Giustizia: Cancellieri; entro maggio 2014 disponibili quattromila nuovi posti nelle carceri Dire, 17 luglio 2013 “Entro il mese di maggio 2014 saranno disponibili altri 4mila nuovi posti detentivi mentre a completamento del piano carceri i nuovi posti saranno circa 10mila”. Lo ha annunciato il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, rispondendo durante il question time alla Camera a interrogazioni sulle iniziative per garantire il principio della certezza della pena e per affrontare efficacemente la questione del sovraffollamento carcerario. Il ministro, a proposito del sovraffollamento, ha parlato della “negoziazione di accordi con i Paesi di origine dei detenuti stranieri” per far scontare loro la pena in patria: “Al riguardo l’Italia ha stipulato nove accordi bilaterali. Ha inoltre aderito dal 1988 alla convenzione europea sul trasferimento delle persone condannate”. A fronte di tale accordo, secondo il ministro è molto esiguo il numero di detenuti trasferiti nel Paese di origine: “82 nel 2013 e 131 nel 2012”. E questo, ha spiegato, “è principalmente dovuto alla complessità di procedure di omologo delle condanne emesse dalle autorità giudiziarie italiane da parte dei Paesi esteri”. Per questo l’intendimento è quello di “rivedere i contenuti degli accordi al fine di accelerare i tempi di trasferimento e di stipulare nuove convenzioni con i paesi, prevalmente del Maghreb, da dove arriva maggior parte detenuti stranieri”. Per la Cancellieri “la condizione di sovraffollamento dei penitenziari italiani è un dato oggettivo”. E per questo ha spiegato che “al 30 giugno 2013 erano presenti 66.028 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 47.022. Questo Governo dedica una grande attenzione al problema del sovraffollamento”. Con il decreto legge 78 del primo luglio 2013 “il Governo mira a favorire l’adozione di efficaci meccanismi di decarcerizzazione nei confronti di persone di ridotta pericolosità sociale. In particolare tale decreto legge agisce nella duplice direzione di limitare l’ingresso in carcere e di favorire l’uscita dal circuito penitenziario per i soggetti meno pericolosi incentivando opportunità rieducative”. Con decreto-carceri nessuna impunità Il decreto legge sulle carceri varato dal Consiglio dei ministri nelle scorse settimane per fronteggiare l’emergenza sovraffollamento nei penitenziari è “lungi dal prevedere impunità di sorta”. Lo ha dichiarato il Guardasigilli Annamaria Cancellieri, nel corso del question time alla Camera. Con il decreto, il Governo “mira a favorire - ha spiegato Cancellieri - l’adozione di efficaci meccanismi di decarcerizzazione nei confronti di persone di ridotta pericolosità sociale”. Il provvedimento attualmente all’esame del Parlamento “agisce nella duplice direzione di limitare gli ingressi in carcere - ha ribadito il ministro - e di favorire le uscite dal circuito penitenziario per i soggetti meno pericolosi, incentivando nel contempo le opportunità rieducative”. Il decreto, inoltre, ha ricordato il Guardasigilli, “prevede che il giudice stabilisce il luogo di esecuzione degli arresti domiciliari in modo da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato”. Giustizia: Commissione Sanità del Senato; serve una riflessione sulla sanità penitenziaria www.quotidianosanita.it, 17 luglio 2013 Parere favorevole ma con osservazioni dalla Commissione Sanità del Senato. Le osservazioni riguardano l’assistenza sanitaria che deve essere adeguata e, sul lavoro gratuito alternativo al carcere, si chiede di valutare la sostenibilità per i datori di lavoro dei costi assicurativi. Il disegno di legge di conversione del decreto-legge 1° luglio 2013, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena, che vuole fronteggiare il sovraffollamento carcerario e l’inadeguatezza delle strutture penitenziarie e del regime di esecuzione delle pene, meglio noto come “svuota carceri”, ieri è stato esaminato anche dalla Commissione Sanità del Senato. Per la parte di propria competenza la Commissione se nel complesso ha espresso parere favorevole, non ha però mancato di fare delle osservazioni sull’impianto generale del decreto. In particolare la preoccupazione della Commissione è che sia garantita a tutti i soggetti interessati un’assistenza sanitaria adeguata in tutte le regioni e in materia di lavoro gratuito, previsto dal decreto come strumento alternativo al carcere, si invita a svolgere una “riflessione circa la reale sostenibilità da parte dei datori di lavoro dei costi per le assicurazioni da infortunio o per danno a terzi”. Sempre sul lavoro gratuito e alla partecipazione dei detenuti a progetti di pubblica utilità, si ritiene che “l’affidamento debba avvenire previa valutazione clinica sulle condizioni psicofisiche del detenuto”. C’è poi un richiamo di natura formale da parte della Commissione che chiede “se sia corretto equiparare la nozione di tossicodipendente con quella di assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope che potrebbe indurre nei detenuti comportamenti tesi a falsificare le proprie reali condizioni di salute”. E infine il richiamo affinché il provvedimento sia occasione per una “riflessione generale sulla sanità penitenziaria”. Il decreto, come ha spiegato il sottosegretario Pier Paolo Baretta presente in Commissione per conto del governo, nelle intenzioni dell’esecutivo vuole determinare “un cambio di passo nella direzione dell’attenzione al lavoro come forma di rieducazione e dell’allentamento della pressione sulle strutture penitenziarie”. Baretta ha poi aggiunto, in sede di replica, di comprendere “le preoccupazioni della Commissione sull’importanza di uno stretto raccordo tra organi del circuito giudiziario e penitenziario e strutture del Servizio sanitario nazionale, nonché sulle cautele da adottare nel settore dei lavori di pubblica utilità. Quanto, infine, ai rilievi circa l’equiparazione tra tossicodipendenti e assuntori di sostanze, evidenzia che il testo non introduce una equipollenza di portata generale, ma limitata al solo settore dei lavori di pubblica utilità”. Giustizia: referendum radicali “trasversali”. Pd contro: no banchetti alle feste del partito di Giorgio Ponziano Italia Oggi, 17 luglio 2013 Si sono presentati insieme, a Rimini, non senza imbarazzo. Tutti attorno al tavolo per presentare in una conferenza stampa l’avvio della raccolta delle firme per i referendum proposti dai radicali. Una specie di larghe intese ma senza il Pd e con tutti quelli che a Roma additano le larghe intese come l’inferno della politica. Certo, qui si tratta di referendum e non del governo. Ma è pur sempre di un’alleanza politica, seppur temporanea. Quindi come non rimanere sorpresi se ci si trova dinanzi a un impensabile, fino a ieri, embrasson nous: ecco allora a Rimini, ma il copione si sta ripetendo in tutt’Italia, il coordinatore Pdl, berlusconiano doc, che dà ragione al responsabile di Sel, ultravendoliano, il portavoce del Movimento 5Stelle che flirta col segretario del Psi. Tutti insieme appassionatamente, in un rito officiato dal capo dei radicali locali che annuncia trionfante: anche Mariastella Gelmini e Fabrizio Cicchitto hanno firmato, a Roma, presso la segreteria comunale. E anche i sellini approvano, convinti. Sì, sono i referendum più trasversali della storia referendaria italiana. A Napoli (e non solo) è scesa in campo pure l’Oua, cioè l’organismo unitario dell’avvocatura italiana e degli ordini forensi. Ed ecco gli avvocati in fila, a firmare. Ne occorrono 500 mila di firme e i radicali stanno pressando i leader perché scendano in campo: Berlusconi e Vendola uniti nella lotta, per raggiungere il quoziente-firme entro settembre perché solo così sarà possibile votare in primavera. 