Giustizia: mercoledì il decreto-carceri, affidamento ai servizi sociali per pene fino a 4 anni di Fiorenza Sarzanini Corriere della Sera, 22 giugno 2013 I detenuti che devono scontare gli ultimi quattro anni - e non tre come è attualmente previsto - potranno chiedere l’affidamento ai servizi sociali e uscire anticipatamente dalla prigione. Chi invece dovrebbe entrarci per un residuo di pena (sempre fino a quattro anni) rimarrà libero fino alla decisione del giudice di sorveglianza sulla concessione del beneficio, pure se è recidivo. Anche i tossicodipendenti detenuti per reati che non siano strettamente legati alla droga avranno la possibilità di svolgere lavori socialmente utili, tornando dunque in libertà. Sono le principali novità contenute nel decreto sulle carceri messo a punto ieri mattina durante una riunione a palazzo Chigi. L’annuncio sull’accordo arriva dal ministro della Giustizia: “È fatto, mercoledì prossimo lo vareremo”. Dopo giorni di polemiche e tensioni sui contenuti del provvedimento, Anna Maria Cancellieri chiede e ottiene l’impegno dell’Esecutivo al varo della riforma che dovrebbe portare fuori dalle celle migliaia di reclusi. E soprattutto impedire che altre migliaia ne entrino nei prossimi mesi. Adesso bisognerà vedere se il ministro dell’Interno Angelino Alfano manterrà la sua firma in calce o se invece chiederà che al Consiglio della prossima settimana vengano portati due testi diversi, sganciando quello sulle carceri dalle modifiche di legge in materia di violenza domestica, mafia e stadi messo a punto dai tecnici del Viminale. La scelta di concedere benefici anche ai recidivi contrasta con la linea del centrodestra che quando era al governo li aveva esclusi dai possibili benefici con la famosa legge chiamata “ex Cirielli”. E questo potrebbe dunque essere il motivo del dissenso. Nei giorni scorsi anche i sindacati di polizia avevano manifestato perplessità sull’opportunità di aumentare il numero delle persone detenute ai domiciliari, lamentando carenza di personale da destinare ai controlli. Un problema che gli esperti della Giustizia ritengono però superato dalla certezza che molte di queste persone resteranno invece in libertà o comunque accederanno a circuiti alternativi come il lavoro esterno o l’affidamento in prova perché hanno già dato prova di buona condotta. In via Arenula viene infatti evidenziato come la vera essenza di questo decreto sia la decisione di evitare il rientro in cella di chi è già fuori e aspetta di conoscere il proprio destino eliminando l’automatismo di detenzione obbligatoria per i recidivi sottoposti alle valutazioni del giudice di sorveglianza. Molto più ampio è anche il ventaglio di alternative concesse a chi chiede di scontare gli ultimi quattro anni fuori dal carcere. Finora per ottenere il lavoro esterno bisognava dimostrare di essere regolarmente retribuiti e questo poneva gravi difficoltà, vista la crisi economica in cui si trovano le aziende. Si è così stabilito che queste persone potranno anche svolgere attività socialmente utili o di volontariato, purché dimostrino che si tratta di un impegno stabile. Per i reclusi tossicodipendenti ci sono numerose alternative. Al momento può chiedere il trasferimento in comunità chi è accusato o condannato per reati legati alla droga come la cessione o lo spaccio. Il decreto amplia invece questa opportunità anche a chi ha compiuto altri illeciti, purché dimostri di volersi rendere utile con un lavoro. Giustizia: la legge “fantasma” salva-Silvio arriva a palazzo Chigi, Letta blocca la manovra di Francesco Bei e Liana Milella La Repubblica, 22 giugno 2013 Il “fantasma” che avrebbe dovuto cambiare le regole dell’interdizione prende corpo. È una relazione, che è stata vista e letta da più di una persona nelle stanze dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi. Lì è scritto non solo che l’interdizione potrebbe essere esclusa per alcuni reati, anche gravi, ma che i cinque anni previsti oggi per farla scattare potrebbero essere aumentati. È l’ultimo tentativo, disperato, dei berlusconiani che vogliono a ogni costo salvare il loro capo dall’esito finale del processo Mediaset. Lì sul Cavaliere incombe, oltre ai quattro anni di carcere per frode fiscale, anche l’interdizione per 5 anni. Significa niente Parlamento e niente politica. Repubblica scopre e dà notizia dell’emendamento, gli stessi berlusconiani ne confermano l’autenticità. L’operazione va in crisi. Il primo a mettersi del tutto di traverso è Enrico Letta. Il premier legge i giornali di mattina presto e fa un salto sulla sedia: “Di questa storia non so nulla. Ma è semplicemente un’ipotesi che né è stata, né sarà mai presa in considerazione”. Gli alti funzionari di palazzo Chigi che seguono decreti e disegni di legge vengono messi in stato di assoluta allerta e viene raccomandato loro di guardarsi da qualsiasi emendamento che possa celare una norma e quindi un favore ad personam. La preoccupazione di Letta non è certo casuale. Rivela lo stato d’animo di chi, da un momento all’altro, teme che dai berlusconiani possa arrivare un cavillo giuridico da mettere a sorpresa in un provvedimento per avvantaggiare l’ex premier e alleggerire il carico della sua situazione giudiziaria. Questo avrebbe dovuto essere il testo sull’interdizione. Una chance da giocare subito, durante la costruzione del decreto carceri e sicurezza, oppure da spendere magari dopo, in Parlamento, nel momento migliore della vita di quel provvedimento o di altri simili che si prestino alla bisogna. Magari in aula, com’è avvenuto tante volte, quando il voto segreto su misure che attengono alla libertà personale può favorire un improvviso colpo di mano. Di possibili vagoni utili ce ne sono, oltre al decreto che sarà approvato mercoledì prossimo, ecco il provvedimento ordinario sulle carceri alla Camera o lo stesso ddl sull’anti - corruzione al Senato. Un fatto è certo. Al dà delle smentite - come quella di Niccolò Ghedini, l’avvocato del Cavaliere, che parla di “fantasie”, e delle ironie, come quella del Guardasigilli Anna Maria Cancellieri, che parla di un emendamento “fantastico più che fantasma” - quel documento esiste. Più di una fonte lo conferma, anche se con un certo imbarazzo, a Repubblica. Si tratta di un testo in cui si parla di interdizione dai pubblici uffici e delle possibili strade per modificare le regole attuali. Un testo di cui sono pienamente a conoscenza uomini molto vicini a Berlusconi. Che ieri hanno spiegato la ratio del tentato blitz: “Dopo la sconfitta alla Consulta, lui è stretto tra la preoccupazione per la sentenza di lunedì del processo Ruby e per la sorte in Cassazione del caso Mediaset. Ormai non c’è più tempo da perdere. Per questo stavamo lavorando a una modifica del sistema delle interdizioni”. Chi ci stava “lavorando”? La fonte parla espressamente di “persone molto vicine a Berlusconi”. Sembra alludere espressamente a Ghedini, il quale però piglia pubblicamente le distanze dalla modifica al punto da non conoscerne l’esistenza. Giustizia: Del Rio; inaccettabili leggi ad personam, anche se fosse a rischio vita Governo di Giovanna Casadio La Repubblica, 22 giugno 2013 “Non si possono accettare norme ad personam, nessuno scambio con Berlusconi è pensabile, neppure per la tenuta del governo”. Graziano Delrio, ministro per gli Affari regionali, stoppa qualsiasi tentazione. Ministro Delrio, se la tenuta del governo dipendesse da uno scambio con una norma salva - Berlusconi potreste accettarlo? “No. Certamente no”. Ma il suo partito, il Pd, potrebbe essere tentato? “Il Pd può trovare il compromesso per aiutare i giovani a trovare lavoro; per rendere più efficiente la giustizia. Un compromesso va cercato sulle riforme. Compromesso etimologicamente è una “promessa con”. Perciò va bene se si tratta di rendere più efficiente lo Stato, di costituire il Senato federale... su tutto si discute ma in nome del bene generale. Non per norme ad personam. I partiti, e in particolare il Pd, non possono sacrificare l’interesse collettivo per quello di un singolo”. Neppure per salvare il governo Letta da fine sicura? “Non mi pare proprio che nell’agenda del governo ci siano provvedimenti per salvare l’uno o l’altro”. Tuttavia si parla di una legge blocca - interdizione dai pubblici uffici che, se la Cassazione confermasse la sentenza d’appello sui diritti tv Mediaset, eviterebbe l’esclusione di Berlusconi dal Parlamento e da ogni altra carica pubblica... “Sarebbe veramente sorprendente. Comunque inammissibile. Significherebbe introdurre una norma per dire che le sentenze della Cassazione devono essere eluse”. Eppure molti insistono sulla necessità di una pacificazione nazionale. Per pacificarsi sono ammessi strappi? “Il perimetro in cui si muove il Pd, come quello in cui si muove il governo, è il rispetto della legalità e delle sentenze. Poi, come ho detto, discutiamo di tutto per fare il bene dell’Italia. Ma mai contro la