Giustizia: amnistia necessaria, per Camera e Senato è il momento delle scelte di Matteo Mascia Rinascita, 29 giugno 2013 Il Parlamento italiano dovrà dimostrare coraggio e decisione nell’affrontare gli atti con cui si intende diminuire il numero dei cittadini ristretti nelle carceri. Il governo di Enrico Letta sta facendo il suo, facendosi promotore di una serie di misure volte a migliorare la qualità della vita di detenuti e uomini della Polizia penitenziaria. Il ministero della Giustizia sa benissimo che non c’è tempo da perdere. Luglio e agosto sono tradizionalmente i due mesi in cui si raggiunge il picco del disagio; un dato nella piana disponibilità delle commissioni Giustizia delle Camere. Nei prossimi giorni si continuerà a parlare della delega al governo in materia di messa alla prova e procedimenti a carico degli irreperibili, articolato a cui seguirà la legge di conversione dell’ultimo decreto legge presentato da Palazzo Chigi. Anna Maria Cancellieri ha già chiarito il suo parere sulla vicenda. L’amnistia “è un diritto imperativo categorico morale, questo è il vero motivo per cui dobbiamo farlo. Credo fermamente che dobbiamo rispettare veramente la Costituzione”, e “comunque abbiamo una scadenza oggettiva a cui dobbiamo orientarci”, questa la presa di posizione dell’ex Prefetto. Il ministro ha aggiunto un parere anche sulla recente giurisprudenza della Corte europea dei diritto dell’uomo: “la sentenza Torreggiani ci ha distrutto, perché ogni detenuto potrà farci causa e a ogni detenuto dovremo pagare i conti”. Ma al di là di questo, c’è appunto che “tutto questo dobbiamo farlo perché è un diritto imperativo categorico morale”. A proposito delle paure che un provvedimento del genere potrebbe indurre nella collettività, Cancellieri ha sottolineato che “molto contano le paure delle persone, la gente ha paura per tanti motivi, giustamente anche per esperienze fatte o anche per un certo tipo di comunicazione che magari sollecita la paura più che la serenità. E quindi - ha detto ancora in proposito - bisogna parlare in maniera chiara e netta, rassicurare con fatti concreti, perché ai fatti devono corrispondere sempre delle cose che diano sicurezza alla gente. Non è che si tira fuori solo la gente dalle carceri, non è che si segue solo l’imperativo categorico morale di essere un Paese civile ma occorre poi che le forze dell’ordine siano sul territorio e che diano risposte adeguate”. A queste parole si è risposto con il consueto carico di demagogia. Posizioni avulse dal contesto e prive di rispetto per il garantismo. Chi ha a cuore lo stato di diritto dovrà abbandonare la bassa propaganda politica ed assumere scelte non più procrastinabili. Giustizia: lo “svuota carceri” e la riabilitazione contro l’università del crimine di Lucio d’Alessandro Il Mattino, 29 giugno 2013 Su proposta del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, il Consiglio dei Ministri ha approvato qualche giorno fa un decreto legge che è stato subito ribattezzato come “svuota carceri”. Il brutto nome, tuttavia, non può non piacere a chi da anni si occupa delle condizioni di vita dei detenuti nelle carceri italiane, condizioni disumane perle quali più volte il nostro Paese è stato condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il ministro ha spiegato che il decreto intende procedere con una doppia linea di intervento avendo come obiettivo, da un lato, quello di favorire l’uscita dal carcere dei detenuti non pericolosi che abbiano già scontato parte della loro pena e, dall’altro, di ridurre gli ingressi nelle carceri aumentando le possibilità di accedere a pene alternative alla detenzione. Questi obiettivi possono raggiungersi estendendo gli spazi di applicabilità di alcune misure alternative già previste dal nostro ordinamento per determinate categorie di soggetti come i recidivi per piccoli reati. Per le donne madri e peri soggetti affetti da gravi patologie sarà possibile, con il decreto del Governo, accedere alla detenzione domiciliare nei casi in cui debba essere espiata una pena non superiore a quattro anni. Insomma un intervento che tende nel complesso a porre un argine al problema del sovraffollamento penitenziario che affligge da sempre il nostro Paese e che tutti i Governi di ogni colore politico hanno affrontato sotto la spinta dell’urgenza di dover ridurre una popolazione carceraria che ha sempre superato e che anche oggi supera di gran lunga le possibilità ricettive degli istituti penitenziari. Il nuovo provvedimento dovrebbe portare a ridurre la popolazione carceraria di circa diecimila unità entro il 2016 e va nella direzione, certamente condivisibile, di superare il carcere come forma di pena in tutti i casi in cui non siano stati commessi reati gravi e non vi sia una pericolosità sociale del condannato. Appare chiaro infatti a tutti gli studiosi ed anche ai pratici dell’ argomento che la destinazione al sistema carcerario di pressoché tutte le risorse che il Ministero di Grazia e Giustizia investe perla “riabilitazione” dei condannati senza lasciare praticamente spazio alcuno all’ organizzazione delle misure alternative, rappresenta un rafforzamento di quella cosiddetta Università del crimine che il carcere obiettivamente è. Una Università nella quale quanti vi entrano, magari per piccoli reati e per trascorrervi ingiustificabili “attese di giudizio”, finiscono col “fare carriera”, fino ad arrivare alle grandi organizzazioni della mafia scalandone, a suon di crimini, e magari di colpi di pistola, le relative gerarchie. Da tempo Marco Pannella con i suoi ripetuti scioperi della fame e della sete, ha cercato di riportare l’attenzione dell’opinione pubblica sul problema delle condizioni disumane dei detenuti nelle carceri italiane e della mostruosità di un sistema penitenziario che non rispetta in nessun modo il dettato costituzionale e non è mai riuscito a provvedere con successo al reinserimento sociale degli ex detenuti. Ma non solo di questo si tratta. Si tratta anche, investendo sulle figure e sulle misure alternative (educatori, lavoro, messa alla prova...) di difendere la società, con un più di speranza che faccia circolare un ben diverso ethos