12 referendum su immigrazione, droga, carcere preventivo, magistratura (responsabilità civile dei magistrati, separazione delle carriere, rientro dei magistrati fuori ruolo), finanziamento pubblico dei partiti, divorzio breve, abolizione dell’ergastolo. Come (quasi) sempre è successo in occasione dei referendum le polemiche sono all’ordine del giorno: nel Pdl c’è chi non è d’accordo nell’appoggio, nel Pd chi dissente dal non-appoggio, i grillini hanno appreso da una dichiarazione del proprio leader di essere favorevoli ma non sono mancati i mugugni e Antonio Di Pietro ha scritto al guru invitandolo a fare dietrofront: “Non puoi essere giustamente contro colui che ha distrutto questo Paese e che lo tiene in ostaggio da 20 anni e poi aiutarlo nel suo intento di punire i magistrati e di bloccare il sistema giustizia”. Di Pietro assicura che Grillo gli ha risposto: “Non sapevo di che si trattasse, ora ho capito e certo non mi metto con Berlusconi a fare una battaglia contro i magistrati”. Il bello è che però Grillo non ha ancora virato, nulla è stato scritto sul suo blog e i circoli 5stelle hanno incominciato a raccogliere le firme, perfino il sindaco di Parma, il grillino Federico Pizzarotti, ha scritto ai radicali assicurando che faciliterà in ogni modo la riuscita dell’iniziativa. Con buona pace, per ora, del resuscitato Di Pietro. In mezzo al guado si viene così a trovare Roberto Fico, il grillino a capo della commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai, a cui i radicali hanno chiesto di farsi sentire, ovvero di imporre alla Rai di dare spazi a sostegno della campagna referendaria. Rischia di venirsi a trovare tra gli ultra del referendum e il dietrofront di Grillo, senza sapere a che santo votarsi. Poi c’è Sel, che finora ha detto sì ma col profilo basso. “Accogliamo con entusiasmo che l’on. Gianni Melina (Sel) abbia preannunciato che firmerà i referendum radicali”, dice Alessio Di Carlo della segreteria di Radicali Abruzzo. Ma Nichi Vendola? Per ora tiene la testa sotto la sabbia. Così come Enrico Letta che si è ben guardato di prendere posizione sui referendum, non è sceso in campo neppure per difendere il suo ministro degli Interni, così apostrofato da Alessandro Gherardi, componente del Comitato promotore dei referendum: “il ministro della Giustizia ha ragione nel dire che serve equilibrio quando si parla di responsabilità civile dei giudici, subito dopo però farebbe bene ad aggiungere che attualmente l’Italia è l’unico paese europeo dove vige un regime di totale insindacabilità dell’operato dei magistrati con la conseguente impossibilità per il cittadino di ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell’errore giudiziario. Di fatto oggi l’illecito del magistrato coincide con le sole decisioni giudiziarie “folli”, che chiamano in causa lo psichiatra piuttosto che la tecnica legale; non a caso l’attuale legge sulla responsabilità civile dei magistrati è stata bocciata dalla Corte di Giustizia della Comunità europea”. Il Pd s’è schierato contro e quindi i banchetti rimarranno fuori dalle feste democratiche, l’ordine è stato impartito da Guglielmo Epifani e tutti hanno risposto signorsì. Quindi niente raccolte firme tra gli stand, nonostante qualche dissenso come quello di Marco Paciotti, coordinatore del forum immigrazione del Pd che non potrà aprire banchetti nelle feste ma raccoglierà firme nelle città: “Trovo naturale” dice, “aderire, dare sostegno ed essere in campo a favore dei quesiti referendari che riguardano l’immigrazione, raccoglierò le firme”. Continua: “All’assemblea nazionale del Forum immigrazione è stato approvato un documento per voltare pagina rispetto alla Bossi-Fini e a tutto il pacchetto sicurezza firmato Maroni, nel documento vi sono quei contenuti presenti nei referendum radicali in cui noi ci ritroviamo appieno”. A Pordenone ben 5 consiglieri comunali Pd e un assessore hanno firmato pubblicamente a favore dei referendum, a Potenza sono 3 i consiglieri comunali pidiessini che hanno firmato, e così in altri Comuni. Un dissenso in qualche modo coperto dalle vicende congressuali che stanno tenendo banco all’interno del Pd, tanto che Epifani finora è riuscito a glissare sui referendum: no, ma senza metterci la faccia. Infine un giornalista commentatore politico iscritto al partito radicale, Federico Orlando, chiosa: “A oggi, la mia previsione è che se Berlusconi paga forte (altro che abolizione del finanziamento pubblico), i quesiti che lo interessano potranno raggiungere il numero di firme necessarie. Quanto agli altri quesiti, credo che un patrocinio partigiano non giovi al risultato. Forse non si doveva fare un’unica insalata, con una maionese già guasta”. Giustizia: Wwf Italia; il decreto-carceri manda a casa i piromani, errore gravissimo Dire, 17 luglio 2013 Il decreto svuota-carceri approvato dal Governo e ora in discussione al Senato “rischia di mandare a casa i colpevoli di danni ai nostri boschi per centinaia di migliaia di euro, riducendo l’efficacia delle pene previste per i criminali che appiccano incendi al patrimonio boschivo”: lo denuncia il Wwf Italia. Un intervento “che non ha senso nell’ottica di svuotare le carceri perché le condanne per questi reati riguardano un numero davvero esiguo di persone - segnala l’associazione in una nota - secondo i dati 2012 del Corpo Forestale dello Stato, a fronte di 288 persone denunciate per gli incendi boschivi, solo 7 sono state effettivamente arrestate”. Il Wwf chiede ai senatori della commissione Giustizia del Senato ed al governo, al ministro della Giustizia in particolare, di “eliminare senza indugio la modifica al Codice di procedura penale che riguarda il reato di incendio boschivo, ripristinando l’obbligatorietà della reclusione per quelle poche decine di persone che sono state assicurate alla giustizia”. Dai dati del Corpo Forestale dello Stato per l’anno 2012, ricorda l’associazione, ci sono stati 5.375 incendi boschivi che hanno percorso, danneggiando o distruggendo, 33.620 ettari di superficie , di cui 20.314 ettari di boschi. I dati più pesanti ed allarmanti riguardano il sud, con la Sicilia in testa. “La pena alternativa al carcere (affidamento a servizi sociali o arresti domiciliari) può essere decisa dal giudice nel caso di reati minori, che comunque non presentano alti indici di pericolosità sociale - dichiara Patrizia Fantilli, direzione legale e legislativa Wwf Italia - ma certamente non per l’incendio boschivo doloso, che deve essere qualificato come crimine ambientale di particolare allarme e danno sociale: scopriamo di frequente anche, dai dati del Corpo Forestale dello Stato e dalle cronache, che gli incendi sono legati alla criminalità organizzata che spesso li usa per intimidire o per accaparrarsi aree pregiate da poter poi cementificare o utilizzare anche come discariche abusive”. La certezza della pena, insieme alla sua entità, “sono fattori importanti come deterrenti e mai come nel caso degli incendi boschivi l’unica vera cura è la prevenzione - prosegue Fantilli - ci chiediamo a chi giova questa modifica. Si tratta di un numero davvero esiguo di persone in carcere per incendio boschivo e la loro scarcerazione inciderebbe in maniera davvero impercettibile nei grandi numeri: sempre dai dati del 2012 del Cfs scopriamo che, a fronte di 288 persone denunciate, solo 7 sono state arrestate”. Ciò detto, “la modifica proposta dal Decreto è un errore gravissimo del legislatore che sottovaluta la pericolosità dei reati di incendi boschivi”, conclude il Wwf. Giustizia: violenze sulle donne, un decreto entro la fine del mese di Maria Corbi La Stampa, 17 luglio 2013 I numeri che raccontano la violenza sulle donne sono impressionanti e aumentano ogni giorno, un pallottoliere impazzito che non riesce a contare il dolore e la disperazione. Le misure per contrastare questa quotidiana guerra, spesso domestica, dovevano essere nel decreto svuota carceri. Nella bozza c’erano, poi sono scomparse in sede di stesura definitiva per evitare intoppi all’approvazione finendo in un pacchetto sicurezza allo studio del ministro Alfano che dovrebbe essere portato in Consiglio dei ministri come decreto legge entro la fine del mese. Certamente non c’è tempo da perdere. Le cifre sulle violenze ai danni delle donne sono da capogiro come emerge da un recentissimo rapporto dell’Oms: 6 milioni e 700mila donne italiane tra i 16 e i 70 anni sarebbero vittime di abusi fisici e sessuali e circa un milione di donne potrebbe aver subito stupri o tentati stupri; eppure del 14,3% delle vittime di violenza solo il 7% lo ha denunciato. In questa stretta per il contrasto del femminicidio, della violenza contro le donne e della violenza di genere allo studio del ministero dell’Interno è previsto che il Questore, avuta notizia di un reato di lesioni in situazioni di violenza familiare, anche in assenza di querela, ammonisca l’autore del maltrattamento. Procedura che avviene anche per il reato di stalking. E qui il buon senso vorrebbe che venga inserita anche una norma che tuteli la donna che continua a vivere sotto lo stesso tetto con l’autore del maltrattamento, dopo l’ammonimento del questore, come richiedono molti centri antiviolenza. Tra le norme anche la procedibilità d’ufficio, in assenza di denuncia della vittima; l’irrevocabilità della querela; la