legalità, i poteri della magistratura, la Costituzione. Non si possono ledere o bypassare le sentenze della magistratura”. Le fibrillazioni nel Pd non aiutano la stabilità del governo. In presenza di condanne di Berlusconi potrebbero aumentare? “Non sono particolarmente gravi. Si è avviata una discussione sul congresso. In quello precedente la tesi di Bersani è stata prevalente. Questa volta ci saranno più tesi, si farà un dibattito aperto al di là delle correnti, che non servono a niente”. Giustizia: Rita Bernardini (Radicali); il destino dei detenuti appeso… al lodo Berlusconi di Cristina Giudici www.linkiesta.it, 22 giugno 2013 I veti di Alfano hanno rallentato il decreto carceri per liberare alcune migliaia di detenuti. Ormai è (quasi) certo. Il decreto legge per alleviare il sovraffollamento carcerario sarà il tormentone estivo. Che probabilmente andrà di pari passo con la storia infinita dei processi di Silvio Berlusconi. I veti arrivati dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano, hanno messo per ora in un angolo la volontà del ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, di fare un decreto legge per liberare alcune migliaia di detenuti e provare a innescare un circolo più virtuoso che permetta di affrontare i problemi strutturali del sistema penitenziario. Veti che sembrano avere un secondo fine: il baratto. E così il nodo carceri sembra appeso al “lodo” Berlusconi. Oggi Anna Maria Cancellieri ha detto: “Decreto pronto, sarà in Cdm mercoledì”. Quando si è appreso che il consiglio dei ministri tanto atteso in cui si doveva discutere finalmente dell’annoso problema delle carceri è slittato di nuovo, anche quelli che non hanno fatto dell’antiberlusconismo militante una fede, hanno perso la pazienza. Anche se per prudenza, o per non rendere più difficili le trattative, tacciono, ma, secondo le nostre fonti al ministero della Giustizia, la proposta dell’amnistia avanzata dal ministro della Giustizia, a cui si è opposta, per ora solo la Lega Nord (“Noi siamo per Abele, non per Caino”, ha dichiarato il segretario federale del Carroccio, Roberto Maroni) va in questa direzione: proporre una soluzione, che risolva i problemi delle carceri che non possono essere più rinviati e dare una via di uscita anche al Cavaliere, visto che con l’amnistia verrebbero a cadere le pene accessorie, come l’interdizione. Ovviamente il ministro della Giustizia smentisce che ci siano state pressioni e anzi, rilancia. “Il decreto è pronto, verrà presentato in Cdm mercoledì prossimo”, ha annunciato. Eppure il sospetto di un tentativo di baratto da parte del Pdl anche attraverso altri provvedimenti ci è stato confermato. È giusto che le emergenze del nostro Paese siano ostaggio dei problemi giudiziari del Cavaliere? È lecito sacrificare i diritti civili dei detenuti per poter mettere alla gogna Silvio Berlusconi? Lo abbiamo chiesto a una militante del garantismo giudiziario, Rita Bernardini, dei Radicali italiani. Pare che dietro il nodo carcerario, ci sia un tentativo di uno scambio per dare un aiutino al Cavaliere. Cosa ne pensa? La mia priorità è che si impedisca allo Stato di continuare a torturare i detenuti. E se verrà adottato un provvedimento che può favorire anche Silvio Berlusconi, sa cosa le dico? E chissenefrega. Ciò che importa è che nelle carceri si ristabilisca la legalità. Quindi lei è convinta delle buone intenzioni del ministro della Giustizia? L’ho vista nei giorni scorsi per un colloquio privato e mi è sembrata molto determinata. Fra l’altro io considero la sua proposta di amnistia un atto di coraggio intellettuale. L’amnistia o l’indulto sono le uniche misure, che possono risolvere in modo strutturale il sovraffollamento carcerario. E le dirò di più. Anzi, le do una notizia. Il ministro ha istituito una commissione apposita sulle carceri, di cui fanno parte alcuni magistrati, esponenti del Dap, del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e anche la sottoscritta. Le pare che se il ministro non volesse risolvere il problema, chiamerebbe anche me, che sono una spina nel fianco del sistema penitenziario? Lei però sa che per l’amnistia l’iter parlamentare è piuttosto complesso… Ovvio, che lo so, ma la mia speranza è che si apra un dibattito serio. Chi conosce i problemi del sistema penitenziario, sa che l’amnistia sarebbe l’unica via per risolvere le troppe illegalità, che si consumano in carcere. Ci sono detenuti che hanno diritto a scontare le condanne fuori dal carcere e ricevono l’autorizzazione dai magistrati di sorveglianza solo quando la loro pena è già stata espiata. La metà dei detenuti avrebbero diritto ad usufruire le pene alternative, ma rimangono in carcere. Viviamo in un Paese che considera la detenzione domiciliare come una vacanza, è aberrante! In ogni caso il decreto è stato rinviato nuovamente. Ci sarà un motivo se… Guardi, io non voglio entrare in questa logica. A me non interessa continuare a parlare dei guai giudiziari di Silvio Berlusconi. Io so solo che oggi mi ha chiamato la madre di un detenuto ammalato di Aids, che vive in una cella con uno schizofrenico. E mi ha raccontato che è stato portato in un tribunale per un’udienza che riguardava il divorzio con la sua ex moglie, in manette. Le pare un Paese civile questo? In Francia si sta sollevando un polverone perché ci sono 10mila detenuti in più rispetto alla capienza delle carceri, mentre noi ne abbiamo 30 mila in più. E dobbiamo stare sempre qui a interrogarci sui destini giudiziari di Berlusconi? No, io non ci sto. I Radicali si battono per impedire la tortura nelle carceri italiane. È di questo che bisogna parlare. Punto. Ma lei pensa che si farà il decreto legge sulle carceri? Si deve fare, non ci sono alternative. Lettere: solo le pene alternative possono dare ai condannati vere opportunità di riscatto di Pietro Paolo Boscolo (Avvocato) Ristretti Orizzonti, 22 giugno 2013 Si fa sempre più pressante l’idea che il carcere debba divenire pena residuale nel meccanismo della punizione dei reati, vuoi per insostenibile sovrabbondanza della popolazione carceraria, vuoi per insopportabile ammontare dei costi di gestione degli Istituti, vuoi per necessità di una ricerca morale che sappia elevare il processo dell’espiazione verso più nobili soluzioni. Interessante osservare come, sotto quest’ultimo profilo, la questione si presenti di ben ardua soluzione intellettuale; si tratta, infatti, di riuscire a sottrarre la colpa al più ovvio dei suoi rimedi, quello del castigo, senza incorrere in una contraddizione logica. Lapalissiano è dire che ad un comportamento vissuto da un aggregato sociale come violazione di una regola, debba conseguire una reazione che, unitamente all’evoluzione verso il personale pentimento, contenga una valida efficacia deterrente; così come - in senso contrario - all’espressione di una virtù dovrebbe corrispondere un premio, che ne favorisca la persistenza. Dunque, in che modo punire, se non sottraendo all’uomo colpevole la gioia del vivere, in proporzione umanamente accettabile? A quali meccanismi affidare il principio del recupero, anche in forma morale? Si è letto che, nel carcere romano di Rebibbia, alla presentazione del film “Cesare deve morire” - Orso d’oro al Festival di Berlino - l’emozione più intensa sia scaturita dalle parole di uno dei due formidabili fratelli registi, Paolo Taviani, così testualmente riportate: “è una ingiustizia che questi esseri umani siano allontanati dalla società, dalla famiglia, dalle loro donne”. Abbracciando questa ipotesi, se si trattasse veramente di un’ingiustizia, dovremmo pensare che sarebbe corretto mantenere chi è stato ritenuto colpevole, comunque presente nella società, nella famiglia, vicino alla propria donna o uomo. Nel pieno, dunque, delle sperimentabili possibilità di appagamento che l’esistenza offre, seppur spesso difettosamente. In certo qual modo, garantendo le stesse opportunità dei non colpevoli. Difficile non provare un senso di spaesamento, particolarmente di fronte all’efferatezza di taluni crimini. Infatti, se è innegabile che il percorso di redenzione richieda opportunità di lavoro, di confronto, di colloquio anche affettivo/sessuale e di perdono, è altrettanto indiscutibile che esso non possa mancare, però, la sua natura di condanna. Molto si discute delle cosiddette pene alternative, con la consueta difficoltà di comprendere come quanto è alternativo a qualcosa, possa conservare la stessa natura di ciò da cui deve, per contro, differenziarsi. Senza giochi di parole, cioè, in che maniera la pena possa rimanere tale se diversa da sé stessa. Il tema rappresenta una delle tante diffuse antinomie dei nostri tempi: sobrietà nella crescita, sviluppo nel risparmio, generosità nell’affermazione di sé, gioia nella sofferenza. La conciliazione di queste antitesi sembra impervio ostacolo e certamente costituisce la complessa, moderna fatica di trasformare il linguaggio in modi d’essere