Giustizia: ancora tensioni sul decreto-carceri, alla fine lo firma solo la Cancellieri di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 26 giugno 2013 Doveva essere un decreto a doppia firma, ministro della Giustizia e ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri e Angelino Alfano, che incidentalmente è anche vicepresidente del Consiglio, ex Guardasigilli nonché segretario del Pdl. Invece no. A meno di ulteriori e a questo punto clamorosi slittamenti degli ultimi minuti, stamane al Consiglio dei ministri arriverà un provvedimento proposto dalla sola Cancellieri: misure urgenti per fronteggiare l’emergenza carceraria. Tutta la parte sulla sicurezza e altri aspetti di competenza del Viminale resta fuori, stralciata in vista di un nuovo appuntamento governativo. E chissà se nella decisione di non sottoscrivere, in questo momento, un testo insieme alla collega di via Arenula, per Alfano abbia contato più la carica di ministro o una delle altre. La coincidenza tra il decreto dimezzato (con relativo sgravio di responsabilità da parte del vicepremier) e le polemiche seguite alla nuova sentenza di condanna per Silvio Berlusconi è sotto gli occhi di chiunque. Con tutto il suo significato, quantomeno simbolico e evocativo. Dietro queste decisioni si trovano sempre giustificazioni tecniche: problemi giuridici ancora irrisolti, testi da limare e via di seguito. Ma al di là delle versioni ufficiali, mai come in questo caso risalta una sola realtà: Alfano si sfila dal primo intervento governativo di peso in materia di giustizia, anche se su un aspetto specifico come il problema del sovraffollamento delle prigioni. Ed è inevitabile immaginare che le fibrillazioni seguite alla sentenza di Milano abbiano pesato sulla scelta. Magari per dare un segnale concreto che il governo può pure reggere, ma non si pensi che il percorso che ha davanti non sia segnato da quel che accade nei tribunali. Tanto più quando s’interviene sul terreno minato che compete al Guardasigilli. Di fronte alle reazioni scandalizzate del centrodestra per il verdetto sul caso Ruby, il ministro Cancellieri ha rispettato la regola del silenzio. Nessun commento, né sulla condanna né sul putiferio politico che ne è seguito. Nemmeno per dire delle ovvietà che in un momento come questo chissà come sarebbero lette: per esempio che se un imputato si ritiene innocente è normale che consideri ingiusta la condanna; meno normale è considerare ingiusta e “politicizzata” una sentenza (e tutto il resto degli improperi lanciati ai giudici) solo perché non è andata nel verso sperato, pena la perdita di credibilità dell’intero sistema giudiziario. Stavolta Anna Maria Cancellieri non ha ribadito nemmeno il tradizionale rispetto per l’autonomia della magistratura; non perché non lo consideri scontato, anzi, ma per evitare che anche la più semplice delle considerazioni potesse essere strumentalizzata. Soprattutto alla vigilia del tanto annunciato decreto-carceri, che dopo il via libera del Consiglio dei ministri dovrà affrontare un non semplice cammino parlamentare. Del quale qualcuno potrebbe approfittare per tentare di inserire o togliere eventuali norme considerate a favore o contro l’imputato Berlusconi, con tutto ciò che ne conseguirebbe. Molti esponenti del Pdl hanno colto l’occasione della nuova condanna dell’ex premier per tornare a chiedere riforme radicali sulla giustizia, rimaste rigorosamente fuori dal programma del governo Letta, ché altrimenti difficilmente sarebbe nato. D’altronde, se ci fosse stata l’intenzione di mettere mano a temi che dividono destra e sinistra da oltre vent’anni, al dicastero di via Arenula non sarebbe stato chiamato un tecnico di tutt’altra materia come l’ex prefetto Cancellieri. Scelta per gestire nella maniera più indolore possibile l’ordinaria amministrazione, e risolvere singole emergenze. Come quella delle prigioni troppo piene, per l’appunto. Senza alimentare ulteriori tensioni, che interventi più incisivi o “di sistema” finirebbero inevitabilmente per provocare; bastano quelle provocate dagli appuntamenti giudiziari dell’ex premier, che non sono ancora finiti. Giustizia: via libera dal CdM al decreto-carceri. Cancellieri: “c’è necessità di un’amnistia” Agi, 26 giugno 2013 Via libera dal Consiglio dei ministri al “decreto carceri”. Obiettivo del testo, incidere sui flussi carcerari, agendo in una doppia direzione: quella degli ingressi in carcere e quella delle uscite dalla detenzione. E rafforzare le opportunità trattamentali per i detenuti meno pericolosi, che costituiscono la maggior parte degli attuali reclusi. È una risposta “alle accuse che da tutti gli organi internazionali piovono sull’Italia per l’incapacità di gestire in maniera dignitosa la situazione delle carceri ed è una risposta di dignità”, ha premesso il premier Enrico Letta nella conferenza stampa seguita alla riunione. “Non so sulla base di cosa i giornali hanno scritto che il decreto farà uscire i mafiosi dal carcere e che le strade si riempiranno di delinquenti: non è così, non è un provvedimento svuota carceri in senso classico”, ha sottolineato la guardasigilli Annamaria Cancellieri. Il testo “non è a favore né contro qualcuno”, ha aggiunto, “riguarda tutta la popolazione: non c’è assolutamente nulla che riguardi Berlusconi” (come ventilato nei giorni scorsi dagli organi di stampa). Il ministro ha ribadito nell’occasione di essere “convinta” della necessità dell’amnistia: “la passata amnistia - ha ricordato - ha liberato 15-20mila posti nelle carceri”. E “un’uscita così notevole consentirebbe interventi strutturali che comporterebbero interventi più duraturi” in materia di sovraffollamento. Il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, ha spiegato che il dl “tocca aspetti normativi”, sottolineando che d’ora in poi il blocco delle porte girevoli sarà rivolto ad una “platea più grande mentre ora era riservata solo a chi aveva commesso reati giudicati con rito direttissimo”. Il Guardasigilli ha inoltre spiegato che l’ampliamento del meccanismo per l’ accesso dei detenuti ai lavori socialmente utili “che gli consentirà di “pagare” la loro pena lavorando e rientrando in carcere o al domicilio la sera”, non è ammesso per chi ha compiuto “reati gravi come l’associazione mafiosa” e comunque sarà sempre “sotto il controllo dei magistrati”. Dai Lsu sono esclusi i condannati per stalking e maltrattamento di minori. Il provvedimento dovrebbe portare alla diminuzione della detenzione in carcere di circa seimila persone nei prossimi due anni. “Per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario bisogna costruire nuove strutture e rimandare i detenuti stranieri nei loro Paese d’origine, non far uscire i delinquenti di galera”, ha accusato il vicepresidente dei deputati della Lega Nord alla Camera, Matteo Bragantini, parlando di “sistema sbagliato. La messa alla prova non può funzionare mandando un condannato per prostituzione minorile a pulire i giardinetti in cerca della prossima vittima”. Scettico anche Eugenio Sarno, segretario generale della Uilpa penitenziari: “su un punto occorre essere chiari e responsabili - ha detto - il decreto costituisce un importante ed apprezzato atto di attenzione verso una delle più delicate questioni sociali, l’emergenza penitenziaria, ma non può essere rubricato tra gli atti risolutivi di quella emergenza”. Giustizia: che cosa prevede il decreto-carceri approvato dal CdM, la scheda… Tm News, 26 giugno 2013 Previsione di “misure dirette ad incidere strutturalmente sui flussi carcerari”, agendo in una duplice direzione: quella degli ingressi in carcere e quella delle uscite dalla detenzione. E “rafforzamento delle opportunità trattamentali per i detenuti meno pericolosi”, che costituiscono la maggioranza. Sono i due fronti della cosiddetta “deflazione carceraria” cui tende il decreto legge recante “disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena” varato oggi dal Consiglio dei ministri. Ecco, in dettaglio, che cosa prevede il testo. Modifica dell’art. 656 c.p.p. L’obiettivo è riservare l’immediata incarcerazione ai soli condannati in via definitiva nei cui confronti vi sia una particolare necessità del ricorso alla più grave forma detentiva. Stante il particolare allarme sociale suscitato dal delitto di maltrattamenti in famiglia commesso in presenza di minori di 14 anni, tale tipologia di reato è stata inserita nel catalogo di quelli più gravi, cui l’ordinamento penitenziario connette un regime particolarmente gravoso, l’articolo 4 bis. Nei confronti degli altri condannati si è intervenuti sulla cosiddetta “liberazione anticipata”, istituto che premia con una riduzione di pena, pari a 45 giorni per ciascun semestre, il detenuto che tiene una condotta regolare in carcere e partecipa fattivamente al trattamento rieducativo. Il decreto prevede la possibilità che il pm, prima di emettere l’ordine di carcerazione, verifichi se vi siano le condizioni per concedere la liberazione anticipata e investa, in caso di valutazione positiva, il giudice competente della relativa decisione. In questo modo, il condannato potrà attendere “da libero” la decisione del tribunale di sorveglianza sulla sua richiesta di misura alternativa. Inoltre, per le donne madri ed i soggetti portatori di gravi patologie viene contemplata l’opportunità di accedere alla detenzione domiciliare, peraltro già prevista dalle norme vigenti, senza dover passare attraverso il carcere, quantomeno nei casi in cui debba essere espiata una pena non superiore ai 4 anni. In pratica, al passaggio in giudicato della sentenza, ove il condannato debba espiare una pena non superiore ai 2 anni (4 anni se donna incinta o con prole sotto i dieci anni, o se gravemente ammalato) il pubblico ministero sospenderà l’esecuzione della pena dandogli la possibilità di chiedere, dalla libertà, una misura alternativa al carcere, che spetterà al tribunale di sorveglianza eventualmente concedere. Ove invece si tratti di autori di gravi reati o di soggetti in concreto pericolosi, ovvero sottoposti a custodia cautelare in carcere, questa possibilità non sarà offerta ed il condannato resterà in carcere fino a quando il tribunale di sorveglianza non ritenga, sulla base di una valutazione da svolgere su ogni caso