Giustizia: Carceri affollati, una Commissione “Dentro sì, ma non solo in cella” La Repubblica, 28 giugno 2013 La Guardasigilli Anna Maria Cancellieri ha nominato Mauro Palma a capo di una Commissione sul sovraffollamento degli istituti di pena italiani. Ne faranno parte 15 componenti, tra gli altri Rita Bernardini e Roberto Rao. Visibili segni di discontinuità. “L'amnistia? Sarebbe senz'altro utile, se con misure riorganizzative del sistema. In carcere perché si è puniti, non per essere puniti”. “Depenalizzazione, misure alternative, riorganizzazione degli istituti: su queste tre gambe deve muoversi la “rivoluzione copernicana” del pianeta carcere”. Mauro Palma negli ultimi anni ha presieduto quel Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti, che non ha mancato di bacchettare la situazione delle celle italiane. Oggi, la Guardasigilli Anna Maria Cancellieri, lo ha messo a capo di una Commissione ministeriale sul sovraffollamento degli istituti penitenziari: 66mila detenuti per 47mila posti disponibili nelle 206 “prigioni” del Paese. Una commissione sulle carceri, di cosa si tratta? “È una commissione, con funzioni di consulenza, su interventi relativi al sistema penitenziario. Istituita presso il ministero della Giustizia, ha 15 componenti, oltre a me che la presiedo. Tra i membri, Rita Bernardini (Radicali, ndr) e Roberto Rao (già parlamentare Udc, ndr). E poi dirigenti esperti del settore e anche esperti di organizzazione di sistemi complessi pur in settori diversi. Il nostro compito? Consegnare entro il 30 novembre una relazione al ministro sul sistema carcerario: in pratica, una serie di consigli per rispettare le indicazioni della Corte europea dei diritti dell'uomo su sovraffollamento e condizioni detentive”. Il ministro Cancellieri insiste sulla necessità di un'amnistia. Lei cosa pensa? “Concordo con l'approccio complessivo del ministro, che introduce un segno di discontinuità davvero apprezzabile. Premesso che l'amnistia non è certo tra le competenze di una commissione consultiva, la mia personale posizione è che sarebbe senz'altro utile, se collocata all'interno di una serie di interventi legislativi e riorganizzativi del sistema. Se no, l'amnistia è uno strumento che dà un po’ di respiro, ma non è risolutivo”. In tema di sovraffollamento la Cancellieri ha ricordato che i 47mila posti letto regolamentari non sono tali perché “ci sono alcuni padiglioni chiusi per lavori di ristrutturazione”. Come si interviene? “In un sistema complesso gli interventi devono essere su tre fronti. La partita che sta a monte di tutto è una seria depenalizzazione. Basterebbe per esempio portare fuori dal circuito detentivo i casi di lieve entità relativi alla legge sulla droga. Poi bisogna incentivare le misure alternative”. Il governo le ha rilanciate col decreto-carceri appena varato. Dovrebbero alleggerire le patrie galere entro due anni di 6mila persone. È verosimile? “Sì, se questi interventi andranno assieme a una nuovo approccio culturale complessivo, che coinvolga anche i magistrati di sorveglianza. E poi bisogna riorganizzare la logica degli istituti”. In che senso? “Uso due slogan. Primo, “si va in carcere e non si va in cella”, cioè nel penitenziario bisogna essere soggetti attivi. Secondo, “si va in carcere perché si è puniti, non per essere puniti”, nel senso che alla privazione della libertà non bisogna sommare un'ulteriore pena. Da un modello fortemente infantilizzante del detenuto, trattato come un soggetto passivo, bisogna passare ad un soggetto che nel carcere svolge un'attività, che sta fuori dalla cella, che si assume delle responsabilità. Lo stesso lavoro degli agenti penitenziari va riqualificato e potenziato, per passare da una marcatura a uomo, ad una vigilanza dinamica”. Per fine maggio 2014, data entro cui la Corte di Strasburgo ci chiede di metterci in regola sul numero dei detenuti e sulle condizioni detentive, ce la faremo? “Sì, ma solo se renderemo sistema le buone pratiche, che già ci sono in alcuni penitenziari del nostro Paese”. Giustizia: Cancellieri, il ministro tecnico che fa politica e non si fa intimidire dalle lobby di Valter Vecellio Notizie Radicali, 28 giugno 2013 Bisogna dare atto al ministro Annamaria Cancellieri di essere uno dei quei ministri tecnici che sa fare politica. La politica delle cose che urgono fare, di farle, e soprattutto di non farsi intimidire, come è accaduto in passato, dalla potente lobby “galera&manette”. Cancellieri ha lasciato un ottimo ricordo a Bologna quand'era commissario. Ha svolto un lavoro egregio da Ministro dell'Interno. Mostra di avere le idee chiare ora che è a via Arenula. Altro che chi l'ha preceduta, il cui ricordo è ben vivo e vorremmo dimenticare al più presto! L'amnistia “è un diritto imperativo categorico morale, questo è il vero motivo per cui dobbiamo farlo. Credo fermamente che dobbiamo rispettare veramente la Costituzione”, e “comunque abbiamo una scadenza oggettiva a cui dobbiamo orientarci”. Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri lo ha detto nel corso di una intervista al Tg La7. La scadenza oggettiva di cui parla è quella della prossima primavera, nel 2014, “dobbiamo andare davanti alla Corte europea a raccontare cosa abbiamo fatto. Sono 30 anni che loro ci richiamano”. Il ministro ha aggiunto “la sentenza Torreggiani ci ha distrutto, perché ogni detenuto potrà farci causa e a ogni detenuto dovremo pagare i conti”. Ma al di là di questo, c'è appunto che “tutto questo dobbiamo farlo perché è un diritto imperativo categorico morale”. A proposito delle paure che un provvedimento del genere potrebbe indurre nella collettività, Cancellieri ha sottolineato che “molto contano le paure delle persone, la gente ha paura per tanti motivi, giustamente anche per esperienze fatte o anche per un certo tipo di comunicazione che magari sollecita la paura più che la serenità. E quindi - ha detto ancora in proposito - bisogna parlare in maniera chiara e netta, rassicurare con fatti concreti, perché ai fatti devono corrispondere sempre delle cose che diano sicurezza alla gente. Non è che si tira fuori solo la gente dalle carceri, non è che si segue solo l'imperativo categorico morale di essere un Paese civile, ma occorre poi che le forze dell'ordine siano sul territorio e che diano risposte adeguate”. E inoltre l'amnistia riguarda - quando e se ci sarà - “solo detenuti in carcere che possono essere avviati a misure alternative”. Più in generale, poi, parlando del decreto legge varato oggi dal Consiglio dei ministri e che dovrà passare al vaglio del Parlamento - “che è sempre sovrano” - Cancellieri ha ribadito che “è un provvedimento che non rimette in libertà le persone”, mentre “è un provvedimento che o non le fa entrare o comunque le avvia ai domiciliari, dunque le persone sono comunque ristrette ai domiciliari nelle loro case, oppure vengono avviate al lavoro”. Quanto al personale in più che servirebbe per verificare le persone ai domiciliari, il ministro ha riconosciuto che “è un problema che dovremo affrontare”, aggiungendo “credo che dovremo affrontare tutto il problema della polizia penitenziaria che ha bisogno di un'attenzione particolare, io a loro voglio dedicarmi molto”. Però questo provvedimento “dà delle risposte anche di civiltà, perché consentirà soprattutto il lavoro. Questo decreto prevede la possibilità per i carcerati di uscire fuori e andare a lavorare e in alcuni casi rientrare la sera in carcere oppure andare a lavorare e poi rientrare a casa propria”. Si parla di “lavori socialmente utili, lavori che gli italiani per lo più non vogliono fare, lavori che si fanno presso i Comuni, di pulizia, giardinaggio. Comunque sono lavori che consentono al carcerato di recuperare una propria identità”. Cancellieri ha ricordato che “il carcerato che lavora, ha l'80-90% in meno di recidiva. Dare al carcerato la possibilità di realizzarsi nel lavoro significa farne un uomo libero quando esce, la Costituzione lo dice chiaro sulla funzione rieducativa ma noi siamo molto carenti”. Giustizia: Corte dei conti; in Italia record di condanne su violazioni diritti umani Dire, 28 giugno 2013 Un “fattore critico” del bilancio dello Stato è costituito anche “dall'alto numero di condanne subite in ambito europeo per violazioni della convenzione sui diritti umani” nel “settore giustizia e regime carcerario”. Nel 2012 “l'Italia è stata condannata a pagare indennizzi per 120 milioni di euro, la somma più alta mai pagata da uno dei 47 stati membri del Consiglio d'Europa”. Lo dice Salvatore Nottola, procuratore generale presso la Corte dei Conti nel giudizio sul rendiconto generale dello Stato. Quanto alle procedure d'infrazione, l'Italia “detiene anche il primato dei ricorsi presentati dalla Commissione dal 1952 al 2012, pari a 633”. Giustizia: decreto svuota carceri, così Letta combatte l’emergenza sovraffollamento www.nanopress.it, 28 giugno 2013 Il decreto Svuota carceri è stato approvato. Con questo provvedimento il Governo Letta intende affrontare l’emergenza del sovraffollamento. Sulla questione è intervenuto il ministro Anna Maria Cancellieri, che ha ribadito quella che secondo lei sarebbe una necessità: l’amnistia. Il ministro della Giustizia ha fatto notare come l’ultima amnistia abbia portato alla liberazione di circa 15-20.000 posti. Soltanto con un intervento di questo genere si potrebbe agire anche nell’ambito di azioni strutturali. Il Ministero della Giustizia intende praticare un alleggerimento del sistema