Bulli e baby gang: se creare eroi negativi comporta il rischio di creare nuovi miti Il Mattino di Padova, 15 luglio 2013 Quando a compiere un reato sono dei ragazzi, giornali e televisioni tendono a “enfatizzare” il fatto e parlano spesso di baby gang, di bulli. È un approccio pericoloso, perché può finire per creare dei piccoli eroi negativi, e invece con i giovani bisogna sgombrare il campo dai falsi miti, e mostrare in tutta la loro crudezza le conseguenze dei reati, le miserie del carcere, la facilità con cui ci si può distruggere la vita a partire da una piccola trasgressione. Le testimonianze che seguono raccontano due vite di “giovanissimi delinquenti” rovinate da tanta galera, ma proprio questi racconti di persone detenute possono diventare una grande forma di prevenzione per tutti quei ragazzi tentati dal gusto della trasgressione, del bruciare le tappe, del diventare adulti troppo presto. Perché non ti sei fermato prima? Spesso negli incontri con le scuole viene fuori questa domanda: “Perché non ti sei fermato prima?”. Io questa domanda me la sono posta già da solo, dopo qualche anno di carcere. E mi sono reso conto che non c’è una risposta “standard”, ma tante varianti a seconda del tipo di reato. Però la risposta più importante e più utile che posso purtroppo offrire è quella riguardante il mio caso. Io ho conosciuto il carcere prestissimo, avevo da poco raggiunto la maggiore età, adesso di anni ne ho 22, questo mi permette di avvicinare il mio pensiero a quello degli studenti, perché vivo un pò le stesse emozioni per età. Io non sono nato delinquente, anch’io puntavo ad una carriera diversa, avevo la dote di saper giocare a calcio, con la quale sono arrivato a far parte per vari anni di un settore giovanile professionistico di serie B, eppure sono uno di quelli che nella vita ha scelto di sbagliare, sarei un ipocrita a dire il contrario. La mia scelta di sicuro si collega al posto in cui sono nato e all’ambiente in cui sono cresciuto. A Napoli, nel mio quartiere, i giovani fanno la mia stessa scelta per due diversi motivi. Il primo perché sono già parte di una famiglia malavitosa, il secondo per il desiderio di aver soldi da investire nella bella vita o nella droga. Io ho iniziato a delinquere perché sono stato attratto dal facile guadagno, volevo colmare subito e senza sacrifici quello che di materiale avevo in meno degli altri, credendo che mi spettasse di diritto. Quando ho realizzato i miei primi sogni, mi sentivo un grande e l’unica cosa a cui subito pensavo era avere di più, perché quello che avevo poco prima ottenuto già non mi bastava. Diventa come una droga, testardamente ti convinci che ogni singolo problema possa essere risolto, in modo facile, da un nuovo reato. Senza che te ne accorgi i singoli reati si trasformano nel tuo stile di vita. Da qui è difficile staccarti, tornare indietro, sia per l’abitudine e la “normalità” con cui vivi l’illegalità sia per una questione di responsabilità relativa alle amicizie che si instaurano. Ecco perché non mi sono fermato, perché credevo che fosse la soluzione dei miei problemi, ma non avevo capito che il problema reale non era comprare il motorino nuovo o vestiti griffati, ma affrontare questi errori dopo averli commessi, far fronte al dolore causato alla famiglia e alle vittime dei miei reati. Adesso che lo sto vivendo sulla mia pelle non voglio assolutamente giustificare la mia scelta, quello che posso fare è raccontare il lato negativo della mia storia, metterla a disposizione di ragazzi come me e far sì che facciano scelte diverse, questo può appagarmi, perché magari potrei evitare che si butti via un’altra vita, anche senza essere diventato perfetto nel mio modo di vedere le cose. Di sicuro anche il carcere fa la sua parte in questo discorso. Io in questi anni di detenzione ho avuto modo di conoscere vari istituti penitenziari e vi dico, senza nascondermi, che il mio unico pensiero era di fare molto peggio una volta espiata la pena. Poi sono arrivato a Padova, dove ho trovato un ambiente diverso che mi ha invogliato a riflettere sul percorso di vita avuto fino ad oggi. Ora non voglio passare per vittima, non sono il tipo, ma di sicuro qui non sono peggiorato rispetto a qualche anno fa. Voglio però precisare che io sono uno dei pochi detenuti “privilegiati” a svolgere un’attività, la maggior parte vive solo l’aspetto distruttivo del carcere, quello che poi ti porta a rifare il reato. Di certo il mio obiettivo è quello di non ripetermi quando avrò finito di scontare la mia pena, ma già evitare che qualcuno possa “ripetere” me stesso mi farebbe raggiungere un grandissimo traguardo. Alessandro P. Non c’è niente di affascinante dietro ai soldi facili Tutto è chiaro come se fosse successo stamattina. Era il 1992, avevo compiuto da poco 16 anni, la spensieratezza dell’età mi dava un senso di invulnerabilità. Mi ricordo che partii con il mio fratellastro di 14 anni da Catania per raggiungere la penisola. A Villa San Giovanni proseguimmo, con il treno, fino alla mia città natale, Milano. Mi sentivo uomo, per tutto il viaggio ripetevo a me stesso e a Giacomo che saremmo tornati a casa con i soldi, tanti soldi. L’obiettivo era più che chiaro, rapinare una banca, alla fine non eravamo i primi a farlo in famiglia, in più Milano era la città di un famoso bandito, dunque non c’era posto migliore dove cominciare a lasciare un segno. Arrivammo alla stazione centrale alle 7 di mattina. Scesi dal treno con tutto in testa, prima cosa rubare una macchina, ormai avevo già una discreta pratica, poi trovare un obiettivo da colpire. Trovato quest’ultimo, un grosso respiro per cacciare la paura e via, alla fine bastava spaventare le persone e tutto era fatto. Una volta presi i soldi ci lanciammo verso l’uscita di sicurezza, ma una forte sirena interruppe il chiasso della città. Non potrò mai scordare lo sguardo di Giacomo, era terrorizzato e forse lo ero anch’io. Salimmo in macchina e dopo qualche centinaio di metri, una volante di carabinieri riuscì a fermarci. “Non abbiamo fatto niente”, erano le nostre uniche parole mentre ci ammanettavano, anche di fronte ai soldi negavamo l’accaduto. Avevo già visto una caserma dei carabinieri al suo interno: mi fecero accomodare, con una energica scarpata nel didietro, in una stanza, al suo interno c’erano altri carabinieri. Continuavo a proclamare la mia innocenza causando la loro ira. Mi chiusero in una cella e chiamarono mia madre. Passai tutta la notte in questa stanza buia. Incrociai lo sguardo di mia madre prima di fare l’interrogatorio. Aveva gli occhi gonfi per il troppo piangere, il viso segnato dalla stanchezza del viaggio. Arrivato al carcere minorile, mi portarono in una sezione chiamata prima accoglienza. Non c’erano tanti ragazzi, la prima cosa che ti chiedevano era da dove venivi e per cosa ti avevano arrestato, neanche un ciao. Passati pochi giorni dovetti iniziare a far fronte a delle responsabilità che neanche pensavo di avere fino a quel momento. A colloquio incontrai mia madre, visibilmente invecchiata, eppure erano passati pochi giorni. Non potrò mai dimenticare l’abbraccio che mi diede appena ci incontrammo, era fortissimo, e sentivo bagnarmi il collo, erano le sue lacrime. “Ma cosa hai combinato?” fu la prima domanda. Sono passati più di 20 anni e ancora oggi sento un forte senso di colpa. Mi portò i vestiti di ricambio e tanto di quel mangiare che regalai ai ragazzi che avevo conosciuto li. Arrivò il momento di passare nelle sezioni “normali”. Le urla dei ragazzi riempivano i corridoi e al mio passaggio battute del tipo “è arrivata carne fresca” mi colpivano come freccette. Volevano sapere il motivo del mio arresto e di quale zona ero. Siccome sono nato a Milano in Giambellino entravo di diritto nel gruppo di quel quartiere. Non passava giorno in cui non c’erano risse, per dimostrare che il nostro gruppo era il più forte si giocava a fare i duri. Presi una condanna di 2 anni. Durante la detenzione non c’è stato giorno in cui non pensavo a dove avevo commesso l’errore nella rapina. Quando misi piede fuori mi sentivo forte, ero pompato da ideali talmente stupidi che ripensandoci mi sento un po’ ridicolo. Il 12 ottobre compirò 37 anni. 16 anni li ho passati in galera, oggi devo scontare una condanna di trenta. Si sente molto parlare di come le carceri sono una scuola del crimine per i giovani. Un ragazzo minorenne, a volte, cresce in un ambiente familiare dove il carcere è una cosa normale, con questo non addosso la colpa ai genitori, perché non esiste genitore che vuole che suo figlio abbia a che fare con questo ambiente, ma sono le circostanze a portarlo su quella strada. Credo che ci sia una mancanza di informazione a riguardo. Prendiamo per esempio il progetto che la redazione di Ristretti Orizzonti affronta con le scuole. Durante l’anno scolastico ci vengono a trovare delle classi di scuole superiori (alcune migliaia di studenti) proprio per essere messe di fronte a una realtà, quella del carcere, che fa parte della società in cui viviamo, e sentire testimonianze che ti spiegano come dalla piccola trasgressione sia facile scivolare nel reato. Questa è prevenzione! Io vivevo in Sicilia, dove abbiamo un tasso di povertà molto alto, mi chiedo se un progetto come questo non sarebbe di aiuto anche nelle scuole medie inferiori. Far vedere la realtà di una vita buttata per seguire finti ideali, mettere a conoscenza dei ragazzini che non c’è niente di affascinante dietro ai soldi facili. Dovrebbero sapere che non è vero che si è uomini facendo un crimine. Esistono tappe nella vita che non vanno bruciate come ho fatto io, se no si rischia di non capire più cosa è giusto o sbagliato. Ho perso tanto nella vita, sopra tutto gli affetti, non ho visto crescere mio figlio e quando ero fuori ho accompagnato la sua salma al cimitero, aveva tredici anni. Credetemi che convivere con questo non è facile, preferirei un fine pena mai. Bisogna dare importanza a se stessi, non farsi del male, imparare a volersi bene, solo così si può volere bene al prossimo. Lorenzo S. Giustizia: contromossa del Pdl, firme per i quesiti radicali di Tommaso Labate Corriere della Sera, 15 luglio 2013 Nitto Palma: su tre fronti siamo d’accordo con Pannella. Che fanno sul serio lo si capisce dal tono perentorio di Francesco Nitto Palma. “Coi dirigenti del partito in Campania sono stato chiarissimo. Gli ho detto che voglio sul mio tavolo