specifico, che egli possa uscire in misura alternativa. Lavoro di pubblica utilità Viene ampliata la possibilità per il giudice di ricorrere, al momento della condanna, ad una soluzione alternativa al carcere, costituita dal lavoro di pubblica utilità. Tale misura, prevista per i soggetti dipendenti dall’alcol o dagli stupefacenti, fino ad oggi poteva essere disposta per i soli delitti meno gravi in materia di droga, mentre in prospettiva potrà essere disposta per tutti reati commessi da tale categoria di soggetti, salvo che si tratti delle violazioni più gravi della legge penale previste dall’articolo 407, comma 2, lett. a), del codice di procedura penale. Misure alternative Nella duplice prospettiva di ridurre i flussi in entrata ma anche di incrementare le possibilità di uscita dal carcere, si collocano le modifiche che prevedono l’estensione degli spazi di applicabilità di alcune misure alternative per determinate categorie di soggetti, che in passato erano invece esclusi, come i recidivi per piccoli reati. La preclusione si caratterizzava per una assoluta astrattezza, impedendo l’accesso alle misure, in particolare la detenzione domiciliare cosiddetta generica (ovvero sotto i 2 anni di pena), anche nei casi in cui i soggetti avevano commesso reati di modesto allarme sociale e magari in un lontano passato. L’eliminazione di tali automatismi consentirà al tribunale (o al magistrato) di sorveglianza di svolgere una valutazione in concreto, sulla base di elementi di giudizio forniti dagli organi di polizia e del servizio sociale del ministero della Giustizia. Nei confronti dei condannati per uno dei delitti di cui all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario viene mantenuto il divieto di concessione di questa particolare forma di detenzione domiciliare. Misure incidenti sul trattamento rieducativo Al fine di alleggerire le tensioni che, in specie nel periodo estivo, possono più facilmente innescarsi sia tra i detenuti sia nei confronti del personale penitenziario, il provvedimento estende la possibilità di accesso ai permessi premio per i soggetti recidivi e prevede l’estensione dell’istituto del cosiddetto lavoro all’esterno anche al lavoro di pubblica utilità. Giustizia: il decreto-carceri e il nodo dei detenuti “over 70” di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 26 giugno 2013 I condannati a piede libero a una pena non superiore a 3 anni potranno evitare il carcere e ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale, salvo per reati di mafia, terrorismo, maltrattamenti in famiglia o stalking in danno di minori. La stessa possibilità di non entrare in carcere sarà riconosciuta agli over 70, alle donne in gravidanza o madri di bambini con meno di 10 anni o ai padri con figli della stessa et se la mamma morta, ai malati gravi, agli over 60 se parzialmente inabili, ai minori di 21 anni per ragioni di salute, di studio o di famiglia: la pena potrà essere scontata a casa, in un luogo di cura o di assistenza, purché non superi 4 anni (anche come pena residua), qualunque sia il reato commesso (salvo mafia o terrorismo). Anche per i tossicodipendenti, infine, se la condanna non supera i 6 anni prevista la possibilità di non entrare in carcere ma di ottenere l’affidamento terapeutico per tutta la durata della pena. Comunque, a decidere tra carcere e misura alternativa sarà il magistrato, caso per caso, senza alcun automatismo. Il passaggio dalla libertà direttamente alla misura alternativa uno dei punti più significativi del decreto carceri, che stamattina il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri porterà al Consiglio dei ministri. Il provvedimento destinato a implementare le “alternative” alla detenzione sia “in entrata” che “in uscita”, cioè sia per chi a piede libero quando arriva la sentenza definitiva sia per chi già detenuto ma ha un residuo di pena da scontare pari a quello indicato dalle nuove norme. La “certezza della pena” garantita (sebbene la Lega dica il contrario, anche con riferimento al ddl all’esame della Camera sulla “messa alla prova”). Il carcere, infatti, solo una delle modalità per scontare una condanna: così stabiliscono da più di 30 anni le nostre riforme penitenziarie, spesso anestetizzate da leggi come la ex Cirielli, che dal 2005 ha introdotto vari sbarramenti per i recidivi, contribuendo così al sovraffollamento. Ora queste preclusioni cadono e si riapre anche la strada della sospensione dell’esecuzione, prevista già nel 1994 e poi cancellata. L’obiettivo non solo ridurre gli ingressi e le permanenze in prigione, garantendo ai reclusi condizioni di vita dignitose e la prospettiva di un più efficace reinserimento sociale, ma soprattutto implementare le misure alternative alla detenzione, che abbattono la recidiva e garantiscono di più la sicurezza collettiva. Il provvedimento arriva per in un momento politicamente delicato: tante le condanne a esponenti politici, a cominciare da Silvio Berlusconi. Che in base al decreto, in quanto over 70 avrebbe diritto alla detenzione domiciliare per la condanna nel processo Mediaset a 4 anni (di cui 3 condonati) ma non per quella a 7 anni (se confermata) nel processo Ruby. Non a caso, la norma sulla detenzione domiciliare stata al centro di lunghe trattative. E ancora ieri pomeriggio a Palazzo Chigi girava un appunto della Giustizia, che, con riferimento al terzo dei quattro articoli del dl (quello sulla detenzione domiciliare agli ultra settantenni e assimilati), riportava solo la dicitura: articolo in fase di definizione . Si tratta della modifica all’articolo 47 ter dell’ordinamento penitenziario, riscritto dalla ex Cirielli che, oltre a tagliare la prescrizione, tagli tutti i benefici per i recidivi, salvo per alcune categorie come gli over 70, ammessi alla detenzione domiciliare qualunque fosse l’entità della pena, ma con esclusione di una lunga serie di reati. L’elenco, voluto dall’allora governo Berlusconi, non contempla la corruzione (reato per cui fu condannato Cesare Previti) ma include la prostituzione minorile. Era così esteso da vanificare gli effetti della norma. Perciò ora il decreto cancella le preclusioni sui reati (salvo mafia e terrorismo) ma, per coerenza interna, introduce il limite della condanna a 4 anni per beneficiare della detenzione domiciliare. E così dovrebbe arrivare oggi a Palazzo Chigi. Il decreto carceri - che per ora non sarà affiancato dall’annunciato provvedimento del ministero dell’Interno sulla “sicurezza” - contiene poi altre misure strutturali in alternativa alla galera, come lavoro di pubblica utilità per tossicodipendenti condannati per reati minori (piccole truffe o ricettazioni, rapine non aggravate) o il lavoro all’esterno anche se non è retribuito. A decidere sarà sempre il magistrato, senza automatismi. Giustizia: la tentazione del Cavaliere; i referendum Radicali e giocare carta dell’amnistia di Liana Milella La Repubblica, 26 giugno 2013 È tutta in salita la strada del Pdl sulla giustizia. Più affidata ai proclami e agli annunci che alla concreta possibilità di portare a casa le riforme “epocali” che Berlusconi vagheggia da anni e che ripropone adesso, con il dichiarato scopo di dare una lezione definitiva alle toghe che, a suo dire, “lo perseguitano”. Lo sanno bene anche i senatori e i deputati che si occupano di giustizia i quali, riservatamente, sono pronti a dire che “con questo governo, se dura, e in questa legislatura, se sopravvive, non si realizzerà nessuna delle riforme che da anni fanno parte dei programmi del Pdl”. Eppure, non appena è diventata pubblica la sentenza Ruby, è partito un tam tam pesante, con una minaccia esplicita, “Letta sopravvive se cambia la giustizia”. Subito sono partiti segnali espliciti nei confronti dei Radicali e dei cinque referendum sulla giustizia per “sottoscriverli in pieno”, come dice il capogruppo Pdl alla Camera Renato Brunetta, visto che di mezzo ci sono la separazione delle carriere, la responsabilità civile dei giudici, la stretta sulla custodia cautelare e sui magistrati fuori ruolo e infine anche l’abolizione dell’ergastolo, tutti temi da sempre presenti nei programmi Pdl. I Radicali, ovviamente, ringraziano. Interesse scontato anche per l’amnistia e l’indulto, contenuti nella proposta fatta a marzo dal senatore Pd Luigi Manconi, ma firmata anche da Luigi Compagna di Gal, lista che fiancheggia il Pdl, in cui si ipotizzano rispettivamente un’amnistia a quattro anni e un indulto a tre. Esclusi tutti i reati gravi, quindi Berlusconi non potrebbe utilizzarla dopo la condanna per Ruby per via della concussione. Ma entrambe le strade sono irte di difficoltà. I Radicali stanno raccogliendo adesso le firme. Dovranno portarle in Cassazione, che verificherà se il quorum (500mila) è stato correttamente raggiunto. Poi sarà la volta della Consulta sull’ammissibilità. Quindi tempi lunghi, sicuramente ben oltre l’anno. Stesso problema per l’amnistia, che richiede i due terzi, e su cui molti parlamentari del Pd non sono assolutamente d’accordo. In concreto, l’attivismo del Pdl, a spigolare tra i provvedimenti, alla fine sembrerebbe più affidato ad agguati in Parlamento che, sfruttando maggioranze anomale, possano far entrare qualche singola norma a favore del Cavaliere, piuttosto che veri e propri progetti di riforma. Tuttavia l’intenzione di cavalcare qualche puledro utile c’è tutta. E c’è anche l’estrema attenzione a bloccare qualsiasi norma o misura sfavorevole, come dimostra il caso del decreto legge sulle carceri, che sarà approvato oggi in consiglio dei ministri. Ridotto all’osso, privato di tutta la parte sulla sicurezza che il ministero dell’Interno aveva cercato di far passare, il dl perde definitivamente il comma che cancellava la detenzione domiciliare “per qualsiasi reato” per gli over 70 e ne riduceva la possibilità solo a chi ha una pena di quattro anni. Salve invece le modifiche alla Cirielli per reinserire i recidivi nel giro di agevolazioni e permessi. Allo stesso modo c’è massima vigilanza su due capitoli delicati per Berlusconi, la partita dell’ineleggibilità a palazzo Madama e il progetto del Pd di cambiare la legge anti-corruzione, sulla base di un ddl presentato dall’attuale presidente Pietro Grasso. La battaglia comincia oggi nella giunta per autorizzazioni, e