penitenziario, adottando dei meccanismi differenti per le persone che non sono considerate molto pericolose. Tuttavia allo stesso tempo non intende escludere la pena detentiva per coloro che hanno commesso reati ritenuti particolarmente allarmanti a livello sociale. Il sistema, secondo il ministro, deve essere cambiato. L’obiettivo del Governo non è quindi quello di migliorare la situazione, ma di “dare piena concretezza al principio secondo cui la pena detentiva deve costituire l’extrema ratio”. Secondo la Cancellieri, la reclusione nelle strutture detentive potrebbe essere limitata a reati con maggiore gravità. Per gli altri si dovrebbe maggiormente orientarsi verso il lavoro di pubblica utilità o la detenzione domiciliare. L’obiettivo del Governo è quello di rendere la situazione più leggera per le carceri del Paese. Ma tra le possibilità che si prendono in considerazione c’è anche quella della riapertura di alcune strutture non più utilizzate, come quella di Pianosa, che può avere al suo interno fino a 500 persone. Diversi sono gli interventi previsti in varie città italiane. Tra poco tempo sarà aperto il nuovo carcere di Reggio Calabria, poi quello di Sassari. In seguito, nel corso dei prossimi mesi, apriranno nuove strutture a Pavia, Biella, Ariano Irpino e Piacenza. Condanne definitive - Secondo il decreto, deve essere incarcerato chi è sottoposto ad una condanna definitiva. Ci sono alcuni tipi di reati per cui non ci saranno sconti, come quelli compresi nell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario. Nessuna esclusione di pena nemmeno per chi è ritenuto pericoloso a livello concreto, comprendendo anche coloro che si sono resi responsabili di maltrattamenti in famiglia in presenza di minori di 14 anni. Liberazione anticipata - Per chi ha detenuto in carcere una condotta regolare, si è parlato della cosiddetta liberazione anticipata. A questo proposito il decreto introduce la possibilità che il Pubblico Ministero valuti l’opportunità della liberazione anticipata e informi il giudice competente. In questo modo il condannato potrà attendere la decisione pur restando libero. Tossicodipendenti - Per i tossicodipendenti si prevedono misure alternative, come la messa alla prova. Tuttavia il ministro Cancellieri ha detto che sono in corso dei gruppi di studio per vedere se ci sia la possibilità di modificare la legge sulla droga, conosciuta anche come norma Fini-Giovanardi. Lavori di utilità pubblica - Il giudice avrà più ampia possibilità di trovare una soluzione alternativa al carcere, impiegando i condannati in lavori di pubblica utilità. Questa misura è prevista per i soggetti dipendenti dall’alcool o dalla droga, soltanto per i reati meno gravi. Con il decreto potrà essere ampliata anche a quelli più gravi. Ammalati - Ci sarà una possibilità maggiore per la detenzione domiciliare per le madri e per gli ammalati di gravi patologie nel caso in cui la pena non sia superiore ai 4 anni. Emergenza carceri - La situazione delle carceri in Italia è particolarmente complessa. Nel nostro Paese esistono 206 penitenziari. Secondo i dati che sono stati forniti dal Ministero, nelle carceri italiane ci sarebbero 18.891 reclusi in eccesso, visto che la capienza dei posti ammonta a 46.995. Si calcola che circa 20.000 persone permangano in cella in media circa 3 giorni. E questo è sicuramente un motivo di preoccupazione, visto che l’andamento della popolazione carceraria dal 2006 ad oggi è in crescita. Le fasi sono state alterne, raggiungendo un picco massimo nel 2010, con 67.961 detenuti. Nel 2006 le persone in carcere erano 61.264, per arrivare ai 65.886 del 2013. 23.265 sono i detenuti stranieri e 24.342 coloro che sono in attesa di giudizio. Giustizia: Lega contro decreto carceri Cancellieri, provvedimento inutile e dannoso www.rsvn.it, 28 giugno 2013 “La Lega Nord Liguria esprime la sua assoluta contrarietà al decreto del Ministro Cancellieri, un vero e proprio svuota carceri mascherato”. Così Sonia Viale, Segretario Nazionale della Lega Nord Liguria, dichiara in merito al DL Cancellieri sulle carceri, approvato ieri dal Consiglio dei Ministri. “La denuncia di Roberto Martinelli del Sappe, sull'inutilità del decreto, applicato in relazione alla situazione ligure, è condivisibile”, prosegue. “La Lega ligure richiama quanto già denunciato dai parlamentari della Lega Nord, che in queste ore hanno anche protestato in aula per un altro provvedimento, quello relativo alla messa alla prova, che sancisce un'ulteriore resa dello Stato di fronte alla criminalità”. “Anche questo decreto legge è un provvedimento inutile, se non dannoso, che porterà a rimettere in libertà persone che molto probabilmente torneranno a delinquere, come peraltro già avvenuto in precedenza con l'indulto. Di fatto, quindi, la questione non viene né affrontata in maniera seria e concreta, né tantomeno risolta. Saranno messi a piede libero, per le strade della Liguria, un centinaio di detenuti: è così che il governo Letta pensa di risolvere i problemi del territorio e dei cittadini?”, domanda polemicamente il Segretario della Lega ligure Sonia Viale. Giustizia: Coisp; decreto carceri un’ipocrisia intollerabile, poliziotti restano dentro www.julienews.it, 28 giugno 2013 “Certa ipocrisia non è davvero sopportabile. Se veramente si vogliono dare risposte di civiltà e di dignità al Paese, il Ministro Cancellieri ed assieme a lei molti altri ancora, dovrebbero cominciare dal ritrovare il rispetto per gli uomini e donne che vestendo l’uniforme spendono una vita intera al servizio dello Stato sacrificando tutto per quattro spiccioli che non consentono a loro ed alle rispettive famiglie neppure di arrivare a fine mese. E non possiamo che domandarci come possa il Ministro continuare a dormire sonni tranquilli sapendo che dei poliziotti dalle carriere illibate, che fino a poche settimane fa avrebbero dovuto stare a giusta ragione sotto la sua ala considerato il ruolo di Responsabile della Sicurezza Pubblica che lei ricopriva, sono rimasti in carcere tanti, troppi giorni ingiustamente, al di là di quello che la stessa legge prevede. E oggi, lo stesso Ministro si occupa di tirare fuori di galera chi deve scontare 6 anni di pena, mentre se ne è infischiata se 4 dei suoi Poliziotti ci sono stati sbattuti, per scontare una pena di solo 6 mesi, senza che ciò fosse giustificato e motivato. Questa è l’Italia che risponde solo alle regole imposte dal circo mass-mediatico! Questa è l’Italia che non si pone alcuna remora se deve dare addosso a 4 Poliziotti, al di là ed a prescindere dalla verità purché questo risponda bene alle esigenze pubblicitarie. Questa è l’Italia che ha scatenato la guerra santa contro il Coisp, reo di aver chiesto giustizia, al pari di tanti altri prima di noi che invece sono stati celebrati come eroi, ma di averla chiesta per le persone sbagliate: i poliziotti!”. Franco Maccari, Segretario Generale del Coisp, Sindacato Indipendente di Polizia torna sulla mancata applicazione della legge “svuota-carceri” ai colleghi condannati per eccesso colposo nell’omicidio colposo di Federico Aldrovandi, ai quali sono stati negati gli arresti domiciliari, e lo fa a stretto giro dall’approvazione del decreto del Governo - di iniziativa del Ministro della Giustizia Cancellieri, già Ministro dell’Interno - che, sempre per la necessità di tamponare l’emergenza del sovraffollamento carcerario, prevede la concessione dei domiciliari o di altre misure alternative al carcere, ai detenuti che hanno da scontare fino a 6 anni di pena. Rispondendo alle domande sull’opportunità o meno di rilasciare soggetti con condanne così pesanti, il Ministro ha difeso la scelta, spiegando che non deve trattarsi di soggetti o di reati che destino preoccupazione sociale, e che comunque non si restituisce la libertà ma li si manda ai domiciliari, parlando poi di “una risposta di civiltà e di dignità al Paese”. “Di fronte a tutto questo - aggiunge Maccari - non possiamo che sottolineare che aspettiamo con grande ansia un commento da parte del Ministro, che quando si è trattato di noi ha avuto la rapidità di un falco e ci ha condannati senza appello e senza neppure ancora sapere cosa fosse o non fosse davvero accaduto, a proposito del fatto che lo stesso Procuratore Generale della Cassazione ha criticato la decisione del tribunale di Sorveglianza di Bologna di non concedere i domiciliari a uno dei colleghi detenuti a seguito del decesso Aldrovandi, ritenendo la pronuncia immotivata dal momento che non si può comprendere come potrebbe il collega reiterare il reato standosene ai domiciliari invece che in carcere - anche per la non ripetibilità dell’evento che lo ha coinvolto e che lo stesso pg ha sottolineato -, e soprattutto, aggiungiamo noi, non si comprende come si sia giunti ad una prognosi di pericolosità nei confronti di un uomo che è e resta un poliziotto italiano e che non a caso è stato accusato e condannato per un reato colposo, colposo, non voluto né cercato”. “Ci aspetteremmo in verità che in tanti ora trovassero il coraggio e l’onestà intellettuale di rimangiarsi il veleno sparso a piene mani sui colleghi e su di noi che abbiamo chiesto ad alta voce l’applicazione corretta della legge nei confronti loro e di tutti gli altri poliziotti italiani. Ma siamo convinti che non succederà e che tutti quelli che hanno cavalcato con un opportunismo ignobile l’onda emotiva e mediatica che ha finito per stravolgere tutto, oggi resteranno accuratamente in silenzio, sperando che nessuno