Giustizia: l’unico intervento strutturale è l’amnistia... parola di Ministro di Valter Vecellio www.lindro.it, 20 giugno 2013 La lettera arriva dalla cella numero 103 del carcere di Belluno. Chi scrive si chiama Corrado De Pellegrin, 50 anni, friulano di Sequals, detenuto per una violenta lite avvenuta nel 2011. Un foglio e mezzo, scritto fitto fitto in stampatello, descrive le condizioni di vita nella cella che divide con altre cinque persone. La sua lettera è firmata anche dai compagni di cella, ennesima denuncia di una situazione - l’intollerabile sovraffollamento delle carceri - condannata dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. “Qui a Belluno siamo in sei persone”, comincia la lettera, “con letti a castello 2 x 3 (parlano di mettere la terza branda). L’igiene è pessima... Le pareti nere di muffa... Le misure della cella sono 4 x 4,50 circa, con bagno di 1 x 1,50 con turca e mini lavandino, il tutto condito con muffa e Dio sa cos’altro. Dimenticavo, si può andare in bagno, ma bisogna ricordarsi che dalle 7.30 alle 8.30 non c’è acqua e in più la porta non si chiude”. Si lamenta perché lo scorso agosto non hanno dato il permesso di un’ora in più di “aria ministeriale, cioè dovuta per legge”. De Pellegrin è ristretto nel carcere di Belluno dal 20 agosto 2012; da allora, racconta, “sono uscito solo tre volte nell’area adibita ad aria”. De Pellegrin si lamenta per l’igiene nelle docce, per il fatto che non si possono acquistare rasoi economici, ma solo una marca costosa (“E chi non ha soldi? Barbone”). Il caso del carcere di Belluno potrebbe essere oggetto di una delle innumerevoli segnalazioni alla Corte di Strasburgo in virtù dell’ormai storica sentenza che ha riconosciuto al bosniaco Izet Sulejmanovic un risarcimento di mille euro perché ritenuto vittima di “trattamenti inumani e degradanti”: per cinque mesi aveva condiviso una cella di 16,20 mq. con altri cinque vivendo oltre 18 ore al giorno in 2,7 metri quadri. Il neo - Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, persona pragmatica e abituata a misurarsi sulle cose (a Bologna rimpiangono ancora la sua gestione commissariale), ha preso molto a cuore la vicenda, e l’altro giorno ha voluto incontrare - la richiesta è partita da via Arenula - la radicale Rita Bernardini, soprannominata “santa Rita delle carceri” per via del suo impegno a favore dei diritti dei detenuti. Un colloquio di circa un’ora. “Sono assolutamente convinta”, ha scandito il ministro, “che l’unica riforma strutturale che può risolvere l’illegalità delle carceri è un provvedimento di amnistia e indulto. L’ho già detto e lo ripeterò in ogni sede”. Cancellieri si è poi detta convinta che i dati del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria circa la capienza regolamentare delle carceri sino sovrastimati, e che in realtà siamo assai meno dei 47mila dichiarati, e ribadito di essere determinata a sostenere fino in fondo il decreto che di fatto smantella la ex Cirielli sulla recidiva e l’emendamento, presentato alla Camera che eleva da 4 a 6 anni la pena massima per accedere alla carcerazione domiciliare (irrogata come pena), alla messa alla prova, e ad altre pene alternative al carcere. Buoni propositi, che cozzano con l’opposizione, già manifestata, del vice - presidente del Consiglio e Ministro dell’Interno Angelino Alfano, che non vuole nessun recidivo per furti o rapine liberato prima del tempo; la Cancellieri, all’opposto, vorrebbe qualche migliaio di detenuti al più presto fuori dalle celle. Il decreto, come dice e ripete il Guardasigilli, dovrebbe servire da valvola di sfogo per un sistema, quello penitenziario, che ha ben 22mila detenuti in più della capienza regolamentare. Secondo gli auspici della Cancellieri, con il decreto 3 o 4mila detenuti avrebbero beneficiato di una liberazione anticipata. Insomma, da via Arenula sembrano consapevoli dell’insostenibilità della situazione, ulteriormente aggravata dall’arrivo dell’estate. In molte celle i detenuti non possono scendere tutti contemporaneamente dai letti (a castello, quattro uno sull’altro) perché non c’è spazio sufficiente per stare tutti contemporaneamente in piedi. Il 25 - 30 per cento detenuti sono tossicodipendenti. Mettere un tossicodipendente in galera comporta che se il detenuto ha del denaro continuerà ad acquistare le sostanze di cui sente di aver bisogno, esiste un vasto e fiorente circuito clandestino. Se non ha denaro cerca di procurarselo. In alternativa elemosina psicofarmaci (che nei nostri carceri entrano a tonnellate) oppure infila la testa in un sacchetto di plastica e sniffa dalla bomboletta del gas spaccandosi i polmoni. Ma il problema evidentemente non è solo il sovrannumero. I detenuti ci dicono “chiudeteci in un metro quadrato, ma non per 22 ore al giorno”. Vorrebbero lavorare e non solo per denaro (normalmente la paga è poco più di 3 euro l’ora). Forse è anche per questo motivo che il 33 percento compie atti di autolesionismo e il 12 percento tenta il suicidio. Dal 2007 al 2011 il numero dei detenuti è cresciuto di circa il 50 per cento, anche se il bilancio per l’amministrazione penitenziaria è stato tagliato del 10 per cento. In un quadro di generale sfacelo, alcune eccezioni - che se da una parte confermano la regola, dall’altra sono esempi di come si possa operare dando attuazione al dettato costituzionale (l’articolo 27 prescrive espressamente che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”). A Canton Mombello, in provincia di Brescia, è stato istituito un corso di formazione per interventi di Primo Soccorso che ha coinvolto diversi detenuti: uno di questi salirà su un’ambulanza del 118. Il progetto si chiama Papillon, e intende reinserire dei detenuti nella società, dando loro una chance per rinnovarsi e guardare al futuro, magari con una professione socialmente utile e che possa comunque garantire un reddito medio sufficiente a creare una prospettiva di reinserimento. Dopo la prima parte del progetto (da giugno a ottobre dello scorso anno), in cui una dozzina di detenuti hanno concluso felicemente un percorso formativo di primo soccorso (da 60 ore) si realizza ora l’obiettivo di rendere operativo almeno uno dei corsisti su un mezzo di soccorso d’emergenza del 118, presso un’associazione di volontariato della Provincia di Brescia. Un detenuto della Casa Circondariale di Brescia infatti, attualmente agli arresti domiciliari, seguirà un apposito corso per soccorritore certificato di 120 ore a bordo di un’ambulanza: l’esperimento, il primo in Italia, è il frutto appunto del Progetto Papillon che già nel 2012 (con la collaborazione tra Aifos Protezione Civile con vari enti ed associazioni che in piena collaborazione con il Garante dei detenuti di Brescia, l’ex giudice Emilio Quaranta, e della direttrice della casa circondariale bresciana, Francesca Gioieni) ha istituito all’interno del carcere di Canton Mombello un corso di formazione per volontari di Primo Intervento. Da Brescia a Secondigliano, in Campania. Otto detenuti di quel carcere lavorano nell’orto, attività non di semplice svago, che ha portato alla firma del protocollo tra l’assessorato all’Agricoltura della Regione Campania, il centro penitenziario e il garante per i detenuti con il quale si creerà una cooperativa per la vendita dei prodotti che già da un anno si producono. Sono tutti volontari, un tempo capi di cosche ed esponenti di spicco di clan mafiosi, quasi tutti con fine pena mai. Coltivano due ettari di terra per 20 litri di olio, e poi frutta e ortaggi. Dalla Regione Campania arrivano tremila euro più il supporto tecnico e degli agronomi che mettono a disposizione il frantoio regionale e i semi di alcuni di alcune specie in via di estinzione. Per il resto è tutto in autofinanziamento con la vendita dei prodotti all’interno del carcere. Presto per l’olio Short Chain, che si traduce sia in filiera corta che in catena corta, potrebbe anche arrivare il riconoscimento regionale di prodotto biologico. “È come tornare alla vita”, dice Gaetano, condannato all’ergastolo per associazione a delinquere. “Così capisco davvero il valore del lavoro e capisco anche il danno che facevo quando da bambino andavo a rubare nei campi”. Per Claudio “la vita fuori è finita, non resta che questo. Siamo anche fortunati rispetto a chi è libero e vive una situazione drammatica perché senza lavoro”. Giuseppe invece è originario di un paese con un nome pesante, Corleone. E anche il suo cognome è pesante. Lui sarà uno dei pochi che rivedrà la libertà e il sogno è tornare a lavorare, ma soprattutto concludere gli studi di Agraria cominciati all’Università di Pisa. “Questo progetto è già realtà” dice il direttore del carcere, Liberato Guerriero “Siamo operativi già da un anno. È un percorso importante, assieme ad altre iniziative, come la lavorazione dei rifiuti per 30 detenuti che tra poco vedranno anche l’apertura di un sito di compostaggio”. Giustizia: la Cancellieri ci prova "amnistia... perché no?" di Marco Sarti www.linkiesta.it, 20 giugno 2013 "I problemi sono tanti e le soluzioni impervie". Eppure il Guardasigilli Anna Maria Cancellieri un’idea se l’è fatta. Per superare il vergognoso sovraffollamento delle carceri italiane "l’amnistia potrebbe essere la soluzione maestra". È uno dei ministri sopravvissuti all’esperienza del governo tecnico. Uno dei pochi esponenti della squadra di Mario Monti confermato al governo. Dal ministero dell’Interno, il premier Enrico Letta l’ha voluta alla Giustizia. Una posizione chiave, delicata. Adatta a chi nell’ultimo anno e mezzo si è conquistata sul campo la fiducia e il rispetto di centrodestra e centrosinistra. Eppure adesso la complicata situazione carceraria italiana rischia di far esplodere un caso politico. Nelle ultime ore il ministro Cancellieri ha ribadito l’intenzione di "portare quanto prima all’esame del Consiglio dei ministri una serie di misure tese ad alleggerire l’ormai insostenibile sovraffollamento delle strutture". Provvedimenti urgenti, necessari. "Una priorità assoluta per la quale avverto, come cittadina, l’urgenza anche morale di un efficace intervento". Eppure in Parlamento l’ipotesi amnistia sta già sollevando diverse critiche. Seria e determinata nelle occasioni ufficiali, chi la conosce racconta una donna molto alla mano. Simpatica e sorridente, la battuta sempre pronta. La scorsa estate era stata insistentemente indicata per la successione di Giorgio Napolitano al Quirinale. "Se riesco a finire di fare il ministro dell’Interno sono molto contenta - il suo commento all’epoca - E mi accontento pure". Anna Maria Cancellieri inizia la carriera direttiva presso il ministero dell’Interno nei primi anni Settanta. Diventando prefetto nel 1993. Anche per questo nei primi mesi al governo i paragoni con Margaret Thatcher si sprecano. Più per convenzione giornalistica che altro. Il primo ministro inglese era conosciuta come la “Lady di ferro”. Mentre da noi i prefetti, chissà perché, da Cesare Mori in poi sono tutti “prefetti di ferro”. Molto più calzante, semmai, il parallelo con la cancelliera tedesca Angela Merkel. A cui la unisce una curiosa somiglianza. Immancabile collana di perle. Voce impostata, nasale. Particolarissima. In una bella descrizione sul Giornale, qualche mese fa Giancarlo Perna l’ha definita "profonda come il quieto ronfare di un orso". Ironizzando maliziosamente sul ministro: "Bisogna aiutarsi col movimento delle labbra per capire ciò che dice". Il miglior biglietto da visita sono i commenti di chi ha collaborato con lei. Su e giù per l’Italia. Dai primi passi a Milano alle prefetture di Vicenza, Bergamo, Brescia, Catania e Genova. Per finire a Bologna e Parma, le due città emiliane che ha guidato, da commissario straordinario, prima di essere chiamata al governo da Mario Monti. Tra i primi a lavorare al suo fianco c’è Achille Serra. Già senatore dell’Udc, in passato prefetto di Roma. "Siamo amici da quarant’anni - racconta - Dai tempi di Milano. E parlando di lei non posso che descrivere un funzionario straordinario. Da ministro