precedenza per i processi di stalking; l’arresto obbligatorio in fragranza di reato. Tra le aggravanti previste quella nel caso il reato si consumi mentre la donna è in gravidanza e quella nel caso alla violenza assista un minore di 14 anni. Isabella Rauti, consigliere del ministro dell’Interno per le politiche di contrasto alle violenze di genere e al femminicidio, insediatasi un mese fa è fiduciosa: “Qualora il decreto legge andasse in Consiglio dei ministri contenente norme di urgenza noi riusciremmo ad introdurre un inasprimento delle pene e una necessaria stretta ai reati di stalking e alla violenza di genere. Sarebbe una piattaforma importante per arrivare a una più corretta applicazione della normativa nata nel 2009 e che ci aiuterebbe a preparare l’applicazione della convenzione di Istanbul nella consapevolezza che la lotta alla violenza non passa solo attraverso le leggi, la repressione, ma anche attraverso la prevenzione, ovvero una rivoluzione culturale, un’educazione ai sentimenti e una rieducazione del violento o dell’uomo maltrattante”. Contrasto e prevenzione le parole d’ordine, ma anche corsi (già avviati) per preparare adeguatamente il personale che verrà a contatto con le donne vittime di violenze soprattutto in famiglia. Campania: Garante Adriana Tocco; abbiamo esposto al ministro le criticità delle carceri Ansa, 17 luglio 2013 “Il Ministro ci ha ricevuti con cordialit… e simpatia e ha condiviso le criticità esposte, soffermandosi in particolare sulla questione del sovraffollamento e delle condizioni dei tossicodipendenti”. È quanto dichiara Adriana Tocco, Garante dei detenuti Regione Campania, commentando l’incontro di Roma con il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri al quale ha preso parte anche Franco Corleone, Garante del comune di Firenze. “Per quanto concerne la Campania, i tossicodipendenti - aggiunge Tocco - costituiscono un terzo della popolazione carceraria (circa 8000 unità) e per essi vanno individuate pene alternative alla detenzione. A tal riguardo, abbiamo ricordato al Ministro, l’esigenza di assegnare la delega per le tossicodipendenze, non ancora attribuita a nessun componente del Governo, nonché la necessità di modificare profondamente la Legge “Fini-Giovanardi”. “Per quanto concerne il sovraffollamento - prosegue il garante dei detenuti della Campania, il Ministro è apparsa consapevole e fiduciosa che il “Decreto Carceri” possa alleviarlo. Ho evidenziato, che la Campania è una delle regioni più affollate, in cui la capienza regolamentare è di circa 5mila unità”. “Il Ministro, che aveva già visionato il video de “Il Mattino di Napoli”, si è impegnata - aggiunge ancora la Garante - a ridurre il numero dei detenuti di Poggioreale e a individuare tutte le soluzioni possibili per ovviare alle scandalose attese delle famiglie per i colloqui con i congiunti detenuti”. “Infine abbiamo affrontato la necessità di bandire concorsi per i direttori degli istituti di pena, molti dei quali risultano sedi vacanti. Esigenze molto apprezzate dal Ministro, a cui abbiamo rivolto il nostro ringraziamento - conclude Adriana Tocco - per la concretezza, la disponibilità e l’immediata risposta”. Sardegna: l’ergastolano Mario Trudu, in carcere dal 1979, chiede trasferimento nell’isola di Maria Grazia Caligaris (Socialismo, Diritti e Riforme) Sardegna Quotidiano, 17 luglio 2013 Negare a un detenuto l’espiazione nella sua terra della parte conclusiva della pena dopo 33 anni di reclusione ininterrotta fuori dall’isola, pone seri quesiti sulla finalità della privazione della libertà. Il rifiuto, peraltro giustificato con motivazioni che appaiano discutibili, si configura come un atto vendicativo da parte dello Stato soprattutto perché la persona in questione ha un “fine pena mai”. L’esempio a cui ci riferiamo è quello di Mario Trudu, arzanese, 64 anni. Detenuto a Spoleto, l’uomo, in carcere dal 1979, chiede da anni di poter tornare in Sardegna anche perché non può fare regolari colloqui con i familiari per la distanza e le loro condizioni fisiche ed economiche. Il rifiuto di concedere il trasferimento a un uomo ormai anziano induce quindi a riflettere. Di per sé l’adozione dell’ergastolo, quale provvedimento riparativo di una colpa grave, aveva destato un acceso dibattito a partire dai Padri Costituenti. Furono soprattutto coloro che avevano patito la privazione della libertà durante il Fascismo ad assumere una posizione particolarmente critica. Le problematiche erano legate soprattutto alla coerenza con la Carta fondamentale. Risultava e risulta infatti impossibile conciliare una pena così pesante con l’art.27 della Costituzione laddove prescrive l’umanità della pena inflitta. La disumanità dell’ergastolo consiste proprio nella negazione perpetua della libertà, espressione propria dell’essere umano. Non solo, risulta altresì in contrasto con l’altro principio costituzionale quello secondo il quale “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato” e quindi alla sua riabilitazione sociale. Un’esclusione dalla vita comune per sempre è in contraddizione con un progetto finalizzato alla sua inclusione. Lo ha ribadito di fatto Papa Francesco che ha abolito l’ergastolo per la Città del Vaticano, Il quadro normativo in Italia si è invece complicato creando un’altra forma di “fine pena mai” che non lascia alcuna possibilità di recupero nella prospettiva della libertà. È l’ergastolo ostativo, una sanzione aggiuntiva, introdotta nel 1992 dopo le stragi di mafia, estesa ai sequestri di persona. Ha avuto carattere retroattivo coinvolgendo anche quei detenuti che, in carcere da decenni, pur avendo concluso l’iter giudiziario sono stati esclusi da qualunque premialità prevista dalla legge Gozzini. Per eliminare la sanzione ostativa è indispensabile collaborare con la giustizia in modo da contribuire fattivamente a sgominare le organizzazioni criminali. Per molti detenuti, dopo tanti anni trascorsi dal reato, è pressoché impossibile, anche volendo, collaborare. Un’ingiustizia, frutto dell’emergenza criminalità, che il Parlamento deve al più presto abolire. La vicenda di Mario Trudu però è paradossale per l’assurdo mancato rispetto della territorialità della pena. L’ergastolano di Arzana, che ha riconosciuto le proprie responsabilità e partecipa alle iniziative rieducative, non chiede la libertà e neppure di avere un trattamento di favore. La sua domanda è semplicemente quella di tornare in Sardegna, in una struttura penitenziaria dell’isola. Vorrebbe poter svolgere qualche colloquio con i suoi familiari e rivedere le sorelle, una in particolare che per ragioni di salute non può effettuare viaggi. Sono trascorsi 9 anni dal loro ultimo colloquio. Ha vissuto 33 anni in carcere dove ha partecipato attivamente ai programmi riabilitativi. Ha ottenuto il diploma dell’Istituto d’Arte e contribuito con ricerche a salvaguardare la memoria architettonica di Spoleto. Negargli ancora il ritorno in Sardegna sembra proprio una pena aggiuntiva immotivata. Napoli: ministro Cancellieri su carcere Poggioreale “ho visto il video, mando gli ispettori” di Maria Paola Milanesio Il Mattino, 17 luglio 2013 “Fa male vedere quelle immagini, sentire quelle parole dense di dolore. Ma purtroppo non basta un giorno per trovare una risposta”. Nessuna resa o rassegnazione, però: il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri è donna pragmatica. Al carcere di Poggioreale arrivano già oggi gli ispettori e a breve saranno aperti quattro nuovi locali per i colloqui. E non è escluso l’invio di rinforzi, in aiuto al personale che opera in condizioni estremamente difficili. Ministro, ha visto il video de “Il Mattino”? “Sapevo che la situazione era pesante ma non fino a questo punto”. Duemila e 800 detenuti, in una struttura che può contenerne 1.350, meno della metà. Servizi igienici che di igienico hanno ben poco, promiscuità tra detenuti condannati per reati gravi e ragazzi alla prima esperienza in carcere. Scontare una pena significa anche essere dimenticati? “Poggioreale è forse il carcere italiano che si trova nelle peggiori condizioni. È ai massimi livelli del male. Affrontare il problema del sovraffollamento, per arrivare a risolverlo - speriamo tutti in un futuro il più vicino possibile - significa costruire nuove strutture, soprattutto in Campania. Ci stiamo lavorando”. A Poggioreale, però, accade di più. Anche i parenti dei detenuti hanno perso i loro diritti: ore in fila per un colloquio con il loro familiare, bambini che piangono, anziani che si