che sappiano vivere nella nostra operatività quotidiana. Eppure, proprio in quello stretto spazio di confine tra ossimori, si trova, mai come oggi, il corridoio in cui tentare di esplorare nuove idee, di immaginare nuove soluzioni, di concepire nuovi pensieri. Perfino di inventare nuove pene. In quel piccolo spazio neutro, tra le trincee lungo le quali si fronteggiano le tante contraddizioni del nostro vivere, sta la vera sfida che il decreto annunciato dal Ministro Annamaria Cancellieri sembrerebbe voler accogliere. Senza entrare nei dettagli, non essendo questa la sede opportuna, sul contenuto del pacchetto dei provvedimenti tuttora in corso d’opera, va evidenziato come esso paia decisamente rivolto a snellire il cammino espiativo e a limitare la rigida permanenza del detenuto nell’istituzione carceraria. Dal maggior sconto di pena per la buona condotta, alla più ampia facoltà di sua riduzione da parte della magistratura di sorveglianza, alla rivisitazione di una più elastica idea di detenzione domiciliare, svincolata dall’infamante marchio della cd abitualità nella delinquenza, ad altri benefici penitenziari. Particolarmente degna di nota sembra essere, per il suo richiamo al principio costituzionale della rieducazione del condannato, l’auspicata estensione dell’assegnazione di detenuti (che ne abbiano i requisiti) a lavori e progetti di pubblica utilità, sotto la supervisione dell’Autorità giudiziaria. E molto altro ancora. Temi delicati, complessi ed oggi inevitabilmente gravati dalla prudenza che sempre contraddistingue la novità, ma, ormai, in pieno percorso di studio ed attuazione. Forse una nuova frontiera, con limiti concettuali e confini pragmatici tutti da esplorare, ma certamente di grande interesse e portata socio/politica. Puglia: nelle carceri l’emergenza sovraffollamento è la norma di Laura Leuzzi www.iltaccoditalia.info, 22 giugno 2013 Dal rapporto del garante dei diritti del detenuti emerge una condizione al limite della vivibilità negli undici istituti pugliesi. Dove l’affollamento è al 180% del consentito. Un affollamento pari al doppio del consentito. Condizioni di vivibilità al limite della sopportazione che si ripercuotono sulla possibilità di realizzare percorsi di rieducazione e di reinserimento. Eccessivo carico di lavoro per il personale amministrativo e di sorveglianza. È la condizione di continua emergenza che però costituisce la “norma”, per le carceri pugliesi. Sottolineata nel rapporto sull’ultimo anno di attività (il 2012) dell’Ufficio del garante dei diritti dei detenuti. Il garante, Pietro Rossi, l’ha presentato e discusso di recente in Consiglio regionale. Ma di nuovo c’è poco. Per lo meno per quanto riguarda le condizioni in cui sono costretti a vivere i detenuti ed a lavorare i dipendenti degli istituti. In Puglia ci sono undici istituti di pena. Si trovano a San Severo, Lucera, Foggia, Trani (due sedi, una per i detenuti uomini ed una per le detenute donne, ubicate in due diverse zone della città), Bari, Altamura, Turi, Brindisi, Taranto e Lecce. Ospitano complessivamente 4.145 persone (di cui 210 sono donne e 777 sono cittadini stranieri) a fronte di una capienza massima consentita di 2.459. Significa un sovraffollamento pari al 180%. Il dato della sovrappopolazione è confermato in tutte le strutture di pena del territorio regionale, “caricate” praticamente al doppio rispetto alla propria capienza. Nel dettaglio, Bari ospita 500 detenuti, quando avrebbe capienza regolamentare di 292; Brindisi ne ospita 225 a fronte dei 147 consentiti; Foggia, 724 rispetto ai 371 della capienza regolamentare; Taranto, 630 a fronte del limite di 315. A Lecce, il secondo carcere in Italia per sovraffollamento, dove la capienza massima è di 680 detenuti, se ne contano il doppio: 1.360. Nel rapporto consegnato al Consiglio regionale, Rossi ha sottolineato una situazione di “insostenibile affollamento”, la quale determina il “fallimento della tensione trattamentale e rieducativa di cui al dettato costituzionale dell’art 27”. Ovvero, in una tale condizione di sovraccarico diventa impossibile ogni programma rieducativo, finalizzato al reinserimento dei detenuti in società, una volta lasciato l’istituto di pena. Gli effetti di un tale sovraffollamento si ripercuotono direttamente sui detenuti, ma anche sul personale amministrativo e sugli addetti alla sorveglianza, che invece risultano sottodimensionati rispetto al bisogno. L’unica soluzione “tampone” è, come sempre, il ricorso alla buona volontà ed al senso di “collaborazione reciproca, anche finalizzate - dice il garante - alle soluzioni di problemi, apparentemente di corto respiro (legate alla quotidianità) ma che consentono di alleviare di molto la condizione negletta cui sono sottoposti tutti gli attori”. Un elemento di ulteriore “ingorgo” (così è definito nel rapporto) è costituito dalla presenza, all’interno della casa circondariale di Bari, di uno dei più importanti centri diagnostici e terapeutici del territorio nazionale, il più attrezzato del Sud Italia. Questo comporta un flusso di trasferimenti di detenuti da altre regioni “non sempre - dice il garante - giustificato dall’effettivo svolgimento di azioni diagnostiche adeguate”. La questione “centro diagnostico” ne comporta, strettamente collegata, un’altra: quella legata all’assistenza sanitaria nelle carceri. Nel rapporto si sottolinea infatti la difficoltà a garantire, nelle condizioni di emergenza che caratterizzano gli istituti di pena, il pieno diritto alla salute dei detenuti. “Scuola, formazione e lavoro - continua il rapporto - rappresentano ulteriori traguardi che in parte riescono ad essere raggiunti anche per effetto di una particolare sensibilità espresso dall’Amministrazione regionale, nella misura in cui ha dotato il comparto di strumenti adeguati al raggiungimento del risultato di formare in carcere per anticipare la soglia del reinserimento sociale”. Tuttavia, nonostante gli sforzi della Regione, la mancanza di riforme a livello nazionale mantiene la situazione di vita nelle carceri fortemente critica. I decessi in carcere È la nota più drammatica del discorso relativo alle condizioni di vita nelle carceri. Perché è il campanello d’allarme di un’emergenza a cui trovare rapida soluzione. Chiama in causa l’intero territorio italiano e la Puglia non fa eccezione. Negli anni dal 2000 al 2013 negli istituti di pena italiani sono morti 2.140 detenuti (il dato è aggiornato all’aprile del 2013). Un numero altissimo. Un terzo dei decessi è avvenuto per suicidio: 766 casi. È l’effetto estremo di un sistema inadeguato e da riformare. In Puglia, dal 2012 all’aprile 2013 si sono verificati dieci decessi. Di questi, sei sono stati i suicidi accertati (due a Lecce, due a Foggia, due a Taranto); un decesso è avvenuto in seguito a sciopero della fame (Lecce, 13 maggio 2012); uno per omicidio (Foggia). Due sono i casi da accertare. Un po’ di tempo fa, in seguito al decesso per sciopero della fame di un detenuto presso il carcere di Lecce, il vicedirettore di Borgo San Nicola Giuseppe Renna riferì che, all’epoca, erano circa 40 i detenuti che nella struttura leccese portavano avanti da tempo le loro proteste, attraverso scioperi della fame, nella più totale indifferenza da parte delle istituzioni. Puglia: Pietro Rossi fa il bilancio di un anno da Garante dei detenuti di Laura Leuzzi www.iltaccoditalia.info, 22 giugno 2013 Pietro Rossi è il primo garante dei detenuti in Puglia. Eletto nel 2011 si è trovato davanti ad un intero sistema da riformare. Sede dell’Ufficio inclusa. Un Ufficio da costruire ed un sistema da riformare. È ciò che si è trovato davanti Pietro Rossi, criminologo, il primo garante dei detenuti pugliese. La Puglia è stata la terza Regione in Italia ad eleggere il garante dei detenuti. La sua nomina risale al luglio 2011 (delibera di Consiglio del 12 luglio e successiva nomina per decreto del presidente del 9 settembre 2011). Alla figura del garante viene affidata la protezione e la tutela non giurisdizionale dei diritti delle persone presenti negli istituti penitenziari, negli istituti penali per minori, nei centri di prima accoglienza e nei centri di assistenza temporanea per stranieri, nelle strutture sanitarie in quanto sottoposte al trattamento sanitario obbligatorio. La situazione con la quale Rossi si è trovato a contatto, come riferisce lui stesso nel rapporto sull’attività condotta nel 2012, presentato di recente in Consiglio regionale, è stata drammatica. A partire dalla questione logistica. “L’Ufficio è dotato di una infrastrutturazione basica - scrive nel rapporto - che consente il raggiungimento dei risultati minimi essenziali all’espletamento del carico funzionale. Occorrerebbe migliorare sensibilmente la dotazione informatica e tecnologica. Anche sotto il profilo del decoro della funzione - continua - occorrerebbe rendere compiuto l’arredo con ulteriori acquisizioni di complementi per il