due uomini di punta del Pdl, il vice presidente della giunta Giacomo Caliendo e il capogruppo Nico D’Ascola (vice dell’avvocato Niccolò Ghedini da Roma in giù e legale di Giampi Tarantini, il procacciatore barese di escort per il “sultano”), staranno di guardia. La stessa coppia ricompare nella commissione Giustizia dove il presidente Nitto Palma ha affidato proprio a D’Ascola il ruolo di relatore della legge anti-corruzione. Giustizia: Cancellieri; 10mila posti in più entro il 2016, ma l’amnistia sarebbe grosso aiuto Ansa, 26 giugno 2013 Entro il 2016, nelle carceri italiane, dovrebbero esserci 10mila posti letto in più, 5mila dei quali saranno realizzati entro il maggio del 2014”, secondo il ministro della Giustizia. È la “prima tappa del piano carceri finanziato con 400 milioni” anche se “non è sufficiente” per deflazionare del tutto l’emergenza degli istituti di pena. Si tratta comunque, ha affermato il presidente del Consiglio Letta, di una “risposta di dignità del Paese” e alla “emergenza carceraria” che se non affrontata avrebbe portato gli osservatori internazionali a puntare il dito sull’Italia “incapace di gestire dignitosamente la vita nelle carceri”. Per il resto il ministero della Giustizia “sta facendo una grossa attività di studio” per valutare una serie di “depenalizzazioni”. Quando si parla di giustizia resta difficile non parlare di Berlusconi, ma il decreto approvato non toccherà, assicura il ministro, in nessun modo le circostanze legate ai guai giudiziari del Cavaliere, “né a favore né contro”. C’entrerebbe un po’ di più se si arrivasse a un’amnistia che la Cancellieri non solo non esclude, ma vede come un “grosso aiuto” per risolvere l’emergenza carceri. Il ministro precisa comunque che si tratta di una scelta di competenza del Parlamento. La Guardasigilli ha battuto l’accento sulla necessità di “interventi strutturali molto grossi perché tutti sono capaci a mettere i detenuti negli scantinati, ma non si tratta di posti letto che possono reggere davanti alla Corte dei diritti umani”. La ministra, infine, ha battuto l’accento sulla necessità di “interventi strutturali molto grossi perché tutti sono capaci a mettere i detenuti negli scantinati, ma non si tratta di posti letto che possono reggere davanti alla Corte dei diritti umani”. Giustizia: primi commenti di politici e operatori sociali al decreto legge sulle carceri Ristretti Orizzonti, 26 giugno 2013 Antigone: bene approvazione decreto legge e modifica dell’ex Cirielli “Il decreto legge varato oggi dal Consiglio dei ministri contiene misure che vanno nella giusta direzione di decongestionare il sistema penitenziario, afflitto da un sovraffollamento intollerabile. Nel decreto notiamo in particolare l’ abrogazione della legge ex Cirielli nella parte sulla recidiva che tanti danni aveva fatto e tanta responsabilità aveva nell’azzeramento delle misure alternative”. Lo dichiara Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone che si batte per i diritti nelle carceri. “Va sempre ricordato - aggiunge - che vi sono circa 30 mila detenuti in più rispetto ai posti letto disponibili e che le misure presenti nel decreto avranno bisogno comunque di tempo per andare a regime. Bisogna, dunque, tenere alta l’attenzione viste le notizie tragiche che arrivano dalle carceri. Si pensi che nell’ultimo mese nel solo carcere romano di Rebibbia sono morti quattro detenuti e altri tre sono morti nelle carceri napoletane”. Infine, dice ancora Gonnella “oggi, in occasione della giornata dedicata dalle Nazioni Unite alla tortura e alle droghe ci piacerebbe che il governo prendesse di petto questi due temi, da un lato introducendo il delitto di tortura nel codice penale, dall’altro modificando la legge Fini-Giovanardi sulle droghe che punisce in modo indistinto e con la stessa severità consumatori e trafficanti”. Ucpi: provvedimento timido, così si rischia riforma a metà “Un grande viaggio inizia sempre con un primo passo, quello fatto oggi va nella giusta direzione ma è troppo timido”. Così l’Unione camere penali sul decreto legge emanato dal governo che, scrive in una nota, “è importante soprattutto perché dimostra la bontà dei rilievi e delle denunce provenienti dai penalisti italiani riguardo alla sostanziale liquidazione della legge Gozzini posta in essere dalla metà degli anni novanta in poi, abbandonando quella strada - culturalmente regressiva, giuridicamente arretrata, fallimentare dal punto di vista degli effetti sociali - che finalmente viene riconosciuta come sbagliata. Diminuendo le preclusioni ai benefici penitenziari e rafforzando alcune misure alternative, anticipandone l’applicazione quando possono evitare l’ingresso in carcere (quest’ultima è una specifica elaborazione scientifica delle camere penali), le norme licenziate oggi - prosegue l’Unione - si iscrivono in un complessivo ripensamento degli indirizzi fin qui mantenuti ed assolvono ad una duplice funzione: da un lato rafforzano il fine di reinserimento sociale dei condannati attraverso un utilizzo meditato della sanzione detentiva, finalmente iniziando una revisione critica sulla impostazione carcerocentrica del sistema penale, d’altro lato prendono atto che è il rafforzamento delle misure alternative alla detenzione in carcere, e comunque dei benefici penitenziari, a produrre, con il crollo delle percentuali di recidiva, il maggior vantaggio complessivo per la società”. Non si tratta, dunque, di “svuotare le carceri dai colpevoli, ma - spiegano i penalisti - di operare perché esse non continuino a riempirsi. Ma il decreto odierno non è assolutamente sufficiente. Oggi il Governo aveva finalmente l’occasione per voltare pagina, secondo una visione finalmente moderna dell’esecuzione penale, che non indebolisce bensì rafforza la sicurezza collettiva, ma questa scelta doveva essere perseguita con maggior determinazione, senza cedere a suggestioni e ricatti demagogici dei forcaioli vecchi e nuovi, i quali giocano sulla ignoranza dei dati criminologici per meri interessi elettorali. E questo, purtroppo, è accaduto, atteso che le versioni del decreto legge che si sono susseguite in questi giorni hanno perso per strada sia il rafforzamento della liberazione anticipata, sia una decisa modifica dell’art 4 bis dell’ordinamento penitenziario (da abrogare o quantomeno ridimensionare, mentre invece è stato addirittura arricchito di una ulteriore preclusione oggettiva, in maniera contraddittoria rispetto alla filosofia del provvedimento), sia l’applicazione anticipata e provvisoria dell’affidamento in prova al servizio sociale”. Questa rischia di essere “una riforma a metà, per cui sarà fondamentale recuperare l’originaria impostazione nel dibattito parlamentare in sede di conversione. Occorrerà che le forze parlamentari - conclude la nota - dimostrino lungimiranza e coraggio, con una vera e propria operazione culturale che determini un deciso mutamento di rotta in tema di esecuzione penale”. Osapp: dal governo sulle carceri misure importanti ma non decisive “Dal Governo misure importanti, ma non risolutive contro le emergenze penitenziarie.” è questo il primo commento, rispetto al decreto sulle carceri approvato quest’oggi in consiglio dei Ministri, che si legge in una nota a firma di Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). Secondo l’Osapp: “il pur apprezzabile obbiettivo di ottenere per le carceri italiane meno detenuti e più posti letto, sarà vanificato, come nelle precedenti legislature, dalla mancata riorganizzazione della farraginosa e iperburocratica Amministrazione penitenziaria centrale (il c.d. Dap) da tempo povera di idee e lontana dai problemi reali del personale e dell’utenza, nonché principale responsabile della mancata realizzazione di programmi per il pieno reinserimento sociale dei detenuti come stabilito dall’art.27 della Costituzione”. “Altrettanto è da chiedersi - prosegue il sindacato - come si possa sperare di incrementare le incombenze lavorative legate ai controlli e alle attività nei maggiori spazi e nei nuovi immobili destinati alla detenzione, senza nel contempo riorganizzare gli assetti e adeguare gli organici della Polizia Penitenziaria fermi al 1991”. “Purtroppo - conclude Beneduci - nonostante l’apprezzabilissimo sforzo della guardasigilli Cancellieri ed a parte l’ulteriore evoluzione dell’ordinamento penale nel Paese, proprio perché il problema riguarda l’assenza di risultati in ambito penitenziario, l’esperienza ci porta a ritenere che dalle nuove misure si otterranno giovamenti minimi e. comunque, solo temporanei, rispetto a condizioni detentive di grave inciviltà quali, ad esempio, quelle degli istituti penitenziari di Pozzuoli (femminile), di San Vittore, di Busto Arsizio o di Modena in cui celle da 2 posti sono occupate da 6 reclusi con un sovraffollamento del 150% ovvero riguardo alla grande confusione che, sempre grazie alle indecisioni del Dap, attualmente affligge rilevanti strutture penitenziarie quali quelle romane di Regina Coeli e di Rebibbia”. Sappe: serio rischio che decreto inciderà ben poco su criticità sistema “C’è il serio rischio che il Decreto Legge approvato oggi in Consiglio dei Ministri per risolvere i problemi penitenziari si riveli ben poca cosa rispetto alla complessità del problema, Cosi come ribadiamo di non credere che l’amnistia possa essere il provvedimento in grado di porre soluzione alle criticità del settore. Quel che serve sono vere riforme strutturali sull’esecuzione della pena: riforme che non vennero fatte con l’indulto del 2006, che si rileverò un provvedimento tampone inefficace del quale però beneficiarono quasi 36mila soggetti, 29mila dei quali uscirono dalle carceri. Il sovraffollamento degli istituti di pena è una realtà che umilia l’Italia rispetto al resto dell’Europa e costringe i poliziotti penitenziari a gravose condizioni di lavoro”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. Capece sottolinea che “il personale di Polizia Penitenziaria (sotto organico di 7mila Agenti) è stato ed è spesso lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensioni, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Ci vogliono riforme strutturali, che depenalizzino i reati minori e potenzino maggiormente il ricorso all’area penale esterna, limitando