Giustizia: al Senato chieste modifiche al Decreto Legge n. 78 in materia carceraria Asca, 13 luglio 2013 L’avvio dell’esame di merito in Commissione Giustizia del Decreto Legge n. 78 in materia carceraria, approvato il 26 giugno dal Consiglio dei Ministri e contenente norme dirette ad attenuare l’emergenza del sovraffollamento nelle carceri con un più ampio ricorso alle misure alternative alla detenzione ha fatto emergere varie richieste di integrazione e correzione dell’articolato. Il Presidente Palma ha ricordato che il provvedimento vuole favorire la riduzione dei casi di detenzione negli istituti di pena, esclusivamente per le persone di non elevata pericolosità; ferma restando la necessità della detenzione in carcere dei condannati a pena definitiva che abbiano commesso reati di particolare allarme sociale. Ma ha sollecitato, analogamente a quanto ha fatto il relatore D’Ascola (Pdl). In particolare ha espresso “viva perplessità per la scarsa chiarezza e la sovrapposizione fra la valutazione compiuta dal pubblico ministero e quella del magistrato di sorveglianza introdotta con il comma 4-bis dell’articolo 656 del codice penale. Ha poi sostenuto che la soppressione del divieto di concedere la detenzione domiciliare ai soggetti cui è stata applicata la recidiva determina problemi sul piano sistematico. Per il relatore perplessità suscita anche la disposizione contenuta nell’articolo 3, che estende benefici specificamente previsti per tossicodipendenti che abbiano compiuto violazioni minori delle disposizioni in materia di stupefacenti ad “altri reati”, senza specificarne né la natura né la gravità. Giustizia: “L’ergastolo viola i diritti umani”, storica decisione della Cedu… l’Italia che fa? Notizie Radicali, 13 luglio 2013 Dichiarazione dell’Avv. Giuseppe Rossodivita, segretario del Comitato Radicale per la giustizia Piero Calamandrei e membro del Comitato Promotore dei referendum Radicali sulla giustizia giusta. La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha deciso, con un’importante sentenza depositata il 9 luglio u.s., (n. 3896, caso Vinter e altri c. Regno Unito), che il fine pena mai, che l’ergastolo, è di per se stessa, una pena inumana e degradante che viola i diritti umani fondamentali riconosciuti e garantiti dalla Cedu. Con 16 voti contro 1, è stata accolta dalla Corte di Strasburgo, che sul punto ha mutato un proprio precedente orientamento, la denuncia presentata da tre detenuti i quali si dolevano del fatto che la loro prigionia a vita era equiparabile ad un trattamento inumano e degradante, non avendo alcuna speranza di liberazione. “Lo avevamo detto da tempo, lo abbiamo ribadito in ogni sede inascoltati”- commenta l’Avv. Giuseppe Rossodivita, membro del Comitato promotore dei referendum radicali sulla giustizia giusta e Segretario del Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei - “ora è giunta questa importante sentenza che definitivamente porta al di fuori della costituzione italiana, per il valore che le decisioni della Cedu hanno nel nostro ordinamento costituzionale, la pena dell’ergastolo ed in specie dei cd. ergastoli ostativi. Ben presto la nostra Corte Costituzionale dovrà prenderne atto e dichiararne l’incostituzionalità, a meno che, anche su questo tema, non si vorrà costringere l’Italia ad essere perennemente fuorilegge, come accade sul sovraffollamento dei processi e delle carceri. Nel frattempo c’è un nostro quesito referendario per abrogare questa pena incivile ed incostituzionale ed è importante che anche su questo quesito si raggiunga la soglia delle 500.000 firme”. Giustizia: detenuto risarcito con 2.600 euro per la cella angusta, dovrà pagarli il Dap www.puglialive.net, 13 luglio 2013 Diritti dei detenuti. Risarcito il carcerato a carico del Dap con 2.600 euro per la cella angusta. In ritardo il ricorso del Dipartimento che quindi deve pagare. Anche la mancanza l’acqua calda integra la violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Ritorna con la sentenza 29971/13, pubblicata il 12 luglio dalla prima sezione penale della Cassazione, il dibattito sull’annosa piaga delle condizioni inumane in cui versano i detenuti negli istituti penitenziari italiani, ma anche quel barlume di speranza che sta nelle decisioni giurisprudenziali che bacchettano l’amministrazione penitenziaria e quindi lo Stato che non ottempera all’obbligo di rispettare la dignità dei reclusi che sono, prima di tutto e comunque, persone. Ad evidenziarlo è Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, associazione che da anni difende anche i diritti di coloro che sono sottoposti a misure di prevenzione anche con azioni a tutela dei diritti fondamentali. A causa delle condizioni della cella che violano la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il detenuto deve essere risarcito, e questa è un fatto conclamato da altri precedenti. Ma con la decisione in commento, risulta confermata anche dalla Suprema Corte la decisione del tribunale di sorveglianza, che ha stabilito in 2.600 euro il risarcimento riconosciuto perché il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria non ha impugnato nel termine perentorio di dieci giorni il provvedimento. Tale considerazione vale, anche se era al giudice civile che spettava la decisione sul risarcimento del danno invocato dal detenuto e il Procuratore Generale ha ritenuto “inesistente” il provvedimento del magistrato di sorveglianza: invero la ripartizione degli affari all’interno di un ufficio giudiziario della magistratura ordinaria non crea questioni di giurisdizione. Anche a voler considerare “abnorme” il provvedimento contestato, per l’impugnazione il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria avrebbe dovuto presentare ricorso entro dieci giorni a partire dall’effettiva conoscenza dell’atto, avvenuta con la rituale comunicazione. Nel caso in questione, quindi, è stato rigettato il ricorso del ministero della Giustizia nonostante le conclusioni del Procuratore Generale fossero per l’annullamento del provvedimento del magistrato di sorveglianza senza rinvio. Nei motivi di ricorso l’amministrazione penitenziaria aveva dedotto che l’inefficacia del trattamento carcerario dipende per forza dal noto sovraffollamento degli