Giustizia: in carcere è la quotidianità la pena peggiore da scontare di Eugenio Manca www.ilsalvagente.it, 27 giugno 2013 Ma che cosa deve avvenire di più grave, di irrimediabile nelle carceri italiane perché il Parlamento si decida a prender di petto la questione? Che cosa deve succedere ancora - una rivolta, un suicidio di massa, un rogo che arda per giorni e minacci di divampare fin dentro i palazzi potere - prima che si ammetta che la vita nei reclusori non è più umana, prima che si faccia mea culpa per aver tollerato una condizione di autentica tortura, prima che si dichiari di fronte all’Italia e al mondo che il nostro civilissimo paese non è in grado di amministrare giustizia? Quanti vivono a contatto col mondo carcerario sanno che è l’estate la stagione più pericolosa, durante la quale i problemi si acutizzano e raggiungono la massima tensione. Che cosa può avvenire in una cella di tre metri per quattro, pensata per un singolo detenuto ma nella quale se ne affollano tre o quattro o cinque, con letti a castello o materassi in terra, senza spazio per muoversi, respirare, tendere le braccia, leggere una lettera, usare il bugliolo senza che ciò diventi un atto collettivo? Non c’è bisogno di andare lontano: pensi ciascuno a un giorno afoso nella propria casa, nel giardino, sul terrazzo, pensi allo sforzo di trovare un attimo di refrigerio o silenzio, pensi a una bevanda fredda o a un ventilatore che funziona con un clic; e poi si trasferisca col pensiero in una cella che odora di sudore e di urina, in un camerone chiassoso e affumato, in un cortile assolato e senza un filo verde ove si odono solo urli disperati, per un’ora d’aria che magari si tramuta in un’ora di veleni… “Se stiamo dentro solo a marcire, non diventeremo mai persone responsabili”, ha detto un detenuto al giornalista in visita al carcere massima sicurezza “Due Palazzi” di Padova. E in queste parole, insieme di denuncia e speranza, si aggruma tutto il disastro della vita reclusa: il sovraffollamento (920 persone per 400 posti a Padova, 66mila detenuti per 47mila posti nei 206 istituti d’Italia), l’assenza di qualunque progetto di recupero, il tempo vuoto che piega corpi e menti, l’allentarsi del rapporto con le famiglie (almeno per chi su una famiglia può ancora contare), la scarsità di supporti materiali e psicologici che inducano a guardare al futuro con un minimo di speranza. Il carcere - è vero - assorbe risorse, ma un carcere che non “recupera” costa molto di più oggi e domani, e la recidiva fa il resto. Chi ha sbagliato deve pagare, è giusto e necessario, ma come puoi illuderti di non ricadere se, scontata la condanna, uscirai senza disporre di difese più forti? Non dovremmo mai dimenticarlo, ma la Costituzione (art. 27) dice che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Ebbene, qualcuno può affermare onestamente che il sistema penitenziario italiano restituisce alla società un soggetto migliore di quello che gli fu affidato, più consapevole sotto il profilo civile, più ricco dal punto di vista umano? Non si nega che talvolta una somma di circostanze favorevoli, soggettive e ambientali, produca qualche miracolo. Ma per l’appunto si tratta di miracoli. La realtà è quella denunciata per l’ennesima volta dal presidente Napolitano nell’incontro coi corpi di polizia penitenziaria: la necessità di indicare “il comune riconoscimento obiettivo della gravità e estrema urgenza della questione carceraria”. A parole tutti se ne dicono convinti, ma come è che nella sostanza non cambia mai nulla? In carcere la quotidianità è la pena peggiore: l’attesa snervante dei giudizi, il tempo vuoto che abbrutisce, il lavoro come miraggio, l’uso e l’abuso di psicofarmaci, l’astenia che logora il fisico, la perdita di speranza come afflizione aggiuntiva che nessun tribunale ha deciso. Di qui i suicidi, le rivolte, la rabbia, il rischio incombente dell’esplosione. Giustizia: rivedere reati puniti col carcere e le condizioni di affidamento, o nulla cambierà di Antonio Buttazzo www.blitzquotidiano.it, 27 giugno 2013 Come risolvere i problemi delle carceri e del sovraffollamento carcerario si sa, è un problema annoso e sempre foriero di discussioni che puntualmente e con maggiore forza si ripropone ogni estate, come se il fresco settembrino alleviasse il disagio di una popolazione detenuta costretta a vivere in strutture fatiscenti ed in condizioni inaccettabili in un paese civile. Quindi ancora una volta si è dato il via alla girandola di proposte tutte accomunate da un unico denominatore, non intervenire in maniera organica sul trattamento penitenziario, quando è indispensabile invece farlo e farlo in modo consono al dettato costituzionale oltre che in linea con gli impegni internazionali. E già, perché tra le altre cose anche la Corte Europea ha condannato l’Italia per il trattamento inumano reso ai nostri detenuti. E attenzione, poiché il provvedimento della Corte non è stata una generica ramanzina al governo ma si è tradotta in una sanzione pecuniaria che l’Italia sarà tenuta a pagare per aver costretto la popolazione carceraria a vivere in condizioni inaccettabili. Un costo economico dunque per l’Italia che dovrà quindi porre fine a questa situazione, pena un salasso economico che non possiamo permetterci. Tuttavia, ancora una volta, gli interventi proposti non appaiono risolutivi, come del resto tutti quelli che si sono succeduti in questi anni, vedi gli effetti dell’ indulto, vanificati in pochi mesi o quelli del decreto “svuota carceri” (peraltro ad efficacia transitoria) che non ha sortito i risultati sperati tanto che a distanza di pochi mesi siamo costretti a riparlare di interventi risolutivi del sovraffollamento carcerario. No, è evidente che una soluzione può essere solo strutturale, insomma mettere mano al sistema penale ed al trattamento penitenziario in maniera organica. Una casa, un lavoro, questo è necessario per un programma di affidamento ai servizi sociali meritevole di accoglimento da parte del Tribunale di Sorveglianza Quanti detenuti credete sarebbero tali se avessero casa e lavoro? Ovviamente ci riferiamo alla criminalità bagattellare, quella spicciola fatta di “pericolosi” senegalesi che spacciano paccottiglia di quattro soldi per le nostre strade ma che violano l’ordine finanziario costituito e sempre ben tutelato da leggi come quelle sul copyright, oppure piccoli pusher tossici costretti a spacciare per conto della criminalità organizzata e cosi via seguitando. Ebbene sono loro che sovraffollano le nostre carceri con buona pace degli strepiti da bar dello sport secondo cui “in galera in Italia non ci va nessuno” Ebbene è chiaro che sino a quando non si ripenserà al modo di punire la devianza, a patire le condizioni disagevoli saranno sempre i più deboli. Ed allora fermo restando un’auspicabile depenalizzazione di un gran numero di reati di non speciale rilevanza, è arrivato il momento di affrontare radicalmente il problema del trattamento sanzionatorio, permettendo al giudice di non essere vincolato nell’ infliggere la sola pena della reclusione (o quella pecuniaria ove prevista), consentendogli di applicare immediatamente una misura alternativa senza necessità di passare attraverso il Tribunale di Sorveglianza , comminando direttamente, già nella fase della cognizione, la detenzione domiciliare, almeno per alcune tipologie di reato. Una rivoluzione soprattutto culturale nel nostro panorama giudiziario, che postula uno sforzo coraggioso ed anticonformista, il che non è poco con i tempi che corrono. Esistono varie proposte in merito e vale la pena di approfondirle se davvero si vuole porre fine a questi ridicoli rattoppi estivi a dei problemi che hanno a che fare con la nostra civiltà più che con i fenomeni atmosferici. Giustizia: le carceri affollate? Colpa della legge Fini-Giovanardi di Annalisa D’Aprile Gazzetta di Reggio, 27 giugno 2013 Gli effetti “collaterali” della legge antidroga Fini-Giovanardi: un detenuto su tre è entrato in cella nel 2012 per detenzione di droga, un detenuto su 4 presenti nelle carceri italiane è tossicodipendente, quasi il 76 per cento delle segnalazioni delle forze dell’ordine alle prefetture sull’uso di sostanze stupefacenti è per cannabis, mentre diminuiscono le misure alternative al carcere e le richieste di programmi terapeutici. A dare un quadro delle “conseguenze penali e dell’impatto sul sovraffollamento delle carceri” è il IV libro bianco sulla legge del 2006. Il rapporto, presentato da Forum Antidroghe, Antigone, La società della ragione, Coordinamento comunità di accoglienza con Magistratura democratica e Unione delle camere penali, è stato consegnato ieri dal deputato di Sel Daniele Farina al presidente del Consiglio Letta, “che deve assegnare al più presto la delega per le politiche antidroga” sottolinea Franco Corleone, garante per i detenuti di Firenze. “Se non tocchiamo la Fini-Giovanardi non risolviamo il problema del sistema penitenziario italiano” ribadisce Farina che ha già presentato 3 proposte di legge: depenalizzare il consumo e ridurre l’impatto penale della Fini-Giovanardi, introdurre il reato di tortura nel codice penale, istituire un garante che provveda al rispetto della Costituzione nelle carceri. Intanto, alla vigilia della Giornata mondiale contro la droga, il libro bianco fa il punto sugli effetti della legge. A fine 2012 gli ingressi totali in carcere sono stati 63.020, di questi 20.465 (pari al 32,47 per cento) per violazione dell’articolo 73 della legge, cioè per detenzione di droga. Sempre alla fine dello scorso anno, i detenuti presenti in carcere erano 65.701, quelli rinchiusi per detenzione di stupefacenti 25.269 (pari al 38,46%), contro i 14.640 del 2006 (anno di introduzione della legge antidroga). “Le carceri italiane - spiega Corleone - sono piene al 50% di persone che hanno violato l’articolo 73, cioè sono piene di tossicodipendenti” spiega Corleone. Ma uno dei fautori della legge, Carlo Giovanardi, non ci sta e replica che il “numero dei tossicodipendenti entrati in carcere è diminuito passando dai 25.541 del 2005 ai 18.225 del 2012”. Il libro bianco in effetti riporta le stesse cifre, tuttavia sottolinea che “aumentano gli ingressi in carcere per droga in rapporto al totale”: nel 2005 gli ingressi in carcere per qualsiasi reato sono stati 89.887. Giustizia: il ministro Cancellieri insiste