Giustizia: animali domestici detenuti vs persone detenute, 3 a 1 di Cataldi Carmelo www.diritto.it, 5 giugno 2013 Non è il risultato di un incontro di calcio o di una partita di basket tra detenuti e animali domestici, ma sono gli elementi algebrici di una equazione svantaggiosa a danno delle persone recluse, nel caso di specie, presso l’istituto penitenziario di Piacenza ma anche in generale di molti altri istituti di detenzione italiani. Aldilà della nota umoristica quello che si è avuto modo di rilevare, a seguito della decisione della Cedu (Grande Chambre) del 27 maggio di quest’anno in relazione alla Legge Regionale Emilia Romagna del 29 marzo 2013 n. 3, ha dell’eclatante ed è degno di essere raccontato nelle sue componenti soggettive per essere pienamente compreso nella sua paradossalità normativa. La prima parte della questione interessa il ricorso presentato dall’ex Ministro di Giustizia Paola Severino presso la Grande Chambre della Cedu di Strasburgo avverso alla sentenza dell’08.01.2013 della Corte (Affaire Torreggiani et autres c. Italie) che condannava l’Italia per violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo perché riteneva che lo spazio di una cella di 9 mq. e diviso in tre detenuti, per uno spazio vitale di 3 mq. cadauno, presso l’istituto penitenziario di Piacenza, integrasse la fattispecie di una pena o trattamento inumano e degradante. L’aver fatto opposizione da parte del Ministero a quella sentenza indica che detto dicastero indirettamente riconosce che attribuire solo 3 mq. di spazio vivibile per persona, all’interno di una struttura carceraria, siano quantità invece consona alla dignità umana, sufficiente alla salute di un detenuto e non lede alcun principio e diritto umano sancito da più Convenzioni internazionali ed anche europee. Di parere contrario invece è stata la Grande Chambre che il 27 di questo mese, nel rigettare il predetto ricorso, ha confermato la sentenza di 1° grado dichiarando definitivamente accertata la violazione dei diritti dell’uomo e in particolare di quelli previsti all’art. 3 della Cedu. Non entrando nel merito della questione, è giusto però sottolineare la gravità della situazione carceraria italiana, quasi esplosiva e paragonabile soltanto a quella già vista negli anni 70, come indicata dalla Corte attraverso le sollecitazioni poste all’interno della prima sentenza secondo cui, entro un anno, l’Italia deve porre fine a questo increscioso vulnus ai diritti umani dei detenuti, che pregiudica la stessa sua presenza all’interno dei consessi civili europei, così come era stato paventato dalla stessa Corte, prima dell’ingresso nell’ordinamento italiano della Legge Pinto sull’equa riparazione ai ritardi processuali. La seconda parte dell’equazione riguarda la modifica della Legge Regionale n. 5 del 17 febbraio 2005 della Regione Emilia Romagna, avvenuta con Legge Regionale 29 marzo 2013, n. 3, regione la cui giurisdizione ricomprende anche la città di Piacenza, in cui sono detenuti, ed ecco il paradosso riferito soprattutto ai luoghi, alcuni dei ricorrenti vittoriosi presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. In questa legge regionale, all’art. 3, sono disciplinate in maniera dettagliate tutte quelle responsabilità e doveri generali attribuiti al detentore di animali domestici, affinché gli stessi non subiscono trattamenti diremmo paradossalmente “inumani” e contrari alla disciplina prevista dalle norme nazionali, dell’Unione Europea e della convenzione di Washington, ratificata dall’Italia con la Legge 19 dicembre 1975, n. 874 ed entrata in vigore il 31 dicembre 1979, convenzione specifica sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione. Al comma 2 lett. f bis la medesima legge rinvia ad altre disposizioni e cioè quelle relative all’adozione dei requisiti minimi per il ricovero ordinari nei canili e gattili degli animali considerati ormai domestici, quelle che sono le modalità tecniche di attuazione del dispositivo normativo1”. Da ciò ne discende che un cane custodito in giardino, in Emilia Romagna, deve avere uno spazio di 9 mq. per il box e una cuccia di almeno 3 mq., mentre deve essergli messa a disposizione un’area di 150 mq. per la così detta sgambatura. Nell’eventualità che il detentore dell’animale o il custode nel caso del canile o gattile, violi dette disposizioni l’art. 14 della medesima legge prevede che il contravventore sia punito con una sanzione da un minimo di 150,00 a un massimo di 450,00 Euro. Quello che maggiormente sottolinea ed evidenzia, ma che di contro preoccupa ogni persona di buon senso, a causa del divario enorme oggettivamente creato per legge tra persone e animali, l’attenzione maggiore posta del legislatore per la corretta custodia e dunque la salute dell’animale domestico, è il termine perentorio di sei mesi previsto per obbligare il cittadino, ma anche gli enti preposti alla custodia degli animali, ad adeguare gli spazi riservati a quest’ultimi, ai sensi dell’art. 82”/> della legge regionale 29 marzo 2013 n. 3. Da tutto ciò appare del tutto evidente e oltremodo allarmante, la considerazione, ovvero la scarsa attenzione, posta dal legislatore nel legiferare anche correttivamente verso le condizioni dell’uomo detenuto rispetto all’animale custodito, ma soprattutto nel non voler riconoscere e rispondere adeguatamente ad errori che quotidianamente, nell’applicazione della norma e prima ancora nella stesura e approvazione della stessa, si concretizzano. Non è accettabile che, oggi, in uno stato di diritto e soprattutto in una nazione che si proclama culla stessa del diritto, l’uomo, già posto dalla natura stessa all’apice della scala evolutiva animale, sia figurativamente, ma anche effettivamente, retrocesso nell’attribuzione legislativa di garanzie soggettive, ad un livello inferiore rispetto al cane o al gatto e sia possibile, per legge, ammettere che un animale domestico possa avere più spazio vivibile (nel caso de quo il triplo in più per il luogo della custodia, mentre non è possibile effettuare alcuna equazione per il luogo adibito alla “sgambatura”) rispetto all’uomo! Giustizia: Cancellieri; situazione delle carceri delicata, dobbiamo dare risposte all’Europa Ansa, 5 giugno 2013 Quella delle carceri “è una situazione chiaramente delicata, anche perché dobbiamo dare risposte all’Europa”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, parlando con i giornalisti al termine della visita all’Istituto penale minorile di Roma di Casal del Marmo. Il ministro parlando della struttura, ha sottolineato che “abbiamo delle eccellenze che possono essere di riferimento per tutto il sistema penitenziario”. “Ora stiamo lavorando con tutti gli strumenti a disposizione per migliorare l’edilizia carceraria e aumentare la disponibilità di posti”, inoltre sull’utilizzo di misure alternative “c’è un provvedimento su cui il Parlamento sta lavorando”. Occorre, ha aggiunto in riferimento a questo, “porre in essere altri strumenti per rendere più possibile e lecito il ricorso a pene alternative. Ci sono tanti strumenti a disposizione, stiamo lavorando”. Infatti, ha spiegato il ministro, un gruppo di lavoro del Ministero sta valutando l’opportunità di presentare un emendamento al ddl Severino approvato alla Camera alla fine della scorsa legislatura e che è attualmente in discussione. Entro fine anno 4.000 nuovi posti “Nell’anno 2012 sono stati consegnati 750 nuovi posti e avviate gare d’appalto per il completamento di numerosi nuovi padiglioni, che consentiranno di consegnare all’amministrazione ulteriori 4.022 posti detentivi entro la fine dell’anno”. Ad annunciarlo è il Guardasigilli, Annamaria Cancellieri, parlando dell’edilizia carceraria alla commissione giustizia di Montecitorio. Ampliare custodia attenuata Rafforzare lo strumento della custodia attenuata, “prima misura di impatto immediato” per il sistema carcere. È l’intento espresso davanti alla commissione giustizia della Camera dal Guardasigilli Annamaria Cancellieri: tale regime oggi riguarda oltre cinquemila detenuti e l’esempio più importante di applicazione di questo strumento è rappresentato dal carcere di Milano Bollate, dove i risultati “sono umanamente considerati eccellenti - rileva il ministro - si assiste a un calo verticale degli episodi di autolesionismo di aggressività e indisciplina e non si sono più registrati suicidi”. Dunque, sottolinea il ministro, “continueremo ad implementare gli istituti presso cui un numero sempre maggiore di detenuti potrà beneficiare di tale regime”. Più sgravi per le aziende se assumono detenuti Più sgravi contributivi per le aziende che assumono detenuti. Lo ha annunciato il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri in audizione alla Camera. “Si prevedono, per l’anno 2013 - ha detto il ministro - sgravi contributivi sia per il datore di lavoro che per il lavoratore nella misura del 100% (superiore alla percentuale dell’80% prevista per gli anni precedenti) e il riconoscimento di un credito di imposta, per il medesimo anno, di 516 euro”. Su messa alla prova trovare punto equilibrio La messa alla prova “è uno strumento utile” ma per la sua applicazione è necessario trovare un punto di equilibrio che metta insieme le esigenze di riabilitazione dei detenuti e quelle della società che chiede sicurezza. