Giustizia: un malinconico pensiero agli espulsi senza nome di Luigi Manconi (presidente Commissione tutela diritti umani del Senato) La Repubblica, 16 luglio 2013 L’ancora oscura vicenda di Alma Shalabayeva e di sua figlia mostra in filigrana la sorte di altre migliaia di persone. Ogni mese, dai Cie italiani, una moltitudine di persone anonime, spesso senza avvocati e senza alcuna risorsa, né tutela o relazione, vengono caricate su aerei (“vettori”) e riportati in paesi da dove sono fuggiti perché perseguitati, minacciati, discriminati o semplicemente disperati. Secondo Amnesty International, l’espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia di sei anni, Alua, ha rappresentato “un atto contrario al diritto internazionale, peraltro con procedura sommaria e persino sconosciuta alle nostre autorità politiche”. La questione è che moglie e figlia di un oppositore politico del despota kazako Nazarbayev sono state espulse dall’Italia, con un provvedimento sul quale dovrà essere fatta chiarezza, verso un Paese che non dà alcuna garanzia dal punto di vista della tutela dei diritti umani. Un paese dove - a detta della gran parte degli organismi internazionali - viene praticata costantemente la tortura, e dal quale il marito della donna espulsa, Mukhtar Ablyazov, era fuggito, riparando all’estero. Un fatto oscuro, repentino, scandaloso. Ma è l’evento che ha condotto alla procedura di espulsione a risultare ancora più incredibilmente oscuro, repentino, e, per queste ed altre ragioni, scandaloso. Secondo le dichiarazioni rese alla stampa estera (Financial Times), la notte tra il 28 e il 29 maggio, Alma Shalabayeva dormiva in una villa a Casal Palocco, con sua figlia: quando, all’improvviso, fu svegliata da un forte rumore. Molti uomini picchiavano contro le finestre e alla porta. In 35 o più sono entrati in casa, ma nessuno, al momento dell’irruzione, ha capito chi fossero (non Alma né la sorella o il cognato, anch’essi nella villa). “Erano vestiti di nero. Alcuni di loro avevano catene d’oro al collo, molti avevano la barba”, ha dichiarato la Shalabayeva. Cercavano Mukhtar Ablyazov, marito della Shalabayeva, miliardario kazako, accusato di numerosi reati comuni e oppositore di Nazarbayev. Ma lui non c’era e gli uomini ordinarono a madre e figlia di vestirsi e di venire via. Le fasi prima del rimpatrio. Seguirono, a stretto giro, il trasferimento prima in una stazione di polizia poi all’Ufficio Immigrazione, quindi al Cie di Ponte Galeria. Infine all’aeroporto di Ciampino dove madre e figlia vennero imbarcate su un jet privato diretto ad Astana, capitale del Kazakhstan. Questi i fatti in estrema sintesi. La prima svolta arriva con la sentenza del tribunale del Riesame del 25 giugno. Nell’ordinanza i giudici affermano che l’espulsione di Alma Shalabayeva si basava su un assunto che si sarebbe rivelato falso: ovvero che la signora fosse in possesso di un passaporto diplomatico contraffatto, rilasciato dalla Repubblica Centrafricana. Il Tribunale non è di questo parere: oltretutto, la Shalabayeva sarebbe in possesso di un permesso di soggiorno rilasciato dalla Lettonia, paese di area Schengen, valido fino a ottobre. Tutto quello che c’è ancora da definire. Questi i fatti ignorati dalle autorità italiane di Polizia: ed è quanto ha indotto il Consiglio dei ministri, venerdì scorso, ad annunciare la revoca del decreto di espulsione. Quella revoca, temiamo, sarà puramente virtuale. Difficile, molto difficile che si tradurrà nell’elementare atto di giustizia di consentire ad Alma Shalabayeva e a sua figlia di tornare in Italia, o in un paese più ospitale del nostro, godendo di una effettiva protezione internazionale. Ma, allo stato attuale delle cose, molte altre questioni restano da definire. Al di là delle responsabilità politiche dei Ministri coinvolti, e dell’accertamento puntuale del livello di conoscenza diretta da parte degli stessi dei fatti accaduti, resta cruciale un interrogativo: i funzionari che hanno agito, ottemperando incredibilmente alle disposizioni ricevute dall’ambasciatore kazako, erano a conoscenza della doppia identità di Mukhtar Ablyazov? Ovvero del fatto che si trattava, si, di un latitante ricercato dall’Interpol, ma anche del principale oppositore politico di un dittatore? La malinconica sensazione. Infine, è impossibile sottrarsi ad una malinconica sensazione: Alma Shalabayeva e sua figlia hanno subito una sorte terribile, che le espone tuttora a rischi e pericoli, ma la loro vicenda non è così rara e anomala. Tutt’altro. Ogni mese, dai Centri di identificazione ed espulsione italiani, decine e decine di persone anonime, spesso senza avvocati e senza alcuna risorsa, senza alcuna tutela e alcuna relazione, vengono caricate su aerei (“vettori”) e riportati in patria. In una patria da cui sono fuggiti perché perseguitati o incarcerati, minacciati o discriminati o perché, semplicemente, disperati. Centinaia e centinaia di persone che, talvolta, hanno la possibilità di esporre le proprie ragioni e di argomentare la richiesta di protezione, ma altrettante volte non sono in grado di comunicare, farsi ascoltare, chiedere soccorso. La vicenda di Ama e Alua mostra in filigrana - e attraverso una luce spietata - una moltitudine di espulsi senza nome e senza causa. Giustizia: nelle carceri celle aperte di giorno, vita in comune e maggiori responsabilità Intervista a Mauro Palma, di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 16 luglio 2013 Celle aperte di giorno e vita in comune, più responsabilità e meno umiliazioni. Mauro Palma è stato di recente nominato dal ministro della giustizia Anna Cancellieri presidente della Commissione per gli interventi in materia penitenziaria . Per anni ha ricoperto il ruolo di presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e oggi sempre in quel di Strasburgo ricopre le funzioni di vicepresidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale. D. Qual è il mandato preciso della Commissione da lei presieduta? R. Nel decreto istitutivo si fa riferimento innanzitutto alla ricognizione delle criticità strutturali del nostro sistema detentivo (tra le quali il sovraffollamento è soltanto una e non certamente l’unica) che sono state recentemente oggetto di condanne da parte della Corte europea per i diritti umani. La seconda finalità della Commissione, esplicitata nel decreto, è quella di elaborare nuovi modelli di gestione delle risorse materiali e del personale nella direzione di potenziare una visione del carcere che non si limiti alla custodia, ma che abbia un progetto di reinserimento sociale chiaramente perseguito. La terza, infine, è di rimodulare piani e progetti avviati - mi riferisco, in particolare, al più volte redatto e mai significativamente risolutivo, piano carceri - in linea con le raccomandazioni europee e con la necessità di prevedere percorsi diversi per soggetti detenuti diversi. Come si vede si tratta in sostanza di riprogettare la logica del carcere e di non richiudersi in un approccio strettamente di espansione edilizia, di aumento di posti letto. Del resto la commissione deve operare in parallelo con altri gruppi di lavoro che devono mettere a punto provvedimenti legislativi per diminuire la “carcerizzazione” anche di chi ha