Giustizia: il Governo è diviso, il decreto “svuota carceri” a rischio di Francesco Grignetti La Stampa, 18 giugno 2013 Alfano contro la proposta della Guardasigilli Cancellieri di far uscire 4 mila detenuti. Braccio di ferro fra i due ministeri sui reati “socialmente pericolosi”. L’emergenza carceraria morde sempre più, specie ora che è arrivato il caldo dell’estate. Ma del decreto annunciato la settimana scorsa dal ministro Annamaria Cancellieri si sono perse le tracce. Non è stato discusso la settimana scorsa, né sarà esaminato mercoledì dal consiglio dei ministri. Forse, e bisogna sottolineare il forse, se ne parlerà venerdì. C’è la forte possibilità che del decreto originario resti la parte sulla violenza domestica, il furto d’identità e l’assunzione di 1.000 nuovi vigili del fuoco, e che venga stralciata la parte dedicata alle carceri. Il fatto è che dentro il governo si litiga. Tra Interno e Giustizia i punti di vista sono diversi e difficilmente conciliabili: Angelino Alfano non vuole nessun recidivo per furti o rapine in strada prima del tempo; la Cancellieri, all’opposto, vorrebbe qualche migliaio di detenuti al più presto fuori dalle celle. Il decreto, come detto e ripetuto dal Guardasigilli nei giorni scorsi, dovrebbe servire da valvola di sfogo per un sistema, quello penitenziario, che ha ben 22mila detenuti in più della capienza regolamentare. Secondo gli auspici della Cancellieri, con il decreto 3 o 4mila detenuti avrebbero beneficiato di una liberazione anticipata. Il grimaldello giuridico era una riforma dell’articolo 656 del codice di procedura penale e quindi creare un sistema di sconti per i detenuti giunti quasi alla fine della pena comminata (l’ipotesi è di un massimo di 3 anni) in modo da favorire un certo numero di scarcerazioni anticipate. Ma anche su quest’ipotesi, che al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria consideravano proprio il minimo, si sono scatenati immediatamente gli allarmismi di leghisti, Fratelli d’Italia e grillini. Alfano poi s’è messo di traverso. Ed è iniziata una sfibrante trattativa su reati sì/reati no per stabilire chi potesse beneficiarne. Un segnale delle tensioni crescenti si coglieva già nelle parole del ministro della Giustizia al Tg1 del 13 giugno, giovedì scorso: “Il decreto è un provvedimento che, salvaguardando la sicurezza dei cittadini perché non toccherà persone che hanno compiuto reati socialmente pericolosi, allenterà la pressione”. Per poi ribadire, il giorno seguente: “Sarà individuata una tipologia di persone che hanno compiuto reati non socialmente pericolosi e che sono sotto il controllo del giudice e che hanno una serie di garanzie da non destare l’allarme sociale”. Siccome però s’è destato un forte allarme politico, anche ieri sono proseguite le trattative tra esperti dei due ministeri interessati. E però la realtà carceraria è sempre lì nella sua drammaticità. Ci sono situazioni estreme, come racconta il sindacato autonomo della polizia penitenziaria Osapp, come Torino “dove i nuovi arrivati dormono, da giorni, per terra senza neanche il materasso” oppure Roma a Rebibbia, dove in cinque giorni ci sono stati cinque decessi. E alla disperata ricerca di spazi utili, si litiga sull’Asinara. Il sottosegretario alla Giustizia, Giuseppe Berretta, prospetta la riapertura del vecchio carcere; il Governatore Cappellacci è contrarissimo. Giustizia: timori per i recidivi che potrebbero uscire, slitta la legge sulle carceri di Fiorenza Sarzanini Corriere della Sera, 18 giugno 2013 La trattativa tra l’Interno e la Giustizia va avanti ormai da venerdì scorso. Ma l’accordo appare ancora lontano e adesso il “decreto carceri” rischia di saltare. In ballo c’è l’esigenza di “evitare un forte impatto sociale in materia di sicurezza”, sottolineata dai tecnici del Viminale illustrando la linea del ministro Angelino Alfano, preoccupato per gli effetti che può avere la liberazione anticipata di migliaia di detenuti. Soprattutto quelli che hanno compiuto reati tali da destare allarme come rapine, lesioni, furti. Da qui la decisione