istituti, mentre il magistrato di sorveglianza aveva dichiarato, al contrario, la responsabilità del Ministero in termini contrattuali (in senso lato), stabilendo conseguentemente l’obbligo al risarcimento del danno. Le condizioni della cella che avevano portato al ricorso del detenuto è comune a quelle di altre migliaia di detenuti: 11,5 metri quadrati, senza acqua calda ma con finestra unica e letti a castello a cinquanta centimetri dal soffitto. Il tutto per tre reclusi che ci vivono per diciotto ore al giorno. Le condizioni dei ristretti, secondo il giudice, violano l’articolo 3 della convenzione europea dei diritti dell’uomo. E va ricordato che di recente la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per la sua (invero perenne) emergenza-carceri. Se è vero che non è il reclamo stabilito dall’articolo 35 della legge sull’Ordinamento penitenziario la via giudiziale da percorrere per il detenuto che si ritiene leso nei diritti soggettivi e anche pur inequivocabile che il provvedimento del magistrato di sorveglianza resta in piedi perché è stato superato l’orientamento secondo cui è giuridicamente inesistente il provvedimento emesso in violazione della distinzione fra civile e penale, laddove comunque si tratta di un magistrato ordinario. Ma v’è di più: se il provvedimento fosse davvero abnorme, la questione non cambierebbe perché bisogna in ogni caso applicare il regime delle impugnazioni e, dunque, rispettare i termini. Morale della favola: il Dap deve pagare. Giustizia: quando la polizia rapisce innocenti di Furio Colombo Il Fatto Quotidiano, 13 luglio 2013 È una storia sinistra da cui comincia bene un film, ma finisce male la legalità e rispettabilità di un Paese, nel nostro caso l’Italia. Una notte di fine maggio, ai nostri giorni, con questo governo, di cui si può pensar male ma non fino a questo punto, una bambina di sei anni e la madre, provenienti dal Kazakistan e domiciliate a Roma, sono state l’obiettivo di una grande operazione di cattura e rapimento. Cinquanta uomini della polizia di Stato hanno circondato la casa, arrestato mamma e bambina, le hanno trattenute tre giorni. E appena si è presentato a Ciampino un aereo privato del Kazakistan, hanno forzato mamma e bambina a imbarcarsi, dunque consegnate da polizia a polizia con la negazione di ogni diritto e la mancanza di ogni dovuta formalità internazionale. Tutto ciò è stato tenuto nascosto al ministro degli Esteri Emma Bonino, fingendo di ignorare le sue prerogative di ministro degli Esteri. Hanno creato un problema gravissimo nel governo perché il responsabile della polizia è il ministro dell’Interno, Alfano che è anche il vicepresidente del Consiglio ed è anche l’uomo più vicino a Silvio Berlusconi, caro amico del dispotico presidente del Kazakistan. Alfano non poteva non sapere che le due prede della polizia italiana sono la moglie e la figlia di Mukhtar Ablyazov, dissidente kazako in fuga. Finora, salvo alcune voci fra cui quella del deputato Fiano (Pd) alla Commissione Affari Costituzionali, e la conferenza stampa di Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti umani del Senato, ci sono state poche notizie e molto silenzio. E così adesso il presidente dittatore del ricco paese petrolifero, che ha gli amici giusti in Italia e che voleva ostaggi da giocare contro il suo principale avversario, li ha ottenuti e intende servirsene. Ma come può il Parlamento italiano, stravolto da ridicole manifestazioni per negare i reati di Berlusconi, non esigere la verità immediata su questa torbida storia? Chi spiegherà a nome e su ordine di chi si consegnano ostaggi, e soprattutto si arresta e si scambia una bambina? Non c’è un ambasciatore italiano, nella capitale del Kazakistan, che possa verificare e riferire? Non partirà d’urgenza una delegazione delle commissioni Esteri del Parlamento, per sapere subito dove sono e come vivono e quali rischi corrono le due prigioniere? Per Letta il percorso è doveroso e chiaro: bloccare all’istante ogni rapporto con il Kazakistan. Pretendere subito nomi, passato e prevista carriera dei “bravi” che in Italia arrestano mamme e bambini. Giustizia: Mastrulli (Cosp); scorta all’ex ministro Severino in vacanza, subito un’inchiesta Ansa, 13 luglio 2013 L’ex ministro della Giustizia, Paola Severino, è in Puglia, dallo scorso 11 luglio, con la famiglia, in una località del brindisino e le è stata assegnata una doppia scorta di polizia penitenziaria composta da quattro unità per turno e due mezzi protetti inviati dal Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria di Bari. Lo denuncia in una nota il segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Cosp, Mimmo Mastrulli, sottolineando la carenza di organico che “preoccupa la Puglia”, così come - evidenzia - preoccupano le spese che bisogna sostenere per il “soggiorno della scorta in albergo e ristoro, strutture ristoranti, oltre all’utilizzo del budget per il lavoro straordinario e per il pieno trattamento missione”. Il Cosp chiede “l’apertura di una inchiesta parlamentare e ministeriale”. Sull’uso della scorta c’erano già state alcune polemiche quando Severino era ministro e l’ex guardasigilli aveva tra l’altro spiegato che, una volta terminato il mandato, avrebbe tenuto la scorta solo per tre mesi, e non per un anno, come normalmente previsto per gli ex ministri. Tre mesi che, di fatto, sono ancora in corso, perché il nuovo governo ha giurato il 28 aprile. Sardegna: appello contro la concentrazione dei detenuti in 41-bis nelle carceri dell’isola Agi, 13 luglio 2013 Un appello a tutti i parlamentari sardi è stato rivolto dall’avvocato cagliaritano Annamaria Busia - nel corso di una conferenza stampa convocata a Cagliari davanti alla prigione di Buoncammino - affinché si impegnino a eliminare dal 41 bis il comma che prevede la concentrazione dei detenuti in regime di carcere duro nei penitenziari insulari. “Basta depennare l’ultimo comma - ha spiegato il legale - introdotto nel 2009 senza che ci fosse una reale necessità di ordine pubblico”. Busia, che di recente ha presentato un esposto per denunciare le condizioni di vita dei reclusi a Buoncammino, ha aggiunto: “È stata una scelta politica che andrà a penalizzare la Sardegna. Allora il ministro dell’interno era