commesso reati minori e per favorire percorsi alternativi di ritorno alla società. D. Cosa si può fare a legislazione invariata e senza aggravi di spesa? R. Ben più di quanto non si creda. Si può iniziare innanzitutto a riportare le celle a luoghi dove si va a dormire - così come afferma lo stesso Regolamento penitenziario- e non a luoghi dove si trascorre tutta la giornata nella deprimente apatia. Le celle vanno aperte e va proposta ai detenuti, durante la giornata, una serie di occasioni di responsabilizzazione, di organizzazione del proprio tempo, di attività, di ricostruzione dì una capacità di gestione della loro stessa vita collettiva. Questo comporta anche rimodulazione degli spazi e, quindi, anche una quota di risorse finanziarie; tuttavia tali risorse non mancano se si utilizza una parte di quelle altrimenti previste semplicemente per costruire sequenze di celle, immobili nella loro concezione e inutili per svolgere una qualsiasi vita interna meno piatta e deprimente. Inoltre vanno aumentate le occasioni di contatto costruttivo con l’esterno, non in una logica assistenziale bensì in una logica di costruzione del proprio futuro. In sintesi si possono fare molte cose nella direzione di ridare futuro anche a chi ha commesso errori. Ricordiamoci che la pena toglie la libertà, ma non può togliere il futuro. A nessuno, altrimenti è una variante incruenta, ma crudele, della pena capitale. D. Come mai dal 2010 - anno della dichiarata emergenza governativa - ad oggi, si è aspettato tanto per procedere con più determinazione sulla via della deflazione carceraria? R Credo che nel complesso la dichiarata emergenza sia stata declinata in un’ottica da magazziniera che deve mettere tutte le merci in qualche posto: deve stiparle. Non certo in un’ottica di ripensamento complessivo. D. Come giudica il decreto legge di recente approvato? R Lo giudico positivamente anche se riconosco che ancora molto deve essere fatto. Qualcuno ha osservato che anche un lungo percorso, anche un antico pellegrinaggio, inizia con un primo passo. Mi riferisco, in particolare, alla rimozione di quell’assurda legge di qualche anno fa che, per compensare il rischio di essere letta come permissiva perché aveva ridotto la prescrizione, aveva parallelamente introdotto ostacoli quasi assoluti alla possibilità di accesso alle misure alternative per i recidivi, qualunque fosse il reato commesso. D. Quali sono le urgenze del sistema penitenziario? R Oltre alla grande riforma del codice penale, va ripensato il carcere. Le persone non vanno retrogradate a infanti che devono chiedere l’autorizzazione anche per corse minime. Il carcere deve essere un luogo dove si esperimentano le difficoltà di una vita collettiva nel rispetto di una scrupolosa legalità. D. Lei per anni ha presieduto il comitato europeo contro la tortura e ora è vicepresidente del consiglio europeo per l’esecuzione penale, come spiega che in Italia non si riesce a codificare il delitto di tortura? R. Per un retro-pensiero di fondo che prevederlo significhi ammettere l’esistenza di episodi di tortura nei propri luoghi di privazione della libertà. Molti pensano di “tutelare” così chi opera in tali luoghi, dalle forze di polizia agli agenti penitenziari. Si tratta di una visione miope perché purtroppo episodi gravissimi - fortunatamente rari - esistono e sono stati dichiarati con il loro nome “tortura” da parte di chi li ha indagati e a volte anche da parte degli stessi giudici. In secondo luogo perché credo che le forze di polizia nel loro complesso siano più avanti di quanto non creda chi ritiene di difenderle in questo modo: proprio i molti che operano correttamente possono tranne vantaggio dalla capacità di isolare chi invece abusa del proprio potere, peraltro con uno dei più odiosi crimini, il maltrattamento di colui di cui sei custode. Inoltre, questa cultura opaca del reato che c’è in tali fatti, ma non c’è nel codice, costruisce di fatto una percezione d’impunità che certamente non aiuta nel costruire la fisionomia delle forze dell’ordine in una democrazia. Giustizia: Alessandro Margara; contro sovraffollamento carceri rivedere tipologia reati met.provincia.fi.it, 16 luglio 2013 Il Garante dei detenuti della Toscana ha illustrato la relazione 2013 che rappresenta anche la conclusione del suo mandato: “Alcune leggi come la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi vanno cancellate” “Il problema del sovraffollamento delle carceri è più importante di quel che si pensi. E non serve pensare al condono o all’amnistia, perché sarebbe un sollievo momentaneo. Sarebbe, invece, importante cancellare alcune norme che prevedono il carcere per reati minori come la Bossi-Fini sull’immigrazione e la Fini-Giovanardi sull’uso delle droghe”. Lo ha dichiarato il Garante regionale per i detenuti, Alessandro Margara, illustrando la relazione annuale 2013 sull’attività svolta dal suo ufficio nel corso del 2012. Un’indicazione che Margara lascia al suo successore, visto che il suo mandato di Garante è giunto a conclusione, a seguito delle dimissioni rassegnate di recente. I temi della relazione sono quelli già illustrati nell’audizione alla prima commissione consiliare. Accanto al sovraffollamento, il ridotto utilizzo di misure alternative, la drastica riduzione delle risorse economiche, che compromettono il recupero ed il reinserimento sociale dei detenuti e che impediscono la ristrutturazione di carceri che ne hanno bisogno e la chiusura, come quelle di Lucca, Grosseto e Siena perché ormai non più idonee. Punto di riflessione centrale della presentazione pubblica di oggi, che si è svolta nella sala Affreschi di palazzo Panciatichi, la riforma penitenziaria del 1975 che, ha detto Margara, “non ha funzionato perché non è stata applicata e, in parte, non accettata”. Per il futuro, ha aggiunto, “è necessario pensare a strutture detentive di tipo diverso, che tengano al centro la dignità della persona e il valore di rieducazione della pena”. In questo senso, ha concluso, la riflessione può partire dal “Manifesto No Prison”, documento presentato di recente da Livio Ferrari e Massimo Pavarini. Alla presentazione hanno partecipato anche Franco Corleone, Garante dei detenuti del Comune di Firenze, Antonietta Fiorillo, presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze, Carmelo Cantone, provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria toscana, Michele Passione, dell’Osservatorio carcere dell’Unione delle camere penali italiane, e Simone Siliani, in sostituzione di Roberto Bocchieri, della cabina di regia regionale per il coordinamento delle politiche in ambito carcerario della Regione Toscana. Giustizia: Sbrollini (Pd); a detenuti uno sconto di pena per ogni libro letto, come in Brasile Agenparl, 16 luglio 2013 “In carcere, oltre alla formazione professionale, si lavori sull’educazione anche culturale dei detenuti”. È il senso della pdl a cui sta lavorando la deputata Pd Daniela Sbrollini che ha voluto rispondere alle affermazioni del Presidente di Confindustria Vicenza Zigliotto “combattere l’immagine del carcere inteso come discarica sociale”. “La pena detentiva - spiega - deve guardare al futuro traducendosi in rieducazione e in efficace reintegrazione civile. Sto lavorando a un