Il Museo Veneto del Giocattolo e i Nonni del cuore in carcere Il Mattino di Padova, 3 giugno 2013 Il Museo Veneto del Giocattolo è nato nel 2006 con l’obiettivo di conservare e valorizzare i giocattoli presenti, che sono la collezione più ampia di giocattoli nel Veneto, con pezzi unici che tracciano la storia del giocattolo da fine Ottocento agli anni Settanta del Novecento. La collezione continua a crescere grazie alla generosità e alla passione di alcuni collezionisti. I giocattoli, conservati ed esposti nelle sale del Museo, rappresentano un’importante testimonianza artistica e artigianale, ma soprattutto ricoprono un ruolo fondamentale nella valorizzazione della dimensione della memoria e della relazionalità tra generazioni. Proprio per questo, si è voluto collocare il Museo nell’ambito del complesso “Civitas Vitae”, un Centro Polifunzionale della Fondazione Opera Immacolata Concezione in cui si trovano i cardini della cultura della longevità attiva, della ricerca e dell’innovazione tecnologica. In questo contesto, un gruppo di persone dell’Associazione Agorà, Laboratorio Terza Età Protagonista, appositamente formate, collabora con il Museo al fine di integrare la dimensione della relazione con quella della memoria a partire da un ricordo creativo stimolato dal giocattolo. L’apporto delle persone longeve, i Nonni del Cuore, è quello di trasmettere una memoria che conserva l’esperienza passata e la restituisce alle generazioni future. Il Museo Veneto del Giocattolo organizza visite guidate aperte alle scuole del territorio e i laboratori intergenerazionali con il supporto dei Nonni del Cuore. La conoscenza della Cooperativa AltraCittà, che gestisce la biblioteca, il laboratorio di Legatoria e quello di digitalizzazione e una attività di Rassegna Stampa nelle carceri padovane, è nata grazie al Direttore del Museo Gianluigi Iessi, cliente da tempo del negozio che a Montà vende i prodotti di cartotecnica e legatoria realizzati dai detenuti. La visita dei Nonni del Cuore ai laboratori creativi interni alla Casa di reclusione ha aperto delle possibilità di scambio molto significative. Coinvolgente e toccante è stata soprattutto la conoscenza degli “ospiti” che frequentano gli spazi culturali e che trovano gioia nonostante le condizioni sociali e ambientali difficili. La visita ha lasciato un segno indelebile e significativo in ognuno e soprattutto ha fatto comprendere che la speranza nel cambiamento è sempre fonte di salvezza anche nei momenti più complicati. Donatella De Mori I “nonni del cuore” raccontano la loro visita al carcere di Padova Mi era capitato di riflettere sulla perdita della libertà, ma era una riflessione vaga basata su articoli sui giornali o resoconti televisivi. Passivamente la trovavo giusta come punizione. Entrare in un vero carcere è tutt’altro. La prassi del controllo documenti sembra normale, come in aeroporto, però quando parti per una vacanza non hai il senso della costrizione come è accaduto oggi. Qui l’aria è diversa, entri e per quanto sia grande e colorato il corridoio le sbarre alle finestre rendono tangibile il “limite”. Abbiamo parlato con alcune persone che da anni vivono qui, prive della libertà. Questo è il peggio della condanna. Solo un lavoro, un impegno anche piccolo può ridare loro la dignità della persona, farli sentire utili, vivi. Purtroppo il lavoro, la piccola occupazione è un privilegio per pochi. Altri uomini che non vediamo, ma di cui ci parlano, in carcere hanno perso la voglia di reagire, di vivere. Poco mi ci è voluto per fare un riferimento a quanto è capitato a me. Quando sono andata in pensione ne avevo fin troppa di libertà, ma libertà senza un progetto, un programma, non è vita! Ho rischiato, passata l’euforia dei primi mesi, di cadere in un baratro negativo. Sentivo la mancanza di impegni veri che dessero il senso al passare dei giorni, per non ritrovarmi ad essere ormai solo un numero nelle statistiche, essendo passata alla categoria longevi. Non mi mancavano però gli amici e con il passaparola ho ritrovato la volontà di reagire, niente medicine (l’alternativa offerta a tanti), riprendere la dignità data da un impegno verso gli altri, la bellezza di un lavoro che non ha bisogno di un riconoscimento economico. Chissà forse in futuro, potrà il carcere aprire le porte ad organizzazioni di volontariato che portino progetti di occupazione, anche piccoli. Potremo così collaborare con questi uomini per aiutarli a ritrovare se stessi, a capire i loro errori (se ce ne sono stati), ma a riprendere a vivere! Alessandra Molto interessante l’attività che viene svolta in carcere e molto costruttiva dal punto di vista etico. Le persone recluse possono elaborare gli errori commessi per un’uscita futura normale e questo aiuta ad avere speranza nel futuro. Ferdinando Grazie per avermi dato l’opportunità di entrare in un carcere, una realtà che mi ha sempre angosciato. È stato bello vedere che l’uomo anche se privo di libertà continua a guardare avanti, sperare, credere, lottare. Auguro una maggiore attenzione e umanità verso questa realtà. Teresa Grazie per avermi permesso di visitare la Casa di reclusione, un luogo che mi ha profondamente commosso. Anche chi ha sbagliato, deve avere una speranza nel futuro, e un presente dignitoso, realizzabile con la lettura e attività creative. Maria Grazia È stato un incontro che ha dato adito a una quantità di riflessioni e discussioni tra di noi. È emerso che è un’opera di grande portata quella che la cooperativa sta facendo con le persone detenute che abbiamo conosciuto, e allo stesso tempo non possiamo fare a meno di pensare a tutti quelli che non sono impegnati in qualche progetto, che purtroppo sono la grande maggioranza. Ancora una volta abbiamo l’esempio eclatante di quanto una base culturale sia importante in tutti gli ambienti e in qualsiasi tipo di comunità. Questo concetto dovrebbe essere ribadito ai giovani mettendo davanti a loro l’esempio dei detenuti che nelle situazioni più estreme, se sanno più degli altri, possono risollevarsi, almeno in parte, da un destino non certo amico. Magda e Francine Per i detenuti, i nonni del cuore sono fonte preziosa per nuove riflessioni Carissimi nonni del cuore, oggi è stata per noi tutti una giornata meravigliosa: la vostra visita ha dato a noi detenuti che frequentiamo la redazione di Ristretti Orizzonti una ventata di libertà, la libertà che abbiamo carpito dai vostri teneri sguardi (occhi di chi la vita l’ha vissuta e la vive regalando se stessi agli altri che vivono un’esistenza spesso in salita); la libertà di sognare per un attimo di essere accolti in quell’abbraccio di tenerezza che solo i nonni sanno dare e che alcuni di noi non hanno mai potuto ricevere. C’è chi tra di noi ha letto nei vostri visi un invito a non mollare mai. La prima cosa che ci viene in mente è la fortuna che hanno tutti quei bambini che vi conoscono, come nonni o come “nonni adottivi”, questa fortuna non dovrebbe essere per pochi bimbi ma per tutti, in quanto loro sono il cuore del presente e gli occhi del futuro. Vi mandiamo i nostri GRAZIE perché di loro vi prendete cura, per i vostri sorrisi che ci illuminano il cammino, GRAZIE perché la vostra visita non è stata una “gita nel carcere” ma un piccolo viaggio dentro i nostri cuori, dove se ce lo permettete vi stringiamo con tenerezza ed un mare d’affetto. Giuliano, Pasquale e Alessandro - TG Due Palazzi Un’occasione importante Cari nonni del cuore, l’incontro fra noi detenuti della Casa di Reclusione Due Palazzi e la vostra speciale rappresentanza, ci ha molto gratificato e resi un po’ orgogliosi di questa singolare opportunità di confronto, di scambio e di attenzione al sociale. È stato generoso riscoprire ancora una volta che senza rumore, senza il bombardamento dei media, esistono persone che continuano a seminare cose belle, che si sforzano di spendere il proprio tempo con logica positiva. È stata una singolare lezione di vita che ha fatto riflettere e spronato anche noi “ristretti” ad un maggiore utilizzo delle nostre capacità verso noi stessi e quanti ci stanno intorno. Vi auguriamo di continuare, e se possibile anche di allargare la vostra attenzione a quanti attendono in silenzio il vostro supporto. Ci auguriamo anche di poter iniziare una collaborazione attiva, tramite la Cooperativa Sociale AltraCittà, su temi di reciproco interesse. Gianpaolo, Massimo, Corrado, Stefano, Flavio Le persone sagge e mature ti danno una forza incredibile Vorrei rivolgere un grazie alle persone che ci hanno visitato in carcere. È stato un incontro utile e interessante perché ogni volta che incontro dei signori e signore saggi e maturi, vedo che mi danno una forza incredibile, loro non hanno pensato di stare fermi a godersi le loro