complessivo miglioramento funzionale ed estetico”. L’attività del garante si è concentrata in prima battuta sull’organizzazione di ruoli e sulla distribuzione delle mansioni. Sono stati individuati professionisti volontari che, “a titolo oblativo e gratuito”, aiutino il garante nelle sue funzioni e sono stati individuati dei “preposti”, in affiancamento ed anche in sostituzione del garante, per Bari, Foggia, Lecce e Taranto, per aumentare “l’indice di penetrazione dell’attività istituzionale all’interno dei diversi istituti di pena dislocati sul territorio regionale”. Secondo punto, la tessitura delle relazioni istituzionali. Almeno tre le “intersezioni” (così le definisce il garante nel rapporto) nella costruzione della rete dedicata: con il volontariato di contatto (che eroga servizi di assistenza materiale e morale nei penitenziari); con le organizzazioni di impegno culturale civile e politico - sociale; con le imprese sociali e le imprese di profitto che orientano la propria azione alla responsabilità sociale di impresa. Ma l’attività di collaborazione con le organizzazioni ed i diversi Enti del territorio è in costante evoluzione. I primi risultati sono già visibili. Negli istituti dove sono stati individuate le figure dei “preposti” (Bari, Foggia, Lecce e Taranto) è stato possibile mettere a punto una organizzazione funzionale all’ascolto settimanale di una media non inferiore a cinque detenuti; per gli altri istituti il sistema è in corso di perfezionamento. I casi presi in esame dall’Ufficio nel primo anno di attività sono stati oltre cento con un trend di crescita mensile pari a circa il 10%. Prevalentemente le istanze hanno riguardato problemi di territorialità legate all’espiazione della pena e di una più corretta ed agevole gestione delle relazioni familiari. Possono essere gli stessi detenuti a mettersi in comunicazione con l’Ufficio. Il primo contatto avviene per telefono, attraverso un numero dedicato. In genere in quell’occasione si fissa un incontro de visu. Ma anche i parenti dei detenuti possono presentare le proprie richieste all’Ufficio del garante. In occasione di alcune iniziative di animazione ed accoglienza, vengono infatti predisposte delle postazioni che consentono di raccogliere le istanze e i bisogni dei familiari. Lecce: “la cella è piccola”, il giudice di sorveglianza ordina il trasferimento del detenuto di Monica Serra Gazzetta del Mezzogiorno, 22 giugno 2013 “La cella è inadeguata”. Il giudice di sorveglianza accoglie il reclamo e dispone il trasferimento del detenuto. L’ordinanza è stata emessa il 12 maggio scorso dalla dottoressa Maria Gustapane e, inevitabilmente, è destinata a fare scuola. La situazione in cui versa il ricorrente, Franco De Riccardis, 64 anni, di Lizzanello, non è diversa, infatti, da quella in cui si trova la gran parte dei reclusi, e non solo nel carcere di Borgo San Nicola. Alberto Fedele, dirigente della Asl di Lecce, incaricato dal giudice ad eseguire una perizia sulla cella che De Riccardis condivide con altri due detenuti, nell’informativa depositata il 10 maggio scorso, ha dichiarato che “la superficie pavimentata è di 10,17 metri quadrati; vi è sufficiente aeroilluminazione naturale; e vi è un servizio igienico di un metro quadrato”. Condizioni che, come rilevato dal perito, contrastano con quanto previsto dal decreto ministeriale del 5 luglio 1975, che indica i requisiti igienico sanitari dei locali destinati ad abitazioni private. Una normativa che prevede che gli ambienti di vita e di riposo per una persona non devono essere di superficie inferiore a 28 metri quadrati. Almeno14 ad individuo, se nella casa ci sono più persone. Per adeguarsi a questi standard, la cella di De Riccardis, per ospitare tre detenuti, dovrebbe essere di 42 metri quadrati. Norme dello stesso tenore, di natura regionale, regolano gli spazi nelle strutture collettive. Per questo, il dirigente della Asl ha concluso ravvisando il “sovraffollamento dell’ambiente ove è ospitato il detenuto in parola”. Le cifre fanno tremare le pareti dell’Istituto di pena. Adeguarsi ad esse appare pressoché impossibile. “L’amministrazione penitenziaria è costretta ad eseguire l’ordinanza del magistrato di sorveglianza - ha sottolineato l’avvocato Alessandro Stomeo, che assiste De Riccardis - Anche perché una recente pronuncia della Corte Costituzionale, la 135 del 2013, si esprime in tal senso. La questione non era mai stata affrontata in questi termini. La decisione, per la prima volta, è stata assunta dal magistrato, a prescindere da quanto previsto da leggi, convenzioni e raccomandazioni di rilievo internazionale, sulla base della semplice normativa interna. Se si dovesse moltiplicare il numero dei reclami di questo tipo, si porrebbe il problema concreto del trasferimento di decine e decine di detenuti in celle idonee, di cui l’istituto di pena leccese, così come molti altri, non è dotato”. “Il problema si pone in maniera seria - ha commentato Antonio Fullone, il direttore del carcere leccese - anche se la situazione di sovraffollamento negli anni si sta ridimensionando. A Borgo San Nicola, attualmente, sono detenute circa 1200 persone, a fronte delle oltre 1300 del 2012 e delle 1500 del 2011. Per far fronte alla situazione, però, sarebbe necessario un intervento a livello nazionale”. Il detenuto via dalla cella angusta (www.sudnews.it) Decisone storica del Tribunale di Sorveglianza di Lecce. Dovrà essere “spostato in una cella adeguata alla normativa vigente”. Con una decisione di portata storica il Tribunale di Sorveglianza di Lecce getta un raggio di luce sui diritti umani di cui siamo tutti indistintamente portatori, e quindi anche i detenuti, e potrebbe causare un effetto domino sul sistema carcerario italiano, ormai al collasso. L’ordinanza 2013/1324 che non risulta avere precedenti in Italia: il Tribunale di sorveglianza ha accolto il ricorso di un carcerato che condivideva la cella con altri tre detenuti e ha ordinato all’amministrazione penitenziaria di concedere a un detenuto condizioni migliori così come stabilisce la legge, di fatto mai applicata per le condizioni cui é giunto il nostro sistema di detenzione. Non si tratta, come ha sottolineato il difensore, avvocato Alessandro Stomeo, del detenuto originario della provincia di Lecce del problema del divieto di tortura o dell’articolo 27 della Costituzione. La soluzione alla questione é insita, infatti, nel sistema normativo che in particolare all’articolo 6 dell’ordinamento penitenziario e al decreto ministeriale del 5 luglio del 1975, stabilisce delle misure minime per le strutture che ospitano il detenuto. Tali parametri “minimi” evidentemente non sono stati ritenuti sussistenti nel carcere di Lecce dal dirigente della Asl Lecce Alberto Fedele che ha definito “non conformi”, quelli esistenti, alle normative in questione. Per lo “Sportello dei Diritti”, associazione impegnata da anni anche nella difesa dei diritti dei detentuti, spiega il fondatore Giovanni D’Agata, tale decisione se correttamente applicata anche in via analogica alle migliaia di situazioni analoghe che possono essere verificate nella generalità degli istituti di detenzione, potrebbe avere un effetto domino su tutto il sistema carcerario per la miriade di ricorsi che potrebbero essere presentati. Ci attendiamo, quindi, che per evitare ciò, lo Stato italiano s’impegni immediatamente per risolvere l’annosa piaga del sovraffollamento carcerario, con provvedimenti urgenti che contemperino l’esigenza della certezza della pena e del rispetto del principio di Legalità con i diritti umani dei detenuti illegittimamente calpestati. Lecce: il Rapporto di Antigone sul carcere San Nicola; situazione di vivibilità inadeguata di Laura Leuzzi www.iltaccoditalia.info, 22 giugno 2013 Il rapporto dell’associazione sulla casa circondariale di Lecce. Nata per fare da esempio e poi decaduta. Carcere, bocciato. Il giudizio dell’associazione “Antigone - per i diritti e le garanzie nel sistema penale” sulla casa circondariale di Borgo San Nicola a Lecce è negativo. L’associazione monitora le condizioni di vita e l’organizzazione nelle carceri dell’intero territorio nazionale, stilando delle schede. Quella relativa alla struttura leccese non lascia dubbi. Si evidenziano, oltre alle note condizioni di sovraffollamento, anche il declino di una struttura nata, nel 1997, per essere un modello nel sistema, ed anche le insufficienze in vari campi, dall’assistenza medica, all’approvvigionamento dei medicinali, a molto altro ancora. “La struttura versa in una grave condizione di sovraffollamento - si legge nella scheda di Antigone - , ospitando oltre il doppio dei detenuti rispetto ai posti letto. L’istituto era considerato all’epoca dell’inaugurazione un carcere modello, con ampie zone verdi all’interno, un gazebo con giochi per bambini, due campi da tennis e un campo da calcio. A oltre 10 anni dall’inaugurazione, gli spazi verdi all’interno