progetto di legge che riprende una campagna governativa brasiliana con la quale la Presidente Rousseff ha introdotto uno sconto di pena per i detenuti che seguono un programma di lettura. Per ogni libro letto segue l’obbligo di relazione e comprensione del testo. La lettura amplia la mente, è utile per conoscere il mondo e per imparare la lingua, penso ai detenuti stranieri. Naturalmente si tratta di sconti di pena lievi, qualche giorno per ogni libro letto, con un tetto massimo di letture annuali”. “Bisogna interrogarsi - prosegue - sulla capacità rieducativa delle nostre carceri in una situazione di emergenza per sovraffollamento e di fatiscenza degli ambienti. La pratica della formazione professionale e dei cicli di lavoro per i detenuti, come insegna Guerrino Tagliaro, presidente della cooperativa vicentina “Saldo&Mec”, è ottima. Tuttavia, questa pratica ha bisogno di essere affiancata e supportata da programmi che guardino all’educazione e alla cultura”. Giustizia: Epifani (Pd); no ad amnistie e indulti, perché dovremmo salvare Berlusconi? Dire, 16 luglio 2013 “Perché dobbiamo votare amnistie e indulti? Non c’è nessun motivo per fare un’operazione di questo genere. Quindi no, no e no”. Guglielmo Epifani, a Repubblica, esclude a priori qualsiasi salvataggio del Pd nei confronti di Silvio Berlusconi. Giustizia: Favi (Pd); da spending-review quasi 1.000 assistenti sociali ed educatori in meno Ansa, 16 luglio 2013 “Siamo preoccupati che lo sforzo di restituire senso d’umanità ed impegno alla cura alle persone detenute, per favorirne il recupero ed il reinserimento sociale, possa essere vanificato dalle rigidità e dall’indifferenza delle azioni di spending-review messe in atto dai precedenti governi. Mente si vanno a realizzare significative misure di rilancio delle misure alternative e si cerca di porre attenzione ai bisogni di cura e al sostegno alle persone detenute, incombono drastiche riduzioni del personale per queste delicate e sensibilissime funzioni. Quasi 1.000 operatori in meno nelle professionalità di servizio sociale e degli educatori potrebbero essere cancellati dai ruoli dell’Amministrazione penitenziaria, con la possibilità di essere posti in mobilità in uscita dalla Pubblica Amministrazione. Questo, proprio mentre le proposte di legge in discussione in Parlamento ne ampliano responsabilità e carichi di lavoro, anche allo scopo di agevolare la riduzione del sovraffollamento delle carceri e non incorrere nelle sanzioni preannunciate dalla Corte europea dei diritti umani. Chiediamo al Governo di riconsiderare i tagli alle dotazioni professionali del sistema penitenziario e di essere coerente con la nuova stagione di politica penitenziaria appena avviata. Il dibattito in corso nelle due Camere e la prossima legge di stabilità siano occasione di un pronunciamento chiaro su questa questione”. Giustizia: in Commissione al Senato ultimi ritocchi per testo dl 78 in materia carceraria Agenparl, 16 luglio 2013 La Commissione Giustizia dovrà da oggi discutere le ultime proposte emendative presentate in merito al dl 78 in materia carceraria, approvato il 26 giugno dal Consiglio dei Ministri e contenente norme dirette ad attenuare l’emergenza del sovraffollamento nelle carceri con un più ampio ricorso alle misure alternative alla detenzione La discussione svoltasi in merito la scorsa settimana ha fatto emergere varie richieste di integrazione e correzione dell’articolato. Il Presidente della Commissione Palma ha sollecitato, analogamente a quanto ha fatto il relatore D’Ascola (Pdl) hanno rilevato la “scarsa chiarezza e la sovrapposizione fra la valutazione compiuta dal pubblico ministero e quella del magistrato di sorveglianza introdotta con il comma 4-bis dell’articolo 656 del codice penale. Il relatore ha anche sostenuto che la soppressione del divieto di concedere la detenzione domiciliare ai soggetti cui è stata applicata la recidiva determina problemi sul piano sistematico ed è da rivedere la norma contenuta nell’articolo 3 che estende benefici specificamente previsti per tossicodipendenti che abbiano compiuto violazioni minori delle disposizioni in materia di stupefacenti ad “altri reati” senza specificarne nè la natura né la gravità. L’iter referente deve essere concluso in questa settimana per consentire il passaggio del dl in aula dalla prossima. Veneto: per fare fronte al sovraffollamento carcerario l’agricoltura diventa sociale di Chiara Signoria Corriere della Sera, 16 luglio 2013 Fattorie didattiche e riabilitazione. Il Veneto è la prima regione al Nord a dotarsi di una legge che facilita il reinserimento dei detenuti anche attraverso il lavoro nei campi. Carcerati al lavoro nelle campagne? Un modo per rendere più efficace il reinserimento sociale dei detenuti; ma anche per risolvere il problema del sovraffollamento. Da oggi in Veneto è più facile, grazie alla legge regionale in materia di “agricoltura sociale”, approvata lo scorso 28 giugno da Palazzo Ferro Fini (il Veneto è la quarta regione italiana, la prima del Nord, a dotarsi di un simile strumento normativo, voluto da Bruxelles). “La nostra risposta è arrivata in tempi record: in meno di 100 giorni la proposta è stata approvata quasi all’unanimità, con un solo astenuto”, ha detto il presidente del Consiglio regionale Clodovaldo Ruffato, presentando la legge proprio nella casa di reclusione Due Palazzi di Padova. Cos’è l’”agricoltura sociale”? Dietro a questa etichetta ci sono tutte quelle aziende, che oltre alla tradizionale attività agricola e di allevamento decidono di coniugare attività sociali finalizzate alla riabilitazione, all’inserimento sociale e lavorativo di persone svantaggiate o a rischio di marginalizzazione (per esempio detenuti, ex tossicodipendenti ma anche disabili e anziani), promuovendo in questo modo lo sviluppo e la coesione sociale. Fanno parte della categoria progetti molto eterogenei: gli agri-nidi (gli asili nido in agriturismo), le fattorie sociali, le fattorie didattiche ma anche quelle imprese agricole e quelle terre sottratte alla criminalità organizzata. Tra i relatori presenti ai Due Palazzi anche il direttore del dipartimento di Sociologia e Diritto dell’economia dell’Università di Bologna Giovanni Pieretti: “In Italia abbiamo due eccellenze: da un lato la capacità di rispondere alle crisi personali attraverso la comunità e dall’altro un settore agricolo che nonostante tutto riesce ancora a fare profitto e assumere. Questa legge permette di unire le due cose fornendo finalmente una cornice legale a quello che è semplice buon senso”. In un momento in cui il sociale arranca, coniugare questa sfera con il mondo agricolo potrebbe essere una soluzione per finanziare progetti che altrimenti difficilmente vedrebbero dei fondi e per portare sollievo a situazioni critiche, come i carceri sovraffollati, che ormai sembrano non fare nemmeno più notizia da tanto sono consolidate. Non a caso la location scelta per l’occasione è stato il carcere di Padova, il cui direttore Salvatore Pirruccio in due occasioni ha rivolto il suo appello ai rappresentanti delle istituzioni come delle cooperative sociali e delle aziende agricole presenti. “Nonostante questo istituto sia stato progettato per ospitare 350 detenuti, da sempre