pensioni ma hanno creato un progetto bellissimo: il Museo del Giocattolo. L’intervento di una signora di 65 anni mi ha fatto riflettere: anche se si sta chiusi tra quattro mura c’è bisogno di andar avanti e non arrendersi al tempo che passa. Grazie, siete una forza della natura! Bel Hassen Giustizia: la condizione inumana dei detenuti in Italia di Ilaria Sulla www.laperfettaletizia.com, 3 giugno 2013 Dopo la sentenza della Corte di Strasburgo è tornata a galla una polemica che investe tutto il nostro Paese, da nord a sud: il sovraffollamento delle carceri e soprattutto i trattamenti inumani nei confronti dei detenuti. Ma come siamo arrivati a questo, e perché? La situazione che caratterizza la carceri italiane è da diverso tempo una delle peggiori. Sembra scontato, ma la causa principale è il sovraffollamento che, portando le carceri a riempirsi oltre il possibile, crea una situazione ai limiti della legalità. Data la pericolosità raggiunta dal fenomeno, la Corte di Strasburgo si è pronunciata attraverso una sentenza punitiva che obbliga l’Italia al pagamento di 120milioni di euro e la rende "sorvegliata speciale". Le motivazioni di tale emergenza sono da ricercarsi principalmente nei nuovi reati (o per meglio dire nelle nuove leggi che creano reato), come i crimini per droga e clandestinità. E' facile intuire che i clandestini, talvolta costretti a delinquere a causa della mancanza di lavoro, aggravano pesantemente la situazione del sovraffollamento carcerario, destabilizzando ulteriormente una situazione di per sé precaria. La risposta più ovvia all'emergenza carceri sarebbe quella di costruire nuovi Istituti penali per smistare i detenuti e migliorare le loro condizioni di vita, ma ovviamente non è così automatico: bisogna ricordare che il carcere è solo una metà della soluzione e resta incompleta se non è accompagnata da una buona rieducazione del detenuto. Scandalosamente non solo i soldi per la costruzione di nuove carceri sono pochissimi, ma mancano gli addetti al lavoro di recupero, il che rende molto difficile uscire da questo tunnel infinito di dolori e privazioni. Per fare un esempio, qualcosa di singolare avviene a Torino, dove si è arrivati ad avere una guardia carceraria ogni 150 detenuti; questo ha portato i dipendenti a ribellarsi e a chiedere le dimissioni del direttore del carcere. Nel 2010 quasi tutte le grandi regioni italiane ospitavano più detenuti rispetto alla reale capacità delle strutture: in Sicilia 8.054 su 5.193, in Lombardia 9.093 su 5.667, nel Lazio 6.294 su 4.614. Inoltre, è interessante notare come la Sicilia, nonostante il numero dei suoi abitanti si aggiri intorno ai 5milioni, presenti il maggior numero di Istituti penitenziari; al contrario la Lombardia, con quasi il doppio della popolazione, è la regione che offre il minor numero di carceri. Purtroppo, in questo caso dobbiamo dare ragione agli stereotipi, perché i dati indicano che la concentrazione di criminalità in un territorio è più influente del numero di abitanti. Solo in Lombardia, su circa 9mila detenuti quasi 4mila sono stranieri. Secondo uno studio di Marco Rizzonato, effettuato dal 1990 fino al 2010, il ruolo degli stranieri è determinante: “Quando si dice che il sovraffollamento delle carceri è dovuto agli stranieri – ha scritto, riscontriamo che il dato è vero, in quanto con la sola presenza degli italiani saremmo giusti come posti”. Molte testate giornalistiche hanno insistentemente denunciato la situazione in cui riversano le nostre carceri, ma una scelta in merito è necessaria da parte del Ministero della Giustizia, ad oggi incarnato nella persona di Annamaria Cancellieri, che ha dichiarato: “Per risolvere il problema non bastano nuove carceri, ma bisogna ripensare il sistema delle pene, valutando se ci sono spazi per quelle alternative”. L’8 gennaio scorso, la Corte di Strasburgo ha emesso la sentenza di condanna per trattamento inumano nei confronti di sette detenuti. A questa è seguito un ricorso presentato alla Presidenza del Consiglio. L’Unione Camere Penali ha commentato: “Una decisione che ci lascia stupefatti, dal momento che è lo stesso Stato - a partire dal Presidente della Repubblica, per passare dal Ministro della Giustizia e finire al capo dell'Amministrazione Penitenziaria - che nel corso di questi mesi ha più volte riconosciuto che quella sentenza non faceva altro che fotografare una realtà”. Giustizia: ministro Cancellieri; andiamo verso una importante attività di depenalizzazione Agi, 3 giugno 2013 Il provvedimento che prevede misure alternative alla detenzione continua il suo percorso e si arricchisce di nuovi strumenti. Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, a margine di una visita al carcere di Bollate, ha assicurato che nuovi “innesti” sono stati fatti sul provvedimento firmato dal suo predecessore, il ministro Severino. Tra questi “una importante attività di depenalizzazione - ha detto il Guardasigilli - e una serie di provvedimenti che richiedono molto e composito impegno”. “Il ministro Severino aveva già fatto un provvedimento - ricorda Cancellieri - che aveva passato il vaglio della Camera e della Commissione Senato. Quel provvedimento ha già ripreso il suo cammino in Parlamento. Ci stanno già lavorando”. Ed è proprio quel testo che è stato adesso arricchito dal nuovo ministro della Giustizia: “In quel provvedimento abbiamo innestato altri provvedimenti e stiamo mettendo a punto altri strumenti, perché quella è una via molto significativa”. Quanto agli strumenti prescelti come misure alternative alla pena, il guardasigilli spiega che “c’è da fare un ampio esame, che non si può fare in un giorno. È una cosa che richiede un’attività di studio che va condivisa con tutti gli operatori del diritto”. Giustizia: ministro Cancellieri; il carcere di Bollate... è un modello da esportare Agi, 3 giugno 2013 Nella Casa di reclusione di Bollate c’è il maneggio, ci sono gli orti, le terre, laboratori di vario tipo, una radio e un giornale. Molte attività lavorative, culturali e sportive a vantaggio dei detenuti. Un vero esempio nel panorama degli istituti penitenziari, un modello straordinario che dobbiamo esportare, dice il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, al termine di una lunga visita durata circa tre ore. Questo modello “è il modo più umano, intelligente e civile - ha sottolineato il Guardasigilli - per dare risposte al mondo del carcere. Sono venuta per questo, per conoscere e poi diffondere”. Il ministro della Giustizia si dice colpita dalla passione che questa mattina ha trovato al carcere di Bollate: “La passione a tutti i livelli. Mi ha colpito il sentimento di appartenenza. Qui c’è il senso di svolgere un compito particolare”. Adesso l’impegno dovrà essere quello di far conoscere l’esempio del carcere di Bollate e la cultura che c’è alla base dell’organizzazione di questo istituto di pena dove c’è un sistema di partecipazione che vede il detenuto protagonista. Lucia Castellano: segno rassicurante la visita del Ministro a Bollate “Sono molto contenta che tra i primi impegni istituzionali del nuovo Ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, ci sia la visita al carcere di Bollate”, ha affermato Lucia Castellano, ex direttore del carcere di Bollate e vicepresidente della Commissione speciale carceri in Regione Lombardia, che prosegue: “La visita del Ministro Cancellieri al carcere di Bollate è un rassicurante segno di attenzione del governo sulla situazione delle carceri lombarde”. Come Commissione carceri faremo il possibile per restituire ai detenuti una vita dignitosa e tutte le opportunità che la legge consente per il loro inserimento nella società”. Qualche giorno prima, il capogruppo regionale della Lista Ambrosoli aveva, in merito all’argomento, aveva sostenuto: “Il carcere deve essere l’extrema ratio e non la prima risposta ai reati minori”, dicendosi d’accordo con il ministro Cancellieri, per la quale “le carceri italiane sono indegne di un paese civile”. In una nota, Castellano puntualizza: “Dopo vent’anni di lavoro all’interno degli istituti penitenziari desidero offrire il mio contributo per cercare soluzioni a questo problema. La prima azione spetta al governo con l’ abolizione delle leggi: Bossi-Fini, Fini-Giovanardi e ex Cirielli, riportando così il carcere ad essere l’extrema ratio e non la prima risposta ai reati minori. Come peraltro ribadisce la Costituzione”. Infine, Lucia Castellano conclude: “La seconda azione spetta all’amministrazione penitenziaria, aprendo le celle ai detenuti cosiddetti comuni, come già avviene da diverso tempo nel carcere di Bollate”. Sappe: realtà italiana ben diversa da quella di Bollate “Vorremmo sommessamente ricordare alla Ministro della Giustizia Cancellieri, che oggi