sull’amnistia di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 27 giugno 2013 Il governo rilancia le misure alternative al carcere, in linea con l’Europa. Il decreto-carceri varato ieri dovrebbe alleggerire le patrie galere, entro due anni, di 6mila persone, destinate non alla libertà ma a misure alternative, appunto, come detenzione domiciliare o l’affidamento in prova ai servizi sociali. Fa cadere le preclusioni nei confronti dei recidivi introdotte dalla ex Cirielli nel 2005, rilancia il lavoro, dà impulso all’ampliamento degli istituti penitenziari e punta a recuperare, nel 2016, 10mila nuovi posti letto. Misure strutturali, a cui se ne affiancheranno altre durante l’iter di conversione in legge del decreto (depenalizzazione dei reati minori, particolare tenuità del fatto) comprese quelle, già all’esame dell’aula della Camera, contenute nel ddl sulla messa alla prova e la reclusione domiciliare come pena principale per reati puniti fino a 6 anni. Un’offensiva che non si ricordava da tempo, a 360 gradi. E tuttavia non sufficiente a far rientrare un’emergenza cronica, colpevolmente trascinata negli ultimi cinque anni. “Sono ancora convinta che sarebbe necessaria un’amnistia - dice il guardasigilli Annamaria Cancellieri. Darebbe un grande aiuto. L’ultima ha liberato 15-20mila posti e un’uscita dal carcere di queste dimensioni ci consentirebbe di mettere in campo soluzioni più durature, che sono quelle che servono. Sì - ribadisce - resto convinta che l’amnistia serva, anche se noi faremo di tutto per riconquistare la nostra dignità in Europa”. Prima di lei il premier Enrico Letta aveva detto la stessa cosa: “L’Italia non può continuare ad essere accusata dagli organismi internazionali per l’incapacità di gestire dignitosamente la vita dei detenuti”. In carcere oggi i posti regolamentari sono 47mila, ma il numero è bugiardo, perché comprende posti letto tali solo sulla carta, visto che tanti padiglioni sono chiusi per ristrutturazione e in molti casi i detenuti vengono accampati in locali destinati ad altro, come la socialità. Perciò gli “esuberi” effettivi sono calcolati in 30mila. “Del resto - dice Cancellieri - è dal 1990 che l’Europa ci riprende: siamo tutti capaci di mettere i detenuti negli scantinati o in letti a castello di cinque piani, o a farli mangiare sul proprio letto accanto al bagno. Ma non sono posti che reggono davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo!”. Detto questo, il decreto non “libera” affatto delinquenti pericolosi, come puntualmente sostengono Lega, Fratelli d’Italia e in parte il M5S, ma anzi garantisce la “certezza della pena”, se per pena si intende un percorso sensato destinato al reinserimento sociale e ad abbattere la recidiva. Un percorso di misure diverse, dal carcere alla detenzione domiciliare, dai permessi premio al lavoro all’esterno: tutte modalità previste dalla legge per scontare la pena. Il pacchetto fa sì che in carcere vadano i condannati pericolosi, responsabili di reati di particolare gravità. Le misure previste incidono strutturalmente sui flussi carcerari, in entrata e in uscita, e potenziano l’offerta trattamentale ai detenuti meno pericolosi, che sono la maggior parte. Perciò sono stati cancellati alcuni automatismi e presunzioni di pericolosità che hanno portato in carcere molte persone, indiscriminatamente, impedendo loro l’accesso alle misure alternative. Con il passaggio in giudicato della sentenza, se la pena non supera i 2 anni (4 per gli over 70, donne in gravidanza, ammalati) il Pm potrà sospendere l’esecuzione della pena dando al condannato la possibilità di chiedere, dalla libertà, una misura alternativa. Anche i recidivi per piccoli reati rientrano tra i beneficiari delle misure alternative. Deciderà il Tribunale di sorveglianza. Viene poi ampliata la possibilità per il giudice di ricorrere, al momento della condanna, a una misura alternativa, come il lavoro di pubblica utilità, anche per i tossicodipendenti e per reati non legati allo spaccio. Infine si estende la possibilità di accedere a permessi premio per i recidivi e di concedere il lavoro all’esterno anche se non retribuito. Giustizia: Cancellieri; via libera al decreto carceri, ma l’amnistia sarebbe un grande aiuto di Liana Milella La Repubblica, 27 giugno 2013 Lo dice con nettezza: “In questo decreto legge non c’è niente né pro, né contro Berlusconi”. A palazzo Chigi, il Guardasigilli Anna Maria Cancellieri, difende la sua manovra sulle carceri - 6mila detenuti in meno in due anni grazie a più domiciliari, lavoro esterno, permessi premio - da chi ci vede regali o possibili danni per il Cavaliere. Il suo, per come lo racconta, è solo un intervento col bilancino per ridurre di qualche migliaio l’esorbitante popolazione carceraria, i famosi 66mila detenuti in luogo di 47mila. Ma in tempi di processi e di sentenze pesanti contro l’ex premier, se ci si occupa di misure alternative, e per giunta si pronuncia anche la magica parola “amnistia “ per due volte nel giro di una sola settimana, le valutazioni dietrologiche sono praticamente obbligatorie. Soprattutto se, come non bastasse, il Cavaliere potrebbe anche perdere anzi tempo la protezione e le guarentigie di parlamentare per via della battaglia sulla sua ineleggibilità, che ieri ha mosso in primi passi al Senato. “Sono ancora convinta della necessità dell’amnistia” dice Cancellieri. Per chi non avesse capito insiste: “Darebbe un grande aiuto”. Spiega che solo con un taglio drastico dei detenuti si possono rimettere in sesto le carceri ed evitare la mannaia di una definitiva condanna della Corte di Strasburgo tra un anno. Tutto qui? Solo una valutazione tecnica, oppure Cancellieri sta costruendo un tassello di un più ampio salvacondotto per Berlusconi? Dietro le sue parole, a parte i Radicali da sempre favorevoli, si sta coagulando un fronte trasversale pronto a votare in Parlamento per il gesto di clemenza? Dallo staff del ministro arriva un’interpretazione minimalista, quando parla di amnistia Cancellieri esprime solo una valutazione tecnica, dice un fatto oggettivo, non ha in mente Berlusconi. Semmai mette in guardia il Paese dai rischi che derivano da una situazione fisicamente esplosiva. Lei - da prefetto prima e da ministro dell’Interno poi - calibra il pericolo di possibili rivolte da un lato, e di un’Europa che ci sanziona definitivamente. Dunque non esisterebbe un asse Cancellieri-Napolitano, cui il ministro è notoriamente legato, per mettere in sicurezza il Cavaliere. Chi ne ha parlato con lei lo esclude con nettezza. Eppure l’amnistia sarebbe una panacea, se davvero arrivasse in tempo, per anestetizzare le condanne. La stessa trattativa per condurla in porto oscurerebbe qualsiasi altro tentativo per liberarsi di Berlusconi, come nel caso dell’ineleggibilità. Una partita cominciata appena ieri, con grandi incognite e possibili colpi di scena, sicuramente destinata a spaccare malamente il Pd. La giunta per le autorizzazioni del Senato, presieduta dal vendoliano Dario Stefano, ha cominciato il suo lavoro in sordina. Ecco i dieci ricorsi provenienti dal Molise per far decadere Berlusconi. Ce ne sono anche per altri senatori, solo 11 Regioni risultano indenni. Parte la procedura che garantisce casualità tra il relatore e le Regioni. Gli accoppiamenti vengono fatti tenendo conto dell’ordine alfabetico per le Regioni e dell’anzianità per i senatori. Il caso Berlusconi finisce nelle mani di Andrea Augello, ex An, ora Pdl, ma con fama di uno che del Cavaliere non parla affatto bene. La suspense è d’obbligo. Se la commissione dovesse votare positivamente la relazione di Augello, sia che egli valuti o non valuti eleggibile l’ex premier, se ci fosse piena concordanza, il caso andrebbe subito in aula per il responso finale e i tempi potrebbe anche essere stretti. All’opposto, in caso di discordanza, verrebbe nominato un nuovo relatore e il comitato inquirente, al cui vertice ieri è stata nominata la Pd Stefania Pezzopane, procederebbe agli ulteriori accertamenti. Ma è evidente che, su una procedura così complessa, peserebbe il contemporaneo dibattito sull’amnistia. Giustizia: passa il decreto sfolla-carceri, la Cancellieri ora chiede l’amnistia di Francesco Grignetti La Stampa, 27 giugno 2013 Alla fine il decreto “sfolla carceri” c’è. Nulla di rivoluzionario, come annunciato. Secondo le previsioni del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, che invece spera in una classica amnistia per risolvere il problema del sovraffollamento, nel giro di due anni dovrebbero esserci 6000 detenuti in meno nelle celle, ma non a spasso quanto ai domiciliari o in comunità terapeutiche, oppure, nei casi di reati davvero minimi, sottoposti a programmi di lavori socialmente utili. “Non so - ha detto il ministro, piccata per le polemiche preventive - sulla base di cosa i giornali hanno scritto che il decreto farà uscire i mafiosi dal carcere e che le strade si riempiranno di delinquenti: non è così, non è un provvedimento “svuota carceri” in senso classico. Non prevede alcun tipo di vantaggio per chi ha compiuto reati gravi come per esempio i maltrattamenti nei confronti dei minori”. Eppure sono girati veleni. C’è chi ha azzardato che tra le righe del decreto ci fosse qualche leggina ad personam che potesse servire al Cavaliere. “Il testo non è a favore né contro qualcuno”, dice la Cancellieri. E per essere ancor più chiara: “Non c’è assolutamente nulla che riguardi Berlusconi”. Con la Cancellieri, ieri, a illustrare il decreto c’era anche Enrico Letta: “È una risposta alle accuse che da tutti gli organi internazionali piovono sull’Italia per l’incapacità di gestire in maniera dignitosa la situazione delle carceri ed è una risposta di dignità”. Come annunciato, il decreto è composto da tanti piccoli ritocchi che permetteranno di eliminare una serie di rigidità accumulatesi nel tempo (vedi l’obbligo di carcerazione per i recidivi, o per determinati reati tipo l’incendio boschivo, o per i clandestini). Sono norme che sostanzialmente evitano il primo ingresso in carcere (quando la pena residua da espiare sia fino a 3 anni), favoriscono gli ingressi in comunità antidroga e l’avvio dei detenuti ai lavori socialmente utili. “Il provvedimento - ribadirà la Cancellieri - non riguarda mafiosi o trafficanti di droga. Non usciranno delinquenti di spessore”. Lo spostamento di 6000 