faccia caso al fatto che le bugie stanno crollando una dietro l’altra. Ma non saranno così fortunati. Perché la gente ha ancora il proprio senso critico. I dubbi sono stati sempre tanti e, al di là dei resoconti giornalistici, i cittadini ci hanno espresso grande comprensione e vicinanza in questa ed in altre vicende tristi e complicate. I cittadini hanno continuato e continuano a credere in noi, e oggi continuano a ragionarci su ed a chiedersi perché chi ha fatto loro del male volontariamente debba poter tornare a casa a scontare la propria condanna in poltrona, mentre dei poliziotti che non hanno assolutamente voluto la morte di un ragazzo, sono dovuti rimanere in cella, in isolamento, perché la loro vita è stata a serio rischio in carcere, proprio come lo è fuori”. Giustizia: Assistenti Sociali; riabilitazione collegando servizio penitenziario con territorio Vita, 28 giugno 2013 Il decreto legge sul sovraffollamento carceri, approvato ieri in Consiglio dei Ministri e da tempo atteso anche dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali, rappresenta un importante passo in avanti per affrontare questa ormai storica “È ora necessario - dichiara Edda Samory, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali - collegare il Servizio Sociale Penitenziario al Servizio Sociale Professionale del territorio per attivare una progettazione integrata, volta alla reale riabilitazione dei detenuti affidati al Servizio Sociale stesso”. “Ci auguriamo - continua Samory - che il Ministro Annamaria Cancellieri e la Conferenza Stato-Regioni interpellino quanto prima l’Ordine nazionale degli Assistenti Sociali, per individuare le possibili sinergie e protocolli tra Servizio Sociale Penitenziario e Territoriale. Ci permettiamo inoltre di suggerire l’avvio di un monitoraggio dei progetti riabilitativi, per verificarne la qualità e le reali risorse da impiegare, con particolare riferimento al numero dei professionisti occupati”. Giustizia: in carcere una persona su tre è malata, spesso senza saperlo di Chiara Lalli www.giornalettismo.com, 28 giugno 2013 Le dinamiche e i sentimenti di chi è detenuto e sta male raccontati da chi li ha vissuti. Il 28% dei detenuti è positivo all’epatite C, il 7% all’epatite B, il 3,5% all’Hiv, il 20% ha una tubercolosi latente e il 4% è positivo alla sifilide E se questi numeri sono già spaventosi, va aggiunta la scarsa consapevolezza: un terzo ignora di soffrire di una patologia, ritardando così l’assunzione di farmaci e rischiando di contribuire inconsapevolmente alla diffusione. Questi sono i numeri raccolti da uno studio condotto dal NPS, Network Persone Sieropositive, e dalla SIMIT, Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali, su un campione di circa il 60% dei detenuti (la mappa dei detenuti è qui). Lo studio è stato presentato il mese passato nel corso del Congresso nazionale ICAR, Italian conference on Aids and retrovirus. Infermità e carcere - Essendo il concetto di salute difficile da definire, anche la valutazione della sua assenza non può che essere disomogeneo. La compatibilità tra una certa condizione di salute e la detenzione è dunque accertabile faticosamente, e sembra essere analizzabile più caso per caso che tramite una regola assoluta e universale (si veda “Incompatibilità per condizioni di salute fisica” oppure “AIDS e carcere nell’evoluzione legislativa” ). Ciò che è certo è che la salute in carcere sia un problema internazionale (vedi la mappa ) e che in Italia sia particolarmente drammatico, visti i numeri dei detenuti e le condizioni carcerarie spesso ripugnanti. Hiv e carcere - L’Hiv non è una patologia come un’altra, ma è oppressa dallo stigma sociale e dalla mediocrità delle informazioni. Se si aggiunge il carcere, il risultato è spaventoso. Giuseppe (Pino) Zumbo, da anni educatore carcerario stimato per il suo lavoro e la sua storia personale, conosce bene il mondo dell’Hiv e del carcere. Nell’intervento al seminario europeo in&out si presenta così: “Sono malato Hiv da 25 anni e mi sono infettato nel carcere di Marassi (Ge) per via endovenosa all’inizio degli anni 80 usando durante le mie detenzioni una pseudo-siringa artigianale, come altre centinaia di detenuti. Conosco sulla mia pelle dinamiche e sentimenti di un detenuto Hiv”. Chiedo a Pino Zumbo di raccontarmi com’è, oggi, la condizione di una persona con l’Hiv e detenuta in un carcere. I farmaci non ci sono - Il primo guaio è che i farmaci in carcere non sono disponibili in modo adeguato. “È tutto farraginoso - mi racconta Zumbo - e alcune persone devono cambiare la terapia perché nel carcere sono stati sballati, cioè trasferiti. Cambi carcere e nella maggior parte dei casi ti cambiano la terapia. Non ha alcun senso cambiare terapia per ragioni non mediche: sei abituato a dei farmaci, te li sostituiscono. Spesso perché il carcere X ha una convenzione con il farmaco X. Puoi fare una domanda per riavere il tuo, ma di fatto non serve a niente”. In fondo sarebbe semplice, basterebbe un protocollo, uno sforzo organizzativo per garantire la continuità farmacologia. “Tutti i carceri dovrebbero avere tutti i farmaci. Ma ci sono molti interessi, per cui il medico del carcere o il responsabile sanitario userà un determinato farmaco perché magari ne avrà dei vantaggi. Indipendentemente dai pazienti. Seguono logiche che non hanno nulla a che fare con la salute. Sono logiche che hanno più a che fare con i soldi. Palanche, si dice a Genova”. Non aderenza - L’aderenza alla terapia è cruciale per le condizioni di salute: devi assumere i farmaci regolarmente e in modo corretto. È importante in qualsiasi circostanza, ma lo è particolarmente con gli antiretrovirali: interrompere la continuità di assunzione significa far aumentare la carica virale dell’Hiv. Il virus si riproduce velocemente e la non aderenza fa la differenza tra una patologia tenuta sotto controllo e una patologia che rischia di diventare incontrollabile. “La non aderenza è la morte - mi dice Zumbo - e a parte carceri di élite, come Opera, altrove rischia di essere la norma: penso a Poggioreale, o a altri carceri borbonici, mal attrezzati. Favignana è sotto al livello del mare. C’è una umidità insopportabile anche se stai bene, figuriamoci se soffri di qualche patologia. Se capiti in un posto del genere sei rovinato, peggio del conte di Montecristo. Un mio amico c’è stato 3 anni, mi ha raccontato cose allucinanti”. Rebibbia - Lo scenario del carcere romano è uno dei peggiori. Ecco che cosa ricorda Zumbo: “C’erano una quindicina di persone nel corridoio, e ce n’erano 7 addirittura in matricola - ovvero nel luogo dove ti prendono le impronte digitali, ti danno le lenzuola e le gavette, per poi andare nel braccio di destinazione e quindi in cella. La matricola è come una hall, dovrebbe essere un luogo di passaggio, e invece qui 7 persone dormono per terra. Se stai male vomiti lì, e poi dormi e vivi nel tuo vomito. Immagina che condizioni sanitarie possono esserci in un luogo così. Non solo a livello medico è difficile intervenire in una simile situazione, ma per ogni tipo di assistenza. Se sei un tossico, è particolarmente terrificante. E questo succede a Roma, la capitale, pensa come possono essere messi altrove”. I preservativi e la prevenzione? - Secondo Zumbo in Italia è un’utopia pensare che vi possano essere una politica di prevenzione e la disponibilità di preservativi per arginare il contagio: non solo di Hiv ma di tutte la patologie sessualmente trasmissibili. “Sono stato in molte carceri. La Spagna è un milione di anni avanti a tutti. Quando entri in galera ti danno un kit, con prodotti per l’igiene, siringhe, preservativi, detergenti e altro di cui puoi avere bisogno - sono beni di prima necessità. Ho visto anche alcune sale buco - come a Bilbao e a Barcellona. Sono luoghi asettici, dove non rischi di ammalarti e puoi essere controllato. Noi dovremmo copiare da loro. Per mirare al contagio zero. I contagi potrebbero essere ridotti drasticamente. Farsi con siringhe usate o altri oggetti - io mi sono infettato usando una penna bic - e avere rapporti sessuali sono spaventosi veicoli di contagio. Spesso i ragazzi più giovani, subiscono violenza, perché dentro c’è di tutto. Questo è già molto ripugnante, che almeno non si ammalino!”