centomila firme autenticate entro le prossime due settimane”. E poi c’è il portavoce del partito Daniele Capezzone, che ha un passato nel Partito radicale: “I nostri sanno che in materia di referendum una qualche esperienza ce l’ho. E posso garantirle che, nelle ultime quarantott’ore, almeno una decina di alti dirigenti del Pdl mi ha telefonato per sapere come muoversi. Come organizzare i tavoli per la raccolta firme, come procedere all’autenticazione”. Difficile scambiarlo per un “semplice” sostegno politico all’ultima campagna referendaria di Marco Pannella sulla giustizia. Non a caso, l’input arrivato da Silvio Berlusconi sulla raccolta sui quesiti è stato netto. E la macchina da guerra pidiellina è già partita. Perché se è vero che il diretto interessato smentisce “il voto anticipato” alle Politiche, è altrettanto vero che il Cavaliere è tentato da “un voto” su se stesso nel 2014. E se il Pdl si mette in testa al gruppone guidato per ora da Pannella su sei dei dodici quesiti dei Radicali, l’appuntamento potrebbe essere quello giusto. L’accelerazione sui tavoli referendari non è casuale. Perché i referendum possano celebrarsi entro il prossimo anno c’è una condizione necessaria, anche se non sufficiente. Ed è raccogliere cinquecentomila firme entro settembre. Obiettivo che, stando ai calcoli di Capezzone, non è impossibile. “Io ho due notizie precise. La prima è che tutto il gruppo dirigente nazionale è impegnato ventre a terra nella raccolta delle firme. E la seconda”, prosegue il racconto del portavoce nazionale del Pdl, “è che i segnali che mi arrivano dal territorio vanno tutti nella stessa direzione. I dirigenti dei partiti regionali hanno già allertato i nostri consiglieri comunali, che hanno il potere di autenticare le firme dei cittadini”. La partita si gioca su tre fronti. Il sostegno berlusconiano, per esempio, non arriva fino al quesito che prevede l’abolizione dell’ergastolo. Né è dato sapere se, alla fine, il Pdl raccoglierà le firme anche sul secondo pacchetto di referendum, in cui c’è anche quello sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. “Ma su tre fronti ci siamo”, dice Nitto Palma. Che li elenca: “Responsabilità civile dei magistrati, separazione delle carriere e intervento contro l’abuso della custodia cautelare, tema su cui nel recente passato s’è fatto sentire anche il Quirinale. Su questi, marciamo spediti”. Marcia spedito Fabrizio Cicchitto, secondo cui “i referendum radicali sono un’occasione da non perdere”. Marcia spedita Mariastella Gelmini, che parla del “raggiungimento del quorum” come di un obiettivo “fondamentale” per il partito. Marcia spedito il Pdl toscano, che ha annunciato una mobilitazione straordinaria con gazebo allestiti in fretta e furia. E si marcia spediti anche in Abruzzo, dove il governatore Gianni Chiodi ha firmato alla presenza di Marco Pannella. Il veterano radicale, negli ultimi contatti (alcuni diretti) con Berlusconi, avrebbe insistito sulla necessaria visibilità da dare alla campagna. Detto fatto. “Tg5, Tg4 e Tgcom24 se ne stanno già occupando molto...”, sussurra Capezzone. Né va tralasciato l’effetto collaterale più curioso di tutta la vicenda. Se Beppe Grillo desse seguito alla promessa fatta l’altro giorno ai microfoni di Radio Radicale - “Sono disposto a firmare i referendum. Vedremo, generalmente sono quasi tutti condivisibili” - dalla stessa parte della barricata di Berlusconi, per una volta, si troverebbe anche il Movimento Cinque Stelle. Con ricadute sul quadro politico tutt’altro che scontate. Giustizia: quanto costa un detenuto in carcere? di Maghdi Abo Abia www.giornalettismo.com, 15 luglio 2013 Secondo le analisi del dipartimento di Polizia Penitenziaria in Italia un carcerato costa mediamente 3.511 euro al mese. Di questi soldi però solo 255 euro vengono spesi per le esigenze del detenuto. Il resto serve ad alimentare il sistema penitenziario. E la pena di morte non fa risparmiare, anzi. Quanto costa un detenuto nelle carceri italiane? Lo Stato quanto paga ogni mese per mantenere un galeotto nelle patrie galere? È una domanda che torna ciclica ma che spesso non riesce ad ottenere una risposta chiara e definita, ovvero 3.511 euro e 80 centesimi. Dati discordanti L’analisi è stata sviluppata dopo la decisione di Papa Francesco di abolire l’ergastolo e la nascita di un certo dibattito legato ai costi della detenzione a carico della popolazione. La dimostrazione della confusione sui numeri è data dal numero di risultati sempre diversi che compaiono su Google appena si pone la questione. Vengono proposte cifre di ogni genere, che vanno dai 70 mila euro l’anno ai 7500 euro al mese, per 225 euro al giorno. Per Pianeta Carcere a Rimini un detenuto costa ogni anno 3.384 euro al mese. Per l’Osapp, sindacato autonomo polizia penitenziaria, ripreso dal Consap Lucca, un carcerato costa quanto un deputato, ovvero 12 mila euro al mese. È evidente che questi numeri contrastano tra di loro ed impediscono all’opinione pubblica di rendersi conto di quanto effettivamente costa il carcere. A questo punto abbiamo provato a fare chiarezza avvalendoci dello studio prodotto dal Dap, il dipartimento di polizia penitenziaria che ha pubblicato dati e cifre sul numero di ottobre 2012 della sua rivista “le due città”. Il valore della pena di morte Successivamente ci preoccuperemo di capire quanto vale negli Stati Uniti la pena di morte. Perché una delle domande che non ci si pone mai è quella di sapere quanto allo Stato a stelle e strisce costa un processo che si conclude con la pena capitale, anche per smentire posizioni come quella del professor Riccardo Pazzaglia che, nel film “così parlò Bellavista”, per combattere la criminalità richiedeva un metodo “come all’Ayatollah, zac!”. Intanto è opportuno ricordare che nella spesa per i detenuti non c’è solo il vitto e l’alloggio del condannato. La cifra ricopre anche lo stipendio delle guardie, la manutenzione delle utenze, la spesa dei veicoli, il costo del personale civile e della mensa. 3.104 euro per il sistema Questo significa che la somma complessiva per detenuto spesa dall’amministrazione penitenziaria nel 2012 è stata di 3.511 euro al mese. Di questi soldi, 3.104 sono serviti al pagamento del personale di polizia e civile, mentre il resto copre il vitto e la gestione delle strutture. Dividiamo bene la cifra e spieghiamo meglio cosa c’è nei 3.104 euro a detenuto. 2.638,92 euro servono per pagare la Polizia Penitenziaria. Il personale civile assorbe 393,58 euro. Per il vestiario e l’armamento si usano 21,97 euro, per la mensa ed i buoni pasto 39,27 euro, per le missioni ed i trasferimenti 9,03 euro. 0,57 euro servono per la formazione del personale, 0,56 euro per l’asilo nido dei figli dei dipendenti e 0,41 euro servono per gli accertamenti sanitari. Ai detenuti 255,14 euro al mese Per quanto riguarda invece i detenuti, la spesa media è di 255,14 euro mensili. Oltre la metà di questi soldi, ovvero 137,84 euro, serve a pagare vitto e materiale igienico. 67,71 euro servono a pagare il lavoro dietro le sbarre, 6,83 euro sono per le attività trattamentali, 41 centesimi servono agli asili nido per i figli mentre il servizio sanitario per i detenuti assorbe a persona 22,81 euro, con il trasporto che costa 19,81 euro. Dei 3.511 euro spesi al mese, 150,24 vengono impiegati per mantenere la struttura. 110,28 euro servono per le utenze. La manutenzione ordinaria invece costa 8,18 euro con la straordinaria che ne richiede 12,53. Le locazioni valgono 4 euro e 50 mentre le manutenzioni di automezzi 2,51 con l’esercizio che costa 2,52 euro per detenuto. Il sistema informativo costa 2,28 euro, il laboratorio Dna 2,86 e le altre spese d’ufficio invece valgono 4,38 euro. Per le assicurazioni si spendono 49 centesimi per detenuto al mese, per gli esborsi da contenzioso 1,25 e per le altre spese 2,11. Le commissioni di concorso costano 2 centesimi a detenuto, le cerimonie 3, i servizi cinofili ed a cavallo 14 centesimi mentre i sussidi al personale valgono 17 centesimi. Ed il totale fa appunto 3.511,80 centesimi. Lo stanziamento complessivo del governo per il 2012, come dimostrato dal ministero della Giustizia, è di 2.802.417.287 euro, in discesa rispetto al 2011 ma più di quanto non stanziato nel 2010. 66.271 detenuti Per il 2013 invece, come spiega il Senato, lo stanziamento è rimasto pressoché invariato, a 2.802.7 miliardi di euro. Questi numeri ci fanno capire quale sia la realtà della vita carceraria. La maggior parte dei soldi spesi serve a tenere in vita l’amministrazione mentre in sé, il detenuto, non influenza molto i costi. Parliamo, come spiega Redattore Sociale che riprende dati del Dap secondo i quali, ad agosto 2012, i detenuti nelle 206 carceri nazionali erano 66.271, comprensivi dei detenuti in regime di semilibertà. E le loro condizioni non sono poi da “Grand Hotel”. Urla dal silenzio ci propone una testimonianza di un uomo detenuto nel carcere milanese di Opera, al momento della lettera scritta il 20 novembre 2012. Quanto costa un pasto a Milano-Opera L’uomo si chiama Giovanni Lentini ed in poche righe ha cercato di spiegare quale sia la vita al di là della finestra sbarrata. Per mangiare ogni giorno lo stato spende 3 euro per detenuto, comprensivo di colazione, pranzo e cena. Calcolando 1.000 persone recluse ad Opera, si capisce che al giorno si spendono 3.000 euro. Ogni mese si sale a 90.000 ed in un anno lo Stato, solo ad Opera, spende 1.080.000 euro per dare da mangiare a 1.000 persone. Moltiplicando questa media per 66,271, aggiungiamo noi, esce fuori che solo di pasti in Italia ogni anno vengono spesi 71.572.680 euro. Un numero che può impressionare ma che in effetti non sembra poi così alto se pensiamo che con questi soldi si dà da mangiare a più di 66 mila persone l’anno. La spesa in Norvegia Segno che forse in Italia, nonostante le accuse e la voglia di giustizialismo che ogni tanto fa capolino dai palazzi del potere, la spesa per detenuto non è poi così alta. Per farci capire meglio quale sia il nostro confronto con il resto d’Europa, il Dap ha analizzato il costo medio per detenuto in alcuni stati del vecchio continente. La Norvegia stanzia ogni anno circa 2 miliardi di euro - cifra inferiore alla nostra - che vengono divisi per i vari istituti di pena. La ridotta popolazione ed il numero esiguo dei carcerati fa sì che ogni mese si spendano, a recluso, 12.118 euro, cifra che rappresenta