dell’Interno è sempre presente. Ma a differenza di altri non appare quasi mai. Non ama farsi pubblicità". Un salto di quasi quarant’anni e si arriva a Parma. L’ultimo incarico prima di arrivare al governo: una città amministrata per poco più di un mese nell’autunno di due anni fa, in seguito al crack della giunta Vignali. I commenti sono simili. "Vuole sapere la nostra impressione? - racconta un funzionario del Comune - Il ministro è una persona capace ed esperta. Autorevole, certo. Ma molto affabile". Raccontano che nella città ducale ogni mattina il commissario dedicasse un’attenzione quasi maniacale alla rassegna stampa. "Da un’attenta lettura dei giornali - spiega un dirigente - riusciva a fare una radiografia completa alla città". Le conseguenze sono quasi paradossali. "Qui a Parma tanta gente ci dice che non la riconosce più. Dopo averla vista all’opera si aspettavano un ministro molto più attivo. Chissà, forse al Viminale è stata frenata dalla politica". Un ministro che ha girato l’Italia. Ma, almeno idealmente, è rimasta sempre vicino alla sua città. Roma. La parlata di Anna Maria Cancellieri tradisce leggermente i suoi natali. Abbastanza, comunque, da giustificare un’irriverente macchietta realizzata dalla trasmissione satirica “The show must go off”, condotta un anno fa da Serena Dandini su La7. Un esilarante personaggio al confine tra rugantino e la sora Lella. Da parte sua Anna Maria Cancellieri non fa mistero della sua romanità. Nella conferenza stampa di presentazione al Viminale chiarì subito la sua fede calcistica. "Tifo per la Roma e per Francesco Totti". Un’affermazione inattesa, che le ha fatto guadagnare, qualche giorno più tardi, un altrettanto inatteso regalo. La maglia numero dieci del capitano giallorosso. Ma anche qualche commento poco simpatico da parte del predecessore Roberto Maroni. Quando il Viminale decise di rivedere il progetto della tessera del tifoso, introdotto proprio da Maroni, il segretario del Carroccio si sfogò sulla sua pagina facebook: "Hanno vinto le tifoserie violente e le società come la Roma, di cui è tifosissima la ministra Anna Maria Cancellieri, che mai avevano accettato le regole". Neanche fosse una colpa tifare per i giallorossi. Ma nel cuore del ministro non c’è solo la Capitale. Le sue radici sono in Libia. Il padre, ingegnere, viene da Tripoli. Dove prima di lui aveva vissuto anche il nonno. La svolta per la famiglia Cancellieri arriva con Gheddafi. Nel 1969 il colonnello conquista il potere, l’anno successivo gli italiani sono costretti a lasciare il Paese. Qualche tempo fa, in una conversazione con l’Associazione italiani rimpatriati dalla Libia, Anna Maria Cancellieri raccontava così l’incontro con il padre all’aeroporto di Fiumicino: "Un uomo distrutto, improvvisamente invecchiato, quasi malato di dolore e incredulità per aver perso ogni suo avere". Della Libia rimane il ricordo delle vacanze estive. "Le estenuanti nuotate in quel mare bellissimo, le gite a Leptis Magna e Sabratha", come riporta un recente articolo pubblicato da Italiani d’Africa. Poi c’è Milano, dove Anna Maria Cancellieri ha iniziato il suo lavoro. La città d’adozione. E Bologna, dove Roberto Maroni la invia come commissario straordinario per guidare il capoluogo dopo le dimissioni di Flavio Delbono. Con la città emiliana si crea un legame forte. Un amore corrisposto. L’esperienza del ministro viene apprezzata quasi da tutti. Da Gianfranco Fini e da Romano Prodi. Tanto che alla fine del mandato l’Udc le chiede di candidarsi a sindaco. Lei rifiuta, con educazione. Ma quando nel novembre 2011 sale al Viminale, qualcuno propone di riconoscerle la cittadinanza onoraria. In Consiglio comunale esplode la polemica. I partiti più critici verso il governo Monti si oppongono, ne fanno una battaglia personale. Alla fine, per evitare problemi, è la stessa Cancellieri a rifiutare il riconoscimento. A Giuliano Cazzola, che ne aveva preso pubblicamente le difese, la titolare degli Interni manda una lettera di ringraziamenti. "Una bella lettera - ricorda oggi il deputato - Recentemente avevo anche deciso di incorniciarla, ma non riesco più a trovarla". E poi la Sicilia. Il marito di Anna Maria Cancellieri è originario di Catania. Il farmacista Nuccio Peluso, conosciuto in Libia durante le vacanze estive. Anche lui figlio di una coppia di italiani rimpatriati. Nel 2007 è lei il prefetto della città etnea quando durante gli scontri che seguono il derby Catania-Palermo muore l’agente di polizia Filippo Raciti. Uno dei momenti più difficili della sua carriera. Dolori, ma anche gioie. A Catania il ministro può dedicarsi attivamente a una delle sue più grandi passioni. La musica lirica. Nel 2009 viene nominata commissario al Teatro Massimo Bellini. Una vicenda macchiata da un’indagine della procura per abuso d’ufficio. Si ipotizzano spese troppo alte per alcune consulenze. Alla fine le accuse si risolvono in un nulla di fatto. L’amore per l’Opera accompagna ancora il ministro. A Bologna la Cancellieri si adopera per il Teatro Comunale, a Parma per il Teatro Regio. Tanti successi e riconoscimenti. Eppure l’esperienza al governo del ministro Cancellieri ha rischiato di rimanere nella memoria degli italiani per una gaffe. Una dichiarazione forse male interpretata, che per alcuni giorni scatena feroci polemiche. Il 6 febbraio dello scorso anni, durante un’intervista, la titolare del Viminale critica i giovani: "Noi italiani, spiega, siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà". Mario Monti è da poco reduce dalla maldestra uscita sulla “monotonia” del posto fisso. Lei si scusa subito per "una frase infelice che è suonata come una mancanza di rispetto". Ma sono inevitabili gli strascichi che finiscono per coinvolgere anche il figlio Piergiorgio, un passato in Unicredit, poi direttore generale di Fondiaria Sai. Confermata da Enrico Letta al governo, stavolta al ministero della Giustizia, di certo non le fa difetto il profilo istituzionale. Quasi patriottico. A qualcuno è rimasto impresso il suo intervento alla trasmissione “Che Tempo che fa”. Poo più di un anno fa. Qualche giorno prima, in una manifestazione della Lega Nord a Milano, la Digos aveva deciso di rimuovere una bandiera italiana, per evitare disordini. Intervistata da Fabio Fazio, Anna Maria Cancellieri si lascia andare a un’accorata difesa del Tricolore. "Sicuramente, per la bandiera è meglio rischiare. Difenderla con il proprio corpo. Ma mai toglierla, mai ammainarla. La bandiera va sempre tenuta alta. Sulla bandiera si combatte". Giustizia: Rita Bernardini; anche per il ministro Cancellieri l’amnistia è l’unica soluzione di Chiara Rizzo Tempi, 20 giugno 2013 Ecco le novità del pacchetto approvato in Commissione giustizia alla Camera: “La detenzione domiciliare da beneficio diventa una pena effettiva”. Dopo una lunga discussione in notturna, il 18 - 19 giugno la commissione Giustizia della Camera ha dato il via libera al testo sulle misure alternative al carcere e la messa in prova. È stato approvato anche un emendamento presentato dal Governo. La radicale Rita Bernardini spiega a Tempi: “Questi provvedimenti, a parte l’emendamento presentato dal Governo, non risolvono grandi problemi. C’è stato l’ostruzionismo di Lega e M5S, ma alla fine lunedì 24 giugno il disegno di legge verrà calendarizzato per il voto in aula” Quali sono le principali novità del pacchetto? La cosa positiva di ciò che è stato votato in Commissione è l’emendamento del governo che prevede che la carcerazione ai domiciliari diventi una vera e propria pena, e quindi può essere erogata per reati con condanne massime a sei anni. Sino ad oggi, era considerato solo un beneficio concesso dai magistrati. È un buon passo avanti, anche se non risolverà il problema di fondo: la situazione di illegalità in cui versano le carceri. Il pacchetto prevede anche la messa in prova ai servizi sociali mantenuta per pene edittali massime fino a 4 anni, ma in questo modo si escluderebbero i reati legati agli stupefacenti ma di lieve entità, che hanno pene massime fino a sei anni. Non è stato ancora approvato il decreto governativo che interviene sulla ex Cirielli, che allo stato attuale impedisce l’accesso ai benefici e alle pene alternative a chi è recidivo: una legge che a mio avviso lascia una situazione assurda, dato che le analisi negli anni mostrano invece che chi sconta in carcere la pena senza accedere alle misure alternative ha recidiva dell’80 per cento, mentre chi ha usufruito di misure come l’indulto ha visto la recidiva diminuire sino al 20 per cento. Leggo alcune dichiarazioni fatte proprio in questo istante dal ministro Cancellieri che sintetizzano quello che penso anche del pacchetto votato ieri. Dice il Guardasigilli: “Al di là delle considerazioni che appartengono al Parlamento e che sono strettamente politiche, io credo che l’amnistia sarebbe l’unica soluzione, la strada maestra, per respirare un attimo e poter ripartire bene. Però il problema è squisitamente politico, ma sarebbe la soluzione tecnica più semplice e più efficace”. Il pacchetto di norme sulle carceri è stato stralciato dopo le perplessità sollevate dal ministro dell’Interno Angelino Alfano su eventuali problemi per la sicurezza, con la previsione di 3 - 4 mila detenuti fuori dal carcere. Cosa ne pensa? Mi domando come si possa essere contrari al rispetto dei diritti umani facendo dichiarazioni antigarantiste come quelle fatte da Alfano, e cosa c’entrino queste con lo spirito liberale e garantista del Pdl. In questi giorni esponenti di primo piano del Pdl, come Francesco Nitto Palma, hanno espresso non solo la loro adesione personale, ma quella del partito, ai sei quesiti referendari sulla giustizia. Ma è vero che sono aumentati alcuni reati come furti, rapine, scippi, e che se uscissero alcuni detenuti per effetto delle proposte Cancellieri aumenterebbero i rischi per la sicurezza? È dimostrato che chi sta nelle nostre carceri per reati come furti o rapine ha residui di pene molto esigui da scontare. Allora io rispondo chiedendo se sia meglio lasciarli in condizioni di cattività contrarie ai diritti umani, con uno Stato che si comporta come un delinquente professionale dato che vìola le norme internazionali, oppure lasciare scontare la pena ai domiciliari, da cui non potrebbero uscire. Se osserviamo i dati del ministero della Giustizia per il 2012 si nota che le revoche per chi ha ottenuto i domiciliari, nel caso di commissione di nuovi reati, non arrivano nemmeno all’1 per cento: solo lo 0,84 per cento di chi è ai domiciliari ha ricommesso reati, lo 0,83 di chi è affidato in prova ai servizi sociali, lo 0,88 per cento di chi è in semilibertà. Lei ha appena incontrato il ministro Cancellieri privatamente per discutere del problema delle carceri. Ci racconta perché è stata convocata e cosa vi siete dette? Il ministro mi ha voluta incontrare perché mi ha detto che condivideva alcune delle critiche che avevo rivolto al suo ministero. Anzitutto il ministro Cancellieri mi ha confermato (lo sostengo da tempo) che i dati sulla capienza effettiva nelle carceri diffusi dal Dap sono gonfiati. Anche secondo il Guardasigilli i posti in carcere reali sarebbero inferiori a 47 mila. Abbiamo approfondito alcuni temi quale quello della magistratura di sorveglianza e parlato della sua idea di riaprire il supercarcere di Pianosa. L’ho avvertita che mettere 500 persone in una sorta di paradiso naturale, dove i detenuti di fatto sarebbero liberi, potrebbe creare complicazioni sociali. Lei ha convenuto che si potrebbe invece partire con numeri inferiori, per esempio 100 detenuti, e riprendere il caso positivo del penitenziario sull’isola della Gorgona, dove tutti i detenuti lavorano. Infine Cancellieri mi ha ribadito che in ogni sede avrebbe sottolineato che la misura che occorre per uscire dall’illegalità è quella dell’amnistia o dell’indulto, perché in questo momento abbiamo 66 mila detenuti in condizioni disumane e degradanti. Ho evidenziato che l’amnistia servirebbe non solo alle carceri, ma anche a smaltire i 5 milioni