dello stesso Alfano di “stralciare” le nuove norme dal pacchetto che doveva essere portato già domani a Palazzo Chigi. Adesso bisognerà attendere la mossa di Anna Maria Cancellieri, che dopo l’appello del capo del Stato si era impegnata personalmente a far approvare un provvedimento per lo sfollamento delle celle in vista dell’estate. E appare determinata a procedere, consapevole che la situazione all’interno dei penitenziari sta diventando esplosiva e potrebbe aggravarsi a fronte di un nuovo nulla di fatto. La norma controversa riguarda la modifica dell’articolo 656 del codice di procedura penale che alza da tre a quattro anni il residuo di pena che i detenuti possono scontare a casa o comunque in luoghi alternativi al carcere, il provvedimento riguarda anche i cosiddetti “recidivi qualificati” ed è proprio questo ad aver convinto il ministro dell’Interno sull’opportunità di tirarsi indietro. “Il rischio è che i cittadini non capiscano un simile provvedimento, soprattutto quando si promette di rendere più sicure le città”, è il ragionamento che viene fatto in queste ore. Proprio su questo tasto battono i sindacati di polizia, che in queste ultime ore hanno manifestato la propria contrarietà a un intervento di liberazione dei detenuti, come ribadisce il segretario del Sap Nicola Tanzi, secondo il quale “una parte consistente di coloro che usciranno dal carcere, come avvenuto in passato, tornerà a delinquere con conseguenze pesanti per la sicurezza dei cittadini e per il lavoro della polizia di Stato, che già soffre i tagli alle risorse per la sicurezza”. La posizione è netta: “Pur conoscendo i problemi delle carceri e il disagio della polizia penitenziaria, siamo contrari a qualsiasi ipotesi di decreto che anticipi la fine della pena. In Italia quello che manca è proprio la certezza della pena. Siamo piuttosto favorevoli a pene alternative per reati minori che non destino allarme sociale”. Secondo i. calcoli fatti dai collaboratori del Guardasigilli sono circa 4 mila i reclusi che potrebbero uscire con l’approvazione delle nuove norme. Sul totale di 20 mila detenuti in più rispetto alla capienza dei penitenziari, si tratta di un numero esiguo ma, come ha spiegato Cancellieri nei giorni scorsi, “è comunque un primo e importante passo”. E rispetto alle perplessità espresse al Viminale è stato fatto notare che le modalità studiate nel decreto consentono un “rilascio prolungato”, perché su ogni posizione dovrà pronunciarsi il magistrato di sorveglianza, quindi non ci sarà alcun esodo improvviso, né generalizzato. Spiegazioni che non sembrano aver convinto Alfano, anche se fino al giorno del Consiglio dei ministri nulla appare scontato. Soprattutto tenendo conto che era stato lo stesso presidente del Consiglio Enrico Letta, la scorsa settimana, a precisare che il decreto carceri veniva soltanto rinviato. E aveva così dato seguito alle indicazioni arrivate dal Quirinale. Si continua a trattare, si prova a mediare consapevoli che in materie così delicate come quella delle carceri e della sicurezza i provvedimenti del governo devono essere condivisi. Dunque si cerca di evitare che il frutto del negoziato sia un disegno di legge, unanimemente ritenuto misura inutile per affrontare l’emergenza sovraffollamento nelle carceri. Del resto nei giorni scorsi anche il Sappe, il maggiore sindacato di polizia penitenziaria, aveva chiesto di procedere “con riforme strutturali sull’esecuzione della pena e altri interventi quali l’incremento del ricorso alle misure alternative alla detenzione, l’espulsione dei detenuti stranieri”, suggerendo di favorire “nuovi circuiti penitenziari permettendo ai tantissimi tossicodipendenti oggi in cella di espiare la pena nelle comunità di recupero, controllati dalla polizia penitenziaria”. Giustizia: il ministro Cancellieri; mettere i detenuti non pericolosi nelle caserme dismesse di Liana Milella La Repubblica, 18 giugno 2013 I processi di Berlusconi? “Gli esiti non dovrebbero influire sulla tenuta del governo”. Un’eventuale reazione rabbiosa dei suoi elettori? “Li