di ciò che è possibile attendersi dallo Stato e dalla Comunità civile, in alternativa, per quanto possibile, alle sbarre e alle manette che danno l’inevitabile immagine e la cupa colonna sonora del mondo carcerario. Certo è incredibile che la situazione sia oggi addirittura peggiore di quella seguita all’indulto del 2006 e ci sia la necessità di pensare a un nuovo provvedimento di amnistia verso il quale si è dichiarata disponibile lo stesso ministro Cancellieri e che sicuramente è visto con simpatia da tutti coloro che hanno a cuore le sorti dei detenuti. Perché le cose cambino sul serio forse è ora di diventare “radicali cattolici”. Un radicale cattolico è un italiano che ha sempre ammirato pontefici come Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, che ha visto entrare tra le mura del carcere per portare una parola di speranza e, al tempo stesso, ha sempre guardato con simpatia, e spesso condiviso, le battaglie per dare a questo Paese una giustizia che funzioni e che assicuri condizioni più umane per i detenuti. Se il Ministro Cancellieri, oggi a Napoli per parlare con Roberto Saviano di legislazione antimafia nell’ambito del Sabato delle Idee, parlerà anche del suo decreto “svuota carceri”, non sarà fuori tema perché diversamente da quanto molti pensano, le mafie si combattono anche fornendo umana speranza, terreno sul quale, al contrario di quello della violenza, la mafie non hanno davvero nulla da offrire. Giustizia: carceri sovraffollate, il prezzo è caro… a maggio 2014 scatterà la multa Ue di Antonio Sansonetti www.blitzquotidiano.it, 29 giugno 2013 Le carceri italiane scoppiano? E io pago. “Io” come cittadino e come Stato italiano pagherò una maxi multa ai quasi 67 mila detenuti, per violazione dei diritti umani, se la situazione delle nostre prigioni non verrà sistemata entro il maggio del 2014. Entro quella data scade l’ultimatum della Corte di Strasburgo all’Italia: bisogna garantire ad ogni persona rinchiusa in cella uno spazio minimo di 4 metri quadrati, sufficientemente illuminato e pulito; bisogna inoltre assicurare, tramite le attività sociali all’interno del carcere, che il detenuto passi un buon numero di ore fuori dalla cella. Cosa succede se, oltre al decreto carceri emanato dal governo Letta, non si farà qualche altro intervento che vada nella direzione di uno svuotamento delle prigioni accompagnato da interventi di ampliamento e ristrutturazione dell’edilizia carceraria? Con una sentenza dell’8 gennaio 2013, la “sentenza Torreggiani”, la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia a pagare 100.000 euro di risarcimento a 7 detenuti che avevano fatto ricorso perché costretti a dormire in troppi in celle minuscole, nelle quali dovevano passare quasi 20 ore su 24 per mancanza di attività sociali nel carcere. Centomila euro diviso sette detenuti fanno 14.285 euro che lo Stato italiano deve sborsare per ogni carcerato. Secondo i dati dell’amministrazione penitenziaria (il Dap) del ministero della Giustizia, nelle 206 carceri italiane ci sono 66.271 detenuti, a fronte di una capienza di 45.568 posti. Moltiplicando la cifra del risarcimento per i circa 20 mila detenuti in eccesso, otterresti una somma che si avvicina ai 300 milioni di euro. Se invece lo Stato dovesse risarcire l’intera popolazione carceraria, dovrebbe sborsare quasi un miliardo di euro. Il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, che ha detto che un’amnistia “darebbe un grosso aiuto”, ha ricordato che la capienza di 45 mila posti non è da prendere alla lettera perché “molti padiglioni sono chiusi per lavori o necessitano ristrutturazioni e l’Europa è dal 1990 che ci riprende: siamo tutti capaci di mettere i detenuti negli scantinati o in letti a castello di cinque piani, ma non sono posti letto che reggono davanti alla Corte dei diritti umani!” A che punto sono, quindi, i lavori per evitare la maxi multa dell’Europa? Il decreto carceri, ricordiamolo, punta a tenere in prigione solo i condannati in via definitiva, pericolosi e responsabili di reati gravi. Mentre per le condanne entro i due anni il pm deve valutare il ricorso a pene alternative. Contemplati più permessi premio ai detenuti che si comportano bene e il ricorso alla liberazione anticipata laddove la “prognosi” è favorevole. Ai lavori socialmente utili potranno accedere alcolisti e tossicodipendenti condannati anche per reati non lievi puniti dalle norme sugli stupefacenti. È stata abolita, inoltre, l’esclusione dai benefici per i recidivi. Si calcola che l’entrata in vigore del decreto dovrebbe far uscire di prigione 3-4.000 carcerati. Le previsioni più ottimistiche parlano di 6 mila detenuti in meno in due anni: significa entro giugno 2015. Si parla poi di 10 mila nuovi posti letto in costruzione, ma entro il 2016. I conti non tornano e la maxi multa incombe. “L’amnistia darebbe un grande aiuto”, parola di ministro. Giustizia: Sappe; emergenza sovraffollamento… in carcere superate le 66mila presenze Ristretti Orizzonti, 29 giugno 2013 “Nonostante le buone intenzioni della Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri e del Governo il numero dei detenuti in Italia continua ad aumentare. Oggi è stata superata la quota delle 66mila presenze: 66.090, per la precisione. La Lombardia resta la Regione con il numero più alto di detenuti, 9.159, seguita da Campania, 8.333, Lazio, 7.222, e Sicilia, 7.163. La capienza regolamentare delle nostre carceri è di 42mila posti letto. Abbiamo più del 36% dei detenuti in attesa di un giudizio, 24mila stranieri in cella, un detenuto su 3 tossicodipendente, il lavoro penitenziario che è un miraggio perché lavorano pochissimi detenuti e 7.000 poliziotti in meno negli organici. E stare chiusi in cella 20/22 ore al giorno, senza far nulla, nell’ozio e nell’apatia, alimenta una tensione detentiva nelle sovraffollate celle italiane fatta di risse, aggressioni, suicidi e tentativi suicidi, rivolte ed evasioni che genera condizioni di lavoro dure, difficili e stressanti per le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. Che impatto hanno avuto le riforme dei ‘tecnici’ scelti per la guida dell’Amministrazione Penitenziaria - il Capo ed il vice Capo Giovanni Tamburino e Luigi Pagano, guida che è risultata fallimentare ed incapace di risolvere i problemi?” Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. “Le carceri restano invivibili, per chi è detenuto e per chi ci lavora. E la vigilanza dinamica dei penitenziari voluta da Giovanni Tamburino, Capo dell’Amministrazione Penitenziaria, per alleggerire l’emergenza carceraria è una chimera. Pensare a un regime penitenziario aperto; a sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità favorendo un depotenziamento del ruolo di vigilanza della Polizia Penitenziaria, relegata ad un servizio di vigilanza dinamica che vuol dire porre in capo ad un solo poliziotto quello che oggi lo fanno quattro o più Agenti, a tutto discapito della sicurezza e mantenendo il reato penale della “colpa del custode”; ebbene, tutto questo è fumo negli occhi. Non crediamo che l’amnistia, da sola, possa essere il provvedimento in grado di porre soluzione alle criticità del settore. Quel che serve sono vere riforme strutturali sull’esecuzione della pena: riforme che non vennero fatte con l’indulto del 2006, che si rilevò un provvedimento tampone inefficace a risolvere i problemi.” Giustizia: Cancellieri; dialogo, non tensioni. Con decreto-carceri nessun camorrista libero di Giuseppe Crimaldi Il Mattino, 29 giugno 2013 “Preoccupata per il clima di tensioni politiche che si accendono intorno ai temi della Giustizia? Certo che sì: se non lo fossi, sarei un’incosciente”. Annamaria Cancellieri non si sottrae alla domanda del giorno: l’alta tensione determinata dalla presentazione di un emendamento del Pdl in materia di giustizia nella commissione Affari costituzionali del Senato rischia di spaccare la maggioranza di governo? Il Guardasigilli - che stamattina sarà a Napoli al convegno organizzato dal “Sabato delle idee” nello storico tribunale di Castelcapuano - sul punto è chiarissima: “Non essere preoccupata per un clima politico così teso sarebbe da incoscienti. Però sono anche convinta che questo Governo ha i numeri e la forza di andare avanti”. Cominciamo dall’amnistia: un altro argomento che continua a dividere, anziché unire. Lei è favorevole o contraria? E, al di là del decreto “svuota-carceri” da poco approvato, come si risolve il dramma del sovraffollamento nei penitenziari? “Quello che abbiamo varato nel Consiglio dei ministri di mercoledì scorso non è un provvedimento svuota carceri. Casomai, se posso usare un gioco di parole, cerchiamo di riempirle di meno. Al di là delle battute voglio dire che il decreto agisce soprattutto sugli ingressi in carcere. E comunque è proprio l’idea svuota-carceri che è sbagliata perché può generare l’impressione che mandiamo liberi i delinquenti. Non è e non sarà così. Io ho a cuore il problema della sicurezza dei cittadini, conosco le loro paure che sono quelle di ciascuno di noi. Ma buone carceri che svolgano la loro funzione, anche quella di recupero, sono proprio un contributo per una società più sicura e anche più civile nei confronti di chi ha sbagliato”. E l’amnistia? “Quello che lei ha detto è corretto. È un provvedimento che appartiene alla politica e io sarò fedele seguace delle decisioni del Parlamento. Anche in questo caso vorrei però far notare che l’amnistia non va vista come un liberi-tutti. L’amnistia agisce per reati che prevedono pene molto basse, di solito si parla di tre anni. Quindi è un provvedimento che dà sollievo soprattutto ai Tribunali perché li libera dalle cause minori”. Il carcere napoletano di Poggioreale resta uno dei casi-limite sui quali è indispensabile assumere decisioni rapide e risolutive. Parlano le cifre dell’osservatorio Antigone: siamo a quota 2.600 reclusi, su una capienza regolamentare che ne ritiene ammissibili 1.347. Che benefici avrà questa struttura dal provvedimento varato dal Governo? “Su una situazione così grave come quella di Poggioreale non ci saranno ripercussioni positive immediate. Ma è una caso che abbiamo ben presente e per la quale stiamo mettendo a punto alcuni rimedi contro il sovraffollamento e piccoli interventi in tutta la Campania. Decisivo, ma a tempi lunghi, sarà invece un intervento strutturale: proprio per alleggerire la situazione di Poggioreale stiamo per concludere le procedure per l’appalto di una megastruttura da 1000 posti a Nola”. In questi ultimi giorni si sono levate molte voci polemiche, quando non veri e propri attacchi rivolti alla magistratura, all’indomani di sentenze che riguardano l’ex premier Berlusconi. Pensa che - a livello politico - tali prese di posizione possano avere contraccolpi sulla tenuta del governo? “Come ho detto prima, non essere preoccupata per un clima politico così teso è da incoscienti. La crisi non è dietro le spalle, dobbiamo lavorare per dare un po’ di tranquillità al Paese. Come ha detto il presidente Napolitano questo governo deve svolgere il compito per cui è nato”. Ma lei crede che sia giusto inserire il capitolo giustizia, e più correttamente il Titolo IV della Costituzione, nel pacchetto riforme? E qual è la sua posizione sul nodo della riforma della magistratura per quel che riguarda la separazione delle funzioni e delle carriere? “Non voglio riaccendere polemiche. Se e quando se ne discuterà nelle sedi opportune dirò la mia”. Tornando a Napoli. C’è fibrillazione alla vigilia della riforma che cancellerà numerosi tribunali e sedi distaccate. I più critici su questi punti restano i rappresentanti dell’Avvocatura. Che cosa direbbe a chi continua a criticare questa riforma? “Quella della cosiddetta geografia giudiziaria è una riforma approvata dal Parlamento che ci è imposta da una situazione finanziaria e di personale che altrimenti sarebbe insostenibile. Detto questo credo che ora si debba procedere, pronti poi a portare quei correttivi che si rendano necessari. La riforma partirà nei tempi previsti”. Nella scorsa legislatura lei è stata ministro dell’Interno. E ha seguito i molti successi investigativi nella lotta alla camorra. Ma in questo momento forti sono i segnali d’allarme sui clan che si stanno riorganizzando. Quali ripercussioni rischia di determinare il decreto svuota carceri su questo forte allarme