di procedimenti penali pendenti e che sarebbe il caso di svolgere degli studi per capire quanti di questi potrebbero cadere con un’amnistia. Di fatto oggi subiscono già una sorta di amnistia, quella delle prescrizioni in cui cadono. Giustizia: Cancellieri; un atto di clemenza è l’unica soluzione, sia il Parlamento a decidere di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 20 giugno 2013 “È giusto che sia il Parlamento a decidere qualsiasi provvedimento di clemenza, ma io credo che sarebbe l’unica soluzione, la strada maestra, per respirare un attimo e poter ripartire bene”. Così il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri ha detto ieri a Radio Radicale, e le sue parole suonano come un riconoscimento implicito - considerati anche i tempi stretti per ottemperare alla sentenza della Corte di Strasburgo - dell’insufficienza delle pur numerose misure in cantiere per uscire dall’emergenza carceri. Inoltre, pronunciate da chi ha il polso della situazione, per di più alla vigilia dell’approvazione del pacchetto - carceri, al Consiglio dei ministri di domani, quelle parole rilanciano il tema dell’amnistia e l’indulto rendendolo più attuale di quanto sembrasse. Ovviamente il ministro aggiunge che il problema “è squisitamente politico” e che quindi “è giusto che sia il Parlamento a decidere”, ma il partito della clemenza è trasversale a tutte le forze politiche che, quindi, esce rafforzato dal giudizio del guardasigilli secondo cui amnistia e indulto sarebbero “la soluzione tecnica più semplice e più efficace”. L’anno di tempo che la Corte di Strasburgo ci ha dato per risolvere il problema del sovraffollamento si sta piano piano riducendo mentre nelle patrie galere è ancora emergenza, perché la “svuota carceri” (arresti domiciliari a chi ha un residuo pena di 18 mesi ancora da scontare) resta una goccia nell’oceano: al 31 maggio erano uscite 11mila persone, ma i detenuti sono sempre a quota 66mila (65.886) su 46.995 posti regolamentari. Troppo tempo si è perso nella scorsa legislatura e ora è difficile recuperare. In teoria, il governo può fare affidamento su una maggioranza coesa su questo versante, tant’è che la commissione Giustizia della Camera ha appena approvato il ddl sulle misure alternative al carcere e la messa alla prova che, fra l’altro con un emendamento del governo, consente al giudice di applicare direttamente con la condanna alla detenzione domiciliare per reati puniti fino a 6 anni (nel testo originario il limite era4 anni). Contrari solo M5S e Lega. Quest’ultima, reduce da un duro ostruzionismo, preannuncia battaglia per l’aula da lunedì perché considera il provvedimento un “sostanziale indulto”. Ma stavolta il Carroccio non ha con sé anche il Pdl favorevole alle misure alternative. “Nessun indulto, nessuno sconto di pena, nessun automatismo” precisa poi la presidente della commissione Donatella Ferranti del Pd, favorevole a un’eventuale amnistia ma solo dopo aver approvato “misure strutturali e di sistema”. Come quelle che si accinge a presentare il governo, anche se ancora troppo timide sul fronte depenalizzazione e recidiva. Cancellieri: l’amnistia è l’unica soluzione, di Eleonora Martini (Il Manifesto) Amnistia e indulto? “Sarebbero l’unica soluzione, la strada maestra, per respirare un attimo e poter ripartire bene”. Per la prima volta da quando, grazie ai Radicali, l’opzione dei provvedimenti di clemenza si è affacciata nel dibattito pubblico come possibile via d’uscita - seppur momentanea - alla illegale condizione carceraria italiana, un ministro di Giustizia ammette senza mezzi termini che “sarebbe la soluzione tecnica più semplice e più efficace”. Certo, anche Annamaria Cancellieri come l’avvocata Severino che l’ha preceduta preferisce tenere un basso profilo politico nel rispetto formale delle istituzioni: “Il problema è squisitamente politico e non mi appartiene - ha spiegato ai microfoni di Radio Radicale; al Parlamento spettano le considerazioni che sono strettamente politiche” e di “decidere qualsiasi provvedimento di clemenza”. Ma all’orizzonte, in Parlamento, dove la Lega continua la sua crociata giustizialista e l’eco del tintinnar di manette di Di Pietro si riverbera oggi tra i pentastellati, non sembra apparire una rapida soluzione del problema. Come si è visto ieri a Montecitorio, dove l’ostruzionismo di leghisti eM5S ha costretto la commissione Giustizia alla seduta notturna per licenziare il provvedimento governativo sulle misure alternative al carcere e la messa alla prova. Dopo aver esaminato oltre 200 emendamenti, il testo della legge delega - che trasforma la detenzione domiciliare in una pena detentiva a tutti gli effetti, comminata in sentenza - comunque è stato approvato. E ora, dopo il parere delle altre commissioni competenti passerà (la prossima settimana o più probabilmente quella successiva) al vaglio dell’Aula. Mai Beppini hanno già annunciato che voteranno no al provvedimento perché “contrari alla delega in bianco al governo sulle misure detentive domiciliari, che sono state innalzate per i reati con pena fino a sei anni - spiega il deputato Vittorio Ferraresi - È una delega che butta un sasso nello stagno senza preoccuparsi delle conseguenze. Per di più una materia così delicata non può essere lasciata nelle mani del governo senza paletti stringenti”. I 5 Stelle avrebbero voluto che la detenzione domiciliare fosse applicabile solo ai reati punibili con un massimo di 3 anni di carcere e non 6 come per effetto dell’emendamento governativo. Il testo delega però il governo a escludere alcune fattispecie di reato, tra quelle punibili con una pena edittale tra i 4 e i 6 anni. Ed è su questo punto che si concentra ora l’esplicita battaglia dei 5 Stelle, privi di mandato politico per gridare al “piccolo indulto mascherato”, come fa la Lega. Il testo di legge non piace nemmeno ai Fratelli d’Italia né all’Associazione nazionale dei funzionari di polizia che avverte: “In questo modo il Paese rischia l’emergenza sicurezza”. Non dispiace invece alle associazioni che lavorano con i detenuti, come Antigone, a Sel e al Pd che spera di completare l’iter di approvazione entro l’estate. Giustizia: ok al ddl sulle pene alternative e il ministro apre a provvedimenti di clemenza di Serenella Mattera Ansa, 20 giugno 2013 Primo via libera alla legge sulla messa alla prova e le misure alternative al carcere. Passa la possibilità dei domiciliari per i reati con pene fino a sei anni. Nonostante l’ostruzionismo della Lega e l’opposizione del Movimento 5 Stelle, la commissione Giustizia della Camera al termine di una lunga seduta notturna riesce ad approvare il testo, che lunedì approderà in Aula per proseguire un percorso ancora irto di ostacoli. Intanto però il guardasigilli Annamaria Cancellieri, che è al lavoro su un decreto sulle carceri, afferma che un “provvedimento di clemenza sarebbe l’unica soluzione” per contrastare davvero il sovraffollamento. Il ministro della Giustizia nell’Aula della Camera snocciola i dati aggiornati che fotografano l’emergenza carceraria: ci sono 65.886 detenuti (tra loro 23 mila stranieri e 24.342 in attesa di giudizio) nelle 206 carceri italiane, a fronte di una capienza di 46.945 posti. Il piano di edilizia penitenziaria garantirà a fine anno quattromila posti in più, ma il sovraffollamento è una “vera e propria emergenza”, ribadisce Cancellieri, che sollecita una risposta alle istituzioni europee che ci chiedono “meno carcerazione”. “Incoraggianti” i risultati dello “svuota carceri” del governo Monti, che ha coinvolto 11 mila persone. Ma l’unica vera soluzione, secondo il ministro, è una misura di clemenza (amnistia o indulto): è questa la “strada maestra per respirare un attimo e poter ripartire bene”. La decisione, tuttavia, spetta “al Parlamento”, perché il problema - precisa - “è squisitamente politico e non mi appartiene”. “Si potrà discutere di amnistia solo quando” si saranno introdotte “soluzioni strutturali”, replica il Pd. Ma intanto, come sottolinea la presidente della commissione Giustizia Donatella Ferranti (Pd), con il via libera alla legge sulla messa alla prova, che è stata rafforzata rispetto a quella approvata dalla sola Camera nella scorsa legislatura, è stato compiuto “un primo passo importante per una riforma di sistema e per ripensare il sistema delle pene”. Ferranti auspica il varo da parte del Parlamento “entro l’estate, senza cadere in trappole demagogiche”, perché la legge, sottolinea, non nasconde “nessun indulto, nessuno sconto di pena automatico”. Ma la Lega, che parla di un testo “vergognoso” che nasconde un “indulto mascherato”, annuncia che proseguirà in Aula l’ostruzionismo messo in atto in commissione. E anche il M5S annuncia dura opposizione al testo, che, sostengono i grillini, “non mira ai reali problemi del sovraffollamento carcerario”. Al centro delle polemiche, soprattutto la norma che prevede una delega al governo per introdurre la possibilità per i giudici di comminare come pena principale (non più misura alternativa) la detenzione domiciliare per i delitti puniti con la reclusione fino a sei anni. L’esecutivo dovrà però valutare se escludere “singoli reati di grave allarme sociale”. E sull’ampiezza di tali esclusioni già si annunciano discussioni. Altra novità introdotta dal testo è la messa alla prova, ossia la sospensione del processo per consentire un programma di rieducazione dell’imputato, che può includere ad esempio un lavoro di pubblica utilità. La messa alla prova può essere disposta, per non più di due volte, per reati puniti con il carcere fino a un massimo di quattro anni e per i delitti a citazione diretta. E può portare all’estinzione del reato. Infine, la legge varata in commissione introduce la sospensione dei processi il cui imputato è irreperibile. Cancellieri: sulle carceri diamo riscontro positivo a istanze Ue (Asca) “Il sistema penitenziario vive oggi in una vera e propria emergenza a causa del sovraffollamento. Vi è necessità di dare un riscontro positivo alle istanze provenienti dalle istituzioni europee che di recente hanno sollecitato il nostro Paese all’adozione di misure alternative alla detenzione e ad una rivisitazione delle strategie di politica penale nel senso di un minore ricorso alla carcerazione. In particolare, la corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte sottolineato, da ultimo con la sentenza Torreggiani, la necessità di rimuovere le condizioni che impediscono la tutela dei diritti e della dignità delle persone sanciti dalla nostra Costituzione e dalle convenzioni internazionali vigenti nel nostro Paese”. Questa la risposta che il Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri ha dato oggi durante il question time alla Camera al pidiellino Enrico Costa il quale la interpellava sul tema del sovraffollamento carcerario: “più di 1 terzo - ha spiegato Costa - cioè circa 25mila persone sono in carcere in custodia cautelare. La metà di questi sono senza ancora condanna primo grado. Chiediamo al governo se porrà in essere un’iniziativa in proposito”. Il ministro ha fornito alcuni dati, specificando che “al 31 maggio 2013 erano presenti negli istituti carcerari italiani 65886 detenuti, di cui 23mila stranieri, a fronte di una capienza regolamentare di 46.995 detenuti. Di questi, 24.342 risultavano indagati o imputati in custodia cautelare, 40228 condannati in esecuzione di pena, e 1172 internati”. Secondo quanto riportato da Cancellieri, “il governo Monti ha introdotto con il dl 211 del 2011 alcune modifiche normative volte a ridurre gli ingressi nel circuito penitenziario per detenzioni di breve durata attraverso il divieto di condurre in carcere salvo poche eccezioni l’arrestato in flagranza e l’innalzamento da 12 a 18 mesi del limite di pena detentiva eseguibile presso il domicilio del condannato. Tali norme hanno fornito risultati incoraggianti: l’analisi obiettiva dei dati statistici dimostra che dall’entrata in vigore della legge 199 del 2010 al 31 maggio 2013 hanno usufruito della detenzione domiciliare quasi 11mila