rispetto, ma a loro dico che per prima cosa si rispettano le sentenze, di qualsiasi tenore esse siano”. Le carceri? “Stiamo lavorando a un piano per ristrutturare una decina di caserme per detenuti non pericolosi”. Gli immigrati morti? “Vorrei una giustizia durissima contro i trafficanti di esseri umani”. Parla così, con Repubblica, il Guardasigilli Anna Maria Cancellieri. Comincia domani, con la decisione della Consulta su Mediaset, la settimana dei processi di Berlusconi. Preoccupata? “Sicuramente andiamo incontro a un momento molto delicato. Ciononostante sono serena, perché penso che questo governo è nato dalla volontà di fare cose utili per il Paese in un momento di straordinaria difficoltà. Ritengo predomini la necessità di dare risposte ai cittadini, affrontando le tematiche più urgenti e più pressanti per loro che ci impongono di andare avanti comunque. Penso che anche gli altri colleghi siano d’accordo, per cui alla fine quello che accadrà non dovrebbe influire sulla vita del governo”. La storia del Cavaliere ci ha insegnato che le sue reazioni sono sempre fuori misura. Che accadrà se dovessero esserci nuove manifestazioni tipo Milano e Brescia? “La cosa fondamentale è che il ministro della Giustizia faccia il ministro della Giustizia e svolga la sua attività nel pieno rispetto della Costituzione e delle leggi dello Stato. Io non temo di assumermi le mie responsabilità, ma devono essere quelle da Guardasigilli. Che vuole svolgere il suo compito super partes”. Dopo Brescia però il Csm le ha rimproverato di non prendere posizione. “Sono in tanti a parlare spesso con obiettivi politici e non istituzionali. Io invece non perseguo mai fini politici, ma solo istituzionali”. Meglio star zitti? “Dipende dalle situazioni e da quello che si verifica”. Dicono i berluscones che la reazione dei 10 milioni di italiani che li votano è imprevedibile. Vede una minaccia? “Bisogna essere sempre molto sereni. Ho detto cento volte che le sentenze vanno rispettate, senza far distinzione tra quelle che piacciono o quelle che non piacciono, perché così si mette in discussione lo Stato. Poi, certo, c’è la questione politica, perché dieci milioni di cittadini rappresentano una parte importante del nostro Paese che merita attenzione. Però a loro, da ministro della Giustizia, posso solo raccomandare di rispettare le sentenze. L’ho detto per Cucchi, ma vale per chiunque”. Napolitano ha invitato a non delegittimare la Consulta. Non è un caso, le pare? “Guai se il Paese perde il rispetto delle istituzioni e della legge, il rischio è che si rotoli nell’anarchia. Napolitano è sempre stato coerente. Ci ha dato lezioni importanti e indicato una strada”. Giovedì va al Csm giusto dopo la Consulta. Prevede bufera? “L’appuntamento è fissato da tempo. Ho atteso solo perché avevo bisogno di assestarmi negli uffici e fare un incontro pieno di contenuto”. Un’anticipazione? “La falsariga l’ho già esposta a Camera e Senato, ma per alcuni temi, come il civile e le carceri, entrerò più nei dettagli”. Il rinvio delle misure sul carcere indica ostacoli? “È una questione di tempi. E poi stavo ancora lavorando sul magistrato di sorveglianza. Neppure Alfano era pronto con il suo pacchetto”. La manovra sulle carceri si esaurisce in 3-4mila posti in più? “Decisamente no. Bisogna depenalizzare perché in Italia chi dà in autobus false generalità rischia fino a sei anni, la stessa pena di chi stampa moneta falsa. Servono sanzioni amministrative. Poi bisogna puntare sulle misure alternative, perché chi commette un reato non grave non deve per forza finire in carcere. Io, come cittadino, sarei più contenta se chi imbratta i muri li ripulisse, piuttosto che vederlo in prigione”. Per tutto questo ci vorrà tempo. E intanto? “A fronte di 47mila posti ci sono 66mila detenuti. Non bastano letti in più, servono carceri alternative per chi non è pericoloso in cui il detenuto possa lavorare e svolgere attività sociale”. Ha qualche idea? “Sto lavorando al progetto di creare un circuito di detenuti non pericolosi da sistemare in caserme distribuite in varie