sociale? “Nessun detenuto per reati di mafia, camorra, criminalità organizzata, reati contro le donne o i bambini verrà scarcerato. Nessuno: né ora né mai. La battaglia per recuperare Scampia continua, non ci siamo mai cullati dietro i successi che pur ci sono stati”. Restiamo su Scampia. Al di là di quelli repressivi, quali sono a suo avviso gli interventi che qui andrebbero presi in materia di riqualificazione sociale? “Uno, banale: tenere aperte le scuole anche al pomeriggio. E poi centri sociali, centri per anziani aperti anche di sera, negozi. Insomma ricostruire la vita sociale, far sentire a casa le tante persone perbene che ci sono. So che è difficile. Ma so anche che l’unica medicina risolutiva è quella della cultura, del lavoro, della vita civile”. Mafie ed economia, se ne discute oggi a Napoli. Come si combattono le infiltrazioni criminali nel tessuto imprenditoriale? “Lo dico con grande sincerità: sono qui soprattutto per ascoltare. Vengo a Napoli perché di buone idee ne abbiamo bisogno anche noi al ministero della Giustizia. Poi farò qualche riflessione su ciò che stiamo facendo. Anche contro l’assalto delle mafie all’economia. Il decreto sullo snellimento della giustizia civile che abbiamo varato la settimana scorsa va proprio in questa direzione: giustizia più rapida ed efficiente per le aziende significa favorire chi sta dalla parte della legalità”. Giustizia: Franco Corleone; ecco perché (questo) decreto carceri è inutile Panorama, 29 giugno 2013 Per il garante dei diritti dei detenuti il Decreto Carceri non risponde alle violazioni esistenti dei diritti umani e dei principi della Costituzione. “Il nodo essenziale del Decreto non deve essere solo quello di rispondere a un problema di spazi quantitativi ma anche di rispondere alla denuncia di violazione dei diritti umani e dare un senso alla pena legato ai principi della Costituzione”. È il commento al Decreto Carceri, di Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze. “I detenuti e le detenute di Sollicciano hanno proclamato “lo sciopero del carrello”, cioè del vitto passato dall’Amministrazione Penitenziaria, per la legalità nelle carceri e per richiamare l’attenzione sul problema del sovraffollamento- spiega a Panorama.it, il garante- è un segno di presa di coscienza e di rivendicazione di piena cittadinanza e soggettività da parte della popolazione detenuta”. Nel carcere toscano di Sollicciano, alla mezzanotte di giovedì 27 giugno, la popolazione detenuta era di 985 persone a fronte di una capienza prevista di “soli” 497 posti letto. Quasi 500 persone oltre quelle che normalmente la struttura carceraria può ospitare. Dottore Corleone, come garante dei diritti dei detenuti, come giudica il Decreto carceri? Credo che il giudizio più diffuso sia quello di riconoscere che è un primo passo nella giusta direzione, ma per quanto mi riguarda io insisto nel dire che il decreto legge è uno strumento eccezionale e non ripetibile e che quindi doveva servire a cogliere la necessità di aggredire i nodi strutturali che causano il sovraffollamento e incidere con coraggio. Invece è un passo timido, pieno di buone intenzioni ma come dice un vecchio adagio di queste è lastricata la via dell’inferno. Secondo lei quali sono i punti che dovrebbero essere affrontati in modo più incisivo per arginare l’emergenza? E come? Vi erano due soluzione a disposizione per il decreto: accogliere integralmente i contenuti della Commissione Giostra del Csm che già nel novembre scorso aveva proposto alla ministra Severino di presentare un decreto aggredendo i nodi della custodia cautelare, le leggi d’emergenza che limitano le misure alternative, abrogare la legge Cirielli sulla recidiva e modificare la legge sulla droga e/o recepire i contenuti delle proposte di iniziativa popolare su carcere e droghe. Si è scelta una via prudente e cauta che sterilizza la Cirielli e agisce su alcuni aspetti delle misure alternative in particolare sui lavori di pubblica utilità. Quali invece le questioni che non sono state affrontate nel Decreto e che invece lei ritiene indispensabili? Basta vedere i dati pubblicati sul Libro Bianco sugli effetti della Fini-Giovanardi per capire che quello è il bubbone da far scoppiare: il 38% dei detenuti sono in carcere per violazione della norma sulla detenzione di sostanze illecite e circa il 25% sono tossicodipendenti. Secondo lei questo Decreto può definirsi “risolutivo” per la situazione in cui versano le strutture carcerarie italiane? Il decreto non è affatto risolutivo ma anzi conferma l’opzione di costruzione di nuovi istituti che non sarebbero necessari se il carcere smettesse di essere una discarica sociale. Speriamo che durante la discussione parlamentare prevalgano le ragioni di un cambiamento profondo. Giustizia: i Radicali; sbagliato escludere la giustizia dalle riforme L’Unità, 29 giugno 2013 È “un errore da matita blu escludere la giustizia dalla riforma costituzionale”, solo perché chi parla di giustizia viene visto automaticamente come filo berlusconiano. Questa la protesta dei Radicali, a nome dei quali Rita Bernardini - promotrice dei 12 referendum sulle libertà civili e la giustizia - contesta: “In Italia siamo arrivati al punto per cui anche il deposito di un assennatissimo emendamento viene visto attraverso la lente dell’antiberlusconismo. Siamo vicini a punto in cui non sarà più possibile pensare alla riforma della giustizia senza incorrere nel rischio di essere tacciati come filo-berlusconiani”. Secondo Bernardini “i riformatori “de noantri” non pensano alle riforme che sono necessarie al Paese; si pongono come unico problema se questa o quella riforma possa o meno piacere a Berlusconi”. Per questo rilancia i 12 referendum radicali “che restituiscono direttamente ai cittadini capacità decisionali che parlamenti e governi, di ieri e di oggi, hanno dimostrato e dimostrano di non avere”. Lettere: la Carta dei diritti (inesistenti) dei detenuti… di Maria Grazia Caligaris (Socialismo Diritti Riforme) Sardegna Quotidiano, 29 giugno 2013 L’idea di dotare, all’ingresso in carcere, ciascun detenuto di un vademecum in cui sono indicati i suoi doveri di cittadino privato della libertà insieme