la media dell’istituto di pena di Halden, dov’è rinchiuso l’attentatore di Utoya, Anders Breivik. Nel resto d’Europa Al secondo posto nella classifica europea c’è il Regno Unito con una media di 4.600 euro mensili per ogni detenuto. Poco sotto l’Italia c’è la Francia, che spende 3.100 euro al mese per carcerato. Il ministero della Giustizia dell’Esagono ha calcolato che per i detenuti rinchiusi nei 190 istituti di pena del Paese ogni francese versi 40 euro l’anno. In Italia invece ogni cittadino nel 2012 ha “donato” alla causa 46,95 euro. Basta dividere la popolazione per lo stanziamento. In Spagna lo Stato spende 1650 euro al mese per detenuto, una cifra che appare superiore a quella impiegata dagli Usa, dove per ogni galeotto viene speso in media ogni mese 1433 euro. Il caso Usa Gli Usa hanno la popolazione penitenziaria più numerosa del pianeta, con oltre 2 milioni di detenuti. La somma degli stanziamenti previsti dai governi dei 50 Stati e da Washington è di 75 miliardi di dollari l’anno. Solo che la maggior parte di questi soldi serve per mantenere alti gli standard di sicurezza. Ai detenuti restano quindi le briciole. Nel caso di carcerati condannati alla prigione a vita senza possibilità di godere della libertà vigilata, si va a spendere poco più di un milione di euro. In Italia invece l’ergastolo, con queste cifre, viene a costare allo Stato 1.236.960 euro, calcolando una reclusione di 30 anni. Negli Usa però le cose cambiano a seconda degli Stati. Il rapporto 1:1 in Argentina In California, ad esempio, lo Stato spende a detenuto 3.000 euro al mese, ma di questi soldi molti vengono impiegati nel pagamento delle assicurazioni mediche, che costano 10.000 euro l’anno per 40.000 detenuti. A New York un detenuto costa annualmente 40.000 dollari. In Canada una persona in galera costa 7000 dollari al mese mentre in Argentina la cifra precipita a 1.036 euro ogni 30 giorni. Qui però ci sono 9 mila detenuti e 9.800 agenti. Ci sono più guardie che ladri, quindi. Ed a proposito di casi particolari, segnaliamo Guantánamo dove ogni carcerato costa 30 euro al giorno. Le spese sono quindi tante e forse eccessive ad un occhio poco attento. La pena di morte costa di più C’è di più. Sono in molti a considerare il mantenimento dei carcerati uno spreco e specialmente negli Stati Uniti, nel caso di pene particolarmente gravi, la pena di morte viene vista sia come una punizione adeguata sia come un modo per evitare che il malfattore pesi sulle casse della società. È pur vero che, numeri alla mano, i singoli detenuti non fanno differenza visto il costo della macchina carceraria, ma se analizzassimo i dati relativi ai costi sostenuti dall’amministrazione Usa in caso di pena di morte ci renderemmo conto che l’assioma “boia - risparmio” non sta in piedi. Anzi, un condannato alla pena capitale costa allo stato americano mediamente due terzi in più rispetto all’uomo condannato al carcere a vita senza “parole”. Gli altri personaggi Spieghiamoci meglio. In una lettera inviata nel 2009 al New York Times da Natasha Minsker, “policy director” della pena capitale nel nord della California, i residenti per ogni esecuzione pagano in tasse più di 137 milioni di dollari. Un processo che si conclude con la pena capitale costa più di 10 milioni di dollari e 20 mila ore di dibattito in aula. Uno studio dell’università di Duke ha invece dimostrato che gli Usa spendono per ogni detenuto ucciso 2.160.000 dollari in più di quanto non verrebbe speso per una carcerazione a vita. Inoltre essendo i condannati a morte per lo più poveri e nullatenenti, lo Stato si fa carico anche delle loro spese consistenti in due avvocati per il processo. Poi ci sono tutti i soggetti implicati nel processo, gli esperti di pene sostitutive, psicologi, stenografi, costi maggiorati per via delle celle singole. Insomma, ecco molte più voci di quante non si possa sospettare. Vari processi e tanti soldi In California, dal 1982 al 2000, sono stati spesi 200 milioni di dollari. In Florida ogni esecuzione costa 24 milioni. L’avvocato della difesa per ogni processo che contempla la pena capitale riceve 360 mila dollari, 200 mila in più di quanto non otterrebbe in un processo normale. Le indagini della difesa costano tra le 5000 ed i 48 mila dollari. Il procuratore invece è pagato dai 320 mila ai 772 mila dollari, il doppio della difesa. La Corte invece costa 506.000 dollari, mentre normalmente varrebbe 82 mila. Un condannato a morte costa 137 mila dollari l’anno mentre un detenuto condannato normale arriva fino a 55 mila. E non dimentichiamo poi che le cifre del processo vanno moltiplicate per il numero di dibattimenti. Se i processi sono tre, moltiplicate tutto per tre. Il carcere come miseria I calcoli effettuati da Aldo Forbice nel suo libro “I signori della morte”, anno 2002, dimostrano che anche uccidere -o giustiziare, fate voi- un uomo o una donna ha un suo costo. A confermarlo la valutazione datata 2009 di Natasha Minsker. Papa Francesco ha abolito il carcere perché lo riteneva inumano mentre sono molti i critici che pensano come la reclusione rappresenti un atto di comodità. Ma se questo fosse vero un detenuto che vita può passare quando con tre euro si paga colazione, pranzo e cena, mentre la vita in cella costa mensilmente 140 euro? La situazione difficile delle carceri di tutto il mondo passa anche dalle condizioni di vita. Certo, 3.511 euro a persona al mese sembra una cifra importante. Se la si spoglia si capisce la gravità della situazione e quanto effettivamente non si spenda per i detenuti, non solo in Italia. Peggio ancora va negli Usa con una spesa risibile gravata dal costo delle assicurazioni sanitarie. Nel caso di pena di morte, poi, gli unici a guadagnare sono avvocati, periti e giudici, con il condannato derubricato a “costo maggiorato” per via della sua permanenza in una cella singola. Il carcere è miseria e visti questi numeri la definizione appare fin troppo azzeccata. Giustizia: un uomo non è il suo errore, Progetto Sicomoro fa incontrare vittime e detenuti di Chiara Rizzo Tempi, 15 luglio 2013 Faccia a faccia tra familiari e carcerati. Perché un percorso di riconciliazione con sé e con gli altri è possibile. Chi è stato vittima di un reato, può guardare in viso un delinquente e perdonarlo? Può ritrovare la pace? È intorno a queste domande che si sviluppa il Progetto Sicomoro, attivo grazie all’associazione Prison Fellowship in tutto il mondo (5mila detenuti coinvolti) e dal 2011 operante anche in Italia. Il progetto prende il nome dall’episodio evangelico dell’incontro tra Gesù e Zaccheo: come il pubblicano fu perdonato da Cristo, così il progetto spera che vittime e carnefici possano ritrovarsi. “È un esempio concreto di giustizia riparativa, cioè della funzione rieducatrice della pena che dà un ruolo da protagonista anche alla vittima dei reati” spiega a tempi.it Marcella Reni, presidente di Prison Fellowship Italia, raccontando i risultati dell’ultimo percorso appena concluso nel carcere di Modena. Come funziona il progetto Sicomoro? Prevede un ciclo di incontri tra detenuti e vittime. La premessa necessaria da fare è che il detenuto non è coinvolto in alcun maniera con il delitto che ha provocato le vittime dei familiari che incontrerà. Non è stato lui, cioè, a compiere il reato specifico di cui quelle persone sono vittime. Ne ha commesso uno simile, ma non quello in particolare. L’incontro avviene dentro le mura del carcere dopo un preparazione, sia dei detenuti sia delle vittime, e gli incontri durano 8 settimane. Partecipano anche due “facilitatori” (una finora sono stata io, che nella vita sono notaio e non lavoro in carcere) che hanno seguito dei corsi specifici in giustizia riparativa tenuta dagli esperti americani di Prison Fellowship. Solo al primo progetto fatto in Italia, nella casa di reclusione di Opera con detenuti al 41 bis per reati di mafia, agli incontri partecipavano anche due educatori del carcere, ma visto l’esito positivo dell’iniziativa, i direttori degli istituti ci hanno permesso di procedere così. Va sottolineato che il progetto Sicomoro non è premiale, cioè non garantisce sconti di pena ai detenuti. I detenuti acquisiscono una consapevolezza, iniziano un percorso vero di espiazione personale e dove è possibile di riparazione. Cosa accade negli incontri? Noi chiediamo ai detenuti di mettersi nei panni delle vittime, di vivere il dolore di queste, e capire cosa i loro reati hanno causato, e non solo sulla singola persona, ma anche sulla famiglia e sul contesto sociale. Viceversa, chiediamo alle vittime di ascoltare e condividere le sofferenze dei detenuti, soprattutto il loro background, chiediamo di vivere tutto ciò che ha portato ai comportamenti delittuosi. Ciò non avviene in modo coercitivo, ma libero. Il reato rimane reato, ma attraverso questa condivisione umana si dà al detenuto la possibilità di ricominciare un percorso “sano”, liberandosi del proprio passato. E le vittime, come reagiscono? Anche alle vittime accade di superare il dolore immenso per ciò che hanno subìto. Nasce la speranza di ricominciare. Riscontro la prima utilità di questo progetto anzi proprio nelle vittime, che non sono affatto personaggi secondari, ma i veri protagonisti. Attualmente, nel sistema italiano, la vittima è una comparsa, non decide né interviene nel procedimento penale e spesso è sottoposta allo stress costante di ricordare ciò che ha subìto nelle aule di tribunale. Il progetto Sicomoro la rimette al centro e le dà in mano le redini di ciò che vive. Quando la vittima capisce che il suo dolore non è sprecato, ma serve ad altri uomini a riconoscere cosa ha causato il loro male, abbiamo visto un profondo senso di liberazione e di pacificazione. Ho visto persone vittime di reati che hanno cambiato stile di vita, recuperando serenità. Ci racconta un esempio concreto? A Modena ha partecipato il fratello di una persona uccisa dodici anni fa. Questo uomo aveva lottato in questi anni per rimuovere quel dolore. Durante gli incontri ha raccontato: “Mi rifiutavo di guardare in faccia i detenuti, come il mio dolore. Invece mi sono reso conto che l’uomo non è il suo errore, come diceva don Benzi, e che il dolore può essere riparato solo attraverso questo reciproco riconoscimento dell’uomo, che è sia chi ha commesso il delitto sia chi lo ha subito”. E per quanto riguarda i detenuti? Uno dei detenuti di Modena, a mio modo di vedere, sembrava irrecuperabile nelle prime sessioni. Gli ho chiesto scusa alla fine degli incontri, perché ha dato segni evidenti di ravvedimento. Quest’uomo ha 56 anni, e da quando ne aveva 20 ha girato tutte le carceri di Italia: era anche un ribelle, è stato protagonista di numerose risse in carcere. Ci ha detto: “Perché non mi avete detto queste cose quando avevo 20 anni? Io non ero consapevole di ciò che facevo, ma dai racconti che ho ascoltato ho sentito un dolore che non ho nemmeno mai immaginato. Sono profondamente arrabbiato con me stesso, ma non voglio più essere quell’uomo, voglio rendere orgogliosi di me i miei figli e i miei nipoti”. Come reagisce il personale del carcere al progetto Sicomoro? I primi a restare colpiti sono i direttori. Sono loro a notare come i detenuti, dopo anni di trattamento rieducativo penitenziario, solo con le otto settimane del progetto Sicomoro escano autenticamente trasformati. Se ne accorgono pure gli agenti di polizia penitenziaria. Uno degli agenti mi ha avvicinata poco tempo fa e mi ha detto: “Ma che è ‘sto Sicomoro? Io non avevo mai visto delle persone cambiare così!”