regioni. Ne abbiamo già individuate una decina da ristrutturare in tempi rapidi, senza grossi investimenti”. Tra i suoi emendamenti al ddl Severino sui domiciliari c’è quello che li estende a reati fino a 6 anni. È per Berlusconi? “Il Paese non può fare scelte pensando solo a Berlusconi, deve scegliere cosa è bene per se stesso. I reati gravi sono esclusi, e poi la detenzione domiciliare è sempre una detenzione, nessun condannato va a spasso”. Nel suo programma c’è il clamoroso vuoto delle misure anti-corruzione. Penati prescritto. Perché non fate niente? “Nessun vuoto. C’è una legge freschissima, ci sono iniziative parlamentari, e se mi chiameranno non mi tirerò certo indietro, ma non la vedo come una priorità, perché i temi di cui abbiamo appena parlato attendono da 30 anni. Ma la gente sa quanto paghiamo con la legge Pinto per aver violato la ragionevole durata del processo? Il ministero dell’economia non ha una lira. È un mio dovere affrontare prima questo tema”. I processi prescritti non sono un problema? “Non sarebbe meglio impiegare energie per farli più in fretta? Il problema è la prescrizione o l’incapacità di fare i processi in breve tempo? La lotta alla corruzione comunque mi interessa moltissimo e nessuno può pensare il contrario”. Da ex ministro dell’Interno cosa ha provato nel sentire che 7 immigrati sono morti mentre cercavano di salvarsi aggrappandosi a una rete per tonni? “Un profondo dolore, un sentimento di pietà e insieme di furiosa rabbia. Credo che nei confronti dei trafficanti di esseri umani si debba essere implacabili e rigorosi. Lì la giustizia dovrebbe manifestarsi in tutta la sua esemplarità e durezza”. Giustizia: Osapp; utilizzo caserme? prima l’adeguamento organico Polizia penitenziaria Ristretti Orizzonti, 18 giugno 2013 “Siamo alle solite, quando si parla di proposte per le carceri si fanno sempre i conti senza l’oste, ovvero senza la Polizia Penitenziaria” ad affermarlo è Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) che commenta in tal modo il progetto della Guardasigilli Cancellieri di utilizzare una decina di caserme ristrutturate per la custodia di detenuti non pericolosi. “In carcere ci sono circa 18mila detenuti con pena detentiva inferiore a 3 anni, una gran parte dei quali, stante l’imminente scarcerazione, potrebbe scontare la pena residua presso strutture a c.d. “custodia attenuata”, ma - prosegue il leader dell’Osapp - ciò comporterebbe l’impiego di almeno 150/200 addetti per ogni nuovo istituto, ovvero dalle 1.500 alle 2.000 unità aggiuntive che la Polizia Penitenziaria non ha.” “I precedenti Ministri della Giustizia, non hanno mai considerato che sono i poliziotti penitenziari a provvedere, in massima parte, al funzionamento delle carceri e dei relativi servizi, tenuto conto che la Polizia Penitenziaria è l’unico Corpo di Polizia ad avere anche compiti di reinserimento sociale dei reclusi; ciò ha comportato che l’organico del Corpo sia fermo al 1992 (quando i detenuti erano meno di 40mila) con una carenza di organico attualmente vicina al 20% (7mila unità in meno). “Il Ministro Cancellieri, del cui interesse per le Forze di Polizia, stante la provenienza, non abbiamo motivo di dubitare, aumenti pure i posti disponibili nelle carceri mediante la ristrutturazione di caserme dismesse - conclude Beneduci - ma nel frattempo dia modo alla Polizia Penitenziaria di disporre delle 2.000/3.000 unità in servizio in più che servono, ad es. attraverso assunzioni di personale dalle graduatorie dei precedenti concorsi tuttora vigenti.” Giustizia: Cisl; il Governo chiarisca come vuole affrontare l’emergenza carceri Il Velino, 18 giugno 2013 “Il governo chiarisca definitivamente come vuole affrontare l’emergenza carceri: le diverse opinioni dei ministri Cancellieri ed Alfano, servono solo a rinviare la soluzione dei problemi che invece necessitano di misure urgenti”. Lo dichiara in una nota Pompeo Mannone, segretario generale della Fns, la Federazione nazionale della sicurezza della Cisl. “È urgente - continua Mannone - risolvere il drammatico problema