detenuti dalla cella ai domiciliari, però, se visto con gli occhi della polizia penitenziaria, è ancora troppo poco. “C’è il serio rischio che si riveli ben poca cosa”, sostiene il sindacato autonomo Sappe, che invoca l’amnistia. Al contrario, per chi, come i poliziotti, dovrà vigilare sui domiciliari, sono già troppi quelli in uscita. “Con il decreto saliranno a 17.000 i detenuti che sconteranno la pena a casa: 11.000 quelli che hanno usufruito dello “svuota carceri” dello scorso anno e 6.000 i nuovi soggetti. Le cifre mostrano da sole l’aggravio per le forze dell’ordine “, replica l’associazione funzionari di Polizia. La coperta degli agenti è in ogni caso troppo corta. Ma il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, assicura che sono “maldicenze giornalistiche le voci che ci sarebbero state delle incomprensioni tra me e il ministro Cancellieri che è persona molto seria”. Giustizia: Cancellieri; amnistia è imperativo categorico morale, per questo dobbiamo farla Agi, 27 giugno 2013 L’amnistia “è un diritto imperativo categorico morale, questo è il vero motivo per cui dobbiamo farlo. Credo fermamente che dobbiamo rispettare veramente la Costituzione”, e “comunque abbiamo una scadenza oggettiva a cui dobbiamo orientarci”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, nel corso di una intervista questa sera al Tg La7. La scadenza oggettiva di cui parla è quella della prossima primavera, nel 2014, “dobbiamo andare davanti alla Corte europea a raccontare cosa abbiamo fatto. Sono 30 anni che loro ci richiamano”. Il ministro ha aggiunto “la sentenza Torreggiani ci ha distrutto, perchè ogni detenuto potrà farci causa e a ogni detenuto dovremo pagare i conti”. Ma al di là di questo, c’è appunto che “tutto questo dobbiamo farlo perchè è un diritto imperativo categorico morale”. A proposito delle paure che un provvedimento del genere potrebbe indurre nella collettività, Cancellieri ha sottolineato che “molto contano le paure delle persone, la gente ha paura per tanti motivi, giustamente anche per esperienze fatte o anche per un certo tipo di comunicazione che magari sollecita la paura più che la serenità. E quindi - ha detto ancora in proposito - bisogna parlare in maniera chiara e netta, rassicurare con fatti concreti, perchè ai fatti devono corrispondere sempre delle cose che diano sicurezza alla gente. Non è che si tira fuori solo la gente dalle carceri, non è che si segue solo l’imperativo categorico morale di essere un Paese civile ma occorre poi che le forze dell’ordine siano sul territorio e che diano risposte adeguate”. E inoltre l’amnistia riguarda - quando e se ci sarà - “solo detenuti in carcere che possono essere avviati a misure alternative”. Più in generale, poi, parlando del decreto legge varato oggi dal Consiglio dei ministri e che dovrà passare al vaglio del Parlamento - “che è sempre sovrano”, Cancellieri ha ribadito che “è un provvedimento che non rimette in libertà le persone”, mentre “è un provvedimento che o non le fa entrare o comunque le avvia ai domiciliari, dunque le persone sono comunque ristrette ai domiciliari nelle loro case, oppure vengono avviate al lavoro”. Quanto al personale in più che servirebbe per verificare le persone ai domiciliari, il ministro ha riconosciuto che “è un problema che dovremo affrontare”, aggiungendo “credo che dovremo affrontare tutto il problema della polizia penitenziaria che ha bisogno di un’attenzione particolare, io a loro voglio dedicarmi molto”. Però questo provvedimento “dà delle risposte anche di civiltà, perchè consentirà soprattutto il lavoro. Questo decreto prevede la possibilità per i carcerati di uscire fuori e andare a lavorare e in alcuni casi rientrare la sera in carcere oppure andare a lavorare e poi rientrare a casa propria”. Si parla di “lavori socialmente utili, lavori che gli italiani per lo più non vogliono fare, lavori che si fanno presso i Comuni, di pulizia, giardinaggio. Comunque sono lavori che consentono al carcerato di recuperare una propria identità”. Cancellieri ha ricordato che “il carcerato che lavora, ha l’80-90% in meno di recidiva. Dare al carcerato la possibilità di realizzarsi nel lavoro significa farne un uomo libero quando esce, la Costituzione lo dice chiaro sulla funzione rieducativa ma noi siamo molto carenti”. Giustizia: Rita Bernardini (Radicali); sì all’amnistia, ma il sistema processuale va rivisto Il Tempo, 27 giugno 2013 La radicale Rita Bernardini: “Ok aver smantellato la ex Cirielli, ma i procedimenti durano troppo col rischio prescrizione”. Che giudizio dà del decreto? Lo reputa sufficiente ad affrontare l’emergenza carceri? “È la stessa ministra a dire che il decreto non è sufficiente e a dichiarare che ci vorrebbe l’amnistia. Detto questo, è la prima ministra che mette mano a una delle tre leggi più “cancerogene” in vigore, la ex-Cirielli che non ha più consentito l’accesso alle pene alternative e ai benefici di chi è recidivo. Lo ha fatto anche per rispondere alla tanto sbandierata (da parte dei forcaioli) sicurezza, perché è dimostrato che chi sconta l’intera pena ha una recidiva superiore all’80%, mentre chi accede alle misure o pene alternative riduce il tornare a delinquere in maniera drastica”. E d’accordo con il ministro Cancellieri che considera l’amnistia “un grosso aiuto”? “Certo. È la nostra battaglia di sempre. Mi permetto però di dire alla Cancellieri - il primo guardasigilli che ha una vera capacità di ascolto - che l’amnistia incide soprattutto sulla montagna insormontabile del contenzioso penale, montagna che anziché ridursi cresce paurosamente ogni anno. In Italia abbiamo 5,3 milioni di procedimenti pendenti: il sistema giudiziario non riuscendo a smaltire l’arretrato non affronta adeguatamente il contenzioso recente che si forma e, al ritmo di 160.000 all’anno, i processi cadono in prescrizione. Per l’irragionevole durata dei processi penali e civili noi siamo primi in Europa per condanne ricevute”. Cosa la convince di più del decreto e cosa meno? C’è qualcosa che non è stato fatto? “Quel che c’è di buono l’ho detto: l’aver smantellato la ex-Cirielli. Considero negativo la pressoché totale esclusione dai benefici dei detenuti sottoposti al regime del 4-bis dell’ordinamento penitenziario: qualche apertura va fatta in vista di un futuro reinserimento sociale. Poi occorre intervenire urgentemente sulle altre due leggi: la Bossi-Fini sull’immigrazione e la Fini-Giovanardi sulla droga. Un armamentario completo di proposte di legge lo abbiamo depositato nella scorsa legislatura quando noi radicali eravamo in Parlamento. Oggi che non ci siamo più, dobbiamo dire grazie al senatore Lucio Barani e all’onorevole Sandro Gozi che le hanno ridepositate tutte come primi firmatari”. Come giudica l’adesione del Pdl ai vostri quesiti referendari sulla Giustizia e la decisione di sostenerli? “Pensando ai referendum del 2000 e scherzandoci un po’ su potrei dire “vedere cammello”. Raccogliere 500.000 firme autenticate e certificate in piena estate non è impresa facile e per questo mi auguro che, al di là della dichiarazioni che ho molto apprezzato, il sostegno divenga concreto da subito. Anche singoli esponenti del Pd hanno deciso di sostenere i referendum radicali. Se ci sarà dibattito, confronto e informazione, ce la faremo sia sui 12 referendum (ci sono anche quelli contro il finanziamento pubblico dei partiti e sulle libertà civili) sia sull’amnistia”. Giustizia: Gloria Manzelli (Direttore S. Vittore); decreto sacrosanto, usciranno i poveracci di Stella Pende Panorama, 27 giugno 2013 Le celle di San Vittore scoppiano di detenuti, anche ottantenni. Gloria Manzelli da 9 anni dirige la struttura e commenta: “Questa è la mecca dell’emarginazione e dell’emergenza sociale”. Chissà perché gli ultimi due direttori di San Vittore vengono da città di mare. Forse perché soltanto chi da bambino si è riempito gli occhi di orizzonti infiniti di libertà può sopportare anni di prigionia in una follia di carcere com’è oggi quello che sorge nel cuore di Milano. Perché l’attuale direttore Gloria Manzelli, da Rimini, come il suo predecessore Luigi Pagano, da Napoli, sono in qualche modo i primi detenuti di quelle mura, di quell’inferno che hanno dovuto imparare ad amare e a domare. Manzelli è donna altissima e pacata. Come stare davanti a un vaso dell’800 che nasconde un’eroina alla Blade Runner. “Qui sono entrata tremando” racconta. “Poi ogni giorno capisci che questo carcere è un reality dove ogni sentimento, ogni orrore, ogni assurdità ti fa vivere cento vite”. Nella sua prima vita Manzelli era approdata a San Vittore nel 1991, come braccio destro di Pagano, poi ha diretto la prigione di Lodi e ancora quella di Brescia, fino a salire sulla plancia di comandante della casa circondariale milanese di via Filangieri. “Un mestiere da uomo? Ma se ormai siamo quasi tutte donne” scherza. “Compresa la mia amica Lucia Castellano, a Bollate. Giacinto Siciliano resiste ancora a Opera...”