. “Il carcere come fucina di contagio” - Così Zumbo aveva definito la detenzione in una relazione a Barcellona nel 2008 (2nd European seminar prison and Hiv: the situation in Europe and the good practices, 17-20 gennaio). Gli chiedo se è ancora così, se è cambiato qualcosa in questi ultimi anni. “Potrei dire che il carcere è una fabbrica di malattia. O più esplicitamente che non è cambiato nulla. Anzi, siamo peggiorati perché c’è in giro gente come Giovanardi. La sporcizia è tale che bisognerebbe cominciare con il pulire. Se un tubercolotico arriva e nessuno se lo fila per 10 giorni, ha tutti il tempo di contagiare quelli che doveva impestare. Così per le epatiti. Ci sono ancora persone che quando escono di galera lasciano i propri spazzolini, i propri rasoi. Un rasoio per più detenuti. Questa è una cosa drammatica e molti ignorano il rischio. Il rasoio in genere lo compra chi ha i soldi in cella, lo usa e poi lo passa agli altri 6 o 7 che lo usano. Se uno ha l’epatite, nel giro di poco ce l’avranno pure gli altri 6 o 7. Stessa considerazione per lo spazzolino. Dico sempre, di usare piuttosto il sapone di Marsiglia e il dito per lavarsi i denti, ma non lo spazzolino di un altro. Ci muoviamo in questa situazione, tra consigli che dovrebbero essere ovvi e assenza di mezzi”. Consigli che forse sarebbero superflui se almeno gli spazzolini e i rasoi fossero facilmente reperibili. La famiglia - Quello che succede in carcere te lo porti dietro per tutta la vita, non solo come ricordo. “Non controllarsi non vuole dire essere sani, vuol dire non sapere. E soprattutto - sottolinea Zumbo - vuol dire essere pericolosi. Sei pericoloso se hai una moglie o una compagna, se sei sieropositivo perché sei un ex tossico e non ne sei consapevole - una premessa abbastanza comune. Vai a casa a fine pena: esci da questa merda, speri di ricominciare la vita e scopri di essere malato. Magari durante gli esami fatti quando aspettate un figlio. Ti immagini? Hai contagiato tua moglie e forse pure tuo figlio? Ti ammazzi. Infettare qualcun altro è atroce. È necessario fare il test. Se trovi una patologia sai come combatterla, se non hai nulla ti fai una risata. Ma non devi rischiare di contagiare altri”. Se a volte è difficile anche fuori, in carcere far passare questa idea può essere davvero complicato. “Una volta mi hanno detto: se su 100 detenuti riesci a convincerne 30 a fare il test per varie patologie, sei stato bravo. Sui 100 che ho incontrato, ho ricevuto 700 richieste per farsi gli esami. Sui poco più di mille che ho visto girando per varie carceri, il progetto a ha ricevuto 5000 richieste - hanno ascoltato parlare uno di loro, ‘un pari’…si sono passati semplicemente la voce, forse perché hanno sentito più che ascoltato”. Fuori - Una volta che esci spesso ti trovi peggio di quando sei entrato. “Devi andare a rubare o a spacciare. E tanti non hanno la dignità di andare alla Caritas. Piuttosto vai a rubare. Ci sono i vinti: quelli che hanno paura di tornare in galera, quelli che diventano barboni. A Termini ce ne sono tanti di ex detenuti. Vivono in un angolo, buttati per terra. Tanti non ce la fanno nemmeno a rubare. Per non parlare della legge Bossi-Fini: le carceri sono piene di persone perché magari vengono da altri paesi o sono ragazzini finiti dentro per qualche canna. Se tu mandi una persona - soprattutto un ragazzino - in galera per detenzione di un paio di canne, lo distruggi. Gli rovini la vita, lo incattivisci. Alcuni non reggono, e si ammazzano. Senza contare quello succede dietro alle sbarre. Le violenze della polizia poi sono quasi del tutto ignorate. E se facessero le analisi alle forze dell’ordine, forse le parti si invertirebbero, o almeno si andrebbe in parità. Basta guardarli negli occhi per capire che molti sono strafatti di cocaina”. A questo si deve ovviamente aggiungere la lista di tutte le morti sospese - l’ultimo è Stefano Cucchi - senza nemmeno il riconoscimento delle responsabilità: Giuseppe Uva, Aldo Bianzino, Federico Aldrovandi. L’elenco è lungo. Donato bilancia - Tra le centinaia di detenuti che Zumbo ha incontrato ce n’è anche uno particolarmente noto. Le circostanze dell’incontro sembrano piuttosto bizzarre. Mi racconta Zumbo: “Un giorno a Padova ci siamo trovati con 40 detenuti chiusi in teatro senza guardie, ma solo personale secondario, tutti insieme. A Napoli avevo avuto una platea di 500 detenuti, tra cui c’erano camorristi e assassini. Ero emozionatissimo, ma feci un buon lavoro, con tanto di strette di mano. Ma a Padova è stata più dura. Ho visto Bilancia. Ho avuto davvero paura, ho pensato che stavo lì con 5 ergastolani - cioè persone che non hanno niente da perdere - e Bilancia. Io son genovese. Puoi capire che impressione, ha ucciso malamente un sacco di persone e ha detto anche che ammazzerebbe ancora. Era lì in mezzo agli altri, non isolato come immaginavo io. Ho tenuto botta ma ho avuto paura. Ma com’è possibile che non ci fosse nessuno, almeno un brigadiere, un controllore. Ho pensato se uno si alza, o due perché è grosso, e lo strangolano davanti a noi? Non l’ho riconosciuto subito, e per fortuna. Ho riconosciuto la parlata. Io ho parlato a mezza bocca. Mi sono avvicinato a uno che aveva 22 anni da farsi e ho chiesto conferma che fosse Bilancia”. Bilancia sconta 13 ergastoli e 16 anni: ha ucciso 17 persone. Bilancia era quello soprannominato il serial killer dei treni e delle prostitute. Educazione tra pari - L’educazione tra pari sembra essere il mezzo più efficace per cominciare a rimediare alla mancanza di informazione, e per diffondere i primi e fondamentali rimedi per contenere la trasmissione. “Il fatto che io sia stato in carcere e mi sia contagiato in detenzione, fa la differenza. Sanno con chi parlano, parlo come loro, ho mangiato la loro stessa merda, ho guaito come loro al buio per tanti anni. Ora solo l’unico a fare questo lavoro, prima eravamo in due, io e un mio amico ma lui è morto. Nessuno mi ha detto di portarmi qualcuno dietro per imparare. Quando muoio io che succede?”. L’educazione tra pari funziona anche nella direzione inversa: “Una volta in un carcere mi si è avvicinato un ergastolano napoletano e mi ha detto: ‘hai usato quell’espressione, hai detto inculati da Dio, mi ha dato fastidiò. Mi ha spiegato perché: non avendo altro, con tre ergastoli, era in piena conversione religiosa. Non l’ho più usata quella espressione. È un’occasione per imparare Qualche numero sull’Hiv - Secondo l’Istituto Superiore di Sanità dal 1985 in poi l’età della diagnosi si sposta in avanti (escludendo le persone con età inferiore i 15 anni). Dai 26 e 24, rispettivamente per uomini e donne, si passa ai 38 e 34 del 2011. Se la trasmissione inizialmente avveniva nel 76,2% dei casi per via iniettiva, nel 2011 questa percentuale è scesa sotto al 5%. Sono aumentati i casi per trasmissione sessuale. I casi attribuibili a trasmissione eterosessuale sono passati dall’1,7% del 1985 al 45,6% del 2011; quelli a trasmissione omosessuale maschile dal 6,3% al 33,2%. Tra il 1985 e il 2011 sono state segnalate 52.629 nuove diagnosi di infezione da HIV. I dati più recenti raccolti dall’Iss sono stati pubblicati nel “Supplemento de Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità del 2012”. Testing day - Proprio ieri negli Stati Uniti era la giornata nazionale del test per l’Hiv, il “National Hiv Testing Day”. La prima si è svolta il 27 giugno 1995. L’intento, da allora, è sempre il medesimo: invitare le persone a sottoporsi al test per l’Hiv per conoscere le proprie condizioni di salute. Nel sito governativo ci sono tutte le indicazione su dove poter eseguire il test. Lettere: Carcere Possibile Onlus, bene il decreto, ma siamo lontani da ritorno alla legalità Ristretti Orizzonti, 28 giugno 2013 Un decreto debole che affronta solo in parte i veri problemi della detenzione in Italia. Introdotta la riforma proposta da “Il Carcere Possibile”, onlus della Camera Penale di Napoli. Il p.m., prima di emettere l'ordine di carcerazione, dovrà verificare se vi siano le condizioni per concedere la liberazione anticipata, evitando un'inutile e ingiusta carcerazione. Come ogni anno, in prossimità delle vacanze estive, si avverte la necessità di fare qualcosa per risolvere, o meglio attenuare, le disumane condizioni carcerarie dei detenuti. Questo nuovo Governo del Fare, non poteva non intervenire con l'ennesimo e tanto atteso decreto svuota carceri, che come i precedenti crea soprattutto illusioni per un possibile ritorno alla legalità nei nostri Istituti Penitenziari. Eppure, questa volta l'input non è dovuto solo ad un barlume di coscienza . Vi è anche la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo a mettere in mora il Nostro Paese con la nota Sentenza Torreggiani , espressamente richiamata nel decreto e che, è il caso di ricordarlo, il Nostro Paese (ad onor del vero per mano del precedente Governo) ha già tentato di eludere con una risibile impugnazione meramente dilatoria naufragata in un tempestivo rigetto. Ad una prima lettura, ahinoi, sembra che il Decreto Carceri abbia la medesima finalità, meramente dilatoria ed elusiva, dei diktat della Sentenza Torreggiani. Con una popolazione carceraria in eccesso di 20 mila unità, secondo le cifre rivelate dal Ministero, o di 30 mila secondo quelle indicate da altri, gli annunciati “Seimila detenuti in meno nel giro di un paio d’anni” per effetto del Decreto in commento, sembra una nuova, solo apparentemente più scaltra, elusione dei doveri di dignità del Paese Italia verso i cittadini detenuti. Eppure i quotidiani riportano il commento del Premier Letta: “Risposta di dignità alle accuse contro l’Italia”. Esaminando brevemente il testo del Decreto si rileva l'inconsistenza del provvedimento, utile solo ad incidere sulle illusioni dei detenuti, dei loro familiari e non ultima sulla pazienza degli avvocati che dovranno farsi carico di riportare alla realtà le aspettative dei primi. La liberazione anticipata valutata e richiesta dal Pm prima dell'ordine di esecuzione Non per spirito di autocelebrazione ma sembra il caso di iniziare con l'art. 1 lett. B n. 1 che introduce l'art. 656 co. 4 bis 4 ter e 4 quater c.p.p. che così recita: “4-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 9, lett. b), quando la residua pena da espiare, computando le detrazioni previste dall’articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, non supera i limiti indicati dal comma 5, il pubblico ministero, prima di emettere l’ordine di esecuzione, previa verifica dell’esistenza di periodi di custodia cautelare o di pena dichiarata fungibile relativi al titolo esecutivo da eseguire, trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza affinché provveda all’eventuale applicazione della liberazione anticipata. Il magistrato di sorveglianza provvede senza ritardo con ordinanza adottata ai sensi dell’articolo 69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. La presente disposizione non si applica nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. 