pre-processo e può essere un valido strumento per limitare il sovraffollamento delle carceri. Il progetto di sperimentazione è datato 2001, l’allora ministro dell’interno Bianco aveva rilasciato 350 dispositivi per il controllo agli arresti domiciliari. Le città prescelte erano Roma, Milano, Torino, Napoli e Catania in cui si sarebbero risparmiati 200 uomini al giorno assegnati al controllo dei vari domiciliari. Un risparmio di risorse quindi, ma anche di denaro, tenendo presente in ogni caso l’affitto del dispositivo, l’assistenza 24 ore su 24, i sistemi informatici che allora in totale richiedevano 60 mila lire al giorno. Sassari: dal deputato Pdl Mauro Pili petizione per restituire il San Sebastiano alla città L’Unione Sarda, 20 luglio 2013 Il deputato del Pdl Mauro Pili ha presentato stamane un’interrogazione parlamentare e una petizione, sostenuta anche da consiglieri comunali e provinciali, per chiedere allo Stato di restituire subito alla città di Sassari l’ex carcere di San Sebastiano, svuotato dopo l’apertura del nuovo istituto penitenziario nella vicina borgata di Bancali. “Vanno respinti tutti i tentativi maldestri dello Stato di sottrarre questo patrimonio alla città”, afferma Pili. “Il governo deve attivare le procedure di trasferimento del bene alla Regione (ai sensi dell’articolo 14 dello statuto sardo, ndr) e nel contempo autorizzare l’apertura del carcere alla visita dei cittadini, per tutto il mese di agosto, in modo che si rendano conto dell’imponenza della struttura”. I consiglieri comunali e provinciali di Sassari che hanno aderito alla mobilitazione, fra i quali il vicepresidente del consiglio comunale, Giovanni Fadda, e il capogruppo del Pdl Antonello Desole, hanno presentato mozioni urgenti e preannunciato che chiederanno l’adozione di una delibera dei rispettivi consigli per chiedere l’acquisizione della struttura del carcere al patrimonio comunale. Trapani: delegazione dell’Ucpi in visita al carcere di Trapani e al Cie di Milo La Sicilia, 20 luglio 2013 Una delegazione nazionale dell’Unione Camere Penali Italiane, guidata dal Presidente della Camera Penale di Marsala Diego Tranchida, visiterà nei giorni 23 e 24 luglio il Cie, Centri di Identificazione ed Espulsione di Trapani sito in contrada Milo e la Casa Circondariale di Trapani. L’Unione Camere Penali Italiane, da sempre, presta particolare attenzione alla situazione delle carceri in Italia, avendo particolare riguardo alle varie problematiche ad essa connessa quali sovraffollamento delle carceri,... condizioni di vita dei detenuti, differenziazione del regime della custodia cautelare da quello della esecuzione di pena, ecc. Si pensi solo alla dura presa di posizione della Camera Penale di Marsala, all’Ordine degli Avvocati e del Presidente del Tribunale lilybetano contro la chiusura del carcere di piazza Castello, che purtroppo a nulla è valso. Da qualche anno, poi, la Giunta Nazionale Ucpi, di concerto con l’Osservatorio del Carcere, altra componente dell’Associazione, ha chiesto ed ottenuto da parte dei rispettivi direttori, l’ingresso presso alcune case circondariali italiane. La delegazione che visiterà la Casa Circondariale trapanese ed il Centro di Identificazione di contrada Milo è composta dal tesoriere dell’Ucpi Manuela Deorsola, dal componente dell’Osservatorio Antonella Calcaterra, dai membri della Giunta nazionale Ucpi Carlo Morace e Carmelo Franco, dal Presidente della Camera Penale di Marsala Diego Tranchida, dal suo segretario Edoardo Alagna, dai past president della Camera Paolo Paladino e Stefano Pellegrino, da Massimo Mattozzi, referente locale dell’Osservatorio carcere Ucpi. Teramo: “Fuori dalla Galleria”, a Colonnella la mostra d’arte dei detenuti www.rivieraoggi.it, 20 luglio 2013 L’arte come mezzo di espressione personale e di riscatto sociale. È stata inaugurata venerdì 19 luglio presso l’Outlet Do.it “Riviera Adriatica” di Colonnella (Te) la mostra “Fuori dalla Galleria”, che raccoglie opere d’arte e di design realizzate da detenuti ed ex detenuti. Magliette, quadri, serigrafie, ma anche gioielleria artistica, oggetti di design e molto altro. Pezzi unici (di cui una parte anche in vendita), frutto di esperienze difficili, ma che mostrano