ha parlato come quella del carcere di Milano Bollate sia una realtà da esportare, che una rondine non fa primavera’ Le carceri in Italia sono 206 (7 istituti per misure di sicurezza, 161 case circondariali e 38 case di reclusione) e sono quasi tutte in ben altre pessime condizioni di Bollate, per cui citare l’esperienza e la realtà del carcere milanese avulso dalla complessiva realtà penitenziaria italiana vuol dire fornire una visione appunto fuorviante del sistema carcerario italiano. Bisogna tenerlo bene in mente se si vuole davvero intervenire per migliorare le criticità penitenziarie”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, commentando le parole odierne della Ministro della Giustizia sull’esperienza del carcere di Milano Bollate. Capece ricorda ancora che “il carcere milanese di Bollate è spesso portato ad esempio per le tante iniziative di trattamento rieducativo dei detenuti. Ma nella sua storia ci sono episodi che obbligano a suggerire di pensare più alla sicurezza e scegliere meglio i detenuti ai quali permettere un percorso rieducativo e trattamentale come la frequenza dei corsi scolastici. Penso ad esempio al caso della detenuta rimasta incinta dopo un rapporto sessuale fugace (e, quindi, evidentemente solo in teoria non consentito…) con un detenuto in carcere a Bollate, con il quale frequentava un corso scolastico presso l’Area trattamentale del carcere. O al maxi sequestro, nelle celle di Bollate nel dicembre 2009, di ben 8 telefoni cellulari, svariate carte d’identità false e una certa quantità di sostanza stupefacente". E a Lucia Castellano, ex direttore del carcere di Bollate e vicepresidente della Commissione speciale carceri in Regione Lombardia, Capece ricorda come “il Sappe è sempre in attesa che la Castellano liberi l’alloggio di servizio che continua a detenere, pur non essendo più direttore del carcere. Alloggio che potrebbe essere assegnato ad un Agente di Polizia Penitenziaria piuttosto che a lei”. Mercoledì Cancellieri visita Istituto minorile Casal del Marmo Il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri si recherà mercoledì 5 giugno alle ore 10, nell’istituto penale minorile di Casal del Marmo. Accompagnata dal capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile Caterina Chinnici e dal direttore dell’Ipm romano Liana Giambartolomei, il guardasigilli visita la struttura ed incontra i ragazzi mentre svolgono le loro attività formative nei laboratori e nelle aule scolastiche. Al termine, intorno alle ore 10:45 nella Sala Teatro dell’IPM, il ministro Cancellieri parteciperà alla cerimonia con la quale il presidente della Rai Anna Maria Tarantola donerà una piccola biblioteca di volumi ai giovani ospiti dell’istituto minorile. Interviene anche l’ex guardasigilli Paola Severino. Giustizia: Bernardini (Ri); Cancellieri su orme Severino? attenzione percorsi inconcludenti Agenparl, 3 giugno 2013 Se sulle pene alternative e sulle “depenalizzazioni” la ministra Anna Maria Cancellieri vuole seguire l’opera di chi l’ha preceduta (la Severino), possiamo subito dirle che le misure prospettate non sono in alcun modo in grado di affrontare l’emergenza umanitaria in corso nei nostri istituti penitenziari. Infatti, quando le “misure alternative” sono applicabili, come era previsto dal ddl Severino, solo a quei reati per i quali è prevista una pena edittale massima di 4 anni, significa espungere persino i reati “lievi” di droga per i quali è prevista una pena edittale massima di 6 anni. Nei convegni sono tutti pronti a dire che per incidere significativamente sul drammatico sovraffollamento carcerario occorre cambiare la Fini-Giovanardi sulla droga, la Bossi-Fini sull’immigrazione e la ex Cirielli sulla recidiva, ma quando si deve passare dalle parole ai fatti, ecco che non si ha la volontà politica di intervenire con efficacia. Anche sulle depenalizzazioni, aspettiamo che ci si dica quanto quelle previste incideranno sugli oltre 5 milioni di procedimenti penali pendenti. Il ddl della Severino preparato dai “tecnici” fu prontamente ritirato perché “non adeguato rispetto agli obiettivi deflattivi che si poneva il Governo”. Infatti, come spiegò in Commissione Giustizia il sottosegretario Mazzamuto, nel 2010, essendo stati 366.000 i processi iscritti in primo grado con il rito monocratico, i reati oggetto della depenalizzazione sarebbero stati 1.940 con un’incidenza dello 0,5%! Io credo che di fronte alle umilianti condanne europee sul fronte dei diritti umani per violazione degli art. 3 e 6 della Convenzione, occorrerebbe essere capaci di un “piano” che, al di là delle chiacchiere e dei buoni propositi, indichi - dati alla mano - con quali provvedimenti precisi e in quanto tempo il nostro Paese è in grado di uscire dall’illegalità dei trattamenti inumani e degradanti nelle nostre carceri e di quella riguardante l’irragionevole durata dei processi. Noi radicali, con Marco Pannella, la strada l’abbiamo indicata: amnistia e referendum. Amnistia (e indulto) per uscire immediatamente dall’illegalità e referendum per fare quelle riforme che governi e parlamenti da almeno vent’anni - anche a prezzo del tradimento del voto degli italiani nei referendum - si sono dimostrati incapaci di fare. Rita Bernardini, Radicali Italiani Giustizia: Sappe; fermare il progetto di “vigilanza dinamica”, a rischio la vita dei detenuti Tm News, 3 giugno 2013 Il Sappe, sindacato degli agenti penitenziari, lancia l’allarme sulla cosiddetta “vigilanza dinamica” allo studio dei Provveditori regionali dell’amministrazione penitenziaria per rendere esecutivo il progetto del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Con questo provvedimento - sottolinea il Sappe - “è a rischio la vita di centinaia di detenuti”. In pratica, spiega il sindacato dei penitenziari, con questo provvedimento “si vuole cercare di tenere tutta la giornata aperti i detenuti per farli rientrare nelle loro stanze solo per dormire, lasciando ad alcune telecamere il controllo della situazione”. “È un provvedimento che si ritiene assolutamente destabilizzante per le carceri italiane” che si vuole attuare “aggirare il grave problema del sovraffollamento delle carceri, la grave carenza di poliziotti penitenziari e, magari, anche gli obblighi dell’Europa che ha intimato all’Italia di rispettare i diritti dei detenuti lasciando loro lo spazio vitale di almeno 7 mq”. Secondo il Sappe “lasciando le sezioni detentive all’autogestione dei detenuti, si potrebbero ricostituire quei rapporti di gerarchia tra detenuti per cui i più potenti e forti potrebbero spadroneggiare sui più deboli”. In secondo luogo, si ignora l’articolo 387 del codice penale per il quale potrebbe essere comunque l’agente, anche se esiliato davanti a un monitor, a rispondere penalmente di qualsiasi cosa accada nelle sezioni detentive”. Ancora più grave potrebbe essere l’accentuarsi in maniera drammatica di episodi di violenza all’interno delle stanze ove i detenuti non sono controllabili. Infine, - prosegue il Sappe - non si può non segnalare il vertiginoso aumento del rischio di morte per centinaia e centinaia di detenuti che ogni anno tentano di suicidarsi nelle proprie stanze quando rimangono da soli. Solo nel 2012, sono stati più di mille i detenuti che hanno tentato il suicidio ma che sono stati salvati all’ultimo minuto grazie proprio all’intervento dei poliziotti penitenziari che attuano un controllo visivo e concreto delle sezioni detentive. “La vigilanza dinamica potrebbe avere un senso nel momento in cui ai detenuti venissero offerte concrete situazioni di lavoro, attività trattamentali serie ma non certamente se vengono lasciati a bighellonare tutta la giornata nelle sezioni detentive”. Il Sappe lancia un appello al ministro Cancellieri affinché “si fermi questo insensato progetto che, se applicato in maniera indiscriminata, potrebbe portare ad una situazione di estrema emergenza per l’ordine pubblico sia all’interno che all’esterno delle carceri”. Giustizia: Sappe; suicidio di poliziotto penitenziario, colpevoli anche le indifferenze Dap Comunicato stampa, 3 giugno 2013 A.A.Q., 44 anni, era un Assistente Capo del Corpo di Polizia Penitenziaria in servizio nella Scuola di Formazione di Aversa e si è suicidato questa mattina nella zona periferica di Teverola, in provincia di Caserta, dopo essere stato dimesso dall’Ospedale Civile. Aveva già tentato il suicidio un anno e mezzo fa ma sembra che l’Amministrazione penitenziaria avesse colpevolmente sottovaluto il grave precedente. Non nasconde la sua ira Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri che commenta: “In pochissimi mesi abbiamo avuto colleghi suicidi a Busto Arsizio, Trapani, Formia, San Vito al Tagliamento, Battipaglia, Torino, Mamone Lodè, Caltagirone e Viterbo. E dal 2000 ad oggi sono stati circa 100 i poliziotti penitenziari che si sono uccisi, 1 direttore di istituto (Armida Miserere, nel 2003 a Sulmona) e 1 dirigente regionale (Paolino Quattrone, nel 2010 a Cosenza). Eppure l’Amministrazione penitenziaria continua a trascurare e sottovalutare il disagio lavorativo dei poliziotti…. Ora chi ha colpe paghi, ma paghi davvero la propria superficialità.”