la restrizione in carcere solo nei casi indispensabili e necessari. Sul progetto dei circuiti penitenziari studiato dall’Amministrazione penitenziaria non ci sembra la soluzione idonea perchè al superamento del concetto dello spazio di perimetrazione della cella e ad una maggiore apertura per i detenuti deve associarsi la necessità che questi svolgano attività lavorativa e che il Personale di Polizia penitenziaria sia esentato da responsabilità derivanti da un servizio svolto in modo dinamico. Oggi tutto questo non c’è ed il rischio è che un solo poliziotto farà domani ciò che oggi lo fanno quattro o più Agenti, a tutto discapito della sicurezza. Il progetto elaborato dal Capo DAP Tamburino e dal Vice Capo Pagano in realtà non prevede affatto lavoro per i detenuti e mantiene il reato penale della ‘colpa del custodè. È quindi un progetto basato su basi di partenza sbagliate e non è certo abdicando al ruolo proprio di sicurezza dello Stato che si rendono le carceri più vivibili”. Marroni: decreto Cancellieri è il primo passo, ma forse occorreva più coraggio “Senza dubbio, il Decreto carceri rappresenta l’inizio di una nuova stagione di tutela dei diritti dei detenuti e delle loro prerogative garantite dalla Costituzione. Ma occorreva più coraggio per dare un segnale inequivocabile della volontà di affrontare e risolvere i problemi delle carceri italiane”. Lo dichiara, in una nota, il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni commentando il testo del Decreto carceri approvato oggi dal Consiglio dei Ministri. “La novità - ha aggiunto il Garante - è che il testo varato dal governo sembra voler imboccare una strada nuova: quello della decarcerizzazione del sistema, interrompendo così una produzione legislativa che, dalla metà degli anni Novanta, ha previsto la carcerazione come pena regina producendo sovraffollamento e condizioni insostenibili per i detenuti, per gli agenti di polizia penitenziaria e per quanti vivono e lavorano quotidianamente in carcere. Le misure approvate oggi sono importanti, ma non bastano. Per questo, non rinuncio alla speranza che il Parlamento possa migliorare il Decreto, andando ad incidere a fondo su quelli che sono i veri nodi del sistema carcerario italiano”. Uil-Pa: il decreto da solo non basta, servono anche amnistia e indulto “Su un punto occorre essere chiari e responsabili : il cosiddetto decreto carceri all’esame del Governo costituisce, certamente, un importante ed apprezzato atto di attenzione verso una delle più delicate questioni sociali, qual è l’emergenza penitenziaria, ma non può essere rubricato tra gli atti risolutivi di quella emergenza” È quanto sostiene Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari. “Purtroppo per troppi anni l’attenzione al carcere, ai suoi drammi ed alle sue criticità, è stata regolata da un pendolo emotivo che non sempre ha consentito di legiferare con logica efficiente. Troppo spesso più che a risolvere le gravi questioni che affliggono il sistema penitenziario, con norme specifiche ed utili, si è pensato alla pancia dell’elettorato in nome di un equivocato allarme sociale. Ben vengano, quindi, i necessari correttivi alla Cirielli; ottima l’eventuale estensione della messa in prova anche per detenuti adulti e quant’altro prevede il decreto. Ma - dichiara Sarno - perché l’Italia sia al riparo dalle condanne comminate dalla Cedu per il trattamento inumano e degradante serve ben altro e molto di più. Per quanto ci riguarda, dall’alto della nostra conoscenza e della nostra competenza, non possiamo non ribadire che, in attesa dell’auspicata riforma complessiva del sistema Giustizia, l’unica soluzione che consentirebbe di far rientrare nei parametri di legalità il sistema carcere è un provvedimento di indulto e amnistia. Le circa 24mila presenze in esubero rispetto ai posti effettivamente disponibili (43mila) determinano condizioni di inciviltà detentiva non consone ad un Paese civile”. D’altro canto è sotto gli occhi di tutti - osserva il Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari - che il moltiplicarsi di malattie infettive, le difficoltà a garantire cure sanitarie efficienti, il grave e preoccupante fenomeno dei suicidi (benché vi sia un trend in calo), i numerosi decessi per cause naturali, l’impossibilità di articolare percorsi riabilitativi attraverso attività socio-pedagogiche, la mancanza di spazi determina quelle condizioni di inciviltà ed inumanità sanzionate dalla Cedu. Ancora una volta, però, non possiamo non sollecitare ad una più attenta e puntuale osservanza della norma che prevede le espulsioni sia in fase di patteggiamento che quale misura alternativa alla detenzione. Norma già esistente ma poco applicata, nonostante le notevoli potenzialità deflattive del sovraffollamento carcerario che potrebbe produrre”. Giustizia: dal Forum per la Sicurezza Urbana, sette proposte contro affollamento carceri Ansa, 26 giugno 2013 Sette proposte per un salto di qualità nella lotta al sovraffollamento delle carceri. Le ha formulate Giorgio Pighi, sindaco di Modena e presidente del Forum italiano per la sicurezza urbana, in un intervento pubblicato sul sito della Fisu (www.fisu.it) in vista dell’assemblea generale del Forum europeo per la sicurezza urbana, a Cascais (Portogallo) giovedì e venerdì. Nell’intervento, Pighi parte dalla valutazione delle disposizioni che stanno per essere varate dal Governo, utili per risolvere alcune situazioni ma insufficienti “per eliminare ritardi, disuguaglianze e incongruenze da tempo denunciati nelle alternative alla detenzione”. Le sette proposte puntano a semplificare i procedimenti. Andrebbero unificati quelli per la sospensione delle pene fino a 3-4 anni con quello che disciplina l’applicazione di detenzione domiciliare per le condanne fino a un anno e sei mesi. Tutte le decisioni sulle misure alternative, inoltre, andrebbero prese prima dell’esecuzione della pena con competenza monocratica del Magistrato e non del Tribunale di sorveglianza. La detenzione domiciliare, si legge, bisognerebbe poterla applicare con la sentenza di condanna e non in fase esecutiva. Le interdizioni potrebbero diventare pena principale e non accessoria, evitando così inutili pene detentive. Rispetto alle misure alternative alla detenzione, la Fisu propone di disciplinare le funzioni dei servizi sociali dei Comuni prevedendo però apposite risorse. Per i reati commessi ai danni di persone conviventi o in conflitto con il condannato, oppure per chi non può uscire dal carcere per mancanza di alloggi, infine, si propone di prevede nuove modalità di affidamento in prova e di detenzione domiciliare lontano dalla residenza abituale. “L’impegno per rendere più civile e più umano il nostro sistema carcerario ed evitare i costi sociali di nuovi provvedimenti di clemenza - conclude Pighi - passa attraverso riforme che siano capaci di tenere assieme la coerente articolazione del sistema con la salvaguardia delle esigenze di sicurezza dei cittadini”. Lettere: Castorina e Ventricelli (Pd) intervengono sulla situazione delle carceri www.zoomsud.it, 26 giugno 2013 La Corte europea dei diritti dell’uomo con la pronuncia del 27 maggio scorso, ha rigettato il ricorso dell’Italia avverso la sentenza emessa l’8 gennaio dai giudici di Strasburgo, divenuta oggi definitiva, con cui il sistema penitenziario nazionale era stato condannato per trattamento inumano e degradante inflitto agli ospiti delle strutture carcerarie. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato incompatibile l’attuale situazione carceraria italiana con l’art. 3 della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo (proibizione della tortura e di trattamenti inumani o degradanti). La magistratura di Strasburgo fa espresso riferimento al sovraffollamento nelle carceri e ai disagi che ne derivano, definendoli problema strutturale e sistemico. L’Italia ha un anno di tempo per trovare una soluzione al sovraffollamento carcerario e introdurre una procedura per risarcire i detenuti che ne sono stati vittime. A fronte di una capienza complessiva di 45.588 unità, le carceri italiane ospitano ad oggi 66.009 detenuti (dati rapporto Antigone). In quasi tutti i penitenziari italiani si assiste a scene degradanti, con fino a 8 persone stipate in celle ideate per quattro o addirittura due. Dopo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul sovraffollamento nelle carceri italiane anche il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa fa pressione sul governo italiano. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, garante della Costituzione, che all’art. 27 prevede un trattamento carcerario umano e rispettoso dei diritti fondamentali, in un messaggio inviato il 7 giugno al capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, per la ricorrenza del 196° anniversario della fondazione del Polizia Penitenziaria, ha auspicato “che il parlamento e il governo assumano rapide decisioni che conducano a dei primi risultati concreti”. Per rispondere nei termini e nei contenuti alle richieste della Cedu, non può essere perseguita la sola via della edilizia penitenziaria, ma necessita del supporto normativo di tipo sostanziale, processuale e penitenziario. Inoltre il sovraffollamento delle carceri non è solo un problema di risorse, ma mette in gioco la credibilità democratica del nostro paese. Sulla base di queste consapevolezze, l’Associazione Antigone, impegnata sul campo della tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale, ha elaborato tre proposte di legge di iniziativa popolare, sostenute da un vasto Cartello di organizzazioni e associazioni impegnate sul terreno della giustizia, del carcere e delle droghe. La prima propone l’inserimento nel Codice Penale del reato di tortura, secondo la definizione data dalla Convenzione delle Nazioni Unite; la seconda interviene in materia di diritti dei detenuti e di riduzione dell’affollamento penitenziario; la terza si propone di modificare la legge sulle droghe nei punti meramente repressivi e privi di finalità rieducative, atteso che una grande parte dei detenuti sconta la carcerazione inerente i reati previsti dalla legge sulle droghe. L’introduzione del reato di tortura è sorretto dalla necessità di tutelare i diritti umani e la