sono largamente sottoutilizzati per mancanza di personale e delle strutture di sicurezza necessarie all’accesso degli spazi. Solo di recente si registra l’apertura di uno dei campi di calcio e la saltuaria utilizzazione delle aree verdi per attività collettive”. Bocciata anche l’attività di formazione organizzata in carcere. Antigone definisce “limitata” l’attività di formazione professionale e “scarse” le opportunità lavorative offerte ai detenuti, “che si riducono sostanzialmente - precisa - alle lavorazioni domestiche”. Inoltre viene riportato un esempio esplicativo delle condizioni di vivibilità cui sono costretti i detenuti. “Per la prima volta in Italia, nel 2011 - scrive Antigone - , un magistrato di sorveglianza di Lecce, Luigi Tarantino, ha accolto il reclamo di un detenuto tunisino ivi recluso che lamentava di essere relegato all’interno di una cella della grandezza di circa 11,50 mq, dotata di un’unica finestra, con annesso servizio igienico privo di finestra, unitamente ad altri 2 detenuti, fruendo di letti a castello, il più alto dei quali situato ad appena 50 cm dal soffittò condannando il ministero della Giustizia, con ordinanza n. 17/10, a risarcire il detenuto di 220 euro. In questi giorni sono state accertate dall’Asl di Lecce carenze funzionali ed igienico - sanitarie negli spazi detentivi del carcere Borgo San Nicola che le ha evidenziate in una relazione inviata al magistrato di sorveglianza Luigi Tarantino: nel gruppo docce sarebbero “presenti carenze funzionali” mentre, in cella, i metri a disposizione sarebbero insufficienti”. Vengono definite insufficienti le ore di consulenza dello psichiatra, tuttavia si evidenzia come le ristrettezze economiche legate al budget non permettano diversamente. Anche il compenso orario dello specialista sarebbe inferiore ai valori di mercato. Insufficiente anche l’approvvigionamento dei farmaci, al punto che le spese per l’acquisto di medicinali come i collutori o simili sono a carico dei detenuti. Tra le note positive, l’illuminazione delle celle, definita “buona”, a differenza dell’areazione “su cui incide negativamente - si legge - il fatto che le celle siano tutte distribuite su un solo lato dei corridoi”. Positive anche le condizioni di pulizia: “il colore molto chiaro delle pareti dà all’insieme l’aspetto non sgradevole. Nella sezione femminile condizioni di maggiore pulizia rispetto alla sezione maschile”. “Nel 2012 si segnala l’attivazione dell’impianto solare già istallato per la produzione di acqua calda sanitaria, costituito da 200 mq di pannelli posizionati sul terrazzo del teatro in grado di soddisfare il 90% del fabbisogno della struttura nei mesi estivi e il 30% nei mesi invernali”. Di seguito la scheda stilata da Antigone sul carcere di Lecce. La riportiamo in versione integrale: La struttura L’istituto è situato al di fuori dell’abitato di Lecce (accanto all’aula bunker del Tribunale), in un’ampia zona di circa 200.000 Mq. La sua apertura risale al 1997. Si tratta di un carcere di ultima generazione con celle pensate per una persona che sono arrivate a ospitarne fino a tre, con l’aggiunta del terzo letto a castello che arriva praticamente a 50 cm. dal soffitto. L’istituto comprende un’area esterna al muro di cinta che ospita un blocco di fabbrica di 6 livelli fuori - terra prospiciente l’ingresso in cui si trovano gli uffici amministrativi, lo spaccio, la caserma degli agenti penitenziari e il blocco di accesso dei familiari ai colloqui. Sempre nella zona esterna al muro di cinta si trova l’ex reparto semiliberi oggi adibito a sezione detentiva sperimentale. Questo si articola su due piani, ognuno composto da 15 celle, per un totale di 30 celle. All’interno della zona recintata si trovano le strutture detentive vere e proprie, con gli annessi servizi (accettazione, matricola, cucine, infermeria, magazzini, lavorazioni, teatro). I corpi di fabbrica destinati alla detenzione sono 4, distribuiti ad “ali di farfalla”, 2 dedicati al reparto circondariale: Blocco C1 organizzato in 4 sezioni a regime ordinario per i detenuti comuni, ognuna dotata di 25 celle, più 10 celle di isolamento; Blocco C2 organizzato in 6 sezioni a regime ordinario per i detenuti di alta sicurezza, ognuna dotata di 25 celle, più 7 celle di isolamento; 2 al reparto di reclusione: Blocco R1 organizzato in 4 sezioni a regime ordinario per detenuti comuni, ognuna dotata di 25 celle; Blocco R2 organizzato in 4 sezioni a regime ordinario per detenuti comuni, ed una sezione di isolamento dotata di 8 celle. 2 delle quattro sezioni in R2 ospitano i detenuti c.d. protetti. Adiacenti a ciascun blocco vi sono i cortili del passeggio. Separato dai blocchi principali, all’interno dell’area recintata vi è anche il corpo di fabbrica che ospita la sezione femminile, attualmente organizzato in due sezioni detentive distribuite su due piani, ognuno composto da 25 celle, la metà delle quali destinate ad ospitare detenute di alta sicurezza; sono presenti 6 celle destinate alle madri detenute insieme alla prole. Il c.d. transito consta di due reparti, ognuno di 9 celle, per un totale di 18 celle. Il reparto Infermeria si articola in due piani: il piano terra ospita nel lato A e nel lato B, ognuno dotato di 7 celle, detenuti con malattie fisiche e/o disagi psicologici, e nel lato C, dotato di 16 celle, detenuti tossicodipendenti. I detenuti tossicodipendenti sono tutti in trattamento metadonico, o subutex o al cover, presentando alcuni problemi di alcool dipendenza. Il primo piano, invece, dotato di 13 celle, è destinato a detenuti con problemi psichiatrici. Il numero complessivo delle celle del reparto infermeria ammonta a 43. L’istituto è dotato di n. 6 cucine: due nel blocco reclusione, due nel blocco circondariale, una nella sezione femminile e una presso il reparto “ex semiliberi” (che ha ospitato detenuti comuni con un residuo pena inferiore ai due anni, chiuso dopo l’intervento del provvedimento di indulto). Una cappella, gestita dal cappellano dell’istituto, Don Raffaele. L’area recintata è dotata di ampi spazi verdi, con due campi da calcio e un’area giardino che è stata recentemente ristrutturata e viene utilizzata per attività collettive. Quanto prima quest’ultima dovrebbe essere utilizzata per i colloqui con i familiari. Il campo di calcio adiacente al Blocco R è da qualche mese aperto e viene utilizzato settimanalmente dai detenuti delle diverse sezioni di reclusione. L’illuminazione delle celle è buona, a differenza dell’areazione su cui incide negativamente il fatto che le celle siano tutte distribuite su un solo lato dei corridoi. Le celle hanno dimensioni standard di 9 Mq. esclusi i servizi igienici. Le docce sono in comune, ospitate in locali da 3 piatti doccia per sezione. Non ci sono interruttori interni alle celle. Buone le condizioni di pulizia dei corridoi e delle pareti: il colore molto chiaro delle pareti dà all’insieme l’aspetto non sgradevole. Nella sezione femminile condizioni di maggiore pulizia rispetto alla sezione maschile. Nel 2012 si segnala l’attivazione dell’impianto solare già istallato per la produzione di acqua calda sanitaria, costituito da 200 mq di pannelli posizionati sul terrazzo del teatro in grado di soddisfare il 90% del fabbisogno della struttura nei mesi estivi e il 30% nei mesi invernali. Con il contributo della Cassa delle Ammende è prevista la realizzazione di alcuni interventi di manutenzione: ritinteggiature dei reparti detentivi; creazione di servizi igienici per disabili; trasformazione degli impianti elettrici delle celle; sostituzione dei flussometri di WC nelle celle. Detenuti Capienza regolamentare: 656, di cui 59 al femminile. Detenuti presenti al momento della visita (28 settembre 2012): 1291; di cui 95 donne; di cui 779 (il 60,3%) definitivi; di cui 286 (il 23%) stranieri. Stranieri: 30% (in maggioranza albanesi e slavi). Tossicodipendenti: 71 detenuti in trattamento sostitutivo; 69 HCV; 3 alcolisti; 16 detenuti affetti da HIV; 4 detenuti affetti da Epatite B; 3 detenuti affetti da Scabbia; 32 detenuti con problemi psichiatrici cronici; circa 300 i detenuti che assumono terapie psichiatriche. Staff Nell’istituto lavorano un direttore, un dirigente equiparato dalla legge Meduri al direttore, sei vicedirettori. L’attuale direttore è in servizio presso il carcere di Lecce dalla fine del 2011. Personale dell’area educativa: 1 funzionario giuridico - pedagogico con funzioni di responsabile Area - Pedagogica; 5 funzionario giuridico - pedagogici effettivi; 1 funzionario giuridico - pedagogico distaccato da Milano; 1 funzionario giuridico - pedagogico distaccato temporaneamente da Melfi; 2 collaboratori amministrativi; 6 esperti psicologi. Personale sanitario: 1 dirigente coordinatore (Dott.Rima), 2 medici incaricati, 10 medici di guardia, 26 infermieri; all’interno è attivo un servizio SerT. Polizia penitenziaria: a fronte di un organico previsto di 763 unità, sono effettivamente