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, al termine dell’audizione in commissione alla Camera. Giustizia: Comi (Pdl); bene Cancellieri, un detenuto su due in galera da innocente Agenparl, 5 giugno 2013 “Fa bene il ministro della Giustizia Cancellieri a ricordare che la situazione delle carceri ‘è chiaramente delicata, anche perché dobbiamo dare risposte all’Europa”. Il governo non dimentichi la riforma del sistema penitenziario e della giustizia penale. Il recente rigetto della Grande Camera della Corte Europea di Strasburgo di richiesta di nuovo esame sul caso Torreggiani e altri spinge il nostro Paese a risolvere il problema. Due dati allarmanti lo impongono: il tasso di sovraffollamento carcerario pari al 148% (dato del 2012) e il 40% circa dei detenuti che è in attesa di giudizio, questo vuol dire che quasi uno su due si trova in galera da innocente. La soluzione non può essere quella di costruire nuove carceri, ma è necessario predisporre subito un’efficace riforma della giustizia penale, nella direzione della semplificazione”. Lo afferma Lara Comi eurodeputato del Pdl. “Io concordo con le linee guida indicate dal giudice europeo ? sottolinea Comi ? che suggerisce l’individuazione di procedure semplificate e alternative, nei casi appropriati, all’uso della carcerazione preventiva. Tra queste, per esempio. l’obbligo per l’indagato di risiedere a un indirizzo specificato, il divieto di lasciare o raggiungere un luogo senza autorizzazione, la scarcerazione su cauzione. La scelta della Corte di adottare una sentenza pilota implica due conseguenze importanti: non si decide più caso per caso, ma si riconosce un problema strutturale e un malfunzionamento sistematico del nostro sistema penitenziario; inoltre, la Corte non accetterà d’ora innanzi tutti i ricorsi presentati da individui che lamenteranno la stessa violazione nel nostro Paese. L’Italia avrà così un anno di tempo per individuare un sistema di misure interne per indennizzare coloro che si troveranno in situazioni analoghe, ma è evidente che non possiamo permetterci di pagare tutti i risarcimenti dei danni ai detenuti che lamenteranno simili problematiche”. “Prossimamente, come europarlamentare - aggiunge Comi - tornerò al carcere di Busto Arsizio che ho già visitato lo scorso gennaio, una struttura che è al 240% della capienza”. Giustizia: Patriarca (Pd); contro affollamento non solo nuove celle, ma pene alternative Agenparl, 5 giugno 2013 “Il tema delle carceri non sia affrontato solo costruendo nuove celle, ma prima di tutto con pene alternative alla detenzione in carcere. Anche su questo basterebbe prendere esempio dal resto d’Europa”. Lo afferma il deputato del Pd Edoardo Patriarca, componente della Commissione Affari Sociali. “Alla pena della detenzione non sovrapponiamo la pena del sovraffollamento - continua Patriarca - L’Europa ha già bocciato lo stato delle nostre carceri e l’eccessivo numero di detenuti in attesa di giudizio. Diamo un segnale chiaro dando impulso alle misure alternative”. Giustizia: processo morte Stefano Cucchi; condannati i medici, assolti infermieri e agenti Dire, 5 giugno 2013 Tutti condannati i medici imputati nel processo per la morte di Stefano Cucchi. Lo ha deciso la terza Corte d’Assise di Roma, presieduta da Evelina Canale, dopo diverse ore di Camera di consiglio. Assolti invece gli infermieri e gli agenti della Polizia penitenziaria. Un boato nell’aula bunker del carcere di Rebibbia ha accolto la sentenza. “Questa non è giustizia” e “assassini” urlano i presenti nell’aula bunker di Rebibbia per esprimere il loro dissenso. La condanna a due anni di reclusione è stata inflitta al primario dell’ospedale Sandro Pertini Aldo Fierro. È nell’ospedale che Cucchi fu ricoverato e poi morì. La corte ha derubricato per lui e per gli altri condannati l’accusa di abbandono di persona incapace mutandola in omicidio colposo. Oltre a Fierro a un anno e quattro mesi di reclusione sono stati condannati i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi Preide De Marchis e Silvia Di Carlo. A un altro medico, che era responsabile del reparto di ricovero Rosaria Caponetti la Corte ha inflitto per l’accusa di falso otto mesi di reclusione. Per tutti i condannati è stata disposta la sospensione condizionale della pena. Gli assolti secondo quanto dispone l’articolo 530 del Codice penale sono le guardie carcerarie Nicola Menichini, Corrado Santantonio e Antonio Dominici che erano accusati di lesioni personali. Sono stati assolti infine sempre con la stessa formula i tre infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe. Per pronunciare la sentenza la Corte è rimasta riunita in camera di consiglio per 7 ore e mezza. Le decisioni, come si è detto, sono state contestate da una folla di persone che hanno assistito all’udienza e che hanno contestato con termini molto gravi le decisioni della Corte. Pm aveva chiesto condanna per tutti La sentenza per la morte di Stefano Cucchi, il geometra arrestato il 15 ottobre 2009 per droga e morto una settimana dopo al Reparto di medicina protetta dell’ospedale Sandro Petrini, è stata più lieve rispetto alle richieste della Procura di Roma che voleva una condanna per tutti e 12 gli imputati. Il pm aveva contestato ai sei medici e ai tre infermieri tra l’altro il grave reato di abbandono di incapace. Tant’è che aveva chiesto per i medici pene tra i 6 anni e 8 mesi e i cinque anni e mezzo mentre per gli infermieri 4 anni ciascuno. Per gli agenti penitenziari aveva chiesto due anni di reclusione. Ilaria: mio fratello tradito da giustizia per 2 volte Ilaria Cucchi è un fiume in piena. Dopo la sentenza, che assolve infermieri e agenti della polizia penitenziaria e condanna a pene contenute i medici, scoppia a piangere e dichiara: “Mio fratello è stato tradito dalla giustizia per la seconda volta. Non so dire cosa faremo, ma certamente non ci tiriamo indietro. Questo non ce lo aspettavamo. I medici dovranno ora fare i conti con la loro coscienza. Si tratta di una pena ridicola rispetto a una vita umana. Sapevamo che nessuna sentenza ci avrebbe dato soddisfazione e restituito Stefano ma calpestare mio fratello e la verità così... non me l’aspettavo. Oggi capisco quelle famiglie che non affrontano questi processi perché sono dei massacri”. Genitori: andremo avanti fino in fondo “Andremo avanti fino in fondo, scopriremo la verità. Così i genitori di Stefano Cucchi, Giovanni e Rita, dopo la sentenza. È lo Stato che deve trovare la verità - ha detto la madre. Chi è stato, un fantasma a farlo morire?”. “Mio figlio è morto di ingiustizia. Me lo hanno ucciso due volte”. Sono le prime parole della mamma di Stefano Cucchi subito dopo la lettura del dispositivo da parte della terza Corte d’Assise di Roma che ha condannato sei medici dell’ospedale Sandro Pertini e assolto tre infermieri e tre agenti della Polizia penitenziaria. “Ilaria siamo con te”, solidarietà davanti aula bunker Sono circa trenta le persone presenti per dare la loro solidarietà alla famiglia Cucchi davanti l’ingresso dell’aula Bunker del carcere di Rebibbia. Alzano alcuni cartelloni: “Solidarietà a tutte le vittime della tortura e del carcere”, “Ilaria siamo tutti con te. Non ti lasciamo sola”. In testa al gruppo alcuni politici, Giovanni Russo Spena e Gianluca Peciola (entrambi di Sel), Mario Staderini (Radicali Italiani) e Sandro Medici (presidente del X Municipio di Roma ed ex candidato sindaco della capitale). A supporto dei Cucchi sono arrivate anche alcune persone che hanno combattuto un’esperienza simile a quella di Stefano: Lucia Uva, sorella di Giuseppe, morto nel giugno 2008 all’Ospedale di Varese dopo essere stato fermato dai carabinieri; Domenica Ferrulli, figlia di Michele, morto a 51 anni nel giugno 2011 a Milano per arresto cardiaco mentre alcuni agenti lo stavano arrestando; Claudia Budroni, sorella di Dino, ucciso a Roma nel luglio 2011 da un colpo di pistola durante un inseguimento con la polizia sul Gra; e Grazia Serra nipote di Francesco Mastrogiovanni, l’uomo morto nell’agosto 2009 dopo essere rimasto per 82 ore legato mani e piedi a un letto di contenzione in un ospedale psichiatrico lucano. Sappe: la Polizia Penitenziaria ha lavorato come sempre nel pieno rispetto delle leggi "L’assoluzione dei poliziotti penitenziari coinvolti loro malgrado nella vicenda connessa alla morte di Stefano Cucchi conferma quel che abbiamo sempre sostenuto. E cioè che nel palazzo di giustizia di Piazzale Clodio a Roma, così come quotidianamente avviene nelle oltre 200 carceri del Paese, la Polizia Penitenziaria ha lavorato come sempre nel pieno rispetto delle leggi, con professionalità e senso del dovere. Ciò detto, rinnoviamo le sincere espressioni di rispetto per la triste e dolorosa vicenda che ha visto coinvolta la famiglia di Stefano Cucchi". Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria. “Ribadisco una volta di più che il SAappe ha il massimo rispetto umano e cristiano per il dolore dei familiari di Stefano come lo abbiamo per tutti coloro che hanno perso un proprio caro in stato di detenzione. Ma non possiamo accettare una certa (tendenziosa e falsa) rappresentazione del carcere come luogo in cui quotidianamente e sistematicamente avvengono violenze in danno dei detenuti come talune corrispondenze giornalistiche hanno detto e scritto nei giorni immediatamente successivi la morte del ragazzo. Ricordo a me stesso che la rigorosa inchiesta amministrativa disposta dal Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria sul decesso di Stefano Cucchi escluse responsabilità da parte del Personale di Polizia penitenziaria, in particolare di quello che opera nelle celle detentive del Palazzo di Giustizia a Roma. La nostra convinzione è che a Piazzale Clodio la Polizia Penitenziaria ha lavorato come sempre nel pieno rispetto delle leggi, con professionalità e senso del dovere. Oggi mi sembra lo confermi anche la sentenza della Terza Corte d’Assise di Roma. Di sicuro rigettiamo ogni tesi manichea che ha associato e associa più o meno velatamente al nostro lavoro i sinonimi inaccettabili di violenza, indifferenza e cinismo". Giustizia: no al carcere per i giornalisti, la Camera riparte Dino Martirano Corriere della Sera, 5 giugno 2013 Il Parlamento riprova a cancellare il carcere per i giornalisti e i direttori accusati di diffamazione a mezzo stampa, limitando la sanzione alla multa anche quando viene contestato un “fatto determinato”. La commissione Giustizia della Camera, con la