dignità delle persone indagate e poi detenute, intervenendo sulle pratiche di polizia. La violenza di un pubblico ufficiale nei confronti di un cittadino non è una violenza privata. Inoltre, nella proposta, è previsto un organismo indipendente di controllo di tutti i luoghi di detenzione (carceri, Centri di identificazione ed espulsione di stranieri, commissariati e caserme),denominato Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o sottoposte a misure restrittive della libertà personale da un’autorità pubblica. Sotto il versante penitenziario, la seconda proposta rivitalizza l’uso delle misure alternative alla detenzione, attraverso un utilizzo razionale e universale delle stesse, che consenta di evitare il carcere e di liberare diverse migliaia di persone restituendole alla vita normale e al territorio, secondo lo spirito originario della legge penitenziaria. Poiché un sistema penitenziario legale deve contenere tanti detenuti quanti sono i posti letto, la proposta prevede la conversione dell’ordine di esecuzione nel caso di carenza di disponibilità di allocazione dell’istituto di detenzione. La terza proposta affronta in maniera organica il tema delle droghe, oggi trattato con le armi semplificate della repressione. Nell’ordinamento attuale il contrasto al fenomeno delle tossicodipendenze è affidato in larga parte al sistema penitenziario. Ormai da tempo il numero di tossicodipendenti che transitano annualmente dalle carceri è così alto da superare la cifra complessiva di coloro che sono presi in carico dalle comunità terapeutiche. Nei casi delle droghe leggere il ricorso al carcere fa sprofondare le persone in un circolo vizioso, fatto di crescente esclusione da cui sembra impossibile uscire, come dimostrano i tassi di recidiva dei tossicodipendenti che scontano la propria pena in carcere. È un costo inutile per la collettività e un passo ulteriore verso l’esclusione di queste persone. I tassi di recidiva per chi sconta la propria pena in misura alternativa sono molto più bassi, ed i costi di gestione del sistema delle misure alternative sono molto inferiori a quelli del sistema penitenziario. La proposta prende atto di ciò e tenta di invertire la rotta. Per tutte queste ragioni, scendiamo in campo e ci mettiamo la faccia, insieme all’associazione Antigone per sostenere le tre proposte di legge e invitare i cittadini a sottoscriverle. Le condizioni di vita nelle carceri italiane non sono degne di un Paese civile. Il sovraffollamento rende difficile esigere il rispetto dei diritti umani e favorire le opportunità di reinserimento. L’emergenza è tale da far ritenere la questione penitenziaria prevalentemente una irrisolta questione sociale e di democrazia. Da qui l’importanza, ma anche l’urgenza, di tradurre in un testo di legge le tre proposte, al fine di ridare voce e diritti ad una grande parte della nostra popolazione. Noi non intendiamo essere complici, neppure per omissione, di questo vuoto di democrazia. Sottoscriviamo le tre proposte e invitiamo tutti e tutte a fare altrettanto. Toscana: Margara lascia incarico Garante detenuti, sostegno unanime all’attività svolta Ristretti Orizzonti, 26 giugno 2013 Alessandro Margara ha rassegnato le sue dimissioni dall’incarico di Garante dei detenuti della Toscana. Lo ha reso noto oggi in Consiglio regionale il presidente della commissione affari istituzionali Marco Manneschi (Idv), illustrando all’aula l’attività svolta dal garante nel 2012. Per esprimere apprezzamento per il lavoro svolto lo scorso anno dal garante, il consiglio ha approvato all’unanimità una risoluzione presentata dalla commissione guidata da Manneschi. Il documento esprime apprezzamento e ringraziamento per l’impegno svolto da Margara. La risoluzione ribadisce inoltre l’impegno, assunto con la legge istitutiva della figura del Garante del 2009, a contribuire ad assicurare la finalità rieducativa della pena, il reinserimento sociale dei condannati e l’effettivo godimento dei diritti civili e sociali, nonché la rimozione degli ostacoli al godimento di tali diritti all’interno delle strutture restrittive della libertà personale. Nella relazione, il Garante aveva svolto un resoconto delle attività svolte, fotografando la situazione carceraria e i problemi che affliggono la sua popolazione, derivanti in primo luogo dal sovraffollamento. Al centro del suo intervento: lo scarso utilizzo di misure alternative, la pesante riduzione delle risorse economiche, che compromettono il recupero ed il reinserimento sociale dei detenuti, la necessità di un’applicazione estesa delle misure alternative, dal lavoro esterno alla semilibertà per i tossicodipendenti. Terni: muore suicida un detenuto romeno di 32 anni Ristretti Orizzonti, 26 giugno 2013 Un detenuto romeno di 32 anni si è suicidato ieri sera intorno alle 19 nella sua cella del carcere di Terni. Ne dà notizia il Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria). “È l’ennesima triste notizia che ci troviamo a commentare - commenta Donato Capece, segretario generale del Sappe. “Il suicidio - osserva - costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze”. La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi è quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere, argomento rispetto al quale il Sappe è da tempo impegnato”. “Si pensi - aggiunge - che nel solo 2012 ci sono stati in carcere 56 detenuti morti per suicidio (30 italiani e 26 stranieri) e 97 decessi per cause naturali (82 italiani e 17 stranieri). I suicidi sventati sono stati 1.308”. “Nella situazione in cui versa attualmente il pianeta carcere - prosegue Capece - gli eventi critici potranno solo che aumentare in modo esponenziale e l’operato del personale di Polizia Penitenziaria risulterà vano se non si troverà una celere soluzione a tutte quelle criticità legate alla maggior parte degli istituti penitenziari italiani”. Altro che la vigilanza dinamica del Capo Dap Tamburino e del Vice Pagano, che mantiene la colpa del custode e sopprime i posti di servizio a tutto discapito della sicurezza. Altro che il Garante dei Detenuti che la Regione umbra vorrebbe istituire, che non serve a nulla perché già oggi sono molte le tutele per i ristretti. Se la già critica situazione penitenziaria del Paese non si aggrava ulteriormente - conclude - è proprio grazie alle donne e agli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria. Poliziotti, è bene ricordarlo, i cui organici sono carenti di circa 7mila unità e che mantengono l’ordine e la sicurezza negli oltre duecento Istituti penitenziari a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato, lavorando ogni giorno, ogni ora, nel difficile contesto penitenziario con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità”. Monza: muore in carcere a 22 anni per “arresto cardiocircolatorio”, la mamma chiede verità Ristretti Orizzonti, 26 giugno 2013 Francesco Smeragliuolo aveva solamente 22 anni ed era stato arrestato il 1° maggio scorso per una rapina. È morto nel carcere di Monza sabato 8 giugno, ma la notizia ci è arrivata solo oggi, grazie alla denuncia della madre del giovane, Giovanna D’Aiello. La signora D’Aiello chiede con forza di conoscere la verità sulla morte del figlio: “Sono sicura che non è morto di morte naturale, i suoi organi erano sani. Dopo averlo visto a colloquio in carcere, il lunedì prima della sua morte (3 giugno, ndr) avevo fatto presente che mio figlio stava male. Ha perso sedici chili in un mese. Avevo chiesto lo mettessero in una struttura adeguata, che lo aiutassero. Lui non aveva problemi di salute. Se aveva sbagliato, doveva rispondere per quello che aveva fatto, ma non è giusto che sia morto così. Voglio sapere cosa è successo, voglio la verità”. “Io mi rivolgerò a tutti, non mi fermo qui - ha proseguito - perché la morte di Francesco deve servire da monito per tanti ragazzi. Avrei voluto che morisse tenendo la sua mano nella mia. E invece è andata in questo modo atroce”. I famigliari escludono anche l’ipotesi del suicidio. In una lettera recente alla fidanzata Francesco pensava “ai tanti progetti insieme”. Su disposizione del magistrato è stata effettuata l’autopsia, che (per quanto è dato sapere) ha escluso che la morte di Francesco sia avvenuta per cause violente o per intossicazione da farmaci o droghe. Il responso è stato “decesso causato da arresto cardiocircolatorio”. Nel solo mese di giugno sono già 11 i detenuti morti: 4 per suicidio, 3 per malattia e 4 per cause “da accertare”. Da inizio anno i detenuti suicidi sono 27 e il totale dei decessi in carcere è di 85. (Dati dell’Osservatorio permanente sulle morti in carcere). Reggio Calabria: direttrice Maria Carmela Longo; questo è il carcere più difficile d’Italia www.calabriaonweb.it, 26 giugno 2013 Il carcere di Reggio Calabria? “È il più difficile d’Italia. È una città in continuo movimento”. Lo afferma Maria Carmela Longo, direttrice del carcere da dieci anni, che, in un’intervista a “Calabria on web”, il magazine del Consiglio regionale, chiede allo Stato di offrire soluzioni preventive alla sofferenza umana e non di intervenire solo dopo la commissione dei reati. “La prevenzione - dice - sgraverebbe la società dai costi enormi del sistema in cui, proprio a causa del sovraffollamento, si affievoliscono le reali possibilità di applicazione del principio costituzionale di rieducazione”. Il carcere di Reggio nasce nel 1930, secondo i canoni dell’epoca, “con pochissimi spazi per le attività in comune ed ha risentito fortemente, soprattutto negli ultimi anni, della consistente attività giudiziaria e delle forze di polizia. La quasi totalità delle donne sono detenute in sezioni di istituti per uomini. Il che è fortemente penalizzante perché l’istituto penitenziario nasce ed è concepito per l’uomo. La donna ha ben altri bisogni. Ma anche nell’accesso ai benefici le donne devono pagare un prezzo doppio. Il sistema dell’accesso al mondo del lavoro è rivolto prevalentemente al maschile. Tant’è che qui solo due donne hanno usufruito di misure alternative”. È un carcere sovraffollato quello di Reggio? “Siamo - chiarisce a Valeria Bellantoni che la intervista - oltre la capienza ottimale e tollerabile. E non è tanto un problema di spazio vitale a disposizione, ma anche di forte rallentamento