delle carceri a prescindere dalle sanzioni della commissione Giustizia Europea al nostro Paese. Per deflazionare gli istituiti penitenziari italiani, la via maestra è quella di mettere in campo provvedimenti legislativi volti ad accentuare le misure alternative alla pena in carcere, attivare misure di depenalizzazione dei reati minori ed intensificando l’impiego dei detenuti nel lavoro come avviene in modo importante in taluni istituti. Insieme a tali iniziative - conclude Mannone - è necessario ristrutturare le carceri la cui edificazione in molti casi appartiene ad alcuni secoli fa, prima di farne di nuovi e colmare la carenza degli organici della polizia penitenziaria: tali misure immediate servirebbero ad attenuare le forti tensioni esistenti nelle carceri che stanno crescendo anche a causa della stagione estiva”. Giustizia: psichiatra Borgna; l’ergastolo è come uccidere, creiamo prigioni meno disperate di Michele Brambilla La Stampa, 18 giugno 2013 L’ultima cosa che dice, uscendo dal suo appartamento che si affaccia su uno dei più bei baluardi di Novara, è “possiamo sempre cambiare”. Una sorta di atto di fede nell’uomo. Eugenio Borgna, uno dei padri della psichiatria italiana, non è fra chi crede che siamo solo un insieme di cellule destinate a seguire un programma nel quale non c’è spazio per la libertà. Non crede quindi neppure, come tanti sembrano pensare, che delinquenti si nasce e si muore, senza possibilità di rimorso e redenzione. Proprio “la speranza” è uno dei suoi temi ricorrenti. Provo a sintetizzare, sperando di non banalizzare: la sofferenza può essere feconda, può portarci a riflettere e a migliorare; ma l’importante è che la solitudine non diventi isolamento, e che il dolore non diventi disperazione. Sono, l’isolamento e la disperazione, condizioni umane ahimè così frequenti in carcere, dove non a caso il numero dei suicidi è dieci volte superiore che fuori. Uno dei primi contatti con quel mondo misterioso e terribile che è il crimine, il professor Borgna l’ebbe alla metà degli Anni Settanta, quando la Corte d’assise di Novara affidò a lui e a un collega la perizia psichiatrica su uno dei rapitori della povera Cristina Mazzotti, una diciannovenne sequestrata in provincia di Como e trovata morta in una discarica del Varallino di Galliate. “Uno degli imputati”, racconta, “aveva indotto praticamente l’intero ospedale psichiatrico di Catanzaro a dichiararlo incapace di intendere e volere. Avevano falsificato le cartelle cliniche in una maniera che pareva scientificamente inconfutabile. Sapemmo cogliere in quelle cartelle ripetizioni di moduli standardizzati che attribuivano a questo signore sintomi inconciliabili con gli altri. Quell’uomo aveva dimostrato, nell’ingannare un intero ospedale, una straordinaria intelligenza che pareva demoniaca. Era una persona di nessuna cultura, eppure capace di esercitare una forma di dominio psicologico. Un personaggio da Dostoevskij. Noi lo dichiarammo capace di intendere e volere e fu condannato, alla fine di un processo epocale”. Ma è convinto che anche gli psichiatri abbiano tanto da imparare dal contatto con il carcere. “Ho incontrato le persone che hanno creato strutture di lavoro all’interno del carcere. Non so quali psichiatri avrebbero potuto fare cose come quelle che ho visto. Far lavorare persone che hanno avuto percorsi di quel tipo implica l’essere dotati di una visione dell’uomo e del mondo che non esclude mai le cose ritenute impossibili. Ed è giusto così, perché non si può escludere che anche nel cuore apparentemente più arido e sepolto si possano nascondere risorse che non ci immaginiamo. Coloro che lavorano per il recupero dei condannati sono persone animate da una grande speranza che viene anche dalla fede, che può essere anche una fede civile. Solo così, solo credendo, solo sperando contro ogni speranza, si può costruire un carcere diverso da quello che conosciamo”. “Ho visto in volto quei detenuti che adesso lavorano. Uno psichiatra qualcosa può capire dagli sguardi. Il modo in cui si presentano colpisce. Colpisce il