in servizio 717 agenti (di cui 52 donne). Volontari Associazione di volontariato “Comunità Speranza” (assistenza detenuti indigenti, laboratorio editoriale “Piano di Fuga”, attività ricreativo - culturali); Volontari della Croce Rossa Italiana (laboratori di cartapesta e decoupage, artigianato femminile); Gruppo GI.FRA Gioventù francescana (laboratorio teatrale, collaborazione al progetto “Lo specchio di Alice” teso a favorire il recupero del ruolo di genitore); Unità terapeutiche Emmanuel, Emmaus, Arcobaleno; Coperativa sociale “Officina Creativa” (gestione lavorazione sartoria presso sezione femminile). Vita quotidiana Svolgimento della giornata tipo dei detenuti: Ore 7.00: sveglia. Dalle 7.00 fino alle ore 7.30: colazione. Dalle 7.30 in poi: pulizia della camera. Ore 8.30: iniziano le attività lavorative, fatta eccezione per le attività della cucina, che iniziano alle ore 6.30. Dalle ore 8.30 alle ore 11.00 e dalle ore 13.00 alle ore 15.00: i detenuti possono accedere ai cortili - passeggio, dove è possibile svolgere attività sportive, oppure possono richiedere di permanere in locali comuni per svolgere attività ricreative. Ovviamente, chi espleta attività lavorativa nelle ore antimeridiane fruisce di tale possibilità nella fascia pomeridiana. Dalle ore 17.30 alle ore 18.30: distribuzione della cena. Dalle ore 24.00 alle ore 7.00: riposo notturno. Contatti con l’esterno I colloqui con familiari e conviventi si svolgono tutti i giorni della settimana, tranne la domenica, dalle ore 8.00 alle 13.30, ed i detenuti vi accedono in giornate predeterminate a seconda del circuito penitenziario di appartenenza, o dell’ubicazione in sezione femminile ovvero in reparto infermeria. I colloqui con i difensori si effettuano tutti i giorni dalle ore 8.30 alle 14.45 e, nei giorni dispari, anche dalle ore 17.00 alle ore 18.30. La sala colloqui si segnala per la ristrettezza degli spazi e la presenza del muro divisorio: i detenuti parlano con i familiari a 50 cm. di distanza gli uni dagli altri; mentre i bambini si siedono a cavalcioni sul vetro di separazione. La sala d’aspetto per i familiari è invece abbastanza accogliente. Sanità Servizio di Guardia medica 24 ore su 24. Personale medico: presenti tutte le branche specialistiche (circa 12) e una psichiatra per 80 ore mensili che opera nell’istituto. La salute mentale: la salute mentale è uno dei problemi più sentiti (sottolineano sia il dirigente sanitario che la vicedirettrice). Pare essere un fenomeno in aumento e rispetto al quale il carcere non sembra avere strumenti adeguati d’intervento. Le ore di consulenza dello psichiatra, a parere del dirigente sanitario, sono insufficienti; non sarebbe però possibile fare di più per le ristrettezze economiche del budget e per il compenso orario allo specialista che risulta inferiore ai valori di mercato. La terapia attualmente più utilizzata sembra essere quella degli psicofarmaci. Farmaci: l’approvvigionamento dei farmaci è considerato insufficiente. Attualmente l’istituto può offrire solo i farmaci di base e l’ASL fornisce quelli relativi alla terapia per i 3 o 4 detenuti Hiv positivi in terapia. Molto spesso sono i singoli detenuti che devono far fronte alle spese per i farmaci (ad esempio i coluttori, utilizzati dai detenuti, non sono forniti dall’amministrazione). Attrezzature: la sala per i raggi X, da tempo quasi completata, non è ancora funzionante per problemi organizzativi. Attualmente i detenuti sono costretti per una semplice radiografia ad essere trasportati all’ospedale di Lecce con notevole dispendio di personale di custodia. Tossicodipendenti: controllo delle condizioni di salute dei detenuti in entrata; secondo il parere del medico i detenuti sono sottoposti a tappeto al test Hiv (non ci viene fatto cenno al consenso informato), alla Wasserman per la sifilide e all’esame delle transaminasi per il rilevamento delle epatiti. Ai tossicodipendenti si somministra metadone in terapia di mantenimento. Eventi critici Nel 2011 si contano complessivamente 178 atti di autolesionismo, compiuti da 77 soggetti di cui 6 donne; 33 tentativi di suicidio, compiuti da 21 soggetti diversi. Nel 2012 si sono registrati due decessi per suicidio, uno a maggio e l’altro alla fine di luglio. Attività e trattamento L’istituto ha un prevalente carattere “circondariale”, ciò non consente l’attivazione di un programma trattamentale particolarmente articolato. L’azione si concentra sul cosiddetto “intrattenimento” e prevede una serie di attività ludico - espressive gestite anche da associazioni e volontari attivi all’interno della struttura. Attività culturali: Laboratorio per il modellamento della cartapesta; laboratorio teatrale autogestito; laboratorio editoriale. Attività ricreative: festa della befana; festa del papà; festa della mamma; festa della donna; laboratorio attività manuali e decoupage. Attività sportive: prima dell’apertura di uno dei campi di calcio, la sola attività motoria concessa ai detenuti era il passeggio negli spazi all’aperto. Menzione particolare merita il Laboratorio Editoriale, attivo da diversi anni, denominato “Piano di Fuga”, da cui trae il titolo il periodico di informazione (bimestrale), alla cui stesura collaborano alcuni volontari appartenenti all’associazione “Comunità Speranza”, facenti capo al cappellano. Confezionato all’interno del carcere dai detenuti è in vendita anche in alcune edicole di Lecce. Per il futuro è prevista l’attivazione, in convenzione con l’UEPE e l’ass. di volontariato “Comunità Speranza” , di un protocollo operativo avente ad oggetto il trattamento dei dimittendi non autosufficienti e privi di riferimenti esterni. Il protocollo di intesa prevede anche la possibilità di accoglienza presso la struttura residenziale “Villa Adriana”. Lavoro e formazione professionale Nel 2011 sono stati organizzati i seguenti corsi professionali: Istallatore e manutentore di pannelli solari; Elettricista di base, che hanno permesso a 30 detenuti di conseguire un attestato di idoneità professionale. Le lavorazioni: sartoria “Officina Creativa”, attiva nella sezione femminile, 8 detenute partecipanti; produzione di prodotti da forno della linea “Buoni dentro”, 5 detenuti partecipanti. Un progetto finanziato dalla cassa delle ammende e denominato “Impresa sociale intramurale” dovrebbe consentire un aumento dell’offerta e del numero di detenuti ammissibili a frequentare i corsi professionali. I detenuti che lavorano all’interno dell’istituto in servizi “domestici” sono 233. L’orario lavorativo è frazionato nel corso della giornata per permettere la consumazione del pasto, che avviene tra le ore 11.30 e le ore 12.30. Ricadute positive nell’impiego lavorativo dei detenuti sono attese anche dall’avvio di una serie di attività di ristrutturazione finanziate dalla cassa delle ammende. Istruzione Nel 2011 sono stati organizzati i seguenti corsi scolastici: 5 corsi di alfabetizzazione, 6 di scuola media di primo grado; 12 classi di ITC per ragionieri (1 prima; 5 bienni 1°/2°; 1 seconda, 1 terza, 1 quarta, 2 quinte, 1 biennio 3°/4°); per un totale di circa 270 impegnati. Catania: deputati in visita al carcere… la sanità per i detenuti a livelli terrificanti di Giovanna Quasimodo La Sicilia, 22 giugno 2013 Visita non preannunciata ieri mattina nel carcere di piazza Lanza da parte di due deputati regionali Alice Anselmo (area Crocetta) e Mario Alloro (Pd), accompagnati dal sindaco di Enna Paolo Garofalo, anche lui del Pd e da tempo impegnato sul fronte dei diritti umani (autore tra l’altro del volume “Diritti umani e tortura, potenza e prepotenza dello Stato Democratico”). Per i deputati neo eletti si è trattato del primo impatto con una realtà carceraria tra le più gravi e lesive dei diritti dei detenuti di tutto il panorama nazionale; ma Garofalo, il carcere di Piazza Lanza l’aveva già visitato altre volte e, inaspettatamente, ieri ha notato alcuni piccoli miglioramenti rispetto al passato. Ma è ancora poco perché le questioni di fondo, le più gravi, permangono tutte. Il carcere di Piazza Lanza - sostengono Garofalo e i due deputati a conclusione della visita - per quanto abbia recuperato alcune criticità del passato, grazie ad alcuni interventi strutturali, contiene ancora il segno della crisi sistema penitenziario. “La realizzazione delle docce nelle camere, ad esempio, come la realizzazione di un nuovo braccio, e gli interventi in corso nell’ex sezione “protetti” - afferma Garofalo - delineano un’attenzione della Direzione non comuine nelle nostre carceri. Ovvio - continua Garofalo - che permangono criticità che il Dap dovrà affrontare per dare la giusta dignità ai detenuti”. Tra le criticità segnalate ad esempio c’è quella della sezione femminile che si presenta in condizioni pessime. “Ma il problema vero - continua Garofalo - resta sempre quello del sovraffollamento, motivo per il quale l’Italia continua ad essere condannata dall’Unione