Giustizia: le carceri sono piene dei problemi che la politica da anni si rifiuta di affrontare... di Riccardo Magi Il Manifesto, 2 giugno 2013 Le carceri sono piene dei problemi che la politica da anni si rifiuta di affrontare. Basta pensare ai reati per droga e piccolo spaccio, o agli immigrati spesso costretti alla delinquenza dalle stesse leggi criminogene, che li lasciano senza permesso di soggiorno. Ma clandestinizzate e imprigionate sono anche le potenzialità racchiuse in questioni sociali come queste. Si sono schiuse nella proposta referendaria del Comitato “Cambiamo noi - Referendum 2013” (www.carnbiamonoi.it) nato su spinta di Radicali Italiani che è riuscito a raccogliere intorno a sei referendum, un fronte alternativo di “grandi intese” che comincia a essere significativo: da Pietro Soldini, responsabile immigrazione Cgil, al segretario del Psi Riccardo Nencini, Jean Renè Bilongo, Responsabile del Coordinamento Immigrati Flai, Mercedes Frias di “Prendiamo la parola”, Gabriella Guido di LasciateCientrare, Antigone e Forum Droghe, Marco Furfaro della segreteria nazionale Sel, il presidente della Commissione parlamentare diritti umani Luigi Manconi, i deputati Pd Sandro Gozi e Khalid Chaould, Jean Leonard Touadi, Ilaria Cucchi, Tiberio Timperi. Su sei quesiti due sono sull’immigrazione, investono la “Bossi-Fini”. Uno abroga il reato di clandestinità, l’altro interviene sulle norme che incidono sulla clandestinizzazione e precarizzazione dei lavoratori migranti. Il terzo quesito è sulla droga, volto a eliminare il carcere per tutte le violazioni che riguardano fatti di lieve entità, incidendo sulla “Fini-Giovanardi”. Il quarto quesito è per il divorzio breve. Il quinto, sul finanziamento pubblico ai partiti - non condiviso evidentemente dal manifesto che ieri titolava “Privati della politica”, ripropone un referendum storico dei Radicali: non soldi agli apparati, di partito, ma servizi alla politica (tutta, non solo quella dei partiti) garantiti dallo Stato. L’ultimo quesito restituisce l’effettiva libertà di scelta ai cittadini consegnando allo Stato la quota relativa alle scelte non espresse sull’8xMille. Ieri il fronte referendario si è dimostrato consapevole e unito su un punto fondamentale: ci sono grandi opportunità nascoste dietro alcuni temi, su cui non è mai “il momento giusto”. È necessario allora “cambiare noi”, per cambiare l’agenda della discussione pubblica. Giustizia: statistiche su capienza carceri, il Dap ammette discordanze tra i dati pubblicati di Dimitri Buffa Il Punto, 2 giugno 2013 Statistiche carceri: in Italia i dati esatti sulla capienza delle carceri e l’effettiva presenza dei detenuti non è sempre facilmente determinabile. Da qualche mese i dati sono pubblicati sul Ministero della Giustizia. Il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato”. Un asterisco messo lì per pararsi le terga da eventuali denunce per falso in atto pubblico, già minacciate dai radicali italiani. Così il Dap spiega il balletto di cifre sui detenuti effettivamente presenti e la capienza regolamentare. In pratica è come fare il gioco delle tre carte sui dati del sovraffollamento carcerario e dei detenuti e prendere tempo. La filosofia della burocrazia di via Arenula, ampiamente avallata dai ministri Guardasigilli pro tempore, è ormai questa. La stessa che portò alla nascita della legge Pinto, concepita per fare fronte alle centinaia di condanne per la lentezza dei processi penali e civili: risarciamoli in automatico in Italia di modo che non si rivolgano all’Europa. Adesso, siccome è impossibile difendersi davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) - che ci condanna centinaia di volte l’anno per la sostanziale ingiustizia dei nostri processi penali, per l’eccesso di carcerazione preventiva e per il fatto di tenere le carceri come nemmeno con i canili è lecito fare - all’Italia, pluripregiudicato d’Europa del settore, non è rimasto altro che comportarsi come tale: tirarla per le lunghe coi processi europei e tentare di mischiare le carte. L’ex deputato radicale Rita Bernardini è stata la prima ad accorgersi di questa strana furbata: da una parte l’Ufficio Statistico del Dap calcolava fossero 47.045 i posti “regolamentari” nelle carceri italiane (dati diffusi il 31 marzo 2013); dall’altra, l’Ufficio Tecnico per l’Edilizia penitenziaria, nella circolare “riservata” di cui Il Punto è venuto in possesso, (datata 10 aprile 2013), dice che i posti sono 45.000 e molti sono inutilizzati perché in sezioni chiuse e inagibili. Uno potrebbe pensare due cose: o i due uffici non comunicano affatto tra loro, oppure il primo ha il compito di “addomesticare” i dati sul sovraffollamento (che poi vengono resi pubblici), mentre il secondo, che si rivolge agli “addetti ai lavori” all’interno dell’Amministrazione penitenziaria, descrive una realtà ben peggiore. Sia come sia, 2045 posti di differenza, nella migliore delle ipotesi, corrispondono a un carcere dalle dimensioni di Regina Coeli o San Vittore. E la capienza fa la differenza per i vari ricorsi che l’Italia coltiva in Europa per frenare la condanna che fra un anno le pioverà addosso sotto le forme di procedura di infrazione. Perché ormai la detenzione nel nostro Paese è a rischio di morte dato che dall’inizio dell’anno non si contano più i morti dietro le sbarre. O meglio si contano eccome: al 21 aprile erano 58, 17 dei quali suicidi. L’anno precedente, il 2012, erano stati 154, sessanta dei quali suicidi. Un’ecatombe che ha fatto dire che in Italia da tempo non esiste più la “pena di morte”, di fatto è molto probabile che anche chi in galera ci va in attesa di giudizio in custodia cautelare, spesso applicata con criteri abnormi e fuori dalla legge, possa incappare nella “morte per pena”. E che dice la circolare riservata del direttore generale del Dap, il magistrato Alfonso Sabella, già segretario dell’associazione nazionale magistrati? Eccone qualche stralcio, giudicatela voi lettori, di certo non fa sconti a nessuno ma individua soluzioni molto discutibili. Si comincia dall’”Oggetto”, cioè le “Sentenze Corte Europea e dei diritti dell’Uomo (Cedu) 8 gennaio 2013, Torreggiani ed altri c. Italia, e 29 gennaio 2013, Cirillo C. Italia”. Poi si danno i veri dati sul sovraffollamento, ancora più drammatici di quelli noti fino ad ora: “Con riferimento alle risultanze delle sentenze citate in oggetto, relative a condanne dell’Italia in procedimenti attivati da detenuti ristretti in camere eccessivamente sovraffollate, si comunica quanto segue. Il numero attuale dei detenuti ammonta a circa 67.000 contro circa 45.000 posti regolamentari, quindi la percentuale media di sovraffollamento è pari circa al 50%. Quindi, nelle attuali camere di pernottamento, la superficie di spazio vitale non dovrebbe scendere sotto il valore di 4/5 mq per detenuto e/o internato; dunque, se il patrimonio immobiliare fosse organicamente, correttamente e completamente gestito e utilizzato, non si potrebbe superare, in negativo, il valore limite di 3 mq di spazio vitale per detenuto, al di sotto del quale l’individuo è considerato in ristretto in condizioni di “tortura”. Tuttavia, a causa delle note condizioni di sovraffollamento, in molti istituti tale percentuale mediamente ammonta al 100%, con punte fino al 500%, segno evidente che