distacco immediato e radicale tra il pregiudizio, che vorrebbe queste persone perdute, e la realtà che abbiamo di fronte”. Gli chiedo: che cosa è un pregiudizio? Come lo definirebbe? “Come una forza distruttrice. La stessa che colpisce chiunque sia malato di depressione, e viene considerato dai “normali” come un essere destinato a perdersi, a gesti violenti contro il prossimo o contro sé stessi. Invece, la depressione può essere una fase attraverso la quale migliorarci”. “Il pregiudizio è quella particolare deformazione che ci porta a giudicare gli altri generalizzando i comportamenti di un certo momento. Pensiamo ai carcerati. Quelle persone hanno compiuto reati gravissimi, ma se voglio analizzare una persona, non posso partire dal reato che hanno commesso. Metto tra parentesi quel fatto: non lo cancello, ma cerco di capire la persona com’è adesso. Una persona non è definita dal reato che ha commesso, anche se noi abbiamo la tendenza a pensare che invece sia così. Invece dobbiamo vedere la loro possibilità di ri-creazione, o meglio di rinascita”. Continua: “Paradossalmente sono i reati più gravi che possono determinare le conversioni più sconvolgenti. Più grande è il male compiuto, più è possibile essere portati a rendersi conto del proprio errore. Allora accade una cosa terribile, è come una bomba atomica che distrugge l’uomo di prima e lascia aperte strade immense per ripartire”. Chiedo al professore se una simile spinta al cambiamento, che non può essere disgiunta dalla speranza, può scattare anche in chi ha l’ergastolo e, quindi, nessuna speranza di rifarsi una vita, almeno “fuori”. “È il grande tema del tempo. Uno è divorato dal passato per il male che ha commesso, e questo brucia qualunque speranza di futuro. È un pericolo non solo per chi ha l’ergastolo. Chi è detenuto rischia di essere privato di una delle tre dimensioni agostiniane del tempo: passato, presente e futuro. E chi vive una vita che non ha futuro può essere portato a una disperazione senza confronto. “Veda, per evitare equivoci le dico subito questo: le carceri devono esistere. Lo spartiacque, però, dev’essere la diversa immagine della condizione umana. Se riteniamo che l’aver commesso un reato grave debba essere un “per sempre”, noi amputiamo il futuro. E senza il futuro c’è il suicidio. Quanti si chiedono il perché di tanti suicidi in carcere? È ovvio che ci possono essere varie concause, le condizioni di detenzione eccetera. Ma quello che fa decidere per il suicidio è il passaggio dalla speranza alla disperazione”. “Con l’ergastolo nessuno più può mantenere un lumicino di speranza. È un’eutanasia imposta da persone educate, civili, religiose. Dal punto di vista psicologico, è forse la tortura maggiore: l’uccisione della speranza. È come dire: vi uccidiamo due volte. “Quello che noi siamo - ha scritto Nietzsche - è quello che diveniamo”. È il futuro che fa di noi quello che io e lei siamo in questo momento. Noi siamo un’attesa”. Quasi mi vergogno, nel congedarmi, nel chiedergli se il sistema carcerario italiano... Sorride: “Così com’è adesso, mostra di non credere che esista una possibilità di cambiamento”, mi risponde quest’uomo convinto, come San Paolo, che dove abbonda il peccato può sovrabbondare la grazia. Giustizia: la Consulta; il ministero esegua gli ordini dei giudici di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 18 giugno 2013 Non è che quelle rivolte dai Tribunali di sorveglianza all’Amministrazione penitenziaria possano essere liquidate come mere segnalazioni o trattate al più come consigli che si possono tranquillamente disattendere: al contrario, il ministero della Giustizia non può non dare esecuzione al provvedimento che un magistrato di sorveglianza emetta in un procedimento giurisdizionale nel quale dichiari che un certo comportamento dell’Amministrazione penitenziaria è lesivo di un diritto del detenuto. È il principio (ben più rilevante della sua applicazione pratica su un paio di canali satellitari tv in più o in meno per i mafiosi al 41 bis) affermato dalla Corte costituzionale in una