Roberto Maroni (Lega Nord, ndr) e viene il sospetto che la decisione di concentrare i 41 bis nelle prigioni delle isole sia stata fatta per agevolare le regioni del Nord. Per noi ci sarà un alto rischio di infiltrazioni mafiose”. L’iniziativa dell’avvocato segue la manifestazione di protesta che ha infiammato il carcere qualche giorno fa, dopo la quale alcuni detenuti sono stati trasferiti a Lanusei. Le condizioni di vita a Buoncammino sono da sempre segnate da sovraffollamento e malessere. Martedì sera i detenuti hanno bruciato lenzuola, picchiato sulle finestre e urlato attraverso le sbarre la loro protesta contro condizioni di detenzione considerate disumane. Marche: “trattativa” per un nuovo carcere a Camerino? non in nostro nome, per favore… di Samuele Animali (Antigone Marche) Ristretti Orizzonti, 13 luglio 2013 Sulla costruzione del nuovo carcere a Camerino e l’appello di Spacca al ministro Cancellieri. In un comunicato pubblicato ieri il Presidente della Regione, Gianmario Spacca, ci informa che ha incontrato il Ministro della Giustizia ed ha perorato la causa della costruzione del nuovo carcere di Camerino. Nell’occasione ha detto che la mancata costruzione sarebbe un duro colpo per l’entroterra appenninico, che il nuovo carcere è un’esigenza particolarmente sentita nelle Marche, che il nuovo istituto potrà rappresentare un’occasione importante di lavoro in questo momento di particolare difficoltà, che è opportuno il rafforzamento del personale dell’amministrazione penitenziaria nelle Marche, in particolare di quello della Polizia. Le parole di Spacca riducono il carcere ad un azienda, come se rinchiudere persone e fabbricare elettrodomestici fosse la stessa cosa. E il compito del carcere fosse essenzialmente quello di ingabbiare gente, non importa dove. Il c.d. sovraffollamento dei penitenziari, drammatico, è il sintomo di una malattia del sistema giustizia, rispetto alla quale aprire un nuovo carcere a Camerino (magari mentre si chiude un ospedale o una scuola, e nei carceri esistenti manca persino la carta igienica, oltre che - ben più importanti - gli psicologi, gli educatori e gli stessi direttori) è solo uno spreco di risorse. La cura la conoscono tutti, ma richiede di superare una serie di pregiudizi ideologici, da destra come da sinistra: processi più veloci e amministrazione più efficiente, sanzioni alternative, contenimento dell’impronta del diritto penale sul nostro ordinamento. In tutto ciò le parole del Presidente Spacca suonano come una forma di disprezzo per ciò che il carcere rappresenta e per la dignità delle persone che vi si trovano e vi lavorano. Cagliari: sit-in davanti a. Buoncammino “qui dentro i detenuti stanno marcendo…” L’Unione Sarda, 13 luglio 2013 “A Buoncammino i detenuti stanno marcendo”. La protesta è sostenuta davanti al carcere dall’avvocato Anna Maria Busia e da Maria Grazia Caligaris dell’Associazione socialismo diritti e riforme. “I detenuti di Buoncammino stanno marcendo, ci sono alcune celle al pian terreno che d’inverno sono umide. Un’umidità tale che esce acqua dal pavimento per cui devono dormire con cerate e giacche a vento. Capita spesso che non ci sia acqua calda e riscaldamento e, nel caso di guasti, non ci sono soldi per le riparazioni”. Sono le parole dell’avvocato Annamaria Busia che questa mattina, insieme a Maria Grazia Caligaris dell’Associazione socialismo diritti riforme e alla moglie di un detenuto, ha organizzato un sit-in davanti a Buoncammino per denunciare la situazione difficile del penitenziario, chiedere spiegazioni sulla mancata apertura del carcere di Uta e lanciare un appello ai parlamentari sardi affinché venga modificato l’articolo 41 bis che porterà i detenuti in regime di carcere duro sull’Isola. “Dietro la mancata apertura di Uta c’è qualche cosa di poco chiaro, era stato creato per trasferire i detenuti di Cagliari, ma è tutto fermo - ha sottolineato il legale. Dobbiamo ringraziare il personale di Buoncammino - ha aggiunto -, il direttore e gli agenti che fanno enormi sforzi per tamponare questa situazione. I detenuti non vogliono niente, chiedono solo che venga rispettato il loro diritto di esseri umani, ci sono diverse pronunce in materia da parte della Corte Europea. Io ho presentato l’esposto in Procura - spiega l’avvocato Busia - proprio perché credo che la situazione di Buoncammino sia da portare davanti a Strasburgo”. Su Uta il legale sospetta che “i soldi che erano destinati al carcere siano andati a finire per completare e costruire i bracci speciali che devono contenere i detenuti 41bis”. Proprio su questo fronte l’avvocato chiede l’interessamento dei parlamentarsi sardi: “Lancio un appello a tutti i deputati e senatori eletti nell’Isola, al presidente del Consiglio Letta, perché ci sia una modifica del 41 bis: deve essere cancellato il comma che è stato introdotto nel 2009 e che prevede il trasferimento dei detenuti nelle carceri insulari”. Uta apra al più presto, a Buoncammino si soffoca (Casteddu Online) “Uta deve aprire al più presto, ma soprattutto basta sprecare soldi inutilmente in Sardegna per costruire strutture ad alta sicurezza per ospitare detenuti in regime del 41 bis, la nostra Isola è da sempre bistrattata e non dobbiamo accollarci il peso di responsabilità delle carceri del Nord Italia”. È decisa a non mollare la presa l’avvocato Annamaria Busia, da tempo impegnata sul fronte delle problematiche legate alle condizioni dei carcerati e delle strutture penitenziarie in genere. Questa mattina, davanti al carcere cagliaritano di Buoncammino, la legale cagliaritana, insieme a Maria Grazia Caligaris presidente dell’associazione Socialismo Diritti e Riforme che annuncia alla stampa: “difficilmente il carcere di Uta aprirà entro l’anno, sarà davvero un grande problema”. Assieme a loro, anche Claudia Pisano, compagna di Mattia Deligia, il detenuto trasferito d’urgenza a Lanusei, dopo la clamorosa protesta di martedi sera, inscenata tra le grate delle celle. In quell’occasione, lo ricordiamo, i detenuti avevano anche bruciato gli striscioni con i messaggi di dolore e rabbia per le condizioni disumane cui sono costretti a vivere da anni all’interno del penitenziario. Problemi ormai noti, denunciati in tante occasioni ed ora, ancora più