Europea, risultato di una eccessiva “criminalizzazione” di fenomeni come il consumo di droghe o l’immigrazione clandestina”. Secondo quanto riscontrato ieri, in piazza Lanza continuano ad essere reclusi mediamente otto detenuti per ogni cella e in qualche caso 9. “Il sovraffollamento - aggiunge infatti Alice Anselmo - qui ha certamente raggiunto un livello insostenibile ed è causa di una qualità della vita non dignitosa per i detenuti. Le soluzioni non possono che essere demandate al legislatore nazionale, che deve al più presto limitare gli effetti nefasti delle leggi “Giovanardi - Fini” e “Bossi - Fini”, le quali hanno avuto un ruolo preminente nell’aumento del numero delle presenze. E Intanto occorrono interventi urgenti per sostenere le legittime richieste dei detenuti, i quali, per quanto debbano scontare la pena, occorre che lo facciano nel pieno rispetto dei loro diritti umani”. “La situazione della Sanità che abbiamo riscontrato - sostiene Mario Alloro - oggi è terrificante e purtroppo comune nella maggior parte delle carceri siciliane, con i detenuti ammalati confinati in infermeria in attesa di cure che, dovendo provenire dall’esterno, troppo spesso ritardano. E non potrebbe essere diversamente, dal momento che la Sicilia è l’ultima regione in cui la sanità carceraria dipende dal Ministero e non dallle Aziende sanitarie. Su questo fronte, però, in Commissione Sanità dell’Ars abbiamo recentemente approvato all’unanimità, in presenza dell’assessore Borsellino, una risoluzione che impegna il governo ad allineare la Sicilia al resto d’Italia. Ci faremo carico, insieme a tutti i deputati che vorranno partecipare all’iniziativa, di presentare un Odg al Parlamento Siciliano per accelerare il recepimento della norma nazionale”. Anselmo (Udc): subito leggi per migliorare la situazione “Piazza Lanza, per quanto non si tratti di una struttura carceraria delle peggiori tra quelle siciliane, è comunque un esempio delle maggiori criticità del sistema penitenziario - dichiarano Alice Anselmo e Mario Alloro, parlamentari regionali, e Paolo Garofalo, sindaco di Enna, che venerdì hanno effettuato una visita istituzionale alla Casa circondariale. Il sovraffollamento, problema comune a tutte le carceri italiane, ha certamente raggiunto un livello insostenibile ed è causa di una qualità della vita molto peggio che dignitosa per i detenuti, nonostante gli sforzi della direzione”. “Le soluzioni - proseguono Anselmo, Alloro e Garofalo - non possono che essere demandate al legislatore nazionale, che deve al più presto limitare gli effetti nefasti delle due leggi note come Giovanardi - Fini e Bossi - Fini, che hanno fin qui avuto un ruolo preminente nell’ aumento del numero delle presenze. E ancora, la situazione della sanità che abbiamo riscontrato è terrificante, con i detenuti ammalati confinati in infermeria in attesa di cure che, dovendo provenire dall’esterno, troppo spesso ritardano. E non potrebbe essere diversamente, dal momento che la Sicilia è l’ultima regione in cui la sanità carceraria dipende dal Ministero e non dal Servizio sanitario”. “Su questo fronte - concludono - la Commissione Sanità dell’Assemblea regionale siciliana ha recentemente approvato all’unanimità, in presenza dell’assessore Borsellino, una risoluzione che impegna il governo ad allineare la Sicilia al resto d’Italia”. Napoli: Antigone; il Capo del Dap in visita a Poggioreale… verifichi criticità dell’Istituto Comunicato stampa, 22 giugno 2013 Oggi, 22 giugno 2013, viene in visita alla Casa di Reclusione di Poggioreale il Capo del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), Giovanni Tamburino. Arriva a Napoli per una cerimonia di “intitolazione” di Poggioreale a Giuseppe Salvia, Vicedirettore fatto uccidere da Cutolo una trentina di anni fa. Nella Casa Circondariale di Napoli - Poggioreale sono presenti circa 2.800 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 1.430 unità. Ma l’istituto, noto alla cronaca per il problema del sovraffollamento, presenta anche altre forti criticità. “Il 30 maggio 2013, a seguito delle denunce di Antigone, è stata depositata alla Camera dei deputati, un’interrogazione parlamentare con cui si chiedono al Ministero della Giustizia risposte circa la presenza nel padiglione c.d. Avellino destro di detenuti isolati per ragioni psichiatriche, forma di isolamento vietata da diverse circolari dello stesso Dap allo scopo di prevenire episodi di autolesionismo o di suicidio”. È quanto dichiara, Mario Barone, Presidente di Antigone - Campania e componente dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione. “Sarebbe auspicabile che il Dott. Tamburino visitasse il c.d. Avellino destro, onde verificare se le circolari emanate dal Dipartimento di cui è a capo vengono rispettate nella Casa di Reclusione di Napoli - Poggioreale”. Nel frattempo, nel corso di questa settimana, nell’istituto si è suicidato un detenuto sottoposto ad isolamento giudiziario da circa 10 giorni: “L’accoglimento riservato a chi è al vertice dell’amministrazione penitenziaria non sembra essere dei migliori: l’isolamento, sia esso disposto per ragioni disciplinari, sanitarie o giudiziarie, rappresenta un fattore di rischio per l’individuo - detenuto e va limitato fortemente sotto il profilo temporale”, continua Barone . La cerimonia si svolge di sabato perchè in questa giornata non ci sono i colloqui dei detenuti con i loro familiari? È da sempre che donne, anziani, bambini sono costretti ad estenuanti attese sin dalle prime luci dell’alba davanti ai cancelli: “Chiediamo al Capo del Dap di venire a visitare la prigione di Poggioreale in un giorno qualsiasi della settimana, per rendersi conto di persona di questa indecenza” - dichiara Barone - “Se questo è il volto della legalità che lo Stato italiano trasmette a questi bambini, nessun martire della lotta al crimine potrà convincerli che il giusto sta dalla parte della legge”. Ufficio Stampa Associazione Antigone Campania Genova: a Marassi, allarme tubercolosi, detenuto messo in isolamento dopo una settimana di Stefano Origone La Repubblica, 22 giugno 2013 Nuova malattia infettiva diagnosticata in carcere. Il direttore Mazzeo: “Prese tutte le misure”. Dopo la scabbia, scatta l’allarme tubercolosi nel carcere di Marassi. La malattia infettiva è stata diagnostica a un detenuto italiano di 44 anni ricoverato nel Centro Clinico al secondo piano. Il sindacato Uil Penitenziari Liguria parla di scarsi controlli e della possibilità del rischio di contagio su larga scala. “Era in camera con due persone ed è entrato in contatto anche con diversi poliziotti”, racconta Fabio Pagani, il segretario regionale. “Siamo davanti a due situazioni paradossali - aggiunge. La prima, è che gli agenti non sono stati ancora sottoposti ad accertamenti clinici per verificare l’insorgenza di eventuali casi di positività alla malattia, una eventualità che speriamo possa essere scongiurata ma che, purtroppo, appartiene al novero delle ipotesi possibili. La seconda, riguarda i ritardi degli accertamenti. La “Tbc attiva” è stata riscontrata al terzo controllo, quando il detenuto era già in carcere da una settimana. È stato quindi isolato nella Sesta sezione, in una cella singola, ma ormai era troppo tardi”. Il direttore Salvatore Mazzeo, getta acqua sul fuoco. “È un caso ancora sospetto, allo stato non c’è da allarmarsi, e comunque sono state prese tutte le misure di prevenzione”. Una risposta che non tranquillizza il sindacalista Uil. “Piuttosto che minimizzare il problema - aggiunge Pagani, sarebbe stato meglio attivarsi immediatamente per avviare le necessarie azioni di profilassi e di prevenzione. Siamo in possesso di tutta la documentazione medica, la possibilità che il contagio possa riguardare anche il personale è un rischio da noi rilevato sin dal primo momento. Speriamo che le autorità sanitarie e la stessa amministrazione penitenziaria si attivino con efficacia”. Secondo Pagani, la questione sanitaria è un aspetto del dramma del sovraffollamento che interessa il sistema carcere in Liguria. “Nel carcere di Marassi la gestione sanitaria ingenera tante perplessità. Le malattie infettive, il sovraffollamento, e parlo degli 815 detenuti presenti rispetto alla capienza di 430, la carenza di circa 100 poliziotti penitenziari, rappresentano un rischio alle già critiche condizioni del carcere. E non si può far finta di niente di fronte alla mancata fornitura di strumenti di prevenzione al personale e soprattutto l’assenza di sottoporre i lavoratori a periodiche forme di profilassi”. Bari: arrestati due agenti Polizia penitenziaria, secondo l’accusa erano al servizio dei clan Ansa, 22 giugno 2013 Gli arresti sulla base di intercettazioni telefoniche e ambientali e testimonianze di pentiti. Secondo la Procura i due poliziotti mantenevano “rapporti privilegiati ed esclusivi” con alcuni detenuti. Erano conosciuti tra i detenuti baresi come Cartellino Rosso e Franchin la