dei servizi. Con l’aggravante dell’ambiente in cui il carcere si inserisce. Reggio, pur essendo la mia città, è difficile. Nessun mio predecessore è rimasto più di due anni. Io stessa ho chiesto di essere trasferita, ma mi è stato risposto di no. Lo stesso spessore dei detenuti è di non poco conto. La ‘ndrangheta reggina è la prima in assoluto. Qui abbiamo anche persone e situazioni che sono particolarmente osservate dalle forze dell’ordine, dalla magistratura, dalla stampa, dall’opinione pubblica”. Perplessità suscita la concreta applicazione della pena come recupero: “L’altro giorno il ministro è stato in visita al carcere di Bollate. Lì veramente si applica il principio costituzionale. Perché la struttura lo consente, perché c’è una rete istituzionale che lo consente. Il nostro ordinamento parla di riabilitazione, affidando il compito non all’amministrazione penitenziaria, ma all’intera società. O c’è il contributo di tutte le forze, oppure non è realizzato il principio. Ci sono dei contesti territoriali dove è possibile. Ma anche in Calabria lo abbiamo avuto e mi riferisco al carcere di Laureana di Borrello. Perché lì le istituzioni, le associazioni, la Chiesa hanno realizzato una rete efficace che ha consentito di portare avanti un modello unico. Non in Italia ma in Europa”. “Il carcere - afferma la Longo - ospita una fetta di persone cha hanno compiuto una scelta di vita, il crimine. Di fronte a quella scelta lo Stato risponde adottando un regime consequenziale, che si chiama carcere duro. Ma in carcere la maggior parte delle persone sono imputate, devono ancora essere giudicate e non è detto che siano colpevoli. Poi c’è un’altra grossa fetta che è rappresentata da tossicodipendenti, stranieri emigrati, soggetti con gravi patologie di natura psicologiche per non dire psichiatriche, emarginati. Il carcere è diventato il contenitore di tutto il complessivo disagio sociale. La problematica immigrazione ha il carcere come unica soluzione. Così come la tossicodipendenza, la povertà. C’è uno stato sociale che non offre soluzioni, e si risponde con il carcere perché il carcere è aperto a tutti”. La direttrice parla di “crisi del sistema penitenziario in Italia, perché se è vero che la maggior parte dei detenuti è imputato è perché i processi vanno a rilento. Allora, è lì la causa del problema. Manca in Italia una linea di indirizzo politico preventivo e risolutivo del problema. In Italia non sono state trovate strade e percorsi praticabili per risolvere il problema dell’immigrazione ed abbiamo concepito i centri di prima accoglienza che, se possibile, sono peggio delle carceri, o il carcere. Una delle criticità è determinata proprio dalla presenza degli stranieri. Sono aumentate le evasioni. Sono aumentati i gesti di autolesionismo o i tentativi di suicidio”. “Predichiamo la libertà - dice la direttrice - facendo leva sul nostro fondamento cattolico. Ma siamo un popolo di forcaioli che si fa facilmente condizionare dai giudizi di un’informazione massificata. Siamo fortemente condizionati anche dal modo in cui si presentano le notizie, dalla ricerca del torbido, dal desiderio di punire e vendicarsi a tutti i costi. Basta pensare alle modalità in cui viene data la notizia di un arresto e la modalità in cui viene data, se viene data, la notizia di un rilascio o di un assoluzione. Noi diciamo che chiunque può fare una scelta e cambiare. Ma cambiare da soli, senza avere gli strumenti di rielaborazione di un vissuto e di una sana progettazione futura, non si può”. Sulla legislazione statale che prevede il reinserimento nel mondo del lavoro, la Longo dice “ma lo Stato non assume persone con il certificato penale macchiato”. Milano: Presidente Tribunale; carceri emergenza quotidiana, enti locali affrontino problemi Ansa, 26 giugno 2013 “Non è possibile che del problema delle carceri si parli solo quando diventa emergenziale, in Italia l’emergenza è tutti i giorni: sofferenza e problemi sono quotidiani e su questo bisogna interrogarsi”. Lo ha affermato il presidente del Tribunale di Milano Livia Pomodoro che è intervenuta durante un incontro tenutosi a palazzo Pirelli a Milano, sede del Consiglio regionale della Lombardia, sulle tematiche inerenti le condizioni dei detenuti. Pomodoro ha sottolineato come gli enti locali “debbano affrontare questi problemi trovando delle soluzioni di lungo periodo”. La giurista ha poi spiegato come un buon sistema non possa permettere che “una fetta di società venga abbandonata a se stessa e che sarebbe utile che la Regione si facesse carico di questi problemi”. Presente al dibattito, organizzato dalla fondazione “Casa della carità”, anche don Virginio Colmegna e la capogruppo della lista Ambrosoli Lucia Castellano che ha evidenziato come la commissione speciale situazione carceraria del Consiglio regionale, di cui è vice presidente, punterà su questioni quali “la sanità penitenziaria e il reinserimento socio - lavorativo per i detenuti” e come si debba garantire un “minimo comune multiplo di vivibilità”. Castellano ha, infine, menzionato la questione del sovraffollamento delle carceri, della carenza di personale e della disparità tra la qualità della vita nelle diverse realtà penitenziarie. Busto Arsizio: in carcere turni per stare in piedi, bagni indecenti e docce ogni tre giorni di Sarah Crespi www.prealpina.it, 26 giugno 2013 All’indomani della visita della Commissione carceri regionale lombarda nella struttura di via per Cassano, la parola va ai detenuti. A nome di tutto il folto popolo penitenziario si esprime un gruppo di reclusi, attraverso una lettera inviata alla Prealpina che gronda disperazione. “Qua ci negano i diritti umani: c’è un caldo dal quale non riusciamo a difenderci, la doccia possiamo farla solo tre volte alla settimana, i gabinetti sono vergognosi a causa delle precarie condizioni igieniche. Le pareti sono sporche e rotte dal continuo e massiccio passaggio dei detenuti, siamo costretti a lasciare scorrere l’acqua dei lavandini per rinfrescare le bottiglie dell’acqua da bere. Molti di noi si asciugano con le lenzuola in cui dormono perché mancano gli asciugamani, tanti indossano gli stessi indumenti che avevano il giorno in cui entrarono in cella”. I reclusi affidano il loro appello a una maggiore considerazione al nostro quotidiano nella speranza di un miglioramento: “Venite a vedere come siamo tenuti chiusi, nascosti nelle sezioni uno sull’altro, letti a castello in celle piccole e strette dove per stare in piedi si fanno i turni. Che atteggiamento è quello di tenerci a letto tutto il giorno in attesa di scontare la pena? Perché nessuno riesce a restituire dignità e diritti ai detenuti?”. L’osservazione interna consente una fotografia molto nitida delle condizioni carcerarie: sui tetti crescono le piante e le erbacce, le radici spaccano i soffitti e le coperture. Lo scorso inverno le piogge e il maltempo avevano causato fastidiose infiltrazioni e perdite, tanto che in giro per i corridoi i secchi spuntavano come funghi. “Il nostro piccolo gruppo di reclusi sta cercando di uscire all’esterno e allo scoperto perché si lavori sulle nostre storie di vita comune, su programmi seri che ci consentano il recupero, il riscatto sociale, culturale economico. Così, a fine pena, usciremo veramente da queste scuole delinquenziali che rischiano di ridurci in continua schiavitù degli sbagli e di riportarci di nuovo nelle celle del pianeta carcere”. Una buona notizia arrivata al termine dell’ispezione della commissione carceri è che presto sarà avviata l’attività del reparto di riabilitazione, da anni abbandonato a se stesso. Un grande passo avanti, certo, ma non decisivo rispetto al quadro generale. Scrive, per esempio, un ex detenuto della sezione tossicodipendenti: “Sono stato rinchiuso quasi un anno, passato in una cella al limite della sopravvivenza, nel reparto per tossicodipendenti. La permanenza in questa cella, essendo umida e buia, mi ha comportato la perdita di qualche decimo della vista. Dormivo nella terza branda di un letto a castello, con il costante rischio di cadere e, ogni volta che mi alzavo velocemente, picchiavo la testa contro il soffitto, a mezzo metro dal mio naso”. E per fortuna che amministrazione penitenziaria e volontari compiono sforzi immani per rendere più agevole la permanenza dietro le sbarre. Resta comunque l’emergenza, che può essere risolta solo con una seria opera di ampliamento e riqualificazione strutturale. Brescia: Camera Lavoro; Canton Mombello luogo di tortura, pene alternative per i tossici di Paolo Cittadini Il Giorno, 26 giugno 2013 I sindacati impegnati in una raccolta firme contro le leggi Bossi-Fini e Fini-Giovanardi: “Servirebbe destinare i detenuti tossicodipendenti a programmi riabilitativi alternativi”. La situazione del carcere di Canton Mombello è risaputa. A fronte di una capienza regolamentare di 206 detenuti, che sale a 298 se si considera quella definita dal Ministero come tollerabile, all’interno della vetusta struttura di via Spalti San Marco sono presenti in media tra le 490 e le 495 persone con picchi che hanno superato anche quota 500. Numeri che lo fanno risultare il secondo carcere italiano per problemi di sovraffollamento. Inevitabili le problematiche di convivenza tra detenuti o tra questi ultimi e gli agenti di polizia penitenziaria (è solo di qualche giorno fa l’aggressione ai danni di tre agenti da parte di un detenuto) che lamentano una carenza di organico ormai divenuta endemica. Va meglio a Verziano anche se pure lì i numeri cominciano a preoccupare:142 detenuti per 71 posti regolamentari che salgono fino ai 132 tollerabili. Una condizione finita anche nel mirino della Corte Europea che ha condannato l’Italia per trattamenti disumani e degradanti all’interno delle carceri italiane. “Crediamo che sia necessario introdurre nel codice penale il reato di tortura - spiegano Luciano Pedrazzani e Donatella Cagno della Camera del Lavoro di Brescia in occasione della giornata mondiale contro la tortura - perché siamo di fronte a una situazione di condizione disumana per quanti sono ospitati a Canton Mombello”. La soluzione per i rappresentanti della Cgil bresciana ci sarebbe. “Bisogna lavorare sulle cause di sovraffollamento - spiegano - promuovendo ad esempio