. “La notizia di un nuovo suicidio tra gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria ci sconvolge” conclude. “L’ennesima tragedia tra i Baschi Azzurri dovrebbe fare seriamente riflettere tutti coloro che colpevolmente hanno trascurato e trascurano il disagio lavorativo dei poliziotti penitenziari. Non è più possibile assistere inermi a queste morti assurde. Proprio il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria accertò che i suicidi di appartenenti alla polizia penitenziaria, benché verosimilmente indotti dalle ragioni più varie e comunque strettamente personali, siano in taluni casi le manifestazioni più drammatiche e dolorose di un disagio derivante da un lavoro difficile e carico di tensioni. Ma non è stato in grado di predisporre alcun intervento concreto risolutivo, anche per le diffuse colpe di Capi Dipartimento, Direttori Generale, Provveditori Regionali, direttori di carcere e di scuole, come quella di Aversa. Quanti si sono premurati di verificare davvero le condizioni di disagio dei poliziotti? Quanti hanno messo in campo efficaci strategie per contrastare il disagio lavorativo, anche attraverso collaborazioni con centri di ascolto? Sono probabilmente meno delle dita di una mano. E questa è una vergogna, una colpevole vergogna”. Giustizia: Uil-Pa, non strumentalizzare suicidio agente, è stato causato da motivi familiari Comunicato stampa, 3 giugno 2013 Un assistente capo della polizia penitenziaria, A.Q., si è suicidato con la pistola d’ordinanza nelle campagne di Carinaro, nel casertano. A darne notizia, il segretario della Uil-Pa penitenziaria, Eugenio Sarno. L’uomo, spiega Sarno, aveva due anni fa già tentato il suicidio, ma una commissione medica ne aveva deliberato l’idoneità al servizio; le cause della morte vanno cercate fuori dall’ambiente di lavoro. “Nel formulare le più vive condoglianze alla famiglia - aggiunge Sarno - non possiamo non auspicare che questa ulteriore tragedia non si trasformi nell’ennesima occasione di sciacallaggio per chi aspetta qualsiasi occasione per pasteggiare con polemiche artefatte e strumentali. Nessuno può negare che la percentuale di suicidi in polizia penitenziaria sia molto più alta che negli altri corpi di polizia e, pertanto, nessuno vuole minimizzare il fenomeno. Ma da qui ad attribuire sistematicamente al disagio lavorativo ogni suicidio di un basco azzurro ci sembra davvero eccessivo, se non finalizzato ad alimentare polemiche strumentali. Proprio nel caso di specie riteniamo poter escludere l’ambiente lavorativo quale causa scatenante della tragedia, che, probabilmente, va collocata nell’alveo familiare”. Lettere: nel nuovo padiglione del carcere di Modena manca un progetto di rieducazione La Gazzetta di Modena, 3 giugno 2013 Scriviamo per mettere a conoscenza della pessima situazione nella quale viviamo. Purtroppo siamo stati trasferiti con la prospettiva di trovare una situazione migliore: siamo stati informati tramite varie circolari che qui c’era la possibilità di poter lavorare, di effettuare corsi di formazione professionale e cosa più importante poter lavorare su noi stessi, affinché la detenzione per gli errori commessi abbia un senso, un recupero sociale. Tutto questo però qui non esiste. Siamo abbandonati a noi stessi, 24 ore su 24 senza far nulla. Ma dove sono le istituzioni? Il sovraffollamento è alle stelle, il mangiare a giorni alterni, manca l’acqua, non c’è igiene. Sembra di essere tornati indietro negli anni. Un’altra cosa grave è il tasso di povertà, anche questo purtroppo è drammatico perché è uno dei tanti motivi che fa crescere la disperazione e gli atti di autolesionismo. Siamo tutti consapevoli di aver sbagliato è giusto che dobbiamo pagare il nostro debito con la giustizia. Ma così non funziona, non è tenerci come animali in gabbia, in balia del tempo senza darci la minima opportunità di capire, di lavorare. Occorrono progetti, stimoli. Quello che succede va contro ogni regola e serve solo a renderci più cattivi, più egoisti. È tutto totalmente controproducente semplicemente perché il sistema è marcio. La cosa che si deve capire, che bisogna quanto prima prendere in considerazione sono le alternative. Oltre a un reinserimento sociale, si risparmierebbero milioni di euro e questo è importante che le persone lo sappiano. Lettera firmata Emilia Romagna: la Garante; suicidi in carcere, l’Opg e Castelfranco i luoghi più critici Dire, 3 giugno 2013 Continua a preoccupare il fenomeno dei suicidi nelle carceri dell’Emilia-Romagna. Se nel 2012 in quattro si sono tolti la vita (più altri sei decessi di varia natura), nella prima metà del 2013 i suicidi dietro le sbarre sono già tre: due all’Opg di Reggio Emilia e uno nella struttura di Castelfranco. “Non è per niente un bel dato - commenta la garante regionale dei detenuti, Desi Bruno - l’Opg e Castelfranco si confermano i luoghi di detenzione più critici in Emilia-Romagna”. Nel 2012, soprattutto a causa del terremoto, che ha imposto il trasferimento di molti detenuti in altre regioni (soprattutto stranieri), si è assistito a un calo del sovraffollamento: 3.469 persone a fronte di una capienza regolamentare di 2.462 posti. “Avevamo avuto punte anche oltre i 4.000 detenuti”, ricorda Bruno, che segnala comunque come il problema stia riprendendo forza nel 2013. “A febbraio abbiamo avuto una lieve crescita, intorno ai 3.500 detenuti- spiega la garante- ma preoccupa l’ultimo periodo, perché c’è stato un aumento degli arresti per piccoli furti, dovuti al bisogno per la crisi”. A Modena nel frattempo ha aperto il nuovo padiglione, dove viene sperimentata la “vigilanza dinamica”. In altre parole, le celle nelle sezioni sono aperte e i detenuti sono controllati tramite videosorveglianza. Stessa tecnica è usata anche nel carcere di Rimini (in entrambi i casi sono esclusi i detenuti per reati gravi). La garante segnala infine l’altro problema pressante nelle carceri emiliano-romagnole e italiane in genere: l’assenza di lavoro. Sui circa 3.500 detenuti, a lavorare sono solo in 587 alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria e 225 non dipendenti. Marche: Giunta approva schema di Protocollo Regione-Dap per tutela salute dei detenuti Ansa, 3 giugno 2013 La giunta regionale ha approvato uno schema di protocollo fra la Regione e il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria che fissa le modalità di collaborazione per garantire l’assistenza sanitaria e il recupero sociale dei detenuti negli istituti e case di reclusione delle Marche. L’intesa attua l’Accordo della Conferenza unificata del 2008. Collaborazione tra le Direzioni degli Istituti Penitenziari e le Direzioni delle Aree Vaste dell’Asur Marche con l’obiettivo di garantire tutela della salute e della dignità delle persone detenute ed internate. Collaborare per garantire assistenza sanitaria e recupero sociale dei detenuti e internati negli istituti penitenziari: lo stabilisce il Protocollo d’intesa tra la Regione e il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, il cui schema è stato approvato dalla giunta regionale. In attuazione dell’Accordo Conferenza Unificata del 2008, l’obiettivo generale della collaborazione, spiega l’assessore alla Salute, Almerino Mezzolani, “è promuovere e favorire, tenuto conto delle rispettive competenze istituzionali, ogni utile e possibile iniziativa e intervento, così da raggiungere livelli di assistenza coerenti con gli obiettivi di tutela dell’integrità psico-fisica delle persone detenute negli Istituti penitenziari regionali”. Per assicurare una razionale programmazione dei servizi sanitari erogati, compatibilmente con le risorse comuni, l’Azienda Sanitaria Unica Regionale e il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria si baseranno su alcune modalità, tra cui: il riconoscimento dell’autonomia professionale degli operatori sanitari compatibilmente con l’osservanza delle norme dell’ordinamento penitenziario; la gestione dell’accoglienza dei detenuti e della documentazione socio-sanitaria; la promozione e il miglioramento della salute con riferimento agli stili di vita; le procedure per interventi d’emergenza 24 ore su 24, per ricoveri o dimissioni dall’ospedale; le indicazioni per assicurare la formazione congiunta rivolta al personale sanitario e penitenziario con attenzione particolare allo stato di salute fisico e