. Giustizia: Franco Corleone; la legge sulle droghe è la causa del sovraffollamento Ansa, 15 luglio 2013 Insieme al Garante dei detenuti della Campania, quello Comunale di Firenze incontrerà il ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri. "Il carcere italiano così non va ed è fuori da ogni regola nazionale e internazionale e soprattutto è fuori dai principi della Costituzione. Bisogna affrontare il nodo che provoca il sovraffollamento ed è la legge sulle droghe". Lo ha detto il garante dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone, a margine di un incontro in Consiglio regionale sulla relazione del Garante toscano dei detenuti Alessandro Margara, recentemente dimessosi per questioni di età, sull'attività svolta nel 2012. "Questo della legge sulla droga - ha aggiunto - sembra un fatto intoccabile ma se non affrontiamo questo nodo anche il Decreto legge che è in Parlamento per la conversione, non raggiungerà gli obiettivi prefissati". Corleone ha annunciato che domani insieme al garante dei detenuti della Campania, incontrerà il ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri. "Al ministro porremo una serie di problemi - ha aggiunto - come quella della socialità o della sanità in carcere e della chiusura degli ospedali psichiatrici. Faremo una lunga lista e speriamo di avere risposte adeguate". Giustizia: Bolognetti (Ri) abolire ergastolo per superare concetto pena come vendetta sociale www.basilicatanet.it, 15 luglio 2013 Il segretario di Radicali Lucani, Maurizio Bolognetti, interviene sulle dichiarazioni rilasciate dal consigliere regionale Gianni Rosa sull’abolizione dell’ergastolo “Caro Gianni - si legge nella nota - noi altri affermiamo che abolire il carcere a vita significa superare il concetto di pena come vendetta sociale”. Inoltre, caro Gianni, quello che deve essere chiaro, è che dettato costituzionale alla mano (il vilipeso art.27), l’ergastolo è incostituzionale e la pena dovrebbe tendere alla rieducazione del reo. Insomma, il fine pena mai è in palese contrasto con la Costituzione ‘più bella del mondò, tanto declamata quanto così poco rispettata. Sono certo, caro Gianni, che questo tuo intervento sia dettato non dal desiderio di vendetta, ma dalla sete di giustizia. Ti invito a riflettere su quel passo della Bibbia che recita: “Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato”. Paradossalmente dico che si potrebbe anche comminare una condanna a cento anni, ma che non si può negare a nessuno la possibilità di reinserirsi nella società; non si può negare la speranza, perché significherebbe negare la possibilità che un uomo, anche quello che si è macchiato dei peggiori delitti possa cambiare. Con gioia ho letto della decisione di papa Francesco di abolire l’ergastolo; è lo stesso Papa che si è recato a Lampedusa. Gioverà inoltre segnalare - come ci ha ricordato l’avvocato radicale Giuseppe Rossodivita - che “La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha deciso, con un’importante sentenza depositata il 9 luglio u.s., (n. 3896, caso Vinter e altri c. Regno Unito), che il fine pena mai, che l’ergastolo, è di per se stessa, una pena inumana e degradante che viola i diritti umani fondamentali riconosciuti e garantiti dalla Cedu”. Il Papa ha abolito l’ergastolo e anche noi vogliamo onorare la Costituzione, abolendolo dal nostro ordinamento. Caro Gianni, va però sottolineato che il carcere rappresenta il putrido percolato di una amministrazione della giustizia alla bancarotta, che da 30 anni ci procura condanne da parte della Corte di Giustizia Europea per la violazione della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Occorre ripetere che su questo e altri fronti siamo uno “Stato canaglia”, che non riesce a rispettare la sua propria legalità, uno Stato che nega giustizia a vittime e imputati, che regala gratuiti anni di carcerazione preventiva. Non a caso noi altri proponiamo da tempo una Amnistia per - e sottolineo per - la Repubblica. No Gianni, questa volta plaudo alle dichiarazioni di Roberto Speranza e consentimelo invito entrambi a venire a firmare i referendum radicali”. Giustizia: Tamburino (Dap); dolore e sgomento per suicidio di poliziotto penitenziario Ristretti Orizzonti, 15 luglio 2013 Il Capo del Dap commenta l’ultimo suicidio di un Poliziotto penitenziario avvenuto ad Agrigento. “Esprimo dolore e sgomento per il suicidio dell’assistente capo della Polizia Penitenziaria Amodeo Antonino, verificatosi oggi in provincia di Agrigento. Il primo pensiero è per la sua famiglia, a cui va la mia vicinanza e il cordoglio dell’intera Amministrazione”. Così in una nota il capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino. “Da tempo il Dipartimento è impegnato, anche con l’aiuto dei sindacati, nella prevenzione del disagio e del rischio di suicidio del personale di Polizia Penitenziaria - ricorda Tamburino - Purtroppo la vicinanza e la solidarietà dei colleghi e dei vertici del carcere di Agrigento per la difficile situazione personale e familiare del dipendente, non hanno impedito il tragico gesto che sembra maturato, comunque, al di fuori di problemi attinenti all’espletamento del servizio”. “L’Amministrazione, anche per il tramite dell’Ente di Assistenza - conclude il capo del Dap - si è già attivata per fornire tutto il contributo e il sostegno possibile ai familiari”. Lettere: cinque minuti di rumoroso silenzio fra le sbarre, per ricordare i “morti di carcere” di Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 15 luglio 2013 In questi giorni nella Redazione di Ristretti Orizzonti abbiamo scelto di non commentare a caldo la sentenza su Stefano Cucchi perché abbiamo preferito discutere insieme al nostro Direttore Ornella Favero sulla morte tragica di quel ragazzo. E ne è venuto fuori che nessuno di noi voleva la vendetta, la condanna e il carcere per i medici, gli infermieri, gli agenti della polizia penitenziaria o i carabinieri, ma tutti volevamo la verità e la giustizia per Stefano, la sua famiglia e per le numerose morti che accadono nelle nostre carcere. Poi la discussione è proseguita e abbiamo parlato delle negligenze, delle omissioni e delle rigidità di alcuni politici e funzionari ministeriali che hanno trasformato le carceri italiane in luoghi dove si muore facilmente. Dove, purtroppo, accade che un ragazzo entri sano in carcere e muoia senza che nessuno se ne accorga. E non è di nessuna consolazione che non si sappia se è morto di botte, di fame o di sete o se è colpa dei carabinieri, degli infermieri, dei medici o della polizia penitenziaria. Ci basta sapere che Stefano non c’è più e non doveva morire e che nelle nostre patrie galere si muore facilmente come in guerra. E si muore di suicidio, di malattie a volte curate male e tardi, a volte di morte “non chiara”. La Redazione di “Ristretti Orizzonti” crede che le garanzie e l’umanità del mondo esterno non si dovrebbero fermare davanti alle porte e alle sbarre di un carcere. E per questo abbiamo proposto a tutti i prigionieri in Italia, per il giorno 15 luglio 2013 alle ore 13.00, di fare cinque minuti di silenzio per ricordare Stefano Cucchi e tutti i morti di carcere. Spesso nelle nostre galere non hai una scelta, o speri o muori, ma alcuni, come gli ergastolani ostativi a qualsiasi possibilità di libertà, non possono fare nessuna delle due cose, e allora sognano. Sognano che qualcosa, finalmente, possa cambiare. Toscana: il Provveditore Cantone; carcere che era un convento, non è struttura adatta Ansa, 15 luglio 2013 Il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria: "Ma è impossibile chiuderle senza avere alternative". "In Toscana c'è un'emergenza carceri come nelle altre regioni. Qui abbiamo tanti istituti che non rispondono a determinati standard e all'azione che svolgiamo. Un carcere che nasce come convento, come ad esempio a Lucca o Siena, non si può definire come una struttura in cui fare una dignitosa attività di detenzione da paese modello". Lo ha detto il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria toscana Carmelo Cantone, a margine della presentazione in Consiglio regionale dell'attività svolta nel 2012 dal garante toscano dei detenuti. Queste realtà, ha aggiunto, "andrebbero certe chiuse ma farlo senza avere strutture alternative diventa improbo". Secondo Cantone alcune delle priorità per la Toscana "sono la ristrutturazione di una serie di realtà che sono in grande deficit, una maggiore presenza di educatori e assistenti sociali e un maggiore sostegno per la polizia carceraria". Pianosa: con ristrutturazione detenuti potrebbero triplicare "Abbiamo imposto il progetto per l'isola di Pianosa, attraverso un rafforzamento della nostra presenza e detenuti che lavorano all'esterno durante il giorno e che la sera dormono nelle strutture detentive. Oggi arriviamo fino a 40 presenze di detenuti, un domani, ristrutturando gli spazi potremmo triplicare questo numero". Lo ha detto il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria toscana Carmelo Cantone, a margine della presentazione in Consiglio regionale dell'attività svolta nel 2012 dal garante toscano dei detenuti. Per Cantone tutto va fatto seguendo "la stessa logica che è quella, insieme agli enti locali, di valorizzare l'attività dell'isola. Dobbiamo mettere insieme