sentono male. Ministro, dov’è la civiltà in tutto questo? “È devastante ciò che rimandano quelle immagini. Ho disposto subito una ispezione, che partirà domani (oggi per chi legge, ndr). Vogliamo capire quel che accade, ma posso già dire fin da ora che a breve - nel giro di pochi giorni - apriranno quattro nuovi locali per i colloqui. Ho detto di accelerare al massimo per portare a termine i lavori. Aiuteranno ad alleggerire la pressione e a consentire più colloqui”. Il sovraffollamento comporta anche un sovraccarico di lavoro per il personale penitenziario. Il timore è che la situazione diventi ingestibile. “Vedremo sulla base dei resoconti se mandare anche personale aggiuntivo. Con l’apertura di quattro nuovi locali per i colloqui e nuovi rinforzi possiamo già fare passi in avanti. Ma mi viene in mente un suggerimento: perché non valutare l’introduzione di un sistema diviso per lettere? Nel tal giorno le visite sono consentite per i detenuti il cui cognome comincia con determinate lettere dell’alfabeto. Oppure definire agevolazioni per chi ha figli minori. Saremo operativi al più presto, appena ottenuti tutti gli elementi di valutazione. Questi sono gli interventi nell’immediato, mentre per diminuire l’affollamento - drammatico a Poggioreale - è necessario un discorso più generale e che richiede, ovviamente, più tempo”. L’articolo 27 della Costituzione dice che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tenere conto della rieducazione. A Poggioreale si sta in cella quasi tutta la giornata, pochissimi detenuti sono ammessi al lavoro, è quasi impossibile aiutare il reinserimento esterno. È costituzionale tutto questo? “Se l’Europa ci sanziona per il nostro sistema carcerario c’è un motivo... Sono arrivata al ministero della Giustizia da soli due mesi. Non è mio costume fare promesse prima di essere certa di poterle mantenere e poiché questi problemi ce li stiamo trascinando avanti da anni, chiedo che mi venga dato il tempo per una corretta valutazione. Tutti quanti, al ministero, stiamo lavorando a tempo pieno per arrivare a una soluzione”. Per Fëdor Dostoevskij si arriva alla salvezza attraverso la sofferenza. In un carcere italiano espiare la pena che cosa comporta? “La privazione della libertà è già essa stessa sofferenza. Non ci possiamo permettere, perché è immorale, determinate situazioni carcerarie o quei bambini in fila in attesa di essere abbracciati dal padre. È una situazione di cui ho avuto notizia solo in queste ore; ero consapevole delle condizioni difficili di Poggioreale ma non pensavo che venisse infranta ogni regola civile. Suscita un urlo di rabbia”. Parlando di carcere non si conquistano consensi. I partiti, al di là dei radicali, se ne occupano quando si arriva all’emergenza. “Io so che noi stiamo affrontando la situazione con molta determinazione e non solo perché ce lo chiede l’Europa ma perché è giusto”. Un’amnistia è possibile? “È una decisione che spetta al Parlamento. Per me, dal punto di vista tecnico, servirebbe eccome”. Napoli: da Caldoro a De Magistris, tutti d’accordo “a Poggioreale diritti negati” di Gerardo Ausiello Il Mattino, 17 luglio 2013 Un coro di sdegno per il carcere che scoppia. I detenuti sono oltre 2.800, dovrebbero essere meno della metà. Così, in pochi metri quadrati, sono stipate anche 14 persone. È l’inferno di Poggioreale, raccontato dal Mattino in un video choc che ha fatto registrare un boom di contatti: oltre 50mila da tutto il mondo in poche ore. Le celle anguste e sovraffollate, la lunga fila dei parenti, le storie drammatiche di chi ha perso la libertà. Di fronte a queste immagini la coscienza istituzionale si ribella, lancia un grido di dolore, invoca e promette soluzioni efficaci. Il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, sollecita azioni di sistema: “L’inchiesta del Mattino accende un autorevole riflettore su un problema nazionale che è quello legato al sovraffollamento delle carceri italiane. Si conferma, così, uno scenario estremamente preoccupante per le condizioni della struttura di Poggioreale. È necessario intervenire, in tempi rapidi, per ristabilire regole e per garantire i diritti dei detenuti. Sono certo che in questa direzione si muoveranno il governo ed il ministro competente, che segue con attenzione il tema”. Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, è categorico: “Quanto una democrazia sia pienamente compiuta lo si stabilisce anche in base al sistema penitenziario che riesce a realizzare. Se la pena perde il suo valore rieducativo, a causa del sovraffollamento degli istituti penitenziari per esempio, viene meno il senso stesso della pena e viene minato l’intero sistema. Oltre ad essere tradita la Costituzione. Il primo dovere, non solo giuridico ma di democrazia e di civiltà, consiste dunque nell’evitare che sia messo in discussione il principio che riconosce nel detenuto l’essere umano, prima, e il cittadino, poi. Per risolvere quella che appare come la più urgente emergenza del sistema, la strada da percorrere non è solo accrescere l’edilizia carceraria, quanto piuttosto rivisitare alcune leggi ingiuste, come quelle che riguardano il reato di immigrazione clandestina o quelle relative all’uso delle droghe leggere, e vedere nella custodia cautelare veramente una extrema ratio”. La radicale Rita Bernardini è in prima linea: “Presto lo sciopero della fame diventerà collettivo. Non possiamo più tollerare che migliaia di detenuti siano sottoposti alla tortura del carcere nell’indifferenza della politica. L’amnistia è un imperativo morale e deve coinvolgere tutti. Così come non si può tacere sullo scandalo delle prescrizioni: ogni anno 160mila processi vengono cancellati e nessuno se ne assume la responsabilità”. In campo anche l’ex deputato napoletano del Pdl Alfonso Papa, che ha vissuto in prima persona il dramma della carcerazione preventiva: “Sul tema dell’amnistia si registra ancora il silenzio assordante del Parlamento mentre il piano per le carceri è stato sbandierato dai ministri della Giustizia senza alcun risultato. Oggi in Italia il 40 per cento dei detenuti è in attesa di un processo: più del doppio della media europea. Purtroppo nel nostro Paese chi parla di giustizia è mosso da interessi personali. Ho letto che il coordinatore campano del Pdl Nitto Palma è pronto ad impegnarsi per sostenere i referendum dei Radicali. Vedremo se non saranno solo chiacchiere o propaganda”. E Mario Barone, presidente di Antigone Campania, rilancia: “Occorrono investimenti mirati e un reale impegno dello Stato in favore delle misure alternative”. Esposito: Poggioreale choc, Cancellieri intervenga “La situazione choc del carcere di Poggioreale di Napoli conferma, ove mai ce ne fosse bisogno, che in alcuni istituti di pena italiani non sono rispettati né i più basilari principi di umanità né la nostra stessa Costituzione”. Così, in una nota, il vicepresidente dei senatori del Pdl, Giuseppe Esposito, vicepresidente del Copasir. “Certamente da apprezzare l’impegno annunciato dal ministro Cancellieri di predisporre ulteriori quattromila posti detentivi, ma bisogna intervenire con ancor maggiore incisività - aggiunge. Mi sono da sempre battuto per questi temi e mi auguro che per una migliore giustizia possa avere successo la raccolta firme referendaria del Partito Radicale”. Napoli: la testimonianza “Dietro le sbarre l’unica educazione è alla malavita” di Davide Cerullo (ex pusher, oggi scrittore) Il Mattino, 17 luglio 2013 Quando entrai in carcere avevo 18 anni e un giorno e nella stanza 31 del padiglione Avellino eravamo 25. È difficile riassumere in poche parole cosa abbia significato per me il carcere. È un’esperienza che segna profondamente la propria vita, soprattutto perché, così come sono ridotti e strutturati i penitenziari in Italia, non hanno nulla di rieducativo ma solo di umiliante, al punto che l’unica forma di istruzione ed educazione che danno è quella di definitiva affiliazione alla malavita, soprattutto quando ci entri ragazzo. Il carcere può definirti delinquente a tutti gli effetti in quanto ti degrada umanamente, ti fa sentire indegno di recupero, di diritti e di dignità e, cosa terribile, rischia di marchiarti a vita fuori ma soprattutto dentro te stesso. Il sovraffollamento, le percosse, le condizioni igienico-sanitarie, la burocrazia inutile, le umiliazioni inferte in varie forme quotidiane e continue lasciano tutti lo stesso messaggio di essere irrecuperabile, qualunque sia l’età, qualunque sia il reato, qualunque sia la storia. Qualsiasi