relazione di Enrico Costa (Pdl) e Walter Verini (Pd), ha dunque iniziato a tempo di record il suo percorso, ripescando dai cassetti un testo della XTV legislatura (estendendolo anche alle testate online) che cancella la pena detentiva per i cronisti (da sei mesi a tre anni) e introduce la sola sanzione pecuniaria da 1.500 a 6.000 euro (da 3.000 a 8.000 se c’è l’attribuzione di un fatto determinato). I relatori, comunque, hanno lasciato intendere che non ci sarà alcuna blindatura del testo: “Mediando tra chi considera la diffamazione a mezzo stampa un reato di opinione, e quindi se non da azzerare almeno da ridimensionare sensibilmente, e chi sostiene che non devono esserci preclusioni di sorta nel prevedere sanzioni detentive quando ciò sia reso necessario dalla gravità del fatto compiuto”. Davanti a questo bivio, i gril-lini (sono 9 i componenti del gruppo Giustizia) hanno rinviato ogni decisione ai prossimi giorni. Ma l’attacco frontale di Beppe Grillo alla stampa e “l’olio di ricino” per i giornalisti, paventato in aula dalla collega Laura Castelli nonostante le successive rettifiche, non fanno pensare a grandi aperture del MsS. Prima di decidere quale strada intraprendere la commissione vuole ascoltare gli addetti ai lavori, anche quelli che di recente sono stati condannati a pene piuttosto significative: “Chiederemo - ha spiegato Costa - l’audizione del direttore di Panorama, Giorgio Mule, che ci potrebbe raccontare la sua esperienza, e quella dell’avvocato Caterina Malavenda che ha grande esperienza in questo campo”. E proprio intorno alla proposta dell’avvocato Malavenda, che ieri l’ha illustrata sulla pagina delle idee e delle opinioni del Corriere, ruoterà una parte consistente del dibattito. “Quelli che divulgano un fatto falso e disdicevole, consapevolmente 0 per un errore ingiudicabile non commettono un reato di opinione, sfregiano, a volte in modo irreparabile, la reputazione altrui”, argomenta Malavenda che in sostanza propone di avviare “l’azione penale solo contro chi diffonde fatti falsi e lesivi... depenalizzando tutte le altre condotte”. Salvo poi incentivare la riparazione: “I giornalisti potranno evitare la condanna dando spazio alla rettifica, anche spontanea, ma degna di questo nome: tempestiva, visibile, articolata e senza replica ove si pubblichi .su richiesta dell’interessato”. Concorda la presidente della commissione Giustizia, Donatella Ferranti (Pd): “Noi abbiamo avuto una particolare sensibilità nel calendarizzare in tempi strettissimi questo provvedimento ma vogliamo pensare anche alla tutela delle vittime del reato, cui interessa molto una rettifica fatta come si deve e forse un pò meno il carcere per i cronisti”, il sindacato dei giornalisti (Fnsi), annuncia di essere pronto al confronto in Parlamento anche “per ribadire il valore di una informazione libera e senza condizionamenti...”. Umbria: Zaffini (Fli); solidale con gli agenti penitenziari in protesta per condizioni lavoro Agenparl, 5 giugno 2013 “Esprimo profonda vicinanza e solidarietà agli agenti di polizia penitenziaria che sono costretti a lavorare, con alto spirito di servizio e senso delle Stato, in condizioni di pericolo fisico e pesante pressione psicologica”. Lo afferma Franco Zaffini, capogruppo regionale di Fratelli d’Italia, che ha partecipato alla manifestazione organizzata stamani, davanti alla struttura detentiva di Spoleto, dal Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), per “denunciare le tre aggressioni subite dagli operatori in pochi giorni da parte dello stesso detenuto”. “È dovere delle istituzioni - dice Zaffini - tutelare coloro che all’interno di queste strutture prestano il loro encomiabile servizio, per uno stipendio di poco più di mille euro al mese. E chi, come il sottoscritto, reputa essenziale il ruolo delle forze di polizia, sente il dovere di esplicitare sempre il sostegno incondizionato agli agenti. Soprattutto ora che la sinistra al governo della Regione anziché tutelare coloro che garantiscono la sicurezza dei cittadini e la civile convivenza, si preoccupa, con la solita logica partigiana, di nominare il garante dei detenuti. Una figura - prosegue Zaffini - inutile, destinata a diventare addirittura pericolosa se istituita senza quell’accordo che la stessa legge regionale prevede e che, ad oggi, appare un’autentica chimera”. Zaffini, inoltre, ricorda che da tempo ha chiesto l’impegno della Giunta per la realizzazione del repartino di degenza per detenuti nell’ospedale Santa Maria della Misericordia, struttura di competenza della Regione. “Siamo rimasti inascoltati circa l’urgenza di prevedere una sezione per detenuti all’interno del nosocomio perugino la cui mancanza determina un aggravio di turni, pesantemente compromessi dalla protratta condizione di sottorganico delle forze di polizia penitenziaria dell’Umbria e non più sostenibile. Provvederemo a sottoporre la questione al direttore generale dell’azienda ospedaliera di Perugia Orlandi, nel corso della audizione già programmata della Commissione sanità. Per quanto ci riguarda - conclude Zaffini - saremo sempre dalla parte dello Stato e dei difensori dei cittadini”. Piemonte: Reschigna (Pd); Garante dei detenuti, centrodestra vuole cancellarlo a tutti i costi Apcom, 5 giugno 2013 Una seduta serale del Consiglio regionale imposta dal centrodestra, per cancellare il garante dei detenuti. La denuncia è del capogruppo del Partito Democratico a Palazzo Lascaris, Aldo Reschigna che, fra l'altro ricorda che il garante non è stato ancora nominato. "La decisione della maggioranza di prevedere la seduta serale, martedì prossimo, per discutere della legge che vuole abrogare il garante dei detenuti ci pare una cosa insensata, che dà la misura di come il centrodestra abbia perso la bussola". Mentre il Piemonte, ragiona Reschigna, si trova in una situazione di grandissime difficoltà: "La maggioranza non trova altro di meglio che intestardirsi sul garante dei detenuti. Una figura utile, a un costo molto basso, meno di trentamila euro all'anno, e che peraltro, non essendo stato ancora nominato per il veto del centrodestra, non pesa per un solo euro sulle casse regionali". Eppure l'argomento sembra diventato il primo punto dell'agenda della giunta di centrodestra, più urgente ancora della questione delle partecipate e dell'assestamento del bilancio, che pure sembra destinato a farsi attendere ancora per parecchio tempo. "Ma sul garante che non c'è no, - attacca Reschigna - non si può transigere. Occorre eliminarlo prima ancora di nominarlo. Se questo ha un senso, non riusciamo a trovarlo. Se non il segno di un governo regionale che non sa più da che parte girarsi, e si muove scompostamente per far vedere che esiste". Calabria: carceri sovraffollate, 2.820 detenuti per 2.151 posti www.giornaledicalabria.it, 5 giugno 2013 Sono 2.820 i detenuti presenti negli istituti penitenziari calabresi al 31 maggio 2013, a fronte di una capienza regolamentare di 2.151 posti. A rivelarlo sono le ultime statistiche elaborate dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sulla situazione carceraria nel Paese e diffuse dal Ministero della Giustizia, secondo cui il dato relativo alla capienza potrebbe non tenere conto di “eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato”. Negli istituti calabresi i condannati in via definitiva risultano essere 1.428 e 1.389 gli imputati. La maggioranza di questi ultimi (793) è costituita da detenuti in attesa di primo giudizio, 338 sono gli appellanti in attesa di giudizio di secondo grado e 163 i ricorrenti in Cassazione mentre 95 rientrano nella categoria “misto”, che include i detenuti con a carico più fatti, ciascuno dei quali con relativo stato giuridico ma senza nessuna condanna definitiva. Secondo i dati del ministero della Giustizia, nelle carceri della regione sono reclusi, complessivamente, 365 stranieri, di cui 213 condannati definitivi e 151 imputati (82 quelli in attesa di primo giudizio). Le donne, invece, sono in totale 63 e 15 i detenuti in regime di semilibertà. Il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, inoltre, ha calcolato il numero dei detenuti usciti dagli istituti per effetto della legge 199/2000 (la cosiddetta “sfolla-carceri”), che prevede la detenzione domiciliare per chi deve scontare l’ultimo anno di pena: in Calabria, dall’entrata in vigore al 31 marzo, la norma ha fatto uscire 300 reclusi, di cui 37 stranieri e 11 donne. Cagliari: il Consiglio comunale dice “no” agli ospedali psichiatrici giudiziari www.sardegnaoggi.it, 5 giugno 2013 Ospedali psichiatrici giudiziari, Cagliari dice no. Il Consiglio comunale dice no alla possibilità di costruire ospedali psichiatrici giudiziari nel proprio territorio. Lo fa votando un Ordine del Giorno della commissione alle Politiche Sociali, che chiede che i finanziamenti siano invece utilizzati per un percorso personalizzato per l’inclusione sociale dei detenuti. Gli Opg, ospedali psichiatrici giudiziari, in Italia hanno sostituito nel ‘70 i manicomi criminali. Ne esistono ancora sei, con circa 1300 detenuti. Di questi, circa 30 sono sardi. Gli orrori degli Opg sono stati documentati da Commissione d’inchiesta del Senato della Repubblica: istituti con forti carenze igienico-sanitarie e senza il rispetto dei diritti della persona detenuta. A partire da marzo, secondo una legge approvata dal Parlamento, gli Opg dovranno essere al più presto chiusi. Una decisione che cozza contro una nota stampa dell’Assessorato regionale alla Sanità di costruire due Opg, uno di questi a Cagliari. La nota è stata poi rettificata, con l’intenzione di costruire “strutture in grado di accogliere i detenuti con patologie della psiche, con l’obiettivo di tutelare la loro salute in una cornice di sicurezza per il resto della cittadinanza”. Da qui il Comune si è mosso con un Ordine del Giorno che dichiara la contrarietà del Consiglio alla