la distribuzione dei detenuti sul territorio nazionale non è comunque effettuata in maniera razionalmente economica rispetto alle risorse disponibili”. Insomma un inferno, anche se l’altro ufficio su citato dava numeri diversi. La lettera riservata, anzi la circolare Sabella, è diretta a tutta la burocrazia interna del Dap (il Capo del Dipartimento, i Vice Capi del Dipartimento, il Direttore Generale dei Detenuti e del trattamento, il Direttore Generale del Personale e della formazione, il Direttore Generale del Bilancio e della contabilità, il Direttore Generale dell’Esecuzione Penale Esterna, il Direttore dell’Isspe, il Direttore dell’Ufficio per l’attività ispettiva e del controllo) che detto per inciso è elefantiaca, strapagata e assorbe una marea di risorse che meglio sarebbero allocate per migliorare le retribuzioni della Polizia Penitenziaria e le condizioni di vita dei detenuti. Leggendo il seguito della “circolare riservata” si capisce che qualcuno dei responsabili dei vari penitenziari fa il gioco delle tre carte, e questo non si sa ancora per quale oscuro motivo: “Inoltre, si deduce che probabilmente i dati periodicamente forniti dalle articolazioni territoriali rispetto alla capienze regolamentari si riferiscono alle capienze degli interi complessi, al lordo, quindi, delle superfici di reparti chiusi o sottoutilizzati rispetto alle loro potenzialità, e non alle sommatorie delle realtà delle singole sezioni detentive”. Ergo? “Tale evidenza, peraltro già da tempo nota, ha indotto questa Direzione Generale a puntare sul recupero e sulla riqualificazione delle strutture esistenti, attività che consentirebbe, mediante la progressiva riorganizzazione degli Istituti e la razionalizzazione dell’uso degli spazi disponibili, l’abbattimento del fenomeno del sovraffollamento ed il miglioramento delle condizioni di vivibilità e di lavoro nelle strutture gestite, con priorità per gli Istituti e gli ambiti territoriali più coinvolti dall’emergenza in atto. Al riguardo, si chiede alle SS.LL. di svolgere una sistematica indagine ricognitiva presso gli Istituti Penitenziari delle circoscrizioni di competenza per verificare l’esistenza di reparti detentivi in cui siano allocati detenuti e/o internati con meno di 4 metri quadrati di superficie ciascuno nelle stanze di pernottamento. Nei casi di accertamento di tali situazioni, le Direzioni degli Istituti dovranno puntualmente descriverle e indicare se esistano, nell’ambito dello stesso complesso demaniale, reparti inutilizzati o sotto utilizzati con spazi tali da poter ridurre o eliminare le carenze emergenti, formulando proposte operative in tal senso. Sulla base dei dati riferiti dalle Direzioni degli Istituti, si chiede alle SS.LL. di predisporre analoghe proposte di possibili interventi di riequilibrio delle situazioni accertate in ambito regionale, in coerenza con i Progetti dei Circuiti Regionali già approvati. Nell’evidenziare l’importanza dell’iniziativa, finalizzata alla programmazione e progettazione del riassetto complessivo del patrimonio immobiliare in uso governativo a questa Amministrazione e alla selezione degli interventi prioritari da realizzare, si resta in attesa di riscontro entro il 31 maggio 2013”. Il paradosso Ma tutta questa apparente buona volontà di Sabella cosa ha portato nei fatti? A sentire le numerose e concordi testimonianze di ex detenuti e di familiari di persone ancora in carcere (che chiunque può ascoltare con le proprie orecchie ogni martedì alle 20 e 45 a Radio radicale nella trasmissione di Riccardo Arena, “Radio carcere”, ndr), a un semplice paradosso: hanno trasformato in “celle” le stanze dove si giocava a ping pong e si faceva un minimo di socialità all’interno di una serie di strutture detentive. Risultato di questa “pecionata” all’italiana? Non solo non ci sono più spazi per questa socialità ma sono diventate celle delle stanze che non erano adibite a esserlo, prive anche di servizi igienici, sempre che quelli ordinari del carcere possano definirsi così, visto che si cucina e si defeca nello stesso spazio adibito a bagno e cucina. Tanto zelo e tanti arrampicamenti liberi sugli specchi serviva ovviamente all’ex ministro Severino per fare quei ricorsi dilatori alla Gran Chambre europea, perché lo stato italiano invece che rientrare nei parametri europei di dignità dell’uomo preferisce fare come fece a suo tempo con l’atrazina: ce ne è troppa nell’acqua? E noi alziamo i parametri di tollerabilità. E la prossima volta che un ministro si presenterà in pompa magna in qualche struttura penitenziaria per presentare la “carta dei diritti dei detenuti” non si meravigli se troverà un qualche sindacato delle guardie carcerarie o gli stessi detenuti a manifestare. Per ricordare una semplice verità: “Questa carta è roba buona per andare in passerella televisiva, non serve alcun documento dei diritti dei detenuti, basta rientrare nella Costituzione”. E in Europa. Giustizia: la territorialità pena detentiva è un principio irrinunciabile di Maria Grazia Caligaris (Presidente Associazione Socialismo Diritti Riforme) Ristretti Orizzonti, 2 giugno 2013 Nel nostro Paese, lo Stato non rispetta le sue leggi e si accanisce sui più deboli. È il caso della territorialità della pena cioè l’opportunità per un detenuto di scontare il suo debito il più possibile vicino al proprio ambiente di origine. Si tratta di un principio democratico che è stato sancito per contemperare due aspetti inscindibili: quello giuridico, legato alla Carta costituzionale, e quello sociale, rispettoso dell’equità e appartenenza. La Costituzione stabilisce infatti che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione. Le norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle pene indicano infatti come finalità delle misure privative della libertà la loro funzione rieducativa per il reinserimento sociale di chi ha sbagliato. Rispettare la territorialità della pena significa quindi riconoscere al sistema carcerario il ruolo per cui è stato istituito secondo i dettami della Costituzione: la rieducazione. Da diversi anni invece alla funzione riabilitativa è stata sostituita quella vendicativa. La società offesa punisce allontanando chi sbaglia. La conseguenza è doppiamente negativa. Da un lato si spendono denari pubblici per mantenere in un’Istituzione totale l’individuo, dall’altro lo si sradica dal contesto sociale sicché, una volta in libertà, spesso ripete l’errore. I contatti con l’ambiente esterno invece sono determinanti sotto diversi aspetti. Innanzitutto garantiscono due diritti fondamentali: l’affettività e l’esercizio della difesa. Un cittadino privato della libertà, considerato innocente fino all’ultimo grado di giudizio, allontanato dal suo contesto socio-economico e culturale, perché trasferito in un’altra regione, subisce una forte limitazione di entrambi. Non a caso dunque la legge sull’ordinamento penitenziario stabilisce che i trasferimenti dei detenuti devono essere disposti favorendo “il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie”, anche perché i familiari, specialmente i figli, non sono in alcun modo responsabili di eventuali reati commessi dai loro genitori. Anche loro vantano dei diritti come quello di poter avere relazioni affettive con il genitore recluso. La condizione di un cittadino