almeno il doppio è la norma. Oggi siamo a 900 ma abbiamo toccato anche punte di 930 detenuti. Per poter dare a tutti qualcosa da fare siamo costretti ad adottare un sistema di rotazione dei compiti, ma è evidente che questa non è la soluzione ottimale e che abbiamo bisogno di un aiuto da parte della comunità per offrire a queste persone un’opportunità. Oltretutto chi assume un detenuto non ha responsabilità se non quella di farmi una telefonata per avvisarmi se non dovesse presentarsi al lavoro”. Una battuta che però risponde a una delle maggiori perplessità degli imprenditori che decidono di intraprendere quest’esperienza: la sicurezza sociale. Poco dopo infatti arriva la precisazione del presidente del Tribunale di sorveglianza di Venezia Giovanni Maria Pavarin, anche lui intervenuto alla presentazione: se chi sconta l’intera pena dietro le sbarre torna a delinquere nel 75% dei casi, sono meno del 2% tra coloro che riescono invece ad intraprendere percorsi alternativi di reinserimento fuori dal carcere. Pochi fortunati vien da pensare se su oltre 66mila detenuti in tutto il Paese solo 920 hanno un vero lavoro, di cui circa 130 proprio a Padova: il tasso di disoccupazione nelle carceri è altissimo e supera il 96%. Sardegna: il Sappe fa sua proposta per superare il sovraffollamento delle carceri L’Unione Sarda, 16 luglio 2013 Il sovraffollamento in Sardegna ha toccato quota 2.097 detenuti nelle 14 carceri sarde. Un sistema penitenziario basato su tre livelli distinti a seconda dei reati ascritti e le pene detentive. È la proposta lanciata oggi a Cagliari dal segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), Donato Capece, a margine di un convegno sul ruolo dei baschi azzurri della Penitenziaria a tutela della sicurezza del cittadino e sulle idee per superare il sovraffollamento nell’Isola che ha toccato quota 2.097 detenuti nelle 14 carceri sarde, 40 donne e 2.057 uomini. L’ipotesi operativa del sindacato prevede appunto tre “gradini”: il primo, per i reati meno gravi con una condanna non superiore ai 3 anni, caratterizzato da pene alternative al carcere, quale l’istituto della “messa alla prova”; il secondo riguarda le pene superiori ai 3 anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare; il terzo livello, infine, è quello della massima sicurezza, in cui il contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario. Quello del sovraffollamento, secondo il Sappe, “é certamente un problema storico e comune a molti Paesi europei, che hanno risolto il problema in maniera diversa - sottolinea Capece - L’osservazione della tipologia dei detenuti e dei reati consente di affermare che il sistema della repressione penale colpisce prevalentemente la criminalità organizzata e le fasce deboli della popolazione In effetti, il carcere è lo strumento che si usa per affrontare problemi che la società non è in grado di risolvere altrimenti”. Puglia: Sappe; al sovraffollamento si aggiunge in caldo, situazione pronta ad esplodere Taranto Sera, 16 luglio 2013 “Non bastavano il sovraffollamento, la fatiscenza delle carceri, la cronica carenza dei poliziotti penitenziari, le reiterate denunce sul grave deficit di assistenza sanitaria ai detenuti, tutte problematiche che in questo periodo dell’anno diventano più gravi a causa della calura e della mancanza di spazi. Ora ci si è messo anche il problema dei detenuti malati psichiatrici che ormai nelle carceri pugliesi hanno superato alcune centinaia di unità”. L’allarme viene lanciato dal Sappe. “Di fronte a questa ennesima grave problematica ben poco si può fare poiché mancano nei penitenziari pugliesi spazi adeguati per contenere tali soggetti- sottolinea il sindacato autonomo di polizia penitenziaria - i quali vengono associati nelle stanze assieme agli altri detenuti. Ormai ogni giorno che passa il numero di detenuti affetti da gravi patologie psichiatriche aumenta sempre di più, mettendo a repentaglio la sicurezza dei penitenziari e dei lavoratori. Le continue aggressioni ai poliziotti penitenziari lasciati soli ad affrontare questa ennesima emergenza senza alcun strumento, gli innumerevoli atti di autolesionismo o di aggressività, stanno ad indicare che la situazione è pronta ad esplodere”. Il Sappe ricorda quanto è accaduto a Bari, dove sei agenti per colpa di un solo detenuto hanno dovuto fare ricorso alle cure del pronto soccorso, e poi ancora Taranto, Lecce e Foggia. Denuncia poi “l’inadeguatezza delle risorse e dei mezzi messi a disposizione dalla Regione Puglia che ha l’obbligo di offrire un adeguata assistenza psichiatrica in tutte le carceri pugliesi. Ormai è un viavai continuo dalle carceri agli ospedali per sottoporre tali detenuti al “Tso”, salvo poi rientrare in carcere” . Il Sappe chiede ai parlamentari pugliesi che venga fatta con urgenza un indagine sulla presenza nelle carceri pugliesi di detenuti affetti da patologie psichiatriche. Piemonte: Pdl; il Garante dovrà occuparsi non solo di detenuti ma anche degli agenti Ansa, 16 luglio 2013 Dopo averne a lungo sostenuto l'inutilità, fino a prevederne l'abolizione, il Pdl cambia idea e propone uno sdoppiamento: la nuova figura dovrà occuparsi non solo di detenuti ma anche delle guardie penitenziarie. Cerutti (Sel): "Siamo allibiti" Via il garante delle carceri. Anzi, teniamolo. E perché non farne due? Ha i tratti della farsa la vicenda dell’istituzione della figura di tutela del mondo penitenziario. A lungo osteggiata dal centrodestra di Palazzo Lascaris è tornata in vita dopo la repentina retromarcia imposta al capogruppo Pdl Luca Pedrale dal coordinatore regionale del partito Enrico Costa, al punto che una parte della coalizione pensa di raddoppiarla. Sul tavolo della Commissione Bilancio è arrivata oggi la proposta di decreto legge in cui si duplica la figura, estendendo le funzioni anche alle guardie carcerarie. Resta fermamente contraria invece la Lega Nord propensa a unire il garante con il difensore civico. "I problemi di sovraffollamento che caratterizzano le nostre prigioni, le aggressioni divenute ormai quotidiane e i suicidi che si verificano con frequenza sempre maggiore, sia ad opera di detenuti sia di agenti di polizia penitenziaria – spiega in una nota Pedrale – ci hanno indotti a ragionare su una figura di garante più ampia, che non si limiti ad affrontare la situazione dei carcerati ma affronti i problemi di tutto il sistema penitenziario, a partire proprio da chi ogni giorno deve garantire la sicurezza in istituti diventati ormai vere e proprie polveriere". Una proposta che ha lasciato sbigottiti molti consiglieri. "Siamo allibiti – dice Monica Cerutti (Sel). Davanti alla proposta di istituire un garante delle guardie carcerarie pensavamo di trovarci davanti ad una provocazione e invece è una proposta reale. Le rivendicazioni delle guardie non hanno nulla a che vedere con la tutela dei diritti dei detenuti. Le forze di sicurezza hanno normalmente le organizzazioni sindacali che pensano alla tutela dei loro diritti". Sicilia: sussidi regionali a ex Pip in carcere. Crocetta: “Pagavamo pure i mafiosi” Ansa, 16 luglio 2013 La denuncia del governatore siciliano: mille euro al mese a precari detenuti. “Un pozzo di San Patrizio del malaffare, c’è chi ha incassato 100 mila euro