possibilità deve rimanere fuori le sbarre per sempre, deve svanire. Sono tanti i ricordi che affiorano alla mente se penso al mio periodo in carcere: la sveglia dei secondini sbattendo mazze di ferro sulle sbarre cui dovevamo rispondere in piedi prontamente, le urla dei ragazzi che venivano dalle celle di punizione, lo zero, di notte che per non sentirle mi premevo i pugni sulle orecchie, le gerarchie interne tra i detenuti, il carceriere Hulk che faceva paura solo a nominarlo, l’abbrutimento di tutti, detenuti e guardie, ma anche i pianti, le nostalgie dei detenuti. Chi sta in carcere a scontare una pena rimane sempre un essere umano, perché penso fortemente che la privazione della libertà per scontare una pena è una cosa, ma la privazione della dignità è inaccettabile, per chiunque. Non esiste motivo al mondo che giustifichi l’umiliazione di un essere umano, se vogliamo chiamarci Paese Civile. Non può essere rieducativa l’umiliazione e la negazione di diritti fondamentali, non è giustizia quella che a un reato ne risponde con un altro, sebbene autorizzato dallo Stato. Questa indecenza in cui versano le nostre carceri non restituisce pace e giustizia alle vittime, ma o ne crea altre o inasprisce gli animi che ancor di più, una volta fuori ma non liberi veramente, si votano alla schiavitù della malavita perché, ancor di più in carcere, si sono laureati delinquenti e perché anche una volta fuori la società non accoglie, e si rischia di non uscire più dalla cella. Non esistono gli irrecuperabili, lo ripeto, neanche dopo il carcere: una possibilità c’è sempre, e io ne sono una prova vivente. E non dimentico nulla di quei miei giorni nel carcere di Poggioreale, nessuna voce, nessun urlo e nessun lamento. Voci che ho tentato di annodare insieme, come un lenzuolo gettato oltre le sbarre per fuggire un poco, attraverso le lettere che mi sono state scritte dopo l’uscita del mio primo libro “Ali Bruciate” e dalle conversazioni intense che ho avuto con molti detenuti e detenute in Italia, che ho voluto raccogliere nel mio secondo libro “Parole Evase”, il cui ricavato è devoluto al Progetto “Vela : rendere consapevoli” che si occupa a vari livelli dei bambini delle Vele di Scampia. E proprio ai bambini delle Vele, come fui io stesso bambino di quei palazzi e di quella storia, dedico ora il mio lavoro e il mio tempo, insieme a tanti altri che collaborano tra associazioni e singole persone. Sono tornato dopo sette anni vissuti al Nord per lavorare pienamente in questo Progetto, per creare insieme possibilità e alternative, per sostenere la bellezza che esiste già, va solo accolta, difesa e presa in carico, perché queste nuove generazioni crescano davvero libere, consapevoli. Libere dai luoghi comuni del luogo di nascita, che imprigionano e indicano una strada che non è inevitabile, libere dai pregiudizi che induriscono e separano, perché le sbarre non sono solo in carcere ma soprattutto nella testa delle persone che non sanno, che non riescono ad essere consapevoli attraverso la conoscenza, la cultura, lo stare e fare assieme. Liberare la bellezza che pure esiste in ognuno di noi, scoprire le proprie potenzialità per costruirsi un destino proprio e valori diversi dalla sopraffazione e dalla violenza che purtroppo a volte sono proprie della malavita e contemporaneamente autorizzate dallo Stato, almeno finché permette a queste carceri di continuare ad umiliare così delle persone. Roma: un master universitario per formazione di intermediatori del disagio penitenziario Dire, 17 luglio 2013 Dalle best practices dell’Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti della Regione Lazio e dall’esperienza scientifica e formativa dell’Università di Roma “Tor Vergata” nasce il primo master universitario italiano che formerà Intermediatori del Disagio Penitenziario. Il progetto di formare una nuova figura professionale, in grado di interfacciarsi con le complessità del mondo penitenziario, è stato ideato insieme dalle due istituzioni citate, che già collaborano con profitto nel progetto Università in carcere, grazie al quale, negli ultimi anni, decine di detenuti delle carceri della Regione hanno potuto iscriversi e frequentare le lezioni universitarie. Il master di II livello per Intermediatori del Disagio Penitenziario - istituito presso il Dipartimento di Scienze Storiche, Filosofico-Sociali, dei Beni culturali e del Territorio dell’Università di Tor Vergata - è stato presentato nel corso di una conferenza stampa cui hanno partecipato il Rettore dell’Ateneo romano, prof. Renato Lauro, e il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Il master è finalizzato a formare personale con una conoscenza specifica nelle materie giuridiche, psicologiche, antropologiche, sociologiche, linguistiche ed economiche necessarie per operare in ambito penitenziario e per relazionarsi con gli interlocutori istituzionali e gli Enti di riferimento dislocati sul territorio, al fine di acquisire una preparazione complessiva orientata all’implementazione di buone prassi. “Questo master è un ulteriore salto di qualità del lavoro che abbiamo svolto nelle carceri - ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - perché consente di codificare, a livello didattico, le migliori pratiche, gli iter burocratici e le linee operative di intervento adottate in questi anni per prevenire e risolvere i problemi. Quello dietro le sbarre è un ambiente difficile capace di piegare, sia al primo impatto che a lungo andare, i reclusi e coloro che in carcere lavorano e vi si avvicinano come volontari. Per questo giudico importante questo esperimento di formazione di persone in grado di approcciarsi al mondo del carcere con la giusta preparazione tecnica, piscologica e giuridica”. “L’idea del master - ha detto il Rettore dell’Università di Roma Tor Vergata Renato Lauro - nasce dall’intento di valorizzare l’esperienza maturata in questi anni con il progetto “L’Università in carcere” e la mission dell’università stessa, che è quella di coniugare la ricerca con la formazione, la tradizione con l’innovazione, la preparazione teorica con l’applicazione pratica delle conoscenze. Si tratta di un progetto pilota interdisciplinare con il quale “Tor Vergata” intende offrire una opportunità alle esigenze dei neolaureati e del mondo del lavoro - senza trascurare gli aspetti del volontariato sociale - e allo stesso tempo dare delle risposte ai problemi, come quelli del mondo carcerario, sempre più cogenti per la nostra società”. Il percorso formativo del master affronterà le seguenti aree teorico-pratiche: giuridico/istituzionale (diritto costituzionale, penale ed ordinamento penitenziario, con uno specifico accento alla conoscenza dei sistemi premiali ed alternativi al carcere, presentazione e conoscenza degli attori istituzionali coinvolti: Magistratura di Sorveglianza, Ministero di Giustizia, Uepe, area educativa penitenziaria, Enti locali, cooperative sociali, comunità terapeutiche); psicologia di base (necessaria alla gestione del colloquio con i detenuti e alla presa in carico del loro disagio, con specifici riferimenti a patologie come tossicodipendenza, sex-offenders, disagio psichico); economia e micro finanza (per acquisire capacità progettuali che consentano di ideare e strutturare piani di intervento, di reinserimento e di accompagnamento al lavoro esterno); linguistico, antropologico e storia delle religioni (per gli aspetti di mediazione culturale necessari con la crescita di detenuti stranieri); detenuti minori o extracomunitari (funzionamento delle strutture ospitanti come carceri, Ipm, Cie, modalità di intervento e progettazione di piani di prevenzione e percorsi alternativi alla detenzione e alla devianza). Il Master è riservato a quanti sono in possesso della laurea magistrale o vecchio ordinamento in Giurisprudenza, Psicologia, Lettere e Filosofia, Economia, Sociologia, Scienze Politiche, Lingue e Letterature straniere. L’attività formativa (articolata su di un anno accademico) corrisponde a 60 crediti, pari a 1500 ore di impegno. La didattica si articolerà in lezioni con esercitazioni d’aula (155 ore) e un tirocinio formativo nelle carceri del Lazio (245 ore). Le lezioni saranno tenute da docenti dell’Università di Tor Vergata, da personale dell’Ufficio del Garante dei detenuti e da personalità istituzionali. Siracusa: depositato un esposto per la morte in carcere di Alfredo Liotta di Simona Filippi (Difensore civico di Antigone) Ristretti Orizzonti, 17 luglio 2013 Il 26 luglio 2012, Alfredo