tante opportunità. Non intendiamo rientrare a Pianosa disperdendo risorse che possono essere usate altrove. Per questo non pensiamo a Pianosa come un carcere tout court". Sardegna: Caligarsi (Sdr); indispensabile riconsiderare servitù Colonie penali agricole Ristretti Orizzonti, 15 luglio 2013 È ancora Mamone (Onanì) la Colonia Penale con il maggior numero di stranieri. Sono infatti 238 su 264 cittadini privati della libertà ospiti della struttura a custodia attenuata. Una presenza del 90,15% che supera di gran lunga l’83,19% di Is Arenas (Arbus), dove sono presenti 119 detenuti (99 stranieri), e il 79,38% di Isili che registra una presenza di 131 reclusi (104). In nessuna delle tre strutture si verifica sovraffollamento, anche se i dati ministeriali non tengono conto dei padiglioni chiusi perché inagibili o qualcuno in fase di ristrutturazione. Complessivamente i posti disponibili risultano infatti 789, mentre i ristretti attualmente sono 514. Il riferimento è agli ultimi dati forniti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che fotografano la realtà detentiva isolana al 30 giugno 2013. Una così massiccia presenza di stranieri sta profondamente cambiando la fisionomia delle Colonie Penali in una realtà tradizionalmente agro-pastorale come quella sarda. La produttività si è infatti notevolmente ridotta e sta venendo meno quel principio autarchico che caratterizzava la vita delle Colonie, attualmente sottodimensionate rispetto alle reali potenzialità. Le zone occupate dal Ministero della Giustizia si estendono per 5.000 ettari. Si tratta di terreni vocati all’agricoltura ma anche con zone di pregio prossime al mare, come nel caso di Is Arenas. Da un lato scarseggiano le professionalità in grado di curare l’allevamento del bestiame e le aree agricole, dall’altro il Ministero non intende più promuovere con investimenti adeguati le produzioni. La conseguenza è che anche nelle colonie i detenuti non possono lavorare e trascorrono buona parte del tempo inattivi. Negli ultimi anni infatti i finanziamenti finalizzati alla valorizzazione dei prodotti delle Colonie, con progetti come “Gale ghiotto”, destinato alla vendita di olio, miele e formaggi, rischiano di non avere un seguito. A complicare la situazione anche il mutato quadro socio-culturale dei detenuti-lavoranti che, per poter svolgere l’attività, devono essere adeguatamente formati. Le Colonie Penali sono una vera e propria servitù penitenziaria per la Sardegna per l’estensione territoriale che occupano. Hanno necessità di una profonda rivisitazione e riorganizzazione. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria deve decidere quale futuro intende dare loro. La prima esigenza è quella di assegnare una Direzione stabile. Attualmente, invece, sono guidate “a scavalco” dai responsabili di altri Istituti Penitenziari. Una possibilità inoltre potrebbe essere quella di trasformarle in Cooperative Sociali attraverso le quali fornire opportunità di lavoro agli ex detenuti sardi o a quanti intendono restare nell’isola dopo aver scontato la pena. La questione diventa particolarmente attuale in considerazione della volontà espressa chiaramente dalla Ministra della Giustizia Annamaria Cancellieri di privilegiare le pene alternative alla reclusione. Lo scarso numero di opportunità lavorative in Sardegna, condizione accentuata dalla grave crisi economica, fa ritenere utile una riconversione delle Colonie Penali. Non si può infatti ignorare che l’isola, l’unica regione italiana in cui sono ubicate, non trae alcun vantaggio dalla cessione di queste aree sottratte da decenni alla valorizzazione turistica e produttiva. Pertanto se non sono neppure utilmente impiegate, è necessario ricontrattare con il Ministero gli ettari disponibili e realizzare iniziative in grado di restituire ai sardi preziosi territori. Maria Grazia Caligaris, presidente associazione “Socialismo Diritti Riforme” Puglia: Ucpi; domani visita dei penalisti al Cie di Bari, mercoledì al carcere di Lecce Adnkronos, 15 luglio 2013 Settimana densa di visite nel Cie di Bari e nelle carceri pugliesi per l’Unione camere penali, rappresentata dalla delegata di Giunta per il carcere, Manuela Deorsola, e da Annamaria Alborghetti, dell’Osservatorio carcere Ucpi. Domani, spiega una nota, il viaggio dei penalisti nel mondo della detenzione pugliese partirà dal Cie di Bari. Al termine della visita, alle 12.30, la Camera Penale di Bari ha organizzato una conferenza stampa presso la sede del Tribunale di Via Nazariantz. Mercoledì, in mattinata, sarà la volta del carcere di Lecce, mentre nel pomeriggio i penalisti si trasferiranno in quello di Taranto. Infine giovedì 18 luglio la serie di visite si concluderà nel carcere di Brindisi. Al termine di ogni visita, conclude la nota, i rappresentanti delle varie Camere penali locali, insieme ai membri Ucpi, terranno delle conferenze stampa per fare il punto sulla situazione dei vari penitenziari. Lombardia: Consiglio regionale continua l’approfondimento sulla situazione carceraria Ansa, 15 luglio 2013 Continua l’approfondimento sulla situazione carceraria in Lombardia, nella commissione speciale insediata a inizio legislatura dal Consiglio regionale. La scorsa settimana, l’organismo presieduto dal consigliere Fabio Fanetti (Lista Maroni) ha ascoltato gli assessori regionali al Welfare, Maria Cristina Cantù, e alla Sicurezza, Simona Bordonali. L’assessore Cantù ha fra l’altro riferito che nel 2012 sono stati deliberati fondi per i progetti approvati pari a 3,2 milioni di euro e nel contempo sono state approvate le linee di azione dei progetti nel 2013: per il biennio 2014/15 il budget destinato agli interventi Å di 7 milioni di euro, 3,5 milioni per ogni anno. Pur non avendo competenze specifiche, l’assessore Bordonali ha infine aggiunto l’impegno per “l’educazione alla legalità a partire dalle scuole, anche in chiave di prevenzione dei reati. Nella seduta di giovedì, sono in programma altre audizioni in commissione speciale Carceri con i rappresentanti di Confcooperative e Federsolidarietà, oltre che con la società Eidon srl immagini e parole in movimento per la presentazione del progetto “Cispa Tour - Levarsi la cispa dagli occhi”. Catania: i Radicali denunciano il sovraffollamento, il Governo promette un nuovo carcere www.livesicilia.it, 15 luglio 2013 Dopo il rapporto semestrale del Procuratore Capo Giovanni Salvi, il Sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Berretta descrive gli interventi per affrontare le problematiche delle carceri. Mario Alloro (Pd) racconta la sua visita a Piazza Lanza: “Carenze sanitarie”. Una situazione per certi versi intollerabile. Suicidi, sovraffollamento e strutture obsolete sono solo alcuni tra i problemi delle carceri italiane su cui da tempo ha puntato l’attenzione il Corte europea dei diritti dell’Uomo con le sue pesanti sanzioni. Qualche passo avanti in realtà è stato fatto. Ad illustrare le ultime novità del carcere catanese di piazza Lanza è stato, durante la consueta relazione semestrale, il Procuratore Capo Giovanni Salvi. La chiusura del braccio d’isolamento “Nicito” per una completa ristrutturazione è stata definita, insieme all’abbattimento del fenomeno delle “porte girevoli”, come un passo decisivo per ridare dignità alla struttura, risalente al 1910, che ospita i cosiddetti detenuti di “media sicurezza”. Giuseppe Berretta, Sottosegretario catanese alla Giustizia del Governo Letta, illustra un quadro complessivo degli obiettivi del suo mandato: “Il Governo Letta si sta muovendo nella giusta direzione - spiega Berretta - per migliorare questa situazione. Anche a Catania, dove non mancano le criticità, si stanno facendo passi in avanti, dal miglioramento delle sale per i colloqui a Piazza Lanza, all’inaugurazione, avvenuta alla presenza del Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, del nuovo reparto detentivo all’interno dell’ospedale Cannizzaro, penso, poi, all’avvio dei lavori di ristrutturazione del reparto “Nicito” e infine, l’ ormai prossima realizzazione delle struttura di Bicocca, prevista nel piano carceri del commissario straordinario”. Un quadro fin troppo ottimistico invece quello illustrato da Salvi secondo Salvo Fleres Garante per i Diritti dei Detenuti in Sicilia “La situazione di piazza Lanza rimane pessima. Mi preoccupa che si possa pensare che i problemi del carcere siano i muri. Recentemente, ad esempio, è stato accolto, proprio a Piazza Lanza, un risarcimento danni a un detenuto che è caduto dall’ultimo piano di un letto a castello. C’è stato qualche piccolissimo passo avanti ma la situazione rimane molto preoccupante”. A far eco alle parole di Fleres, ci sono anche i Radicali Italiani, da tempo impegnati nell’affrontare l’emergenza carceri in Italia, Gianmarco Ciccarelli segretario etneo sottolinea come permangano trattamenti inumani e degradanti nel carcere catanese: “I lavori di ristrutturazione del reparto strutturalmente illegale come il “Nicito” sono un fattore positivo ma per “ridare dignità” a un istituto di pena occorre che ciascun detenuto abbia uno spazio vitale non inferiore a 3 mq. Nel carcere di piazza Lanza - precisa Ciccarelli - il tasso di affollamento è leggermente inferiore rispetto al passato, ma ancora oggi la stragrande maggioranza dei detenuti dispone di uno spazio inferiore a 3 mq. Le persone ristrette a piazza Lanza continuano a subire trattamenti inumani e degradanti, rispetto a prima sono torturate un po’ meno ma possiamo accontentarci di questo?”