indebitamente. Ma ora recupereremo le somme”. Sussidi di mille euro al mese pagati dalla Regione siciliana a precari che però non lavorano ma erano detenuti in carcere o entravano e uscivano dai penitenziari. A denunciarlo è il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, che in una conferenza stampa a Palazzo d’Orleans ha annunciato provvedimenti urgenti sulla “moralizzazione della vita pubblica”. Si tratta di alcuni precari del cosiddetto bacino degli ex Pip (piani d’inserimento professionali) inquadrati nella Onlus Social Trinacria, protagonisti nelle scorse settimane di proteste di piazza anche violente. “Se vi dico che 48 lavoratori ex Pip sono in carcere invece di lavorare? E che nonostante questi entrassero e uscissero dal carcere non veniva tolto loro il sussidio? Tra queste persone c’è anche qualcuno accusato di 416 bis o favoreggiamento semplice. Il 70% è in carcere per mafia, poi ci sono altri cento casi finiti sotto la nostra lente di ingrandimento e su cui faremo ulteriori accertamenti”. Crocetta parla di “un pozzo di San Patrizio del malaffare. Questi costano circa 50 euro all’anno ciascuno - ha proseguito il governatore -, pensate al risparmio per la Regione se eliminiamo questi fondi non dovuti”. Nell’elenco fornito dal presidente della Regione ci sono ex pip detenuti anche dal 2010, che quindi hanno incassato “più di 100 mila euro indebitamente”. Il presidente ha annunciato che “queste persone verranno cancellate dagli elenchi, denunciate all’autorità giudiziaria e agiremo per recuperare le somme. Ringrazio la Procura e la questura di Palermo, quando si opera insieme si può fare velocemente. Per molto meno sono stati sciolti comuni in Calabria: dare soldi a mafiosi o comunque a detenuti è assurdo. Bisogna fare chiarezza su questo. Oltre questo elenco, ci sono altri casi che stiamo accertando. Non c’è nessuno che controlla. su questo fronte, come su altri, abbiamo lavorato con la magistratura. In questo caso non c’è stato alcun esposto. Tutto nasce dal nostro fiuto sbirresco. Chi è stato messo in carcere doveva chiedere la sospensione della sovvenzione e invece in Sicilia funziona così”. Napoli: un viaggio in video a Poggioreale, per incontrare l’umanità segnata dalla sciagura di Giuseppe Montesano Il Mattino, 16 luglio 2013 Guardando il dolente e lucido video di Marco Piscitelli su Poggioreale che trovate sul sito del Mattino, più di tutto quella che resta negli occhi è la fila dei parenti, una fila come quelle orribili dell’Unione sovietica e di troppe Asl e uffici pubblici di questo Paese, una fila lunga, stanca, rassegnata, di bambini e madri per ore in attesa con ogni tempo, un’umanità che sembra segnata da una sciagura informe. E poi la notizia pronunciata da una voce in video: il carcere di Poggioreale potrebbe contenere 1.250 detenuti e ne contiene 2.800. Che c’è da aggiungere? Forse solo che questa volta Napoli si trova in compagnia del Paese intero, ed è una tristissima compagnia. Dai direttori delle carceri, dagli addetti ai lavori, dai sindacati di polizia penitenziaria arriva la stessa voce: Non si può continuare così. Si cerca di arrangiarsi con letti a castello a tre piani e cucina nel bagno, o almeno quello che viene chiamato bagno ma è appena una tazza più un lavandino; i direttori sanno che tanti detenuti ammassati insieme hanno ancora più bisogno di attività, ma gli spazi per lo sport come per il lavoro sono ovviamente risicati, insufficienti; e molti, come don Franco Esposito, arrivano direttamente al cuore del problema quando chiedono: Come è possibile attuare la legge così? La legge prevede la rieducazione del detenuto, non la pura pena, e non lo prevede per uno stolto buonismo: no, i legislatori costituzionali sapevano che se non avviene la rieducazione il detenuto che esce è o uguale o è peggiore di prima, e la società ne riceve un danno moltiplicato. Ma la politica ha il sacro terrore di affrontare questo argomento, perché sa che tocca un tema utile a quasi tutti in campagna elettorale, utile per terrorizzare i cittadini e per far leva sulle paure che invece la politica dovrebbe aiutare a sciogliere, utile a tenere tutti i più deboli nell’odio e nella rabbia verso tutti gli altri: e alla cattiva politica le paure della gente servono perché si traducono in consenso. Eppure toccherebbe alla politica togliere emotività alla questione, per risolverla con la ragione, e non sbraitare a ogni proposta banalità come: Ecco, vogliono mettere i criminali per strada! E alla politica toccherebbe anche pensare in grande, ovvero per il futuro, e non lasciarsi schiacciare dalla sola emergenza ogni volta che scoppia: che sia nelle carceri o a causa un’alluvione. Vedere la faccia seria e stanca di don Franco Esposito, di uno che sta in prima fila per difendere i diritti dei deboli, mentre dice: “Io, personalmente, Poggioreale lo raderei al suolo”, esprime l’angoscia di chi sa che in queste condizioni di detenzione solo per miracolo qualcuno uscirà migliore, e quell’angoscia dovrebbe essere anche la nostra. Anche noi, la cosiddetta opinione pubblica, possiamo avere un ruolo nei cambiamenti: ma solo se facciamo capire a chi ci governa che non abbiamo bisogno di paure ma di certezze, che abbiamo paure e commozioni, ma dalla politica vogliamo una commozione che si trasformi in buone leggi e scelte sagge. A noi e ai politici toccherebbe riflettere che far finta di non vedere i problemi non li risolve, come avrebbe da tempo dovuto insegnarci il dramma dei rifiuti, e che rifiutare la realtà non la fa scomparire. Le cose essenziali sono sempre semplici, e a Poggioreale e nel resto d’Italia l’essenziale è che con questa situazione di sovraffollamento delle carceri non si può andare avanti. Dostoevskij, citato da don Franco, diceva che la civiltà di un Paese non si giudica dai musei o dai monumenti, ma da come sono le sue carceri: se è così, la nostra civiltà è assai scarsa, anche tacendo per carità di patria su musei e monumenti. Bisogna stare attenti, non si può ripetere ogni giorno che c’è un solo problema e tutto il resto, dal razzismo alle carceri alla violenza, buttarlo sotto il tappeto: un sistema statale moderno è fatto di vasi comunicanti, e ogni pezzo è collegato a tutti gli altri. I padri fondatori chiedevano che il colpevole fosse rieducato, per diventare un cittadino come gli altri, e scrivendo questo ripetevano il pensiero di Socrate e di Beccaria, per non parlare di ciò che insegna il Vangelo. L’altro è sempre me stesso, anche in uno specchio deformato dal male: o si parte da questo, o le società si sgretolano. È semplice da capire ma difficile da attuare? È proprio per questo che bisogna cominciare a cambiare adesso, non domani. Bolzano: bando del nuovo carcere, per prima volta in Italia applicato il project financing www.ladigetto.it, 16 luglio 2013 La soluzione Durnwalder-Tamburino: la nuova sede sarà pronta tra tre anni applicando per la prima volta in Italia il project financing alla costruzione di un carcere. Il bando di gara europeo per la realizzazione del nuovo carcere di Bolzano introduce la modalità di project financing ed è la prima volta in Italia per una struttura penitenziaria. Ad illustrare lo stato del procedimento e le novità sono stati oggi nel capoluogo il