persone”. Per quanto riguarda il fenomeno delle detenzioni brevi, Cancellieri ha spiegato che “l’incidenza percentuale di queste è passata dal 30% degli ingressi annuali all’attuale 13%: in termini assoluti, è sufficiente rilevare che nell’anno 2011 su 76.982 detenuti entrati in carcere ben 17.441 (22,7%) ne erano usciti entro 3 giorni. nel 2012 su 63.020 ingressi le scarcerazioni entro 3 giorni sono state solo 8.722 (13,8%)”. Ha concluso Cancellieri che al momento “non risultano allo Stato iniziative normative volte a modificare in via diretta istituto della custodia cautelare anche in relazione a porte girevoli. A Cancellieri ha risposto ancora Costa, il quale ha rilevato che “in questa fase Governo lascia a Parlamento l’iniziativa su questo tema”. Per Costa “è fondamentale intervenire poiché il fenomeno delle porte girevoli determina non solo problemi legati alla situazione penitenziaria dell’affollamento, ma anche per colui che viene introdotto per qualche giorno, poiché le carceri non evitano promiscuità di situazioni tra detenuti in custodia cautelare e quelli in via definitiva. Servono misure alternative cautelari rispetto a detenzione in carcere”. Cancellieri: sì a nuovi metodi contro sovraffollamento carceri (Asca) “Ritengo molto importante valorizzare le iniziative volte a migliorare le condizioni di vita dei detenuti anche incentivando opportunità lavorative nelle carceri al fine di ridurre rischio di recidiva. Mi riferisco alla riorganizzazione del circuito penitenziario e alla sperimentazione di nuove modalità di trattamento basate sullo strumento della custodia attenuata: è una metodologia che consente una maggior apertura delle stazioni detentive basata sia su una maggiore assunzione di responsabilità da parte del detenuto sia su una diversa modalità trattamentale e una più intensa partecipazione della società esterna che diano prova di saper gestire beneficio a cui sono ammesse”. Queste le parole del Ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri in tema di sovraffollamento delle carceri, tema su cui è stata interpellata oggi durante il question time da Gianluca Buonanno (Ln), il quale chiedeva quali fossero le misure del governo per fronteggiare i reati e il sovraffollamento carcerario. Il ministro ha riportato l’esempio del carcere di Milano Bollate, “un esempio importante di efficienza in tale prospettiva: vi sono importanti interventi di carattere strutturale e la creazione di momenti di socialità a cui dovremmo ispirarci”. Cancellieri ha anche ricordato che deve essere “completato il piano di edilizia carceraria: a fine anno saranno consegnati 4mila posti detentivi. infine - ha ricordato il Ministro - ho allo studio piano penitenziario che comprenda edifici inutilizzati già adibiti a caserme e che potrebbero essere convertiti in carceri per quei detenuti a bassa pericolosità”. Il Ministro della Giustizia ha anche ricordato che “già nella scorsa legislatura si erano delineati istituti che perseguissero la limitazione di ingressi: ad esempio, le pene detentive non carcerarie, la detenzione domiciliare e lavoro di pubblica utilità. Quanto alle porte girevoli, gli effetti della nuova normativa ci saranno alla fine del corrente anno perciò è allo studio uno schema di provvedimento normativo che consente specifiche misure per limitare gli ingressi negli istituti penitenziari e per l’esecuzione di brevi periodi di detenzione”. Come spiegato da Cancellieri, “lo schema dei provvedimenti interviene sul codice di procedura penale in tema di esecuzione di pene detentive e sulle norme dell’ordinamento penitenziale in materia delle misure alternative alla detenzione e ai benefici penitenziari”. Buonanno ha reagito energicamente alla risposta di Cancellieri chiedendo al Ministro se “secondo lei è normale far uscire di galera il reato di stalking, la prostituzione minorile, la violenza privata, il furto, la truffa? Questo - ha denunciato Buonanno - è allarme sociale: se questi escono dal carcere è uno schifo. Circa 25mila persone detenute sono straniere: ma li dobbiamo anche mantenere? dobbiamo rimandarli al loro paese di origine! Senza questi 25mila non avremmo problema del sovraffollamento”. Giustizia: da Pd e Pdl arrivano consensi sulla “messa alla prova” per i detenuti www.direttanews.it, 20 giugno 2013 Soddisfazione per il testo licenziato ieri dalla Commissione Giustizia della Camera in materia di carceri. La presidente della Commissione, Donatella Ferranti del Partito Democratico, ha sostenuto: “Si tratta di un primo passo per ripensare il sistema delle pene in attuazione della sentenza, del gennaio scorso, della Corte europea dei diritti dell’Uomo che ci ha condannato per il problema del sovraffollamento carcerario. Le nuove norme mirano ad individuare una giusta proporzione della sanzione penale in relazione al bene violato, alla gravità del comportamento in concreto e alla pericolosità sociale dell’imputato. È un provvedimento in grado di incidere sulla situazione emergenziale delle carceri e di diminuire il carico dei procedimenti penali. Un primo importante tassello di una riforma di sistema più ampia che dovrà risolvere le criticità della giustizia penale nel medio - lungo periodo”. Ha proseguito la Ferranti: “Si è cercato di attuare un equilibrato rapporto fra giustizia riparativa e pena tradizionale: il recupero di un condannato, oltre ad essere una questione umanitaria, ha un significato di prevenzione generale. Infatti le cifra sulla recidività ci dimostrano chiaramente che un condannato recuperato attraverso pene alternative difficilmente tornerà a delinquere, a differenza di uno che ha scontato la pena in carcere. Nessun indulto, nessuno sconto di pena, nessun automatismo. Ma la pena, nel caso di reclusione ai domiciliari, sarà applicata dal giudice della cognizione e non più da quello della sorveglianza, solo se sarà esclusa la pericolosità sociale dell’imputato e per reati di non particolare allarme sociale”. Ha concluso la parlamentare democratica: “La misura alternativa al carcere diventa pena principale e si eviteranno così inutili passaggi in carcere che sono perlopiù dannosi e costosi per la collettività. Viene così garantito il principio costituzionale della finalità rieducativa e della proporzionalità della pena. Spero che adesso l’aula, a partire da lunedì, approvi il testo con la stessa celerità e il medesimo impegno che ha contraddistinto il lavoro della commissione e che ha portato a questo primo importante risultato per risolvere alcune criticità del sistema penale nell’interesse del cittadino”. Di “atto di civiltà” ha parlato Walter Verini, capogruppo Pd in commissione Giustizia, sostenendo: “Parlare di indulto è completamente fuori luogo, questo provvedimento è un contributo a fare finalmente della pena un’occasione di recupero e non di vendetta, un’occasione per decongestionare le carceri e non prevede inoltre reati di particolare allarme sociale. Si tratta insomma di una legge che coniuga civiltà e sicurezza”. Soddisfazione anche da parte di Enrico Costa, capogruppo in commissione del Pdl: “Il testo che abbiamo approvato questa notte in commissione Giustizia sulla messa alla prova e la detenzione domiciliare costituisce un primo passo verso l’individuazione di misure alternative alla detenzione carceraria, che oggi nel nostro Paese non risponde in alcun modo al principio costituzionale di rieducazione della pena. Per ciò che riguarda la messa alla prova, l’approccio al testo è stato più timido, con l’obiettivo di avviare una prima fase di sperimentazione e, in caso di risultato positivo, di ampliarla a una più vasta gamma di ipotesi”. Giustizia: Cancellieri; detenute madri, il modello degli Icam è quello di “civili abitazioni” Asca, 20 giugno 2013 “La ratio ispiratrice della nuova normativa carceraria è quella di garantire una nuova tutela assicurando una crescita armoniosa e senza traumi per figli minori conviventi di donne indagate, imputate o condannate: gli istituti penitenziari a custodia attenuata di detenuti madri (Icam) hanno caratteristiche strutturali diverse rispetto a quelli classici e sono modellati piuttosto sulle caratteristiche di una casa di civile abitazione”. Questa la risposta che il Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri ha dato a Marisa Nicchi, deputata di Sel, che oggi, nel corso del Question Time alla Camera, ha interpellato il ministro in merito alla questione delle madri carcerate a cui si rivolge la legge 62/11 che, come specificato dalla stessa Nicchi, non è ancora entrata vigore (lo sarà dal primo gennaio 2014) e che ha come scopo quello di limitare al massimo gli ingressi, negli istituti penitenziari, di bambini conviventi con madri indagate, imputate o condannate. Cancellieri ha precisato che “verrà attuato, grazie agli Icam, un regime penitenziario di tipo familiaristico comunitario incentrato sulla responsabilizzazione del ruolo genitoriale”. Inoltre, il Ministro, ha fatto alcuni esempi di progetti di istituti penitenziari ‘modellò come “Liberi bimbi” del provveditorato del Piemonte o quello del Triveneto che sarà attivato entro luglio. L’onorevole Nicchi, da parte sua, ha ricordato che a fine 2012 erano presenti nelle carcere italiane 40 madri e 41 bambini e che la “sensibilità che abbiamo in comune con il Ministro nasce dalla priorità di non poter far vivere in carcere bambini di età compresa tra gli 0 e i 6 anni”. Inoltre, Nicchi ha espresso due perplessità a riguardo della risposta che il ministro ha sottoposto all’Aula: “un’insufficiente copertura di Icam al Sud e, al contempo, la necessità di finanziare case - famiglia protette che sono state demandate a carico degli enti locali i quali, come si sa, sono stati falcidiati nei finanziamenti”. Giustizia: venerdì prossimo CdM per esaminare un provvedimento sull’emergenza carceri Reuters, 20 giugno 2013 Il governo si riunirà nuovamente venerdì prossimo per esaminare un provvedimento sull’emergenza carceri mentre le attese misure per il rilancio dell’occupazione dovrebbero slittare ad altra data. L’indicazione arriva dal ministro per gli Affari regionali e le Autonomie locali Graziano Delrio, al termine del Consiglio dei ministri di oggi pomeriggio dedicato al disegno di legge per le semplificazioni. “Venerdì fanno le carceri e non va il lavoro”, ha detto Delrio lasciando palazzo Chigi. Giustizia: Pd; prima soluzioni strutturali e solo dopo, eventualmente, un atto di clemenza Agenparl, 20 giugno 2013 “Prima di porre eventualmente il tema dell’amnistia, è necessario mettere in campo tutte le soluzioni strutturali e di sistema che evitino il riprodursi, come già è avvenuto nel recente passato, del problema del sovraffollamento e delle inaccettabili condizioni detentive. Solo quando si sarà sviluppata a pieno l’azione riformatrice, si potrà discutere dell’amnistia”. Così in una nota Sandro Favi, responsabile nazionale carceri del Pd e di Danilo Leva, Presidente Forum giustizia Pd. Brunetta (Pdl): oggi amnistia sarebbe rimedio peggiore del male (Ansa) "Facciamo una grande riforma della giustizia, anche attraverso i referendum, e dopo una riforma della giustizia, per gestire la transizione tra un regime e l'altro, si può anche pensare all'amnistia. Oggi, solo per risolvere il sovraffollamento carcerario, a mio modo non ha senso, ed è un rimedio peggiore del male". Lo ha detto il capogruppo del Pdl Renato Brunetta, intervistato da Radio Radicale. Alla domanda sulla condanna della Corte Europea dei diritti dell'uomo sulle condizioni illegali delle carceri italiane, il capogruppo del Pdl ha risposto: "L'Europa ci chiede di risovere il problema, e fa bene, e noi risolveremo, ma non ci chiede l'amnistia. Noi risolveremo con le riforme, con l'abrogazione dell'ergastolo, con la separazione delle carriere, con la riforma della custodia cautelare, con la responsabilita' civile. Insomma, con tutti i referendum radicali. Aspetto solo di incontrare un banchetto per firmare". Cirielli (Fdi): a favore rieducazione ma no a scarcerazioni facili (Adnkronos) “Dispiace constatare