sardo privato della libertà è ancora più grave e simile a quella di un detenuto trasferito nell’isola dal continente. Raggiungere un luogo diverso comporta una serie di gravi conseguenze. La famiglia non può effettuare i colloqui perché le distanze risultano proibitive. È necessario infatti non solo disporre del tempo ma, in molti casi, dover pernottare almeno una notte affrontando costi consistenti per poter aver un incontro di qualche ore. Proprio per la condizione di insularità, nel febbraio 2006 è stato sottoscritto dalla Regione e dallo Stato un protocollo d’intesa con cui è stato stabilito di favorire il rientro in Istituti della Sardegna dei detenuti di origine, residenza o interessi nel territorio sardo, tenendo conto in particolare del luogo di dimora familiare. Ciò risponde all’esigenza concreta di porre il detenuto nelle condizioni più favorevoli per il suo reinserimento e quindi per il suo recupero evitando alla famiglia lunghi, faticosi e dispendiosi viaggi, addirittura impossibili quando le condizioni economiche sono precarie e quando si tratta di anziani e/o bambini. Il protocollo e la legge non sono però rispettati. Giustizia: Ferri; per misure alternative, grande spazio di collaborazione con il volontariato Adnkronos, 2 giugno 2013 “Sviluppare forme di esecuzione della pena che impegni i soggetti che vi sono coinvolti in modo responsabilizzante e aperto alla solidarietà”. È l’appello rivolto dal sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri, che ha partecipato al Convegno dell’Associazione Giovanni XXIII “Una famiglia per tutti”. “C’è un settore dell’esecuzione penale che si sta pian piano ampliando - ha sottolineato Ferri rivolgendosi ai volontari dell’Associazione - quello delle sanzioni di comunità, ossia delle misure alternative e delle sanzioni sostitutive al carcere. All’interno di questo universo, particolarmente sentita è l’esigenza di sviluppare la sanzione del lavoro di pubblica utilità”. Su questo fronte, ha assicurato il sottosegretario alla Giustizia, “il Ministero della Giustizia potrà offrire tutto il supporto e la collaborazione che saranno necessari, attraverso gli Uffici di esecuzione penale esterna dell’Amministrazione penitenziaria, che già in molte realtà collabora con voi per le persone ammesse a una misura alternativa”. Sul terreno delle pene non detentive, ‘si aprirà tra poco tempo un grande spazio di azione e di collaborazione tra i servizi della giustizia e le associazioni come la vostra: la messa alla prova per gli adulti, il lavoro di pubblica utilità, la detenzione presso il domicilio o altro luogo di accoglienza saranno le nuove frontiere su cui dovremo trovare un terreno di maggiore e più stretta collaborazione. “Devono essere rafforzati e promossi con coraggio percorsi rieducativi alternativi al carcere, attraverso vari servizi dedicati”, ha ammonito Ferri, che ha ricordato, tra gli altri il “Servizio Carcere” e il progetto “Oltre le sbarre”, che propone percorsi educativi personalizzati per il reinserimento dei condannati, ai 300 condannati in misura alternativa, di cui 250 tossicodipendenti attualmente ospiti nelle comunità terapeutiche; o, infine, “Il pungiglione -Villaggio dell’accoglienza”, che finora ha accolto oltre 350 detenuti, di cui quasi un quarto stranieri, e che gestisce il progetto “Rinascere”, finalizzato a costruire nuove possibilità per persone che devono scontare una pena. Giustizia: alla Camera prosegue serie di audizioni su pdl per pene alternative al carcere Asca, 2 giugno 2013 La Commissione Giustizia ha proseguito giovedì scorso l’indagine Indagine conoscitiva sull’efficacia del sistema giudiziario in relazione all’esame della proposta di legge C. 331 Ferranti, recante la delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. Sono stati ascoltati il Capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, il Presidente del tribunale di Milano, Livia Pomodoro il presidente aggiunto dell’ufficio GIP del tribunale di Milano, Claudio Castelli. Sono state svolte audizioni anche del Presidente del tribunale di Torino, Luciano Panzani, del giudice del tribunale di Torino, Alessandra Salvadori, di rappresentanti dell’Associazione nazionale magistrati, della professoressa di diritto processuale penale presso l’Università degli studi di Macerata, Claudia Cesari e di rappresentanti dell’Unione delle camere penali italiane. La stessa Commissione ha avviato l’esame della pdl 631 contenente modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Il relatore Carlo Sarro del Pdl ha osservato che la custodia cautelare ha oramai finito per assumere una valenza surrogatoria della pena detentiva che dovrebbe per lo più essere conseguenza di una sentenza definitiva di condanna. Ha aggiunto che la lunghezza dei processi rende meno certa, e comunque molto ritardata, l’applicazione della sanzione e che in questo contesto la restrizione cautelare finisce per essere percepita, erroneamente, come l’unica vera pena capace di avere un immediato effetto deterrente e preventivo. Si tratta di una stortura che può essere corretta - ha aggiunto - intervenendo anche sulla questione della ragionevole durata del processo. Giustizia: Codice Strada; Lavoro pubblica utilità al posto reclusione per 3.645 condannati Ansa, 2 giugno 2013 Attività di volontariato al posto del carcere o dell’ammenda. Così stanno scontando la loro pena più di 3.600 condannati per guida in stato di ebbrezza. Numeri apparentemente limitati, ma che in realtà rivelano un piccolo boom, se si pensa che nel 2010, primo anno di applicazione del nuovo codice della strada, che ha introdotto questa possibilità per chi si mette alla guida dopo aver alzato il gomito, la totalità dei condannati ammessi al lavoro di pubblica utilità ha appena raggiunto la cifra di 62. L’istituto esiste dal 1990 quando era limitato soprattutto a chi si rendeva responsabile di reati di produzione, traffico o detenzione di stupefacenti di lieve entità. Ma oggi a beneficiarne sono soprattutto gli automobilisti che bevono, come testimoniano i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria relativi al 31 maggio scorso: se in totale gli ammessi a prestare un’attività gratuita a favore della collettività sono 3.978, 3.645 di loro sono i condannati per guida in stato di ebbrezza. Numeri in continua ascesa: se nel 2011 sono stati 830 in tutto coloro che hanno evitato il carcere o l’ammenda lavorando presso lo Stato nelle sue varie articolazioni, o enti di assistenza sociale o di volontariato, l’anno scorso la cifra è balzata a 5.772. E la crescita continua, soprattutto per chi viola il codice della strada: a dicembre del 2012 erano 2.121, a gennaio di quest’ anno 2.413; 2576 a febbraio, 2.987 a marzo e 3.309 ad aprile. Giustizia: Gianluca Di Mauro, nuova apertura delle indagini per suicidio sospetto in cella www.blogspot.it, 2 giugno 2013 Il 2008 è un anno che molti se lo ricordano come l’inizio della crisi economica nata subito dopo la bolla immobiliare esplosa negli USA l’anno prima, e della crisi iberista che ci ha portato ai giorni bui attuali. Molti se lo ricordano anche con le varie inchieste giudiziarie aperte su più fronti e l’ennesima vittoria di Berlusconi alle politiche. E durante quella guerra finanziaria altre tragedie erano in corso. Ma che riguardavano le famiglie