Liotta, a soli 41 anni, veniva trovato cadavere in una cella della C.C. di Siracusa. A seguito del decesso, la Procura della Repubblica ha aperto un fascicolo contro ignoti e le indagini sono ancora aperte. Nell’esposto, il Difensore chiede che vengano chiariti molti aspetti oscuri e contraddittori delle cause che hanno portato alla morte di Alfredo: cosa è stato fatto per i problemi fisici e psichici del detenuto, considerati “strumentali” dal personale penitenziario, quando nel giro di sei mesi aveva perso circa 40 chili e non riusciva più neanche a camminare? Perché non sono stati monitorati i parametri vitali e non è stato mai neanche pesato? Azioni fondamentali per accertare lo stato di malnutrizione e il potenziale rischio di morte. Infine, perché non è stato ricoverato presso una struttura ospedaliera? Bolzano: 730mila euro per detenuti psichiatrici nella struttura riabilitativa “Sant’Isidoro” Alto Adige, 17 luglio 2013 La giunta provinciale, nella riunione di ieri, ha definito il progetto di assistenza per pazienti con problemi psichiatrici che si trovano in regime di detenzione, previsto per legge. Saranno ospitati, quando necessitano di un cosiddetto “basso livello di sicurezza”, nella struttura riabilitativa “Sant’Isidoro” sul Colle sopra Bolzano, gestita dall’associazione La Strada, fondata don Giancarlo Bertagnolli, impegnata da anni anche nel recupero di tossicodipendenti. Il Centro sarà ristrutturato e adeguato con interventi a carico della Provincia che prevedono una spesa di 100mila euro. La giunta ha inoltre approvato la cornice finanziaria per l’assistenza complessiva di tutti i detenuti con problemi psichiatrici, pari a 730mila euro. Tali costi comprendono la cura dei pazienti nel centro Sant’ Isidoro” (da 2 a 6 ospiti), l’assistenza di un massimo di 15 pazienti considerati a medio livello di sicurezza ospitati a “Villa San Pietro” di Arco e di un massimo di 5 pazienti in regime di detenzione classificati ad alto livello di sicurezza e ricoverati in strutture del Piemonte o dell’Emilia. Il presidente della giunta Luis Durnwalder ha spiegato che per ogni persona ospitata ai Bagni Sant’Isidoro la Provincia spende circa 300 euro al giorno. “Questo perché - ha detto il presidente - ogni persona ha bisogno di un’assistenza particolare, vista la particolarità della sua condizione”. Oristano: detenuto pakistano ha tentato il suicidio all’interno del nuovo carcere di Nuchis La Nuova Sardegna, 17 luglio 2013 Un detenuto di origini pakistane, H.M. di 34 anni ha tentato il suicidio, nel primo pomeriggio di ieri, all’interno del nuovo carcere di Nuchis. L’extracomunitario si era stretto al collo un rudimentale cappio ricavato da strisce di lenzuola legate alle sbarre della finestra, impiccandosi nel momento in cui il compagno di cella, un senegalese, stava facendo la doccia. A notare l’uomo è stato l’agente della polizia penitenziaria di turno nel braccio dedicato ai detenuti comuni, il quale ha aperto la cella dando l’allarme ad alcuni colleghi con i quali ha sollevato il pakistano, ormai cianotico e privo di sensi, tagliando l’improvvisata corda che lo aveva quasi strangolato. Il detenuto è stato quindi accompagnato nell’infermeria del carcere e sottoposto alle terapie di rianimazione che gli hanno salvato la vita. Ore l’uomo si trova ricoverato nella struttura ospedaliera interna al nuovo carcere di Nuchis, piantonato da due agenti per evitare che possa mettere a segno ulteriori atti di autolesionismo. A segnalare l’accaduto è stato ieri Mimmo Nicotra, vice segretario e responsabile nazionale dell’Osapp (una delle sigle sindacali della polizia penitenziaria), il quale ha sottolineato il decisivo intervento degli agenti e messo in evidenza la carenza di organici che continua a rendere difficoltoso l’operato della polizia penitenziaria all’interno del nuovo supercarcere nel quale, spiega in un comunicato l’Osapp “manca il direttore (che opera a scavalco con Nuoro) decine di agenti e il comandante della struttura penitenziaria”. Modena: in carcere a si sperimenta l’importanza della giustizia riparativa di Laura Solieri La Gazzetta di Modena, 17 luglio 2013 Eccellenti i risultati del Progetto Sicomoro, realizzato presso la Casa Circondariale S. Anna di Modena grazie al sostegno e alla cooperazione tra il direttore del Carcere, Rosa Alba Casella, e Marcella Reni, presidente di Prison Fellowship Italia Onlus (PFIt), l’associazione nata dall’omonima Organizzazione statunitense, Prison Fellowship International (PFI), che opera attraverso il recupero e la riqualificazione dei detenuti, oltre che con l’evangelizzazione all’interno delle carceri. Con la presentazione degli obiettivi raggiunti e la condivisione di testimonianze dei detenuti e delle vittime coinvolte nel Progetto, si intende sottolineare l’importanza delle misure alternative e il ruolo della giustizia riparativa nell’ambito del sistema penale e penitenziario. Il progetto, un programma già sperimentato con successo dalla PFI in più di 25 Paesi del mondo, prevede l’incontro all’interno delle mura di un carcere tra detenuti e vittime di reati analoghi, con l’obiettivo di creare una riconciliazione e una riumanizzazione degli uni e degli altri. A Modena - come anche nel Carcere di Opera di Milano e nella Casa Circondariale di Rieti dove è stato già realizzato il Progetto -, sono stati conseguiti degli eccellenti risultati. Il dialogo tra il detenuto e la vittima, consente al carcerato di avviare un percorso di responsabilizzazione e alla vittima di avvicinarsi, tramite il confronto, al perdono (Alberto Costi e Luigi Magnano i nomi di due delle vittime selezionate per partecipare all’iniziativa che hanno espresso pareri positivi, nonostante lo scetticismo iniziale). Per partecipare all’iniziativa, sono stati selezionati i detenuti che hanno commesso reati che hanno prodotto conseguenze sulla persona fisica. Nonostante le iniziali perplessità sull’esito del progetto, espresse da Rosa Alba Casella, direttrice della casa circondariale modenese, “l’interesse che la popolazione carceraria ha espresso nei confronti dell’iniziativa - ha sottolineato la direttrice - ha placato ogni dubbio sul successo e l’utilità della medesima”. Prison Fellowship onlus Uno staff di circa 500 persone, più di 100mila volontari e 115 sedi nazionali in altrettanti paesi al mondo. Sono numeri impressionanti, quelli elencati da Marcella Reni, presidente della sezione italiana della “Prison Fellowship onlus”. L’associazione, caratterizzata da un’impronta internazionale e da una matrice di stampo cristiano, è attiva da oltre trentanni nel “recupero e nella riqualificazione dei detenuti, anche attraverso l’evangelizzazione delle carceri”. L’organizzazione, nata nel 1976 ad opera di Charles W. Colon, braccio destro dell’ex presidente Nixon coinvolto nello scandalo Watergate, ha operato nel tempo anche in situazioni piuttosto difficili, sperimentando il Progetto Sicomoro come “strumento di riumanizzazione”. Fra tutte, merita una menzione particolare l’attività svolta in Ruanda con l’obiettivo di ristabilire la coesione sociale a seguito del genocidio. Tentativo piuttosto riuscito, secondo il giudizio della Reni, che menziona “gli importanti passi avanti compiuti in direzione di una pacifica convivenza tra Tutsi e Hutu”. Pordenone: detenuti-giardinieri, una siepe di rose tra le inferriate e il resto della città Messaggero Veneto, 17 luglio 2013 Le “regine” del giardino a ingentilire il muro di silenzio che separa la città dal castello, la vita quotidiana che scorre dalla vita immobile di chi vive dietro le sbarre. E non solo come elemento decorativo, ma come segno di rinascita perché, a piantarle e farle crescere, saranno i detenuti stessi. Per ora è solo un’immagine della mente, ma chi ha pensato a questo progetto - “l’idea originale da cui ha preso corpo il progetto è stata di Lucia Amarilli” spiega Giuseppe Laquatra, vicepresidente della San Vincenzo - la vede già come se fosse realizzata. Mentre in città infuria la battaglia per il nuovo carcere - che dovrebbe essere trasferito a San Vito secondo quanto annunciato alcuni giorni fa da senatore Pd, Lodovico Sonego - c’è chi lavora quotidianamente per portare la speranza di un futuro dignitoso a chi sconta la pena a Pordenone nel vecchio carcere del castello, da sempre al centro di polemiche per le sue inadeguatezze strutturali. Ma nonostante in questo sito lo spazio per svolgere attività extra sia di fatto inesistente, i volontari e la direzione sono sempre riusciti a promuovere