. Le azioni per far fronte al problema del sovraffollamento vengono spiegate dal Sottosegretario Berretta, “È stato già varato - spiega il parlamentare del Pd - un decreto-legge che contiene modifiche all’ordinamento processuale e all’ordinamento penitenziario per limitare la gravissima condizione di sovrappopolamento delle carceri. Il Governo ha già iniziato ad operare perché il carcere torni ad essere una “extrema ratio”. In questo modo si alleggerirà, di circa 5-6.000 unità, la pressione sulle strutture carcerarie e si utilizzeranno misure alternative di pena che, senza far venir meno le legittime richieste di sicurezza, favoriranno il recupero della funzione rieducativa della pena che sin qui è stata compromessa dalla situazione delle carceri italiane. È quindi chiaro che quelli in questione sono interventi che oltre a rispondere all’emergenza hanno un carattere strutturale”. Tra gli ultimi esponenti del mondo politico a visitare la struttura catanese, lo scorso giugno, c’è il deputato regionale del Partito Democratico Mario Alloro, che spiega la sua esperienza all’interno della casa circondariale di Piazza Lanza, “Devo dire di aver trovato una situazione diversa rispetto a quella che mi aspettavo - racconta - segno che la direzione del carcere ha lavorato bene. Ho notato un buono stato di pulizia, bisogna ricordare che la nostra è stata una visita senza preavviso. Il problema del carcere Lanza rimane il sovraffollamento oltre a quello, molto grave, delle infermerie. La Sicilia dipende ancora per la sanità carceraria dal Ministero e non dalle Aziende locali. A fronte di ciò abbiamo approvato una risoluzione in Commissione Sanità dove impegniamo il Governo ad allineare l’Isola al resto d’Italia”. Riguardo la detenzione al 41bis, regime detentivo non esercitato a Piazza Lanza, Berretta ne sottolinea la validità per il contrasto alla criminalità organizzata. Recentemente parte dell’articolo è stato oggetto delle attenzioni della Corte Costituzionale, “È una misura straordinaria - spiega - che riguarda solo una piccola parte di detenuti condannati per terrorismo, eversione, ma soprattutto per il reato di criminalità organizzata. L’obiettivo di questo tipo di detenzione è quello di ostacolare le comunicazione sia tra i carcerati e le organizzazioni criminali all’esterno sia tra i carcerati stessi. Una misura necessaria perché, specie i boss mafiosi, spesso continuavano a svolgere il proprio ruolo di “capi”, anche da dietro le sbarre, rendendo vana l’azione della Magistratura e delle Forze dell’ordine. Il regime 41del bis, per quanto sia restrittivo, è indispensabile per assicurarsi che il boss detenuto risulti essere inoffensivo e che non possa più in nessun modo interagire con l’esterno. Qualunque strumento può essere migliorato. Tuttavia - conclude - credo che il 41bis abbia dimostrato e continui a dimostrare la sua validità e rimanga uno strumento indispensabile di contrasto alla criminalità organizzata”. Cagliari: Buoncammino è un inferno, ma il nuovo carcere di Uta aprirà “forse” nel 2014 La Nuova Sardegna, 15 luglio 2013 Buoncammino, il solito inferno. Uta, l’eterna incompiuta. Per questo i detenuti, ma anche gli agenti di polizia penitenziaria, sono costretti ad un’altra estate di passione. C’è il solito problema del sovraffollamento, con il numero dei detenuti che non si discosta troppo da quota 530, quando la capienza massima dovrebbe essere di 350. Ci sono in prospettiva i soliti piccoli-grandi allarmi (celle troppo piccole, situazione igienico sanitaria precaria, poche possibilità di lavorare) che la protesta dell’altro giorno ha amplificato in maniera considerevole. Ma così non si può più andare avanti. “I detenuti di Buoncammino stanno marcendo, ci sono alcune celle al pianterreno che d’inverno e anche in questi giorni di caldo sono umide. Una umidità tale che esce acqua dal pavimento per cui devono dormire con cerate e giacche a vento. Capita spesso che non ci sia acqua calda e riscaldamento e, nel caso di guasti, non ci sono soldi per le riparazioni”. Parole, musica e polemiche dell’avvocato Annamaria Busia che ieri mattina, insieme a Maria Grazia Caligaris (dell’associazione socialismo diritti riforme) e alla moglie di un detenuto trasferito nei giorni scorsi a Lanusei (per punizione?), ha organizzato un sit-in davanti a Buoncammino per denunciare la situazione difficile del penitenziario, chiedere spiegazioni sulla mancata apertura del carcere di Uta e lanciare un appello ai parlamentari sardi affinché venga modificato l’articolo 41 bis che porterà i detenuti in regime di carcere duro negli istituti penitenziari isolani. Se non una vera e propria invasione, poco ci manca. “Dietro la mancata apertura di Uta c’è qualche cosa di poco chiaro, era stato creato per trasferire i detenuti di Cagliari, ma è tutto fermo - ha sottolineato il legale - Dobbiamo ringraziare il personale di Buoncammino, il direttore Pale e gli agenti che fanno enormi sforzi per tamponare questa situazione. I detenuti non vogliono niente, chiedono solo che venga rispettato il loro diritto di esseri umani, ci sono diverse pronunce in materia da parte della Corte Europea. Io ho presentato un esposto in Procura proprio perché credo che la situazione di Buoncammino sia da portare davanti a Strasburgo”. Su Uta il legale sospetta che “i soldi che erano destinati al carcere siano andati a finire per completare e costruire i bracci speciali che devono contenere i detenuti 41bis”. Riguardo alla situazione di Uta, è intervenuta Maria Grazia Caligaris: “L’amministrazione ha detto che il carcere potrebbe aprire a fine 2013 ma i lavori da fare sono tali che questa data è già stata superata. Ci sono tanti allestimenti da fare, per non parlare della situazione all’esterno del nuovo carcere, tra bonifiche da fare ed emergenze da tappare”. Sul fronte del 41 bis l’avvocato Busia chiede l’interessamento dei parlamentarsi sardi: “Lancio un appello a tutti i deputati e senatori eletti nell’Isola, al presidente del Consiglio Letta, perché ci sia una modifica del 41 bis: deve essere cancellato il comma che è stato introdotto nel 2009 e che prevede il trasferimento dei detenuti nelle carceri insulari”. Vicenza: la Garante Berti; ai detenuti serve più lavoro e il “San Pio X” resta un modello Giornale di Vicenza, 15 luglio 2013 La Garante dei diritti dei detenuti, Federica Berti, fa il bilancio della sua attività. Ottimo il rapporto con Confindustria e con il volontariato. “Ci sono molti passi da compiere”. “Il mio incarico è ad interim, in attesa che l’Amministrazione comunale indichi il nuovo il garante del carcere, sempre se intende avvalersi ancora di questa figura”. Federica Berti, nel frattempo, rimane il punto di contatto tra la realtà carceraria e l’Amministrazione comunale. Un punto fondamentale che ha saputo conoscere San Pio X e portare all’esterno istanze importanti per i detenuti. Eletta dal Consiglio comunale il 28 settembre del 2011 in quasi due anni è stata il trait d’union tra via della Scola e palazzo Trissino in particolare con l’assessorato ai Servizi sociali, con il quale ha sempre collaborato e tenuto i contatti con le sue puntuali relazioni. “All’interno della casa circondariale di Vicenza - ammette - ho sempre trovato molta disponibilità da parte delle associazioni che lavorano, dai volontari, dalla direzione. Da quanti, per molti anni, si stanno rimboccando le maniche con vari progetti per assicurare un minimo di vita a chi è costretto a vivere in celle anguste, come accade nella maggior parte dei penitenziari italiani. Certo, San Pio X ha molti problemi, legati ad una struttura non proprio funzionale, però c’è molta attività: laboratori di saldatura, il forno per il pane che per ora è stato spento in attesa che arrivi qualcuno per proseguire con la produzione. E devo dire che con Confindustria abbiamo sempre collaborato con molta chiarezza d’intenti. Se partiamo dal presupposto - prosegue Berti - che la pena venga vissuta come un periodo di rieducazione per cui dedicato al lavoro, allo studio, ritengo che il carcere cittadino sia riuscito a fare molto. In questi anni ho trovato molto fermento: attività, progetti, proposte. Alcune andavano in porto, altre restavano sulla carta. Ma c’è sempre stata grande collaborazione e coordinamento”. Sovraffollamento unito alla carenza di personale tra gli agenti di polizia penitenziaria, alcune malattie tra i detenuti, tentativi di suicidio, qualche rissa. Il carcere è spesso al centro di storie, problemi, situazioni non proprio semplici che si incrociano con etnie diverse, la maggior parte dei detenuti di S. Pio X infatti è straniera. “Su questo non ci sono dubbi - prosegue Berti - ma rispetto ad altre realtà, in via Della Scola ho avuto il piacere di conoscere e di apprezzare una rete di associazioni e di operatori molto vasta che è stata apprezzata anche in altre regioni d’Italia. Anzi, che in altre zone non esistono proprio. Che il presidente di Confindustria, Giuseppe Zigliotto entri nella casa circondariale con i rappresentanti delle confederazioni sindacali, come è accaduto nei giorni scorsi, è un segnale importante. Un’occasione che dovrebbe portare a frutti concreti. Che si dovrebbero materializzare con contratti e con imprese disposte ad impegnarsi per offrire la possibilità di lavorare all’interno del carcere. C’è un’officina per la saldatura che funziona benissimo, l’apertura di un nuovo capannone per l’assemblaggio. Ora, non restano che commesse da portare all’interno affinché qualcuno possa pensare anche al lavoro”. Federica Berti è stata il primo garante ad essere nominato in città. “E per quanto mi riguarda è stata un’esperienza importante, arricchente in un ambiente non sempre facile che spesso si deve misurare con regole che rendono ancora più complessa la convivenza . Ritornerà? Non dipende da me. L’Amministrazione deve fare le proprie scelte e poi indire un concorso”. Bolzano: da Giunta assistenza per detenuti con problemi psichiatrici Asca, 15 luglio 2013 La giunta provinciale di Bolzano ha definito il progetto di assistenza per pazienti con problemi psichiatrici che si trovano in regime di detenzione, previsto per legge. Saranno ospitati, in caso di "basso livello di sicurezza", nella struttura riabilitativa "S. Isidoro" sul Colle sopra Bolzano, gestita dall'associazione La Strada-Der Weg. Il Centro sarà ristrutturato e adeguato con interventi a carico della Provincia che prevedono una spesa di 100mila euro. La Giunta, come si legge nella nota diffusa, ha inoltre approvato la cornice finanziaria per l'assistenza complessiva di tutti i detenuti con problemi psichiatrici, pari a 730mila euro. I costi comprendono la cura dei pazienti al "S. Isidoro" (da 2 a 6 ospiti), l'assistenza di un massimo di 15 pazienti considerati a medio livello di sicurezza ospitati a "Villa San Pietro" di Arco e di un massimo di 5 pazienti in regime di detenzione classificati ad alto livello di sicurezza e ricoverati in strutture del Piemonte o dell'Emilia. Viterbo: Nicastrini (Uil-Pa); carcere di Mammagialla, noi agenti ci sentiamo abbandonati www.viterbonews24.it, 15 luglio 2013 “Non siamo disposti ad accettare che si faccia della polizia penitenziaria la vittima sacrificale di un contesto dove gli ultimi eventi accaduti non permette alcuna linea di prevenzione ed intervento”. A