ai suoi diritti è un’iniziativa di straordinario impatto culturale e umano. Il progetto, previsto in sette lingue, assume particolare importanza, soprattutto da quando negli Istituti Penitenziari tra i “nuovi giunti”, oltre a persone in attesa di giudizio, vi sono anche molti stranieri extracomunitari. Non a caso è stata considerata il fiore all’occhiello dell’ex ministro della Giustizia Paola Severino. Nella realtà detentiva italiana e sarda tuttavia è un paradosso. Oltre al fatto che la quasi totalità degli Istituti di pena non ha sufficiente dotazione finanziaria per acquistare la carta per le fotocopie, l’aspetto più evidente della contraddittorietà del provvedimento sta nel fatto che lo Stato non rispetta le sue leggi e le disposizioni europee. Come conciliare quindi il “trattamento inumano e degradante” a cui sono sottoposti, secondo la Corte europea di Giustizia, i detenuti italiani con la distribuzione di una carta dei diritti e dei doveri? È impossibile parlare di diritti quando la disponibilità di spazio in una cella è inferiore a quella prevista dalle misure igienico-sanitarie per un maiale in un moderno allevamento. Relativamente alle strutture detentive infatti l’Italia entro maggio 2014 dovrà trovare una soluzione al sovraffollamento e attivare un percorso per risarcire i detenuti che l’hanno subito. Ma non è la prima condanna. Per aver tenuto i ristretti in spazi troppo angusti, la prima sanzione risale al luglio del 2009. Dopo quella sentenza è stato promosso il “piano carceri” con nuovi penitenziari, quattro in Sardegna, e l’ampliamento, con altri padiglioni, di quelli esistenti. Un altro aspetto che tuttavia viene ignorato sono le pari opportunità per la rieducazione e il reinserimento sociale del detenuto. Insieme alla dignità di ogni recluso da garantire durante la permanenza in carcere, occorre riflettere sulle possibilità di formazione scolastica e/o professionale e sul lavoro. Non si può far finta di ignorare che in realtà, come la Sardegna, dove mancano concrete occasioni di lavoro, progettare il recupero sotto il profilo socio-economico risulta particolarmente arduo. L’uscita dal carcere, per molti, significa ritornare a una vita precaria, in ambienti degradati e quando va bene fatta di assistenza. Ciò significa ricorrere ad espedienti e ritornare molto presto dietro le sbarre. Ecco perché, oltre a favorire ed incentivare le possibilità offerte dall’Ordinamento penitenziario per chi intende reinserirsi nella società, la detenzione deve essere l’ultima soluzione ricorrendo a pene alternative. Il legislatore ha l’obbligo, per far fronte alla grave emergenza delle carceri, di prevedere la depenalizzazione dei reati meno gravi e di favorire una rete sociale di prevenzione e sostegno. L’unico modo, in questo momento, per ripristinare, la legalità dentro gli Istituti è però l’amnistia perché è in grado di alleggerire anche i Tribunali di Sorveglianza che, con gli organici sottodimensionati, non sono in grado di far fronte alla miriade di richieste che provengono dalla popolazione carceraria per il rispetto dei diritti. Non è una banalità che Annamaria Cancellieri, Guardasigilli nel Governo delle larghe intese, abbia affermato di recente “le nostre carceri non sono degne di un paese civile”. Per questo una “Carta dei Diritti” è l’ultimo paradosso dei diritti di carta. Ivrea (To): il Garante Armando Michelizza; i detenuti chiedono di poter avere “speranza” di Rita Cola La Sentinella, 29 giugno 2013 Parla Armando Michelizza, da tre mesi garante per i diritti dei detenuti Sui 277 della casa circondariale, 30 frequentano corsi scolastici e 20 lavorano. In carica da tre mesi, un’esperienza pregressa lunga vent’anni da insegnante nelle carceri. Armando Michelizza è il primo garante per i diritti dei detenuti nominato dal Comune di Ivrea città che, con poche altre in Italia, ha deciso di riconoscere e puntare su questa figura. Per l’autunno ha in mente alcuni progetti legati al riconoscimento di un ruolo della persona detenuta, progetti per gettare un ponte sul dopo. Perché una cosa è certa: chi è in carcere, prima o poi, esce, e le paure, di chi è dentro, sono tante. “La domanda che viene fatta - dice - da chi è detenuto, è che cosa potrà fare una volta uscito. Chiedono un lavoro, ma prima ancora, come poter avere un ruolo positivo all’interno della società. La domanda più pressante è esattamente ciò che è previsto dalla Costituzione ovvero potersi creare strumenti per tornare a vivere normalmente”. Tra il pensare e l’agire, una volta fuori, le difficoltà sono enormi e le fragilità pure. Michelizza, da insegnante e volontario, ha ripetuto in mille convegni quanto sia importante il rapporto fra il dentro e il fuori. “Ci sono persone - spiega - che una volta uscite da quel cancello non hanno neppure la più pallida idea di dove andare”. Ne è nato persino un libretto, promosso da Fondazione Ruffini, Asl/To4 (che dal 2008 si occupa di tutta la parte sanitaria, ndr), consorzio Inrete, gruppo di volontari Tino Beiletti, Casa di Carità arti e mestieri, enti istituzionali, che offre una serie di indirizzi e opportunità su dove alloggiare, dove mangiare, dove sono gli sportelli per ottenere informazioni. Una sorta di piccolo vademecum per l’emergenza. “Il carcere è - aggiunge Michelizza - traumatico per sua natura. E ognuno, una volta dentro, giura a se stesso che mai più si troverà in una situazione simile. Eppure, invece, accade di nuovo. E io credo che succeda anche perché il carcere infantilizza, deresponsabilizza, non aiuta a rimettersi in gioco”. Ci sono, poi, anche storie di ordinaria burocrazia. Come questa: “C’è un detenuto straniero che un anno fa ha chiesto di poter scontare la pena nel proprio Paese. Sembrerebbe sia tutto a posto, ma in un anno non ha ancora avuto la risposta definitiva”. E in questi mesi, che ha fatto Michelizza? “Sono intervenuto ad alcune riunioni di coordinamento delle nostre figure a livello nazionale e ho partecipato a convegni. Ho incontrato, a Vercelli, il magistrato di sorveglianza che ha competenza sul carcere di Ivrea per capire come posso collaborare e incontro i detenuti che lo chiedono”. La vita dentro il