che avevano i propri cari nelle carceri. Inutile ricordare il degrado e l’inciviltà delle nostre Patrie Galere (ricordiamo l’ennesima condanna da parte della Corte Europea) dove quasi la metà sono detenuti in attesa di giudizio e dove l’articolo 27 della Costituzione non è minimamente rispettata. Le carceri sono luoghi di sofferenza e tortura, luoghi dove i ragazzi si suicidano per disperazione o vengono “suicidati”. Basta poco a simulare una impiccagione e gli assassini sanno che avranno facilmente l’impunità: i magistrati archiviano quasi sempre le morti in carcere come suicidio. Poi sta alla tenacia dei famigliari e degli avvocati nel far riaprire il caso, e molto spesso ci si scontra con i mulini a vento. Come ad esempio nel caso complicatissimo di Niki Aprile Gatti che nel 2008 (tra un mese, il tragico 24 giungo, ricorrerà il triste anniversario) ufficialmente si suicidò con un laccio di scarpe. E, nonostante le innumerevoli contraddizioni, fu archiviato dal Magistrato di Firenze (ricordiamo che Niki era in arresto preventivo nel famigerato carcere di Sollicciano) come suicidio. Ma questa è un’altra Storia che non esiteremo a raccontarla nuovamente come si è sempre fatto. Sempre nel 2008 avvenne un’altra morte bollata come suicidio. Il 15 dicembre del 2008, un ragazzo di nome Gianluca Di Mauro fu ritrovato impiccato nel carcere di massima sicurezza di Bicocca. Doveva scontare oltre 12 anni di carcere (aberrazione giudiziaria solo Italiana) per diverse rapine. La famiglia non ci ha mai voluto credere, e ancor di più il suo avvocato difensore Eleonora Baratta al quale si era affezionato. Gianluca Di Mauro, un ragazzo non fortunato ( fece un grave incidente e da allora cominciò a soffrire di crisi epilettiche ) e con problemi di tossicodipendenza (voleva salvare la propria ragazza dai problemi di droga, ma alla fine finì anche lui nel tunnel), entrò in carcere nel 2003 per cinque fatti di rapina (lui ne riconobbe quattro): rapine mosse dal movente droga. E ci sarebbe tanto da discutere sulla necessità del carcere come risoluzione di questi problemi. Al carcere subì numerose vessazioni, denunciò anche di essere stato vittima di una violenza carnale da parte del suo compagno di cella. E come se non bastasse da quel giorno finì in isolamento per mesi. Cambiò numerose carceri (compreso Sollicciano) per poi essere nuovamente trasferito al carcere di Catania. Per il 18 dicembre del 2008, l’avvocato difensore Eleonora Baratta era riuscita ad ottenere udienza per la riduzione della pena e trasferimento in comunità. E Gianluca era ovviamente entusiasta di questa notizia. Ma al 18 non ci arrivò mai perché il 15 dicembre sera fu ritrovato impiccato: si sarebbe suicidato stringendosi al collo una cintura di pantaloni non sua. L’avvocato Baratta, e di conseguenza poi i famigliari, venne avvisata solo la mattina dopo. Nasce da subito il procedimento per istigazione al suicidio (580 cp) e relative indagini, ma dopo ben due anni il Magistrato archiviò tutto. Allora l’avvocato fece subito opposizione nonostante non le fecero estrarre la copia dei tre enormi faldoni (l’archiviazione) : li dovevano solo visionare, ma nonostante ciò riuscì a prendere appunti (con non poca difficoltà) e depositò le memorie. Notizia del 16 maggio scorso è che l’opposizione ha convinto il gip Paola Cosentino a restituire gli atti alla Procura ordinando sei mesi di indagini. E se l’esito sarà positivo, ci saranno i primi rinvii a giudizio. Una buona notizia per restituire la verità a questo ragazzo, e magari riaccendere la speranza ai tanti familiari che l’hanno perduta. Finire nell’ingranaggio della Giustizia si può rischiare di essere stritolati e, senza metafore, morire. Umbria: Garante detenuti, serve figura autorevole, non si sprechi l'occasione di Walter Cardinali (Libera Umbria) www.giornaledellumbria.it, 2 giugno 2013 Martedì in consiglio regionale si torna a votare per l'individuazione di un nome. Dopo l'ultima fumata nera, a Palazzo Cesaroni, martedì si torna a votare per la scelta del garante dei detenuti. Libera Umbria valuta positivamente i progressi compiuti in consiglio regionale nel tentativo di giungere in tempi brevi alla nomina del Garante dei detenuti. La procedura è tale da assicurare una scelta oculata e il massimo della trasparenza. "In consiglio regionale si è infatti costituito, dopo una verifica dei requisiti di legge, un albo dei candidati, contenente i curricula presentati – ricorda il presidente Walter Cardinali. Un’ampia maggioranza di consiglieri, 18 su 31, ha potuto così orientare il proprio voto sulla figura di un giurista di valore, il professor Carlo Fiorio, da sempre impegnato sui problemi dell’esecuzione penale e legato al volontariato di sostegno ai detenuti. Si tratta, per altro, di una personalità assolutamente indipendente dall’amministrazione penitenziaria e giudiziaria, dal mondo politico, dagli studi legali professionali, tale da evitare conflitti di interesse pregressi o potenziali. Questa scelta, o altra di analogo peso e qualità, può trovare nelle prossime ore, o anche nei prossimi giorni, i consensi necessari, 21 su 30. Non sarebbe accettabile che, per accordi di potere, con l’alibi di una fretta che il consiglio regionale non ha mai avuta per quasi sette anni, si proceda ad una nomina qualunque, senza spessore e senza l’autorevolezza necessaria all’importante ruolo di tutela". Un garante "scialbo e indolore non serve ai detenuti, ma solo "a giochi politici". Se non è possibile la scelta di un garante autorevole, "per il permanere di veti assurdi, si proceda ad una rapida modifica legislativa che abbassi il quorum troppo alto. Due mesi sono sufficienti e sarebbe un tempo ben utilizzato dopo anni inutilmente sprecati". Napoli: Sappe; detenuto straniero di 40 anni suicida nel carcere di Poggioreale Ristretti Orizzonti, 2 giugno 2013 Un detenuto straniero di circa 40 anni, giudicabile per il reato di uxoricidio, si è impiccato venerdì pomeriggio nella sua cella nel Padiglione Milano del carcere di Napoli Poggioreale. ''E’ l’ennesima triste notizia che ci troviamo a commentare - commenta Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo di Categoria. Capece ricorda che una settimana fa il SAPPE manifestò proprio davanti a Poggiorale per denunciare la grave emergenza penitenziaria. “Il suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze. La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi e' quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere, argomento rispetto al quale il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, è da tempo impegnato. Si pensi che nel solo 2012 ci sono stati in carcere 56 detenuti morti per suicidio (30 italiani e 26 stranieri) e 97 decessi per cause naturali (82 italiani e 17 stranieri). I suicidi sventati sono stati 1.308. L’anno prima, il 2011, ha registrato morti per suicidio 63 detenuti e morti per cause naturali 102 persone ristretto. I suicidi sventati dalla Polizia Penitenziaria erano stati 1.003”. “Nella situazione in cui versa attualmente il pianeta carcere” prosegue Capece “gli eventi critici potranno solo che aumentare in modo esponenziale e l’operato del personale di Polizia Penitenziaria risulterà vano se non si troverà una celere soluzione a tutte quelle criticità legate alla maggior parte