costruzione di un Opg nel suo territorio. L’opposizione invece attacca. Anselmo Piras condanna anche lui le condizioni disumane degli Opg, “ma non accetto che mi si dica che quelle persone debbano essere curate socialmente da psicologi e assistenti sociali, perché hanno bisogno dei medici”. Maurizio Porcelli(Pdl) invece avverte: “Ora c’è il rischio di ritrovarci malati psichiatrici gravi per strada”. “Negli Opg gli internati non vengono curati, perciò la loro malattia non migliora, ma peggiora nel tempo”. Secondo Rodin, proprio per questo i detenuti non hanno possibilità di uscire dalla struttura, proprio perché “di proroga in proroga gli internati marciscono nelle strutture venti, venticinque anni”. Una scusa quella della pericolosità sociale dei detenuti, un modo per allontanarli dalla società, che dovrebbe invece aiutarli, trovando una strategia efficace incentrata su percorsi individuali di reinserimento. “Chiedo quindi che i finanziamenti dedicati alla costruzioni di queste strutture siano utilizzati per inclusione sociale degli internati e l’impegno dei Servizi Sociali per salvaguardare i cittadini ancora segregati negli Opg”. Napoli: interrogazione Pd su Reparto di psichiatria “abusivo” nel carcere di Poggioreale di Anita Caiazzo Il Roma, 5 giugno 2013 Iniziativa della parlamentare del Pd Luisa Bossa dopo l’articolo pubblicato sul nostro quotidiano. Grazie alla notizia pubblicata dal nostro quotidiano in cui si denunciava un reparto psichiatrico “abusivo” all’interno del carcere di Poggioreale, precisamente nel Padiglione Avellino, la deputata Luisa Bossa, ha depositato, nei giorni scorsi, un’interrogazione parlamentare. La parlamentare del Pd ha chiesto di ricevere notizie dal ministro di Grazia e Giustizia e dal ministro della Salute sulle condizioni dei detenuti affetti da malattie mentali ristretti nel carcere napoletano riguardo alle cure e alla loro allocazione. Secondo anche quanto denunciato da “Antigone Campania”, all’interno dell’affollato carcere Napoletano, i detenuti affetti da disagi psichici sarebbero ristretti in condizioni non idonee al loro stato di salute; nei fatti, all’interno del Padiglione Avellino ci sarebbe un reparto psichiatrico non a norma, dove non sono garantite ai detenuti cure adeguate al loro stato di salute. “Ci sarebbe una sorta di “reparto psichiatrico” di fatto - scrive Luisa Bossa all’interno dell’interrogazione parlamentare - con detenuti con problemi specifici di carattere psichico ristretti in isolamento, senza assistenza medica continuata; le condizioni detentive del reparto appaiono, quindi, inumane e degradanti e in contrasto con i principi dell’ordinamento penitenziario e con le stesse circolari in materia emesse dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”. Per far luce sula condizione dei detenuti di Poggioreale, la parlamentare Luisa Bossa ha chiesto risposte in merito alla presenza di personale medico e infermieristico e se all’interno del carcere è assicurato un presidio permanente. Inoltre, nel testo dell’interrogazione si chiede quali accordi operativi vi siano tra amministrazione penitenziaria e Asl per la gestione del “reparto”, e soprattutto di sapere quanti sono i detenuti ristretti in isolamento, per quali motivi e per quanto tempo. Quali interventi vengono messi in atto dall’amministrazione penitenziaria e dall’Asl per prevenire l’allocazione coatta delle persone in isolamento. Una situazione grave che getta ulteriori ombre sullo stato delle carceri italiane e sul carcere napoletano che deve fare i conti con il grande sovraffollamento: secondo i dati forniti da “Antigone”, nel carcere di Poggioreale sono detenute 2.900 persone contro una capienza di 1.400 posti. Ma il sovraffollamento non è solo un problema di numeri riguarda anche le modalità di detenzione, i detenuti trascorrono 20-22 ore al giorno in celle Carcere: l’allarme dei Radicali italiani e di “Nessuno tocchi Caino” È polemica dopo il suicidio nel carcere di Poggioreale, venerdì pomeriggio, di un detenuto straniera di 40 anni trovato impiccato in cella nel Padiglione Milano. Sono i Radicali italiani, tramite Rodolfo Viviani, della direzione nazionale, a chiedere chiarezza sull’accaduto. “Pochissime notizie sul detenuto straniero di circa 40 anni, giudicabile per il reato di uxoricidio, si legge nella nota, impiccatosi venerdì pomeriggio nella sua cella nel Padiglione Milano. Nella indifferenza continua la catena di suicidi di persone sottoposte in modo strutturale ad atti di tortura e trattamenti inumani e degradanti, come avviene sistematicamente nel carcere di Poggioreale. Chiediamo di conoscere le generalità del detenuto e le dinamiche di questa morte annunciata”. Luigi Mazzotta, presidente del circolo napoletano di “Nessuno tocchi Caino” dichiara: “Pochi giorni fa mi ero recato in visita ispettiva presso il carcere di Poggioreale insieme al consigliere regionale Corrado Gabriele. Abbiamo trovato 2.768 detenuti ammassati in una struttura assolutamente inadeguata ai compiti che la Costituzione affida al sistema penale. È in corso una drammatica emergenza sanitaria, con decine di detenuti abbandonati a se stessi, senza possibilità di cure. Anche se oggi possiamo soltanto continuare la nostra lotta per l’amnistia e l’indulto subito, un giorno lo Stato italiano e i suoi massimi responsabili pagheranno per questo crimine contro l’umanità”. Stipati come polli e maltrattati ci sentiamo male Dai detenuti dell’infermeria del Padiglione Napoli del carcere di Poggioreale, riceviamo e pubblichiamo: “Egregi signori, è l’ennesima volta che scrivo senza mai avere un accenno da parte vostra sul giornale. Questa volta scrivo anche per gli altri detenuti. Io mi chiamo Giovanni, mi sono fatto 26 anni di carcere e sono stato, e lo sono ancora, un assiduo lettore del Roma, anche facendomi fare abbonamenti quando mi trovavo in istituti lontani. Ho sempre ritenuto il vostro quotidiano molto serio sia a per la cronaca locale che nazionale, che su quella estera e sull’ampia rubrica dedicata allo sport. Avete sempre affrontato le problematiche di cronaca nera con rispetto e dignità e allo stesso momento avete sempre dato voce a chi viene messo in carcere e maltrattato. Pensate solo che stiamo al reparto infermeria, dove alcuni di noi non si reggono neppure in piedi. Molte persone superano i 70 anni non ci sono farmaci né ci fanno effettuare visite specialistiche. Addirittura quando qualcuno di noi sta male veniamo maltrattati e a volte da alcuni agenti, solo alcuni, veniamo addirittura picchiati non sappiamo più cosa fare. Non diciamo niente ai nostri familiari per vergogna. C’è una squadra di agenti, cosiddetta “uno bianca”, che quando è di servizio hai paura di stare male. Lo capisco bene che voi più di far uscire un articolo sul giornale non potete fare altro, ma almeno, vi preghiamo, fatelo perché quando esce un vostro articolo a nostro favore, legittimo, perché non stiamo scrivendo nessuna bugia, riusciamo a stare 2-3 mesi in pace. La dottoressa..., che è una bravissima persona, come il commissario..., penso non sappiano di tutto questo, perché ognuno di noi ha paura di dirgli la verità per ovvi motivi. Omettiamo di mettere i nomi e le firme per non peggiorare le cose, ma vi preghiamo: così come vi occupate di noi quando ci arrestano fatelo anche aiutandoci a farci vivere scontando la pena civilmente. Noi non ce la facciamo più, stiamo stipati in gabbie peggio dei polli. In attesa di una vostra presa di coscienza, in attesa di leggere sul giornale che vi abbiamo scritto, vi ringraziamo anticipatamente porgendo sinceri saluti”. Reggio Calabria: Sappe; entro giugno sarà inaugurato il nuovo carcere di Arghillà Agi, 5 giugno 2013 Entro giugno sarà inaugurato, alla presenza del ministro della Giustizia, il nuovo carcere di Reggio Calabria. Lo ha reso noto, nel corso di una riunione svoltasi al provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria, a Catanzaro, il Provveditore. A darne comunicazione, stamane è il sindacato di Polizia penitenziaria Sappe. “La notizia - affermano Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Damiano Bellucci, segretario nazionale - è di grande rilievo ed interesse, considerata la storia molto travagliata di questo istituto, quasi ultimato da anni e mai aperto, a causa di problemi legati all’ultimazione dei lavori, nonostante le risorse economiche fossero sempre state disponibili. Ricordiamo che già da alcuni anni risultavano stanziati oltre venti milioni di euro. L’interesse per questa struttura deriva anche dalla necessità di deflazionare le sovraffollate carceri della provincia di Reggio Calabria: Palmi, Locri e lo stesso istituto di Reggio Calabria. Quindi, entro giugno, il commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria consegnerà la struttura all’amministrazione penitenziaria e, per stessa ammissione del provveditore, a luglio cominceranno ad essere trasferiti i primi detenuti”. Ma, secondo il Sappe, “nulla è stato detto in merito al personale, in particolare quello di polizia penitenziaria. Essendo nota la carenza anche in Calabria, sarebbe opportuno che il Dipartimento provvedesse ad inviare nuovo personale, utilizzando, magari, la graduatoria nazionale, in modo da soddisfare le esigenze di coloro che da anni aspirano a rientrare nella loro terra d’origine”. Vicenza: basta “trasferte”… i raggi ai detenuti adesso si fanno in carcere Giornale di Vicenza, 5 giugno 2013 L’Ulss 6 torna a potenziare i servizi nella casa circondariale. Una stazione mobile per le radiografie al San Pio X Costa 160 mila euro e presto dal penitenziario si potranno trasmettere gli elettrocardiogrammi. I raggi ora i detenuti potranno farli direttamente nell’infermeria del carcere di San Pio X. Sta per arrivare nella casa circondariale un apparecchio radiologico mobile. Costa 160 mila euro. Il direttore sanitario Francesco Buonocore ha rimesso in moto