nel contempo come sia possibile, al di là delle difficoltà attraversate, riscrivere in positivo la propria esistenza. L’esposizione è il frutto sia delle creazioni di detenuti all’interno di istituti penitenziari, sia di ex detenuti che, una volta fuori, hanno intrapreso un percorso di reinserimento sociale valorizzando il proprio talento e le capacità artistiche. L’iniziativa è organizzata dall’associazione “Made in Jail” in collaborazione con l’I.c.a.t.t. 3° Casa Rebibbia, che coinvolge i detenuti in attività di recupero, ludiche, ricreative, professionalizzanti e formative, con lo scopo di agevolare il loro reinserimento nella società e nel mondo del lavoro. L’esposizione, che resterà aperta al pubblico tutti i giorni fino al 29 settembre (dalle 10 alle 20), è stata illustrata dagli organizzatori alla presenza delle autorità locali. Dopo i saluti del sindaco di Colonnella Leandro Pollastrelli, il progetto è stato introdotto da Mario Esposito, patron di Do.it. “Abbiamo deciso di accogliere l’iniziativa - ha affermato - poiché un centro commerciale è il luogo dove si incontrano realtà diverse tra loro e può essere considerato il luogo ideale di sensibilizzazione su temi importanti”. Esposito si è detto interessato fin da subito al progetto che gli è stato proposto: “Credo fermamente nella necessità della pena, ma una volta scontata in carcere non deve trasformarsi successivamente anche in una pena sociale. La possibilità di reinserirsi attraverso progetti di questo tipo è sicuramente positiva”. L’esposizione è stata illustrata da Silvio Palermo, socio fondatore dell’associazione Made in Jail. “Negli anni 80 ho vissuto in prima persona un periodo di detenzione, e nel carcere di Rebibbia, insieme ad altri detenuti, mi sono posto il problema di cosa fare una volta scontata la pena, di come poter affrontare il reinserimento nella società. Abbiamo così costituito l’associazione e cominciato a realizzare magliette e opere d’arte da esporre o vendere”. Numerose sono state le iniziative portate avanti dall’associazione nel corso dei decenni, con diverse attività nel carcere di Rebibbia e mostre d’arte sia all’interno di istituti penitenziari (e accessibili al pubblico) che in diverse parti d’Italia. Presente all’inaugurazione anche il consigliere regionale Emiliano Di Matteo, che ha considerato vari aspetti irrisolti della detenzione in Italia: il sovraffollamento delle carceri, le pene spesso non commisurate (in eccesso o in difetto) al reato commesso, le difficoltà del reinserimento sociale dei detenuti una volta fuori dal carcere. Ha poi elogiato il progetto, riproponendosi di promuoverlo in Regione per future iniziative di sensibilizzazione in Abruzzo. La chiusura è stata affidata allo storico Tito Rubini: “Si tratta di una mostra di alta valenza culturale e rilevanza sociale, e suggerisco un programma di sensibilizzazione nelle scuole del territorio con una serie di visite didattiche alla mostra”. Mondo: sono 3.103 gli italiani detenuti all’estero, tra processi-farsa e diritti negati di Fabio Polese La Repubblica, 20 luglio 2013 Sono 2.393 i nostri connazionali in attesa di giudizio. In 677 sono stati già condannati e solo 33 persone sono in attesa di essere estradati per scontare la pena nei nostri penitenziari, condizione che dovrebbe essere garantita dalla “Convenzione di Strasburgo” del 1983 e da diversi “Accordi bilaterali”. I casi più clamorosi in India, Tailandia e negli Usa Tanti, troppi, sono i nostri connazionali detenuti all’estero, e tanto, purtroppo, il silenzio che li circonda. Un silenzio che è diventato assordante per i 3.103 italiani detenuti oltre confine. Questo numero, in crescita dagli anni passati, ci viene fornito dall’Annuario statistico 2013 pubblicato recentemente dalla Farnesina. In particolare, 2.323 italiani sono imprigionati nei Paesi dell’Unione europea, 129 nei Paesi extra-Ue, 494 nelle Americhe, 64 nella regione mediterranea e in Medio Oriente, 17 nell’Africa sub-sahariana e 76 in Asia e Oceania. In Europa il record degli italiani detenuti se lo aggiudicano le carceri tedesche che ospitano 1.115 nostri connazionali, segue la Spagna con 524. Nel resto del mondo, il maggior numero di detenuti italiani si trova