4-ter. Quando il condannato si trova in stato di custodia cautelare in carcere il pubblico ministero emette l’ordine di esecuzione e, se ricorrono i presupposti di cui al comma 4-bis, trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza per la decisione sulla liberazione anticipata. 4-quater. Nei casi previsti dal comma 4-bis, il pubblico ministero emette i provvedimenti previsti dai commi 1, 5 e 10 dopo la decisione del magistrato di sorveglianza.”; art. 1 n. 4) al comma 10, primo periodo, dopo le parole: “da eseguire,” sono inserite le seguenti: “e se la residua pena da espiare determinata ai sensi del comma 4-bis non supera i limiti indicati dal comma 5,”. Il carcere possibile onlus, sin dall'aprile 2012, si è fatto promotore di un'iniziativa di riforma legislativa dell'art. 656 c.p.p. proponendo l'introduzione del seguente ART. 656 - comma 10 bis - In ogni caso, il Pubblico Ministero verifica se il condannato ha già scontato uno o più semestri di pena detentiva, anche agli arresti domiciliari, e se il residuo di pena da scontare è inferiore o uguale ai giorni che sarebbero detratti, ove venisse concessa la liberazione anticipata prevista dall’art. 54 della L. 26 luglio 1975, N.354. In tal caso, sospende l’esecuzione e trasmette immediatamente gli atti al Magistrato di Sorveglianza perché provveda sull’eventuale applicazione della liberazione anticipata. Fino alla decisione il condannato permane nello stato di libertà o detentivo in cui si trova. Il Magistrato di Sorveglianza trasmette immediatamente al Pubblico Ministero la decisione sul provvedimento ex art. 54 L.N.354/1975. Il Pubblico Ministero, riformulato il calcolo della pena residua, dichiara la pena totalmente espiata o pone in esecuzione l’ordine di carcerazione. La proposta di riforma è stata recepita dal Centro di Studi Giuridici e Sociali “Aldo Marongiu” dell'Unione Camere Penali che si è fatto promotore a livello legislativo della iniziativa del Carcere Possibile Onlus. Apprendiamo con soddisfazione il recepimento nel decreto carceri della nostra iniziativa. La detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni ex art. 1 lett. B n. 2 del decreto La pena per gli ultra settantenni che devono espiare un residuo di pena, ora di 4 anni e non più di 3 anni, può essere sospesa ex art. 656 co. 5 c.p.p. . Da questa ipotesi restano ancora esclusi i condannati per i cd “reati gravi” indicati nel co. 1 Dell'art. 47 ter l. 354/75 e coloro ai quali sia stata applicata la recidiva. I nuovi “reati gravi” ed i “vecchi reati” non più gravi. Anche questo Governo avverte, come tutti i suoi predecessori, la necessità di placare le folle attribuendo la patente di maggiore gravità a quei reati che, secondo le cronache degli ultimi tempi, scuotono maggiormente la “sensibilità” della gente. Ecco allora che scompaiono dal novero dei reati gravi, per i quali non era possibile la sospensione dell'esecuzione ex art. 656 co. 5 c.p.p., l'incendio (423 c.p.) il furto aggravato (con due aggravanti) e il furto in abitazione (625 bis). Tali reati si erano meritati la patente di gravità perché in un determinato momento storico, in cui la ribalta mediatica fu conquistata dalle rapine e dai furti nelle ville del Nord, si avvertì l'esigenza di punire più gravemente, quindi con l'esecuzione in carcere, qualsiasi “attentato” alla privata dimora fino a legittimare la cosiddetta “legittima difesa domiciliare” attribuendo il carattere di proporzione della difesa all'uso di un'arma non solo per difendere la propria o altrui incolumità ma anche “soltanto” i beni propri o altrui. Oggi, che i poveri leghisti rappresentano una inerme opposizione, le loro vecchie pretese sono finite nel cassetto. Ma vi è altro sentimento da placare. Sono stati introdotti, tra i reati gravi e non sospendibili, quello di maltrattamenti in famiglia aggravato dalla lesione grave o gravissima (art. 572 co. 2 c.p.) ed il modaiolo stalking aggravato (612 bis co. 3 c.p.). Non si vuole criticare la scelta del Legislatore perché si ritiene che tali delitti non siano sufficientemente odiosi da meritare l'esecuzione carceraria senza sospensione (anzi sono delitti particolarmente insidiosi proprio perché si consumano in contesti apparentemente protetti, come quello familiare, ed in danno di persone con minorata capacità di difesa), ma, tenuto conto che la prassi insegna che sin dalla fase cautelare il Giudice valuta adeguata una misura diversa dal carcere, ci si chiede se è davvero necessario che , poi a distanza di anni, la condanna debba essere espiata in carcere. Per i delitti in questione , quasi sempre, la misura dell'allontanamento dal nucleo familiare o che comunque impedisce i contatti con le persone offese, fino alla misura domiciliare, appare idonea alla tutela di costoro. Peraltro, ritornando all'articolo n. 1 lett. a (che prima avevamo omesso) del Decreto è previsto “che all’articolo 284, dopo il comma 1, è aggiunto il seguente: “1-bis. Il giudice stabilisce il luogo degli arresti domiciliari in modo da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato”. Orbene se la misura, anche quella domiciliare, è stata giudicata idonea, per lungo o breve tempo che sia, nella immediatezza della condotta reato, perché ritenere che in tali casi sia necessaria l'esecuzione carceraria come per reati ben più gravi? Il profilo è ben più complesso e si estende a tutto il novero dei reati cosiddetti gravi. Dopo che negli ultimi anni la Corte Costituzionale ha ripetutamente cassato la presunzione assoluta della custodia carceraria come unica misura idonea per certi reati (dai reati sessuali a quelli aggravati dall'art. 7) non si comprende perché , per l'esecuzione debbano permanere tali profili presunzione di pericolosità che non consentono determinati benefici. In ultimo è doveroso rilevare come il Legislatore, vuoi per guadagnarsi le simpatie delle folle vuoi per scarsa fiducia nel buon senso dei Giudici poteva omettere di rammentare a costoro , con il nuovo co. 1 bis dell'art. 284 c.p.p., che il domicilio deve essere compatibile con le esigenze di tutela della persona offesa. Invero, pur non nutrendo fiducia incondizionata nei Nostri, tale esigenza è certamente tutelata da chi decide per la misura domiciliare. Lavoro all'esterno L'art. 2 del Ns decreto introduce il co. 4 ter nell'art. 21 L. 354/75 ossia che “I detenuti e gli internati possono essere assegnati a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito nell’esecuzione di progetti di pubblica utilità in favore della collettività”. Il principio, ancora una volta, è sano ma chi opera nel settore sa bene che non sarà l'art. 21 a sfollare le carceri visto che, dalla Sua introduzione, le ipotesi di applicazione sono state davvero residuali ed eccezionali vuoi per la sfiducia che la Magistratura di Sorveglianza ha nelle capacità di autocontrollo del condannato, vuoi per l'assenza di fondi (nonostante la gratuità della prestazione lavorativa) per sostenere tale tipo di progetti. La detenzione domiciliare, la semilibertà ed i recidivi Con la soppressione dell'art. 47 ter co. 1.1 e delle parole ““e a quelli cui sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, del codice penale” del co. 1 bis viene meno la presunzione di pericolosità assoluta, quindi la presunzione di inidoneità assoluta della misura domiciliare, per i recidivi reiterati che aspirino ad ottenere la detenzione domiciliare. Analogamente, con la soppressione dell'art. 50 bis viene meno, per i recidivi che aspirino alla semilibertà, il limite minimo di espiazione della pena dei 2/3 o, per reati più gravi , dei 3/ 4 della pena. Con la soppressione dell'art. 30 quater non sono più previsti i limiti di pena minimi per ottenere i cosiddetti permessi premio. È soppresso anche (art. 58 quater co. 7 bis) il divieto di concessione dei benefici ai recidivi, per più di una volta. L'introduzione del co. 1 quater dell'art. 47 ter, ossia l'istanza di detenzione domiciliare rivolta al Tribunale Sorveglianza quando l'esecuzione della pena è già iniziata poco rileva, ai fini dei propositi di sfollamento, in quanto il NS Decreto sposta la competenza dal magistrato di Sorveglianza , al quale resta il potere si sospensione per “grave pregiudizio”, al Tribunale di Sorveglianza. L'organo collegiale è ovviamente più macchinoso nelle sue decisioni. Anche qui la prassi ci insegna che l'ipotesi di sospensione dell'esecuzione in corso , per grave pregiudizio” , mediante la concessione della detenzione domiciliare, è assolutamente residuale e, in alcuni Tribunali, meramente scolastica. È soppresso il co. 9 dell'art. 47 ter per cui non basterà la “semplice” denuncia per il delitto di evasione per determinare l'automatica sospensione del beneficio. I tossicodipendenti ed i lavori di pubblica utilità Con l'art 3 del Ns Decreto si estende la possibilità , su richiesta dell'imputato, assuntore abituale o tossicodipendente, di convertire la pena in lavoro di pubblica utilità non sol! o per&nb sp; i reati previsti dell'art. 73 DPR 309/90 (come recita l'attuale art. 73 co. 5 bis DPR 309/90) ma anche per gli altri reati così come indica il nuovo co. 5 ter. Si deve avere fiducia in una possibilità effettiva che