carcere, soprattutto in tempi di carenza cronica di risorse, Michelizza la conosce bene: “Su una capienza di 192 detenuti, il carcere di Ivrea ne contiene (al 31 maggio scorso) 277. Di questi, 156 sono stranieri, 60 sono tossicodipendenti certificati. Cosa fanno i detenuti? “Trenta frequentano corsi scolastici di vario tipo, 20 fanno lavori saltuari, qualche unità ha un lavoro fisso. Tutto il resto è noia, alienazione, disperazione. E il non vedere prospettive fa sì che ci siano atti di autolesionismo fino ai gesti estremi di tentare, e a volte riuscirci, di togliersi la vita”. Il garante per i diritti dei detenuti non è pessimista per natura, ma spiega davvero che si vive in una situazione al di sopra delle possibilità di chi, seppure con impegno e abnegazione, si occupa quotidianamente di mandare avanti la struttura, compreso il lavoro instancabile dei volontari. Le risorse per il carcere sono state drasticamente ridotte. Michelizza osserva come il Comune di Ivrea capofila di un lungo elenco di soggetti, attraverso il bando della Compagnia di San Paolo, riesca a tenere in piedi progetti importanti, ma i bisogni sarebbero molti di più. “Ci sono attività a sostegno della genitorialità - spiega -. Il Comune si occupa di portare in carcere periodicamente l’attività di vari sportelli burocratici. La Uil ha un suo sportello per le prestazioni sociali. È già molto, ma servirebbe ancora di più”. Genova: Sappe; la Polizia Penitenziaria sventa suicidio detenuto a Marassi Il Velino, 29 giugno 2013 Un detenuto marocchino ha tentato il suicidio, l’altra notte, nella sua cella nella VI Sezione del carcere di Genova Marassi. Tempestivo l’intervento dei poliziotti penitenziari, che hanno impedito l’insano gesto. ''Per fortuna i nostri bravi colleghi sono intervenuti in tempo ed hanno salvato la vita al detenuto” commenta Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo di Categoria. “Il suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze. La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi e' quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere, argomento rispetto al quale il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, è da tempo impegnato. Si pensi che nel solo 2012 ci sono stati in carcere 56 detenuti morti per suicidio (30 italiani e 26 stranieri) e 97 decessi per cause naturali (82 italiani e 17 stranieri). I suicidi sventati sono stati 1.308. L’anno prima, il 2011, ha registrato morti per suicidio 63 detenuti e morti per cause naturali 102 persone ristretto. I suicidi sventati dalla Polizia Penitenziaria erano stati 1.003. Se la già e critica situazione penitenziaria del Paese non si aggrava ulteriormente è proprio grazie alle donne e agli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria. Poliziotti, è bene ricordarlo, i cui organici sono carenti di circa 7mila e che mantengono l’ordine e la sicurezza negli oltre duecento Istituti penitenziari a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato, lavorando ogni giorno, ogni ora, nel difficile contesto penitenziario con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità”. Reggio Emilia: 3 proposte di legge per i diritti, raccolta di firme tra i detenuti della Pulce Gazzetta di Reggio, 29 giugno 2013 Anche a Reggio, la Camera Penale “Giulio Bigi” ha dato avvio alla raccolta di firme per le tre leggi di iniziativa popolare sull’introduzione del reato di tortura nel Codice penale, per il rispetto della Costituzione nelle carceri - che prevede l’introduzione del Garante nazionale dei detenuti, la conversione della pena nel caso di mancanza di posti disponibili nelle carceri, modifica alla recidiva, benefici e accesso alle pene alternative - e sulla depenalizzazione del consumo di droga e della riduzione dell’impatto penale. “Le tre proposte trattano temi essenziali e urgenti che dovranno trovare spazio nell’agenda politica futura - sottolinea il presidente, l’avvocato Domenico Noris Bucchi - Questo sia per quanto riguarda il reato di tortura, cui peraltro ci obbligano convenzioni internazionali, sia per quanto riguarda la situazione incivile del carcere, sulla quale pende tra l’altro una precisa scadenza fissata dalla Cedu, sia sul tema degli stupefacenti, dove non è più occultabile il fallimento dell’approccio carcerogeno che, oltre a non aver risolto il problema, intasa il sistema giudiziario”. Nell’ambito di questa iniziativa, martedì una rappresentanza della Camera penale territoriale - composta oltre che dal presidente, dal responsabile dell’Osservatorio carcere l’avvocato Antonella Corrente e dal consigliere comunale autenticatore delle sottoscrizioni l’avvocato Gianluca Vinci - ha avuto accesso alla casa circondariale di Reggio, per la raccolta delle firme. Tra i sottoscrittori numerosi detenuti. La raccolta firme, ora, proseguirà sia in tribunale che in centro città. Piacenza: “il pestaggio avrebbe potuto ucciderlo”… è battaglia tra difesa e parte civile www.ilpiacenza.it, 29 giugno 2013 Udienza dal gip per un detenuto di 45 anni pestato brutalmente in carcere. Imputati sper tentato omicidio sono due detenuti e un’assistente della polizia penitenziaria. Per le difese quelle ferite non avrebbero potuto causare la morte, mentre per la parte civile sì. È stato ascoltato questa mattina dal gip il perito medico legale, Tiziana Folin, che ha svolto un esame sulle ferite riportate da un detenuto, pestato brutalmente in carcere nel luglio di due anni fa. Gli avvocati difensori dei tre indagati - le indagini vennero coordinate dal pm Ornella Chicca - per tentato omicidio, due detenuti (uno ecuadoriano e uno marocchino) e un agente della polizia penitenziaria (quest’ultimo accusato anche di falso), avevano chiesto il rito abbreviato, condizionato, però, alla perizia medica. Secondo l’avvocato Piero Spalla, che assiste l’ecuadoriano di 24 anni, nella relazione del consulente tecnico nominato dal giudice non ci sarebbe la prova del tentato omicidio. Per Wally Salvagnini, che assiste il marocchino 38enne, l’uomo non sarebbe stato addirittura presente al momento del pestaggio. Di parere opposto, invece, l’avvocato Paolo Cattadori, legale di parte civile del 45enne, di origine