una questione che si era addormentata. Il servizio era stato già pensato in passato ancora dall’ex dg Antonio Alessandri, ma poi sono venute avanti esigenze più urgenti, nel frattempo il mandato è finito, e la cosa si é fermata sui tavoli burocratici. Così Buonocore, che in questi primi due mesi di lavoro a Vicenza si è dedicato a conoscere tutte le realtà dell’Ulss, compresa la sanità penitenziaria, ha preso in mano la pratica, e ha dato il via all’acquisizione di questa macchina che eliminerà i disagi che sorgono ogni volta che si deve trasportare un recluso al San Bortolo per una radiografia. “C’erano difficoltà sia per il personale del carcere e sia per noi”, spiega il direttore sanitario. La stazione mobile risolve alla radice un problema cronico. Buonocore lo ha comunicato al direttore del carcere Fabrizio Cacciabue in una riunione al San Bortolo, alla presenza del direttore medico Ennio Cardone e del coordinatore della sanità del San Pio X Stefano Tolio. Un servizio del genere è diretto a dare risposte alle persone ristrette negli istituti penitenziari che siano affette da patologie polmonari, cardiache, oncologiche, neurologiche e osteoarticolari. Il tecnico dell’ospedale, quando arriva una richiesta, si reca in carcere, monta un tubo radiogeno portatile collegandolo a una presa elettrica, effettua la radiografia e poi ne verifica la qualità su un piccolo lettore. Non solo la radiologia. Presto dall’infermeria del carcere si potranno trasmettere per via telematica al reparto di cardiologia del San Bortolo anche gli elettrocardiogrammi. C’era da rendere compatibile un software. Il responsabile dell’ingegneria clinica Lucio Sartori lo ha fatto, per cui è imminente l’avvio di questo nuovo servizio che accelererà i tempi per le diagnosi e le terapie. Prossimo anche un altro salto di qualità che consentirà di migliorare sensibilmente una situazione assistenziale che nei mesi scorsi stava precipitando. “È stata autorizzata - spiega Tolio - l’adozione della cartella clinica informatizzata”. Busto Arsizio: la denuncia di Lara Comi (Pdl), carcere sovraffollato, presto nuova visita La Provincia di Varese, 5 giugno 2013 “Sovraffollamento intollerabile. Presto una nuova visita al carcere di Busto Arsizio”. Lo annuncia l’eurodeputata del Pdl Lara Comi, che commenta favorevolmente le aperture del ministro della giustizia Annamaria Cancellieri sulla necessità di una riforma della giustizia penale come risposta al “delicato” problema di sovraffollamento dei penitenziari italiani. Su cui “l’Europa attende risposte” dopo la sentenza della Corte Europea che ha dato un anno di tempo all’Italia per allinearsi ai parametri comunitari. “La media di sovraffollamento delle nostre strutture è del 148%, ma a Busto Arsizio siamo al 240% della capienza - rimarca Lara Comi - se consideriamo che quasi un detenuto su due è in carcere in attesa di giudizio, è evidente che la soluzione non può essere quella di costruire nuove carceri, ma è necessario predisporre subito un’efficace riforma della giustizia penale, nella direzione della semplificazione”. Comi concorda con le linee guida “indicate dal giudice europeo, che suggerisce procedure semplificate e alternative, nei casi appropriati, all’uso della carcerazione preventiva. Ad esempio. l’obbligo per l’indagato di risiedere a un indirizzo specificato, il divieto di lasciare o raggiungere un luogo senza autorizzazione, la scarcerazione su cauzione”. Sul tema del sovraffollamento delle carceri Comi si impegna a “fare di nuovo visita prossimamente al carcere di Busto Arsizio” dove era già stata in gennaio. La scorsa settimana, lunedì 27 maggio, le porte della Casa Circondariale di via per Cassano si erano aperte per la visita dei parlamentari e dei consiglieri regionali. Il consiglio comunale di Busto Arsizio intanto ha votato a favore (tutti d’accordo, con la sola astensione della Lega Nord) di una proposta del capogruppo Pd Walter Picco Bellazzi per l’istituzione del Garante per i diritti dei detenuti, elaborata proprio in seguito ad una visita in carcere della commissione servizi sociali presieduta da Mario Cislaghi. Pisa: domani delegazione della Camera penale in visita al carcere Don Bosco Adnkronos, 5 giugno 2013 Visita al carcere di Pisa e cena di solidarietà per i detenuti della città toscana. Giovedì 6 giugno alle 16 il direttivo della Camera penale di Pisa, insieme con i membri della Giunta dell’Unione camere penali Ezio Menzione e Manuela Deorsola, quale responsabile dell’Osservatorio Carcere, il presidente dell’Ordine degli avvocati di Pisa e il garante dei diritti dei detenuti del Comune toscano, entrerà nel carcere cittadino per effettuare la visita a “celle aperte”. All’uscita, intorno alle 18, la delegazione di penalisti terrà una breve conferenza stampa. A seguire ci sarà una cena di solidarietà per i detenuti del “Don Bosco”, che si terrà alle 20.30 presso la scuola statale superiore “G. Matteotti” a Pisa, in Via Garibaldi 19: studenti e professori cucineranno e presenteranno le ricette dei detenuti della casa circondariale pisana tratte dal libro edito dalla casa ed. Ets “ricette al fresco”. La cena sarà preceduta, alle 19.30, da una conferenza stampa sulla visita del pomeriggio con relazione del responsabile dell’Osservatorio Carcere dell’Ucpi, delle rappresentanze locali e contestuale proiezione del filmato “Prigioni d’Italia” prodotto dall’Unione camere penali italiane. Sassari: processo per la morte in cella di Marco Erittu, la Corte dispone una superperizia di Elena Laudante La Nuova Sardegna, 5 giugno 2013 Per trovare il bandolo della matassa, e capire cosa, a San Sebastiano, abbia causato la morte del detenuto Marco Erittu, meglio affidarsi a un esperto super partes. La Corte d’assise nominerà un perito che dirima la controversia tra i consulenti di accusa e difesa, al processo sulla strana fine del recluso che, secondo un pentito, diceva di conoscere segreti su storie di sequestri rimasti insoluti. Segreti che se rivelati alla magistratura, ha raccontato il supertestimone Giuseppe Bigella, avrebbero inguaiato Pino Vandi, oggi accusato di omicidio come sospetto mandante. Oltre a lui, tra gli imputati ci sono l’agente della polizia penitenziaria Mario Sanna e l’allora detenuto Nicolino Pinna (sospettati di aver preso parte al presunto omicidio). E ieri, in aula, la corte - presidente Pietro Fanile, a latere Teresa Castagna - ha annunciato l’incarico al medico legale che era stato accanto ad Alberto Stasi al processo di Garlasco, Francesco Maria Avato. Ordinario dell’università di Ferrara, consulente di Calvia nel processo sull’omicidio dell’insegnante algherese Orsola Serra, Avato inizierà ad esaminare foto e documenti sull’autopsia di Erittu (morto il 18 novembre 2007) a partire dai primi di luglio. La sua parola sarà fondamentale. Perché dovrà fornire alla corte, a magistrati e giudici popolari, la risposta ultimativa al quesito che permea l’intero processo. Erittu si è suicidato impiccandosi al letto, come sostiene la difesa, oppure Bigella (reo confesso e condannato in altro processo) l’ha soffocato con una busta, e poi ne ha simulato l’impiccagione con Nicolino Pinna, su ordine di Vandi? Secondo il pentito, quella della corda attorno al collo sarebbe stata solo una messa in scena. Gli esperti citati da accusa e difesa si erano affrontati all’udienza del primo marzo scorso. I periti della Procura sassarese e della Direzione distrettuale di Cagliari avevano spiegato come la tesi del suicidio sia priva di fondamento, anche perché sul collo non c’era il solco completo del cappio, assente nella parte posteriore. Il consulente della difesa, invece, aveva parlato di “impiccamento incompleto”, che avviene quando il corpo è appoggiato su una superficie e non pende nel vuoto. Troppo distanti le due tesi per trovare una via di mezzo. E allora, sarà compito del perito della corte trovare una sintesi che rispecchi quanto avvenne nella cella 3, la stanza “liscia”, del braccio promiscui di San Sebastiano, il 18 novembre 2007. Ieri la Corte ha ascoltato alcuni testimoni del pubblico ministero Giovanni Porcheddu, che dopo aver portato in aula gli agenti della Penitenziaria che ruotarono attorno a Erittu, nel 2007-2008, ha ascoltato la versione di tre ex poliziotti della questura, in servizio alla squadra mobile a metà degli anni Novanta, che conoscevano Erittu quale informatore. Ai tre - Monti, Marchisio e Agnotelli - Erittu aveva scritto una lettera, che sostengono di non aver mai visto. “Marco era un tossico e ci passava informazioni, ma mai di alto livello”, hanno spiegato i tre, sebbene non sfumature diverse. E con molti più non ricordo di quanti ne avessero opposti al pm durante le indagini preliminari, quando, nel novembre 2011, erano stati sentiti come testimoni. “Marco rivelava notizie stupide, mai grosse confidenze”, ha spiegato Monti pur confermando che comunque erano informazioni attendibili. Il pm gli ha chiesto se all’epoca fosse un “galoppino” di Vandi, di certo tra i nomi di spicco dello spaccio sassarese. Monti ha negato, ma il magistrato gli ha contestato: “A me disse che “all’epoca tutti ruotavano attorno ai Vandi e che tutti avevano a che fare con loro”“. Quella lettera, scritta da Erittu nell’estate del 1995, con la quale annunciava rivelazioni su delitti vari, non la ricorda. Agli atti c’è un’altra missiva che Erittu scrisse in quell’estate, che ricorda tanto l’ultima comunicazione inviata all’ex procuratore della Repubblica Giuseppe Porqueddu, pochi giorni prima di morire (lettera mai arrivata). L’ha ricordata ieri uno dei tre difensori di Vandi, Patrizio Rovelli (legale dell’imputato con Pasqualino Federici e Elias Vacca), chiedendo che finisca agli atti del processo. È datata 20 luglio 1995, ed era indirizzata allo stesso magistrato al quale scriverà 12 anni dopo, allora pm: Porqueddu. Annunciava informazioni “importanti” su un