degli istituti penitenziari italiani. Altro che la vigilanza dinamica del Capo DAap Tamburino e del Vice Pagano, che mantiene la colpa del custode e sopprimi i posti di servizio a tutto discapito della sicurezza. Se la già e critica situazione penitenziaria del Paese non si aggrava ulteriormente è proprio grazie alle donne e agli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria. Poliziotti, è bene ricordarlo, i cui organici sono carenti di circa 7mila e che mantengono l’ordine e la sicurezza negli oltre duecento Istituti penitenziari a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato, lavorando ogni giorno, ogni ora, nel difficile contesto penitenziario con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità”. Bari: D’Ambrosio Lettieri (Pdl); nuovo carcere svanito per colpa di Emiliano e Vendola www.radiomadeinitaly.it, 2 giugno 2013 Le bugie, si sa, hanno le gambe corte e la lettera del capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (in calce, ndr), Giovanni Tamburino scioglie come neve al sole anche il beneficio del dubbio rispetto alla linearità e alla trasparenza delle affermazioni del sindaco Emiliano in merito a questioni di primaria importanza per la comunità come quelle della sicurezza e della giustizia. Tamburino lo dice chiaro e tondo, mettendolo nero su bianco: “il taglio dei fondi imposto dalla delibera Cipe n. 6 del 20 gennaio 2012 impose la rimodulazione del Piano carceri e la conseguente espunzione “inter alias” degli interventi non ancora localizzati per mancanza di intesa istituzionale, come previsto dalla legge 26/2010”. Da una parte è evidente che i fondi destinati a Bari - ben 40 milioni di euro - per la costruzione di un nuovo penitenziario sono stati dirottati altrove, dunque non ci sono più, al contrario di quel che afferma il sindaco, dall’altra è altrettanto evidente che a indirizzare la rimodulazione delle risorse a sfavore del capoluogo è stato il colpevole immobilismo delle amministrazioni locali. Di Vendola, in primis, ma di Emiliano pure. L’amarezza di questo ennesimo finanziamento che Bari e la Puglia perdono per mano dell’amministrazione di sinistra, è ancora più grande se penso al lavoro svolto dall’allora ministro Fitto e dai parlamentari PdL di Bari per ottenere un segno di attenzione e di rispetto per il nostro territorio. In sostanza, mentre oggi il primo cittadino grida allo scandalo e si straccia le vesti per un carcere che è la vergogna d’Italia, ieri è rimasto colpevolmente in silenzio dinanzi all’inerzia della Regione Puglia che era stata chiamata per legge a stipulare l’intesa istituzionale per l’ubicazione e la costruzione del nuovo penitenziario. Dopo aver dato solo ad agosto 2011 il parere favorevole alla localizzazione del nuovo penitenziario da 450 posti tra Carbonara e Loseto, dopo reiterate sollecitazioni da parte del Dap e dell’allora commissario Ionta, non ha mosso un solo dito, non ha battuto i pugni sul tavolo di Vendola, non è andato a gridare le ragioni che non sono solo quelle dei detenuti - che già basterebbero, considerata la violazione dei diritti umani e del fine ultimo dell’espiazione della pena che è quello della rieducazione e del reinserimento sociale - ma di tutta la comunità, a cominciare dagli operatori penitenziari che lavorano in condizioni impossibili alle forze dell’ordine e alla magistratura. Perché il sovraffollamento carcerario coinvolge tutto il sistema giustizia. Questa vicenda rappresenta il paradigma senza soluzione di continuità della gestione politico-amministrativa di questa città, nel nome e per conto di un mistificatore di professione, secondo i metodi ipocriti della propaganda di gruppo. Per realizzare qualcosa di costruttivo per questa comunità occorre recuperare il linguaggio della verità e del rispetto e uscire dall’equivoco creato ad arte da chi utilizza parole in libertà per denigrare l’avversario, nel tentativo di delegittimarlo. Ma la delegittimazione è figlia della colpa. Il centrodestra non ha mai sottovalutato il pericolo di infiltrazioni criminali nella cosa pubblica, come asserisce il sindaco di Bari. Ha denunciato in tutte le sedi questo pericolo. Ha anche chiesto che si indagasse e verificasse se chi è entrato in politica avesse già negoziato con la criminalità un patto scellerato per mettere sotto scacco una città sulla quale incombe pesantemente un’attività che meritava e merita di essere accertata anche con riferimento alle possibili infiltrazioni di organizzazioni criminali e di suoi rappresentanti nelle società controllate dal Comune, municipalizzate ed altro. Multiservizi in testa. Abbiamo scritto al governo, chiesto insistentemente la convocazione del Comitato nazionale per la sicurezza alla presenza dei ministri competenti, la realizzazione di misure adeguate per rispondere alle gravi criticità denunciate dagli operatori della giustizia, nonché una via seria, credibile e perseguibile per restituire serenità e dignità al lavoro di quanti operano negli uffici giudiziari di Bari. Abbiamo chiesto che cessasse lo sperpero di denaro pubblico con la mancata utilizzazione dei cosiddetti carceri fantasma, a cominciare da quello di Spinazzola, che invece avrebbero potuto contribuire ad alleggerire l’intollerabile situazione di sovraffollamento del carcere di Bari. A settembre dell’anno scorso, in una interrogazione urgente al Governo, abbiamo chiesto che fossero assegnate anche a Bari le risorse del FUG, oltre due miliardi di euro di cui non si era visto un euro. Nella completa indifferenza del sindaco fustigatore. I parlamentari baresi del PdL hanno esercitato tutte le prerogative assegnate ad un parlamentare della Repubblica perché nell’interesse dei cittadini baresi fosse tutelato il diritto alla sicurezza. Può forse dire lo stesso il sindaco di Bari di fronte ad una città sempre più spaurita e sola? O pensa sempre il sindaco di Bari che basti lanciare qualche accusa nel mucchio, chiudere il lungomare, lanciare offese, far sorgere sospetti, per lavare via le proprie indiscutibili responsabilità? È tutto agli atti. Anche l’ultima lettera inviata dal coordinatore cittadino del PdL ai ministri Alfano e Cancellieri poi ricalcata praticamente in pieno dal tardivo Emiliano. Il centrodestra continuerà a fare la sua parte. E si adopererà nelle sedi competenti perché i fondi per la giustizia e la sicurezza tornino a Bari. Facendo, noi per davvero, pur dall’opposizione, qualcosa di costruttivo per la nostra amata città, che non può essere ostaggio di due personaggi in cerca d’autore, come Emiliano e Vendola che giocano al gatto e alla volpe sulla pelle dei cittadini. Sen. Luigi D’Ambrosio Lettieri Roma, 24 maggio 2013 Al Sen. Dott. Luigi D’Ambrosio Lettieri 12^ Commissione Permanente Igiene e Sanità Oggetto: Nuovo Istituto Penitenziario di Bari Con riferimento alla richiesta della S.V. circa la conferma se il mancato riscontro da parte del Sindaco di Bari alla richiesta dell’allora Commissario delegato Pres. Ionta, del parere favorevole sulla localizzazione del nuovo istituto di Bari, avesse comportato l’assegnazione dello stanziamento di 40 milioni di euro ad altra regione, si comunica quanto rappresentato in data odierna dal Commissario Straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie: 1. il Sindaco di Bari con nota n. 200875 del 25/8/2011 