mentale dei detenuti. Tra le linee definite nello schema del Protocollo, che per la Regione verrà siglato dall’assessore Mezzolani, anche la previsione di stipulare coerenti Protocolli operativi tra le Direzioni degli Istituti Penitenziari e le Direzioni delle Aree Vaste dell’Asur Marche con l’obiettivo di garantire tutela della salute e della dignità delle persone detenute ed internate. Lombardia: gli Opg chiusi entro il 2014?... chiunque sa che i tempi non sono sufficienti Redattore Sociale, 3 giugno 2013 Straticò, direttore di Castiglione delle Stiviere: “Chiunque sa che i tempi non sono sufficienti”. In Lombardia il piano di chiusura prevede la creazione di 12 comunità: “Prevedere progetti educativi, altrimenti ha ragione chi teme che diventino mini Opg”. “La data del 2014 per la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) è una bufala. Chiunque sa che i tempi non sono sufficienti”: lo sostiene il direttore di Castiglione delle Stiviere, Ettore Straticò, durante l’audizione alla Commissione speciale carcere della Regione, che si è svolta oggi pomeriggio. In Lombardia il piano di chiusura dell’unico Opg prevede la creazione di 12 comunità con 20 posti: 3 nella vecchia struttura di Castiglione, 2 in provincia di Como, 2 a Limbiate (Milano) e 2 a Desenzano Del Garda (Brescia). “Non dimentichiamo che gli ospiti saranno comunque persone sottoposte alla magistratura di vigilanza, con restrizioni della libertà - precisa Straticò. Pertanto nelle comunità dovranno esseri previsti progetti educativi e di reinserimento sociali. Altrimenti ha ragione chi teme che diventino 20 piccoli Opg”. A Castiglione delle Stiviere sono recluse 285 persone, di cui 205 uomini e 80 donne. I detenuti che hanno la residenza in Lombardia sono 172, gli altri vengono da Piemonte e Val d’Aosta. “Negli ultimi tre anni sono state dimesse 457 persone, ma altrettante ne sono entrate - racconta Straticò. A volte i Gip o i Pubblici ministeri inviano con troppa facilità gli imputati negli Opg”. Circa il 55% degli internati è affetto da schizofrenia, mentre gli altri hanno disturbi della personalità. “Il problema di fondo è che si è deciso di chiudere gli Opg, ma non si è toccato il codice penale, quindi la magistratura continua ad inviarci persone”, aggiunge il direttore di Castiglione delle Stiviere. I tempi medi di reclusione nell’Opg di Castiglione è intorno ai 2,8 anni. Napoli: Radicali; suicidio annunciato al carcere di Poggioreale… vogliamo la verità Comunicato stampa, 3 giugno 2013 “Un detenuto straniero di circa 40 anni, giudicabile per il reato di uxoricidio, si è impiccato venerdì pomeriggio nella sua cella nel Padiglione Milano”. Nulla altro riusciamo ad apprendere sulla tragica fine di un uomo che era in attendeva il giudizio presso il carcere di Poggioreale. Rodolfo Viviani, della Direzione Nazionale di Radicali Italiani dichiara: “Nella indifferenza della stampa locale e nazionale continua la catena di suicidi di persone sottoposte in modo strutturale ad atti di tortura e trattamenti inumani e degradanti, come avviene sistematicamente nel carcere di Poggioreale, grazie al sovraffollamento della struttura e alla carenza di personale. Chiediamo di conoscere le generalità del detenuto e la dinamiche di questa morte annunciata che ci addolora profondamente”. Luigi Mazzotta, presidente del circolo napoletano di “Nessuno tocchi Caino” dichiara: “Pochi giorni fa mi sono recato in visita ispettiva presso il carcere di Poggioreale insieme al consigliere regionale Corrado Gabriele. Abbiamo trovato 2.768 detenuti ammassati in una struttura assolutamente inadeguata ai compiti che la Costituzione affida al sistema penale. La capienza reale, grazie anche a lavori di ristrutturazione in corso, non supera le 1.130 unità. È in corso una drammatica emergenza sanitaria, con decine di detenuti abbandonati a se stessi, senza possibilità di cure. Anche se oggi possiamo soltanto continuare la nostra lotta per l’amnistia e l’indulto subito, un giorno lo Stato italiano e i suoi massimi responsabili pagheranno per questo crimine contro l’umanità”. Milano: via alla ristrutturazione di San Vittore, il carcere avrà 600 posti in più di Oriana Liso La Repubblica, 3 giugno 2013 I progetti - edilizi, sociali, lavorativi - non mancano, e così i piani di spostamento per alleggerire alcune situazioni drammatiche, diventate ormai negli anni patologiche. Quello che però rischia di peggiorare la situazione delle carceri lombarde è il taglio dei fondi pubblici che a cascata, dallo Stato alla Regione e al Comune - potrebbe far chiudere servizi importanti della galassia di aiuto al sistema carcerario. Così, mentre da una parte si avvicina il via ai lavori a lungo rimandati per riaprire il secondo e il quarto raggio di San Vittore recuperando quasi 600 nuovi posti - ora che l’idea della Cittadella della giustizia è archiviata, dall’altra il welfare comunale deve fare i conti con le risorse sempre più strette, per cui anche i 60mila euro annui del kit di ingresso per i detenuti iniziano a pesare. Domani il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri sarà in visita a Bollate, per vedere di persona la struttura modello diventata, in meno di tre lustri, esempio per altri istituti. Ma se Bollate è quasi sempre in condizioni accettabili - ora ci sono 1.200 detenuti, un numero non eccezionale per la sua capienza - a San Vittore la musica non cambia. Dei 9.390 detenuti nelle carceri lombarde, 1.687 sono qui, e sono quasi il doppio di quanti ne potrebbe contenere lo storico “quartiere di Milano”. Per questo la notizia dell’inizio lavori nei due raggi è una buona notizia, soprattutto se letta assieme alla volontà del ministero e del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di spostare in altre strutture (già esistenti o in realizzazione, da Voghera a Pavia a Cremona) il maggior numero possibile di detenuti, per lasciare a Milano solo quelli in attesa di giudizio. È la convivenza tra situazioni molto diverse, con l’aggiunta della carenza di personale - dagli agenti agli educatori e agli operatori sanitari - a dipingere il quadro negativo di San Vittore, nonostante gli sforzi di chi ci vive e ci lavora. La presenza di stranieri - molto alta, ma per l’ovvio motivo della grande difficoltà per loro di accedere a misure alternative, le condizioni molto compromesse del sesto raggio, quello che ospita gli autori di reati sessuali: c’è di tutto, e i soldi per farvi fronte sono sempre meno. Spiega Cosimo Palazzo, il referente dell’assessorato alle Politiche sociali di Palazzo Marino per la situazione carceri: “Il Comune fa da tempo un’opera di supplenza rispetto ad altre istituzioni, vedi l’acquisto dei kit di ingresso: dovrebbe pagarli lo Stato, lo facciamo noi sottraendo risorse ad altri progetti”. Ora che il rosso di bilancio si è fatto profondo, quelle risorse sono diventate sempre meno e bisognerà fare delle scelte: “Cercheremo in tutti i modi di salvare i fondi per le attività legate all’Icam, l’istituto di custodia attenuata per madri con figli a carico. Ma tutto - e penso alle borse lavoro per chi ha misure alternative, i bandi per l’inserimento abitativo, gli sportelli di aiuto per chi deve uscire dal carcere - non si potrà più fare”. Aosta: è stata ufficialmente inaugurata una lavanderia interna alla casa circondariale di Nathalie Grange www.aostasera.it, 3 giugno 2013 Affidata, in convenzione, alla cooperativa Les Jeunes Relieurs di Aosta, potrà lavorare anche per clienti esterni, pubblici e privati. È stata ufficialmente inaugurata questa mattina, presso la casa circondariale di Brissogne una lavanderia ad acqua che sarà gestita, in convenzione, dalla cooperativa Les Jeunes Relieurs di Aosta. Prima vera iniziativa lavorativa attivata all’interno del carcere valdostano, impiegherà 3 detenuti regolarmente assunti. In futuro, se arriveranno commesse esterne, i lavoratori potranno salire fino a 6. La lavanderia offre servizi sia alla casa circondariale, per il lavaggio delle lenzuola, delle coperte, dei grembiuli da cucina e degli indumenti personali dei detenuti, sia a clienti pubblici e privati esterni. Tra le prime commesse esterne acquisite, il lavaggio degli indumenti degli anziani utenti del servizio di assistenza domiciliare del Comune di Aosta. “Non sono grandi numeri - ha commentato Domenico Arena, già direttore della casa circondariale e intervenuto all’inaugurazione in sostituzione dell’attuale direttore Domenico Minervini, rimasto bloccato a Bari a causa della cancellazione dei voli sul Nord Italia - ma con i tempi che corrono non è poca cosa”. Alla cerimonia di inaugurazione ha partecipato anche Aldo Fabozzi, Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Piemonte e Valle d’Aosta che ha rivolto un appello