vi siano progetti di lavori di pubblica utilità ai quali il tossicodipendente o assuntore abituale, possa accedere per ottenere la conversione della pena. Se tale possibilità , fino ad oggi, è stata una mera eventualità non è certo perché il Legislatore aveva limitato tale possibilità ai soli reati di droga. Pertanto, deve immaginarsi, che anche questo espediente sia, come gli altri, finalizzato ad eludere nei fatti i dettami della Corte di Giustizia Europea in materia di sovraffollamento carcerario. La programmazione dell'edilizia carceraria Concludendo con la saga delle buone intenzioni all'art. 4 del ns Decreto sono indicate tutte le possibili, ovvie , soluzioni al problema dell'edilizia carceraria, con nuove costruzioni, manutenzioni di quelle esistenti o acquisizione di strutture da riconvertire. Solo che , al successivo art. 5 la copertura finanziaria prevede che “All’attuazione delle disposizioni contenute nella presente legge si provvede mediante l’utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato”. Come dire arrangiamoci con quello che abbiamo. È questa la Risposta di dignità alle accuse contro l’Italia? Ed intanto di carcere si continuerà a morire. Avv. Marcello Severino Componente Consiglio Direttivo de “Il Carcere Possibile Onlus” - Camera Penale di Napoli Lettera dal carcere per Furio Colombo Il Fatto Quotidiano, 28 giugno 2013 Caro Furio Colombo, che cosa è il carcere oggi in Italia? Il carcere è caos, violenza disperata, paura, disordine, prepotenza, malvagità, povertà estrema. Entrare in carcere significa tormento e sofferenza. Lei certo riconosce da quello che dico il pensiero politico del Partito Radicale, Infatti ho la tessera 1976. Lei si domanderà: che ci fa un Radicale in carcere? Risposta: sconta una giusta pena. Ma nell'agenda dello Stato, le carceri sono una voce che viene dopo la pulizia delle fogne. Eppure le fogne non sono menzionate nella Costituzione... Un abbraccio nonviolento. Lettera firmata La lettera è scritta a mano su carta quadrettata, la firma non è leggibile, ma mi sembra una firma vera, e per questo ho pubblicato, in piccola parte, la lettera. Mi colpisce un fatto che i carcerati condividono con gli ammalati, i sofferenti, i disabili: la solitudine. E la mancanza di un sostegno da parte dell'opinione pubblica. Infatti la maggioranza delle persone, in ogni dato momento, non è in carcere, non è in ospedale e non sperimenta la vita (spesso straordinariamente coraggiosa) dei disabili. Poiché l'uguaglianza è fondamento della democrazia, questo dovrebbe essere il terreno privilegiato della politica. Invece la politica segue lo stesso criterio di vasta indifferenza, evidentemente ispirata dal fatto che non si riceve il premio di alcuna maggioranza, occupandosi di carcerati, malati e disabili. Devo dire che, rispetto alla proclamata fede cattolica dei miei concittadini, sono ogni volta meravigliato non solo per l'indifferenza diffusa verso le minoranze sofferenti, ma anche di irritazione e fastidio quando si parla di carcerati. Capisco la persona che mi scrive. In anni di vita in Parlamento ho incontrato quasi solo deputati Radicali nelle visite alle carceri (e in quelle nuove versioni, peggiori delle carceri, che sono i Centri di identificazione, dove vengono detenuti illegalmente - e senza tentare alcuna distinzione - immigrati e rifugiati). Non esiste una trasmissione su carceri e carcerati che non sia su Radio Radicale. E ci vogliono scioperi ripetuti della fame e della sete (come quello iniziato di nuovo da Pannello) per creare un minimo di attenzione. Quell'attenzione però non solo dura poco, ma riguarda quasi solo la “stranezza” del gesto nonviolento, non la ragione di quel gesto. Nel momento in cui si trasforma in politica, l'argomento che il carcerato radicale ha cercato di spiegare nella sua lettera cambia come per malefica magia. Diventa un oggetto incomprensibile, che può essere usato come una accusa o un inganno, e perde la sua natura di fatto vero e tremendo. Soprattutto appare un oggetto estraneo, che viene respinto con fastidio, invocando “ben altri problemi”. E così voi trovate questa situazione stranissima: i più laici si occupano di chi cerca invano attenzione e soccorso. I presunti credenti (con poche eccezioni) restano alla larga, fra cerimonie e festività. Lombardia: nasce polo universitario penitenziario, accordo Università Bicocca-Prap Adnkronos, 28 giugno 2013 È stato firmato questa mattina l'accordo di collaborazione tra l'Università di Milano-Bicocca e il Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria (Prap) per la Lombardia con l'obiettivo di sviluppare attività scientifiche, culturali e didattiche presso gli Istituti Penitenziari di Milano, Monza e Lodi e presso l'ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Milano-Lodi e dello stesso Provveditorato. La convenzione, rivolta a tutto il personale, alle persone detenute e agli studenti dell'Ateneo milanese, prevede in particolare la realizzazione di un nuovo polo universitario lombardo presso le case di reclusione di Milano Bollate e Milano Opera. L'accordo è stato siglato nel corso di un incontro a cui hanno preso parte il rettore dell'Università di Milano-Bicocca Marcello Fontanesi, il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria per la Lombardia Aldo Fabozzi, i direttori degli istituti e dei servizi penitenziari coinvolti, i direttori dei dipartimenti e i presidenti delle Scuole dell'Università, le Commissioni carcere e i Garanti dei diritti delle persone detenute della Regione Lombardia e del Comune di Milano. Il progetto prevede diverse tipologie di intervento: per le persone detenute, inserite nelle Case di Reclusione di Bollate e Opera, saranno istituiti corsi ad hoc, la replica di corsi attivi nell'ateneo milanese e saranno semplificate le procedure d'iscrizione con l'obiettivo primario di favorire un futuro reinserimento. Per tutto il personale (da quello di polizia penitenziaria, a quello del comparto ministeri, ai dirigenti), continuerà la formazione sul campo attraverso corsi dedicati, ad esempio, al lavoro in equipe, alle competenze e alla comunicazione interculturale, alla valorizzazione delle competenze professionali di ciascuna figura coinvolta. Per gli studenti dei diversi corsi di laurea triennale e magistrale verranno potenziate le possibilità di stage e di tirocinio e sarà offerta la massima collaborazione da parte degli operatori degli istituti penitenziari nelle attività di supporto alla tesi di laurea. L'accordo attua il Protocollo d'Intesa “Programma speciale per l'istruzione e la formazione negli istituti penitenziari”' sottoscritto dal Ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca e dal Ministro della Giustizia. Nello specifico, gli istituti e i servizi penitenziari coinvolti nell'accordo sono la Casa di Reclusione di Bollate, la Casa Circondariale di Milano San Vittore, la Casa di Reclusione di Opera, la Casa Circondariale di Monza, la Casa Circondariale di Lodi, l'Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Milano e del Provveditorato Regionale. Tra gli obiettivi della convenzione, la possibilità di partecipare a bandi e finanziamenti europei per progetti specifici di studio e ricerca in cui coinvolgere le persone detenute, il personale penitenziario, studenti e docenti. Liguria: Sappe; forse meno di 100 detenuti usciranno a seguito del DL del Governo www.savonanews.it, 28 giugno 2013 Roberto Martinelli: “1.900 detenuti per 1.000 posti regolamentari, 400 poliziotti in meno: servono riforme che depenalizzino i reati in favore controllo all'esterno”. “Secondo le nostre previsioni, saranno probabilmente molto meno di 100 i detenuti che in Liguria potrebbero uscire dalle carceri regionali per effetto del decreto legge approvato ieri dal Consiglio dei Ministri. E considerato che le presenze si attestano oggi sulle circa 1.900 persone detenute rispetto ai circa mille posti letto regolamentari delle strutture, mi sembra che non cambierà nulla. Si tenga conto che già oggi, a tre anni alla legge sulla detenzione domiciliare che permetterebbe di scontare a casa gli ultimi diciotto mesi di pena, sono stati complessivamente solo 407 coloro che ne hanno beneficiato: 284 uscendo dalle carceri, 123 direttamente dalla libertà.” È quanto dichiara Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. “Nel decreto legge ci sono positive, come la possibilità per il giudice di assegnare il reo direttamente ai domiciliari con contestuale impiego in lavori socialmente utili e gratuiti. Ma per poterne fruire bisogna avere una dimora e un domicilio fisso, cosa che però non hanno gli stranieri che sono il 60% della popolazione detenuta ligure. Non credo che neppure l’amnistia possa essere il provvedimento in grado di porre soluzione alle criticità del settore, come invece sostiene il Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Quel che serve sono vere riforme strutturali sull’esecuzione della pena: riforme che non vennero fatte con l’indulto del 2006, che si rileverò un provvedimento tampone inefficace del quale però beneficiarono quasi 36mila soggetti (1.200 circa in Liguria) , 29mila dei quali uscirono dalle carceri (900 nella nostra Regione). Il sovraffollamento degli istituti di pena è una realtà che umilia la Liguria e l'Italia rispetto al resto dell'Europa e costringe i poliziotti penitenziari a gravose condizioni di lavoro, costretti a gestire e subire la tensione detentiva che esso determina: tentati suicidi, risse, aggressioni, atti di autolesionismo.” Martinelli sottolinea infine che “il personale di Polizia Penitenziaria (sotto organico di 7mila Agenti in Italia, 400 in meno rispetto a quanto previsto per la Liguria ) è stato ed è spesso lasciato da solo a gestire all'interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensioni, 24 ore su 24, 365 giorni all'anno. Ci vogliono riforme strutturali, che depenalizzino i reati minori e potenzino maggiormente il ricorso all'area penale esterna, che già oggi in Liguria coinvolte più di mille persone, limitando quindi la restrizione in carcere solo nei casi indispensabili e necessari. Sul progetto dei circuiti penitenziari studiato dall’Amministrazione penitenziaria non ci sembra la soluzione idonea perché al superamento del concetto dello spazio di perimetrazione della cella e ad una maggiore apertura per i detenuti deve associarsi la necessità che questi svolgano attività lavorativa e che il Personale di Polizia penitenziaria sia esentato da responsabilità derivanti da un servizio svolto in modo dinamico. Oggi tutto questo non c’è ed il rischio è che un solo poliziotto farà domani ciò che oggi lo fanno quattro o più Agenti, a tutto discapito della sicurezza.”