che l’Unione delle Camere penali faccia demagogia, confondendo il tema della rieducazione e del reinserimento dei detenuti con provvedimenti svuota carceri che, di fatto, scaricano un’inefficienza dello Stato sui cittadini e sulle vittime”. Lo dichiara Edmondo Cirielli, deputato di Fratelli d’Italia. “L’emergenza carceri in Italia - spiega - va affrontata con misure globali, occorre una riforma strutturale, perché il problema non si risolve depenalizzando e affidandosi ad indulti e amnistie. La riforma deve iniziare facendo scontare nei Paesi di provenienza il carcere agli stranieri extracomunitari, contrastando duramente l’immigrazione clandestina e costruendo nuove carceri”. “Fratelli d’Italia - aggiunge - voterà ogni provvedimento volto a migliorare le condizioni dei detenuti, oltre a misure rieducative e di lavoro. Ma non accetteremo sistemi che danno libertà anticipata e fanno pagare così i cittadini. È il momento di impegnarsi anche per tutelare le vittime”. Giustizia: Osapp; bene “messa in prova”, ma preoccupano carenze Polizia penitenziaria Ansa, 20 giugno 2013 “Siamo soddisfatti dell’attenzione e della consapevolezza che la Guardasigilli Cancellieri ha dimostrato quest’oggi nel question time alla Camera dei Deputati rispetto alla necessità di urgenti iniziative, riguardo ai pressanti problemi del sistema penitenziario italiano”. Ad affermarlo in una nota è Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) “Bene - aggiunge il leader dell’Osapp - anche il testo del disegno di legge, approvato dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, sulle misure alternative e sulla messa in prova che già il Ministro Alfano aveva cercato di introdurre e che pone, finalmente, il nostro ordinamento penale allo stesso livello di civiltà in materia degli ordinamenti degli altri Paesi europei”. “Continuano, invece a preoccuparci le affermazioni della Guardasigilli riguardo l’aumento, entro un anno, di 4.000 posti detentivi e l’utilizzo di caserme come istituti di pena a custodia attenuata, senza che la stessa Cancellieri aggiunga una qualche dichiarazione d’intento rispetto alle gravi carenze di organico della Polizia Penitenziaria che nel maggior numero di posti e nelle infrastrutture penitenziarie aggiuntive dovrebbe lavorare”. “Non sappiamo quanto puntualmente la Ministro della Giustizia sia stata informata dai ben retribuiti e assai lontani vertici dell’amministrazione penitenziaria, ma la Polizia Penitenziaria è l’unico Corpo di Polizia dello Stato che deve provvedere, oltre alla prevenzione e alla repressione del crimine, al reinserimento sociale dei reclusi ed è anche l’unica Forza che dal 1992 ad oggi non ha mai avuto aumenti di organico e ha perso il 20% delle proprie risorse umane - conclude Beneduci - per cui appare almeno assurdo che alle attuali condizioni si vogliano aggiungere carichi di lavoro e sacrifici che il Corpo non sarebbe in grado di sostenere in alcun modo”. Giustizia: Caso Triaca; tribunale chiede verifiche sulle torture contro brigatisti in carcere di Samir Hassan Il Manifesto, 20 giugno 2013 L’ex “tipografo” del caso Moro ottiene udienza. Al vaglio della magistratura il “water boarding” della squadra di “De Tormentis” L’istanza di revisione del processo per calunnia presentata dal collegio difensivo di Enrico Triaca, il “tipografo” delle Br arrestato il 17 maggio del 1978 nel corso delle indagini sulla morte di Moro, è giunta ad una svolta. Lo scorso 18 giugno la Corte d’appello di Perugia, presieduta da Giancarlo Massei, ha ammesso tre nuovi testi le cui testimonianze potrebbero finalmente far luce su una delle pagine volutamente più dimenticate degli anni 70. Dopo l’arresto, infatti, Triaca fu pestato e torturato, sottoposto alla pratica del water boarding da una squadra speciale dell’Antiterrorismo comandata da “De Tormentis”, eteronimo di Nicola Ciocia, dirigente dell’Ucigos. Soprattutto in base a queste premesse, la decisione della corte perugina sembra muovere in una direzione tanto anomala quanto importante. Sentiti i pareri favorevoli sia del procuratore generale sia degli avvocati di Triaca (Francesco Romeo e Claudio Giangiacomo), i giudici hanno dato il placet affinché, nella prima udienza del dibattimento fissata il prossimo 15 ottobre, vengano ascoltati Matteo Indice, Nicola Rao e Salvatore Rino Genova. Il primo, giornalista de Il Secolo XIX, raccolse nel 2007 le testimonianze di Rino Genova e l’ammissione, fatta però dietro lo pseudonimo di “Professor De Tormentis”, di Nicola Ciocia che svelò di essere stato a capo di una squadra alle dirette dipendenze degli Interni, creata in seguito al sequestro Moro e specializzata negli interrogatori sotto tortura. Nicola Rao, noto giornalista, è invece autore del libro Colpo al cuore. Dai pentiti ai “metodi speciali”, come lo Stato uccise le Br. La storia mai raccontata (Sperling & Kupfer, 2011), in cui sono racchiuse le dichiarazioni di Ciocia in relazione alle torture praticate a Triaca. Il nome di Rino Genova, noto ex commissario Digos, è invece legato alle confidenze di Ciocia da lui raccolte in merito alle torture perpetrate su Triaca, oltre al fatto che lo stesso Rino Genova ha assistito in varie occasioni ai “lavori” della squadra De Tormentis contro altri presunti brigatisti. Nell’accogliere per intero le prove presentate dal collegio difensivo di Triaca (tra cui un’intervista fatta da Fulvio Buffi per il Corriere, nel febbraio 2012, in cui Ciocia rivendica la paternità del nomignolo “De Tormentis”), la corte si è riservata di valutare se sentire anche lo stesso Ciocia, altro teste indicato dagli avvocati di Triaca; una riserva dovuta al fatto che, essendo quelle di Ciocia delle dichiarazioni autoaccusatorie, la posizione di quest’ultimo potrebbe mutare in sede processuale da teste a indiziato (anche se per fatti ad oggi prescritti). “La decisione della Corte d’appello è un segnale positivo. Da qui si deve partire per mantenere viva l’attenzione su questo caso; far emergere la verità di fondo, inchiodare lo stato davanti i suoi crimini e costringerlo, anche se solo formalmente, ad una pubblica assunzione di responsabilità. Ciononostante, ho l’impressione che lo stato sia trincerato dietro i suoi stessi silenzi, come ben dimostrano l’oscuramento dei media in merito a questo episodio”, dichiara lo stesso Triaca. “La portata del processo - continua - assume una forte valenza simbolica, un ariete capace di scardinare il muro di silenzio che impedisce un dibattito aperto e storicizzante su gli anni 70”. Quanto alla continuità della repressione di stato, alla tortura sistemica e sistematica degli apparati statali, Triaca afferma: “Oggi lo stato tortura anche attraverso singoli episodi, di puro e violento sfogo. Contro di noi si combatteva una battaglia più grande, non riconducibile ad un singolo caso, una pianificazione repressiva studiata a tavolino. La continuità dello stato, oggi, non è tanto nel modo di persecuzione quanto nella capacità di depistare e mentire, di giustificare e assolvere la tortura”. Che si tratti di un passo importante è anche l’opinione di Francesco Romeo, uno dei legali di Triaca, che aggiunge: “Il processo del ‘78 fu un processo sommario e sbrigativo, volto non tanto a condannare Triaca quanto a negare la denuncia delle torture. Noi, oggi, puntiamo a ristabilire la verità storica di quanto realmente accaduto”. Toscana: Consiglio regionale esprime apprezzamento per lavoro del Garante dei detenuti Agenparl, 20 giugno 2013 Un sincero apprezzamento per il lavoro svolto nel corso del 2012 dal Garante regionale per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale Alessandro Margara è stato espresso all’unanimità dalla commissione Affari istituzionali del Consiglio regionale con una specifica risoluzione. “Nella relazione di Margara non c’è soltanto una grande competenza professionale - ha sottolineato il presidente Marco Manneschi (Idv) - ma anche una forte idealità, alla base di proposte talvolta anche provocatorie per la sensibilità corrente”. Il Garante ha riassunto brevemente l’attività svolta, che interessa non solo le persone private della libertà personale, ma anche tutti coloro che sono custoditi nelle Camere di sicurezza degli organi di polizia, che sono sottoposti a trattamento sanitario obbligatorio negli ospedali psichiatrici e le madri con figli piccoli in custodia cautelare in carcere. Al centro delle riflessioni di Margara il sovraffollamento, il ridotto utilizzo di misure alternative, la drastica riduzione delle risorse economiche, che compromettono il recupero ed il reinserimento sociale dei detenuti. Nella relazione viene inoltre presentata e commentata la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del gennaio scorso (la sentenza Torreggiani), che condanna l’Italia per trattamenti contrari al senso di umanità e le assegna il tempo di un anno per assicurare la detenzione in condizioni compatibili con il rispetto della dignità della persona. Il Garante chiede inoltre un intervento della Regione presso il Governo sull’attuazione del programma territoriale di edilizia carceraria, aggiungendo la chiusura degli istituti di Lucca e Siena a quella di Grosseto già prevista, mentre per la chiusura dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo fiorentino si propongono soluzioni a diversa intensità assistenziale per gli internati toscani. Margara ha infine espresso preoccupazione per la tendenza a sostituire il personale sociale con quello di polizia e si ribadisce la necessità di un’applicazione estesa delle misure alternative, dal lavoro esterno alla semilibertà, per i tossicodipendenti. “Le relazioni di Margara in questi anni ci consegnano una fotografia puntuale del nostro sistema carcerario - ha dichiarato Marco Ruggeri (Pd). È impossibile pensare al recupero ed al reinserimento in queste condizioni. Le competenze regionali sul fronte sanitario devono essere meglio coordinate”. “L’incarico è stato svolto in maniera esemplare - ha affermato Alberto Magnolfi (Pdl). Ci sono margini di frustrazione nel cercare di dare risposte concrete. Non possiamo che ribadire il nostro impegno e la nostra attenzione morale e politica”. Gabriele Chiurli (gruppo Misto) ha chiesto che le proposte del Garante sulla chiusura degli istituti di Lucca e Siena e sull’ospedale di Montelupo fiorentino diventino impegni precisi. In tal senso ha proposto un emendamento al testo della risoluzione. Napoli: muore in carcere il boss Claudio Modeo, 49 anni, disposta l’autopsia La Repubblica, 20 giugno 2013 L’ex boss della mala tarantina Claudio Modeo, 49 anni, è morto ieri sera nel carcere di Secondigliano (Napoli) stroncato quasi certamente da un infarto: domani, tuttavia, la Procura di Napoli affiderà l’incarico per l’autopsia per sciogliere ogni dubbio. Claudio Modeo, insieme con i fratelli maggiori Riccardo e Gianfranco, a cavallo tra gli anni 80 e 90 costituì l’ossatura di un clan mafioso che entrò in conflitto con quello capeggiato dal fratellastro Antonio Modeo, detto “il messicano”. Furono anni terribili per l’ordine pubblico a Taranto e provincia; la guerra di mala provocò decine di morti e feriti. Nel carcere di Secondigliano Claudio Modeo era detenuto da circa 15 anni e, come riferito dal suo legale di fiducia, l’avv. Maria Letizia Serra, stava scontando una condanna definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Cosimo Lippo (novembre 1989) nell’ambito del maxiprocesso Ellesponto. Nell’ultimo anno il Tribunale di Sorveglianza di Napoli gli aveva concesso tre permessi - premio per buona condotta. Il primo il 12 agosto 2012, il secondo a ridosso delle vacanze di Natale e l’ultimo nel marzo scorso, per le festività pasquali. In quest’ultima occasione l’ex boss aveva potuto dormire nella sua casa, al quartiere Paolo VI, insieme con i tre figli (la moglie è morta alcuni anni fa per una grave malattia). Ma soprattutto Claudio Modeo attendeva la decisione del Tribunale di sorveglianza sulla richiesta di semilibertà avanzata dal suo legale; l’udienza si era tenuta il 3 giugno scorso. Roma: muore suicida agente di Polizia penitenziaria, lavorava al Dip. Giustizia Minorile Adnkronos, 20 giugno 2013 Un agente scelto della polizia penitenziaria si è suicidato, nel primo pomeriggio di oggi, lanciandosi dal quinto piano dell’abitazione in cui viveva con la madre a Roma. L’uomo R.N. 32enne, che si è lasciato cadere dal balcone, era effettivo presso il Dipartimento della Giustizia Minorile dove svolgeva servizio di autista ed era impiegato anche in compiti di tutela dell’attuale Capo del Dgm. Ne dà notizia Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari. “Purtroppo siamo costretti, ancora una volta, a diffondere queste tragiche notizie. Siamo costernati ed affranti - dichiara Sarno - per questa ennesima tragedia (5 sono i poliziotti penitenziari suicidatisi nel 2013). Esprimiamo i nostri sentimenti di vivo cordoglio alla famiglia, ai colleghi e agli amici, auspicando che nessuno intenda strumentalizzare questo triste episodio legandolo alle condizioni di lavoro della polizia penitenziaria. È pur vero che i suicidi di poliziotti penitenziari sono in numero maggiore rispetto alle medie (negli ultimi dieci anni sono 109 i suicidi) ma non sempre - conclude - è possibile determinare un nesso di casualità diretta con le condizioni lavorative. In ogni caso siamo pronti a rispondere ad ogni utile iniziativa che le Amministrazioni (Dap e Dgm) o lo stesso Ministro Cancellieri volessero programmare per approfondire questo triste fenomeno dei suicidi” dei baschi azzurri. “Una morte atroce, che lascia sgomenti”, commenta Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), esprimendo vicinanza “ai familiari, agli amici, ai colleghi” e ricordando che “benché verosimilmente indotti dalle ragioni più varie e comunque strettamente personali” i suicidi “sono tanti, troppi: circa 100 dal 2000 ad oggi”. Nuoro: nella cella tre metri per quattro dove il boss Iovine è al carcere duro di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 20 giugno 2013 Iovine, il capo dei Casalesi: “Rispetto le regole, vorrei dignità”. Una vecchia sezione è stata riaperta per lui: 22 ore dietro le sbarre e ogni mese una visita dei parenti. Nello stesso istituto c’è anche Mesina. La prima porta di ferro è telecomandata, e quando si apre la luce verde diventa rossa, come a segnalare un pericolo. Per la seconda, invece, ci vogliono le chiavi appese al cinturone dell’ispettore della polizia penitenziaria, grandi come pistole, quattro mandate rumorose e definitive. L’ispettore controlla con il metal detector i parlamentari in visita, ma anche la direttrice della prigione e il capo delle guardie. Solo dopo possono entrare e vedere il boss attraverso le sbarre della cella, che dalle sei di sera alle sette di mattina vengono chiuse da un’altra porta blindata. Adesso che è da poco passato mezzogiorno, dietro il cancello compare il volto di Antonio Iovine, uno dei capi del Clan dei casalesi, segregato al “41 bis” in questo angolo di Sardegna dall’indomani del suo arresto, 18 novembre 2010. Subito dopo la cattura sorrideva spavaldo ai fotografi, e anche ora non riesce a trattenere quel mezzo sorriso che assomiglia a un ghigno. È così che accoglie il presidente della commissione Diritti umani del Senato, Luigi Manconi, e i parlamentari Peppe De Cristofaro e Michele Piras venuti a ispezionare la prigione di Badu ‘e Carros. Quella che un tempo era la sezione isolamento, dismessa da anni, è stata riaperta appositamente per il camorrista e il suo compagno di detenzione, appartenente alla Sacra corona unita pugliese. L’hanno spedito qui per fare compagnia a Iovine detto ‘O ninno per la sua faccia da eterno ragazzino, anche se a settembre compirà 49 anni. Insieme trascorrono due ore al giorno: una all’aria, nei corridoi del “passeggio” murati e coperti da una grata arrugginita, due metri o poco più di larghezza, sei o sette di lunghezza; l’altra nella stanzetta della “socialità”, arredata da un vogatore. Per il resto, Iovine resta chiuso nella propria cella, tre metri per quattro, con un gabinetto alla turca accanto al letto fissato a terra, una bottiglia d’acqua a tappare il buco; forse per smorzare il cattivo odore, forse perché è il posto più fresco che c’è. “Provate voi a vivere ventidue ore al giorno dentro un bagno. Non credo sia una condizione dignitosa”, dice ‘O ninno. In libertà era considerato il più potente e il più moderno dei capi casalesi, assassino a vent’anni, imprenditore a quaranta, sinonimo della camorra che si rinnova e accumula denaro infilandosi in ogni ciclo produttivo, dal movimento terra all’edilizia, passando per il traffico dei rifiuti. Era ricco, e quando l’hanno preso, dopo quindici anni di latitanza, sfoggiava un maglioncino colorato di marca. Adesso indossa una polo bianca ben stirata, e spiega che il problema non è l’ergastolo da scontare né la legge da rispettare, ma il luogo in cui è rinchiuso. Un gabinetto aperto, per l’appunto, corredato dalla branda col materasso alzato per fargli prendere aria e mandare via l’umidità, un mobiletto e un fornelletto a gas per il caffè. Alle pareti non ci sono foto o poster appesi, vietati dal regolamento. “Ma se pure potessi non attaccherei niente, mi piace tenere l’ambiente pulito”, chiarisce Iovine, quasi volesse segnare il contrasto con la situazione in cui si ritrova. “Ho fatto domanda di trasferimento per poter vivere in una condizione più umana e dignitosa - racconta, mi hanno risposto di no; evidentemente per l’amministrazione va bene così”. Il senatore Manconi entra nella cella, si rende conto dello spazio e dei disagi. “Non credo ci sia bisogno di commentare - prosegue ‘O ninno. Io mi adeguo alle regole, però se uno vive con gli occhi aperti non può non riconoscere la situazione in cui mi trovo. Dicono che in questa struttura non si può migliorare, e resto così”. La giornata del boss comincia alle 7.30 del mattino, e a parte l’igiene personale e il paio d’ore in compagnia del malavitoso pugliese è scandita solo dalla tv accesa quasi in continuazione (può vedere sei canali), dalla lettura di libri e del settimanale Panorama. Attualmente è concentrato su Lettera a mia figlia, di Antonio Socci; in passato s’è appassionato ai volumi dello psicoterapeuta e volto televisivo Raffaele Morelli. “Anche in libertà leggeva libri?”, gli domanda Manconi. Iovine risponde che non aveva tempo: “Mi dovevo guardare”, badare alla sua latitanza. “Era un uomo d’azione”, s’inserisce il senatore De Cristofaro, campano come lui. “No, d’azione no”, replica il camorrista, sempre col mezzo sorriso stampato in faccia. Come dire che ad agire erano altri, lui semmai dava ordini. Il resto del discorso passa dai figli - “ne ho tre, dai 17 ai 26 anni, e per fortuna hanno preso le distanze da me attraverso lo studio; sono contento per loro” - alle visite dei parenti: “Posso vederli un’ora al mese, mia moglie e due figli che s’alternano di volta in volta”. Ogni mese riceve il pacco di vestiti e alimenti concessi dal regolamento, dieci chili in tutto, e ogni sei mesi altri dieci chili di abiti per il cambio di stagione. La televisione resta la compagnia preferita, in particolare i film polizieschi: “Ne ho visto uno in cui gli inquisiti sostenevano che per difendersi bisogna attaccare la fonte della prova; è quello che ho suggerito al mio avvocato”. Senza troppo successo, a giudicare dalle condanne accumulate. Terminato l’incontro col Casalese, la delegazione parlamentare (di cui fanno parte anche le assistenti di Manconi, Valentina Calderone e Valentina Brinis, assieme alla funzionaria del Senato Vitaliana Curigliano) si sposta ai piani superiori del carcere, sezione Alta sicurezza. Qui ci sono i detenuti senza nome arrivati da altri istituti in cui scontavano il “41 bis”, ammessi a un regime meno rigido; in realtà hanno ciascuno un nome, un cognome e storie criminali alle spalle tramutatesi nel “fine pena mai”. O chissà quando. Le celle sono spaziose e ripulite da poco, singole o per più persone, fino a cinque; negli altri penitenziari dormivano soli e potevano studiare, ora si lamentano soprattutto della lontananza dalle famiglie. Ma la loro condizione, ammettono, è più che dignitosa. Ingiusta, aggiungono, è la legge che preclude i benefici per i cosiddetti “ergastoli ostativi”, dovuti a reati per i quali non possono concedere pene alternative. Da pochi giorni è tornato qui Graziano Mesina, l’ex “re del Supramonte” che a 71 anni d’età, dopo una vita da fuorilegge e una redenzione che l’aveva portato fino alla grazia firmata dal presidente della Repubblica Ciampi nel 2004, ha ricominciato a fare il bandito. Almeno secondo i magistrati che la scorsa settimana l’hanno arrestato per estorsioni e traffico di droga. “Grazianeddu” torna dall’ora aria in Lacoste arancione e jeans chiari, l’aspetto burbero di sempre. Sostiene che lui non pensa di aver tradito la fiducia di alcuno, perché non ha fatto niente di male; la colpa semmai è di altri: “Ma io non posso sapere i guai che combinavano le persone con cui parlavo”. Punto. Il garbuglio giudiziario in cui s’è infilato proverà a sbrigliarlo davanti ai giudici. Ai senatori interessa la condizione carceraria, “il rispetto dei diritti che vanno garantiti a tutti, anche al peggior criminale responsabile dei peggiori abomini”, ammonisce Manconi. E Mesina non fa fatica ad ammettere che “in confronto ai sotterranei in cui sono stato chiuso per ventiquattro anni qui si sta benissimo”. Nel padiglione della sezione femminile, le undici recluse reclamano qualcuno che tagli loro i capelli. “Stiamo per sottoscrivere una convenzione con una parrucchiera, potrete fare anche la tinta”, annuncia la direttrice Carla Ciavarella, combattiva funzionaria ministeriale che si divide tra Badu ‘e Carros e il carcere di Tempio Pausania, costretta a far quadrare i conti col sovraffollamento e bilanci sempre insufficienti. “Pure un barbiere da uomo va bene”, si accontentano le detenute. Sulmona (Aq): collaboratore di giustizia accusa agenti per violenze sui detenuti www.articolotre.com, 20 giugno 2013 Li chiamavano "monaci", per via delle larghe tute mimetiche che indossavano, sotto le quali nascondevano cinte e bastoni. Vere e proprie squadre di punizione che agivano in silenzio e molto spesso di notte, per colpire i detenuti del carcere di Sulmona. La scioccante rivelazione è stata fatta questa mattina da un collaboratore di giustizia, sottoposto a regime di protezione rinchiuso nel carcere di Torino, dove sta scontando l'ergastolo, chiamato a testimoniare in un processo in cui è imputato Francesco Sciarrotta, agente di polizia penitenziaria di 45 anni del Gruppo operativo mobile (Gom) di Roma. L'agente è accusato di lesioni aggravate nei confronti di un detenuto, per fatti che si sarebbero svolti nell'ottobre del 2007. Nel corso dell'udienza, che è durata alcune ore e che si è svolta a porte chiuse, il collaboratore di giustizia ha raccontato, con dovizia di particolari, numerosi episodi di presunti maltrattamenti ai quali avrebbe assistito durante la sua permanenza nella sezione gialla del carcere di Sulmona riservata ai collaboratori di giustizia. Rivelazioni che hanno indotto il difensore della parte civile, l'avvocato Cinzia Simonetti, a chiedere al giudice Ciro Marsella la trasmissione degli atti alla procura della Repubblica, affinchè venga approfondita la veridicità delle dichiarazioni del testimone, in ordine all'esistenza di una presunta squadra di picchiatori. Anche perchè nel corso della deposizione il testimone avrebbe fatto con precisione alcuni nomi di agenti di polizia penitenziaria che avrebbero partecipato ai raid punitivi. Pordenone: Sonego (Pd); il nuovo carcere si farà a San Vito Tagliamento, costo 25 milioni Agi, 20 giugno 2013 “Il carcere di Pordenone si farà a San Vito al Tagliamento e le procedure di appalto dei lavori sono imminenti”. Lo annuncia in una nota il senatore Lodovico Sonego (Pd), che ne ha avuto conferma formale nel corso di un incontro con il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri cui ha partecipato il prefetto Angelo