evidenti e sotto la lente della Procura della Repubblica di Cagliari, dopo l’esposto presentato dall’avvocatessa Busia, sebbene non direttamente collegato agli episodi della notte scorsa.Ora sarà il pm Marco Cocco, titolare dell’inchiesta, ad appurare la situazione all’interno di Buoncammino e sui ritardi di apertura della casa circondariale di Uta. Chiederò ai parlamentari sardi - dice Annamaria Busia - la modifica dell’articolo 41 bis, dopo tutto c’è un degrado palese delle carceri dell’isola: in primis il sovraffollamento ma anche gli ambienti malsani. I detenuti a Buoncammino - spiega il legale - stanno letteralmente marcendo nelle celle, alcune sono direttamente a contatto con il terreno, in inverno i carcerati sono costretti a dormire con le giacche a vento e poi - denuncia - non c’è acqua calda né riscaldamento e il carcere va avanti, secondo la Busia, solo per i sacrifici e la buona volontà del personale e di coloro che lavorano ogni giorno”. Perché aver speso una montagna di soldi per le carceri speciali al nord per i detenuti dell’articolo 41 bis e vogliono spenderne altrettanti per trasferirli qui in Sardegna? Ad oggi - accusa Annamaria Busia - nessun politico s’è mosso, tante interrogazioni ma tutto tace. È vergognoso. Anche Maria Grazia Caligaris, punta il dito contro il lassismo di questi anni: “Non solo Uta non ha ancora aperto - dice - ma è un luogo desolatamente maleodorante, difficilmente come preannunciano al Ministero si riuscirà ad aprire entro l’anno ed intanto - continua la Caligaris - i detenuti a Cagliari soffrono e c’è pure l’insostenibile situazione di un organico ridotto all’osso”. La compagna di Mattia Deligia, (il detenuto trasferito appunto a Lanusei) ha gli occhi lucidi. Madre di quattro figli e senza un lavoro, non ha i soldi per pagare il viaggio per andare a trovare il marito, che tra l’altro deve scontare appena 4 mesi per tentato furto. non riesce a pagare il viaggio per andare a trovare il marito, ha chiesto disperatamente che Deligia torni nel carcere di Cagliari, per scontare gli ultimi quattro mesi: “Riportatemelo a Cagliari vi prego - dice disperata - non so come fare”. E intanto lunedì mattina, l’avvocato Annamaria Busia riceverà nel suo studio legale la donna, per cercare di trovare una soluzione alla drammatica vicenda. Catania: il Procuratore Capo, Giovanni Salvi “abbiamo ridato dignità a Piazza Lanza” di Dario De Luca e Laura Distefano www.livesicilia.it, 13 luglio 2013 Sotto la lente di ingrandimento del Procuratore Capo di Catania, Giovanni Salvi, lo stato degli uffici giudiziari, i problemi del personale, le innovazioni del progetto “Quality works for justice” e il miglioramento delle condizioni di detenzione. “Nonostante i problemi organizzativi in termini di risorse umane e materiali abbiamo ottenuto dei risultati positivi per il terzo trimestre consecutivo”. Numeri alla mano il Procuratore Capo di Catania, Giovanni Salvi, illustra nell’ormai consueto appuntamento con la stampa i risultati del lavoro portato avanti dalla Procura etnea. Dati positivi, come quelli riguardanti l’eliminazione del cosiddetto sistema delle “porte girevoli” che permetteva un continuo entrare ed uscire di detenuti in attesa di giudizio, ma anche diversi aspetti critici. “Abbiamo un carico di lavoro maggiore rispetto a Palermo - spiega Salvi - nonostante il nostro organico sia inferiore del 30-40%, il Csm non ha ritenuto di valutare questa acclarata situazione di squilibrio rispetto alle altre Procure del sud e non ha assegnato alcun magistrato ordinario di tribunale di prima nomina”. L’azione della Procura nei primi sei mesi del 2013 viene illustrata con numerosi dati: nell’arco di tempo in questione sono state eseguite nel complesso 553 misure cautelari personali in carcere di cui 239 relative ad indagini della Direzione Distrettuale Antimafia. “Nel complesso - ha sottolineato il Procuratore - vanno segnalate per la particolare rilevanza, quelle relative a violenze in danno alle donne per contrastare gli allarmanti fenomeni di stalking e femminicidio”. Il progetto delle direttissime attuato in sinergia con il Tribunale per eliminare il sistema che consentiva uno spropositato ingresso di detenuti per meno di cinque giorni nella casa circondariale, definito “porte girevoli”, nel primo semestre del 2013 ha consentito una sensibile riduzione degli ingressi, rispetto il periodo precedente l’inizio del progetto. Si è così passati dal 42,3% del 2011 al 21% attuale. Numeri ma anche ammodernamento di uffici e sistemi di gestione delle pratiche tramite la piena efficienza del sistema dello sportello informatico che consente la prenotazione o il rilascio di attestazioni e informazioni. Ad illustrare le nuove applicazioni del progetto “Quality works for justice” gli ingegneri dell’Aspi, azienda che si occupa di consulenza organizzativa gestionale. “È completamente funzionante - spiega l’ingegnere Arcifa - il servizio di rilascio copia online della documentazione relativa ai nulla osta incidenti stradali ed ex art. 335”. Nuove metodologie al servizio di avvocati e cittadini che consentono di abbassare in maniera significativa il trasferimento di materiale cartaceo tra i vari uffici oltre a diminuire sensibilmente le code. Le condizioni di detenzione. Dopo l’inaugurazione del reparto detentivo all’interno dell’ospedale Cannizzaro, alla presenza del Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, sono stati consegnati i lavori di ristrutturazione del reparto “Nicito” del carcere di piazza Lanza. “L’area - spiega Salvi - è stata sostituita con un reparto provvisorio con celle a norma di ottimo livello. Su questo carcere - prosegue il Procuratore Capo - bisogna investire fino all’ultimo momento affinché Piazza Lanza sia un carcere degno di un Paese civile”. I problemi del carcere catanese sono da anni al centro di numerose denunce. Nell’ultimo report dell’Associazione “Antigone” veniva indicato un tasso di affollamento del 341% oltre alle precarie condizioni delle singole celle dove, spesso a convivere ci sono fino a 10 detenuti al di sotto dei 3 mq a persona, limite inferiore a quello che la Corte Europea dei diritti dell’uomo identifica come tortura. Agrigento: suicida poliziotto penitenziario; terzo caso in