diede parere favorevole alla localizzazione del nuovo istituto penitenziario da 450 posti nell’area ubicata a sud di Bari, in prossimità dei quartieri di Carbonara e Loseto; 2. nonostante il parere Favorevole del Sindaco, il Presidente della Regione Puglia non stipulò l’intesa Istituzionale, richiesta ai fini della localizzazione dall’art. 17 ter della legge 26/2010 - Disposizioni per la realizzazione urgente di istituti penitenziari; 3.Il taglio dei fondi imposto dalla delibera CIPE n. 6 del 201 112012 di 228 milioni di euro impose la rimodulazione del Piano carceri e la conseguente espunzione “inter alias” degli interventi non ancora localizzati per mancanza di Intesa istituzionale, come previsto dalla legge 26/20 10. Con cordialità Il Capo Dipartimento, Giovanni Tamburino Monza: il nuovo Garante dei diritti dei detenuti presenta due progetti per il reinserimento www.ilcittadinomb.it, 2 giugno 2013 Una fotografia aggiornata della casa circondariale di via Sanquirico. Dovrà farla il professor Giorgio Bertazzini, neo garante per i diritti delle persone limitate nella libertà personale, che venerdì 31 maggio ha incontrato i rappresentanti istituzionali della Brianza che lavorano a contatto con la realtà del carcere e ha esposto le linee guida del suo mandato. In un mondo che, per una sentenza della corte di giustizia europea, entro l’anno dovrà cambiare, soprattutto in termini di sovraffollamento e quindi di dignità, istruzione, lavoro e reinserimento sociale. In questa direzione a giugno la Provincia lancerà due nuovi progetti per l’inserimento lavorativo degli ex detenuti. Con “Responsabilità civica di impresa”, le imprese e le cooperative sociali che assumeranno ex detenuti con contratti a tempo determinato e indeterminato, potranno ricevere l’erogazione di una dote del valore complessivo massimo pari a 3mila euro per una somma complessiva 60mila euro. Con “Azioni di sostegno all’occupazione di soggetti svantaggiati”, riceveranno incentivi fino ad un massimo di 8mila le imprese della Brianza che si impegneranno ad assumere soggetti svantaggiati, in particolare disoccupati di età superiore ai 50 anni oppure lavoratori capifamiglia con figli minori a carico (nuclei monoparentali). Il budget complessivo per questo progetto è fissato in 150mila euro. Nelle scorse settimane Giorgio Bertazzini ha ascoltato tutti coloro che ruotano attorno alla comunità di via Sanquirico, dalla direttrice ai volontari e i reclusi. “Il sovraffollamento - aveva commentato - è il problema dei problemi. Non a caso si dice che si è oltrepassata la soglia della tollerabilità: in Italia ci sono circa 67.000 detenuti per 45.000 posti e, per aggirare la norma, si è fissato a 60.000 il livello di tollerabilità. Siamo, quindi, di fronte a una doppia illegalità”. Bertazzini non parte da zero: si è occupato della struttura monzese dal 2006 al 2010, quando era garante della Provincia di Milano, la prima a istituire questa figura. “Conosco le sue peculiarità - aggiunge - quello brianzolo è l’istituto più piccolo tra quelli che seguivo, non ha niente a che vedere con i 1.600 carcerati di San Vittore e i 1.300 di Opera. Parecchi anni fa il continuo avvicendarsi di direttori ha causato difficoltà ad avviare alcuni progetti, poi però la situazione si è stabilizzata”. Ora i problemi maggiori derivano quasi tutti dal sovraffollamento, acuito dall’inagibilità della palestra, del teatro e della cappella: “Dovremo - riflette Bertazzini - trovare una soluzione anche se in tempi di crisi non è facile parlare di investimenti. Allo stesso modo diventa difficile discutere della mancanza di lavoro per i detenuti quando le aziende chiudono ovunque”. Nel suo monitoraggio dovrebbe essere favorito dalle normative recenti: “Dal 2009 il Garante - precisa a questo proposito - è una figura riconosciuta dalla legge mentre prima era equiparato a un volontario. Questo consente di entrare nelle strutture, di effettuare ispezioni a sorpresa e di incontrare i singoli detenuti e non solo le loro delegazioni. A Milano ogni quindici giorni vedevo una media di 5-7 carcerati”. Le loro segnalazioni avevano molte cose in comune a partire dalla impossibilità di vivere dignitosamente in tre o più in celle destinate a due persone. Terni: potenziata la sanità nel carcere di Sabbione, ma l’emergenza è la carenza di agenti di Nicoletta Gigli Il Messaggero, 2 giugno 2013 La Fondazione Carit ha acquistato tre apparecchiature diagnostiche. “In questo settore abbiamo una grande responsabilità perché dipende da noi la decisione di come curare i detenuti, che prima di tutto sono persone”. Sono le parole del direttore del carcere, Chiara Pellegrini, che ha inaugurato tre apparecchiature diagnostiche all’avanguardia: un ecografo multifunzionale, un cicloergometro e un elettrocardiografo. Sono stati donati dalla fondazione cassa di risparmio di Terni, che per acquistarli ha stanziato trenta mila euro. “Un grande aiuto quello della fondazione - ha detto il direttore generale dell’asl 2, Sandro Fratini - che è alla base di importanti progetti che stiamo portando avanti. Le apparecchiature donate saranno fondamentali per superare i disagi dovuti al trasferimento di detenuti in ospedale per effettuare questo tipo di esami. L’anno scorso sono stati venticinque quelli che un centinaio di agenti della penitenziaria hanno dovuto scortare al “Santa Maria” per gli accertamenti diagnostici che ora potranno essere eseguiti direttamente dalla struttura sanitaria interna a Sabbione. Dove lavorano sette medici di guardia oltre ad una serie di specialisti che vengono chiamati ogni volta che c’è bisogno. Intanto a Sabbione sarà un’altra estate di superlavoro. Con la polizia penitenziaria che sarà impegnata a fare i miracoli per “incastrare” i turni durante le ferie e garantire la sicurezza. Oggi il carcere ospita quattrocento detenuti a fronte di 165 agenti in forza a Sabbione. Nelle prossime ore i nove ex brigatisti che erano detenuti nella sezione di alta sicurezza del carcere campano di Carinola, appoggiati da tre settimane nelle celle di accoglienza, saranno trasferiti nel piccolo padiglione che avrebbe dovuto ospitare i trans. Per sorvegliare questa sezione servono sette poliziotti della penitenziaria. Personale da reperire tra numeri esigui. Perché la polizia penitenziaria che lavora a Terni è sotto del venti per cento rispetto alle necessità. Una percentuale di carenza destinata a salire in modo consistente nel momento in cui saranno aperti anche il primo e secondo piano del nuovo edificio, che di fatto consentirà il raddoppio del penitenziario portando i reclusi a quota seicento. La capienza regolamentare di 218 posti e la previsione di un agente per ogni detenuto sono un ricordo lontano. Oggi i reclusi sono a quota 400, il personale che li controlla è fermo a poco più di 160 unità e deve gestire diverse tipologie di detenuti. In un carcere come quello di Terni, preso ad esempio a livello nazionale per l’impegno volto al recupero delle persone finite in cella, diventa sempre più complicato anche svolgere le numerose attività di rieducazione e reinserimento sociale. A Sabbione ci sono detenuti impegnati con il gruppo teatrale, altri che fanno calcio e rugby grazie all’impegno volontario di diverse società sportive della città. Importante la presenza dei