tentato omicidio. E avvertiva: “Se non mi chiama, mi impicco”. Non è chiaro cosa accadde. Ma per la difesa, quella minaccia sarebbe divenuta realtà 12 anni dopo. Il ruolo del pentito e il delitto Sechi Il detenuto sassarese Marco Erittu era stato trovato senza vita nella cella liscia del braccio promiscui di San Sebastiano, il giorno dopo la morte del 18 novembre 2007. Attorno al collo aveva un lembo di coperta e la prima inchiesta fu archiviata come un caso di suicidio. Poco prima si era procurato ferite. Ma a metà 2009, un detenuto - Giuseppe Bigella - in carcere per omicidio, ha raccontato che Erittu sarebbe stato ucciso su ordine di Pino Vandi, perché la vittima aveva informazioni sul suo coinvolgimento nell’omicidio di Giuseppe Sechi, muratore di Ossi ucciso nel 1994, in relazione al sequestro dell’orunese Paolo Ruiu. Milano: detenuta in sciopero della fame, in carcere per non aver pagato alimenti al marito Ansa, 5 giugno 2013 È detenuta nel carcere di San Vittore di Milano dal 29 maggio scorso per non aver corrisposto gli alimenti all’ex marito, pur, secondo il suo avvocato, non avendo alcun reddito. Ha cominciato uno sciopero della fame e della sete e, secondo il suo legale, Giuseppe Caccetta, che è anche suo compagno, ha perso dieci chili e si trova in condizioni che potrebbero compromettere la sua salute. Per questo, l’avvocato si appella al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in qualità di presidente del Csm chiedendo un suo intervento. Elena Ferrante, ricostruisce il legale, è detenuta a San Vittore con sentenza di condanna a due mesi, passata in giudicato con un ordine di esecuzione emesso dalla Procura di Potenza, per un reato commesso nel gennaio 2004, per la violazione delle disposizioni dell’articolo 570 del Codice penale, cioè per non aver corrisposto all’ex coniuge gli alimenti. Per protesta, non ha voluto presentare istanza per i domiciliari perché, spiega l’avvocato, “la paradossalità, evidente ed inconfutabile, della vicenda risiede nel fatto che la mia assistita, che è pure la mia fidanzata, non ha mai ricevuto nessuna notizia o notifica relativa a questo ipotetico processo, non ha mai conferito mandato ad alcun difensore, oltretutto non vanta redditi di alcuna natura”. Elena Ferrante, quindi, per protesta, “rifiuta opzioni di domiciliari e quant’altro”: da qui la decisione dell’avvocato di rivolgersi al capo dello Stato per sottolineare “lo sforzo strenuo ed accorato di una donna, già madre vituperata nell’amore per le proprie figlie affidate in regime di separazione prima e divorzile poi”, nonostante l’esigenza di una consulenza tecnica d’ufficio che consigliava l’affidamento alla madre. Caccetta, il quale precisa di aver già interessato in passato l’Ufficio per gli affari e l’amministrazione della Giustizia e il Csm, chiede quindi al capo dello Stato la “sospensione della pena” e “l’assoluta cancellazione di un provvedimento e di un processo - se mai esistito - che pongono seri dubbi in merito all’esistenza stessa di Giustizia”. Fossombrone: Lunesu (Fli); detenuto sardo non vede familiari da 19 anni, trasferitelo Agi, 5 giugno 2013 Da 19 anni un cittadino sardo detenuto a Fossombrone, nelle Marche, non vede i suoi familiari, un vero e proprio dramma umano che vede impegnato anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il caso è stato portato all’attenzione del Consiglio regionale della Sardegna, dove a fine mattinata è approdata una mozione, prima firmataria Lina Lunesu del gruppo Fratelli d’Italia-Centrodestra Sardegna, sulla territorializzazione della pena, ovvero sul diritto dei cittadini sardi, già condannati o in attesa di giudizio, a essere detenuti nelle carceri isolane. “I detenuti sardi che scontano la pena fuori dall’Isola sono 160”, ha spiegato Lunesu, “e la cosa paradossale è che i sardi vengono mandati nella penisola, mentre in Sardegna stanno per arrivare 580 detenuti pericolosi in regime di 41 bis. Non solo: la paventata chiusura degli istituti penitenziari di Macomer e Iglesias mette a rischio, oltre agli oltre 80 detenuti, anche 65 agenti di polizia penitenziaria che hanno comprato casa e hanno famiglia in Sardegna. Per non parlare del fatto che per 12 carceri ci sono solo 6 direttori, presto 5 per un pensionamento”. La mozione sulle carceri sarà votata nel pomeriggio con parere favorevole della Giunta. Roma: Fp-Cgil; domani sit-in polizia penitenziaria, la protesta contro il sovraffollamento Dire, 5 giugno 2013 “Domani, dalle 14 alle 18, si terrà un sit-in di protesta dei dipendenti della Polizia penitenziaria davanti al Carcere di Rebibbia organizzato dalla Fp Cgil di Roma e del Lazio”. Così Fiorella Puglia e Paolo Camardella, segretari della Fp Cgil di Roma e del Lazio. “Nonostante le denunce - proseguono - la situazione delle carceri del Lazio continua a essere assolutamente vergognosa: tassi di sovraffollamento dei detenuti che, ormai, hanno raggiunto il 50% ( più di 7000 a fronte di 4834 posti di capienza regolamentare), a cui fanno riscontro pesanti carenze di organico degli agenti di polizia penitenziaria (-25% tra agenti previsti e agenti effettivamente presenti negli istituti di pena)”. “Non è più possibile continuare in questo modo - dicono i sindacalisti. Non è più possibile continuare a scaricare il problema su chi lavora in carcere, proponendo progetti irrealizzabili che prevedono la costruzione di nuove strutture senza la necessaria copertura finanziaria per la loro realizzazione. Riteniamo necessario utilizzare tutto il personale, anche quello in servizio presso gli uffici amministrativi per rinforzare gli organici degli istituti e, successivamente prevedere, in tempi brevissimi, un programma di assunzioni che possa colmare il vuoto di organico”. “Ma non basta – aggiungono. Una delle risorse strategiche per iniziare la ricostruzione di un sistema penitenziario civile, dignitoso e rispettoso del senso di umanità, sta nel personale dell’amministrazione penitenziaria. Anche qui, una politica miope, volta solo a far cassa, ha inciso notevolmente su tutte le professionalità riducendo drasticamente non solo gli organici dei dirigenti di istituto, ma anche quelli del personale del comparto ministeri. Parliamo, in particolare, di assistenti sociali ed educatori: per i primi nel Lazio si registra una carenza di 57 unità (60 su 117 ), per i secondi, invece, una carenza di 15 unità (97 su 112)”. “Proprio per denunciare questo stato di cose - concludono - invitiamo tutti i invita tutti i lavoratori della Polizia penitenziaria e del comparto ministeri a partecipare al sit-in di domani”. Roma: presidente Rai dona biblioteca a detenuti carcere minorile di Casal del Marmo Dire, 5 giugno 2013 “Mi auguro che i libri vi possano essere maestri e grazie a loro possiate costruirvi un vostro progetto di vita, fare un salto di qualità, acquisire consapevolezza, diventare cittadini attivi”. È l’augurio con il quale la presidente della Rai, Anna Maria Tarantola, si è congedata questa mattina dai ragazzi dell’istituto penale minorile di Casal del Marmo a Roma ai quali ha scelto di donare la piccola biblioteca avuta a sua disposizione quale vincitrice del Premio Menichella. Insieme al Ministro Annamaria Cancellieri, all’ex Guardasigilli Paola Severino, al capo del Dipartimento per la Giustizia minorile Caterina Chinnici e al direttore dell’Istituto Liana Giambartolomei, la Presidente della Rai ha visitato le aule scolastiche e i laboratori dove i ragazzi svolgono le attività formative. “Dai libri ho imparato il valore della curiosità, con i libri ho sviluppato immaginazione, sui libri ho scoperto il mondo, con i libri si viaggia senza spostarsi. Non sottovalutate il potere e la magia dei libri”, ha spiegato la Tarantola. Insieme ai volumi della piccola biblioteca messi a disposizione del vincitore del Premio Menichella dalla Fondazione Greco, la Presidente della Rai ha donato alla biblioteca dell’Istituto Casal del Marmo una scelta di libri editi da Rai Eri e ha ricordato la partnership tra Rai e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per il Premio “Goliarda Sapienza”. Cagliari: spazi, racconti e ricette dal carcere, una serata dedicata a Buoncammino www.comunecagliarinews.it, 5 giugno 2013 “Spazi, racconti e ricette dal carcere” vuole essere un momento di riflessione condivisa con il pubblico sulle carceri italiane e in particolare su Buoncammino, sulla sua presenza in città e sulla percezione da parte degli abitanti, sul suo rapporto con il territorio e sulla vita che si svolge al suo interno, attraverso una analisi che mette a confronto in maniera trasversale l’indagine architettonica e urbanistica, l’evoluzione della normativa in materia penale e il racconto, scritto e “cucinato”, di chi Buoncammino lo vive, in modi diversi, ogni giorno. L’iniziativa nasce dall’incontro tra gli organizzatori della rassegna Monster Train - Rassegna di percorsi nel fantastico (a cura di IF- Immaginario Fantastico e Illustra Kids) e il gruppo U-Boot paesaggio architettura ricerca autore e promotore del progetto Carcere Spazio Urbano, il confine tra Città e Periferia Penitenziaria. Il progetto ha preso avvio a Cagliari nell’Aprile del 2012 sotto forma di workshop, nell’ambito del Laboratorio di Partecipazione Politica, durante il quale ha iniziato a focalizzare la sua riflessione sulla realtà carceraria di Buoncammino e sul suo rapporto con il territorio: in previsione dello spostamento dei detenuti della Casa Circondariale di Buoncammino da Cagliari a Uta, ci si interroga infatti su quali debbano essere le caratteristiche qualitative degli spazi interni degli istituti penitenziari in relazione alla quotidianità, e, contemporaneamente, su quale sia il rapporto tra il Carcere e la Città rispetto al necessario legame che l’Istituzione deve avere con il Territorio al fine di garantire il reinserimento dei detenuti nel tessuto sociale e rendere