un mese, secondo nella settimana Ristretti Orizzonti, 13 luglio 2013 È il secondo caso in meno di una settimana ed il terzo in un mese: ancora un suicidio tra le file della Polizia Penitenziaria. “Dopo i drammatici casi di Marcellina del 7 luglio e Roma del 19 giugno, è ora Raffadali la località nella quale un Assistente del Corpo in servizio al carcere di Agrigento, A.A. 43 anni, ha deciso togliersi la vita sparandosi nel garage di casa con l’arma di ordinanza”, dice uno sgomento e sconcertato Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. “Siamo vicini ai familiari, agli amici, ai colleghi. Ma tre casi di poliziotti penitenziari suicidi in un mese mi sembrano davvero una enormità: e questo è il sesto caso, nel 2013. E, dal 2000 ad oggi, sono stati circa 100 i dipendenti dell’Amministrazione Penitenziaria (poliziotti, direttori, provveditori) che si sono tolti la vita. È un fenomeno preoccupante e va fatto qualcosa. In Italia non esistono ricerche in questo ambito, forse sono ancora molto forti i tabù culturali che ostacolano l’analisi del problema, tanto che ancora oggi è difficile quantificare il numero dei suicidi e dei tentati suicidi tra gli appartenenti a tutte le forze di polizia e compararne i dati con la popolazione di riferimento. Benché verosimilmente indotti dalle ragioni più varie e comunque strettamente personali, va detto che l’Amministrazione Penitenziaria sembra trascurare colpevolmente questo grave problema. A livello internazionale sono numerose le ricerche, per lo più anglosassoni, sul fenomeno dei suicidi dei poliziotti, che hanno dimostrato in alcuni casi una correlazione con lo stress lavorativo.” Savona: il ministro Cancellieri presto in città per visitare il carcere di Sant’Agostino La Stampa, 13 luglio 2013 Il problema del carcere di Savona potrebbe avere finalmente imboccato la strada della soluzione definitiva. Questa è la speranza, almeno stando agli esiti del vertice che si è svolto in settimana a Roma tra l’assessore alle Politiche sociali della Regione Liguria, Lorena Rambaudi e il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri. “L’incontro - ha spiegato l’assessore regionale - è servito a riportare la questione-carceri, da anni in condizioni insostenibili, nell’agenda regionale e ministeriale per far decollare finalmente una proposta alternativa all’ex convento di Sant’Agostino”. Una questione che si trascina ormai da decenni, tra soluzioni ipotizzate e poi scartate, come quella del progetto in località Passeggi, prima approvato e poi messo in discussione a causa dell’eccessivo costo dell’opera, con il conseguente stop alla gara di appalto. Il progetto è rimasto bloccato anche per la mancanza di soluzioni alternative da parte del Comune di Savona. In seguito due Comuni della Val Bormida, Cairo Montenotte e Cengio, avevano manifestato la disponibilità a costruire il carcere nel proprio territorio, individuando aree idonee. Nel corso dell’ultima seduta della giunta regionale l’assessore regionale alle Politiche sociali aveva riproposto il problema del carcere di Savona. “È stato un incontro molto positivo - ha spiegato l’assessore Rambaudi - e il ministro ha ben presente la situazione di Savona e di Marassi, che aveva già affrontato con il presidente Burlando”. Dopo l’incontro romano, l’agenda dei lavori prevede ora un appuntamento a Savona: “Il ministro si è impegnato a programmare in tempi ragionevoli un sopralluogo del Commissario straordinario Piano carceri, il prefetto della Repubblica Angelo Sinesio nel territorio”, ha concluso l’assessore regionale Rambaudi. Firenze: Garante regionale dei detenuti della Toscana, lunedì presentazione attività 2012 www.nove.firenze.it, 13 luglio 2013 Presentazione dell’attività svolta durante il 2012 dal Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. L’appuntamento è per lunedì prossimo, 15 luglio, a partire dalle ore 9.30 nella sala degli Affreschi in palazzo Panciatichi, in via Cavour 4. Interverranno Roberto Bocchieri, responsabile Cabina di regia regionale per il coordinamento delle politiche in ambito carcerario della Regione Toscana; Carmelo Cantone, provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria toscana; Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze; Antonietta Fiorillo, presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze; Michele Passione dell’Osservatorio carcere dell’Unione delle camere penali italiane. Nella relazione il Garante Alessandro Margara fotografa la situazione carceraria e i problemi che affliggono la sua popolazione, derivanti in primo luogo dal sovraffollamento. Molte le questioni segnalate: lo scarso utilizzo di misure alternative, la pesante riduzione delle risorse economiche, che compromettono il recupero ed il reinserimento sociale dei detenuti, la necessità di un’applicazione estesa delle misure alternative, dal lavoro esterno alla semilibertà, per i tossicodipendenti. Nel 2012 l’Ars ha condotto la seconda edizione (dopo quella del 2009) dell’indagine sullo stato di salute dei detenuti, insieme ai responsabili dei 20 Presidi sanitari penitenziari toscani. Il 71,8% dei detenuti nelle carceri toscane è affetto da almeno una patologia. La più diffusa è il disturbo mentale, che interessa il 41% degli internati. Dato allarmante se rapportato alla popolazione generale, dove la percentuale scende all’11,6% (Studio Esemed). L’importanza del disturbo mentale nella valutazione dello stato di salute in carcere è confermato dal numero di suicidi, una delle principali cause di morte. Secondo i dati forniti dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, nel 2012 in Italia sono 56 i decessi per suicidio su un totale di 153 morti (36,6%). Secondo i dati dell’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, questo valore tende a mantenersi stabile a giugno 2013, dove si registrano al mese di giugno 24 decessi su un totale di 82 morti (29,2%). Il tentato suicidio dei detenuti raggiunge una percentuale dell’1,9% in Italia e dell’1,3% in Toscana, superiore di ben 300 volte a quanto osservato nella popolazione generale. Lucera (Fg): l’Ass. “Lavori in corso” a supporto dei detenuti, convenzione con l’Uepe www.luceraweb.eu, 13 luglio 2013 Dopo un lavoro già consolidato e svolto da