volontari della Caritas, dell’associazione San Martino e di Arci - Ora d’Aria. Persone che hanno contribuito concretamente a far sì che il periodo trascorso dietro le sbarre fosse utile per molti a recuperare quello che di buono c’è in ogni persona finita nei guai. Attività che, per la cronica carenza di personale, diventa ogni giorno più difficile gestire. Il tutto mentre si attende la nomina del garante dei detenuti. Una figura fondamentale per la tutela dei reclusi e degli operatori che tarda ad arrivare. Sassari: a San Sebastiano si smobilita, presto i detenuti nel nuovo carcere di Bancali di Nadia Cossu La Nuova Sardegna, 2 giugno 2013 A San Sebastiano c’è aria di smobilitazione e l’impressione è che in brevissimo tempo i detenuti saranno trasferiti nel nuovo carcere di Bancali. Ieri pomeriggio, infatti, c’è stata la consegna (provvisoria) delle chiavi di un’ala dell’istituto penitenziario, e si tratta proprio del padiglione che ospiterà i reclusi che attualmente sono nel carcere di Sassari: 138 uomini, 16 donne e un bambino. L’iter per l’apertura del nuovo istituto di pena ha subìto un’accelerata proprio in considerazione delle sempre più precarie condizioni di San Sebastiano. Non a caso, durante un’audizione consiliare, quando alla garante dei detenuti Cecilia Sechi era stato chiesto cosa avesse in più la struttura di Bancali rispetto al vecchio carcere la risposta era stata: “Sarebbe come paragonare un albergo a cinque stelle a una baracca che sta crollando”. Un’affermazione che rende bene l’idea di come la situazione nel carcere di via Roma sia diventata insostenibile, per i detenuti così come per gli agenti di polizia penitenziaria. Celle sovraffollate, bagni in pessime condizioni, l’acqua che manca. E sono solo alcuni dei tanti problemi. “È doveroso - spiega la Sechi - ringraziare il Provveditorato regionale che ha velocizzato i tempi. Stiamo contando molto anche sulla collaborazione di Abbanoa che si sta adoperando per il posizionamento dei contatori e gli ultimi allacci”. Lavoro sinergico che in questo momento è molto importante per consentire un trasferimento rapido. “Resta invece la preoccupazione - è la piccola nota di rammarico della garante - per la negata collaborazione della Regione al sostegno economico per il collegamento dei mezzi pubblici. È penalizzante e demoralizzante considerato che si sta andando a sanare una situazione disastrosa (quella di san Sebastiano ndr)”. E l’ideale sarebbe che tutto ora - trasporti compresi - funzionasse per il meglio. Milano: domani il ministro Cancellieri in visita al carcere di Bollate, con lei il capo del Dap Adnkronos, 2 giugno 2013 Nuova tappa in un istituto penitenziario per il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri. Lunedì prossimo, alle 11, informa una nota, il guardasigilli sarà alla casa di reclusione di Milano-Bollate per incontrare una rappresentanza del personale in servizio e visitare alcuni reparti detentivi e l’area industriale con i laboratori dove i detenuti svolgono le attività lavorative. Il ministro sarà accompagnato dal capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tamburino, dal provveditore regionale lombardo del Dap Aldo Fabozzi e dal direttore dell’istituto Massimo Parisi. Cosenza: Corbelli (Diritti Civili); stop a ordinanze prefetto su coop per lavoro a ex detenuti Ansa, 2 giugno 2013 Il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, in una nota chiede che “vengano annullate le ordinanze del prefetto di Cosenza, Raffaele Cannizzaro, con le quali è stata negata la certificazione antimafia a dieci cooperative sociali di tipo B”. Corbelli chiede il “ritiro di queste ordinanze prefettizie e il ripristino da parte del Comune e del sindaco Mario Occhiuto dei contratti con tutte le cooperative, naturalmente nel rispetto della legalità. È grave e ingiustificato non prendere atto che le cooperative sociali sono nate, per una felice intuizione dell’allora sindaco Giacomo Mancini, proprio per aiutare persone svantaggiate (ex detenuti, soggetti che vivono situazioni di disagio sociale). Scoprire adesso che tra i soci lavoratori di queste cooperative ci sono ex detenuti, o soggetti che hanno commesso piccoli reati 30 anni fa, è grottesco e sconcertante. È una grande ingiustizia”. “Siamo da sempre - aggiunge - dalla parte dei più deboli, dei diritti e della legge. E continueremo sempre ad esserlo. Chiediamo anzi di porre fine a questa criminalizzazione delle cooperative”. Catanzaro: “Una Casa Alternativa”, presentato progetto per l’Istituto penale minorile Agi, 2 giugno 2013 È stato presentato a Catanzaro, presso la Comunità ministeriale della Giustizia Minorile il progetto “Una Casa Alternativa per la facilitazione della fruizione delle misure alternative alla privazione della libertà per i minori sottoposti a provvedimenti penali”, finanziato dal Ministero dell’Interno - Programma Operativo Nazionale “Sicurezza per lo sviluppo - Obiettivo convergenza” 2007-2013 - Asse II - Obiettivo operativo II.6 e attualmente in fase di esecuzione da parte dell’aggiudicatario Istituto Don Calabria di Verona. Alla presentazione, oltre agli operatori, minori e associazioni che collaborano attivamente hanno partecipato Angelo Meli, direttore del Centro Giustizia Minorile per la Calabria e la Basilicata, Mario Barletta, direttore della Comunità ministeriale, Alessandro Padovani, direttore dell’Istituto Don Calabria di Verona, Giampaolo Mungo, assessore allo sport del comune di Catanzaro, Wanda Ferro, commissario straordinario della provincia di Catanzaro, Luciano Trovato, presidente del Tribunale Minorenni di Catanzaro, Vincenzo Caserta dirigente regionale del settore politiche sociali, Antonino Montuoro, responsabile ASP Catanzaro per la sanità penitenziaria, Bernardo Grande, responsabile SerT di Catanzaro, Francesca Tedesco per l’Istituto comprensivo Vivaldi. Barletta ha illustrato ai presenti la struttura ministeriale della Comunità alla quale è connessa anche il centro diurno polifunzionale, due servizi frutto di un sogno coltivato nel tempo e di una collaborazione sinergica con tutte le istituzioni presenti. Padovani ha sensibilizzato i presenti sul senso che oggi ha il parlare di adolescenza e comunità come luogo di vita, sia esso residenziale o diurno. L’assessore Mungo, nel portare i saluti del sindaco Abramo e dell’assessore Salerno, ha sintetizzato le azioni del suo specifico assessorato dello sport offrendo ai ragazzi ospiti una serie di attività sportive quali valido strumento pedagogico e socializzante, grazie al contributo volontario delle associazioni sportive di Tonino Guerra, Paolo Morace, Franco Cutruzzolà, Vincenzo Pizzari e Nicola Mondilla. Ferro ha sottolineato come per comunità si intenda anche famiglia, una categoria svantaggiata unitamente alle politiche sociali sul territorio che meritano un’attenzione specifica da parte di tutti, in particolare per la condizione dell’essere giovani che significa “mantenere l’oblò aperto” nonostante le acque possano essere agitate. Il presidente Trovato ha espresso la vicinanza sua e di tutti i giudici, togati e onorari, ad una realtà il cui contatto “col fuoco” può aiutare anche gli stessi giudici a comprendere da vicino il vissuto di ciascun utente, mantenendo sia il giusto distacco che la necessaria terza età. Il dirigente