. Treviso: Cooperativa Alternativa Ambiente assume 24 carcerati di Eleonora Biral www.trevisotoday.it, 28 giugno 2013 Con un accordo tra la casa circondariale di Treviso e la Cooperativa Alternativa Ambiente, 24 detenuti che hanno già svolto la riabilitazione nel polo occupazionale sono stati assunti come soci e percepiranno un salario. Tutto nasce dalla legge 193/2000, più comunemente chiamata legge Smuraglia, atta a favorire l’attività lavorativa dei detenuti. Attraverso tale norma si consente al carcerato di lavorare e percepire un salario, nonché gli si garantisce, in alcuni casi, un’occupazione quando sarà uscito di prigione. Non solo, la legge Smuraglia consente un risparmio sui costi sociali di mantenimento della famiglia del detenuto. E la casa circondariale di Treviso, insieme alla cooperativa sociale Alternativa, ha consentito l’assunzione di 24 nuovi soci all’interno della stessa cooperativa, tutti già inseriti nel polo occupazionale del carcere di Santa Bona. Grazie a questa assunzione, i detenuti svolgeranno lavori di falegnameria, digitalizzazione di contenuti, riparazioni di attrezzature elettroniche, incisione del vetro, assemblaggio dei contenitori per la raccolta differenziata dei rifiuti e così via. Proprio il 3 giugno 2013 la cooperativa Alternativa Ambiente ha assunto 24 carcerati di Treviso per consentire loro di svolgere un lavoro vero e proprio. Tutto questo mira a creare le condizioni di occupazione futura per i detenuti e dà la possibilità alle cooperative del territorio di collaborare, eventualmente, con le imprese. Firenze: Carcere di Sollicciano, i detenuti proclamano lo “sciopero del carrello” www.firenzetoday.it, 28 giugno 2013 I detenuti del carcere di Sollicciano hanno proclamato lo sciopero del vitto in sostegno al digiuno a staffetta per la legalità volto a superare il sovraffollamento. I detenuti del carcere di Sollicciano protestano con uno sciopero del carrello, cioè del vitto passato dall'amministrazione penitenziaria, contro le condizioni tenute negli istituti penitenziari. La protesta va ad aggiungersi al digiuno a staffetta per la legalità nelle carceri e per superare il sovraffollamento, promosso dal garante dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone. È lo stesso garante a rendere nota la protesta dei detenuti che, ricorda, hanno anche aderito alla raccolta di firme per le tre proposte di iniziativa popolare su tortura, carceri e droga. Dalla prima settimana di luglio, poi, sempre i detenuti di Sollicciano, spiega Corleone, sosterranno “lo sciopero del sopravvitto”, in segno di protesta “contro i prezzi praticati sui prodotti in vendita all'interno dell'istituto, maggiorati rispetto ai prezzi praticati nei supermercati esterni”. Gorizia: il Garante dei diritti dei detenuti avrà il suo ufficio in Provincia Il Piccolo, 28 giugno 2013 Anche Gorizia ha il suo garante dei diritti delle persone limitate nella libertà personale. Si tratta di don Alberto De Nadai. A promuovere l'individuazione del garante per l'Isontino - sulla scia di quanto già fatto in precedenza prima nel comune di Udine e poi in quello di Trieste - è stato il consigliere provinciale di Fli Stefano Cosma, che ieri ha spiegato l'origine dell'iniziativa assieme al presidente del Consiglio provinciale Gennaro Falanga ed all'assessore provinciale Bianca Della Pietra. “Un paio d'anni fa, grazie alla mia amicizia con la direttrice del carcere di Gorizia e Udine, ho avuto occasione di visitare la casa circondariale di via Barzellini - ha spiegato Cosma -, e mi sono reso conto di quanto le condizioni di chi vive e lavora in quei luoghi sia grave. La struttura è fatiscente e del tutto inadeguata, ed allora ho pensato che anche in provincia di Gorizia doveva nascere la figura ben definita dalla legge in altri stati, ma non in Italia, quella del garante dei diritti dei detenuti”. Subito la proposta di Cosma è stata sposata dall'amministrazione provinciale, ed il consiglio si è poi fatto carico di nominare De Nadai, al quale viene concessa la delega speciale di seguire anche gli ospiti del Cie e del Cara di Gradisca d'Isonzo. De Nadai riceverà le segnalazioni riguardo i diritti violati o non completamente rispettati dei detenuti, potrà visitarli e chiedere chiarimenti di vario tipo. Più in generale, però, il suo compito sarà anche divulgativo ed informativo, per portare all'esterno, nella società, il mondo del carcere. A disposizione del garante la Provincia mette una stanza, con computer ed un indirizzo di posta elettronica dedicato: garante@provincia.gorizia.it. Ieri ad incontrare la stampa è stato anche lo stesso De Nadai: diventerà un punto di riferimento a tutto tondo, per detenuti e operatori della giustizia. Non a caso apprezzamenti per la scelta della Provincia sono arrivati ieri anche dall'avvocato Marchiori, della Camera penale di Gorizia, e dall'ispettore Vito Marinelli, della polizia penitenziaria, che ha anche auspicato che i lavori alla casa circondariale appena partiti siano solo l'inizio di un percorso di valorizzazione della struttura, perché possa effettivamente in futuro restare operativa. Potenza: Un protocollo per l'inserimento lavorativo di detenuti tra Prap e cooperative www.sassiland.com, 28 giugno 2013 Il 1 luglio alle ore 11,30 presso l’Aula della Formazione del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Basilicata a Potenza in Via dei Mille a Potenza, sarà sottoscritto un protocollo di intesa tra il Ministero della Giustizia Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Provveditorato Regionale della Basilicata e l’Alleanza delle Cooperative Sociali di Basilicata: Federsolidarietà - Confcooperative, Legacoopsociali e Agci Solidarietà. Il Protocollo rinnova ed accresce la partnership tra Istituzioni e cooperazione sociale per fare del lavoro il mezzo principale per il reinserimento dei cittadini in esecuzione penale. Le tre centrali cooperative Federsolidarietà - Confcooperative, Legacoopsociali e Agci Solidarietà di Basilicata promuovono, infatti, attraverso le cooperative sociali il recupero sociale e l’inserimento lavorativo di persone in stato di bisogno e a rischio di emarginazione sociale, maturando positive esperienze in attività trattamentali, di giustizia riparativa e imprenditoriali finalizzate al reinserimento sociale e lavorativo di persone svantaggiate. L’intesa, in particolare, mira a promuovere progetti imprenditoriali finalizzati all’inserimento lavorativo intra ed extra-murario anche in sintonia con il Programma Regionale “Vale la Pena Lavorare” Linee di intervento per l’inclusione sociale e lavorativa dei soggetti, adulti e minori, sottoposti a provvedimento dell’autorità giudiziaria nella Regione Basilicata approvato con D.G.R. n.4 del 07.01.2010 nell’ambito del Fondo Sociale Europeo, gestito dalle Amministrazioni Provinciali di Potenza e Matera che hanno implementato l’intervento per il tramite delle proprie Agenzie Formative (Apofil e Ageforma). Tali progetti saranno individuati e promossi da Federsolidarietà - Confcooperative, Legacoopsociali e Agci Solidarietà di Basilicata , attraverso le loro cooperative sociali e loro consorzi. Dal canto suo, il Provveditorato Regionale della Basilicata attraverso il proprio Nucleo Regionale Permanente progetti fondo sociale europeo, con le Direzioni dei tre istituti di Potenza Matera e Melfi e la Direzione dell’ Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Potenza e sede di servizio Matera, si impegneranno ad individuare, nelle singole realtà locali, progetti idonei alla realizzazione di attività di recupero sociale ed inserimento lavorativo elaborando progetti condivisi da presentare alla Commissione Europea Il Protocollo d'Intesa sarà sottoscritto dal Provveditore Regionale Dott. Salvatore Acerra, da Giuseppe Bruno Presidente di Federsolidarietà - Confcooperative, da Caterina Salvia di Legacoopsociali e da Donato Semeraro di Agci Solidarietà. Ragusa: slitta la chiusura del carcere di Modica. Una delegazione di senatori in visita di Duccio Gennaro www.corrierediragusa.it, 28 giugno 2013 La notizia è stata confermata dal sottosegretario di Stato al ministero della Giustizia, Giuseppe Berretta dopo gli interventi della senatrice Venera Padua e dell´onorevole Nino Minardo. La casa circondariale di