anni, per l’Associazione Lavori in corso di Lucera c’è un riconoscimento istituzionale, con la firma della convenzione con l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna, ovvero l’organismo periferico dell’Amministrazione Penitenziaria che si occupa dei trattamenti educativi dei detenuti con condanna definitiva, finalizzati al loro reinserimento nella società. Gli strumenti a cui si ricorre spesso sono semilibertà, detenzione domiciliare, affidamento in prova al servizio sociale, in collaborazione con gli istituti penitenziari e i tribunali di sorveglianza. Il sodalizio opera da tempo e con diversi progetti nella casa circondariale diretta da Davide Di Florio che in questi anni ha favorito e insistito su percorsi di assistenza ai reclusi, e l’accordo sottoscritto si basa proprio su questi obiettivi, con una particolare attenzione alla dimensione della riparazione del danno. “Interventi di osservazione e trattamento in ambiente esterno per l’applicazione e l’esecuzione delle misure alternative”, è in particolare la mission affidata da Angela Intini, direttrice dell’Ufficio di Foggia che ha sede al centro commerciale Mongolfiera. “Questo passaggio rappresenta sicuramente un’importante tappa per l’intero gruppo dei volontari - ha commentato il presidente dell’Associazione - che da anni lavorano con impegno e costanza nella Casa Circondariale di Lucera con progetti di sport, socialità, letteratura e arte in generale”. Oristano: l’Associazione Antigone visita il carcere, dove sono ospitati circa 200 detenuti La Nuova Sardegna, 13 luglio 2013 Hanno fatto tappa anche nel nuovo carcere di Massama i volontari dell’Associazione nazionale Antigone nell’ambito dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione delle carceri in Italia. L’iniziativa vede impegnati in tutto il paese 30 volontari dell’associazione autorizzati dal ministero della Giustizia con l’obiettivo primario di evidenziare le criticità degli istituti di pena. Le due rappresentanti di Antigone sono arrivate ieri mattina a Massama e sono state ricevute dal direttore della Casa Circondariale Pierluigi Farci. Le volontarie, accompagnate da un ispettore degli agenti di polizia penitenziaria hanno potuto visitare tutta la struttura carceraria, compresa la mensa e alcune delle celle, e parlato con alcuni detenuti. Attualmente nel nuovo carcere di Massama sono ospitati circa 200 detenuti. Nei prossimi giorni l’Associazione Antigone renderà noto l’esito della visita effettuata. Vercelli: Sappe; detenuto marocchino tenta di strangolare agente di Polizia penitenziaria Adnkronos, 13 luglio 2013 Un agente di Polizia Penitenziaria è stato aggredito, ieri pomeriggio, nel carcere di Vercelli, da un detenuto marocchino di circa 50 anni che poco prima, dopo aver tentato di aggredire un altro detenuto suo connazionale, era stato accompagnato in cella dallo stesso poliziotto. Quando l’agente ha aperto la cella per fare entrare un altro detenuto, il marocchino lo ha aggredito stringendogli forte le mani al collo e procurandogli un forte trauma. “Di fronte a questa ingiustificata violenza - scrive in una nota Donato Capece, segretario generale del Sappe - servono risposte forti, come quella di espellere tutti gli stranieri detenuti in Italia, oltre 23.200 sui 66mila presenti, per far scontare loro la pena nelle carceri dei loro Paesi”. Nel carcere di Vercelli, spiega Capece, lavorano oltre 60 agenti in meno rispetto all’organico previsto, “e il costante sovraffollamento della struttura (erano 349 i detenuti presenti il 30 giugno scorso, il 50% dei quali stranieri, rispetto ai 220 posti letto regolamentari) sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi”. “L’auspicio - conclude Capece - è che la classe politica ed istituzionale del Paese faccia proprie le importanti e pesanti parole dette dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulle nostre carceri terribilmente sovraffollate e si dia dunque da fare, concretamente e urgentemente, per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ripensi organicamente il carcere e l’istituzione penitenziaria, che preveda circuiti penitenziari differenziati a seconda del tipo di reato commesso e un maggiore ricorso alle misure alternative per quei reati di minor allarme sociale, oltre alla non più rinviabile espulsione dei detenuti stranieri condannati per fare scontare loro la pena nelle prigioni del Paese di provenienza”. Bollate: una partita speciale… al reparto femminile storica sfida di pallavolo con le agenti di Mirela Popovici (Capitano squadra “Le Tigri di Bollate”) Ristretti Orizzonti, 13 luglio 2013 Venerdì 28 giugno l’area passeggi del reparto femminile nel carcere di Bollate, è stata teatro di una storica partita di pallavolo. Per la prima volta si sono sfidate la squadra di detenute e delle agenti della Polizia Penitenziaria, evento finora unico ma che si spera si possa ripetere in futuro. Noi ragazze della squadra delle “Tigri di Bollate” stiamo da tempo preparandoci per la nuova edizione della “Partita del Cuore” che si svolgerà in Istituto contro la squadra federata della “Freccia Azzurra” di Gaggiano nel mese di settembre, manifestazione che ormai si ripete da due anni. Il nostro percorso di preparazione con le allenatrici volontarie dura ormai da due mesi e coinvolge una decina di compagne atlete più lo staff e, novità di quest’anno le coreografiche cheerleaders e un corpo di ballo di Hip-Hop maschile. Torniamo alla partita, per noi è stata una vera sorpresa sfidare le agenti perché è stata preparata a nostra insaputa; credevamo di giocare con una squadra esterna ma quando abbiamo visto avvicinarsi al campo le agenti del nostro reparto senza divisa ma in tenuta sportiva abbiamo capito quello che stava accadendo. Stupore per la bella iniziativa, si è subito creato un clima gioioso senza ruoli istituzionali, soltanto un gruppo di ragazze pressoché coetanee che si accingevano a giocare e passare un pomeriggio diverso. Dal punto di vista sportivo le agenti ci hanno surclassato dimostrando un maggior affiatamento e sicuramente una migliore preparazione ma noi ci stiamo allenando per diventare più brave tecnicamente. La partita, è per noi stata un momento molto importante perché nel corso della gara abbiamo