. Ma subito la direttrice torna a quell’Alien che prolifera da anni nelle carceri e che le divora: il sovraffollamento. L’Italia conta circa 67 mila detenuti, mentre la capacità delle nostre prigioni arriva al massimo a 45 mila. Carceri come furie di corpi e di dolore, ha detto il presidente Giorgio Napolitano in una recente visita. Tanto che è arrivato al varo l’atteso decreto “svuota-carceri”. Decreto peraltro assai discusso: permetterà a chi abbia pene inferiori ai 4 anni l’affidamento in prova ai servizi sociali. Lei che cosa pensa del decreto “svuota-carceri”, dottoressa Manzelli? Andiamo per ordine. Intanto il nome: il termine svuota-carceri è fuorviante. Pare l’annuncio funebre per lo svuotamento di una discarica umana. Il messaggio che arriva è: cari italiani, metteremo in libertà qualunque mascalzone e via. Io credo invece che ciò che il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri voglia fare abbia contenuti molto diversi. Niente accadrà per chi ha condanne per delitti gravi: terrorismo, mafia, traffico di droga, violenza sessuale di gruppo. Niente per tutti i delinquenti abituali e professionali, insomma. Partiamo dai tossicodipendenti. Il decreto dice che soltanto quelli che non hanno a che fare con reati strettamente legati alla droga, quindi con lo spaccio, potranno fare lavori socialmente utili. In piena libertà dunque. Che ne dice? Ne dico benissimo. Per il tossicodipendente, e non parlo dello spacciatore, il carcere è una iattura inutile. Ma attenzione: per questi giovani il carcere non andrebbe nemmeno sfiorato, né respirato. Trasferimento immediato in case e comunità pronte ad accoglierli. Ma quante strutture adatte possiede l’Italia? Allora creiamole. Investiamo in prevenzione nelle scuole, prepariamo e curiamo i ragazzi a rischio prima, e lavoriamo con chi cade dopo. Il carcere in questi casi è solo un’aggravante. Ma c’è di più: anche i detenuti che devono scontare gli ultimi 4 anni potranno chiedere l’affidamento ai servizi e uscire prima. Non sarà troppo? Io credo che alla fine sarà il giudice a decidere caso per caso. Noi non arrestiamo replicanti, ma uomini e donne. Con storie e reati diversi. A rischio di essere tacciata come un’infrangibile utopista, credo che bisognerebbe cominciare a selezionare le ipotesi davvero meritevoli di carcere. Però su questo siamo ancora lontani. Bisognerebbe cominciare a rivedere il Codice penale, vuole dire? Voglio dire che, sì, dobbiamo trovare il coraggio e l’intelligenza di depenalizzare molti reati. Ormai il ricorso al carcere diventa inflazione. Da anni lottiamo per trovare soluzioni alternative all’affollamento che mina la salute e la civiltà di San Vittore. Peccato che ogni giorno salti fuori un reato neonato. Per esempio? Uno per tutti? L’arresto per i giornalisti: uno può simpatizzare o indignarsi con Alessandro Sallusti, ma imporgli la prigione no. È troppo. Che paghi una multa salata, se proprio deve. Ma non lo si può mischiare a ladri e rapinatori. E non parliamo poi delle tonnellate di piccoli reati figli della crisi: furti e miriadi di minimi reati patrimoniali. Ladri di biciclette alla De Sica. Con un’aggravante per gli anziani. Quanti vecchi oltre gli 80 anni, e col pannolone, ci arrivano, proprio d’estate. I figli in vacanza, la rete del condominio che crolla, e loro rubano il melone al supermercato. Per non parlare del dolore e della solitudine che si respira nel reparto psichiatrico, che qui gestiamo e che richiede decine di turnover. Mi creda, ormai San Vittore è diventato una sorta di mecca dell’emarginazione e dell’emergenza sociale. Nel decreto si parta di pene “scalate” agli ultrasettantenni che devono scontare ancora 4 anni. Ci sono giornali, come il “Fatto quotidiano”, che sostengono che questo potrebbe avvantaggiare Silvio Berlusconi… Non mi pare che il Fatto sia stato una Cassandra così lungimirante. In ogni caso non è umano, anzi è terribile e crudele che i vecchi rimangano in carcere. Lasciando per un attimo da parte il decreto. Come si è comportato a San Vittore Fabrizio Corona? Questo è un carcere di passaggio. Ecco, diciamo che nel passaggio non ha dato prova di grande saldezza di nervi. Poveretto, era davvero esasperato. Lele Mora è parso più mansueto. Racconti qualcosa della visita del presidente Napolitano, lo scorso febbraio… L’ho voluto portare nel terzo raggio: l’inferno delle gabbie, dove centinaia di esseri umani vivono umiliati e disperati. Siamo entrati dentro le gabbie. Era commosso e arrabbiato insieme. Credo che anche lui abbia capito che l’uomo del delitto non è più quello della pena. Che si può cambiare, capire. Comunque il suo gesto è stato l’abbraccio più potente e più importante per tutti noi. Torniamo al decreto: ha ricevuto critiche anche nel capitolo sulla violenza domestica. Prevede che il questore, senza denuncia, possa solo ammonire lo stalker e togliergli la patente. E le vittime? La violenza feroce di ogni giorno ferisce troppo questo Paese e il nostro cuore. Ma io dico: invece di disperarci sul sangue versato, perché non capire finalmente che per fermare la strage delle donne bisogna anche ascoltare l’altra parte”, e cioè gli uomini? Da anni abbiamo qui un servizio d’ascolto per chi ha fatto maltrattamenti. Anche gli uomini chiedono aiuto, mi creda. Vorrebbero parlare, confessarsi, liberarsi della rabbia. Ma non sanno dove e come. Il professor Claudio Giulini ha fatto un grande lavoro qui dentro. Purtroppo quelli come lui sono ancora pochi. Certo, devo dire che la solitudine che mi fa sentire davvero impotente è quella degli extracomunitari. È vero che avete toccato il 63 per cento dei detenuti stranieri? Certo che sì. E anche se i reati sono lievi, anche se i giudici spesso vorrebbero aiutarli, si trovano senza soluzioni perché il 95 per cento di questa gente non ha né case né famiglie che permetterebbero arresti domiciliari. Molti di loro sono al primo arresto. Dunque dobbiamo curare l’accoglienza, prevenire gesti terribili. Pensi che nell’arco del 2012 abbiamo avuto 7 mila entrate. In compenso, liberi dalla legge Bossi-Fini, ecco 1.000 ingressi in meno all’anno. Lei non è sposata e non ha figli. La sua vita l’ha consegnata a San Vittore. È giusto? Sì, è giusto. Non fai il direttore di un carcere. Lo sei. A qualunque ora: di notte, di giorno. E se ti allontani anche per pochissimo trovi sempre una qualche rivoluzione. Perché il carcere è sempre in movimento. Ore di calma e poi arriva l’onda anomala che ti travolge. Come il mare. Giustizia: Tamburino (Dap); decreto-carceri è risposta all’Ue, perchè è misura strutturale Adnkronos, 27 giugno 2013 “Questa è la risposta all’Europa. L’Ue non ci chiede un fuoco di paglia ma un insieme di soluzioni strutturali”. Giovanni Tamburino, Capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap) commenta così il decreto legge approvato oggi in Consiglio dei ministri per risolvere i problemi penitenziari. “Questo insieme di misure strutturali - spiega - va completandosi con cautela, ma anche con la decisa volontà di arrivare a ridurre finalmente il sovraffollamento carcerario”. Per il numero uno del Dap, oggi è stato fatto “un passo prudente e attento nella direzione di una maggiore ampiezza delle alternative al carcere. Un pacchetto di misure - rimarca Tamburino - che si rivolgono soprattutto alla discrezionalità del magistrato affinché, cadute alcune rigide preclusioni, sappia gestire le alternative alla detenzione in carcere”. “Siamo sulla strada giusta - ribadisce il Capo del Dap - anche se è solo uno dei passi che si devono compiere, a cominciare dall’esigenza di completare l’ammodernamento delle strutture penitenziarie”. “Occorre quella innovazione nel modo di gestione del detenuto - prosegue Tamburino - che possa dare la massima sicurezza alla società. Un risultato che si ottiene spingendo il detenuto verso il lavoro e l’assunzione di responsabilità, valorizzando il tempo della pena con la formazione e lo studio, per un pieno reinserimento sociale”. “Le misure varate dal Cdm - conclude - vanno a completare un quadro che, grazie agli interventi del Parlamento - prima nel 2010 e poi nel 2012 - ha portato già a una diminuzione di circa 3.000 detenuti. Questi interventi dovranno alimentare la tendenza alla flessione, che dovrà essere costante”. Ferranti (Pd): bene Dl, è complementare alla messa alla prova “Bene il Dl Cancellieri sulle carceri, è complementare al lavoro fatto dalla Commissione giustizia della Camera”. Così Donatella Ferranti, presidente della Commissione giustizia della Camera, commenta il Decreto legge approvato nel Consiglio dei ministri di stamane. “Più volte - aggiunge - ho ribadito che il gravissimo problema del sovraffollamento carcerario si risolve con riforme di sistema che possono essere effettuate solo attraverso una sinergia tra Parlamento e Governo. Il provvedimento governativo adottato è in linea con la legge sulle pene detentive non carcerarie e sulla sospensione del procedimento con messa alla prova per reati di non particolare allarme sociale, che è in discussione proprio in queste ore in Aula. Occorre evitare, infatti, in sede di esecuzione della pena il fenomeno delle porte girevoli. Inoltre, con l’abolizione degli automatismi della ex Cirielli si consente ai condannati, ritenuti dall’autorità giudiziaria meritevoli, di poter usufruire dei benefici penitenziari. Questo da un lato alleggerisce l’affollamento carcerario e il gravoso lavoro del personale penitenziario, dall’altro abbassa il tasso di recidiva e di influenzamento criminale all’interno degli istituti penitenziari. Gli interventi del legislatore si stanno muovendo nell’ottica di favorire, con riforme di sistema, l’adozione di efficaci meccanismi di decarcerizzazione in relazione a persone considerate di non elevata pericolosità, al fine di assicurare il principio del carcere come extrema ratio e della funzione rieducativa della pena garantendo al contempo la tutela della vittima del reato e la sicurezza della collettività”. Leva e Favi (Pd): sì al Decreto legge sulle carceri della Cancellieri Dichiarazione congiunta di Sandro Favi, Responsabile nazionale carceri del Pd e Danilo Leva, Presidente forum giustizia Pd. “Il Decreto Legge Cancellieri, che non è un’amnistia mascherata e nemmeno un provvedimento svuota carceri, affianca il lavoro positivo intrapreso dalla Commissione giustizia della Camera per affrontare e risolvere la drammatica situazione delle nostre carceri. Occorreranno altri interventi legislativi quali, ad esempio, una nuova disciplina della custodia cautelare, gli adeguamenti delle strutture e del personale nel settore delle misure alternative alla detenzione, lo sblocco del turnover per la polizia penitenziaria. Il Pd non consentirà che a questo nuovo approccio ai temi della pena e del carcere si possa rispondere con ipotesi e soluzioni del passato che hanno solo prodotto effetti nefasti e devastanti”. Giustizia: Sarno (Uil-Pa), il decreto-carceri non risolverà l’emergenza e vi spiego perché di Nadia Francalacci Panorama, 27 giugno 2013 “Su un punto occorre essere chiari e responsabili: il decreto-carceri non può essere rubricato tra gli atti risolutivi di quella emergenza”. Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari, non crede che il decreto possa essere sufficiente per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri e delle condizioni in cui si trovano i detenuti e le stesse strutture penitenziarie, spesso vecchie e fatiscenti. La situazione all’interno delle carceri italiane è davvero drammatica. Al 31 maggio 2013 i detenuti presenti per una capienza pari a 43.278 posti, erano 65.886 di cui 2897 donne e 23265 stranieri. I detenuti privi di sentenza definitiva 24.342. Alla mezzanotte di oggi, ad esempio, nel carcere di Bari a fronte di una capienza prevista di 292 vi erano 449 detenuti. In quello Bologna invece di 497 ce ne sono 920; a Cagliari 518 detenuti invece di 324; a Sollicciano, 985 persone in una struttura che dovrebbe ospitarne la metà:497. A Genova Marassi stessa situazione: 804 detenuti per 456 posti letto; a Lecce un carcere per 659 detenuti è stato affollato con 1167 persone; San Vittore, Milano, 1.704 anziché 712; a Napoli, 2.768 invece di 1.679; Padova, 916 carcerati invece di 439;a Torino, 1.560 in uno spazio che avrebbe dovuto ospitarne 1.092. Dottor Sarno, secondo la Uil-Pa in questi ultimi anni non vi è stata una legislazione appropriata per cercare di risolvere o quanto meno arginare il problema delle carceri… “Purtroppo per troppi anni l’attenzione al carcere, ai suoi drammi ed alle sue criticità, è stata regolata da un pendolo emotivo che non sempre ha consentito di legiferare con logica efficiente. Troppo spesso più che a risolvere le gravi questioni che affliggono il sistema penitenziario, con norme specifiche ed utili, si è pensato alla pancia dell’elettorato in nome di un equivocato allarme sociale. Ben vengano , quindi, i necessari correttivi alla Cirielli”. E vi siete dimostrati molto favorevoli anche alla messa in prova per i detenuti… “Ottima, possiamo definirla, l’eventuale estensione della messa in prova anche per detenuti adulti e quant’altro prevede il decreto. Ma perché l’Italia sia al riparo dalle condanne comminate dalla Cedu per il trattamento inumano e degradante serve ben altro e molto di più”. Ad esempio? “Per quanto ci riguarda, dall’alto della nostra conoscenza e della nostra competenza, non possiamo non ribadire che, in attesa dell’auspicata riforma complessiva del sistema Giustizia, l’unica soluzione che consentirebbe di far rientrare nei parametri di legalità il sistema carcere è un provvedimento di indulto e amnistia. Le circa 24mila presenze in esubero rispetto ai posti effettivamente disponibili (43mila) determinano condizioni di inciviltà detentiva non consone ad un Paese civile” . La Uil-pa ha denunciato più volte, negli ultimi anni, l’impossibilità o comunque la difficoltà di effettuare le cure sanitarie a ciascun detenuto… “Sì certo e continueremo a farlo. È sotto gli occhi di tutti che il moltiplicarsi di malattie infettive, il grave e preoccupante fenomeno dei suicidi, nonostante vi sia un trend in calo, i numerosi decessi per cause naturali, l’impossibilità di articolare percorsi riabilitativi attraverso attività socio-pedagogiche e non ultima la mancanza di spazi, determina quelle condizioni di inciviltà ed inumanità sanzionate dalla Cedu che non permetto nodi garantire cure sanitarie efficienti”. Quale potrebbe essere secondo lei, un altro modo per cercare di “alleggerire” le carceri? “Ad esempio, una più attenta e puntuale osservanza della norma che prevede le espulsioni sia in fase di patteggiamento che quale misura alternativa alla detenzione. Norma già esistente ma poco applicata, nonostante le notevoli potenzialità deflattive del sovraffollamento carcerario che potrebbe produrre”. Parliamo degli agenti penitenziari. Le carceri scoppiano ma la polizia penitenziaria è costantemente sotto organico nonostante un decreto di 13 anni fa che prevedeva un’implementazione dei oltre 7 mila persone… “Nel 2000 furono decretate le piante organiche della polizia penitenziaria che prevedevano una dotazione di 45121 unità . Nel 2001 con circa 48mila detenuti presenti erano operative circa 42muila unità. Oggi con circa 67mila, e diverse nuove strutture nel frattempo aperte, le unità di polizia penitenziaria in servizio non superano le 38mila. Non credo serva aggiungere altro” Quanto guadagna mediamente un agente penitenziario? “Ovviamente dipende dal grado ma mediamente 1.250 euro al mese. Dopo 35 anni di servizio arriva a prendere 1.600 euro” Considerando che siete sotto organico, quanto vi pagano un’ora di straordinario? “ Al lordo, 11 euro. Ma siccome non ci sono soldi, sono anni che gli straordinari ci vengono pagati utilizzando i finanziamenti previsti per il nostro contratto collettivo” Siamo in estate, parliamo di ferie. Quanti giorni di ferie annui spettano a ciascun agente? “Bisogna sempre considerare il grado ma variano dai 30 ai 45 giorni. Purtroppo da oltre un decennio è difficilissimo fare le ferie ed in particolare durante il periodo estivo. Ci sono migliaia di agenti che hanno ancora ferie arretrate di 2 o addirittura 3 anni. Durante l’estate non è possibile, per gli operatori penitenziari, poter usufruire di 15 giorni di ferie consecutivi ma al massimo si può arrivare a 10 giornate”. Giustizia: Cancellieri; le richieste dell’Unione europea? stiamo lavorando e le esaudiremo Dire, 27 giugno 2013 Il ministro Cancellieri, che ieri aveva detto che l’amnistia potrebbe servire, ha ribadito a Prima di tutto, su Rai Radio 1 che “l’amnistia è una scelta politica, solo il Parlamento può decidere e io non so se in questo momento c’è il clima giusto, ma la mia dichiarazione si basa su un dato meramente numerico: abbiamo 20mila, forse anche 30mila detenuti di troppo e certo con un provvedimento di clemenza si avrebbe un alleggerimento molto utile”. “Ma - assicura il ministro - per il maggio 2014 (data per cui l’Europa ci chiede di metterci in regola sul numero dei detenuti e sulle condizioni detentive) ce la faremo, stiamo lavorando intensamente. Intanto prevediamo che il nostro provvedimento di ieri in due anni impedisca l’accesso o faciliti l’uscita di 6.000 detenuti, è il massimo che per ora siamo riusciti a raggiungere”. Vietti (Csm): provvedimento positivo ma di respiro corto senza riforma “Lo vedo come un provvedimento positivo. Dobbiamo ricordare che se provvedimenti deflattivi della popolazione carceraria vanno nella giusta direzione bisogna però porci il problema di misure strutturali che evitino il riprodursi delle stesse difficoltà nel giro di qualche mese. Non basta mettere fuori un po’ di detenuti. Se non si ripensa ad un sistema di pene alternative al carcere ho paura che qualunque intervento deflattivo abbia il respiro conto. Lo ha detto il vicepresidente del Csm Michele Vietti commentando il provvedimento sulle carceri approvato ieri in Consiglio dei Ministri in occasione di un convegno Unioncamere. “Bisogna ripensare radicalmente il sistema della pena in questo Paese che è un sistema totalmente carcerocentrico - ha aggiunto Vietti. Noi per qualunque criticità socioeconomica minacciamo il carcere per tutti. Questo produce da un lato l’ingolfamento del processo, dall’altro l’ineffettività della pena e la trasformazione del carcere in un rifugio per disadattati più che per veri delinquenti”. Sull’ipotesi amnistia paventata dal ministro dell Giustizia Cancellieri, Vietti ha sottolineato come tale provvedimento sia “di competenza parlamentare e richieda maggioranze molto ampie che non so se in questo contesto politico-parlamentare siano possibili, comunque attendiamo l’iniziativa parlamentare”. Marazziti (Sc): amnistia sia priorità del Parlamento “Amnistia e dignità umana nelle Carceri devono essere priorità di questo Parlamento: è giusto ascoltare Marco Pannella in commissione di Vigilanza Rai, cosa che proporrò oggi stesso all’ufficio di presidenza”. Lo dichiara in una nota il deputato di Scelta Civica Mario Marazziti, componente della commissione di Vigilanza Rai. “La Rai - sottolinea Marazziti - può esercitare al meglio il suo ruolo di servizio pubblico aumentando la consapevolezza del paese su un terreno dove è in gioco una soglia più alta di democrazia e civiltà. Ho sostenuto il decreto predisposto dal governo e dal ministro Cancellieri sulla messa alla prova e sulle misure alternative. C’è urgenza di mettere mano all’intero percorso, ormai malato, della giustizia e delle sue pene carcerocentriche, che mancano il loro obiettivo e che hanno ormai messo fuorilegge l’Italia. Ma, assieme alla revisione di leggi come la Fini-Giovanardi e la ex-Cirielli, il Parlamento deve mettere mano anche a una legge sull’amnistia e sull’indulto: aiuterebbe le procure a ritrovare efficienza e rapidità per riportare a un livello fisiologico l’attuale sovraffollamento delle Carceri e per togliere all’Italia, patria di Beccaria e Carnelutti, il marchio infamante di paese illegale”. Giustizia: Inmp; l’80% dei detenuti stranieri ignorano propri diritti di salute Adnkronos, 27 giugno 2013 Otto detenuti stranieri su dieci non conoscono, sostanzialmente, i loro diritti di salute in carcere. Ma anche gli italiani hanno qualche difficoltà, considerando che l’intera popolazione carceraria ha informazioni sulla riforma della sanità penitenziaria solo nel 60% dei casi. Mentre meno di un terzo degli operatori di polizia penitenziaria conosce i contenuti delle novità in tema di assistenza sanitaria in carcere. Sono alcuni risultati, presentati questa mattina a Roma, del progetto ‘Salute senza barrierè, realizzato dall’Istituto nazionale per Salute migrazione e Povertà e dal ministero della Salute su proposta del ministero degli Interni. Un’iniziativa nata proprio per promuovere tra i detenuti stranieri la consapevolezza del diritto alla tutela della salute e la conoscenza del funzionamento dei servizi sanitari in carcere. Il progetto - partito il 30 maggio 2012 e in chiusura il 29 giugno - ha interessato 12 carceri italiane a Nord, Centro e Sud e ha coinvolto anche gli operatori sanitari e socio sanitari, gli agenti penitenziari e la dirigenza con diversi tipi di intervento: dai seminari informativi ai corsi di formazione a distanza fino ad una ricerca. “Il progetto - ha spiegato all’Adnkronos Salute Gianfranco Costanzo dell’Inmp, coordinatore del progetto - ci ha permesso di verificare lo stato di attuazione della riforma sanitaria delle carceri e fare informazione ai detenuti, formazione degli operatori sanitari e coinvolgere i direttori dei carceri e i comandanti della polizia penitenziaria. È stato possibile anche svolgere una ricerca sulla percezione della riforma da parte dei diverse componenti della realtà carceraria”. I risultati hanno dimostrato “una bassa percezione dei propri diritti da parte dei detenuti stranieri”, continua Costanzo. “Sono emerse le necessità di poter meglio coordinare il mondo sanitario che ha in carico la salute dei detenuti (e che oggi sta nelle Asl, in attuazione della riforma che ha trasferito le