le pene alternative. Il Governo sta valutando il decreto svuota carceri (oggi dovrebbe approdare in Consiglio dei ministri) può quindi essere una via a patto che venga fatta con seri criteri”. Per questo la Cgil, anche quella di Brescia, insieme a diverse altre associazioni sta raccogliendo firme (500 quelle solo a Brescia) per leggi di iniziativa popolare che rivedano le leggi Bossi-Fini e Fini-Giovanardi (clandestinità e stupefacenti). “Gran parte dei detenuti si trovano in carcere proprio per reati legati a queste due normative - spiegano Pedrazzani e Cagno - due vere e proprie leggi affolla carceri. Servirebbe destinare i detenuti tossicodipendenti a programmi riabilitativi alternativi ma invece di fare ciò si pensa a tagliare le risorse destinate ai Sert”. Foggia: il Coosp denuncia; nel carcere condizioni disumane per sovraffollamento e caldo Il Mattino, 26 giugno 2013 Negli ultimi giorni disordini e tensioni tra i detenuti del penitenziario di Capitanata ma nessuna soluzione. Si tratta di carenze endemiche. “Chi ha sbagliato deve pagare ma la civiltà di un Paese si vede anche dal livello delle proprie carceri. Io sono per la certezza della pena ma soprattutto per la certezza di garantire la dignità umana a tutti e questo a Foggia è a rischio. È necessario fare qualcosa al più presto”. È emergenza caldo nelle carceri pugliesi, specialmente nel penitenziario foggiano, dove il sovraffollamento ha costituito un elemento aggiuntivo alla situazione già di per sé insostenibile (35° all’esterno), causando tensioni, lamentele e disordini tra i detenuti. La situazione a detta del Coosp (Coordinamento sindacale penitenziario) ha raggiunto il culmine dell’insostenibilità nei giorni scorsi, quando i detenuti hanno cominciato a protestare battendo contro le inferriate fino all’aumento di aggressività contro la polizia penitenziaria. “Gli istituti pugliesi sono sovraffollati del 67% (4.250 detenuti su una regolamentare di 2.400), addirittura il caso più clamoroso è quello di Foggia che presenta un sovraffollamento al 100%: un penitenziario progettato per 370 detenuti ne contiene circa 800. Non solo i sindacati ma anche i cittadini, già tempo fa, si erano attivati per fare appello al Presidente Nichi Vendola, tra questi Michele del Carmine (Segretario Sel, già assessore comunale ai Diritti dell’uomo), che ha sollevato la questione, sottolineando come nel penitenziario foggiano la “carenza strutturale (oltre che infrastrutturale) inerente anche i servizi cosiddetti basilari”. Ragusa: carceri Modica, Mistretta e Nicosia verso chiusura? valutare per evitare disagi Italpress, 26 giugno 2013 In vista dell’esame del decreto sul piano carceri, all’ordine del giorno nel Consiglio dei ministri di oggi, per il quale il Ministro della Giustizia ha dichiarato di voler adottare una linea dura e senza deroghe in virtù della spending review, il parlamentare Nino Minardo ha chiesto che vengano valutati i singoli casi locali con particolare riferimento agli Istituti Penitenziari di Modica, Mistretta e Nicosia. “L’esigenza di valutare le realtà locali - spiega Minardo - è quanto mai necessaria proprio perché in alcuni casi, come ad esempio Modica, si verrebbero a creare disagi notevoli considerando che il carcere di Ragusa è assolutamente inadeguato per ospitare altri detenuti in quanto la struttura è già in sovraffollamento e sono diverse le difficoltà quotidiane non solo per gli stessi detenuti ma anche per gli operatori che da tempo denunciano la carenza strutturale del presidio carcerario. Sarebbe importante invece - sottolinea Minardo - scongiurare la chiusura almeno fino a quando il carcere di Ragusa non sarà adeguatamente ristrutturato e ingrandito e questo sarà possibile grazie ai 71 milioni di euro a disposizione del commissario straordinario per il piano carceri dov’è è previsto l’inserimento dell’Istituto Penitenziario di Ragusa. Solo in alternativa dobbiamo pensare comunque ad una seria riutilizzazione della struttura, cambiando veste giuridica, attraverso l’istituzione, ad esempio, di una casa famiglia per detenute con bambini o ancora una struttura per cittadini stranieri agli arresti domiciliari che non hanno un posto dove poter scontare la pena. Tutto ciò consentirebbe, tra l’altro, una continuità ad operare nella sede di appartenenza agli agenti di polizia penitenziaria”. Lamezia: il Sappe protesta per Festa PolPen presso carcere cittadino svolta sottotono Ristretti Orizzonti, 26 giugno 2013 “Nessuno l’ha saputo, ma sabato scorso si è celebrata nel carcere di Lamezia Terme la Festa della Polizia Penitenziaria. Una Festa senza Autorità cittadine e con i pochi agenti in servizio che ha determinato la vibrata protesta del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. Questa decisione dell’Amministrazione Penitenziaria è una vergogna! Con la scusa della spending review si perde l’occasione importante di valorizzare il ruolo della Polizia Penitenziaria. Addirittura nella cerimonia autoreferenziale che si è svolta a Lamezia Terme la direttrice del carcere ha pensato bene di aggredire verbalmente i nostri dirigenti sindacali che le ricordavano di citare nel suo discorso gli agenti della prima linea, quelli che stanno nelle sezioni detentive 24 ore al giorno, e che fino a quel momento non erano stati citati dalla direttrice stessa! Il Corpo di Polizia Penitenziaria non ha certo bisogno di manifestazioni autoreferenziali ma di cerimonie allargate alla partecipazione dell’opinione pubblica che deve conoscere quali e quante difficoltà operative incontrano le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria nel quotidiano lavoro nelle carceri calabresi. Siamo e dobbiamo essere una Istituzione sempre più trasparente, una casa di vetro, perchè non abbiamo nulla da nascondere, anzi dobbiamo assolutamente valorizzare quello che ogni giorno i Baschi Azzurri fanno nel mondo sconosciuto delle carcere calabresi e di quella di Lamezia Terme in particolare. Totale disapprovazione del primo Sindacato della Polizia, il Sappe, per la scelta di organizzare una Festa nel carcere senza Autorità, senza familiari e persino con i soli agenti di servizio! Questa grave scelta fa tornare indietro di molto la fiducia che il Personale aveva iniziato ad avere nei confronti di un’Amministrazione che dimostra, ancora una volta, di sottovalutare quanto l’aspetto della mancanza di riconoscimento sociale per il proprio lavoro, avvertito dai nostri colleghi, incida in ognuno a mettere in crisi il senso di appartenenza al Corpo e ai suoi doveri istituzionali. Le motivazioni di ordine strettamente economico - non solo non possono essere giustificate, ma sono un vero e proprio insulto ai poliziotti penitenziari della Calabria e di Lamezia in particolare, nonché´ dimostrano il senso di menefreghismo che una parte assolutamente minoritaria di questa Amministrazione, ha nei confronti delle persone che ne rappresentano di gran lunga sia la consistenza strettamente numerica, sia ne garantiscono l’effettivo funzionamento, spesso sopperendo alle lacune che gli altri non sono in grado di colmare”. Firenze: “Teatro e carcere”… così dietro le sbarre la recita diventa vita Il Tirreno, 26 giugno 2013 Il programma “Teatro e carcere” vede la Regione in prima linea. E non solo per la fondamentale esperienza svolto dalla volterrana Compagnia della Fortezza. Fra le altre realtà presenti sul territorio un ruolo non secondario svolge dal 2005 la casa circondariale di Sollicciano, il carcere di Firenze, forte di un gruppo multietnico agguerrito che ora, grazie anche al sostegno della Fondazione Marchi, propone la sua nuova produzione, “Frankenstein. Storia di un corpo”, spettacolo che coinvolge 24 attori detenuti, guidati dalla regista Elisa Taddei. Lo spettacolo che debutta giovedì (replica il giorno dopo) nel teatro collocato all’interno della struttura penitenziaria, prende spunto dal classico romanzo di Mary Shelley, prototipo letterario di alterità e diversità, scontro dialettico fra scienza natura. “Con questo allestimento - spiega Taddei - vogliamo dare voce a Frankenstein attraverso le sensazioni, le storie e le domande che nascono in relazione al corpo. Nel suo essere mostruoso, la creatura di Frankenstein parla della scoperta di un’identità diversa, ma riconducibile a quella di tanti altri, e dunque ci parla anche di condivisione e fratellanza”. Un modo per coinvolgere i detenuti in una storia che da simbolica diventa fortemente realistica. Anche quest’anno sono stati coinvolti i ragazzi delle superiori, in particolare il gruppo di studenti disabili del liceo artistico di Porta romana, che ha curato l’immagine grafica dello spettacolo. Info 055.7372363. I 25 anni della Compagnia della Fortezza Può stabilire delle date, darsi delle scadenze, fissare dei confini temporali o individuare un arco di percorrenza, inteso come inizio e fine, un’esperienza come quella svolta da Armando Punzo nel carcere di Volterra? Di fatto la “sua” Compagnia della Fortezza, formata da attori detenuti, compie 25 anni. Che messi in fila certificano un progetto entusiasmante e documentano l’idea di un “lavoro teatrale”, fra emergenza rappresentativa e esplorazione attoriale, innovativo e rivoluzionario, come mai prima s’era vista in Italia (e non solo). 