la società capace di accoglierli al termine del loro percorso rieducativo. La ricerca è stata presentata al Padiglione Italia presso la 13. Mostra Internazionale di Architettura, Biennale Venezia 2012 nell’ambito di una giornata studio organizzata da U-Boot in collaborazione con 22Publishing e On Off Picture, durante la quale è stata lanciata online la piattaforma www.carcerespaziourbano.it. Pavia: spettacolo teatrale a Torre del Gallo, Calypso presenta “Gli sguardi sulla città” La Provincia Pavese, 5 giugno 2013 “Gli sguardi sulla città”, il progetto di Calypso finanziato con il contributo di Regione Lombardia farà tappa venerdì 7 giugno al teatro del carcere “Torre del Gallo” di Pavia. Si tratta di uno spettacolo in evoluzione, un’opera fluida e permeabile a nuovi apporti a partire dalla ricerca teatrale condotta da un gruppo di artisti di varia provenienza residenti a Pavia. Il progetto si propone di dar voce, ascoltare, apprendere e mettere in circolo sia competenze artistiche e creative, sia storie raccolte dagli stranieri residenti a Pavia e provincia. Lo spettacolo del 7 giugno, in particolare, vuole dar voce alle storie di un gruppo di detenuti di origine straniera che nei mesi scorsi hanno collaborato con gli operatori di Calypso. Nel corso di alcuni incontri sono emersi così racconti legati ai paesi di origine degli interlocutori (Ecquador, Romania, Albania, Tunisia, Perù), storie di viaggio, riflessioni sulla vita, l’amore e le relazioni umane. Storie che gli attori degli Sguardi hanno rielaborato drammaturgicamente e trasformato nello spettacolo che venerdì prossimo verrà offerto ai detenuti i e ai rappresentanti delle associazioni che lavorano in carcere. I detenuti diventano attori, spettacolo a S. Pietro Martire Carcere: l’istituto diretto da Davide Pisapia ha proposto uno spettacolo teatrale intitolato “Terra e acqua”. Diretti da Mimmo Sorrentino, nove detenuti in regime di media sicurezza hanno avuto la possibilità di recitare al di fuori delle mura, intrattenendo il pubblico che ha riempito la chiesa di San Pietro Martire. “È stato un evento unico nel suo genere - commenta Pisapia - mai proposto in tutta Italia. Sorrentino ha fatto un lavoro eccezionale, soprattutto sugli stessi detenuti che, studiando per questo spettacolo, hanno avuto spunti di riflessione, di ricerca su di sé, di elaborazione della propria storia. Non ho ancora avuto commenti diretti dal Ministero della Giustizia, ma, prima dell’evento ho parlato con il vice capo dipartimento che mi ha fatto il suo “in bocca al lupo” e mi ha esortato a proseguire su questa strada”. E infatti, un’idea per il futuro è già in programma. “Stiamo valutando - conclude il direttore del carcere - di ripetere lo spettacolo, magari anche con altri detenuti ma sempre con l’aiuto di Mimmo Sorrentino, al teatro dell’Elfo di Milano. Ovviamente è ancora tutto quanto in fase di progettazione”. Busto Arsizio: “Fuggi Fuggi”, la corsa che fa “evadere” i detenuti www.legnanonews.com, 5 giugno 2013 Il nome è già tutto un programma: “Fuggi Fuggi”, è la corsa non competitiva che ormai da 5 anni rappresenta un momento di svago e di “evasione” per i detenuti del carcere di Busto Arsizio, tra i più sovraffollati d’Italia. L’iniziativa, che si è ripetuta ieri pomeriggio (martedì 4 giugno) nel cortile della casa circondariale di Via per Cassano è organizzata dalla Uisp (lo sport per tutti) di Varese e insieme ad una sessantina di carcerati hanno corso anche 27 podisti delle società sportive del territorio. “Un ponte di amicizia tra chi sta fuori e chi vive dentro al carcere”, spiega Alessandra Pessina della Uisp. Oltre alla corsa di resistenza è stata organizzata anche una staffetta con cinque squadre iscritte che si è svolta in un bel clima di amicizia e spirito di squadra. A tagliare per primo il traguardo è stato Murad N’Saibi, marocchino in Italia da vent’anni, di cui 5 mesi al carcere di Busto Arsizio: “La corsa è per me una passione - ha raccontato l’uomo subito dopo avere tagliato il traguardo - Questa è una bellissima iniziativa. L’attività fisica fa ancora più bene in carcere, perché così la sera, stanchi, non pensiamo alle brutte cose”. Cinema: “Il Riscatto”, di Giovanna Taviani, dal carcere al set per capire cos’è la libertà di Emanuela Genovese Avvenire, 5 giugno 2013 “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguire virtute e canoscenza”. Con “Il Riscatto” Giovanna Taviani, figlia di Vittorio e nipote di Paolo, centra una domanda carica di senso. Può l’uomo condannato dalla società e dalle sue stesse mani, prigioniero dei suoi delitti, trovare un riscatto nell’arte? Da anni il cinema e il teatro si fanno portatori di questa realtà. Basta pensare al lavoro svolto dalle compagnie teatrali, nel silenzio e nel dolore delle carceri: le più “famose”, capaci anche di dare un’altra vita a questi uomini, la Compagnia Teatrale di Volterra (fondata da Armando Punzo nel 1988) e la Compagnia dell’Alta sicurezza di Rebibbia (voluta da Fabio Cavalli). Viaggio metaforico alla ricerca della redenzione, “Il riscatto” è interpretato da Salvatore Striano, il protagonista di Cesare deve morire, nei panni di se stesso. Un uomo rinato grazie all’arte che si ritrova nei vicoli di San Miniato (il paese natale dei Taviani) a contatto con persone che ricordano la Resistenza e Pier Delle Vigne. Presentato nella sezione Short film corner del Festival di Cannes Il riscatto, dopo la partecipazione all’Open Roads - New Italian Cinema, sarà proiettato nell’ambito del festival Libero Cinema in Libera Terra, organizzato da Libera, l’unica Ong italiana tra le prime 100 nel mondo nella classifica internazionale di The Global Journal, che promuove la lotta alle mafie e la legalità e la giustizia. Giovanna Taviani, regista e scrittrice, racconta ad Avvenire la genesi del film. Da dove nasce l’idea de “Il riscatto”? Ho incontrato Salvatore Striano per la prima volta alla proiezione ufficiale di Cesare deve morire, durante il Festival di Berlino. Mio padre e mio zio mi avevano parlato a lungo di Salvatore, un talento eccezionale. Mi raccontarono un aneddoto che mi colpì: Striano, durante le riprese del film, confidò che non riusciva ad addormentarsi quando arrivava la notte. E l’unica soluzione era quella di leggere il teatro e Shakespeare. Si addormentava sognando di vivere quelle storie e di diventare quei personaggi. Con la speranza di non risvegliarsi nella sua grigia cella. Colpa. Perdono. Una vita nuova. Su cosa ha focalizzato il racconto del film? Striano una volta mi disse: “Solo quando recito riesco a perdonarmi”. Ora è un uomo nuovo, anche se pesa ancora la condanna di 17 anni per i reati di camorra. Gli applausi, che lui ha ricevuto e riceve, sono per quell’uomo nuovo, che con il suo talento si è allontanato dal passato. Durante il festival di Berlino una spettatrice italiana, da anni trasferita in Germania, ha fermato Striano per dirgli: “Sono fiera di essere italiana perché ci sono persone come te”. La vita di Striano dimostra che un uomo, attraverso l’interpretazione di ruoli universali e di opere che raccontano tradimento, bugia, pentimento e vendetta, può davvero diventare un’altra persona. Nel film il mondo di Striano si unisce alla storia di San Miniato, il paese dove è ambientato “La notte di San Lorenzo” dei fratelli Taviani. La vera scintilla che ha messo in moto Il riscatto è stata quella di mettere a confronto due mondi diversi, lo squallore del carcere e della camorra contro i paesaggi artistici e naturali di San Miniato. Dalla cella di Arezzo, dove furono uccisi tre partigiani, nasce un dialogo immaginario sul senso della morte per la libertà e sull’inferno della cella. Dialogo che ha il suo culmine nell’ascesa dei 120 scalini della rocca di San Miniato, il punto più alto della città e luogo leggendario dove fu rinchiuso Pier Delle Vigne, che si tolse la vita per non aver sopportato l’onta del carcere. Ho scritto cinque finali in sceneggiatura perché cercavo la fine adatta per il film che considero un apologo di un uomo in lotta con se stesso: la salita verso il futuro, piena di rimorsi e di ricordi. Ho potuto realizzare questo film con un’operazione a basso budget, grazie all’impegno costante di tutta la troupe, e specialmente grazie al direttore della fotografia Duccio Cimatti e al montatore Benni Atria. Libri: “Carceri, lo spazio è finito”, di Maria Falcone… i detenuti negli spazi troppo stretti di Andrea Gagliarducci La Sicilia, 5 giugno 2013 “In carcere si sconta una pena e si vive-sopravvive con regole imposte e con persone che non conosci”. Comincia così il racconto di una giornata tipo redatta da un detenuto del carcere di Monza. A raccogliere la sua testimonianza, Maria Falcone, che ora è docente di scuola carceraria presso la Casa di Reclusione di Rebibbia, a Roma. Ma che ha anche ideato un percorso pedagogico nel carcere di Monza, ovvero una formazione pluriennale finalizzato all’elaborazione della pena. E che da queste sue esperienze ha tratto un libro, “Carceri: lo spazio è finito” (Edizioni Infinito). È nel libro che è contenuta la descrizione della giornata del detenuto del carcere di Monza. Ma c’è anche molto altro. Ci sono le cifre di un sovraffollamento carcerario che viene censito ormai anche dall’Europa. Perché in Italia, al 31 ottobre 2011 - denuncia Maria Falcone, dati del centro studi Ristretti Orizzonti alla mano - c’erano 67.428 detenuto per 45.817 posti. Ma di questi 28.564 sono in custodia cautelare, dunque ancora in attesa di giudizio. Poco, però, è stato fatto in questi anni. Nel 2010, è stata promulgata la cosiddetta legge “sfolla carceri”, che permetteva ai detenuti di scontare l’ultimo anno di pena ai domiciliari. Ma questa - scrive Maria Falcone - “sebbene sia stata estesa da un anno a diciotto mesi, ha una breve scadenza, e finora non ha sortito gli effetti sperati perché molti detenuti non hanno un domicilio