competenze dal Dap al Ssn) con le necessità che sono proprie del sistema detentivo, e quindi della sicurezza della società e delle persone. Serve far combaciare insieme il requisito di sicurezza con quello di tutela della salute, un traguardo a cui ancora non siamo arrivati”. Il progetto si è basato su 3 pilastri: informazione, realizzata attraverso 12 seminari in istituti di pena (Milano Opera, Torino Lorusso e Cutugno, Bologna, Padova, Firenze Sollicciano, Roma Rebibbia, Teramo, Santa Maria Capua Vetere, Catanzaro, Bari, Cagliari, Palermo) con un totale di 1.500 partecipanti; formazione, offerta al personale sanitario e socio-sanitario attraverso 4 percorsi di formazione a distanza con un approccio transculturale. In questo caso sono stati completati 1202 percorsi formativi, altri 871 sono in fase di completamento, per un totale di circa 2000 percorsi formativi fruiti. Inoltre, sono rilasciati 212 attestati di partecipazione ai seminari informativi presso gli Istituti di pena. La ricerca, si è basata su 4 questionari strutturati (per detenuti, polizia penitenziaria, direzione carceraria e staff sanitario; quelli destinati ai detenuti sono stati tradotti anche in arabo, albanese, inglese e francese). Una volta compilati e raccolti - 1.230, di cui 833 detenuti, 169 agenti, 208 sanitari, 12 direttori, 8 altri operatori - sono stati quindi analizzati dal gruppo di ricerca dell’Università di Torino, Dipartimento di Giurisprudenza. I risultati hanno indicato un’incidenza significativa delle condizioni strutturali (sia delle celle che spazi comuni ) sulla salute di detenuti e agenti di polizia penitenziaria. Il sovraffollamento, in particolare, viene considerato tra i principali fattori di trasmissione di rischio per la salute in carcere, per la trasmissione di malattie infettive e responsabile dei maggiori problemi nell’erogazione del servizio sanitario. Diffuso, poi, il malessere personale sia tra detenuti che tra gli agenti. Per quanto riguarda i detenuti il principale sintomo di malessere è legato all’isolamento affettivo e relazionale. I periodi di malattia/infortunio degli operatori di polizia penitenziaria costituiscono un altro indicatore del malessere generalizzato: quasi la metà degli intervistati dichiara di essere stato malato/infortunato fino a 3 settimane negli ultimi 6 mesi. Tutti lamentano carenza di formazione e informazione sanitaria: uno straniero su cinque chiede formazione sull’igiene e cura del proprio corpo. Burocrazia e tempi lunghi prestazioni frenano domande soccorso (Ansa) Lamentano frequentemente diversi disturbi, soprattutto problemi di sonno, ansia e depressione generati da preoccupazioni familiari o economiche, ma anche altro tipi di patologie, come il mal di schiena, legate probabilmente alla scarsa attività fisica. Non sempre però chiedono aiuto, perché disincentivati dalla necessità di dover compilare ogni volta una domanda per poter accedere alle prestazioni sanitarie e soprattutto perché i tempi di attesa per ottenere delle risposte risultano molto lunghi. Il loro confidente per i problemi di salute, nella maggior parte dei casi, è il compagno di cella piuttosto che il medico. Ecco come i detenuti, in particolare quelli stranieri, percepiscono la salute in carcere, secondo un’indagine condotta dall’Inmp, l’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà, con il supporto dei ministeri della Salute e dell’Interno. Dall’indagine, che ha coinvolto 833 carcerati di 12 penitenziari italiani e anche agenti di polizia penitenziaria e personale sanitario, è emerso che in cima alle preoccupazioni di chi è recluso in cella c’è la paura di soffrire di disturbi legati alla mancanza di spazio e movimento, ma anche quella di contrarre malattie legate alla scarsa igiene e di non essere adeguatamente assistiti dal personale medico e sanitario. Oltre la metà (il 58,7%) di coloro che non possono permettersi il cosiddetto “extra-vitto”, acquistando degli alimenti da cucinare autonomamente, affermano inoltre di aver diminuito la quantità di cibo assunta giornalmente. La maggior parte dei detenuti dichiara infine di non conoscere la riforma della sanità penitenziaria introdotta nel 2008 e di considerare comunque la situazione immutata o addirittura peggiorata rispetto a prima. Monza: morto in carcere a 22 anni, del caso si occupa il Garante dei diritti dei detenuti di Riccardo Rosa Corriere della Sera, 27 giugno 2013 “Non è possibile morire in carcere a soli 22 anni, voglio la verità”. Se le parole di Giovanna D’Aiello, 47 anni, nascano dal dolore o da prove concrete lo potrà dire solo l’autopsia. Per ora, di certo, c’è solo che Francesco Smeragliuolo, finito dietro le sbarre due mesi fa per rapina, è morto lo scorso 8 giugno in una delle celle della casa circondariale di Monza, in via Sanquirico. Le carte parlano di arresto cardiocircolatorio, ma la madre, impiegata in una casa di riposo di Muggiò, in provincia di Monza, non ci crede. Dice che suo figlio stava bene, che era sano e anche che con la droga aveva iniziato ad andarci piano. Così, superata la disperazione dei primi giorni dopo la morte, ha deciso di vederci chiaro e ha chiesto aiuto. Prima al garante dei diritti dei detenuti del carcere di Monza, Giorgio Bertazzini, e poi anche all’Osservatorio permanente sulle morti in carcere. Francesco Smeragliuolo aveva alle spalle una situazione famigliare difficile: un fratello più piccolo già in comunità, una madre costretta a farsi in quattro per mandare avanti la famiglia e troppo tempo a disposizione per frequentare brutte compagnie. Il primo maggio i carabinieri lo avevano arrestato dopo una rapina in una farmacia a Binzago. Aveva cercato di scappare, ma alla fine di un lungo inseguimento i militari gli avevano stretto le manette attorno ai polsi a Cormano, dove il giovane aveva concluso la sua corsa contro un muro. Francesco, nonostante la giovane età, era già stato in carcere. Anzi, ne era uscito solo un mese prima, ma secondo la madre le cattive abitudine del figlio non giustificano una morte a 22 anni per infarto. Dice persino che sarebbe stato picchiato dopo l’arresto, ma aggiunge di non avere alcun referto medico che provi le percosse. “Mio figlio è entrato in carcere a maggio e dopo nemmeno 20 giorni aveva già perso 10-12 chili - spiega la donna -. L’ho visto durante l’ultimo colloquio, ho chiesto che lo aiutassero perché stava deperendo, ma non capisco come sia potuto morire così, non soffriva di cuore”. Per fare luce sul caso si sta muovendo il garante del carcere di Monza. “Ho ricevuto una mail da parte della signora Aiello - dice Bertazzini. Per ora posso solo dire che la convocherò nei prossimi giorni per un incontro. Voglio capire se effettivamente esistono degli elementi concreti per aprire un’inchiesta sulla morte di questo ragazzo”. In Procura, a Monza, sono in attesa dei risultati dell’autopsia, così come la direttrice del carcere, Maria Pitaniello. Il procuratore capo, Corrado Carnevali, e il pm che sta seguendo il caso, Salvatore Bellomo, dicono che per il momento non hanno elementi tali da far pensare a qualcosa di diverso da una morte accidentale. Secondo i primi accertamenti effettuati subito dopo il decesso sembrerebbe che i soccorsi siano stati tempestivi e che quando la madre è accorsa all’ospedale San Gerardo, dove il ragazzo era stato trasportato dal 118, il figlio fosse già morto. Morire in carcere, di Filippo Azimonti (La Repubblica) Francesco Smeragliuolo aveva 22 anni, è morto nel carcere di Monza l’8 giugno. Lo si è saputo solo ieri perché alla madre non è bastato il referto di morte “per arresto cardiocircolatorio”: tutti muoiono per arresto cardiocircolatorio il problema è stabilire da cosa sia stato prodotto. La Procura di Monza, dopo l’autopsia, parla di “cause naturali”, ma anche questo non basta alla madre di Francesco che in carcere l’ha visto dimagrire di 16 chili. Ha interpellato il garante dei detenuti Giorgio Bertazzini che avvierà una sua inchiesta e si è rivolta anche all’Osservatorio permanente sulle morti in carcere. Francesco Smeragliuolo è l’85mo detenuto morto in carcere dall’inizio dell’anno (27 i suicidi) e il suo cuore si è fermato proprio nel carcere dal quale è partito un ricorso, ora all’esame della Corte Costituzionale e proposto dallo stesso Tribunale di sorveglianza, che ne segnala le inumane condizioni di detenzione nel caso di un condannato al regime di 41 bis, il carcere duro riservato ai mafiosi. Perché in quel carcere con capacità “regolamentare” per 387 persone si sono ammassati 718 detenuti, secondo i dati del Dap dello scorso anno. Creando esattamente quelle “condizioni inumane e degradanti” che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha imputato all’Italia dandole un anno di tempo (e dalla sentenza sono già passati quasi sei mesi) per trovare una soluzione al sovraffollamento carcerario e introdurre una procedura per risarcire i detenuti che ne sono stati vittime. Francesco Smeragliuolo, a leggerne la biografia sui quotidiani, era un “cattivo soggetto”: aveva avuto problemi di tossicodipendenza, in carcere c’era già stato ed era nuovamente finito in cella due mesi fa, arrestato dopo aver rapinato una farmacia al termine di un inseguimento conclusosi con un incidente stradale. Probabilmente, anche se l’affannoso dibattito in corso sulle pene alternative, il cosiddetto decreto carceri avversato come un mini-indulto, si fosse già concluso, in cella sarebbe dovuto restare. Ma non avrebbe dovuto morirci perché, condannandolo alla reclusione, lo Stato era divenuto responsabile anche della sua vita e a questo impegno ha mancato, anche se la sua morte fosse avvenuta “per cause naturali”. Monza, morire in prigione a ventidue anni, di Checchino Antonini (www.globalist.it) Francesco Smeragliuolo, 22 anni, arrestato il 1° maggio scorso per una rapina. 