alla comunità valdostana. “Da soli non andiamo da nessuna parte, abbiamo bisogn di commesse e della fiducia dell’esterno per poter dare un lavoro serio e continuativo anche ad altri detenuti” L’iniziativa di inserimento lavorativo, attiva già in altre due carceri in Italia, a Monza e a Belluno, è stata realizzata grazie ad un progetto Equal Pari. Ci sono voluti due anni per superare gli intoppi e per mettere d’accordo le diverse realtà coinvolte: dall’amministrazione regionale, all’Agenzia del lavoro, dal Consorzio Trait d’Union agli agenti di polizia penitenziaria. “Alla fine ce l’abbiamo fatta” è il commento soddisfatto di Carlo Moro, responsabile della cooperativa Les Jeunes Relieurs che gestisce la lavanderia”. Soddisfazione è stata espressa anche dai detenuti che lavoreranno in questo progetto. “Questo lavoro ci piace e speriamo di poterlo continuare anche una volta usciti. È una possibilità che ci è stata data anche per cambiare vita”. Reggio Calabria: delegazione dell’Unione delle Camere penali italiane in visita al carcere Gazzetta del Sud, 3 giugno 2013 Celle troppo piccole e sovraffollate Ecco alcune criticità delle carceri. Promossi lo spazio ricettivo destinato ai parenti e la cura del verde. In quali condizioni si vive all’interno delle carceri di Reggio? Per rispondere a questa domanda, una delegazione dell’Unione delle Camere penali Italiane composta dagli avvocati Manuela De Orsola, Antonella Calcaterra e Carlo Morace e i rappresentanti della Camera penale di Reggio, avvocati Pietro Modaffari, Emanuele Genovese e Umberto Abate, hanno effettuato una visita nella struttura di via San Pietro. A fare gli onori di casa la direttrice delle carceri Maria Carmela Longo, il responsabile dell’area pedagogica Emilio Campolo e il comandante del corpo delle guardie penitenziarie La Cava. Dure le parole del reggino Carlo Morace sulla situazione degli immigrati in attesa di rimpatrio e trattenuti nella struttura di Crotone: “Una totale violazione dei diritti umani. Gli extracomunitari sono trattenuti in condizioni disumane, sono stranieri con ordine di espulsione ma non sono detenuti. In modo assurdo sono privati per mesi della libertà e ristretti in un ghetto che non può essere definito carcere per l’assenza di tutto, dalle porte alle sedie, con condizioni di degrado ai limiti della sopravvivenza. Una vergogna per l’Italia”. Un quadro meno grave è emerso dalla visita della delegazione delle Camere penali in carcere a Reggio, dove è stata constatata “l’esistenza di una notevole cura nei servizi predisposti dalla amministrazione del carcere, tra i quali la struttura ricettiva destinata ai parenti dei detenuti che rappresenta una assoluta peculiarità positiva, oltre che gli spazi destinati al verde”. Criticità, anche gravi, sono emerse invece nel sondare le condizioni di vita dei detenuti: “La struttura risente di condizioni chiaramente vetuste. Soltanto alcuni degli spazi interni sono stati ristrutturati. Nonostante ciò le dimensioni delle celle sono insoddisfacenti e il sovraffollamento carcerario determina sicuramente una violazione degli standard minimi previsti dalla normativa europea. Purtroppo, si tratta di situazione grave che è comune a quasi tutti i penitenziari italiani e che ha visto la condanna della Corte Edu, la quale ha prescritto un termine di un anno all’Italia per adeguarsi”. La situazione è ancora più grave per quanto riguarda i reparti di detenzione ancora non ristrutturati e la sezione femminile: “Con riferimento a quest’ultima è necessario che il Ministero si muova urgentemente e raccolga le sollecitazioni della direttrice al fine di porre riparo ad una situazione intollerabile che vede in alcuni casi fino a cinque detenute in celle singole. Vi è da dire che notevole è nella struttura il contributo degli educatori con progetti finalizzati alla risocializzazione. Purtroppo, si deve constatare che la situazione delle carceri rappresa una emergenza in ragione della quale bisogna intervenire con provvedimenti straordinari e di riforma complessiva del sistema della custodia cautelare e delle pene. È necessario anche il ricorso a misure quali l’amnistia e l’indulto che nell’immediato incidano sul sovraffollamento esistente che ci pone al di fuori della normativa europea”. Reggio Calabria: “Non è giustizia”, convegno nel ricordo del Card. Carlo Maria Martini Gazzetta del Sud, 3 giugno 2013 Di Carlo Maria Martini tutti ricordano l’assoluta autorevolezza morale sintetizzata in uno sguardo ad un tempo profondo, fermo e paterno con cui interrogava nel profondo le coscienze. Con quell’autorevolezza il Cardinale scomparso 9 mesi fa, ha denunciato le storture di un sistema carcerario incapace di assolvere alla sua funzione rieducativa. “Non è giustizia”, una delle sue opere sul tema è il titolo scelto per il convegno che si è svolto al Lucianum su iniziativa del Segretariato Enti Assistenza Carceraria e del Centro Servizi al Volontariato Dei Due Mari. Luisa Prodi, presidente nazionale, insieme a Francesco Cosentini, coordinatore regionale, hanno sintetizzato il senso del convegno partendo dagli sforzi del cardinale per “elaborare un sistema retributivo capace di coniugare la sicurezza dei cittadini con il rispetto dei diritti della persona reclusa”. Scrisse Martini nel 1999: “Ogni persona è parte vitale e solidale della comunità civile; distaccare chi compie un reato dal corpo sociale, disconoscerlo, emarginarlo, fino addirittura alla pena di morte, sono azioni che non favoriscono il bene comune, ma lo feriscono”. Far rientrare nel corpo sociale il sistema carcerario deve essere concepito dunque come un impegno prioritario. Mario Nasone presidente del Csv ha lanciato l’idea di un “patto carcera-rio” fra istituzioni per favorire l’azione rieducativa della pena coniugando l’integrazione sociale, la giustizia e la sicurezza. Non è una questione di buonismo ma di efficienza ed efficacia. Come ha spiegato don Mimmo Battaglia (Ceis): “Non si tratta di spendere di più ma principalmente di spendere meglio le poche risorse che ci sono”. Deve esserci uno sforzo culturale per cambiare il modo di pensare il sistema carcerario. Serve un uso più razionale della pena detentiva prevista teoricamente come “extrema ratio” ma utilizzata in maniera massiccia se non eccessiva se è vero, come ha evidenziato Luciano Squillaci del Csv, che il 50% della popolazione ristretta è in attesa di giudizio. L’approssimarsi dell’apertura del carcere di Arghillà prevista per il 20 giugno, per la quale, secondo le indicazioni di Maria Carmela Longo, direttrice della casa circondariale di San Pietro, è attesa a Reggio il ministro Cancellieri, è un’occasione che non va sprecata. Lo ha evidenziato Nasone collegando l’apertura all’avviamento di Ecolandia e alla presenza di radicate esperienze di volontariato: “Arghillà può diventare un’esperienza pilota che insieme alla riapertura del carcere di Laureana caratterizzino la provincia reggina sul fronte del sistema carcerario e della sua funzione riabilitativa”. Tante le esperienze messe a confronto durante la tavola rotonda coordinata durante la mattina da Elisabetta Laganà. Dai magistrati Francesco Maisto e Piergiorgio Morosini ai sacerdoti don Mimmo Battaglia a don Virginio Colmegna. E ancora Don Pino Demasi, Padre Giovanni Ladiana e il giornalista Giuseppe Baldessarro. Ferrara: detenuto tunisino tenta di evadere dopo la radiografia in ospedale La Nuova Ferrara, 3 giugno 2013 Ha tentato di evadere durante una visita medica all’ospedale di Cona, ma la sua fuga è durata solo una manciata di minuti, il tempo per gli agenti penitenziari di raggiungerlo e bloccarlo, non senza fatica. Boazid Adnan, tunisino di neanche trent’anni, da un paio all’Arginone e un terzo da scontare per droga, ieri mattina deve aver pensato di non avere molto da perdere e si è giocato il tutto per tutto azzardando un’evasione più disperata che diabolica. Era arrivato a Cona scortato tra tre poliziotti penitenziari, diretto al reparto di Radiologia per un esame, dopo che aveva lamentato forti dolori addominali. Uno degli agenti è entrato con il detenuto nell’ambulatorio medico, gli altri due colleghi hanno atteso fuori dalla porta. Per poter eseguire la radiografia è stato necessario togliere le manette di metallo, e il paziente-detenuto ha puntato proprio su questa circostanza per mettere in atto il suo piano. Ha approfittato dei pochi attimi favorevoli: mentre si stava rivestendo, ancora con i polsi liberi, si è lanciato con uno scatto velocissimo fuori dall’ambulatorio proprio nel momento in cui i due agenti rimasti all’esterno stavano varcando la soglia. Una frazione di secondo sufficiente perché Boazid riuscisse divincolarsi e a scappare a tutta velocità lungo il corridoio. Non è andato