Sinesio, che svolge la funzione di commissario per l’edilizia carceraria. Cancellieri ha confermato che il nuovo carcere avrà una capienza di circa 300 posti, sarà localizzato nella caserma dismessa di San Vito e costerà circa 25 milioni di euro a carico del ministero. Lucca: inaugurata a San Pietro a Vico nuova Casa San Francesco, che accoglie ex detenuti di Sara Berchiolli www.loschermo.it, 20 giugno 2013 La vita all’interno del carcere non è facile. Ma non lo è neanche quella fuori dalle sbarre, soprattutto per chi, detenuto o ex detenuto, vede comunque all’interno del carcere una sorta di nido protettivo, dove tutto rimane immutato. Paura, disagio, dubbio e difficoltà d’integrazione sono sentimenti comuni a chiunque sia gravitato intorno al mondo della detenzione e ne sia poi uscito. Nacque così, con queste semplici basi, il Gruppo Volontari Carcere che dal 1987 cerca di dare sostegno a detenuti, ex detenuti e alle loro famiglie. Ventisei anni fa iniziò quindi un percorso fatto di attività fuori e dentro il carcere: attività artistiche, creative, ludiche, di formazione e informazione, seminari, incontri e convegni. Ma fu nel 1991 che il Gruppo Volontari Carcere ebbe modo di avere una base concreta dove operare. Grazie infatti al contributo della Cassa di Risparmio di Lucca e del Comune di Lucca i locali dell’ex convento di San Francesco, all’epoca inutilizzati, diventarono una casa di accoglienza con 15 posti letto in grado di ospitare e assistere sia chi avesse già scontato la pena, sia persone agli arresti domiciliari. In oltre un ventennio sono state 800 le persone accolte nella Casa, con l’aiuto di oltre 100 volontari. Dal 1991 sono state ricevute 20 mila lettere dal carcere, a cui è seguita per tutte una risposta; attualmente la Casa riceve circa 70 lettere al mese, di cui 60 riguardano una richiesta di accoglienza. Adesso, a distanza di 22 anni, la Casa San Francesco si sposta a San Pietro a Vico, grazie nuovamente al contributo della Cassa di Risparmio di Lucca e di Don Giuseppe Giordano, recentemente scomparso, cappellano del carcere e della parrocchia di San Pietro a Vico. L’inaugurazione è prevista per giovedì 20 giugno alle 18 con il contributo anche della Merciful Band, la banda musicale della Misericordia di Borgo a Mozzano. Lecce: al via un “progetto pilota” per l’impiego di detenuti nel sistema di gestione rifiuti www.ilquotidianoitaliano.it, 20 giugno 2013 Firmata ieri mattina alla presenza dell’Assessore alle Politiche Ambientali del Comune, Andrea Guido, la convenzione tra Axa Servizi Ambientali e la Direzione della Casa Circondariale di Lecce per l’impiego dei detenuti nel ciclo di gestione rifiuti. Volta a promuovere l’organizzazione e la realizzazione di progetti per il reinserimento socio - lavorativo dei detenuti, questa iniziativa si riallaccia al precedente protocollo d’intesa posto in essere tra il Direttore del Carcere, Dott. Antonio Fullone, e l’Assessore Andrea Guido inerente il raggiungimento degli obiettivi di valorizzazione della raccolta differenziata dell’area di competenza della casa di reclusione. Finora, dunque, i detenuti si sono occupati fattivamente delle operazioni di raccolta differenziata, utilizzando in comodato d’uso tutte le attrezzature necessarie al corretto svolgimento del servizio e avvalendosi di percorsi formativi realizzati ad hoc, ma da oggi, alcuni di loro, potranno svolgere funzioni attinenti la gestione del ciclo dei rifiuti anche all’esterno dell’istituto di pena. La speciale convenzione con la ditta concessionaria del servizio di igiene urbana nella città di Lecce permetterà in via sperimentale per i prossimi 3 mesi a 5 detenuti scelti tra i più meritevoli dai responsabili del carcere di lavorare extra moenia presso l’impianti di selezione dei rifiuti differenziati di Axa di Lecce in località Ex Cave Noè. I detenuti - lavoratori avranno diritto, oltre ai buoni pasto, al rimborso spese e all’assicurazione Inail per tutto il periodo d’impiego. “Un esempio significato a livello europeo per la funzione sociale e ambientale che lo caratterizza e che conferma le precedenti scelte del carcere leccese in un momento, come questo, in cui dilagano a livello nazionale le polemiche riguardanti il trattamento e la qualità della vita negli istituti di pena italiani” - commenta Andrea Guido. “I detenuti avranno l’opportunità di imparare e praticare un mestiere che sarà utile un volta giunto il periodo di fine pena. Un mestiere tutt’altro che semplice, che richiede una qualifica adeguata e agevolerà per questo l’eventuale reinserimento sociale”. “Occorre far crescere un sentimento positivo ed una forte motivazione” - continua l’Assessore - Dal punto di vista simbolico il contributo che la Casa Circondariale intende dare è il più potente che si possa immaginare. Ai detenuti farà bene essere investiti da determinate responsabilità. Mi auguro che questo impegno si riveli il più duraturo possibile perché stiamo vincolando un’azienda, il Comune e le istituzioni per un’operazione che deve avere una prospettiva e una crescita, dentro e fuori le mura di Borgo San Nicola. Oggi si è compiuto un ulteriore passo, questa volta molto più importante sotto l’aspetto sociale ed educativo” - conclude Andrea Guido. Genova: appalto per l’assistenza sanitaria in carcere, il Sindacato di Base denuncia l’Asl di Giuseppe Filetto La Repubblica, 20 giugno 2013 Un appalto “addolcito”, quantomeno preparato per renderlo appetibile e facilitare l’affidamento ad esterni. L’assistenza sanitaria in carcere ai detenuti finisce al centro di una denuncia da parte del Sindacato di Base, che rappresenta un certo numero di infermieri ed operatori sanitari della Asl Tre. Tanto che è stata avviata una vertenza legale da parte dei dipendenti che si sentono penalizzati ed è stata inoltrata copia della documentazione alla Corte dei Conti. Già, perché sindacalisti e dipendenti della Asl sostengono che l’affidamento del servizio alla Cooperativa Omnia Service rappresenti un danno economico allo Stato. Secondo loro, il bando di gara sarebbe stato preceduto da una operazione che lo avrebbe avvantaggiato. Per capire, occorre fare un passo indietro. Fino al marzo del 2012 l’assistenza medico - sanitaria all’interno delle carceri di Marassi e di Pontedecimo era gestita dalla sanità pubblica. Diciannove dipendenti della Asl Tre che operano in altre settori, si alternavano, assicurando il servizio nel carcere femminile, pagati con lavoro straordinario ed una tariffa oraria di 17,40 euro. Per quanto riguarda Marassi, invece, l’assistenza era di tipo misto: parte di personale Asl, supportato da esterni, appunto della Cooperativa Omnia. “Prima che fosse fatto il bando di gara, la Asl ha applicato un aumento inaspettato al compenso delle ore di straordinario - racconta Francesco Cappuccio, del Sindacato di Base - dai 17,40 euro si è passati a 26, cosa che ha stupito gli stessi dipendenti”. Qualche mese dopo, c’è stato l’affidamento ai privati. Con una delibera che i sindacati ritengono sorprendente e che in un primo tempo ha sollevato le contestazioni della Fials. Tanto che il sindacato di categoria ha chiesto un incontro urgente con il direttore generale Corrado Bedogni, ricordando che “la materia inerente l’affidamento in appalto di aree assistenziali di competenza pubblica, rientra tra quelle oggetto di preventiva informazione, esame congiunto e informazione come sancito dal vigente contratto nazionale di lavoro”. Il passaggio ai privati ha fatto nascere qualche sospetto: “Se avevano già in programma di esternalizzare il servizio, non capiamo perché hanno aumentato il compenso per le ore straordinarie”, ripete il sindacalista del Sindacalista di Base, che ora chiede l’intervento della Corte dei Conti. La versione fornita dalla Asl Tre è diversa. Giuseppe Reinaudo, direttore amministrativo, precisa che le dichiarazioni dei sindacalisti “sarebbero comunque calunniose”. Inoltre, sottolinea che l’aumento sarebbe avvenuto nel marzo 2012: “Siamo stati costretti ad adeguare il compenso orario nel momento in cui il servizio è passato sotto la gestione della Asl, cioè agli inizi del 2012 - precisa Reinaudo. Abbiamo dovuto equiparare lo straordinario a quello degli altri dipendenti della sanità pubblica”. Ricorda che l’affidamento ai privati è di un anno dopo: dal gennaio 2013 per il carcere di Marassi e dal maggio 2013 per Pontedecimo. Nuoro: morto nel carcere Badu ‘e Carros, trova sepoltura grazie a una gara di solidarietà La Nuova Sardegna, 20 giugno 2013 Lo scorso mese, grazie a una colletta, sono riusciti a fare in modo che Giampaolo Casula, detenuto tortoliese morto per un infarto mentre giocava a calcio nel carcere di Badu ‘e Carros e poi seppellito nel cimitero di Nuoro, potesse trovare sepoltura nel suo paese natale. E così, a meno di una settimana dal suo seppellimento, sono riusciti nell’intento. Ora gli organizzatori dell’iniziativa fanno l’elenco di quanti li hanno aiutati. “Siamo gli amici che hanno dato vita alla colletta - scrivono - e intendiamo ringraziare l’agenzia funebre “La Rosa blu”, le cognate e i nipoti di Giampaolo, il cugino. E ancora, per la loro partecipazione a titolo personale, un assessore regionale ogliastrino, un assessore provinciale, due assessori e un consigliere comunale, il Circolo 2 Giugno e tutte le persone che, con il loro contributo, ci hanno permesso di riportare il nostro amico nel suo paese natale”. E concludono: “Un ringraziamento speciale va agli amici di Badu ‘e Carros, che hanno aderito all’iniziativa, con grande cuore”. Roma: Sappe; operazione antidroga al carcere di Velletri, con l’ausilio di unità cinofile Asca, 20 giugno 2013 Nella mattinata di sabato 15 giugno, personale del gruppo cinofili della Regione Lazio, unitamente al personale di Polizia Penitenziaria del reparto colloqui dell’istituto penitenziario di Velletri, ha compiuto una operazione di servizio per impedire che sostanze stupefacenti entrassero nel carcere. L’azione, finalizzata a contrastare l’introduzione di sostanze stupefacenti all’interno del penitenziario, è stata condotta dal personale del reparto colloqui e dalle unità cinofile antidroga, guidate dal Coordinatore del Reparto Colloqui e dal Comandante Ff dell’Istituto di Velletri. Durante i controlli, i due cani del nucleo cinofili hanno segnalato la presenza di sostanza stupefacente dapprima nella porta carraia dell’Istituto e poi in un cassetto portaoggetti in uso ad un familiare che stava per essere ammesso al colloquio famiglia. L’operazione ha impedito l’introduzione di hashish e cocaina. Il Sindacato autonomo polizia penitenziaria ha immediatamente chiesto al Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria di programmare una maggiore operatività del nucleo cinofili, al fine di stroncare la piaga dell’introduzione di sostanze stupefacenti che da tanti danni creano problemi all’interno delle carceri. Brindisi: esposto mosaico fatto da detenuti, finanziato da Fondo nazionale contro la droga www.newspuglia.it, 20 giugno 2013 Questa mattina, presso la sala di rappresentanza, la direttrice della Casa Circondariale di Brindisi, Anna Maria Dello Preite, ha portato in dono al Commissario Straordinario, Cesare Castelli, il mosaico raffigurante lo stemma della Municipalità di Brindisi realizzato dai detenuti che hanno partecipato al laboratorio di lavorazione della ceramica e dedicato proprio all’ente provinciale. Il più ampio progetto entro il quale si inserisce questo laboratorio è finanziato attraverso il Fondo nazionale contro la droga. “Questo mosaico è un messaggio di fiducia lanciato alle persone più fortunate, come i detenuti che sono incappate, a causa di scelte sbagliate, in situazioni illegali portandole poi a dover scontare una pena per gli errori commessi e spesso alla contestuale emarginazione dalla società civile una volta fuori - ha detto il Commissario Straordinario della Provincia, Cesare Castelli. Cerchiamo di farle rientrare nella società perché questo è il compito correttivo delle carceri, al di là della pena, facendo anche