presidente della Provincia Luis Durnwalder e il Capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino. La finanza di progetto è un’operazione di finanziamento a lungo termine che vede coinvolti la Provincia autonoma di Bolzano e soggetti privati oltreché, ovviamente, del Ministero della Giustizia. Il presidente Durnwalder ha ricordato che con l’Accordo di Milano la Provincia contribuisce con 100 milioni di euro all’anno al risanamento del deficit nazionale e una parte di queste risorse viene impegnata proprio per l’assunzione di oneri connessi a servizi dello Stato. “È stato così per la Rai, l’università e il Conservatorio, - ha ricordato Durnwalder. Oggi finalmente tocca al nuovo carcere, che sarà pronto fra tre anni. Non un hotel a 5 stelle, ma una struttura adeguata, vivibile, con spazi di socialità, di formazione e lavoro che garantiscano la dignità della persona e facilitino il suo reinserimento”. Il Capo dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, ha ricordato che l’attuale carcere risale al 1895. “Fu concepito per 80-90 persone e oggi ne contiene 125, - ha ricordato. - Anche a nome degli ultimi due Guardasigilli Severino e Cancellieri, ringrazio la Provincia della collaborazione per un’iniziativa che fa onore alla cultura e alla civiltà del Paese.” Attualmente in Italia i detenuti sono 65.600, il dato più basso degli ultimi 3 anni. La media carceraria nazionale - 110 detenuti per 100mila abitanti - è inferiore a quella Ue (149). Durnwalder ha ripercorso l’iter che ha condotto al bando: Stato e Provincia hanno individuato la localizzazione del carcere, a Bolzano sud nei pressi dell’aeroporto, la Provincia ha espropriato il terreno con una spesa di 14 milioni di euro e messo a disposizione le risorse per la costruzione dell’opera come soggetto attuatore del progetto. Gli indirizzi di progettazione (studio di fattibilità e costruzione modulare) sono indicati dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, responsabile della futura struttura, mentre l’aggiudicatario della gara potrà gestire i servizi - tra cui mensa, lavanderia, spazi comuni - in concessione ventennale. Tocca ora all’imprenditoria presentare le offerte: anche i programmi di socializzazione proposti avranno un peso importante nel punteggio finale. I criteri di valutazione, infatti, puntano molto sulla qualità. I dati centrali del nuovo carcere: capienza di 220 detenuti, 100 operatori di polizia penitenziaria, 30 posti per agenti in caserma, 25 unità di personale civile. Al di fuori della cinta muraria sono previsti il controllo accessi, la Direzione e i relativi alloggi, la sezione dei detenuti semiliberi. Entro la cinta muraria, oltre alla sezione di reclusione, saranno ricavati tra l’altro l’infermeria, gli spazi per il lavoro, una sala polivalente, una palestra, i servizi cucina e lavanderia. I costi dell’opera, comprensivi di lavori, arredi, imprevisti e Iva sono stimati in 63 milioni di euro. Sulla tempistica: entro novembre 2013 le imprese interessate al bando devono presentare le offerte, tra gennaio e giugno 2014 è prevista la progettazione esecutiva del nuovo carcere, da luglio 2014 a giugno 2016 il tempo utile di esecuzione dei lavori. La consegna del nuovo istituto penitenziario di Bolzano è fissata per giugno 2016. Cagliari: troppi detenuti a Buoncammino, la Procura apre un fascicolo d’indagine di Davide Madeddu L’Unità, 16 luglio 2013 Sempre più stretti. Con il caldo che non fa respirare gli spazi diventano ancora più piccoli i disagi aumentano e le celle diventano invivibili. E proprio sulle condizioni dei detenuti che stanno a Buon cammino, il carcere del capoluogo sardo costruito alla fine dell’800, cerca di fare luce anche la procura della Repubblica di Cagliari che, sulla spinta un esposto presentato dall’avvocato Annamaria Busia, ha aperto un fascicolo che per ora non ha né indagati né ipotesi di reato. Che la situazione sia difficile all’interno della prigione che dal colle domina la città di Cagliari lo si capisce anche dalla protesta portata avanti alcune notti fa da alcuni detenuti. Episodio subito sopito che però ha riportato alla luce il problema che da anni riguarda il carcere di Cagliari e che i volontari chiamano tristemente “luogo della sofferenza”. “Il carcere ha una capienza regolare di 345 posti che diventano con la capienza massima 376 - spiega Mariagrazia Caligaris battagliera rappresentante dell’associazione Socialismo diritti e riforme - ebbene, a Buon cammino di detenuti ce ne sono 512”. Un sovraffollamento che ha ripercussioni sulla stessa vita all’interno del carcere dove operano 214 agenti di polizia penitenziaria, 53 in meno rispetto a quanto dovrebbe prevedere l’organico. “Il ministro continua a ignorare la situazione - spiega Caligaris - il carcere di Cagliari è una struttura della fine dell’800 e deve essere chiusa, non ci sono alternative. Se poi aggiungiamo il fatto che continuano ad arrivare detenuti dalla penisola si capisce perché la situazione sia sempre più preccupante”. Non è lieve nemmeno il giudizio di Roberto Loddo fondatore e presidente dell’associazione Cinque novembre, organizzazione di volontariato che si occupa dei problemi legati la mondo carcerario. “Buon cammino non è un carcere ma un luogo di sofferenza -spiega - ci sono persone che stanno male e dovrebbero stare altrove”. Un esempio basta ad argomentare la sua posizione. “Tra tutti i detenuti ci sono 180 persone affette dalla cosiddetta doppia diagnosi, ovvero persone che hanno problemi mentali ma anche di dipendenza o tossicodipendenza. Persone - ripete - che dovrebbero stare altrove non lì dentro”. Un passaggio del volontario è anche per gli agenti della polizia penitenziaria. “Non c’è personale per coprire l’organico, non vengono rispettati i diritti sociali di questi lavoratori”. Eppoi c’è un altro aspetto, la costruzione del nuovo carcere di Uta dove dovrebbero essere trasferiti i detenuti di Buon Cammino. “Qui siamo al paradosso, a Buon Cammino non si fanno manutenzioni perché le risorse sono state dirottate per costruire il nuovo carcere - spiega l’avvocato Anna Maria Busia - ma della nuova struttura non si hanno notizie”. Dall’avvocato anche un appello perché ci sia una modifica del 41 bis con “la cancellazione del comma introdotto nel 2009 che prevede il trasferimento dei detenuti nelle carceri insulari”. Bologna: processi a rischio perché la Dozza non ha mezzi per il trasporto dei detenuti www.bolognatoday.it, 16 luglio 2013 L’allarme dal Coordinatore Provinciale Uil-Pa Penitenziari: “La Dozza esempio concreto di una situazione logistica caratterizzata dall’assoluta mancanza di mezzi adibiti al trasporto dei detenuti” I mezzi per il trasporto detenuti del carcere bolognese della Dozza sono ko e questo metterebbe a rischio diversi processi. È un allarme rosso quello lanciato dal Coordinatore Provinciale Uil Pa Penitenziari, Domenico Maldarizzi, nel denunciare lo stato del parco automezzi in dotazione al carcere bolognese. “Da sempre il carcere di Bologna è, nell’immaginario collettivo, una delle icone del sistema penitenziario italiano, con il suo carico di sofferenza e degrado - ha detto - Oggi, purtroppo, è anche l’esempio concreto di una situazione logistica caratterizzata dall’assoluta