parlare è Daniele Nicastrini coordinatore regionale Uil-Pa penitenziari a seguito dell’incontro per la verifica del progetto sperimentale sull’articolazione dell’orario di lavoro che sta dando positivi riscontri. “Abbiamo riscontrato da parte dei nostri colleghi e iscritti - prosegue Nicastrini - una sensazione forte di essere abbandonati a se stessi, senza alcun attenzione nella loro difficoltà ad operare in un istituto penitenziario dove la stessa amministrazione penitenziaria ritiene di collocare al suo interno molti detenuti con problemi di ordine e sicurezza dimostrata in altri istituti ovvero detenuti anche con forti problemi psichici”. Gestiree i recenti episodi accaduto a Mammagialla è sempre complesso per il personale di polizia penitenziaria: “Non è previsto alcun “accorgimento” che tuteli la nostra incolumità fisica nel caso in cui sia necessario intervenire nei confronti di chi commette atti di autolesionismo con perdite ematiche, aggressioni verbali e fisiche tra detenuti nei confronti del personale in servizio ovvero in caso di detenuti che fanno atti vandalici all’interno delle stesse o nei loro reparti detentivi”. “Solo stamani abbiamo scritto - continua il sindacalista - una nota alla Direzione e per conoscenza al Provveditorato e Dipartimento, che al fine di garantire e tutelare il personale di Polizia penitenziaria, si devono prevedere disposizioni della stessa che determinano linee di prevenzione e intervento in caso di eventi critici, nonché prevedere strumenti attivi per tutelare gli stessi interventi”. “Non siamo più disposti a tollerare - conclude Nicastrini - che al poliziotto penitenziario si chiede professionalità ed efficienza quando in realtà deve subire le situazioni di criticità anche fisicamente senza potersi difendere”. Vigevano La Cgil entra in carcere e 340 detenuti decidono di usufruire dei suoi servizi La Provincia Pavese, 15 luglio 2013 Dopo un anno si può tracciare un bilancio della convenzione stipulata tra Cgil e casa circondariale di Vigevano, che prevede che una volta alla settimana dei sindacalisti si rechino in carcere per aiutare i detenuti nella stesura di richieste di invalidità civile o anche di quella che un tempo era nota come cassa integrazione, e che nello specifico è stata ribattezzata Aspi dopo l’approvazione della legge Fornero. “Si tratta di un riconoscimento - spiega il sindacalista Cgil Oreste Negrini - che viene assegnato a quanti esercitano almeno 13 settimane di lavoro all’interno della struttura carceraria. Una volta interrotto il rapporto di lavoro hanno diritto anche loro alla cassa integrazione”. Diversi detenuti infatti svolgono mansioni nella struttura. Si va da chi si occupa della pulizia, a chi è impegnato nella lavanderia, fino a quanti addirittura diventano dei tutor dei compagni di cella. “È il caso di una ragazza - continua - che cura la propria compagna malata. Il turn over e le diverse esigenze dei nuovi detenuti però a volte, soprattutto per questioni di equità, provocano un’interruzione del rapporto lavorativo, e questo fa sì che si debba ricorrere a quella che un tempo era nota come cassa integrazione con i requisiti ridotti”. Si tratta di un istituto che non vale soltanto per chi è in carcere, ma la politica della Cgil in questo periodo ha fatto sì che molti che si trovano dietro le sbarre ne potessero usufruire. In un periodo di crisi come questo spesso, infatti, quando si è scontata la pena, si esce e ci si trova con l’azienda chiusa. “L’unico punto - continua Negrini - sul quale siamo ancora deboli è l’inserimento lavorativo. In un periodo come questo è senza dubbio la cosa più difficile da fare. Siamo riusciti invece a far percepire a 30 detenuti l’invalidità civile e abbiamo operato anche per far recuperare i propri crediti a persone che mentre scontavano la pena hanno visto fallire la propria azienda, o si sono visti sospendere arbitrariamente il pagamento del Tfr, il trattamento di fine rapporto. In un caso siamo riusciti addirittura a recuperare 5mila euro. Nel complesso abbiamo apprezzato molto la presa di coscienza che quanti si trovano in carcere hanno sviluppato nel rapporto con il sindacato”. Alghero: nella casa protetta per ex detenuti, dove non si parla del passato… ma del futuro di Pinuccio Saba La Nuova Sardegna, 15 luglio 2013 Uno dei “fiori all’occhiello” della Caritas diocesana è la casa di accoglienza per ex detenuti. Una casa protetta che ospita, per quattro o cinque giorni, chi ha appena lasciato il carcere dopo aver finito di scontare la pena. “Non chiediamo mai per quale ragione fossero in carcere - spiega Carmelo Piras - poiché se sono “ex” detenuti, vuol dire che hanno saldato i conti con la società. Restano con noi qualche giorno, soprattutto vogliono parlare con noi, conoscere se e come è cambiata la realtà che li attende, spesso finiscono per raccontarci tutto. Ma lo fanno di loro spontanea volontà. Come detto, a noi non interessa il loro passato, ma il loro futuro”. Un futuro difficile per tutti, ma ancora più problematico per chi ha conosciuto il carcere. Sono liberi di bussare alla porta della nostra casa, come sono liberi di andar via in qualsiasi momento. L’apriporta automatico non è nascosto. Perché questa è una casa di accoglienza, è bene ricordarlo”. Lo scorso anno, sono stati 350 gli ex detenuti che hanno scelto di trascorrere un breve periodo di tempo nella casa della Caritas e - altro motivo di orgoglio per gli operatori - quasi nessuno di loro ritorna in carcere. “Chi sceglie di fare questo breve percorso, sceglie anche di cambiare vita - aggiunge Piras. E le statistiche ci danno ragione: l’85 per cento degli ex detenuti passati per la nostra casa non ha più commesso alcun reato”. L’unico cruccio è la mancanza di volontari “notturni”. “È comprensibile -conclude Carmelo Piras - ma io spero sempre che ci sia qualcuno in più pronto a restare nella casa, anche di notte”. I numeri sono di quelli che fanno paura: nel 2012 la Caritas ha distribuito quarantamila pasti, con un aumento del 25 per cento rispetto all’anno precedente. Un vero e proprio esercito di famiglie ma anche single o pensionati, che proprio non riuscirebbe ad andare avanti se non ci fosse una consistente pattuglia di volontari (170 persone) che ogni giorno lavora e di adopera per raccogliere derrate alimentari che vengono poi servite alla mensa di via XX Settembre. Una mensa che ogni giorno sforna un centinaio di pasti caldi: che al mattino vengono distribuiti proprio all’interno della mensa, mentre alla sera i pasti vengono portati a domicilio. Ma la Caritas diocesana, affidata a don Giuseppe Curcu, va incontro anche a quelle persone che per svariate ragioni non riescono a superare la soglia delle mensa: famiglie che fino a qualche anno fa vivevano una vita normale, o famiglie con minori che necessitano di una tutela particolare. Sì, perché sono cambiati gli “utenti” della Caritas. “Fino a un paio di anni fa il 70 per cento delle persone che si rivolgeva a noi erano extracomunitari - spiega uno dei volontari, Carmelo Piras -. Adesso l’85 per cento sono cittadini italiani, quasi tutti algheresi. E qualcuno di loro si vergogna (come se fosse poi una colpa) di dover chiedere aiuto alla Caritas diocesana”. “La realtà è che si è alzata la soglia di povertà - aggiunge Maria Teresa Usai, un passato fra i banchi di scuola, e ora una delle volontarie più attive della Caritas -: quello che prima bastava per arrivare a fine mese, adesso non basta più. Senza contare poi le nuove povertà dovute alla crisi che ha creato un esercito di senza lavoro”. Un esercito nel quale “militano” senza alcun entusiasmo i rappresentanti di quello che una volta era il ceto medio. E non manca qualche commerciante che credeva di poter vivere decorosamente con la propria pensione. In loro aiuto, oltre alla Caritas, tantissime persone che hanno capito l’importanza della solidarietà. Magari dopo aver scoperto, anche solo per caso, che dietro la patina della tranquilla città a vocazione turistica, c’è un mondo fatto di rinunce e difficoltà economiche. Ma come capita sempre, quando una città è in sofferenza, è la comunità che si adopera per aiutare chi proprio non ce la fa. “Non finiremo mai di ringraziare tutti quei commercianti che ci portano pane, carne, derrate alimentari di ogni genere - sottolinea Maria Teresa Usai - come siamo grati a tutti quei cittadini che, magari con qualche sacrificio, rinunciano a una serata in pizzeria per dare un aiuto anche economico alla Caritas”. Che non si limita a servire i pasti caldi ma consegna anche i pacchi alimentari e distribuisce scarpe, vestiti, o cerca di trovare una soluzione quando una famiglia deve far fronte al pagamento di una bolletta oppure perché è finita la bombola del gas. Un lavoro quotidiano, senza attendersi niente in cambio se non un sommesso ringraziamento o il sorriso di un bambino al quale è stato donato un giocattolo. Uno spendersi per gli altri fonte di grandi soddisfazioni. Soprattutto quando al portone della Caritas si affaccia un nuovo volontario (“anche se il ricambio generazionale è sempre complicato”, conclude Maria Teresa Usai) o un nuovo benefattore. Milano: al carcere di S. Vittore “yoga del sorriso” e più ore d’aria per l’estate dei detenuti Adnkronos, 15 luglio 2013 “Yoga del sorriso”, incontri tra detenute-cuoche e popolazione, aumento delle ore d’aria per alleviare i disagi dei detenuti: iniziative organizzate a San Vittore dai vertici dell’istituto penitenziario milanese. E sono tutte donne alla guida del carcere: la direttrice Gloria Manzelli, la vicedirettrice Teresa Mazzotta, oltre alla comandante della polizia penitenziaria, Manuela Federico. Saranno anche “iniziative ispirate da una particolare sensibilità femminile”, ma, come spiega all’Adnkronos Teresa Mazzotta, “un impulso decisivo è giunto dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria: stiamo procedendo in più direzioni per cercare di fare fronte ai disagi che, in estate, si sommano ad una situazione di sovraffollamento che è sempre critica. A San Vittore vi sono attualmente 1.600 detenuti per una capienza stabilita tollerabile di mille, oltre a 100 detenute”. La prima decisione “è stata quella di aumentare le ore d’aria giornaliere, portandole da quattro a sei, grazie al personale che si è reso disponibile. Si sta poi sperimentando -aggiunge la vicedirettrice del carcere di San Vittore - una serie di