genovese, che finì in ospedale a causa dei colpi ricevuti. L’uomo ha avuto anche riconosciuta l’invalidità per danni permanenti. Nella perizia, ha affermato il legale, emerge che quelle botte avrebbero potuto cagionare la morte. Alla fine di luglio si svolgerà l’udienza dove i due detenuti accusati saranno giudicati con il rito abbreviato, mentre si deciderà anche la posizione dell’assistente della polizia penitenziaria, difeso dagli avvocati Benedetto Ricciardi e Luigi Alibrandi. Le difese tenteranno di far derubricare il reato in lesioni gravissime e non tentato omicidio, reato che prevede pene più alte, mentre la parte civile insisterà per mantenere l’attuale capo di imputazione. Il detenuto picchiato - finì in ospedale per un mese e riportò fratture anche al volto - poi trasferito in un altro carcere, sarebbe stato accusato di parlare troppo. Secondo le indagini della Squadra mobile, mentre i due detenuti lo pestavano con brutalità, l’agente della penitenziaria avrebbe fatto finta di non vedere standosene in disparte. Per i difensori, invece, l’agente era lontano dalla scena e non avrebbe potuto vedere l’aggressione. Termoli (Cb): oggi si svolge il convegno “Psiche mafiosa, immagini da un carcere” www.termolionline.it, 29 giugno 2013 La Sirio Società Cooperativa Sociale, in collaborazione con l’Associazione Italiana di Psicologia Analitica (Aipa) presenta, con un convegno che si terrà al Cinema Sant’Antonio di Termoli il 29 giugno dalle 15:30 alle 19:00, il volume “Psiche Mafiosa. Immagini da un carcere” di Angelo Malinconico e Nicola Malorni. Il convegno, che vede la partecipazione di esponenti di fama nazionale del mondo accademico e dell’associazione italiana di psicoanalisti junghiani, è il risultato di un partenariato capace di promuovere lo sviluppo culturale del territorio; il mondo della cooperazione sociale, in un periodo di contingenze politico-economiche certamente non favorevoli al Terzo Settore, con la Sirio apre ad una forma di promozione culturale, capace di valorizzare esperienze locali di elevato spessore scientifico. Il volume dei due analisti, infatti, nasce da un’esperienza di conduzione di un gruppo di detenuti appartenenti ad organizzazioni mafiose. L’evento culturale in cui “Psiche Mafiosa” sarà presentato in anteprima al pubblico molisano, sarà incentrato sui modelli di intervento psicologico nel contesto penitenziario, con particolare riferimento alla concezione della mente di Carl Gustav Jung, che vedeva la psiche umana come un apparato complesso, dinamico e insieme sistemico. La riflessione verterà nello specifico sul modello analitico che ha ispirato il progetto, che discostandosi da classificazioni psicopatologiche o criminologiche, ha inteso promuovere in un gruppo di detenuti mafiosi del carcere frentano un confronto con l’Inconscio del gruppo e delle istituzioni. L’esperienza molisana ha rivelato come, attraverso l’accesso all’attività immaginativa spontanea dei detenuti, sia possibile facilitare il superamento di barriere comunicative e culturali tipiche dell’affiliato mafioso, rendendo possibile il confronto con l’affettività autentica e con essa anche il recupero o il potenziamento della funzione genitoriale. “Psiche Mafiosa” si rivela quindi come una formulazione di un modello di intervento in carcere assolutamente innovativo nel contesto penitenziario italiano. Una particolare attenzione è dedicata nel volume alla possibilità di accedere ai sogni e alle emozioni dei detenuti attraverso la rappresentazione di immagini in gruppo con il Gioco della Sabbia, campo di ricerca inaugurato in Italia dallo stesso Malinconico, che afferma: “Attraverso la rappresentazione col gioco della sabbia è possibile, per il partecipante l’apertura dello sguardo e dell’ascolto ad un’affettività che non può essere coartata completamente dall’Istituzione Totale (il carcere, nel caso specifico), perché è spontaneamente riportata alla luce dalle immagini dei sogni e successivamente dalle immagini ludiche, che non solo acquistano una forma visibile nella cassetta con la sabbia, ma sono esposte anche allo sguardo del gruppo e quindi del collettivo. Si tratta in altri termini di un processo che conduce progressivamente a livelli ulteriori di rappresentazione mentale di emozioni ed affetti via via più complessi, interessando la dimensione psichica individuale e collettiva”. Di fronte alla chiusura tipica della cultura mafiosa, l’esperienza di Malinconico e Malorni crea delle aperture, promuove lo sviluppo di un confronto con il mondo interiore che contamina - afferma Malorni - diversi attori individuali ed istituzionali: “Questo volume nasce innanzitutto dall’apertura dell’Amministrazione penitenziaria di Larino, che ha lasciato che entrasse all’interno dell’Istituzione carceraria un modello di intervento certamente atipico rispetto alle abituali prassi cosiddette riabilitative del contesto penitenziario. C’è poi un livello di apertura, facilitato dall’approccio analitico, che riguarda gli stessi detenuti mafiosi, a loro volta poco o per nulla inclini al confronto con l’affettività. La cooperativa sociale Sirio, infine, che ci ha proposto di presentare qui in Molise il volume edito dalla Magi di Roma, amplifica ulteriormente la risonanza emotiva che l’esperienza ha avuto nel vissuto emozionale del gruppo e di noi autori”. E a proposito di scambi, il Convegno si concluderà con uno spettacolo teatrale (gratuito) sulla Mafia che sarà portato per la prima volta in Molise dalla Compagnia “Stabile Assai” della Casa di Reclusione di Rebibbia, dal titolo “Alle due i monaci tornano in convento”. Un dramma in atto unico che sarà inscenato alla Scalinata del Folklore alle ore 21:30 e che pone al centro della scena la storia di due giovani palermitani cui viene infranto il sogno d’amore da un’appartenenza familiare chiusa, tipicamente “mafiosa”. Termoli (Cb): per 6 detenuti termina oggi la seconda settimana di volontariato alla Iktus www.termolionline.it, 29 giugno 2013 Iniziata lunedì scorso termina domani, purtroppo, il dono della presenza di 6 detenuti del carcere di Larino presso la struttura della costruenda casa famiglia “Lucia e Bernardo Bertolino”, ove si