in Venezuela con 81 persone recluse nelle carceri amministrate dal governo di Caracas. Oltre 2.000 in attesa di processo. Il dato più allarmante è che, secondo i dati forniti dal ministero degli Affari esteri, sono 2.393 gli italiani detenuti in attesa di giudizio. In 677 sono stati già condannati e solo 33 persone sono in attesa di essere estradate in Italia per scontare la pena nei nostri penitenziari, condizione che dovrebbe essere garantita dalla “Convenzione di Strasburgo” del 1983 e da diversi “Accordi bilaterali” nei casi che riguardano le persone già condannate. Innocenti o colpevoli poco importa. Tutti i detenuti, in qualsiasi parte del mondo si trovino, dovrebbero avere diritto ad un giusto processo. Ma così non è. In diversi Paesi, infatti, sono negati anche i più elementari diritti sanciti dalle convenzioni internazionali come l’assistenza di un avvocato e la presenza di un interprete durante gli interrogatori. In molti casi le poche notizie che vengono lasciate trapelare dalle autorità sono così poche e generiche che è impossibile farsi un’idea dettagliata del processo. Due connazionali all’ergastolo in India. In India non sono solo i marò ad essere detenuti nelle carceri indiane. Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni sono rinchiusi a Varanasi, condannati all’ergastolo con l’accusa di aver assassinato il loro amico e compagno di viaggio Francesco Montis. I giudici indiani hanno “ipotizzato” che tra Bruno e la Boncompagni vi fosse una relazione sentimentale e che quindi avrebbero organizzato l’omicidio. Tuttavia, “per insufficienza di prove”, il movente è assente dal verdetto di condanna. I due giovani italiani sono stati condannati all’ergastolo nella sentenza di primo grado e in quella d’appello ma recentemente la Corte Suprema indiana ha giudicato “ammissibile” il ricorso. La prossima tappa è fissata per il 3 settembre 2013, data in cui si dovrebbe svolgere l’udienza del massimo tribunale indiano. L’incubo di tornare in prigione. In Thailandia, Fernando Nardini ha vissuto un tormento durato due anni e quattro mesi. Arrestato con l’accusa di essere il complice per l’omicidio di un cittadino tedesco è stato poi assolto in appello nel febbraio del 2011. Ma la paura di tornare in qualche buia prigione del Paese asiatico è sempre alle porte: Nardini, infatti, non può lasciare la Tailandia prima di aver affrontato il terzo grado di giudizio che si dovrebbe tenere alla fine del 2013. Il carcere a vita, in Usa, per “sensazioni”. Negli Stati Uniti Enrico Forti sta scontando l’ergastolo con l’accusa di omicidio. La sua storia, pur essendo egli un produttore televisivo, non ha niente a che fare con gli effetti speciali dei film hollywoodiani. Il suo calvario inizia la mattina del 16 febbraio del 1998 quando, in una spiaggia della Florida, viene ritrovato il corpo senza vita di Dale Pike. Di questo omicidio viene accusato Forti, che era in trattativa con il padre di Dale per l’acquisto di un albergo. Nonostante si sia sempre dichiarato innocente e le prove a suo carico siano inconsistenti, la giuria americana lo ha condannato all’ergastolo affermando che “La Corte non ha le prove che Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ha la sensazione, al di là di ogni dubbio, che sia stato l’istigatore del delitto”. Morti sospette. In queste drammatiche storie di italiani detenuti all’estero c’è anche chi ha perso la vita. Mariano Pasqualin, un giovane di Vicenza, è stato arrestato per traffico di droga nella Repubblica dominicana, meglio conosciuta con il nome della sua capitale, Santo Domingo, nel giugno del 2011. In una galera del posto, dopo pochi giorni dal suo arresto, ha trovato la morte in circostanze piuttosto dubbie. Nonostante la richiesta della famiglia di far rientrare la salma in Italia per effettuare un’autopsia che ne svelasse le cause del decesso, le autorità della Repubblica dominicana hanno, senza autorizzazione, deciso di cremare il corpo e spedire in Italia le ceneri. La scarsa sensibilità delle istituzioni italiane. Queste sono soltanto alcune delle tante storie di sofferenza e, spesso, anche di ingiustizia, che colpiscono i nostri connazionali all’estero e, di conseguenza, anche i loro familiari. Distruggere