Caserta ha espresso il suo forte credo nelle reali sinergie e corresponsabilità, come quella della giornata di oggi, ma al contempo la sua preoccupazione per la poca attenzione riservata alla fascia degli adolescenti in Calabria. Montuoro, nel portare i saluti del direttore generale Mancuso, ha comunicato i percorsi socio sanitari in corso di esecuzione tra ASP e Giustizia minorile, ai quali ha fatto riferimento anche lo Il dirigente Meli, nel chiudere la presentazione, ha manifestato un pieno compiacimento nel vedere intorno allo stesso tavolo tutte le istituzioni, come risultanza di collaborazioni pensate, volute e organizzate nel tempo con impegno e sacrificio, dando infine un senso compiuto ai percorsi di reinserimento sociale dei tanti giovani autori di reato in Calabria e, nello specifico, nella provincia di Catanzaro. Bari: pensare un carcere diverso è possibile?, se ne è discusso con l’architetto Labalestra di Caterina Rinaldo www.barilive.it, 2 giugno 2013 Si è svolta ieri mattina presso la Casa Circondariale di Bari, la conferenza di presentazione dei lavori di “Carceri d’Invenzione”, il progetto di ricerca svolto presso il Politecnico di Bari a partire dal 2011 e avviatosi alla conclusione. “L’antitesi dello spazio” è il titolo del tema dell’incontro che rientra nel programma scientifico e culturale del progetto di ricerca. All’evento sono intervenuti il prof. Nicola Costantino, Magnifico Rettore del Politecnico di Bari e la direttrice della Casa Circondariale di Bari, Lidia De Leonardis, l’arch. Antonio Labalestra, responsabile scientifico del progetto, l’arch. Antonella Calderazzi, docente di Architettura e Composizione Architettonica e l’ing. Gabriella Massari. “Carceri d’Invenzione” è un progetto di ricerca volontario avviato nel 2011 sul tema dell’architettura penitenziaria, che nasce dall’idea di promuovere indagini e studi sugli ‘spazi della detenzionè, per incoraggiare un approccio democratico e civile verso la progettazione delle carceri. L’anno scorso un gruppo di studenti ha somministrato un questionario ad un gruppo di detenuti riguardante le condizioni del carcere e del sistema detentivo in generale. A seguito delle ricerche, sono stati prodotti alcuni progetti volti a ripensare lo spazio della pena. “È un’esperienza per gli allievi inedita e stimolante - ha detto Nicola Costantino - Fare architettura è fare ideologia. Se questo è vero in generale, è vero in particolare relativamente all’edilizia carceraria. Attorno a questo tema ci sono stati dei momenti molto immaginifici se pensiamo alle carceri di Giovan Battista Piranesi mentre Jeemy Bentham ha utilizzato il Panopticon, nel 1791, in una logica terrorista che si dice abbia addirittura ispirato il romanzo “1984” di George Orwell. È estremamente stimolante che il tema sia stato posto ai nostri studenti - prosegue il Rettore - perché porta a riflettere ideologicamente sul carcere e sul ruolo rieducativo ponendo in primo luogo il problema della socialità”. Nell’ambito del progetto sono state elaborate alcune tesi di laurea presso il Politecnico di Bari e la Facoltà di Architettura di Alghero. “L’idea è nata da un altro approccio, quello cinematografico in cui ricorreva la tipologia carceraria - dice Antonio Labalestra - Il cinema colmava una lacuna scientifica ravvisabile negli stessi manuali di progettazione, dove è assente qualsiasi riferimento tecnico alla tipologia penitenziaria. Il primo lavoro, allora, è consistito nel capire il funzionamento di un carcere. Non tutto è spazio detentivo. Ci sono altre funzioni, previste dalla Costituzione, relative alla riabilitazione. La prima parte dello studio è consistita in una documentazione, non esistendo dei riferimenti contemporanei che potessero costituire un valido esempio. Non ci sono delle indicazioni architettoniche nemmeno nel Piano Casa. Il carcere deve essere considerato come un microcosmo della città facente parte della società. Ciò che premeva era avere il punto di vista di chi progetta la struttura e, cosa ancor più importante, il parere di chi ci lavora, dato che non accade comunemente ad un progettista di imbattersi in un’area di ricerca che si spinga, ideologicamente, sino alla nozione di misura privativa della libertà.”. In un contesto urbano come Bari, l’intento è stato quello di far cadere la barriera esistente tra individuo libero e detenuto. Tutti gli edifici progettati sono per così dire pubblici nell’intento di invertire il concetto tra città e città penitenziaria. Il progetto è consistito nell’abbattere alcune parti del carcere e nel riprogettare degli spazi che fossero dedicati alla rieducazione e all’accoglienza, utilizzando degli elementi di recupero che, nel caso specifico, sono dei container dimessi che hanno permesso di creare dei piani sfalsati. Giuseppe Fanelli ha progettato una serie di biblioteche da annettere al carcere esistente unitamente a spazi a verde. Vito Colucci ha realizzato quattro piani costituiti da ottantaquattro containers realizzando, cinema, teatro, spazi espositivi, laboratori e biblioteche. Alcuni piani sono fruibili sia dal detenuto, che dagli ospiti, creando un’integrazione tra interno ed esterno. Giacomo Sorino ha scelto come tema quello della reintegrazione del carcerato, realizzando quattro corpi di fabbrica che contengono anche dei laboratori di economia e di marketing. Ogni spazio ha un suo ambito privato aperto, dove ciascun detenuto può vivere la sua vita indipendentemente dalla detenzione. Pensare un carcere più umano è davvero possibile ? “Il carcere è un mondo particolare”, conclude Tommaso Minervini, responsabile dell’area educativa e trattamentale della Casa Circondariale di Bari. Con la Fondazione per il Sud in sinergia con il Politecnico di Bari l’intenzione però è anche quella di avviare dei laboratori dedicati all’editoria. L’auspicio è di dare corso a questa idea quanto prima. Niger: prigione Niamey attaccata da un gruppo armato, morte due guardie Tm News, 2 giugno 2013 Due guardie sono rimaste uccise in un assalto al carcere di Niamey compiuto oggi da un “gruppo armato” non identificato. Lo ha annunciato il ministro della Giustizia nigerino Marou Amadou. “La prigione di Niamey è stata attaccata. Abbiamo la conferma della morte di due guardie. Si tratta di un gruppo armato che non abbiamo ancora identificato”, ha dichiarato. Amadou, che è anche portavoce del governo, ha aggiunto di non conoscere per il momento “la situazione esatta” sul posto. Al momento non è chiaro se questo attacco sia legato ai due attentati suicidi che hanno colpito il Paese il 23 maggio per la prima volta nella sua storia. Due attentati quasi simultanei contro il grande campo militare di Agadez, la principale città del Nord, e un sito di uranio del gruppo nucleare francese Areva a Arlit (più di 200 km a nord) hanno provocato più di una ventina di morti. Russia: Pussy Riot, la Alyokhina sospende sciopero fame dopo 11 giorni di protesta Agi, 2 giugno 2013 Maria Alyokhina, una delle due Pussy Riot che stanno scontando una pena nei campi di lavoro russi, ha deciso di sospendere lo sciopero della fame. Dopo 11 giorni di protesta, ha spiegato il marito della donna, “le sue richieste sono state soddisfatte dall’amministrazione penitenziaria e per questo Maria ha annunciato che sospenderà lo sciopero della fame”.