sono recati quotidianamente per svolgere una preziosa opera di volontariato al fine di pervenire al completamento quasi totale della prima trance di lavoro. Sono stati giorni belli, sereni, lavorativi. Domenica 30 giugno i ragazzi parteciperanno alla messa delle 8,30 presso la parrocchia di san Timoteo per essere presentati alla comunità e per un saluto comunitario di commiato. L’intervento di qualcuno di loro racconterà, a nome di tutti, l’esperienza fatta, le emozioni provate e le sensazioni che hanno abitato il loro animo. Dopo il pranzo che sarà consumato nella casa parrocchiale di Via Gabriele Pepe - 16, alle ore 15,00, nel Cinema “Oddo”, ci sarà la proiezione del film “Quasi amici” a cui prenderanno parte tutti i volontari per i detenuti che hanno partecipato al corso di formazione e gli iscritti alla Iktus Onlus, promotrice assieme alla parrocchia di questo evento, per permettere a tutti gli intervenuti di approfondire le ragioni di questa presenza e celebrare l’incontro con persone che, pur avendo sbagliato, hanno oggi il coraggio di presentarsi dinanzi agli altri per esprimere il loro desiderio redentivo e la volontà di mettersi al servizio di un’opera che beneficherà nel futuro tante realtà di disabilità. Una bella lezione di vita da chi sbagliando è capace di imparare dai propri errori per non compierne degli altri. Un ringraziamento alla direzione del Carcere, agli operatori e a tutti coloro che hanno permesso questa seconda esperienza di volontariato. Nuoro: teatro-carcere, la violenza messa in scena dai detenuti di Alta Sicurezza di Paolo Merlini La Nuova Sardegna, 29 giugno 2013 Teatro a Badu ’e Carros, una compagnia di reclusi in regime di massima sicurezza e operatori di strada rappresenta un’opera di Pinter. A Badu ’e carros vanno in scena la violenza e la sopraffazione. Ma stavolta non è un ritorno agli anni Ottanta, all’epoca nera delle rivolte e degli omicidi su commissione nel carcere di massima sicurezza voluto dal generale Dalla Chiesa. È il teatro contemporaneo, quello del drammaturgo inglese Harold Pinter, autore di feroci allegorie sull’oppressione e la supremazia del potere costituito sulle minoranze, siano esse etniche, linguistiche o politiche. L’azione si svolge alla luce del sole, quello di giovedì pomeriggio, nel cortile di fronte alla sezione di massima sicurezza, su un palco improvvisato alto poco più di un metro. I protagonisti sono pezzi da novanta della camorra e della mafia, sono accusati di aver ucciso, rapinato, sequestrato. Sono attori per un giorno, con la speranza di ripetere al più presto l’esperienza e magari diventare una compagnia di teatro stabile, visto che molti di loro sono destinati a trascorrere ancora diversi anni in carcere. Recitano per gli altri detenuti, per gli agenti penitenziari, i volontari, i giornalisti chiamati a raccontare il progetto realizzato dal servizio “operatori di strada” del Comune di Nuoro.Anima e regista della messa in scena della cosiddetta Trilogia del consenso di Harold Pinter è Pietro Era, che per conto dell’assessorato ai Servizi sociali dall’inizio dell’anno ha lavorato all’interno del carcere, selezionando un gruppo di aspiranti attori tra i detenuti dell’area di massima sicurezza, la S3. Con lui anche cinque attrici non professioniste, donne normali nella vita di tutti i giorni animate dalla passione per il teatro e la solidarietà. "Siamo entrati a Badu ’ e carros liberandoci da ogni sorta di pregiudizio, anzi di giudizio – ha detto Era –. E abbiamo trovato uomini, che per noi non hanno un passato, ma solo il presente che abbiamo vissuto insieme e un futuro, ci auguriamo, migliore". Pietro Era ha scelto uno spettacolo molto forte, costituito da tre testi che scuotono anche chi vi assiste in un normale teatro, per la crudezza del linguaggio e la violenza rappresentata. Il primo, “Il linguaggio della montagna”, è ispirato alla sopraffazione della polizia turca sulla minoranza curda, prevaricazione che comincia dal divieto a usare la propria lingua. Nella rappresentazione a Badu ’e carros, il curdo viene mutato efficacemente in sardo, e affidato all’unico detenuto isolano della compagnia. Il rapporto tra carnefici e vittime prosegue nella seconda opera, “Il bicchiere della staffa”, che Pinter scrisse ispirandosi alla tragedia dei desaparecidos argentini durante la dittatura. Anche qui, oltre che alla denuncia di un crimine umanitario, si assiste a un’allegoria del complesso rapporto tra aguzzino e prigioniero, e paradossalmente alla fragilità psicologica di entrambi nonostante l’evidente rapporto di forza dell’uno sull’altro. Temi che rappresentati in un carcere, e con detenuti di massima sicurezza, assumono una potenza evocativa ancora maggiore. Gli attori, uomini e donne, recitano con sicurezza, solo qualcuno tradisce un po’ l’emozione per un’esperienza inconsueta. Il pubblico, composto perlopiù da detenuti di massima sicurezza, applaude calorosamente. Lo sguardo del cronista va inutilmente alla ricerca di volti più o meno noti, non escluso “il divo”, come è stato ribattezzato dal personale del carcere il più celebre ingresso delle ultime settimane. Ma Grazianeddu non c’è. La terza parte dell’opera, “Party Time”, strappa anche sorrisi e risate, pur essendo una feroce parodia dell’alta borghesia, ossessionata solo dai propri tic consumistici mentre "c’è la guerra là fuori", come urla a più riprese uno stralunato cameriere. Al termine, il garante dei detenuti, il sociologo Gianfranco Oppo, è visibilmente soddisfatto, e così la neodirettrice del carcere, Carla Ciavarella, alto funzionario del ministero di Giustizia con una lunga esperienza in Afghanistane e nel Kosovo per conto dell’Onu. "Il testo è un po’ forte – dice – ma questa è un’esperienza concreta volta al recupero dei detenuti e sono certa che non resterà isolata". Gli attori, infine, qui in rigoroso ordine alfabetico: Romualdo Agrigento, Mimmo Amitrano, Carmelo Collodoro, Vincenzo D’Alessandro, Dario Federico, Antonio Maria Marini, Monica Manzoni, Graziella e Gabriella Musu, Sabatino Nappa, Bruno Rosmini, Vincenzo Russo, Pietrina Siotto, Francesca Verachi. Scenografia di Sonia Arcadu e scenotecnica di Mimma Paletta.