mancanza di mezzi adibiti al trasporto dei detenuti. Questo significa che diversi processi sono a rischio perché potrebbe essere impossibile garantire la presenza dei detenuti nelle aule di giustizia: “Già di per se la disponibilità degli automezzi in dotazione non è sufficiente a garantire le reali necessità per il trasporto detenuti - ha aggiunto Maldarizzi - Da tempo ormai questa disponibilità è ridotta a soli due autovetture a targa civile e n.1 cellulare per trasporto detenuti, poiché gli altri mezzi sono ricoverati in officina in attesa di riparazioni che non possono essere effettuate causa l’esaurimento dei fondi assegnati. Per le traduzioni ogni giorno occorrono, solo per Bologna, una decina di automezzi per i detenuti che mediamente ogni giorno sono nelle aule di giustizia. È chiaro che in questa situazione si va verso la paralisi e potrebbero saltare molti processi. Non è eresia, quindi, affermare che più di un parco macchine bisogna riferirsi ad un cimitero dei mezzi”. “Riteniamo inaccettabile - conclude Maldarizzi - che in un settore così delicato come le carceri, i lavoratori della Polizia Penitenziaria possano violare il codice della strada per ottemperare agli ordini, e per questo chiediamo alla Magistratura di essere ancora più indulgente in caso di ritardi e/o mancate traduzioni presso le aule di giustizia”. Cagliari: Socialismo Diritti e Riforme; a Buoncammino detenute due donne rom incinte Asca, 16 luglio 2013 “Ancora una volta due giovani donne, di etnia Rom, entrambe incinte di alcuni mesi, sono ristrette nel carcere di Buoncammino”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’Associazione Socialismo Diritti e Riforme, ricordando che “solo esigenze cautelari di eccezionale rilevanza” nonché un “rischio certo di recidiva” possono giustificare la carcerazione per le gestanti e le neo mamme. In ogni caso però devono anche sussistere condizioni oggettive per salvaguardare la loro vita e quella del nascituro”. “La situazione di Buoncammino - sottolinea Caligaris - non può essere assimilata a quella di un Istituto a custodia attenuata e neppure a un carcere femminile. Le celle infatti costituiscono una sezione all’interno di un Penitenziario maschile dove le donne vivono in ambienti molto angusti e con scarsi spazi per le ore d’aria. Un luogo, in cui sono rinchiuse complessivamente 17 donne, che non può garantire le condizioni igieniche adeguate al periodo di attesa. La presenza delle due donne in stato di gravidanza preoccupa le Agenti della Polizia Penitenziaria e i Medici nonostante la visita ginecologica non abbia per ora segnalato pericoli”. “La reclusione delle giovani donne, L. R. , 30 anni, nata a Roma, e S. D. di 22 anni, originaria di Torino, arrestate con l’accusa di avere rubato in alcuni appartamenti, ripropone il problema di disporre di una casa protetta a custodia attenuata. Il Ministro Cancellieri ha annunciato un impegno in tal senso per evitare che i bimbi subiscano la detenzione ma in Sardegna - conclude la presidente di SdR - donne incinte e i bimbi in tenerissima età continuano ad entrare nelle strutture penitenziarie inadeguate alle esigenze di piccoli innocenti”. Fermo (Ap): nasce “Altra Chiave News”, il nuovo periodico della Casa di Reclusione www.informazione.tv, 16 luglio 2013 Dieci mani, in cerchio, con al centro una chiave: è questa la copertina di “Altra Chiave News” il nuovo periodico quadrimestrale della Casa di Reclusione di Fermo, stampato in 300 copie e presentato questa mattina all’interno della sala scuola del carcere. Emozionata la direttrice del giornale, Angelica Malvatani, e con essa i dieci detenuti che compongono la redazione: Bruno Carletti, Francesco Dello Buono, Badri Hassan, Kamal Khouili, Rudy Allori, Rachid Rachdi, David Pallotti, Ljubisa Mirinkovic, Muca Lorec e Huqui Altan. Il giornale è fatto tutto da loro, con la supervisione della giornalista. Tutto è partito circa tre mesi fa con un annuncio affisso in bacheca. Ne parla Francesco Dello Buono, in un pezzo, e dice che tale avviso recitava “Chiunque è interessato a partecipare al giornalino d’Istituto, ha attitudine alla scrittura o alla grafica, può presentare domanda entro…”. E da quel gruppetto di detenuti che leggevano l’annuncio sono usciti fuori i 10 nomi. 10 detenuti, 10 persone davvero entusiaste del progetto attuato. E alla presentazione ha parlato uno per tutti, Badri Hassan, in carcere dal febbraio 2011, che ha spiegato cosa Altra chiave news rappresenta per loro. “Uno strumento per dar voce alle nostre difficoltà, e ai nostri problemi - ha detto Hassan - io personalmente mi sono occupato di parlare di quanto sia brutto stare lontano da casa”. Non sarà un quaderno di doglianze, così assicura la Malvatani, ma un’opportunità per permettere ai detenuti di avere contatti con l’esterno. Non solo, anche e soprattutto di “utilizzare in modo costruttivo il tempo di detenzione” ha sottolineato la direttrice del carcere, Eleonora Consoli. Sensibilizzare dunque l’esterno e far notare che “non sono solo detenuti, ma persone con capacità”; capacità che stanno iniziando a mettere a disposizione anche fuori. Un detenuto della casa di Fermo, infatti, ha di recente usufruito del c.d. art.21: usciva la mattina per andare a lavorare in un’azienda di Falerone e rientrava al termine del turno. E appena le commesse riprenderanno ad arrivare, il detenuto ricomincerà il suo lavoro. “Il giornale sarà distribuito nelle parrocchie della vicaria di Fermo” ha assicurato don Michele, che segue la Casa di reclusione. Ma sarà anche diffuso nelle scuole, soprattutto quelle che studiano il diritto. E gli studenti dell’Itcg Carducci saranno in qualche modo coinvolti per il secondo numero, in uscita ad Ottobre. Si rivolgono principalmente a lettori giovani, “perché i giovani sono il nostro futuro - ha detto ancora Badri Hassan - vogliamo far loro capire problematiche che interessano tutti”. Ovvero: basta poco per rovinarsi la vita, e riallacciare il filo è molto complicato. Dei 78 detenuti, cifra fornita dalla dirigente della polizia penitenziaria Valeriana Calandro, sono circa 70 quelli con condanna definitiva. Che ora hanno una “chiave” in più per uscire dalle loro difficoltà. Un’esperienza editoriale salutata con estremo piacere dal responsabile dell’Area Trattamentale, Nicola Arbusti, che ha ricordato l’importante contributo del prof. Glauco Giostra, componente del Csm, in tema di sovraffollamento delle carceri. Soddisfatto anche il sindaco di Fermo, Nella Brambatti, che ha sostenuto la redazione fornendo i computer per l’aula multimediale e ha trovato uno sponsor che ha contribuito alle spese per la realizzazione dell’opera, che avuto anche l’aiuto dell’ambito sociale XIX. Sassari: Sanna (Acli); portare all’Asinara detenuti a fine pena, per progetti di sviluppo La Nuova Sardegna, 16 luglio 2013 È bene che il ministro Cancellieri abbia chiarito che all’Asinara non ci sarà più il carcere, ma è anche arrivato il momento di ripensare il futuro dell’isola-parco. Così il presidente regionale delle Acli Ottavio Sanna che ricorda che riaprire il carcere all’Asinara “sarebbe stato un abuso nel momento in cui si stanno definendo ipotesi compatibili di sviluppo nella prospettiva di un turismo sostenibile”. Ma Ottavio