39 giorni di carcere gli sono costati prima sedici chili e poi la vita stessa. È morto nel carcere di Monza sabato 8 giugno e sua madre, Giovanna D’Aiello, vorrebbe vederci chiaro. Per questo s’è rivolta ad alcune associazioni come Antigone, A buon diritto e Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, appena costituita con l’obiettivo di fornire un numero verde per le denunce di malapolizia. Alcuni attivisti di Acad avranno oggi stesso un colloquio con la donna. “Sono sicura che non è morto di morte naturale, i suoi organi erano sani. Dopo averlo visto a colloquio in carcere, il lunedì prima della sua morte (3 giugno, ndr) avevo fatto presente che mio figlio stava male. Ha perso sedici chili in un mese. Avevo chiesto lo mettessero in una struttura adeguata, che lo aiutassero. Lui non aveva problemi di salute. Se aveva sbagliato, doveva rispondere per quello che aveva fatto, ma non è giusto che sia morto così. Voglio sapere cosa è successo, voglio la verità”. “Io mi rivolgerò a tutti, non mi fermo qui - ha proseguito - perché la morte di Francesco deve servire da monito per tanti ragazzi. Avrei voluto che morisse tenendo la sua mano nella mia. E invece è andata in questo modo atroce”. Esclusa l’ipotesi del suicidio. In una lettera recente alla fidanzata Francesco pensava “ai tanti progetti insieme”. L’autopsia, disposta dal magistrato, avrebbe escluso che la morte sia avvenuta per cause violente o per intossicazione da farmaci o droghe. Il responso è stato il solito: “decesso causato da arresto cardiocircolatorio”. Dalla Casa circondariale nessuna spiegazione sul decesso, avvenuto nel pomeriggio di sabato 8 giugno. Il giovane si sarebbe sentito male ed è stato attivato il 118 in codice rosso. La direttrice si è limitata a dire: “C’è un’indagine in corso, bisogna attendere l’esito”. Il 22enne di Cesano era stato tratto in arresto il primo maggio per una rapina avvenuta in una farmacia di Binzago, e dopo un inseguimento dei carabinieri fino a Cormano, dove si era schiantato contro un muro. Le domande si rincorrono: fu pestato al momento dell’arresto? E che tipo di attenzioni ha potuto ricevere mentre si trovava in cella? Francesco ne avrebbe parlato con sua madre. Sovraffollamento, scarsa applicazione della legge Smuraglia sul lavoro per i detenuti, scarso personale di polizia penitenziaria: la casa circondariale di Monza è una delle “carceri d’oro” degli anni ‘80, costruita con materiali scadenti a prezzi gonfiati. E ci piove dentro. Il teatro e la cappella sono inagibili. In molti laboratori e spazi ci sono infiltrazioni. Ha riferito un esponente grillino che l’ha visitato in aprile che: “Dentro l’istituto sono vietati cellulari, tablet, computer, chiavette Usb, radio, qualunque mezzo per comunicare con l’esterno non solo per gli ospiti, ma anche per agenti, operatori, medici, insegnanti, educatori e visitatori. Anche la struttura del carcere è isolata dal resto della città”. In nessun caso potrà dirsi naturale la morte di un ventiduenne che perde sedici chili in 39 giorni di prigione. Taranto: 44enne muore in carcere, revocata detenzione domiciliare per violazione obblighi www.altamuralife.it, 27 giugno 2013 Si sta effettuando in queste ore l’autopsia del corpo di Pietro Papangelo, 44 anni, altamurano, per stabilire le cause del suo decesso avvenuto nelle carceri di Taranto. L’ipotesi più accreditata, stando alle indiscrezioni diffuse, penderebbe su una morte naturale dovuta ad un malore. Tuttavia, il caso richiede i dovuti accertamenti. La salma, subito dopo l’esame, sarà di rientro ad Altamura e consegnata alla famiglia. Ai polsi dell’uomo erano scattate le manette per reati di furto, ma il suo nome balzò agli onori della cronaca nel 2009, quando fu sospettato di omicidio di una anziana residente in una abitazione adiacente al Monastero S. Chiara, presso cui la donna era impegnata nei servizi di sacrestana. Poi scagionato dall’accusa. Arrestato per violazione obblighi… stava telefonando (www.altamuralife.it, 01.11.2012) I carabinieri della compagnia di Altamura hanno arrestato Pietro Papangelo, altamurano di 44 anni sottoposto alla detenzione domiciliare, per aver violato gli obblighi a lui imposti dall’autorità giudiziaria. L’uomo è stato sorpreso dai carabinieri mentre si intratteneva in una conversazione telefonica nonostante gli fosse stato vietato l’uso del cellulare. Gorizia: il carcere di via Barzellini è salvo, avviata la riqualificazione di Francesco Fain Il Piccolo, 27 giugno 2013 È la vorta bbona. Scomodiamo il celebre tormentone di Nino Manfredi in Canzonissima 1959-60 per annunciare l’atteso e auspicato inizio dei lavori di riqualificazione del carcere di Gorizia. All’esterno del penitenziario di via Barzellini è apparsa una tabella, oltre a diverse transenne che “annunciano” inequivocabilmente l’apertura del cantiere. Lavori in corso L’intervento, che sarà ultimato nell’aprile del prossimo anno, prevede la ristrutturazione degli spazi che ospitano i detenuti e il recupero dell’ex alloggio del comandante di reparto, destinato ad accogliere gli uffici amministrativi dell’istituto di pena. Per la messa in sicurezza del carcere goriziano, lo ricordiamo, è previsto un investimento di poco superiore al milione di euro. Contenuti i disagi per il personale e per i detenuti ospitati in via Barzellini. Nelle ultime settimane, infatti, è stata ridotta, anche attraverso alcuni trasferimenti, la dimensione della popolazione carceraria: oggi nella struttura ci sono circa una ventina di ospiti. “Si tratta indubbiamente di una buona notizia - sottolinea Massimo Bevilacqua, segretario provinciale e regionale della Funzione pubblica della Cisl. Sia come Fp che come Fns abbiamo sempre chiesto con forza di rendere più dignitosa quella struttura penitenziaria. L’apertura del cantiere va nella direzione dei nostri auspici e non possiamo che augurarci il rispetto pieno del cronoprogramma”. Rischio scongiurato Come si ricorderà, nel marzo scorso risuonò (era l’ennesima volta) l’allarme per il futuro della casa circondariale di via Barzellini. Stava, infatti, circolando un documento del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) che introduceva i “circuiti differenziati in base alla pericolosità dei detenuti”. Leggendo, pareva che il destino della casa circondariale di via Barzellini fosse segnato: la chiusura sembrava essere l’unica possibilità. In quell’occasione, sentimmo anche il direttore della casa circondariale di via Barzellini Irene Iannucci che affermò che non c’era alcun pericolo. “Semplicemente, sono notizie destituite di fondamento - spiegò. Quello dei circuiti penitenziari è un discorso appena abbozzato. Ciò che è certo è che stanno per iniziare i lavori che, in questo primo lotto, verranno coperti con uno stanziamento di un milione di euro”. Il fatto che il cantiere sia stato regolarmente aperto dimostra che quelle preoccupazioni erano realmente infondate. Persone private della libertà Don De Nadai il loro Garante Oggi alle 12, nella sala della giunta provinciale, si terrà una conferenza stampa per presentare il neonominato Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, don Alberto De Nadai. Alla conferenza stampa saranno presenti l’assessore provinciale alle Politiche del lavoro e cooperazione sociale, Bianca Della Pietra, il Presidente del Consiglio provinciale, Gennaro Falanga, e il consigliere provinciale Stefano Cosma. De Nadai, sacerdote goriziano, vanta una lunga esperienza in progetti e iniziative a favore dei carcerati e di persone private della libertà. Fondatore della comunità e cooperativa “Arcobaleno” per l’accoglienza di giovani con problemi di devianza, è anche responsabile dei volontari che operano nelle carceri di tutto il Friuli Venezia Giulia. Dal 2009 è anche responsabile della Conferenza regionale volontariato giustizia. Compito del garante - che lavorerà senza alcun compenso - sarà, fra gli altri, tutelare il diritto al lavoro, alla formazione, alla crescita culturale, anche mediante la pratica di attività formative, culturali e sportive. “Il garante dovrà, soprattutto, attivarsi per il rispetto della dignità delle persone ristrette in carcere - spiega Cosma, per migliorare le loro condizioni di vita e sociali, anche svolgendo attività di sensibilizzazione pubblica sul tema dei diritti umani e sulla finalità rieducativa della pena. I garanti ricevono segnalazioni sul mancato rispetto della normativa penitenziaria, sui diritti dei detenuti eventualmente violati e si rivolgono all’autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni”. Pordenone: l’offensiva dei sindacati sul progetto per il nuovo carcere a San Vito Messaggero Veneto, 27 giugno 2013 “Il carcere a San Vito? Allora si abbia il coraggio di creare la cittadella della giustizia, trasferendo anche il tribunale e la procura, visto che i metri quadrati a disposizione sono 5 mila”. Cgil, Cisl, Uil e Sinappe, sigle della polizia penitenziaria, lanciano una proposta dal sapore della provocazione. Per dimostrare “quanto sia costosa e non al risparmio” la casa circondariale fuori Pordenone. “Intanto sarebbe il primo capoluogo di provincia d’Italia a non avere un carcere, che finirebbe a 20 chilometri dalla procura. Uscendo dal comune, inoltre, per le scorte oltre le quattro ore scatta la diaria con raddoppio del personale in caso di più persone. E l’impegno di scorta vale anche per le altre forze dell’ordine. Cinque anni fa, inoltre, abbiamo compiuto un sopralluogo nella caserma da riconvertire: è fatiscente. Chi si sobbarca i costi delle bonifiche? A lungo termine i risparmi saranno ben inferiori dei costi. Per ultimo, ma non ultimi, i familiari dei detenuti: come far raggiungere loro San Vito?”