il muro di silenzio che li circonda dovrebbe essere dovere di tutti, in particolar modo della nostra diplomazia che non sempre riesce a far fronte in maniera adeguata a queste tragiche situazioni. Per uno Stato, i diritti e la sicurezza dei propri cittadini, anche quando si trovano al di là dei confini nazionali, dovrebbero essere di primaria importanza. Purtroppo però, in alcuni casi, secondo le testimonianze raccolte, questo non succede. *Fabio Polese è autore, assieme a Federico Cenci, del libro-inchiesta “Le voci del silenzio. Storie di italiani detenuti all’estero” (Eclettica Edizioni) Stati Uniti: pena di morte, sospesa per la quarta volta esecuzione disabile mentale Ansa, 20 luglio 2013 In un ennesimo, drammatico colpo di scena, è stata nuovamente rinviata l’esecuzione della condanna a morte di Warren Hill, un detenuto a cui è stato riscontrato un ritardo mentale, che era fissata per sera alle 19:00, l’una del mattino in Italia, in un carcere della Georgia. È la quarta vola in un anno e nelle tre precedenti occasioni, il rinvio è arrivato poco prima dell’ora fissata per l’appuntamento con il boia. Lo scorso 19 febbraio al condannato era già stata addirittura già data una dose di sedativo per prepararlo all’iniezione letale. Warren Hill è stato condannato alla pena capitale per un omicidio compiuto nel 1991. Secondo varie perizie mediche, ha un quoziente intellettivo di solo 70, e il suo caso è finito davanti alla Corte Suprema, che nel 2002 aveva sentenziato che l’esecuzione delle persone che soffrono di disturbi mentali sono contrarie alla Costituzione. L’alta Corte ha però lasciato agli stati dell’Unione l’onere di fissare i parametri per potere decidere se un condannato abbia ritardi tali da evitargli la pena capitale e la Georgia afferma che le disabilità mentali dei condannati devono essere provate “oltre ogni ragionevole dubbio”, una formula che molti esperti giudicano di fatto insormontabile. Questa volta la mano del boia è stata fermata in virtù di un appello presentato in un tribunale della Georgia contro la recente legge che consente allo stato di acquistare in segretezza i medicinali da usare per le esecuzioni capitali. Si tratta però di una sospensione di appena tre giorni. I procuratori dello stato hanno però presentato a loro volta appello alla Corte Suprema della Georgia contro la sospensione, che potrebbe quindi essere revocata e Warrn Hill potrebbe quindi comunque finire domani i suoi giorni sul lettino della camera della morte del penitenziario di Jackson. Repubblica Ceca: approvata legge che protegge i diritti dei detenuti non fumatori Ansa, 20 luglio 2013 La legge che protegge i diritti dei detenuti non fumatori, è stata approvata dai deputati della Camera bassa del Parlamento ceco. Dopo la sua entrata in vigore i detenuti potranno decidere da soli in quali celle abitare: fumatori o non fumatori. L’altra novità, dedicata a migliorare la situazione in carcere, è la possibilità di scegliere le camere singole. Israele: saranno rilasciati un “limitato” numero di detenuti palestinesi Corriere della Sera, 20 luglio 2013 L’annuncio arriva all’indomani delle affermazioni del segretario di Stato Kerry, che al ritorno da un viaggio in Medioriente ha dichiarato che c’è un accordo di base per la ripresa dei negoziati di pace diretti tra Israele e l’Autorità nazionale palestinese (Anp). La prossima liberazione dei prigionieri è stata annunciata dal ministro degli Affari strategici, Yuval Steinitz. Il ministro non ha per ora chiarito quanti saranno i detenuti rilasciati: secondo la ong israeliana B’Tselem i palestinesi prigionieri nello Stato ebraico sono 4.713, dei quali 169 in detenzione preventiva senza che siano state formulate accuse a loro carico. Il gesto del governo dello Stato ebraico sembra essere propedeutico all’incontro che la prossima settimana si terrà a Washington tra il capo della delegazione palestinese, Saeb Erekat, e quello della squadra israeliana, Tzipi Livni. Se Kerry si era espresso in termini ottimistici, Israele aveva subito smorzato l’entusiasmo: funzionari del governo avevano infatti avvertito che se si riuscirà a far ripartire i colloqui di pace, ci vorranno comunque mesi per le trattative.