corsi aggiuntivi sperimentali, come quello che riguarda il cosiddetto “Yoga del sorriso” a beneficio dei detenuti che hanno problematiche comportamentali o psichiche, in modo da stimolare la capacità di superare i problemi attraverso il sorriso e far emergere così i comportamenti positivi”. Piacenza: Sappe; autolesionismo in carcere, agenti non informati della salute dei detenuti www.piacenza24.eu, 15 luglio 2013 Nuovo caso di autolesionismo nel carcere di Piacenza. Protagonista un detenuto magrebino che, dopo essersi tagliato in varie parti del corpo ha avuto una colluttazione con un compagno di cella e con gli agenti della polizia penitenziaria. A seguito del gesto dimostrativo, lo straniero era stato medicato ma, una volta riportato insieme agli altri detenuti, non ha smesso di dare in escandescenza. Così, prima è venuto alle mani con un altro carcerato e in seguito con gli agenti intervenuti per fermarlo al carcere delle Novate. Il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, è tornato quindi a denunciare la situazione in cui sono costretti a lavorare gli agenti, in particolare con detenuti che hanno malattie infettive: “È questo uno dei tanti rischi a cui vanno incontro i poliziotti penitenziari nell’espletamento dei propri compiti istituzionali - ha dichiarato il segretario Giovanni Battista Durante -. Sono tanti i detenuti affetti da patologie infettive come l’epatite, l’Hiv ed altre. La cosa più grave è che gli agenti non sono informati sulle condizioni di salute dei detenuti ed operano senza alcuna protezione”. Sassari: favorì spaccio in cella, condanna a 2 anni per ex Comandante del San Sebastiano di Elena Laudante La Nuova Sardegna, 15 luglio 2013 Non un concorso esterno nella presunta organizzazione di spacciatori che sarebbe stata guidata da Pino Vandi. Ma un ruolo, nella vicenda del traffico di droga tra le celle del vecchio San Sebastiano, l’ex comandante degli agenti lo avrebbe avuto. E il giudice di Cagliari ritiene si sia trattato di un favoreggiamento personale. Per questo reato il gup Giuseppe Pintori ha condannato a due anni di reclusione (pena sospesa) Antonio Maria Santucciu, algherese di 50 anni, agente della Penitenziaria in pensione. Pena che ha tenuto conto della diminuzione di un terzo per effetto della scelta del rito abbreviato. Ma più bassa, e di molto, di quella sollecitata dal pm Giovanni Porcheddu: 8 anni. La differenza sta nella diversa qualificazione del reato: secondo il giudice non ci sono i presupposti giuridici per attribuire un concorso esterno. Ma gli elementi raccolti dalla Procura distrettuale di Cagliari nell’inchiesta su 45 tra ex detenuti, familiari e tre agenti della Penitenziaria, sembrano superare comunque il primo vaglio di un Tribunale. Santucciu, difeso dall’avvocato Alberto Sechi, è accusato di aver aiutato Pino Vandi, boss sassarese sotto processo per l’omicidio del detenuto Marco Erittu (2007). Vandi avrebbe gestito lo spaccio di eroina e cocaina ai tossicodipendenti di San Sebastiano, fino al 2008, forse proprio nel periodo in cui Santucciu era comandante degli agenti (2004-2007), forse anche grazie a lui. Il pentito Giuseppe Bigella, che per la morte di Erittu è stato condannato a 16 anni, descrive un comandante che aiuta Vandi informandolo delle perquisizioni e di chi decideva di collaborare con la giustizia. Ancora, i carabinieri di Nuoro hanno accertato - e alcuni testimoni lo confermano durante il processo sul caso Erittu - come Santucciu favorisse il gruppo di Vandi attribuendo a suoi uomini posti di addetto alle cucine, scrivano, “spesino”, attività che consentivano una certa facoltà di spostarsi tra le celle. Era accaduto per Nicolino Pinna (imputato nel processo Erittu), amico e compare di Vandi. Agli atti c’è una relazione che ricorda come gli stessi accertamenti che hanno portato alla conclusione di questa indagine, fossero partiti già nel 2006, coinvolgendo Santucciu in qualità di investigatore. Ma “si aveva avuto la netta sensazione - scrivono i militari - che qualche “soffiata” avesse compromesso l’indagine”. Un dettaglio lascia perplessi gli investigatori. Santucciu era amico degli altri due agenti oggi sotto accusa, Antonio Del Rio e Giovanni Calvia (rinviati a giudizio per concorso esterno). Ma quando la prima indagine del 2006 aveva coinvolto Del Rio, questi si era inspiegabilmente messo in malattia. Fra 90 giorni le motivazioni della condanna. Napoli: il Cardinale Sepe invita i detenuti dell’Opg a pranzo nella Curia Arcivescovile www.pupia.tv, 15 luglio 2013 Ospiti a pranzo del cardinale Crescenzio Sepe. Sono gli internati dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli che hanno potuto assaggiare nella sala mense della Curia Arcivescovile le prelibatezze servite dagli studenti dell’Istituto Alberghiero “Duca di Buonvicino” di Napoli. Una simpatica tradizione che si ripete da alcuni anni e che si articola, in due momenti : durante le feste natalizie, l’arcivescovo di Napoli viene invitato a pranzo nell’Opg di Secondigliano e, ad inizio estate, è il porporato ad invitare gli internati a casa sua. Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) sostituirono, a metà degli anni settanta, i vecchi manicomi criminali. Il 17 gennaio 2012 la commissione giustizia del Senato approvò la chiusura definitiva degli Opg entro il 31 marzo 2013. Data poi posticipata al 1 aprile 2014. C’è incertezza, però, su dove andranno a finire gli internati una volta chiuse le strutture. Svizzera: per i prigionieri il pericolo di contrarre malattie infettive è più alto www.cdt.ch, 15 luglio 2013 A differenza di chi vive libero, all’esterno, i detenuti sono confrontati con rischi maggiori di contrarre malattie contagiose come l’Aids, l’epatite e la tubercolosi. Per questo la Conferenza svizzera dei direttori cantonali della sanità e quella di giustizia e polizia hanno adottato una serie di raccomandazioni volte ad armonizzare gli interventi dei servizi sanitari in ambito penitenziario. In un comunicato, le due conferenze cantonali sottolineano che i prigionie­ri dovrebbero essere meglio informati sui rischi e i metodi di protezione contro le malattie infettive. In tutti le car­ceri giudiziarie e nei penitenziari penali della Confederazione il numero di cittadini stranieri è, attualmente, molto alto: nella maggior parte dei casi si tratta di persone che arrivano da Paesi lontani, che hanno vissuto situazioni difficili, a tutti i livelli, prima di arrivare in Svizzera. I controlli medici eseguiti durante le varie tappe di trasferimento da una nazione all’altra sono, pressoché, inesistenti. Il contatto durante il loro peregrinare con persone, sfortunati compagni di viaggio magari ammalati, è qualcosa di più di un rischio. Ecco, quindi, la necessità, da parte delle autorità carcerarie, di vigilare su tutti i nuovi arrivi per evitare il verificarsi di situazioni pericolose. Brasile: due detenuti morti per rivolta in carcere, 68 persone prese in ostaggio Adnkronos, 15 luglio 2013 È di due detenuti morti il bilancio di una rivolta scoppiata nel carcere di Itarapina, in Brasile, dove 68 persone - tra loro anche alcuni bambini - sono state prese in ostaggio dai carcerati. Con i rivoltosi sta trattando la polizia, hanno reso noto i media locali. Il sito di “O Estado de Sao Paulo” ha riferito che la rivolta è iniziata quando una donna che era andata in carcere per vedere il marito non ha ottenuto l’autorizzazione per la visita. Il prigioniero si sarebbe lamentato con la direzione della struttura senza però ottenere nulla. A questo punto i detenuti avrebbero deciso di non lasciare uscire dalla prigione le persone che erano entrate nell’orario di visita. Iraq: Patriarca Caldeo visita in carcere Tareq Aziz, già ministro degli esteri di Saddam Apcom, 15 luglio 2013 Il nuovo Patriarca Caldeo Louis Raphael I Sako, ha visitato alcuni detenuti nelle carceri di Baghdad e tra essi anche il politico cattolico Tareq Aziz. Ne ha dato notizia l’avvocato di Aziz, Badì Aref, che ha parlato di un incontro avvenuto nel carcere di massima sicurezza di Khadhimiya, durato circa 30 minuti e durante il quale Mar Louis Raphael I Sako avrebbe mostrato e promesso attenzione al caso di Tareq Aziz detenuto dal 2003 quando si arrese alle forze americane ed ora affidato alla giustizia irachena. Il sito ufficiale del Patriarcato non ha confermato l’incontro, limitandosi a sottolineare che il comportamento del neo patriarca Sako è “sempre più vicino a quello di Papa Francesco di cui si ricorda la nota visita al carcere minorile di Casal del Marmo”. Già ministro degli esteri di Saddam, Tareq Aziz fu protagonista di un tentativo di mediazione per scongiurare la guerra del 2003 che lo portò a incontrare Papa Wojtyla e a recarsi come pellegrino al Sacro Convento di Assisi. Dopo l’arresto si diffusero voci preoccupanti sulla sua salute, fino a una allarmistica dichiarazione del suo legale nel 2006, che lo dava “in fin di vita” e per questo ne invocava la liberazione. Kazakhstan: un pastore protestante detenuto ingiustamente Apcom, 15 luglio 2013 Un pastore protestante sarebbe detenuto ingiustamente in Kazakhstan: a lanciare l’allarme è l’Associazione "Forum 18", che monitora la situazione della libertà religiosa nei Paesi dell’Europa orientale e dell’Asia centrale, attraverso l’ong International Christian Concern (Icc) che ha lanciato una petizione a livello internazionale. Si tratterebbe, riferisce la Fides, del pastore Bakhytzhan Kashkumbayev, a capo della comunità Grace Church ubicata ad Astana, la capitale del Paese, arrestato il 17 maggio con l’accusa di aver attentato alla salute dei membri della sua comunità con l’aggiunta di droghe e allucinogeni al vino utilizzato per l’Eucaristia. Attualmente, il pastore si troverebbe in cella d’isolamento temporaneo in attesa di processo. In Kazakhstan, secondo Forum 18, le minoranze religiose tra cui quella cristiana, subiscono diverse restrizioni alle loro attività, multe e anche il carcere, dove spesso si registrano abusi sui prigionieri, in particolare sui detenuti per motivi religiosi, molto comuni nel Paese. Perciò, l’Icc, che ha sede a Washington e lotta per la protezione dei cristiani e per la difesa della libertà religiosa nel mondo, ha promosso una petizione che sarà inviata al governo kazako e anche al segretario di Stato americano, John Kerry, con l’esplicita richiesta di un intervento diplomatico da parte degli Stati Uniti.