. Il nuovo carcere? “È un servizio, deve essere facilmente accessibile, ben collegato e velocemente raggiungibile. Il resto lo decide la politica”, è il commento del direttore della casa circondariale Alberto Quagliotto. Finalmente si è in dirittura d’arrivo, cosa si aspetta? “Ciò che ci siamo aspettati nei precedenti 40 anni”, è la risposta lapidaria. A margine della festa del patrono della polizia penitenziaria, San Basilide martire, il comandante del Corpo, Nicola Di Gennaro, quale che sia la soluzione, auspica che, come avvenuto a Trento, “si preveda l’edilizia residenziale per il personale”. L’emergenza sovraffollamento è alle spalle: oggi gli agenti sono 49 su 59 (con tre nuovi arrivi), i detenuti sono un’ottantina rispetto ai regolamentari 68, “non c’è eccessivo sovraffollamento come avvenuto in passato”, precisa Quagliotto. “Il sistema penitenziario - ha aggiunto - versa in condizioni difficili: dalle tante proposte non si è giunti alla riforma complessiva. Non è solo mancanza di mezzi, uomini e soldi. Minacciare una pena e non applicarla, amnistiarla o applicarla dopo anni, è diseducativo”. Quanto alla riabilitazione dei detenuti, “il progetto biennale del corso di manutenzione edile si è esaurito e ha permesso “animazione” dentro il fortilizio. La nostra fantasia, però, rischia di esaurirsi, la palla passi al legislatore”. Nella messa del patrono, infine, l’appello del vescovo Giuseppe Pellegrini, col cappellano don Piergiorgio Rigolo: “Difendere i piccoli, i poveri, gli esclusi, gli umiliati”. Gasparini (Idv): la caserma è la sede più economica Nonostante la professione di avvocato, sul carcere il consigliere provinciale di Italia dei valori, Fabio Gasparini, non ha dubbi: la soluzione migliore è quella dell’ex caserma Dall’Armi di San Vito. “Bene ha fatto il ministro Cancellieri a privilegiare la concretezza e ad annunciare che il nuovo carcere sarà realizzato a San Vito - afferma Gasparini -. Dopo quarant’anni di tentennamenti finalmente è arrivata una concreta speranza di miglioramento dell’attuale condizione del carcere, diventata insostenibile a causa del sovraffollamento di detenuti rispetto a celle e personale di Polizia penitenziaria. Se dal punto di vista professionale - aggiunge - posso comprendere le lamentele provenienti dal personale giuridico (magistrati e colleghi avvocati, costretti a spostarsi dalla sede principale), dall’altro, anche in un’ottica di razionalizzazione delle spese oltreché di recupero di fabbricati esistenti, non può certo essere considerato un dramma, il decentramento dell’istituto penitenziario da Pordenone a San Vito”. Gasparini ricorda che “a San Vito, stante lo spazio a disposizione, potranno finalmente nascere progetti importanti affinché il carcere possa diventare, non solo a parole, luogo di recupero per i detenuti. Questi potranno essere messi nelle condizioni di tenersi occupati, con conseguenti maggiori possibilità di un reinserimento. È giunta l’ora di mettere da parte campanilismi e presunte supremazie del capoluogo dando priorità alla risoluzione del problema”. Parma: detenuto in via Burla tenta di circoncidersi, ma rischia l’evirazione La Gazzetta di Parma, 27 giugno 2013 Detenuto tenta di circoncidersi ma rischia di evirarsi. L’autore del gesto estremo è il 38enne Zoran Ahmetovic, l’uomo che dopo 15 anni ha confessato l’omicidio del riminese Max Iorio e che sta scontando la pena a 16 anni di reclusione nel carcere di Parma. Il 38enne, reo confesso, ha ammesso l’omicidio solo nel gennaio 2011, dopo 14 anni dall’assassinio (19 marzo 1997) avvenuto nell’appartamento del dipendente comunale in via Santa Chiara, in pieno centro a Rimini, dopo una notte di sesso e stupefacenti. Ahmetovic, nomade bosniaco, all’epoca dei fatti era stanziato in un campo nomadi a Rimini. La tentata circoncisione che ha fatto rischiare al detenuto un’emorragia sarebbe stata giustificata da “motivi culturali” ed è avvenuta il 14 giugno: in una lettera, datata 20 giugno e ricevuta oggi dal difensore Cinzia Bonfantini, Ahmetovic si dice pentito e di aver imboccato la strada della fede. Inoltre manda un messaggio alla famiglia della sua vittima e dà indicazioni precise, compreso la chiesa dove recarsi, per perdonarlo. Eboli (Sa): all’Icatt a lezione di “plastici architettonici” La Città di Salerno, 27 giugno 2013 A scuola di “plastici architettonici” per imparare a realizzare quelle piccole opere d’arte che sono la rappresentazione in scala dei progetti. Un mestiere di precisione che accompagna da sempre le figure professionali di architetti e ingegneri ma anche di designer e scenografi. Il corso si è tenuto presso l’Icatt di Eboli, all’Istituto a Custodia Attenuata infatti proprio lunedì scorso c’è stata la consegna degli attestati di partecipazione e la presentazione ufficiale dell’opera “La Libertà non è star sopra un albero”, realizzata dai cinque ragazzi dell’Istituto, Luigi, Cesare, Antimo, Salvatore e Luigi in collaborazione con l’artigiana e scultrice Rosanna Giannino che insieme ad Umberto Flauto, hanno tenuto il corso ai ragazzi. Il progetto, da poco conclusosi presso la struttura penitenziaria di Eboli, ha ottenuto un interessante successo tra i ragazzi partecipanti tanto da far ipotizzare alla dottoressa Rita Romano, molto attenta al recupero reale di questi ragazzi, un secondo corso di perfezionamento e l’inizio di un nuovo corso introduttivo al “plastico architettonico”. L’opera realizzata, un albero in materia lignea, con una serie di idee e di simboli che sottolineano un significato profondo rispetto al recupero ambientale che questo tipo di carcere offre, rappresenta un importante passaggio sia psicologico che pratico rispetto alle negative esperienze precedenti dei ragazzi che hanno partecipato al corso, ora però rivolti verso una nuova possibile attività lavorativa. Il lavoro di modellista e di artigiano, legato ai plastici architettonici, trova ed ha trovato un ottimo impatto nel carcere, dove i detenuti hanno già nelle loro corde, e nelle loro esperienze, una forte personale manualità. Alla cerimonia di consegna degli attestati, oltre alla presenza della dottoressa Rita Romano, anche una delegazione della fondazione “Angelo Vassallo” a testimoniare la vicinanza alle attività svolte dalla struttura ebolitana sempre impegnata nell’elaborazione di progetti culturali. Nel corso della cerimonia sono state lette da un detenuto e da Annalisa Santamaria, poesie originali sul concetto di libertà. Lecce: visita al fratello detenuto con ovulo di hascisc, finisce in carcere anche lui Ansa, 27 giugno 2013 Era arrivato a Lecce da Bitonto (Bari) per far visita al fratello detenuto nel carcere di Borgo San Nicola, ma in cella è finito anche lui perchè aveva un ovulo di hascisc. Si tratta di Cosimo Cervelli, 41 anni, di Bitonto. È accusato di detenzione di sostanze stupefacenti aggravata dalla finalità di cessione in ambiente penitenziario. Ad incastrarlo, una volta ultimati i controlli di identificazione e di autorizzazione all’accesso, è stato “Pepe”, un pastore tedesco dell’Unità cinofila di Trani. Il cane ha segnalato subito la presenza di qualcosa di anomalo nell’uomo, facendo scattare la perquisizione personale da parte degli agenti della polizia penitenziaria, i quali hanno trovato, occultato negli slip, un ovulo confezionato con pellicola trasparente e contenente 15 grammi di hascisc. Cosimo Cervelli è fratello di Francesco, il 31enne coinvolto nel ferimento con colpi di arma da fuoco di due giovani a Bitonto la sera del 31 ottobre 2012 e arrestato nel novembre successivo per violazione della normativa sulle armi. Cina: detenuti al lavoro forzato fabbricano cuffie auricolari utilizzate da compagnie aeree Il Punto, 27 giugno 2013 Qantas, Electrolux e altre aziende internazionali avrebbero acquistato prodotti, tra cui le cuffie che vengono distribuite sugli aerei, realizzati in una prigione cinese dove i detenuti vengono regolarmente picchiati e tenuti in isolamento se non rispettavano gli obiettivi fissati. La notizia arriva da un’inchiesta del giornale australiano Financial Review. La denuncia proviene da Danny Cancian, un neozelandese liberato lo scorso anno dalla prigione di Dongguan, nella provincia meridionale cinese del Guangdong. L’uomo, che ha trascorso quattro anni in carcere per omicidio colposo dopo una rissa in un ristorante, ha raccontato di aver assemblato cuffie usa e getta per le compagnie Qantas, British Airways e Emirates. Aggiungendo anche che il mancato rispetto degli obiettivi di produzione, a Dongguan significa “essere portati fuori e colpiti con il taser”: un’arma che tramite una scossa elettrica fa contrarre i muscoli del soggetto colpito. L’ex detenuto Cancian, inoltre, ha affermato di aver lavorato anche alla produzione di piccoli componenti per apparecchi elettrici prodotti da aziende locali, tra cui una che rifornisce il gigante svedese Electrolux (elettrodomestici) e la società Emerson Fortute 500 (elettronica consumer e industriale). Tutte le aziende contattate hanno negato di essere al corrente dello sfruttamento del lavoro dei detenuti. Anche se Qantas, Electrolux ed Emerson, fanno sapere di aver avviato delle indagini interne. British Airways ha invece affermato che tutti i suoi fornitori “sono sottoposti a un rigoroso processo di controllo prima della nomina”. Anche Emirates si è rifiutata di fornire il nome del suo fornitore, aggiungendo semplicemente che le sue cuffie “sono fatte da un’azienda leader del settore, che fornisce più di 200 compagnie aeree”. La compagnia aerea australiana, viceversa, non si è potuta sottrarre dal fornire maggiori dettagli. Dopo aver spiegato di rifornirsi delle cuffie usa e getta da una società di nome Airphonics, che a sua volta avrebbe subappaltato il lavoro alla Dongguan City Joystar Electronic Company, che faceva produrre le cuffie ai carcerati della prigione di Dongguan. In seguito alla pubblicazione dell’inchiesta, la Qantas ha infine annunciato di aver sospeso i rapporti con la Airphonicse, dicendosi molto preoccupata per le accuse che le sono state mosse. Aggiungendo, però, di essere totalmente estranea alla vicenda. Dopo Danny Cancian, anche un altro ex detenuto del carcere di Dongguan ha confermato di aver prodotto le cuffie per le compagnie aeree internazionali: “Li ho fatti per l’australiana Qantas, quella con il canguro come logo, ma le abbiamo realizzate anche per Emirates, British Airways e molte altre”. Entrambi i prigionieri hanno inoltre raccontato, che le cuffie venivano collocate in scatoloni con sopra riportati direttamente i nomi delle società di destinazione, accatastati in un magazzino e pronti per lasciare il carcere. “È però probabile - hanno aggiunto i due - che davvero le compagnie aeree non sapessero dove le cuffie venivano prodotte e, soprattutto, a che prezzo”. Cancian, che dopo il suo rilascio è diventato un avvocato per i diritti dei detenuti, ha denunciato che i prigionieri nelle carceri cinesi lavorano per oltre 70 ore la settimana e sono pagati appena 8 yuan al mese (1,40 dollari), poco più del prezzo di una saponetta all’interno del carcere. “Durante la detenzione, ci dicevano che non era vero che ci trattavano come schiavi, perché eravamo regolarmente retribuiti”, ha aggiunto Cancian. I tentativi da parte del Financial Review di intervistare la direzione del carcere di Dongguan, finora, non hanno avuto successo. Le autorità cinesi non hanno mai negato di ricorrere al lavoro dei detenuti, al punto da averlo reso obbligatorio durante l’espiazione della pena.