giocato anche a squadre miste, quale migliore occasione per conoscerci in un’ottica diversa da quella della nostra monotona quotidianità. Caloroso il sostegno della numerosa tifoseria sia in campo sia dalle finestre, altrettanto per le agenti data la presenza di alcuni poliziotti del maschile e, con grande stupore, abbiamo ricevuto la visita del Direttore dott. Parisi e del Comandante Giacco visibilmente compiaciuti dell’iniziativa. Speriamo tanto che si ripetano iniziative di questo genere che aiutano a distendere gli animi e contribuiscono a mantenere un clima sereno, ma la prossima volta scenderemo in campo più agguerrite con l’intenzione di vincere. Bari: marcia nuziale e rose bianche per detenuti sposi di Isabella Maselli Ansa, 13 luglio 2013 La marcia nuziale suonata al violino, riso sulla sposa dopo la promessa di amore eterno, un bouquet di rose bianche e cuori in creta come bomboniera. “L’amore vince tutto” c’è scritto sul cuore, realizzato dalle detenute del carcere di Bari in occasione del matrimonio della loro compagna di cella. Anna Bianco, 42 anni, originaria di Monteforte Irpino, in Campania, ha sposato oggi Felice Guida, 36 anni, di Altamura. Entrambi sono detenuti nel carcere di Bari dall’agosto 2011 per rapina e lesioni e condannati in primo grado a 4 anni di reclusione. “Che sia l’inizio di un cambiamento nella vostra vita”, ha augurato agli sposi il direttore del carcere di Bari, Lidia De Leonardis. La cerimonia, con rito civile, - la prima nel carcere di Bari - è stata celebrata nella sala dove di solito si tengono le udienze di convalida degli arresti. Oggi allestita con fiori bianchi in onore di Anna e Felice. Lei in abito lungo color crema e bouquet di rose bianche donato dal suo avvocato difensore e testimone, Filippo Castellaneta. Lui in camicia bianca e gilet nero, elegante, accompagnato da mamma e zia. E dopo la promessa di amore eterno i due sposi hanno lasciato la sala accolti da una pioggia di riso, lanciato da una detenuta straniera, e dalla marcia nuziale suonata al violino da una musicista 20enne del Conservatorio di Bari, Alessia Laurora. Nella sala lavorazioni della sezione femminile del carcere la direzione ha allestito un buffet con sandwich farciti, dolci e la classica torta nuziale. Durante tutta la cerimonia e i successivi festeggiamenti “la nonna”, come le detenute chiamano l’anziana donna che Anna da tempo accudisce nel penitenziario barese, ha pianto di gioia. Commossi anche gli sposi, circondati da una sessantina di persone, tra detenute, volontari e agenti di polizia penitenziaria. E come in ogni matrimonio che si rispetti, il primo celebrato tra due detenuti nel carcere di Bari, non poteva mancare la bomboniera ricordo. Un cuore bianco in creta, confezionato con un nastrino, un fiore verde e una scritta rossa. Sul retro le loro iniziali. Le norme italiane non concedono ai detenuti “il diritto all’affettività e alla sessualità”, ma da oggi i due sposi potranno avere un incontro a settimana, e non più uno al mese come prima, quando aspettavano la messa della domenica per incrociare i loro sguardi, seduti ai lati opposti della sala del carcere di Bari dove si celebra la funzione religiosa. La loro vita matrimoniale comincia in un carcere ma Anna aveva già avanzato richiesta al Comune di Altamura per ottenere un alloggio popolare dove poter costruire, un giorno, una famiglia con il suo Felice. Immigrazione: la Garante Desi Bruno; al Cie di Modena reclusi con disagio psichico grave Ristretti Orizzonti, 13 luglio 2013 Dopo la sua visita di ieri mattina al Centro di identificazione ed espulsione di Modena, la Garante regionale delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, non può che definirsi “impressionata dalla presenza di un disagio psichico così grave” tra alcuni dei trattenuti nella struttura, “dove al momento non è presente un servizio psichiatrico interno”, e auspica quindi “un intervento dei Servizi territoriali esterni per garantire il diritto alla salute”. Bruno cita in particolare due trattenuti, su un totale di 39 persone ospitate al momento nel Cie, per cui sono già partite le segnalazioni ai Centri di salute mentale competenti. La prima problematica riguarda un ragazzo di soli 21 anni, “pluri-tossicodipendente”, come riporta l’ambulatorio della struttura, che “malgrado la terapia di disassuefazione” presenta “atteggiamenti di irrequietezza provocando risse e creando gravi disagi negli altri ospiti”: per lui “la richiesta di un Trattamento sanitario obbligatorio” è stata solo “scongiurata” ricorrendo a “una terapia antipsicotica”, ma permane il giudizio da parte degli stessi operatori che “per il ragazzo non sia adeguato un trattamento prolungato nel centro”. Nel secondo caso, invece, un ragazzo di 29 anni “si è rinchiuso in se stesso rifiutando qualsiasi colloquio con il medico, la psicologa, il mediatore”, “non utilizza il bonus che giornalmente gli viene assegnato” e “non socializza, rimane muto, isolato, non si nutre adeguatamente, non accudisce a se stesso”: secondo il personale della struttura, chiari sintomi di “uno stato depressivo” che il “Cie aggrava”. La Garante riporta anche un’altra situazione limite all’interno del Cie di Modena: al momento risulta recluso un uomo kosovaro da sei anni in Italia, regolarmente occupato e in attesa del rinnovo di permesso di soggiorno, trasferito al Cie dopo un controllo durante una trasferta da Bergamo, città dove risiede, per conto dell’azienda per cui lavora, e il cui ricorso sarà esaminato dal giudice competente solo il 16 luglio, nonostante l’uomo sia costretto nella struttura dal primo di giugno. “È solo uno dei tanti esempi che rendono sempre più urgente la costituzione di uno sportello informativo all’interno del Cie”, commenta Bruno. Permangono poi all’interno del Centro numerose difficoltà legate a problematiche di budget che incidono sulle condizioni di vita dei trattenuti, segnala Bruno. I dipendenti avevano annunciato uno sciopero a partire dallo scorso martedì, ma, per venire incontro alle esigenze di assistenza di molti reclusi durante il periodo del Ramadan, è stato deciso di rimandare la protesta al 22 luglio. Oasi, il consorzio incaricato della gestione del Cie, che ha annunciato anche di aver appena