molto lontano: gli agenti si sono messi subito a inseguirlo e poco dopo lo hanno bloccato. Il fuggiasco ha tentato un’ultima resistenza ma è stato riammanettato e riportato in carcere con sulle spalle un’accusa in più: tentata evasione. Lo aspetta un processo per direttissima. L’episodio, sottolinea il segretario provinciale del Sappe Roberto Tronca, oltre a dimostrare”la professionalità dei colleghi”, conferma ancora una volta “le difficoltà dovute alla cronica carenza di personale. Ci sono reparti con 70 carcerati e un solo agente penitenziario e i detenuti sono ben consapevoli di questa situazione. Anche quello che è avvenuto a Cona è un’ulteriore riprova. Le scorte dal carcere dovrebbero essere compiute da almeno 4-5 agenti, ma per portare il detenuto all’ospedale non è stato possibile impiegarne più di tre. La mancanza di personale può avere conseguenze molto gravi”. Catanzaro: Uil-Pa; nel carcere di Siano i topi la fanno da padrone www.giornaledicalabria.it, 3 giugno 2013 “È grave la situazione di degrado e inciviltà nel carcere di Siano, a Catanzaro, dove la presenza di topi, fuori e dentro i padiglioni detentivi, ha toccato picchi impensabili tanto che nemmeno il pifferaio magico di Hamelin e la squadra dei ghost-busters potrebbero porvi più rimedio”. Lo afferma, in una nota, il coordinatore provinciale dell’Uil-Pa penitenziari, Salvatore Paradiso. “Questo fenomeno - aggiunge - non si può derubricare più come sparuto, estemporaneo, imprevedibile o sotto controllo. Tant’è che potrebbero esserci riflessi tra l’aumento dei ratti all’interno dell’istituto e l’inspiegabile numero (almeno 50) di personale di Polizia penitenziaria che negli ultimi giorni si è assentato dal servizio per problemi gastrointestinali”. Paradiso, in una lettera inviata al direttore dell’istituto, ha anche affermato che “la soluzione non può essere solamente il solito pannicello caldo della disinfestazione e della derattizzazione, ma queste operazioni dovranno essere accompagnate da: smaltimento di tutti i rifiuti presenti nell’Istituto; radicale pulizia di tutte le aree in cui sono state segnalate le presenze; sanitizzazione dei relativi ambienti con prodotti efficaci; chiusura di tutte le buche presenti nell’Istituto; controllo del sistema idrico e del sistema fognario; chiusura di ogni tipo di varco, che consente l’accesso nell’Istituto, con reti metalliche; ricollocazione di esche fisse in quantità abnormi per tutto il perimetro esterno ai padiglioni e costante pulizia e manutenzione delle aree verdi e non solo di quelle visibili al pubblico”. Termoli (Cb): “Il momento vulnerabile”, detenuti tornano a calcare le scene Asca, 3 giugno 2013 Il Centro Territoriale Permanente Educazione Età Adulta di Termoli, diretto da Antonio Franzese, nell’ambito dell’offerta formativa rivolta agli ospiti della Casa Circondariale di Larino, ha saggiato una nuova esperienza teatrale - lettura scenica interpretativa dal titolo “Il momento vulnerabile” - che andrà in scena oggi. L’evento rappresenta una nuova forma di espressione teatrale, una modalità che differisce dalla messa in scena classica, tradizionale. Le caratteristiche di questa forma di teatro consistono nel dare valore al testo scritto e nel mettere da parte tutti quegli effetti visivi di scena eccessivi che potrebbero influenzare lo spettatore, distraendolo dall’obiettivo principale che è il testo. Formativa e attiva la partecipazione degli ospiti della struttura penitenziaria. Il percorso è stato curato dai docenti del C.T.P. Calisto Filomena, Fonzo Eufrasia, Pietroniro Angela. Un ringraziamento particolare dallo stesso Franzese a Walter Cardone, volontario, autore dei testi e regista. Libri: “Il lavoro nel carcere che cambia” a cura V. Giammello, A. Mercurio, G. Quattrocchi La Sicilia, 3 giugno 2013 Frutto di una lunga esperienza di impegno sociale e di un’indagine durata cinque anni, con il taglio di una ricerca-azione, “Il lavoro nel carcere che cambia” è come un utile vademecum in grado di contribuire all’applicazione di una pena non più basata sulla custodia che affligge, ma sul trattamento che recupera. Il testo, a cura di Vincenzo Giammello, Alessandra Mercurio, Gaetano Quattrocchi ed edito da Franco Angeli Editore, presenta una panoramica delle opportunità in grado di facilitare l’auspicato cambiamento: riflessioni, strumenti e metodologie efficaci, esperienze e progetti già collaudati, agevolazioni economiche in caso di assunzioni. Tra le pagine emerge con chiarezza ciò che è universalmente riconosciuto: il lavoro costituisce, in carcere e in uscita dal carcere, se non l’unico, il più importante strumento del trattamento rieducativo. Ciò rappresenta ancora una chimera, frutto anche della mancanza di opportunità lavorative che rendono impossibile l’adozione di misure alternative alla detenzione. Il libro è pure un vademecum offerto sia al pubblico che agli addetti ai lavori: gli uffici del Ministero della Giustizia, chi opera nelle carceri, i Servizi sociali, le Caritas, le cooperative sociali, le imprese che gestiscono attività lavorative negli istituti di detenzione e gli studiosi, i dipartimenti universitari di giurisprudenza, scienze sociali, politiche e gli educatori professionali. Libri: “Mamma è in prigione”, l’inchiesta di Cristina Scanu svela un mondo di confine Adnkronos, 3 giugno 2013 L’ultimo studio sulla detenzione femminile risaliva agli anni 90. Dopo oltre un anno di inchiesta, Cristina Scanu svela un mondo di confine: dai grandi problemi di una normativa mancante alla mala-prigione. E lo fa con il libro “Mamma è in prigione”, pubblicato dalla casa editrice Jaca Book (pagine 218, euro 15). Nella sua drammaticità è un libro appassionante, un dialogo serrato con le detenute e con chi nelle prigioni lavora. Il 90% delle detenute è madre di uno o più figli. Molte li hanno lasciati fuori dal carcere; altre hanno scelto di tenerli con sé dal momento che la legge consente di star loro accanto fino al giorno del terzo compleanno. Bambini costretti a vivere in celle umide e buie, a essere svegliati dal rumore delle chiavi che aprono i cancelli dei blindati, a giocare in un cortile di cemento, con accanto madri depresse e avvilite. Sono loro il filo conduttore di questo lavoro. Le madri con i bambini in carcere aggiungono alla sofferenza della pena il dolore di una maternità mutilata. Libri: “Quando te lo racconterò”, volume di fiabe scritte e illustrate dai detenuti di Bari Ansa, 3 giugno 2013 Toby il lupacchiotto, Geppina la formichina insieme a una vespa vanitosa, un lupo credulone e un leone che voleva volare e le pecorelle smarrite. Sono alcuni dei personaggi delle 19 fiabe scritte e illustrate da altrettanti detenuti della casa circondariale di Bari, raccolte nel volume “Quando te lo racconterò”, presentato oggi nell’istituto comprensivo Massari Galilei. “L’idea della favola, nata da un laboratorio creativo dei criminologi della casa circondariale nell’ambito del progetto “Voci di dentro” - ha spiegato il responsabile dell’area educativa della struttura, Tommaso Minervini - ha invogliato i detenuti a raccontare liberamente, senza schemi, servendosi di personaggi di fantasia per lanciare da dietro le sbarre un messaggio di invito e recupero alla legalità”. L’esperienza, resa ancor più significativa dall’impossibilità degli autori, tutti tra i 30 e 40 anni di età, di raccontare favole ai propri figli, “è la prima del genere nella casa circondariale di Bari - ha precisato la presidente del Tribunale di sorveglianza di Bari, Maria Giuseppina D’Addetta - e mira anche a riallacciare quel rapporto padri-figli che la detenzione interrompe e spesso mette anche in pericolo”. “È stata un’esperienza catartica - ha detto la direttrice del carcere, Lidia De Leonardis, raccontando che due dei detenuti pur avendo lasciato il carcere hanno continuato a seguire il laboratorio - perché le favole contengono metafore del vissuto e hanno tutte una morale diretta ai bambini”. Il libro è completato da un cd in cui i personaggi delle favole sono interpretati da attori come Gianni Ciardo e Nunzia Antonino e dal sindaco di Bari e dall’assessore comunale alle Politiche giovanili, Michele Emiliano e Fabio Losito, dall’arcivescovo di Bari, Mons. Francesco Cacucci. Immigrazione: Cie Bologna; la Prefettura revoca al Consorzio Oasi incarico della gestione La Repubblica, 3 giugno 2013 Sembrava imminente, conclusi i lavori di tinteggiatura e di riparazione, la riapertura del contestato Centro di identificazione ed espulsione per migranti di via Mattei. Invece tutto è rinviato a data da destinarsi. I cancelli restano serrati, le gabbie vuote. Il prefetto Angelo Tranfaglia ha rescisso il contratto con il consorzio siracusano, l’Oasi, cui l’anno scorso era stata appaltata la