fisso”. E poi, “la mancanza di personale nelle carceri rallenta tutto l’iter procedurale”. Ma queste sono già le fasi conclusive di una riflessione che si avvia a partire dal caso di Enrico “Chico” Forti, un produttore di documentari italiano condannato all’ergastolo in Florida per l’omicidio di Anthony “Dale” Pike. Il processo durò due anni, e non emersero prove concrete. Nonostante tutto, una giuria popolare della Dade County di Miami ritenne l’italiano colpevole. E non c’è stato modo di far istruire di nuovo il processo. In Italia, una presa di posizione politica sul caso è avvenuta solo nel 2012, ad opera dell’allora ministro degli Esteri Giulio Terzi Sant’Agata. Maria Falcone dedica il libro a Chico. Ma non perché come lui è condannato ingiustamente, così tanti sono condannati ingiustamente in Italia. Bensì perché “così come forti si trova prigioniero, in un carcere duro, situato nelle paludi delle Everglades, in Florida, infestate da alligatori, allo stesso modo i prigionieri italiani si trovano nelle carceri costipate da brande strette nei pochi metri quadrati di una cella buia, ormai ingrigita dal logorio nel tempo”. Comincia da qui il viaggio di Maria Falcone in quelle che sono le crude cifre del sovraffollamento delle carceri italiane. Un viaggio accompagnato dal testo di una lettera aperta che 120 giuristi hanno indirizzato al presidente Napolitano nel giugno del 2012, in cui mettevano a nudo tutti i problemi delle carceri italiane. Stati Uniti: ultime notizie da Guantánamo… la “lista” di Obama e l’appello dei detenuti di Andrea Camboni www.osservatorioiraq.it, 5 giugno 2013 C’è qualcosa di più odioso di una detenzione illegale che dura da oltre 12 anni? Una lista di coloro che possono essere rilasciati mentre gli altri sono destinati a restare (illegalmente) nel supercarcere americano. Che l’amministrazione Obama annunci l’intenzione di rivolgere le attenzioni dell’anti-terrorismo all’interno dei confini americani è un segnale di intelligenza e opportunismo. Andare a cercare il terrorista nel mezzo di ogni deserto non è stata finora un’opzione che ha pagato. Tuttavia, sono quasi 12 gli anni trascorsi dagli attentati di New York del settembre 2001. Un pò troppi per prendere coscienza del fatto che il ‘nemicò è dentro da tempo. Gli occhi sono rimasti troppo a lungo puntati sugli schermi radar dei droni per accorgersi di quanto stava accadendo fuori dal videogioco. L’ha capito anche il capo militare di al Qaeda nella Penisola araba, che in un “audio-lettera agli americani” schernisce gli Stati Uniti con quelle che, in primo momento, potrebbero sembrare minacce. In realtà si tratta di un’analisi dura e cruda che l’intelligence americana avrebbe dovuto lasciare sopra alla scrivania della stanza ovale. “Gli eventi di Boston e le lettere avvelenate, a prescindere da chi siano gli autori, dimostrano che la vostra sicurezza non è più sotto controllo e che gli attacchi contro di voi sono cominciati e non potrete fermarli - scrive il capo di Aqap, Qassim al-Rimi - Ogni giorno sarete colpiti da eventi inattesi e i vostri leader non saranno in grado di difendervi”. E potrebbe essere questo il motivo del rinnovato mea culpa di Washington rispetto alla situazione della prigione di Guantánamo. Un sentimento carico di possibilismo, ma che fatica ad esprimersi concretamente, come se si avesse il timore di mandare proprio in questo momento un segnale di debolezza e rilassamento di fronte all’ennesima mutazione de “la base” che diversi analisti hanno già ribattezzato ‘al Qaeda 3.0’. Il presidente Obama, che dice di volersi sbarazzare del problema il più rapidamente possibile ha ordinato a tutte le agenzie federali di studiare la situazione al fine di trovare una via di uscita per tutte quelle ‘questionì che restano ancora in sospeso. L’analisi accurata, da elaborare nel più breve tempo possibile - come richiesto dall’inquilino della Casa Bianca - rischia però di essere una toppa peggiore del buco. Perché il problema principale, decisa una volta per tutte la chiusura del carcere di Guantánamo, è cosa fare dei 166 prigionieri che ancora si trovano nella struttura. Mentre per 80 di loro si potrebbero aprire le porte del sistema giudiziario americano, gli altri 86 prigionieri rappresentano un vero grattacapo. In realtà, la soluzione è nel problema. Sono una minaccia per gli Stati Uniti? È probabile (soprattutto dopo il trattamento subito). Eppure non ci sono prove legali a loro carico. Nessun tribunale americano inscenerebbe un processo sulla base di confessioni estorte con quella che si fa fatica a chiamare tortura. La stessa che ha convinto 130 ospiti di Gitmo a portare avanti uno sciopero della fame che ormai si protrae da oltre 100 giorni. Una protesta dei prigionieri contro le condizioni di vita nella struttura detentiva che imbarazza una volta di più il governo degli Stati Uniti. “Non voglio morire, ma sono disposto a correre il rischio che io possa finire in questo modo. Perché voglio protestare contro una detenzione che dura da oltre un decennio, senza una prova, sottoposto a trattamenti inumani e degradanti, e senza la possibilità di accedere alla giustizia”. Inizia con queste parole la seconda lettera indirizzata agli americani pochi giorni dopo il messaggio audio di al-Rimi. Il documento, firmato da 13 detenuti (9 di proprio pugno, 4 per mezzo dei loro avvocati), chiede l’avvicendamento dell’attuale staff sanitario inviato da Washington, medici ed esperti in grado di alimentare in maniera forzata i detenuti, con un team di dottori imparziali non alle dirette dipendenze del governo federale e dunque liberi di stabilire il trattamento più idoneo alle condizioni di salute dei prigionieri. “Non dimenticherò mai quando mi hanno inserito una sonda nel naso. - si legge nel resoconto di un prigioniero di Guantánamo, Samir Naji al Hasan Moqbel, consegnato il mese scorso al New York Times - Arrivano due volte al giorno, mi prendono e mi legano a una sedia e mi alimentano in modo forzato. All’inizio ho provato a ribellarmi ma non c’è niente da fare. Non riesco a descrivere quanto sia doloroso essere forzato in questo modo: hai voglia di vomitare ma non puoi”. Un paradosso, visto che la procedura di alimentazione forzata viene giustificata sull’esempio dei protocolli in vigore nelle carceri federali. “Non permetteremo ai detenuti di danneggiare se stessi - ha detto nei giorni scorsi portavoce del Dipartimento della Difesa, il colonnello Joseph Breasseale. Non con le armi, non con i farmaci, non tramite inedia autoimposta fino alla morte. La pratica dell’alimentazione enterale, invece, è confermata da numerosi tribunali degli Stati Uniti”. Peccato che per le leggi di quello stesso sistema giuridico la maggior parte dei prigionieri di Guantánamo non dovrebbe neanche trovarsi lì. C’è elettricità nell’aria. È iniziato il gioco delle indiscrezioni e delle smentite. Forse per non irritare ulteriormente i conservatori del Grand Old Party, maggioranza alla camera dei Rappresentanti, preoccupati del nuovo equilibrio tra sicurezza nazionale e libertà individuali che il cambio di direzione dell’amministrazione statunitense vorrebbe imprimere al suo secondo mandato. Anche per questo Obama non entra nello specifico circa i tempi delle operazioni di trasferimento dei detenuti, di una moratoria sul divieto di trasferire detenuti yemeniti nel loro paese (56 detenuti considerati non coinvolti in atti di terrorismo), della nomina di un supervisore per coordinare il rilascio di una trentina di prigionieri considerati non pericolosi. Il primo giugno scorso si erano rincorse le voci di un trasferimento dal carcere militare statunitense di Guantánamo di due prigionieri mauritani che, secondo Hamoud Ould Nabagha, direttore del Committee for Guantánamo Prisoners, erano stati consegnati alle autorità di Nouakchott. Il Pentagono smentisce, nessuno è stato rilasciato dall’ottobre del 2012, anche se la fonte è molto precisa riguardo la dinamica del trasferimento. Mohamedou Ould Slahi e Ahmed Ould Abdel Aziz sarebbero arrivati a bordo di un aereo militare statunitense nella notte tra il 31 maggio e il primo giugno, consegnati a poliziotti mauritani che li avrebbero preso in consegna portandoli in una località segreta. Francia: il governo destina 33 milioni di € per rendere le carceri più sicure Ansa, 5 giugno 2013 Il sistema di sicurezza delle carceri francesi sarà rafforzato, grazie ad un investimento pari a € 33 milioni. Grazie a misure quali: 1) l’introduzione di dispositivi all’avanguardia in 19 istituti detentivi, allo scopo di rilevare visivamente, nel corso di un’ispezione, prodotti che una persona porta con sé, anche quando nascosti tra i vestiti e la pelle. 2) La fornitura di migliaia di metal detector, anche portatili, per individuare oggetti metallici a disposizione dei detenuti. 3) Il rafforzamento dei dispositivi di controllo contro i lanci di oggetti (principalmente dall’esterno all’interno del carcere), “vero flagello per oltre dieci anni”. La manovra, annunciata dal ministero della Giustizia d’Oltralpe, giunge le numerose manifestazioni ed appelli da parte dei direttori e del personale carcerario. Arabia Saudita: pena di morte, decapitato un pakistano accusato di narcotraffico Aki, 5 giugno 2013 È stata eseguita per decapitazione in Arabia Saudita la condanna a morte comminata a un cittadino pakistano condannato con l’accusa di narcotraffico. Lo riferisce l’agenzia di stampa ufficiale saudita Spa, che riporta una nota del ministero dell’Interno di Riad. La condanna è stata eseguita a Qatif, nell’est del regno. Da gennaio in Arabia Saudita sono state eseguite almeno 50 condanne a morte. Nel 2012, secondo Human Rights Watch, nel regno sono stati messi a morte almeno 69 detenuti. Omicidio, stupro, apostasia, rapina a mano armata, oltre al traffico di droga, sono i reati che nel Paese vengono puniti con la pena di morte.