delle attività usando la fantasia e facendo squadra. Il progetto spinto dalla San Vincenzo, che ha come partner la casa circondariale stessa, l’Ambito urbano, Soform, l’associazione Carcere e comunità di cui Laquatra è cofondatore, la cooperativa Oasi e la Provincia (che ha dato un prezioso contributo economico alla San Vincenzo per la realizzazione), si propone di insegnare ai detenuti le tecniche di coltivazione e di vendita delle piante officinali e delle rose. “L’obiettivo è professionalizzare i detenuti anche in vista del loro reinserimento nella società - spiega Laquatra - e allo stesso tempo mettere in rete il carcere con le realtà cooperative che si occupano di agricoltura sociale”. Le tecniche di coltivazione riguarderanno per l’appunto - sia con lezioni teoriche che pratiche - le piante aromatiche e le rose. Articolato su due anni di durata, il progetto è partito intanto ad aprile per due detenuti ma sarà esteso ad altri, progressivamente. La San Vincenzo, presieduta da Tatiana Pillot, è tra le poche realtà che da anni lavorano in carcere per costruire un domani a chi vive in regime detentivo. Una scelta che non tutti condividono nell’opinione pubblica, ma che per la San Vincenzo risponde a una chiara e profonda missione: “Per la San Vincenzo - dice Laquatra - i carcerati sono gli ultimi tra gli ultimi”. Prato: le panchine realizzate dai detenuti donate all’Unione dei Comuni Val di Bisenzio met.provincia.fi.it, 17 luglio 2013 Attraverso i corsi di formazione del Progetto Ariel e donate all’Unione dei Comuni Val di Bisenzio. Sono state collocate a Vernio e Cantagallo in parchi e percorsi attrezzati. Sono sette le panchine realizzate all’interno di uno dei corsi di formazione del Progetto Ariel, finanziato dalla Provincia e tenuto all’interno del carcere. I detenuti hanno voluto donarle all’Unione dei Comuni Val di Bisenzio, i cui tecnici sono stati docenti del corso, che le ha collocate a Vernio e Cantagallo in parchi e percorsi attrezzati. Due sono state sistemate nel Comune di Vernio, nel parco attrezzato dell’Albereta e a Mulin de Fossi al fontanello La Balena, le altre 5 nel Comune di Cantagallo, 3 alla Cascina di Spedaletto e 2 sul percorso delle sorgenti del Bisenzio. Questa mattina alla piccola cerimonia di consegna delle panchine al fontanello La Balena a Vernio, hanno partecipato la vice presidente della Provincia Ambra Giorgi, il direttore del Carcere Vincenzo Tedeschi, il presidente dell’Unione dei Comuni Marco Ciani, l’assessore del Comune di Vernio Giovanni Morganti e il preside dell’istituto Datini Daniele Santagati. “È il frutto concretissimo di un progetto che la Provincia ha finanziato con l’obiettivo, secondo me d’obbligo per gli enti locali, di offrire un’opportunità a chi esce dal carcere - ha detto la vice presidente Giorgi - Il progetto merita di andare avanti, cercheremo in ogni modo di rifinanziarlo”. “Un’esperienza molto bella professionalmente e umanamente per il personale della Comunità montana che ha lavorato con i detenuti con impegno e passione”, ha aggiunto Ciani, mentre il direttore Tedeschi ha ricordato come il progetto di formazione Ariel abbia coinvolto complessivamente 80 detenuti dando loro una qualifica professionale. Il progetto Ariel (azioni di reinserimento sociale formativo e lavoro) è stato finanziato dalla Provincia con 120 mila euro del Fondo sociale europeo, con il Datini come istituto capofila e come sostenitori il Comune di Carmignano, quello di Montemurlo e l’Unione dei Comuni della Val di Bisenzio. Sono stati realizzati in particolare 4 corsi di formazione che hanno coinvolto 47 detenuti della media sicurezza, di cui alcuni stranieri: orto di 214 ore per l’inserimento nell’attività di conduzione delle produzioni arboree, erbacee ed ortofloricole, bosco di 244 ore per l’inserimento nelle attività di cura delle superfici boschive e protezione del terreno, idraulica di 184 ore per l’installazione e manutenzione degli impianti termoidraulici e muletto 12 ore di corso teorico-pratico per lavoratori addetti alla conduzione di carrelli elevatori semoventi con conducente a bordo. All’interno del carcere il progetto ha permesso al realizzazione di un giardino dotato di spazio giochi per i bambini, gazebo e attrezzature in legno e impianti di irrigazione, destinato ai circa 100 bambini che abitualmente frequentano il carcere con la famiglia in visita al padre. Immigrazione: Ucpi visita Cie Bari; migliore struttura d’Italia, ma ospiti in ozio permanente di Giovanni Longo Gazzetta del Mezzogiorno, 17 luglio 2013 Penalisti in visita il confronto è vincente, ma mancano spazi ricreativi. Allarme per l’uso di psicofarmaci. rilevate “carenze sanitarie” Vive da 34 anni in Italia. Ha lavorato in Toscana come meccanico. Sposato con una cittadina italiana ha perso il lavoro e il permesso di soggiorno. Adesso si trova nel Cie di Bari. Mentre rischia l’espulsione non gli è consentito di incontrare sua figlia, di 16 anni, perché nella struttura non possono entrare minorenni. È solo una delle tante storie raccolte ieri dall’avvocato Manuela Deorsola, dell’Unione nazionale della Camera Penale dall’avvocato Annamaria Alborghetti, dell’Osservatorio carcere dell’Ucpi e da una delegazione della Camera Penale di Bari, con in testa il neo presidente, avvocato Gaetano Sassanelli. I penalisti, che continueranno il loro giro nelle carceri pugliesi di Brindisi, Lecce e Taranto, hanno avuto la possibilità di incontrare gli ospiti e parlare con loro. Per i penalisti il Cie di Bari, è una struttura “di tipo detentivo e contenitivo ma è la migliore tra tutte quelle che abbiamo visitato nelle altre città italiane”. Nella struttura nel quartiere San Paolo, sono rinchiusi 104 migranti, originari di 14 diversi Paesi - soprattutto Algeria, Tunisia e Marocco - a fronte di una capienza di 112 posti. Negli ultimi sei mesi sono transitati 371 uomini, 118 sono stati rimpatriati e 58 dimessi dopo 6 mesi di permanenza. I penalisti hanno fotografato la struttura e ne hanno descritto “le alte cancellate”, i “lunghi corridoi di accesso alle stanze-celle”, ma soprattutto l’assenza di spazi per attività sportive e ricreative. “Ci sono un campo di calcio e una biblioteca - ha detto Alberghetti - che tuttavia non vengono utilizzati”. “Vivono peggio che in un carcere - ha detto Deorsola - in una condizione di ozio permanente senza poter mai fare nulla”. Circa il 70 per cento degli ospiti proviene da carceri, dopo aver scontato condanne, mentre gli altri sono cittadini senza permesso di soggiorno, in molti casi perché non è stato loro rinnovato. I penalisti hanno rilevato carenze sanitarie. “C’è una stanza adibita ad ambulatorio - ha detto Alberghetti - con cinque medici che a turno coprono 8 ore al giorno e c’è un largo uso di psicofarmaci”. Mancano, poi, luoghi di culto. “Gli ospiti - ha detto Deorsola - hanno posizionato tappetini lungo i corridoi per pregare”. Vivono in moduli con sette stanze da quattro posti letto ciascuna. Negli anni scorsi, nel Cie di Bari, sono stati divelti mobili durante una rivolta. Per questa ragione letti e armadi sono inchiodati al pavimento e non ci sono più comodini. “Tra un letto e l’altro - ha raccontato il neopresidente della Camera Penale di Bari, Gaetano Sassanelli - hanno creato basi d’appoggio con fili di spugne colorate”. Ma il problema principale sono le lunghe ore di ozio e forzato, il far nulla che costringe più di qualcuno anche a fare uso di psicofarmaci. Kazakhistan: Shalabayeva… cosa rischia ora in patria? Vita, 17 luglio 2013 Torture, pestaggi, condizioni disumane nelle carceri: un report di Amnesty mette sotto accusa il paese di Nazarbaev. E per la donna espulsa dall’Italia il rischio è di finire in prigione “Non solo la tortura e i maltrattamenti sono radicati, ma questi non si limitano alle aggressioni fisiche da parte degli agenti delle forze di sicurezza. Le condizioni di prigionia sono crudeli, disumane e degradanti, i prigionieri vengono puniti con lunghi periodi di isolamento, in violazione degli standard internazionali”. Nicola Duckworth, direttrice delle Ricerche di Amnesty International descrive così la situazione dei diritti umani del Kazakhistan. Alma Shalabayeva e sua figlia di sei anni sono ora nelle mani di un governo che dei diritti umani non si è mai curato molto, come accusa un report pubblicato da Amnesty International soltanto qualche giorno fa, in cui la Ong accusa il presidente del Kazakhistan, Nursultan Nazarbaev, di ingannare la comunità internazionale con promesse non mantenute di