gestione del centro, a cifre ridotte ai minimi termini: 28 euro di rimborso giornaliero per ogni “trattenuto”, contro i 69,5 del precedente contratto con le Misericordie dei fratelli Giovanardi. Interrogazioni, richieste e preoccupate dichiarazioni - a cominciare da quelle dell’onorevole Pd Sandra Zampa e del garante dei detenuti Desi Bruno - non erano bastate a rimettere in discussione né le coordinate dell’appalto né la scelta del consorzio l’Oasi, gemmato da cooperative e onlus che in Sicilia si erano dimostrate inadeguate e insolventi. I timori si sono concretizzati. Il primo dicembre 2012 il consorzio ha preso possesso di via Mattei. Le condizioni di vita delle donne e degli uomini rinchiusi nel centro, degradato anche dal punto di vista strutturale, sono andate via via peggiorando. L’ex caserma è stata ridotta a un contenitore di vite a perdere, senza più diritti e senza più nulla da perdere, con livelli di assistenza indecenti e le tensioni e la rabbia sfociate più volte in fughe, rivolte, incendi, labbra cucite con il filo. L’Ausl ha evidenziato carenze e lacune. Il sindaco Virginio Merola, con gli occhi colmi di lacrime dopo una visita, è arrivato a definire il Cie “il cuore di tenebra di Bologna”. Qualcuno ha parlato di “lager” e “porcile”. La Cgil ha presentato un esposto-denuncia confluito in procura in un fascicolo conoscitivo senza indagati né ipotesi di reato. L’Oasi, intanto, non ha pagato i 29 dipendenti fissi, i medici, gli infermieri e lo psicologo assunto con un contratto a progetto che portava valore aggiunto e umanità. Una deriva testimoniata da sfoghi, fotografie, video. La prefettura prima ha deciso di chiudere la struttura per fare lavori urgenti all’interno, partiti a metà marzo e conclusi da poco. Poi, a cantiere aperto, ha portato a cinque le contestazioni formali per gravi violazioni del capitolato. E, qualche giorno fa, è partita la lettera di rescissione del contratto. Ora, in raccordo con il Viminale, si dovrà decidere se affidarsi a un gestore temporaneo o lasciare il Cie chiuso fino all’aggiudicazione di un nuovo appalto. Per i lavoratori del centro un’altra tegola in testa. Piazza Roosevelt ha anticipato le paghe arretrate, riservandosi il diritto di rivalersi sul consorzio appena scaricato. Fino all’11 giugno i dipendenti dovrebbero essere coperti dalla cassa integrazione, poi non si sa. Lo psicologo del “progetto sociale”, a maggio licenziato in tronco dall’Oasi, non prende un euro da dicembre e non sa più che fare per avere quello che gli è dovuto. La prefettura sta cercando di capire se si debba accollare anche il suo stipendio, a fronte del Viminale che dice di no, e se ci siano sufficienti fondi ministeriali per finire di pagare gli incolpevoli lavoratori. I cassintegrati non hanno ricevuto le indennità di malattia e le maggiorazioni festive, in teoria sempre a carico di piazza Roosevelt. In mano il prefetto ha solo un fax. Il consorzio Oasi gli ha promesso che la prossima settimana pagherà tutti. Cie: la Garante dei detenuti “Positiva la revoca della gestione” Desi Bruno approva la decisione della prefettura e si augura che il centro di Bologna non riapra più. “Vedremo cosa succederà in quello di Modena”. È allarme suicidi nelle carceri emiliano-romagnole. La revoca della gestione del Cie di Bologna alla società Oasi “è un fatto positivo. Ora si dovrà fare un nuovo bando, ma il mio auspicio è che non si faccia e che il centro resti chiuso”. A dirlo è la garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, a margine della presentazione della relazione su un anno di attività del suo ufficio in assemblea legislativa. “È positivo che la prefettura abbia fatto questo passo - afferma Bruno - la situazione era davvero insostenibile. Anche l’ausl, nel suo sopralluogo, ha confermato il disastro”. La garante sottolinea che “la procura è già stata investita della questione da un esposto della Cgil. E mi viene da dire che una verifica verrà fatta”. Bruno ricorda i “casi di scabbia nella più totale promiscuità” e che i detenuti erano lasciati “senza indumenti intimi e senza scarpe. Queste condizioni di vita qualche approfondimento lo meritano”, sostiene la garante, senza dimenticare la “preoccupazione forte dei lavoratori. E vedremo anche ripercussioni ci saranno sul Cie di Modena”, gestito a sua volta da Oasi, segnala Bruno. Il centro di via Mattei a Bologna è chiuso da marzo, prima per lavori e poi per i problemi con la società di gestione. Ora il ministero dell’Interno dovrà pubblicare un nuovo bando e “mi auguro che non sia al massimo ribasso partendo dai 30 euro al giorno” come costo di gestione per ogni detenuto. Il vero auspicio della garante, in realtà, è che il Cie di Bologna non riapra più. “Ma non credo si arriverà a una chiusura definitiva - ammette Bruno - anche se in Emilia-Romagna ne abbiamo due ed entrambi non sono mai al completo”. Stati Uniti: il Pentagono smentisce di aver liberato due detenuti di Guantánamo Ansa, 3 giugno 2013 Il Pentagono ha oggi smentito che due detenuti del carcere di massima sicurezza nella base Usa di Guantánamo, a Cuba, siano stati rilasciati, come aveva invece affermato in Mauritania un gruppo per la difesa dei diritti dei detenuti. Nessun detenuto di Guantánamo è stato rilasciato sin dall’ottobre scorso, ha detto un portavoce del Dipartimento della Difesa, il colonnello Joseph Breasseale. Nelle ultime ore, Hamoud Ould Nabagha, direttore del Committee for Guantánamo Prisoners, aveva affermato che due detenuti del supercarcere, Mohamedou Ould Slahi e Ahmed Ould Abdel Aziz, erano arrivati in Mauritania a bordo di un aereo militare Usa. Con loro, secondo la stessa fonte, sarebbe stato riconsegnato alle autorità di Nouakchott anche un terzo prigioniero, El Haj Ould Cheikh El Houssein Youness, detenuto nella base militare Usa di Bagram, in Afghanistan. Ma le informazioni sulla consegna alla Mauritania dei due detenuti di Guantánamo è stata smentita anche dall’avvocato di Mohamedou Ould Slahi, Nancy Hollander, che le ha definite “totalmente false”. In un atteso discorso alla National Defense University di Washington, il 23 maggio il presidente Obama ha ribadito la sua intenzione e il suo impegno per la chiusura del carcere di Guantánamo, dove attualmente ci sono 166 detenuti. “È un carcere che non avrebbe mai dovuto essere aperto”, ha affermato. Niger: evasi 20 detenuti terroristi, la fuga dopo assalto al carcere e uccisione di tre agenti Ansa, 3 giugno 2013 Una ventina di detenuti, la maggior parte dei quali terroristi, sono evasi dalla prigione di Niamey, in Niger. Lo hanno reso noto le autorità locali. La fuga è avvenuta dopo un assalto compiuto da un gruppo di uomini armati che hanno ucciso anche tre agenti della polizia carceraria, ha spiegato il ministro della Giustizia, Marou Amadou, in una conferenza stampa. Yemen: ministro Diritti umani in sciopero della fame per scarcerazione manifestanti Nova, 3 giugno 2013 È iniziata ieri una clamorosa protesta del ministro per i Diritti umani yemenita, Hurria Mashour, che si associa a quella degli attivisti della rivoluzione del 2011 contro l’ex presidente Ali Saleh ancora in carcere. Secondo quanto riferiscono i media yemeniti, il ministro ha avviato uno sciopero della fame e un sit-in insieme ai giovani rivoluzionari che nel 2011 hanno protestato contro l’ex capo dello stato. Diverse fonti a Sanàa hanno reso noto che il ministro per i Diritti umani Mashour ha deciso di restare nella prigione centrale della capitale con i dissidenti detenuti, al fine di esercitare pressioni sull’attuale presidente della Repubblica, Abdo Rabu Mansour Hadi. Anche il premier yemenita, Mohammed Salem Basanduh, ha minacciato di fare altrettanto qualora venisse bocciata la richiesta di liberare i giovani della rivoluzione. Bahrain: condanne fino a 15 anni per manifestanti anti-governo Aki, 3 giugno 2013 Un tribunale del Bahrain ha emesso condanne fino a 15 anni di carcere per tre manifestanti accusati di aver preso parte a manifestazioni anti-governative e di tentato omicidio di un poliziotto. Lo ha riferito l’avvocato della difesa, spiegando che 15 anni di carcere sono appunto stati inflitti al manifestante che ha tentato di uccidere l’agente mentre partecipava alle manifestazioni del giugno 2012 in un villaggio sciita vicino a Manama. Il secondo imputato è stato invece condannato a 10 anni di detenzione, anche lui per tentato omicidio e partecipazione alle manifestazioni. Il terzo manifestante, infine, dovrà scontare cinque anni di carcere. Almeno 80 persone sono state uccise in Bahrain dal febbraio 2011, quando sono scoppiate le manifestazioni della maggioranza sciita contro la dinastia sunnita che governa il Paese, come a reso noto la Federazione internazionale dei diritti umani.