Sanna ritiene che il legame che ha caratterizzato storicamente l’Asinara possa rimanere, magari come isola aperta in cui “anche le misure alternative alla detenzione possano svolgere un ruolo, impegnando organizzazioni di economia sociale che coinvolgano i detenuti a fine pena. Sarebbero nuove forme di turismo sociale in grado di coinvolgere e impegnare operatori professionale specializzati. Un nuovo modo - conclude Sanna - di fare sviluppo umano”. Una proposta, che ricorda il “carcere leggero” di Niccolò Amato, che non mancherà di innescare le polemiche. Roma: nel Municipio III ex detenuti e disabili lavorano insieme per il decoro urbano www.cinquequotidiano.it, 16 luglio 2013 Disabili ed ex detenuti insieme in un percorso di integrazione per il decoro urbano del III municipio di Roma. Si chiama “Ama e vivi meglio”, ed è il progetto ideato e realizzato dalle associazioni Anagramma Onlus e Gruppo Idee e sponsorizzato dall’Ama, un’iniziativa ad alto impatto sociale e integrativo che prevede per la prima volta in città l’impegno di detenuti, ex detenuti e disabili insieme per la manutenzione delle aree verdi del territorio dell’ex IV circoscrizione. A presentare il progetto, che venerdì ha visto la pulizia delle aiuole di piazza Talent, sono stati il presidente di Anagramma, Cristiano Ceccato, e l’assessore municipale alle Politiche sociali, Eleonora Di Maggio. Questo, ha detto Ceccato, “è il primo progetto del genere su Roma”. Adesso, l’obiettivo è quello di “portare la nostra iniziativa anche in altri municipi della Capitale, per far arrivare un messaggio importante: insieme si possono fare molte cose importanti”. “Ama e vivi meglio”, ha commentato Di Maggio, “è una delle tantissime iniziative meritorie sul territorio fatte dal tessuto di associazioni del terzo settore che in questo municipio è molto ricco e storico, un tessuto che va valorizzato e la nuova giunta municipale ha tutta l’intenzione di farlo il più possibile”. Anche per questo, ha annunciato l’assessore municipale, “a settembre daremo il via a un ciclo di incontri con le associazioni, con l’obiettivo di mettere in piedi un rapporto istituzionalmente corretto con il territorio per dare il via - ha concluso Di Maggio - a una coprogettazione per il nuovo piano regolatore sociale di zona”. Pavia: studenti e detenuti nell’orto, nell’ambito dei “Cantieri della Solidarietà” La Provincia Pavese, 16 luglio 2013 Per tre giorni la casa circondariale di Torre del Gallo è diventato uno spazio “aperto” in cui 24 giovani studenti universitari della nostra città e 20 detenuti si sono incontrati, confrontati, hanno condiviso momenti di lavoro, di ascolto e anche un gelato insieme. Anche quest’anno, per il quinto anno consecutivo, nell’ambito dei “Cantieri della Solidarietà” promossi dalla Caritas diocesano si è svolto il percorso “Giovani e carcere”. “Un’iniziativa - spiega Rosella Bressani, consacrata nell’Ordo Virginum diocesano e catechista da 10 anni in carcere - nata da riflessioni fatte insieme a Don Dario tornando la domenica in bicicletta dalla messa alla Casa Circondariale. Lo scopo è quello di far conoscere da vicino la realtà carceraria ai giovani, al di là di quello che si sente dire e raccontare dalla televisione e dai giornali”. Hanno pranzato nella mensa degli agenti con la pizza preparata dai detenuti, dipendenti della Cooperativa Il Convoglio, poi hanno partecipato a incontri e laboratori musicali e nell’orto. Svizzera: una cavigliera per i giovani detenuti, misura applicata già da anni con successo www.tio.ch, 16 luglio 2013 Dal 2004, una parte dei giovani delinquenti del canton Basilea Campagna riceve una cavigliera elettronica ancora prima della condanna. Finora, la misura è stata applicata in più di 50 casi con grande successo. Solo quattro giovani sono stati recidivi. Ora, il modello pionieristico basilese sarà introdotto anche a livello nazionale. Lo scrive il quotidiano Basler Zeitung. Le cavigliere saranno discusse ancora quest’anno nel quadro della revisione della legge sulla gioventù, conferma Yves Nidegger (Udc), presidente della Commissione degli affari giuridici del Nazionale. Secondo lui, la maggior parte sarà a favore della misura. Lui stesso però è scettico perché la cavigliera non è una pena vera e propria. “I giovani rimangono semplicemente a casa davanti alla televisione”. Daniel Vischer dei Verdi la vede diversamente. “Se tutti gli amici sono fuori, è una tortura restare a casa”. Secondo lui, la cavigliera è una misura efficace per proteggere la società da altri reati. Anche l’esperta forense giovanile Cornelia Bessler pensa che il controllo tramite cavigliera sia un buon metodo con degli effetti positivi sulla consapevolezza dei giovani. Secondo Bessler è importante perché molti reati sono il risultato di noia, disattenzione o mancanza di auto controllo. Per il criminologo Martin Killias la quota di successo basilese è poco realistica. Killias crede che i ragazzi siano stati scelti per partecipare al progetto pilota. Per questo, chiede altri studi prima dell’introduzione a livello svizzero. Usa: da 40 anni in isolamento e ora malato terminale, un appello per il rilascio umanitario di Riccardo Noury Corriere della Sera, 16 luglio 2013 Herman Wallace ha 71 anni, è ammalato di cancro e la sua vita finirà presto. Per oltre 40 anni, Wallace è stato detenuto in isolamento nella prigione di Angola, in Louisiana, Usa. Imprigionato inizialmente per rapina a mano a armata, nel 1973 Wallace fu giudicato colpevole dell’omicidio di un secondino, insieme a un compagno di prigionia, Albert Woodfox. Iniziò allora, per entrambi, l’isolamento. Sul fatto che Wallace e Woodfox siano realmente gli autori dell’omicidio, non esiste ancora una prova materiale. I campioni di Dna che avrebbero potuto scagionarli sono andati persi; il principale testimone dell’accusa, negli anni successivi, si è rivelato inaffidabile. Wallace e Woodfox, come abbiamo raccontato in un altro post, sono i detenuti statunitensi da più tempo in isolamento: 23 ore su 24 in una minuscola cella, con temperature che raggiungono i 38 gradi, tre ore di esercizi fuori dalla cella a settimana. Il 14 giugno, a Wallace è stato diagnosticato un cancro al fegato, in fase avanzata. Non è curabile, gli restano pochi mesi di vita. Ora è ricoverato, sempre in isolamento, nell’ospedale del carcere di Hunt, nella città di St. Gabriel. Amnesty International ha chiesto che trascorra gli ultimi mesi della sua vita a casa, con la sua famiglia. Birmania: il presidente Thein Sein promette “entro l’anno liberi tutti i detenuti politici” Ansa, 16 luglio 2013 Ieri il presidente birmano Thein Sein ha dichiarato che tutti i prigionieri politici di Myanmar saranno rilasciati entro la fine dell’anno e che una tregua tra i vari gruppi etnici sarà possibile entro poche settimane. Come riporta il Bangkok Post, il presidente si è espresso durante il viaggio compiuto a Londra: “Garantisco che entro la fine dell’anno non ci saranno più prigionieri di coscienza a Myanmar”, ha dichiarato Thein Sein a Chatham House. “È inoltre possibile - ha aggiunto il presidente - che nelle prossime settimane ci sarà una tregua nazionale tra i vari gruppi etnici, e che per la prima volta in 60 anni non si ricorrerà alle armi”.