sradicare la tortura e indagare sull’uso della forza letale da parte della polizia. Il rapporto, intitolato Vecchie abitudini: l’uso regolare della tortura e dei maltrattamenti in Kazakhistan, denuncia come le forze di sicurezza agiscano con impunità e come la tortura nei centri di detenzione sia la norma. Il documento di Amnesty International prende le mosse dalla repressione delle proteste di Zhanaozen, nel dicembre 2011, quando almeno 15 persone furono uccise e oltre 100 gravemente ferite dalle forze di sicurezza. Decine di persone vennero arrestate, imprigionate in celle sotterranee e sovraffollate delle stazioni di polizia e torturate. Secondo le testimonianze oculari, le persone arrestate furono detenute in incommunicado in celle sovraffollate, isolate dal mondo esterno. Qui vennero denudate, picchiate, prese a calci e colpite da getti d’acqua fredda. Almeno una persona morì sotto tortura. Roza Tuletaeva, attivista per i diritti dei lavoratori, accusata di essere tra gli organizzatori delle proteste di Zhanaozen, ha denunciato di essere stata appesa per i capelli, di essere stata quasi soffocata con una busta di plastica stretta intorno al capo e di aver subito umiliazioni sessuali. Agenti delle forze di sicurezza minacciarono di fare del male a sua figlia di 14 anni. Al termine del processo è stata condannata a cinque anni di carcere per “incitamento alla discordia sociale”. Aron Atabek, scrittore e poeta dissidente di 60 anni, è stato arrestato nel 2006 e successivamente condannato per aver preso parte a disordini di massa e per l’uccisione di un poliziotto. Da allora, ha trascorso due anni e mezzo in isolamento. Nel novembre 2012 è stato condannato a un altro anno di isolamento, da trascorrere nella prigione di massima sicurezza di Arqalyk, a 1650 chilometri di distanza dalla sua città. Ora anche Alma Shalabayeva rischia il carcere. E quindi anche pestaggi e torture. “La donna”, spiega John Dalhuisen, direttore del Programma Europa e Asia Centrale di Amnesty International, “è ora nelle mani del governo del Kazakhistan, tristemente noto per fabbricare accuse contro gli oppositori politici e le persone a loro associate e che vanta una lunga storia di torture, maltrattamenti e processi clamorosamente iniqui. Qualsiasi funzionario o esponente politico italiano coinvolto nell’espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia, poste dunque a rischio di subire tali violazioni dei diritti umani, dovrebbe essere chiamato a risponderne”. Secondo Andrey Grishin dell’International Bureau for Human Rights (ong che si batte da anni per i diritti umani nel paese), la revoca dell’espulsione non faciliterà il rientro della donna in Italia: “È praticamente impossibile che il governo kazako lo conceda. Anzi, farà di tutto per impedirlo”, sostiene Grishin, che anzi teme che presto per la donna si possano spalancare le porte del carcere. “La donna sarà perseguitata da pesanti accuse di ogni genere, rischia di essere imprigionata e sarà utilizzata come ostaggio per far rientrare in patria il marito, il dissidente Mukhtar Ablyazov”. Egitto: i sostenitori di Morsi arrestati senza diritti di difesa La Repubblica, 17 luglio 2013 Amnesty International ha denunciato oggi che centinaia di sostenitori del presidente deposto il 3 giugno scorso sono stati privati dei loro diritti. Raccolte testimonianze di detenuti che hanno riferito di essere stati picchiati al momento dell’arresto e sottoposti a scariche elettriche o colpiti coi calci dei fucili. Amnesty International ha denunciato oggi che centinaia di sostenitori di Mohamed Morsi sono stati privati dei loro diritti. L’organizzazione ha racconto testimonianze di detenuti che hanno riferito di essere stati picchiati al momento dell’arresto e sottoposti a scariche elettriche o colpiti coi calci dei fucili. Amnesty International ha sollecitato le autorità egiziane a indagare urgentemente sulle denunce di tortura e a rispettare il diritto a un giusto processo di coloro che sono stati arrestati e rischiano l’incriminazione per incitamento o partecipazione alla violenza nelle ultime due settimane. “In questa fase di estrema polarizzazione e divisione - ha detto Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International - è più importante che mai che l’ufficio del Procuratore generale mostri di essere realmente indipendente e non politicizzato. Questi casi rischiano di essere visti come meri atti di rappresaglia invece che atti di giustizià”. Sono 660 le sparizioni forzate. Dal 3 luglio, giorno della deposizione del presidente Morsi, gli avvocati hanno riferito ad Amnesty International che, nella sola Cairo, sono state arrestate oltre 660 persone, tra cui esponenti di primo piano della Fratellanza musulmana e della sua espressione politica, il Partito libertà e giustizia. Molti sono stati arrestati l’8 luglio durante gli atti di violenza alla sede della Guardia repubblicana, in cui sono stati uccisi almeno 51 sostenitori di Morsi. Mentre di circa 650 persone è stato ordinato il rilascio, altri rimangono in carcere perché non possono pagare la cauzione (da 106 a 531 euro). Non è ancora noto dove si trovino il deposto presidente e i suoi collaboratori. Amnesty International teme che le loro condizioni di detenzione equivalgano a una sparizione forzata. I familiari si sono visti rifiutare ogni informazione sui loro cari, che a quanto pare non vengono portati di fronte a un giudice nè hanno accesso a un avvocato. Ne va della fiducia nella Giustizia. “Stabilire fiducia nel sistema giudiziario sarà impossibile - ha commentato Sahraoui - se saranno solo i sostenitori di Morsi e della Fratellanza musulmana ad essere presi di mira, mentre le forze di sicurezza vengono assolte da ogni responsabilità, per le uccisioni illegali e la mancata protezione dei manifestanti da atti di violenza. Tutti hanno diritto ad un giusto processo ha aggiunto - a prescindere da cosa le autorità pensino della loro affiliazione o posizione politica. A Mohamed Morsi e i suoi collaboratori, come a chiunque altro, devono essere garantiti i diritti basilari, compreso l’immediato accesso agli avvocati e ai familiar”. Detenuti colpiti con i calci dei fucili. Amnesty International ha sollecitato le autorità egiziane ad aprire un’inchiesta che faccia pienamente luce sulle denunce di maltrattamenti presentate dai detenuti, soprattutto in occasione degli arresti avvenuti di fronte alla sede della Guardia repubblicana. I detenuti hanno riferito di essere stati colpiti coi calci dei fucili e di essere stati sottoposti a scariche elettriche. Una volta portati alle stazioni di polizia, secondo i loro racconti, sono stati bendati e interrogati da uomini ritenuti appartenere ai servizi segreti dell’Agenzia nazionale per la sicurezza, una modalità che ricorda le tattiche dell’era Mubarak. Sarebbe poi stato impedito loro di contattare le famiglie e gli avvocati. Costretti a strisciare su vetri rotti. Un ex detenuto, Mostafa Ali, ha riferito che lui e sua moglie sono stati costretti a strisciare su vetri rotti. I due si erano riparati in un edificio nei pressi della sede della Guardia repubblicana, dopo che le proteste erano state disperse. Gli uomini della sicurezza li hanno arrestati insieme ad altre persone, hanno ammanettato gli uni agli altri e li hanno costretti a strisciare sull’asfalto. Mostafa Ali ha poi denunciato pestaggi e l’uso delle scariche elettriche. Nove alti esponenti o sostenitori della Fratellanza musulmana sono agli arresti e altri mandati di cattura sono stati già emessi, uno dei quali nei confronti della guida spirituale del gruppo. Il capo del team degli avvocati della Fratellanza musulmana, Abdelmonim Abdelmaqsoud, è a sua volta detenuto nella prigione di Tora, a sud del Cairo. Chiuse sei emittenti Tv, pro-Morsi. “Spetta alla pubblica accusa e alle autorità incriminare a fornire elementi di prova a sostegno dell’incriminazione. Se non ci sono prove da esaminare in tribunale, allora siamo di nuovo di fronte ad un giro di vite nei confronti della Fratellanza musulman”, ha concluso Sahraoui. Subito dopo la deposizione di Morsi, le forze di sicurezza hanno chiuso almeno sei emittenti televisive favorevoli all’ex presidente e fatto irruzione nelle loro redazioni. Il giorno successivo, il Partito libertà e giustizia ha denunciato che la tipografia di stato aveva rifiutato di stampare il loro giornale. Il 7 luglio, l’ufficio del Procuratore generale ha congelato i beni di 14 persone legate alla Fratellanza musulmana e ai partiti che la sostengono.