25 anni, come dire un quarto di secolo, sono una vita e un traguardo. Giusto festeggiarli. Così domani a partire dalle 17 al fiorentino Gabinetto Vieusseux di piazza Strozzi (in attesa del nuovo capitolo della Compagnia in programma a Volterra dal 23 al 26 luglio fra le mura della carcere nel segno di un “tutto Genet”) va in scena una eretica “festa di compleanno”, che è motivo di riflessione per un consuntivo inevitabile ma anche una occasione pratica e concreta di rilancio dell’ultima utopia di Armando: creare il primo Teatro Stabile all’interno di un istituto di pena. Utopia neanche tanto fresca perché sono già una decina d’anni che se ne parla. “Il primo articolo in questo senso - ricorda Punzo - uscì proprio sul Tirreno nel 2004: arrivati a questo punto dovremmo smettere di parlarne e cominciare a discuterne”. L’incontro fiorentino servirà (forse) anche a questo. Ci saranno i rappresentanti delle varie istituzioni (carceraria, regionale, provinciale, comunale) e i testimoni per così dire privilegiati che in tutti questi anni sono stati i giornalisti, i critici, gli studiosi, ma soprattutto ci saranno i protagonisti, gli artefici massimi di quello straordinario processo artistico, ovvero gli attori, un poker formato da Aniello Arena, Franco Felici, Massimiliano Mazzoni, Giuseppe Venuto. I quali diretti da Punzo ricostruiranno e orchestreranno dal vivo alcuni frammenti esemplari di alcuni spettacoli memorabili (da “Pinocchio” a “Hamlice”). E con loro ci sarà anche Mario Francesconi, il pittore e l’artista che quest’anno ha disegnato il manifesto del festival (che a sua volta lo omaggia con una retrospettiva) e accompagnato lo sviluppo creativo del nuovo lavoro puntato sull’universo genettiano. “Sarà il primo movimento intorno al Genet commediante e martire - spiega Punzo - le sue poesie, gli scritti teatrali, i romanzi. Venticinque anni sono un traguardo importante ma noi non ci accontentiamo, si può fare molto di più, possiamo fare molto di più, se solo lavorassimo tutti insieme all’idea di un futuro per questa esperienza. Idea che non può essere solo quella legata agli spettacoli. Perché gli allestimenti sono importanti ma non possono essere tutto. Deve essere chiaro che se il progetto e la compagnia vogliono sopravvivere, e parliamo di un’esperienza che a questi livelli e con questi risultati non ha eguali al mondo, neppure negli Stati Uniti, bisogna creare altre possibilità, dotare il teatro di mestieri e professionalità ad esso collegati. Cosa che può avvenire solo in termini di stabilità. Bisogna strutturare l’esperienza fin qui fatta per evitate che si disperda. Vedo questo e solo questo nel futuro della compagnia”. E nel futuro di Armando Punzo? “C’è quello che ho fatto finora, avverto tutta la necessità di questo tipo lavoro, sono lucido e sempre più convinto che bisogna farlo, portarlo avanti e farlo conoscere quanto più possibile anche per sottrarlo a delle inevitabili letture di comodo”. Pur in mezzo alle tante difficoltà che un’esperienza di questo tipo comporta. “Le difficoltà, i problemi, gli ostacoli da superare sono il mio nutrimento: se così non fosse non potrei sopravvivere in questo universo di dolore e sofferenza che comunque è il carcere”. Ormai diventato la sua casa per quello che è un esilio volontario, forse un ergastolo voluto, certo una scelta di vita. “Siate realisti, chiedete l’impossibile” scandivano i giovani del 1968. Le scaramanzie di Aniello La urlano prima di entrare in scena. Per scongiurare il rischio di “pestarla”, come è tradizione prima di qualsiasi match sportivo. “M….”. Per tre volte la gridano i detenuti attori di Volterra e poi si danno la carica con uno “Spacchiamo tutti” e via sul palco. Oggi come 25 anni fa il motto è sempre quello. “È sempre stato il nostro grido dentro e l’ho utilizzato anche quando ho fatto il film, insieme ad altri gesti, da buon napoletano sono scaramantico”, si guarda indietro Aniello Arena e racconta quel quarto di secolo della sua Compagnia della Fortezza. Quel palco dietro le sbarre che ha lanciato l’ergastolano, dentro per la strage di Barra, nel mondo del cinema a cinque stelle. Prima il ruolo da protagonista nel film Reality di Matteo Garrone, poi la nomination tra i cinque migliori attori per i David di Donatello con tanto di critica del settore che lo voleva vincitore. E per finire l’emozionante faccia a faccia al Quirinale con il presidentissimo Giorgio Napolitano: la Compagnia fondata e diretta dal regista Armando Punzo è anche questo. “Adesso il sogno nel cassetto è fare un film con il mio idolo Toni Servillo che ho conosciuto con Reality e che ho rivisto alla consegna dei David: ma senza Armando Punzo questa mia seconda vita e questo riscatto sociale e morale non sarebbe mai avvenuto”, continua il paladino dei detenuti-attori. Dentro per tutti è “Anie”. È il senior della Compagnia, o come dice lui “il vecchio”: 12 anni fa inizia la sua resurrezione teatrale. E comincia con L’Opera da tre soldi di Bertold Brecht. “Io ho la quinta elementare e ho preso la terza media a Volterra, figuratevi se sapevo cosa fosse il teatro, al massimo avevo sentito parlare delle sceneggiate napoletane - riavvolge la sua prima vita Arena - Dove son cresciuto fare queste cose era da deboli, da femminucce ma ero io che ero tarato”. L’ergastolano deve la sua seconda vita, quella vera, a Punzo e al teatro. “Mi ha preso per mano, mi ha insegnato a guardare le cose da un altro punto di vista, mi ha trascinato sul palco soprattutto all’inizio quando mi vergognavo e mi bloccavo”. Arena parla dall’associazione Carte Blanche dove è assunto, grazie all’articolo 21. Lui, l’associazione, il carcere, Volterra hanno fatto il giro del pianeta grazie all’esperienza della Compagnia della Fortezza, la prima a livello mondiale. Forza, unione, energia i tre collanti che tengono insieme il gruppo. Così il senior Arena prende per mano i giovani attori detenuti: “A loro ci dò i consigli - racconta in partenopeo - ci faccio capire che non basta sapere un testo a memoria, ma va interpretato. Poi Armando fa il resto e ci cuce le parti addosso”. Adesso la Compagnia è alle prese con il prossimo festival VolterraTeatro e il primo studio su Jean Genet: “La prima forza per Armando Punzo siamo noi e viceversa”. Adesso manca ancora un tassello. E tutti i detenuti attori lo desiderano: “Dar vita a un Teatro stabile che creai professionalità vere da spendere nel mondo del lavoro quando usciamo”. Eboli (Sa): “Le canne pensanti”, vanno in scena i ragazzi dell’Icatt La Città di Salerno, 26 giugno 2013 Con un testo dal taglio intenso e drammatico, i detenuti della Casa di reclusione hanno fatto calare il sipario, domenica, sulla rassegna teatrale - di cinque appuntamenti - messa in piedi nella struttura con l’Inner Wheel Club di Battipaglia. Gli attori de “Le canne pensanti”, compagnia teatrale ufficiale dell’Icatt, hanno scelto di affidarsi, per la chiusura del cartellone di “Diversamente liberi”, all’antologia di Spoon River così come è stata cantata da Fabrizio De Andrè nel suo “Non al denaro, non all’amore né al cielo”. Un giudice, un matto, un blasfemo, un ottico, un chimico: c’erano tutti i personaggi della saga, sul palco, e uno tra loro, stiamo parlando del Miché”, è stato interpretato dal poliziotto Michele Ferrarese, aggregatosi ai ragazzi dando prova di una riuscita integrazione collettiva. “Da oggi non sono solo un membro della polizia penitenziaria, ma anche parte di questa casa”: ha dichiarato Ferrarese sul palco. I proventi raccolti dalla campagna abbonamenti saranno devoluti a favore della realizzazione di un laboratorio di pelletteria, a cura di Sabatino D’Amato, che consentirà ai detenuti di sviluppare, tramite l’utilizzo di macchinari sofisticati, un’attività già collaudata nei mesi scorsi, manualmente. Tra i testi recitati, uno in particolare, sul personaggio di “Bocca di Rosa”, è stato scritto dalla direttrice dell’Icatt, Rita Romano. “Grazie alla generosità del pubblico - ha dichiarato Gabriella Nicastro, presidente dell’Inner Wheel - abbiamo potuto inoltre acquistare nuove attrezzature teatrali”. Stati Uniti: il Texas alla cinquecentesima esecuzione capitale dal 1976 9Colonne, 26 giugno 2013 Oggi lo Stato del Texas si appresta a raggiungere un discusso traguardo con l’esecuzione della detenuta Kimberly McCarthy. La donna, condannata per l’omicidio di un professore 71enne e destinata all’iniezione letale, sarà la 500.ma vittima della pena di morte in Texas dal 1976, anno in cui la Corte Suprema l’ha resa costituzionale. Come spiega Usa Today, il Texas esegue in media una condanna a morte ogni tre settimane e ha concesso una sola grazia proprio nel 1976. Nel braccio della morte ci sono attualmente 282 condannati, tutti colpevoli di omicidio. Due recenti sentenze della Corte Suprema potrebbero costringere lo Stato a mettere un freno alle esecuzioni e risparmiare la vita di alcuni detenuti, commutando la pena in ergastolo per i minori di 18 anni e i mentalmente instabili. Cina: attivista suicida in carcere, ma famiglia non ci crede Ansa, 26 giugno 2013 Per la polizia cinese Zhang Liangxian, un attivista morto in carcere, si sarebbe suicidato, ma la famiglia non ci sta e chiede verità e giustizia. Secondo quanto riferisce il sito di Radio Free Asia, la fidanzata e i familiari del trentaquattrenne attivista cinese sono convinti che dietro la morte del loro congiunto ci sia qualcosa di più. Zhang Liangxian, 34 anni, è morto nella città di Loudi, nella provincia centrale cinese dell’Hunan mentre si trovava in carcere lo scorso 30 maggio. La polizia ha dichiarato che si è impiccato. “Ma ci sono un sacco di contraddizioni - ha spiegato la fidanzata dell’attivista, Wei - dal carcere mi hanno chiamato al mattino alle 9 dicendomi che Zhang voleva uccidersi ma poi dopo neanche due minuti hanno richiamato e hanno detto che era già morto”. Secondo poi quanto ha riferito uno zio del defunto, la polizia ha chiamato alcuni parenti per andare ad effettuare il riconoscimento della salma ma non ha consentito loro di fare foto al corpo. I parenti inoltre hanno detto di aver notato strani lividi verdastri sul corpo e abrasioni sulle mani. “Il rapporto fatto dalla polizia - ha commentato Zhang Shibin, zio dell’attivista - contiene alcuni elementi che ci hanno fatto sorgere molti dubbi. Parlano del fatto che si sia impiccato alla cornice di una porta che è alta 2 metri mentre lui era altro 1,74, toccava quasi con i piedi per terra. Inoltre dicono che ha usato per impiccarsi degli abiti arrotolati ma non è possibile perché aveva una maglietta a mezze maniche e un pantalone corto, gli mancavano i mezzi materiali per uccidersi in quel modo”. La morte di Zhang Liangxian ha fatto tornare alla mente un caso analogo, verificatosi esattamente un anno fa, nel giugno 2012, quello della morte dell’attivista Li Wangyang, suicidatosi, secondo le autorità cinesi, in un ospedale di Shaoyang, nella provincia meridionale dello Hunan. Alcune foto circolate su internet mostrarono Li Wangyang con una corda al collo ma con i piedi a terra, per cui anche in quel caso la famiglia pensò ad una messinscena. Tuttavia due inchieste successive, condotte a seguito anche di numerose proteste di piazza ad Hong Kong, confermarono la tesi del suicidio.