Piano del Gesù non chiuderà. Almeno fino a quando il carcere di Ragusa non sarà in grado di accogliere i detenuti di Modica. La chiusura, prevista già da lunedì, è dunque sospesa e tutta la comunità tira un sospiro di sollievo. La notizia è stata confermata dal sottosegretario di Stato al ministero della Giustizia, Giuseppe Berretta dopo gli interventi della senatrice Venera Padua e dell´onorevole Nino Minardo che avevano seguito il caso da vicino. La Padua in particolare ha messo in risalto le caratteristiche della casa circondariale modicana e di tutti i progetti che si svolgono per il recupero dei giovani detenuti. Il problema della chiusura della struttura di Piano del Gesù non è tuttavia definitivamente risolto ma nel frattempo si potrà pensare a come salvaguardare in forma definitiva l´istituzione. Una commissione da alcuni senatori che hanno sposato la causa del carcere di Modica, annuncia la Padua, andrà a visitare la struttura per rendersi conto di persona di quello che più volte abbiamo descritto in queste ultime settimane”. Crotone: detenuto in permesso ruba in chiesa, denunciato www.cn24tv.it, 28 giugno 2013 Da detenuto agli arresti domiciliari aveva l'autorizzazione ad uscire di casa dalle 7 alle 11. Ma in quelle poche ore ne approfittava per svaligiare la cassetta delle offerte nella chiesa di San Francesco di Paola di Torretta di Crucoli, piccolo centro in provincia di Crotone. Per questo, i carabinieri hanno denunciato V.A., già noto alle forze dell'ordine. I militari dell'Arma, dopo la denuncia del parroco, sono riusciti a scoprire che il furto era stato compiuto dall'uomo nelle sue ore di libertà, durante le quali aveva portato via le offerte dalla chiesa, impossessandosi anche delle monetine. Gran Bretagna: continua il dibattito per il voto ai detenuti di Ivano Abbadessa www.west-info.eu, 28 giugno 2013 George McGeoch e Peter Chester, due detenuti inglesi, hanno fatto ricorso alla Corte Suprema di Sua Maestà per essere riammessi all’elettorato attivo. Chiedono insomma di avere il diritto al voto anche dietro le sbarre. Un caso che infiamma in questi giorni il dibattito politico in Inghilterra. Dove la legge prevede che con l’ingresso in carcere si perde automaticamente il diritto al voto fin quando la pena non viene espiata. Giusto o sbagliato? E ancora quanto previsto dall’ordinamento inglese è la prassi o un’eccezione in Europa? Partiamo dal fatto che nel Vecchio Continente, negare la partecipazione alle consultazioni elettorali come pena accessoria alla condanna è un elemento comune, sia pure in una varietà di forme, a molti ordinamenti. In proposito, la Corte Europea dei diritti dell’Uomo si è espressa più volte contro un’automatica perdita del diritto di voto. Sulla base di un’interpretazione più marcata del diritto alle libere elezioni previsto dall’art. 3 del Primo protocollo alla CEDU. Su 43 membri del Consiglio d’Europa, oggetti di un recente studio comparato sulle restrizioni elettorali per i prigionieri, è possibile fare una distinzione in tre gruppi. Il primo, che non prevede restrizioni alla partecipazione dei detenuti alle elezioni, è composto da 19 nazioni: Albania, Azerbaijan, Croazia, Cipro, Danimarca, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Macedonia, Moldavia, Montenegro, Repubblica Ceca, Serbia, Slovenia, Svezia, Svizzera e Ucraina. All’opposto un secondo gruppo di 7 paesi: Armenia, Bulgaria, Estonia, Georgia, Ungheria, Russia e, appunto, il Regno Unito, privano automaticamente del diritto a votare tutti i prigionieri condannati a scontare pene detentive. I restanti 16 stati: Austria, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Malta, Monaco, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, San Marino, Slovacchia e Turchia hanno adottato un approccio intermedio. In questi casi, infatti, la privazione del diritto elettorale dipende dal tipo di reato e/o dalla durata della pena detentiva. Nel nostro paese, ad esempio, l’art. 28 del Codice Penale sull’interdizione dai pubblici uffici precisa che il condannato può essere privato “del diritto di elettorato o di eleggibilità in qualsiasi comizio elettorale, e di ogni altro diritto politico”. Una mappa abbastanza complessa, insomma, oltre che variegata. La Cedu, però, ha dato un chiaro segnale verso la direzione da seguire. Anche considerando che il diritto di voto è la manifestazione più visibile della partecipazione alla cosa pubblica e allo stesso tempo costituisce uno dei cardini sia al processo di rieducazione del detenuto, sia al suo pieno sviluppo come persona. Israele: dilaga nel carcere di Saharonim la protesta degli immigrati africani di Michele Giorgio www.nena-news.globalist.it, 28 giugno 2013 Almeno 300 i detenuti in sciopero della fame. Protestano contro la legge che introduce il reato di immigrazione. In un anno arrestati oltre 2.400 immigrati. Sivan Weitzman dell'amministrazione penitenziaria israeliana ridimensiona la portata della protesta dei migranti nel centro di detenzione di Saharonim. “Per ora non siamo di fronte a uno sciopero della fame dichiarato, i detenuti hanno solo mandato indietro per due giorni i loro pasti”, dice gettando acqua sul fuoco. Non è servito. A Saharonim la protesta si fa più intesa con il passare dei giorni. E in ogni caso, si tratta di uno sciopero della fame a tutti gli effetti, in linea con le iniziative portate avanti nel carcere all'inizio di maggio e nei mesi precedenti, non poche volte avviate da donne che si oppongono alla deportazione nel Sinai egiziano dove, dicono, sarebbero esposte a sequestri di persona e a violenze sessuali. La comunità eritrea a Tel Aviv fa sapere che il rifiuto del cibo da parte di almeno 300 detenuti è iniziato domenica in 3-4 blocchi della prigione e che andrà avanti per giorni. I prigionieri chiedono l'annullamento di quello che si configura come un reato di immigrazione a tutti gli effetti per l'inasprimento delle leggi che dalla scorsa estate prevedono il carcere (tre anni e più) per le persone che entrano illegalmente nel Paese. Saharonim è in funzione già dal 2007, quando accoglieva i migranti in “transito”, che dopo una veloce registrazione, nella maggior parte dei casi venivano rilasciati. È stata riabilitata in vista dell'entrata i vigore dei provvedimenti del governo volti a fermare l'immigrazione degli africani dal Sinai e per rispedire a casa quelli già presenti in Israele, peraltro bersaglio di attacchi e proteste da parte di migliaia di israeliani nei quartieri periferici di Tel Aviv. In un anno a Saharonim i detenuti sono passati da poche centinaia agli oltre 2.400. Confini sbarrati anche per i richiedenti asilo. Si contano sulle dita di una mano le richieste accettate da Israele, sebbene a presentarle siano stati sudanesi, eritrei e altri africani che nella maggior parte dei casi scappano da guerre e massacri. Hotline for Migrant Workers, l'associazione che assiste i migranti, ieri ha esortato le autorità carcerarie a permettere ai giornalisti e a medici esterni di poter incontrare in carcere i richiedenti asilo. Non tutto avviene alla luce del sole. A febbraio Haaretz pubblicò la notizia dell'espatrio forzato e segreto di oltre mille sudanesi, in violazione della Convenzione del 1951, sottoscritta anche da Israele, che proibisce il rimpatrio di rifugiati verso un Paese dove rischiano persecuzioni. Il governo replicò che quei sudanesi avevano accettato volontariamente l'espatrio. Una versione che deve aver insospettito il Procutore dello Stato, Yehuda Weinstein, che proprio ieri ha affermato che queste dichiarazioni di espatrio volontario devono essere filmate e avvenire in presenza di un traduttore. Nena News Israele: violenze sui bambini palestinesi nelle carceri, la denuncia dell'Onu di Fadi Musa www.news.supermoney.eu, 28 giugno 2013 Secondo un dossier dell'organizzazione, dal 2002 ad oggi 7000 bambini palestinesi torturati nelle carceri israeliane. È stato pubblicato un drammatico dossier dell'Onu che denuncia violenze compiute dai soldati israeliani ai danni di bambini palestinesi detenuti nelle carceri del democratico stato d'Israele. Secondo il dossier, compilato dall'Onu, negli ultimi 11 anni sarebbero stati arrestati, torturati e violentati 7000 bambini tra i nove e gli undici anni. Secondo il dossier i maltrattamenti iniziano subito con l'arresto, durante il quale i bambini vengono ammanettati e bendati in modo tale da non far vedere agli arrestati dove vengono portati. Solitamente l'arresto viene effettuato contro quei bambini che lanciano sassi contro i blindati israeliani durante le incursioni notturne che questi fanno. Ai genitori di codesti bambini viene nascosto il luogo di detenzione dei figli, e per questo i bambini detenuti non vedono più i loro genitori. Il dossier, lungo 20 pagine spiega che una volta nelle carceri i minori vengono torturati sia fisicamente che psicologicamente, vengono infatti minacciati di morte, gli viene negato il cibo, acqua e l'accesso ai bagni, ed infine spesso vengono violentati. Soldati israeliani hanno giustificato il trattamento dicendo che sono metodi per estorcere informazioni utili. Il governo israeliano ha negato la veridicità di questo dossier, ritenendolo poco serio. È però vero che la legge israeliana prevede che i minori palestinesi possono essere arrestati e condannati anche a 20 anni di reclusione con l'accusa di aver lanciato sassi contro i blindati israeliani. Forse questa legge, decisamente eccessiva, in un paese civile non dovrebbe esistere.