vinto il bando per l’analoga struttura di Milano, a poco più di un mese della revoca da parte del prefetto di Bologna dell’incarico per la gestione del Centro del capoluogo emiliano, attribuisce questo ai ritardi nell’erogazione dei fondi previsti da parte del ministero competente, oltre a segnalare che il mancato riempimento della struttura causa loro notevoli problemi di finanziamento. India: Meloni (Fdi) sul “caso marò”; è nostro diritto giudicarli in Italia Il Velino, 13 luglio 2013 “Non interessa a nessuno se i marò sono in prigione oppure sono all’ambasciata o in una casa privata; se mangiano italiano o indiano. Latorre e Girone sono detenuti in India da dove non si possono muovere, in piena violazione del diritto internazionale. La domanda che tutti gli italiani continuano a farsi è perché non facciamo valere le nostre ragioni e non cerchiamo di battere i pugni sul tavolo per rivendicare quello che è un nostro diritto: giudicare i nostri militari in territorio italiano”. È quanto ha risposto il presidente dei deputati di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, a Staffan De Mistura, inviato del governo per il caso Marò, nel corso di un confronto su Tgcom24. Fratelli d’Italia non poteva essere d’accordo “Con la risposta che ha fornito il presidente del Consiglio Letta nel corso del question time, che è arrivato in Aula facendo un po’ Alice nel Paese delle Meraviglie. Non ci interessa sapere quanto dura il procedimento in India: quel procedimento non può svolgersi lì secondo le regole di diritto internazionale. Avremmo dovuto far valere questo principio 17 mesi fa, come avrebbe fatto qualunque Nazione degna di questo nome, invece abbiamo atteso, subendo ogni genere di sopruso da parte dell’India. Ho chiesto a Enrico Letta e chiedo ancora oggi all’Italia intera che cos’altro dobbiamo sopportare per vedere un minimo sussulto di dignità. E se il polso che tiene gli armamenti delle nostre Forze Armate è così debole è inutile spendere miliardi per gli F35. Equivale a mettere una potentissima armatura a Scooby Doo”, ha spiegato Meloni. Gran Bretagna: Journal of Psychiatric Research; yoga riduce aggressività tra detenuti Agi, 13 luglio 2013 Promuovere sessioni di yoga in carcere è una proposta che dovrebbe essere presa in considerazione dalle istituzioni, secondo una nuova ricerca dell’Università di Oxford che ha dimostrato che la pratica esercita un impatto positivo sul benessere psicologico e fisico dei detenuti. Dall’indagine britannica è emerso che lo yoga riesce a migliorare l’umore e l’equilibrio mentale di chi sconta una pena negli spazi claustrofobici dei penitenziari. La disciplina pare riesca a ridurre anche la propensione ai comportamenti impulsivi. Una sorta di effetto “sedativo” dell’aggressività e della tendenza alla violenza dei detenuti che si può rilevare già dopo un corso di yoga della durata di dieci settimane con evidente riduzione dello stress, incremento della serenità e dell’autocontrollo e miglioramento della capacità di concentrazione. Lo studio è stato promosso tra i detenuti dei penitenziari britannici dalla Prison Phoenix Trust ed è stato descritto sul Journal of Psychiatric Research. Usa: in California la più grande rivolta della storia 30mila detenuti in sciopero della fame di Federico Rampini La Repubblica, 13 luglio 2013 Ha la fama, in larga parte meritata, di essere uno stato progressista. Eppure la California ha uno dei sistemi penali più severi d’America: “Three strikes you’re out”, la regola per cui tre reati possono valere quasi automaticamente l’ergastolo. È anche uno Stato che privatizza e delocalizza gran parte del suo sistema carcerario: anche l’attuale governatore, il democratico Jerry Brown, ha rinnovato un accordo per mandare ottomila detenuti presso prigioni private gestite in altri Stati. Ora i detenuti della California non ne possono più, e da quattro giorni 30.000 fra loro sono in sciopero della fame. È la più massiccia protesta nella storia dei penitenziari americani. Molti carcerati incrociano le braccia rifiutandosi anche di lavorare: soprattutto negli istituti privati, ma non solo, quella carceraria è una manodopera ad alto sfruttamento. La protesta dilaga in molte delle 33 prigioni californiane e si estende anche ad alcuni istituti penitenziari privati che si trovano in altri Stati Usa ma accolgono i condannati della California. All’origine di questo movimento, c’è l’uso massiccio delle celle di isolamento. Circa 10.000 prigionieri sono sottoposti al regime più duro, a tempo indefinito: in celle solitarie, senza l’ora d’aria né la possibilità di usare il telefono. Il regime dell’isolamento è usato molto versoi membri di gang. Ma la California è inadempiente di fronte alla Corte suprema, che due anni fa condannò i suoi sistemi penitenziari, ravvisandovi “condizioni disumane” in violazione dell’Ottavo Emendamento della costituzione. I giudici della Corte suprema nel 2011 diedero anche un ultimatum alla California perché riduca di 10.000 detenuti la sua popolazione carceraria. Dopo essere andato al governo, Brown ha liberato anticipatamente i detenuti per reati minori, e tuttavia resta ben lontano dall’obiettivo di affollamento che gli era stato fissato dai giudici costituzionali. Nel frattempo un altro tribunale, federale, ha accusato la California di esporre i carcerati a gravi rischi sanitari: le condizioni di sovraffollamento stanno contribuendo a un’epidemia di febbri micidiali. La protesta ha avuto inizio nel carcere di massima sicurezza di Pelican Bay già alcuni mesi fa. Quando la protesta è diventata massiccia, i detenuti hanno deciso di sovrapporla al Ramadan: questo rende più difficile per le autorità distinguere chi digiuna per motivi religiosi, e quindi adottare ritorsioni contro chi protesta. I leader della protesta hanno fatto sapere, attraverso i propri legali, che stanno preparandosi a subire reazioni pesanti: le guardie avrebbero già annunciato perquisizioni delle celle, fino all’uso ulteriore dell’isolamento come castigo, com’è già accaduto in passato di fronte agli scioperi della fame. Deborah Hoffman, portavoce del “California Department of Corrections and Rehabilitation”, ha descritto quelle punizioni come “parte della nostra politica normale”.