Guardia: si tratta dei due agenti di polizia penitenziaria Giuseppe Altamura, 48enne, di Grumo Appula (poi trasferito nel carcere di Taranto) e Francesco De Noia, 49enne di Bitonto, arrestati su disposizione della magistratura barese per i reati di detenzione e spaccio di droga e corruzione, in concorso con i pregiudicati Vincenzo Zonno, figlio del boss Cosimo e il cittadino albanese Nurce Kafilai. A entrambi i poliziotti la procura contesta il concorso esterno in associazione mafiosa, non riconosciuto dal gip nell’ordinanza d’arresto. Nell’atto si legge che Altamura “attraverso i rapporti privilegiati ed esclusivi” con alcuni detenuti “si assicurava forte considerazione, protezione e rispetto anche da parte degli altri reclusi, tanto da essere considerato uno di loro o comunque tifoso del clan Strisciuglio”. Secondo l’accusa introduceva in carcere droga, nascosta in pacchetti di sigarette, e altri oggetti non consentiti dal regolamento penitenziario in cambio di regali e compensi in denaro (da 200 a 500 euro per ogni panetto da 100 grammi di hashish). Nel 2009 avrebbe anche ricevuto da affiliati al clan Parisi un televisore da 42”, come ringraziamento per i favori fatti nel periodo di detenzione (droga, lettori mp3, cd, profumi, orologi, aghi, filo). L’agente De Noia avrebbe introdotto in una occasione, nell’aprile 2012, i cosiddetti fili d’angelo, utili per segare le barre di ferro delle celle. Li aveva chiesti Vincenzo Zonno al padre Cosimo tramite una lettera consegnata al boss direttamente da ‘Cartellino Rossò, perché il ragazzo stava programmando una evasione dal carcere insieme con altri quatto detenuti. Un pentito ha raccontato che appena entrato nel carcere di Bari gli fu presentato l’agente Altamura. “Questo è un amico nostro - gli avrebbe detto un altro detenuto - appartiene a noi, si mette a disposizione... per qualsiasi problema dimmelo che lo riferisco a Cartellino, che si mette a disposizione”. Dopo la scarcerazione di un detenuto che aveva ottenuto i domiciliari - ha raccontato un altro collaboratore di giustizia - , l’agente si sarebbe recato a casa sua e gli avrebbe chiesto 300 euro dicendo di trovarsi in difficoltà economiche. La Dda gli contesta anche episodi di lesioni, minacce, ingiurie, calunnie e abbandono del luogo di servizio. Tutte accuse che il giudice ha rigettato nella misura cautelare. In particolare nell’aprile 2012 avrebbe colpito con calci e pugni sul viso, impugnando una chiave per l’apertura delle celle, un detenuto affidato alla sua vigilanza e lo avrebbe poi denunciato per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, pur sapendolo innocente. Tra agosto e dicembre dello stesso anno avrebbe minacciato lo stesso detenuto dopo aver saputo che questi lo aveva denunciato. “Infame e bastardo, - gli avrebbe detto - ti faccio vedere io se faccio parte degli Strisciuglio... devono sapere tutti che sei infame. Non sei buono, tanto che ti hanno fatto fuori dal clan. Non sapevi che qui sta Cartellino Rosso? Non ti sei fatto i fatti tuoi infamone. Hanno ammazzato il tuo coimputato e adesso tocca a te, come esci ti fanno la pelle e mò ti farò vedere io. Anche io ho gli amici miei. Ti farò passare i guai”. Oristano: nel carcere di Massama si parla di agricoltura sociale La Nuova Sardegna, 22 giugno 2013 Sarà presentato questa mattina nel corso di un convegno, nella Casa circondariale di Massama, il nuovo disegno di legge sull’agricoltura sociale, proposto dai senatori Loredana De Petris e Luciano Uras. L’incontro è inserito nel programma del 28° convegno annuale della Cooperativa Sociale Comunità Il Seme Onlus di Santa Giusta, sui temi dell’agricoltura sociale. Non è casuale che il convegno si tenga in carcere: da anni, infatti, la cooperativa Il Seme e la Casa Circondariale collaborano con progetti di reinserimento di detenuti che si occupano di attività legate non soltanto all’agricoltura, ma anche alla gestione e cura del verde pubblico. Si inizia alle 10,30 con gli interventi del direttore del carcere Pierluigi Farci , del presidente de Il Seme, Antonello Comina, dei sindaci di Oristano, Guido Tendas ; Santa Giusta, Angelo Pinna; Bosa, Piero Casula e di Norbello, Antonio Pinna. Interverrano i Giuseppe Dessena (Provincia di Nuoro); i senatori Loredana De Petris e Luciano Uras; don Piero Borrotzu, direttore della Pastorale del Lavoro; l’assessore regionale all’Agricoltura, Oscar Cherchi e l’agronomo del carcere di Is Arenas, Mauro Pusceddu. Tolmezzo (Ud): l’arte di Michelangelo ha incantato i detenuti Messaggero Veneto, 22 giugno 2013 L’arte di Michelangelo incanta i carcerati. Ciò è stato possibile grazie a Pasquale Gianfagna, appassionato e studioso dell’arte del pittore, scultore e architetto rinascimentale, che ha illustrato ai detenuti i risultati dei suoi studi e delle proprie riflessioni. Memoria, volontà e intelletto hanno guidato Gianfagna nel corso dell’esposizione. A conclusione della conferenza, prevalentemente incentrata sulle caratteristiche della Cappella Sistina, si sono succedute numerose domande, “a dimostrazione di come la carcerazione possa rappresentare anche occasione per fermarsi a riflettere, per interrogarsi, per apprezzare”, spiega una nota del Comune. “L’approccio del dottor Gianfagna, la semplicità con cui ha illustrato le idee, il modo di esprimersi di Michelangelo e il contesto storico - culturale nel quale le sue opere sono state concepite - ha sottolineato Silvia Della Branca, direttore del carcere - hanno creato all’interno della sala polivalente del carcere un’atmosfera appassionata e silenziosa, quasi religiosamente attenta e impegnata a “leggere” e a capire gli affreschi della Cappella Sistina. L’uomo è al centro dell’arte di Michelangelo. L’uomo è al centro della funzione rieducativa del carcere. La speranza e il futuro hanno varcato il muro”. Questa profonda esperienza è stata possibile grazie al patrocinio del Comune. Oltre al direttore del carcere Della Branca, all’incontro erano presenti il sindaco Dario Zearo, gli assessori Aurelia Bubisutti, Francesco Martini e Mario Cuder, il consigliere Gabriele Ioannone e Paola Dario a rappresentare il servizio sociale dei Comuni. Hanno partecipato, inoltre, tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione dell’iniziativa, a testimonianza della costante e proficua collaborazione inter - istituzionale tra Comune di Tolmezzo e carcere. Torino: una cella in Piazza Castello… per far capire alla gente come si vive in prigione La Stampa, 22 giugno 2013 “In quella vera, oltre alle sbarre c’è un’altra rete. E l’unica cosa che riesci a vedere fuori è, in alto, un pezzo di cielo”. Adrian sorride a guardare fuori dalla cella allestita in piazza Castello: oltre le inferriate si vede palazzo Madama, si vedono i portici, il vai vai chiassoso delle persone a spasso. Non è la stessa cosa, ovviamente, e Adrian, che in carcere c’è stato tre anni - prima di essere assolto - lo sa bene. Eppure, basta anche quest’angusto spazio estemporaneo a far capire come vive in Italia un detenuto: quattro letti in 8 metri quadri, nemmeno lo spazio di girarsi, un caldo soffocante. “La cella in piazza” è arrivata ieri nel cuore di Torino, dopo aver toccato altre città italiane e dopo essere stata allestita nel campus universitario Luigi Einaudi. L’iniziativa è organizzata da Camera Penale, Giuristi cattolici, Giuristi Democratici, Studi Giuridici sull’Immigrazione e Antigone Piemonte onlus. Per sensibilizzare prima gli studenti, in particolare quelli di giurisprudenza, e poi tutti i cittadini che passeranno in piazza Castello fino a domani, sulla situazione delle carceri. Restare qualche minuto chiusi dentro ha un impatto maggiore che non snocciolare le cifre, drammatiche: “In Italia - spiega Anna Chiusano, presidente della Camera penale del Piemonte Occidentale e della Valle d’Aosta - la capienza regolamentare è di 46.989 persone, quella effettiva di 66.051. In Piemonte e Valle d’Aosta quella regolamentare è di 4.052: ma i detenuti sono 5.219. Questa è una costruzione in legno, a vederla da fuori è quasi graziosa. Ma riesce almeno a dare un’idea delle condizioni indegne in cui si vivono i detenuti”. Una padella appesa dietro al letto, una caffettiera su una mensola. Un pacco di pasta, sigarette, un’immagine sacra, un calendario. “Ma le lenzuola non sono mica così pulite “, osserva Adrian. “Voltaire diceva che per capire un Paese non voleva vedere gli archi ma le galere - osserva l’avvocato Davide Mosso - per misurarne il grado di civiltà”. Non è “solo” questione di diritti e di umanità: “In Italia siamo stupidi perchè spendiamo 3.500 euro al mese per ogni persona detenuta, per poi tenerle in queste condizioni”. “Ora si parla di indulto - dice ancora Chiusano - e di misure d’emergenza. Che servono, ma è indispensabile rimodulare il sistema sanzionatorio, privilegiando pene pecuniarie e alternative. Altrimenti tra due anni ritroveremo di nuovo agli stessi livelli”.