conoscere le loro potenzialità. L’idea della Provincia è, dunque, di offrire loro delle opportunità e in tal senso ho proposto agli ospiti della Casa Circondariale di Brindisi di esporre altre opere magari proprio nelle nostre sale” è l’idea lanciata da Castelli alla dirigente del carcere brindisino accolta con molto entusiasmo dai presenti. “Lavoreremo sicuramente di concerto con l’ente provinciale che ci ha sempre dimostrato grande sensibilità e partecipazione. Per tale motivo i 5 ragazzi della sezione infermeria della Casa Circondariale di Brindisi, hanno voluto dedicare i frutti del loro lavoro proprio alla Provincia. Mi piace ricordare con l’occasione anche altre attività fatte col sostegno dell’amministrazione provinciale come il progetto “Nel nome del Padre” tenutosi a Natale e condotto dal Centro famiglia il progetto sostegno alla genitorialità, purtroppo interrotto per mancanza di fondi, ma confidiamo in una riapertura. Altri laboratori ancora più recenti ci hanno visti protagonisti insieme anche con alcune scuole della città in sette incontri dedicati alla musica e alla poesia, o anche laboratori teatrali. Così i detenuti potranno mostrare di non essere solo un peso per la società, perché se seguiti e supportati bene possono dimostrare grandi capacità di riabilitazione. I detenuti hanno bisogno e chiedono ogni giorno di fare attività perché la condizione giornaliera nelle carceri è soffocante e il nostro obiettivo e sostenerli” ha commentato Dello Preite. Il laboratorio di ceramica, curato dall’insegnate Oriana Costani, è durato trenta ore alle quali hanno partecipato 5 detenuti con problemi non solo psichici ma anche fisici che hanno dimostrato grande capacità creativa e di disciplina al lavoro. Il mosaico è realizzato in pasta di vetro e verrà esposto nel Salone di Rappresentanza della Provincia di Brindisi. Il Commissario Castelli ha donato, viceversa, alle curatrici del progetto, perché li portassero nella biblioteca carceraria, due pubblicazioni patrocinate dall’amministrazione e riguardanti la storia del territorio Brindisino con l’augurio di poter stringere maggiormente questo legame fra la biblioteca della Casa Circondariale e quella Provinciale. Larino (Cb): “Sotto le stelle, dietro le sbarre”…, stasera la cena di beneficenza in carcere www.termolionline.it, 20 giugno 2013 “Sotto le stelle, dietro le sbarre”, gran giorno oggi per la cena di beneficenza che per la prima volta sarà ospitata nel carcere di Larino. Una iniziativa sorta per ovviare alla cronica carenza di fondi, sempre più evidente nella pubblica amministrazione, il 20 giugno sarà organizzata una cena di beneficenza dentro le mura del carcere, con cui si spera di finanziare parte dei futuri progetti didattici. “Per la prima volta alcuni dei volontari che abbiamo formato hanno avuto la possibilità di incontrare i detenuti. Sicuramente è un momento molto bello - afferma don Benito, presidente della Iktus Onlus - sicuramente gratifica le persone che si sono rese disponibili, ma soprattutto dona pace e serenità ai detenuti che da tempo attendono questa presenza, poiché hanno bisogno di essere stimolati attraverso attività ricreative”. Sulla cena di beneficenza, invece, che è prevista dalle 19.30, il sacerdote e parroco di San Timoteo sottolinea come si tratti della prima volta per il carcere di contrada Monte Arcano. A preparare il menù, al costo di 30 euro, gli stessi detenuti allievi dell’istituto Alberghiero Federico di Svevia a Termoli, nel cortile interno del penitenziario. Firenze: Festa dei 25 anni per la Compagnia della Fortezza e il progetto di teatro-carcere Il Tirreno, 20 giugno 2013 I 25 anni della Compagnia della Fortezza, il gruppo teatrale di detenuti attori della casa di reclusione di Volterra diretti da Armando Punzo, saranno celebrati il 26 giugno al Gabinetto Viesseux di Firenze, attraverso le letture dei loro spettacoli più importanti. Tra gli ospiti alcuni critici teatrali, tra cui Goffredo Fofi, e i quattro detenuti Aniello Arena, attore in Reality di Matteo Garrone e ultimamente candidato ai David di Donatello nella categoria “miglior attore protagonista”; Francesco Felici; Massimiliano Mazzoni e Giuseppe Venuto. Durante la giornata omaggio si terrà anche una performance live dell’artista Mario Francesconi. Alcune delle persone che leggeranno i brani sono, oltre ai già citati, Maria Teresa Giannoni, Massimo Marino, Gabriele Rizza, Giacomo Trinci, Tommaso Chimenti e Cristina Valenti. Delle istituzioni interverrà Cristina Scaletti, assessore alla cultura della Regione Toscana. Vi racconto 25 anni di teatro dietro le sbarre Trenta spettacoli in 25 anni. Migliaia di persone che ogni anno chiedono di poter assistere alle repliche estive in carcere durante il festival di Volterrateatro. E ancora da otto anni la possibilità di portare il prestigio e l’invenzione dei detenuti attori di Volterra nei maggiori festival, teatri e rassegne di tutta Italia, con il sostegno del mondo della cultura internazionale. Buon quarto di secolo Compagnia della Fortezza: sarà direttamente Armando Punzo, il demiurgo - creatore - regista di questa esperienza tutta volterrana che ha fatto scuola nel pianeta, a raccontarla il 26 giugno alle 17 al Gabinetto Viesseux di Palazzo Strozzi, a Firenze. Insieme a lui gli attori della Compagnia Aniello Arena (era uno dei cinque migliori attori candidati ai David di Donatello e per poco non lo conquista), Francesco Felici, Massimiliano Mazzoni e Giuseppe Venuto: con questa data tutta fiorentina si aprono ufficialmente le celebrazioni per i 25 anni di attività della Compagnia. Venticinque anni fa Armando Punzo ha concepito e battezzato una rivoluzione culturale e sociale. “Ho trasformato il carcere in luogo di cultura, ed ancora oggi lo cavalco senza scendere a patti con nessuno”. Con tutte le sue energie, Punzo sta oggi lavorando per realizzare un sogno: creare il primo Teatro Stabile in un Carcere. Una sfida estrema in cui si lanciarono Armando Punzo, l’illuminato, allora direttore del carcere, Renzo Graziani e gli agenti di polizia penitenziaria del carcere (prima contrari e dubbiosi e poi divenuti i più strenui sostenitori), e che oggi è già storia. Quella di una compagnia che in uno spazio improbabile, una ex - cella di tre metri per nove, riconvertita in teatro, vede incontrarsi ogni giorno dalle venti alle cinquanta persone che leggono, discutono, elaborano, progettano, provano, costruiscono. L’opera dell’artista Mario Francesconi sarà presente con tutta la sua emozionante forza. Ci sarà anche l’assessore regionale Cristina Scaletti. Milano: Progetto “Liberazione Nella Prigione”, incontro con i detenuti di Bollate www.informazione.it, 20 giugno 2013 Incontro con Claude Anshin Thomas, autore del libro “Una volta ero un soldato”. Il Progetto Liberazione Nella Prigione Italia Onlus è lieto di annunciare l’incontro del Ven. Claude Anshin Thomas con i detenuti della Casa di Reclusione di Milano Bollate il giorno 11 luglio 2013. Inoltre sarà possibile ascoltare Claude AnShin anche presso il centro Mindfulness Project, in via Cenisio 5, Milano, lunedì 15 luglio dalle ore 20.45, per un insegnamento aperto a tutti. Claude Anshin Thomas (nato nel 1947) parte volontario a diciassette anni per la guerra del Vietnam. Un anno dopo torna in America portandosi addosso gli orrori, le tragedie, le angosce vissute negli inferni della guerra. Inizia un lungo periodo di devastazione interiore e disagio sociale, da classico “reduce vietnamita”, fino a quando decide di smettere di usare alcool e altre droghe. Nel 1990 incontra un monaco vietnamita di nome Thich Nhat Hanh che organizza ritiri per reduci americani. E da lì inizia l’altro viaggio della sua vita che lo condurrà alla rinuncia e alla scelta monacale. Nel suo scritto chiaro, semplice e accessibile a chiunque, Anshin racconta la discesa negli inferi e la risalita alla luce, un cammino che ciascuno può imparare a fare su come fare i conti con le proprie radici della guerra e le conseguenze su di noi. Claude Anshin Thomas (nato nel 1947) è stato ordinato nel 1995 da Baisen Tetsugen Roshi. Lui è ora un Insegnante di meditazione buddhista attraverso un impegno assiduo su progetti sociali, conferenze e ritiri. Dal 1994 Claude Anshin ha percorso 74.420 chilometri in un pellegrinaggio di pace attraverso l’Europa, l’Asia, il Medio Oriente e gli Stati Uniti, camminando nell’antica tradizione monastica, in cui lui e quelli che hanno camminato con lui, hanno dovuto mendicare per ogni cosa. È fondatore e Consulente Spirituale della Fondazione Zaltho (www.zaltho.org / www.zaltho.de) un’organizzazione non - profit basata sul testimoniare attivamente la non - violenza”. “Che idea radicale. Che possiamo vivere senza guerra. Che possiamo vivere in armonia. Che possiamo vivere in pace. È assolutamente possibile. Ma dobbiamo prima fare esistere la Pace che vogliamo vedere nel Mondo. Dobbiamo fare pace con noi stessi”. Libia: Amnesty International denuncia; migliaia di rifugiati nei “Centri di trattenimento” Adnkronos, 20 giugno 2013 La denuncia di Amnesty International nella giornata mondiale del rifugiato: almeno 5mila profughi e richiedenti asilo detenuti a tempo indeterminato, al solo scopo di controllare i flussi migratori. Tra loro anche un gruppo di minori. In occasione del 20 giugno, Giornata mondiale del rifugiato, Amnesty International ha diffuso un nuovo documento nel quale chiede alle autorità libiche di porre immediatamente fine alla detenzione a tempo indeterminato di rifugiati, richiedenti asilo e migranti (compresi bambini) in prigioni definite centri di trattenimento, a soli fini di controllo dell’immigrazione. Ad aprile e maggio, una delegazione di Amnesty International ha visitato la Libia. Al momento della visita, nel paese erano operativi 17 cosiddetti centri di trattenimento diretti dal ministero dell’Interno, nei quali erano detenuti 5.000 rifugiati, richiedenti asilo e migranti, senza contare quelli detenuti nei centri gestiti dalle varie milizie. Amnesty International ha potuto visitare sette centri di trattenimento e ha incontrato anche un piccolo numero di minori non accompagnati, alcuni di 10 anni, detenuti in tre centri di trattenimento da mesi. In molti dei centri di trattenimento visitati sono state osservate scarse condizioni igieniche ed elevato rischio di contrarre malattie e infezioni, come la polmonite e la dissenteria. Nel “Centro di trattenimento” di Sabha, in cui a maggio si trovavano 1.300 persone, i detenuti erano ammassati in celle sporche e sovraffollate. La prigione è risultata priva di un servizio di fognatura funzionante e i corridoi erano pieni di immondizia. Circa 80 detenuti presumibilmente affetti da scabbia erano sottoposti a “trattamento” in un cortile, sotto al sole, in condizioni di disidratazione. I delegati di Amnesty International hanno documentato numerosi casi di detenuti, uomini e donne, sottoposti a brutali pestaggi. “Le torture e i maltrattamenti che abbiamo scoperto nei Centri di trattenimento sono inaccettabili e costituiscono una macchia sulla Libia post - Gheddafi - ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International - gli abusi nei confronti dei cittadini stranieri provenienti dall’Africa subsahariana erano diffusi nell’era - Gheddafi e rischiano di diventare una caratteristica permanente del paese, se le autorità di Tripoli non cambieranno immediatamente le loro politiche”. Siria: Osservatorio per i diritti umani; cento morti in due mesi nel carcere di Aleppo Ansa, 20 giugno 2013 In Siria si continua a morire. Gli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani hanno denunciato le “allarmanti” condizioni di detenzione nel carcere di Aleppo, dove negli ultimi due mesi sono morti oltre cento detenuti. Il carcere di Aleppo è uno dei più grandi della Siria e da aprile è sotto assedio: le forze del regime di Bashar al-Assad hanno respinto diversi tentativi dei ribelli di liberare i quattromila detenuti nella struttura. Tra di loro si contano islamici, criminali comuni, attivisti e minori.