sentenza che, incrociata con le ripetute condanne dell’Italia a opera della Corte europea dei diritti dell’uomo per la detenzione di carcerati in meno di 3 metri quadrati a testa, promette di incidere sulla pretesa ineluttabilità del sovraffollamento fuorilegge di quasi 66 mila detenuti in poco meno di 47 mila posti. Con questa sentenza la Consulta ha risolto un conflitto di attribuzione tra il Tribunale di sorveglianza di Roma e il ministero della Giustizia attorno al divieto imposto a un detenuto in regime di 41 bis di ricevere in cella i canali televisivi Rai Sport, Rai Storia e Mtv. Mentre per Mtv c’era il problema degli sms che in teoria potevano veicolare “pizzini” in forma più tecnologica, per gli altri due canali il magistrato di sorveglianza aveva invece giudicato il divieto incongruo rispetto alla finalità del 41 bis di evitare contatti con l’esterno. L’Amministrazione penitenziaria, invece di ottemperare, il 14 luglio 2011 aveva espressamente ordinato al direttore del carcere di Rebibbia di non dare esecuzione al provvedimento del giudice, che a quel punto aveva sollevato davanti alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sostenendo che i diritti dei detenuti sarebbero rimasti privi di tutela effettiva se si fosse ammesso il potere dell’Amministrazione penitenziaria di non dare esecuzione ai provvedimenti del giudice. La sentenza della Consulta (relatore Gaetano Silvestri) gli ha ora dato ragione, decidendo il conflitto anche se nel frattempo il ministero aveva rimosso il divieto e non si era costituito in giudizio. Poco a poco, dunque, si va componendo - per giurisprudenza più che per legislazione - un sistema di tutela dei diritti dei detenuti. Ha cominciato la Cassazione nel 2003 quando ha indicato nel “reclamo ex art. 14 ter” dell’ordinamento penitenziario lo strumento utilizzabile dal magistrato di sorveglianza per verificare eventuali lesioni dei diritti dei detenuti da parte dell’Amministrazione penitenziaria. Poi nel 2009 la Consulta ha chiarito che il magistrato può impartire disposizioni dirette a eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati. E adesso aggiunge che il ministero non può far finta di niente. Resta in teoria il problema dell’assenza di rimedi nel caso in cui l’Amministrazione penitenziaria insista (per volontà o per impossibilità materiale) a non applicare una decisione del magistrato di sorveglianza. Ma è possibile che sul punto la Consulta si esprima quando esaminerà le recenti ordinanze-pilota dei magistrati di sorveglianza di Venezia e Milano che l’hanno interpellata sulla configurabilità di una sorta di “numero chiuso”, insomma sulla possibilità di rinviare la detenzione di un condannato nel caso le sue condizioni detentive nel carcere di destinazione siano “contrarie al principio di umanità”. Lettere: dobbiamo solo arrossire di vergogna, non c’è altro atteggiamento da ostentare di Francesco Ceraudo Ristretti Orizzonti, 18 giugno 2013 Tutti, a cominciare dal Ministro della Giustizia, puntualmente e puntigliosamente ci affanniamo a formulare severe diagnosi sullo stato degradante in cui versano le nostre prigioni. Proclami inutili, con il rimpallo delle responsabilità e con la solidarietà di facciata. Perché tutto irreparabilmente si ferma lì. Le massime istituzioni a cominciare dal Presidente della Repubblica Napolitano esprimono indignazione e rabbia, ma non riescono a scalfire minimamente una realtà ormai nettamente e ampiamente stratificata. È completamente inutile soffermarsi sulla diagnosi se poi non si affronta con estrema serietà, sollecitudine e determinazione la terapia necessaria. Spostando quanto sopra in Medicina, si evince che se alla diagnosi non consegue la terapia il paziente rischia di morire. Siamo di fronte a un carcere malato, inutile e vendicativo. Un carcere che non riesce a realizzare più il suo obiettivo istituzionale principale: la rieducazione. Il carcere è divenuto ormai un arido contenitore della marginalità della società odierna. Prevaricano intollerabili condizioni di sovraffollamento e promiscuità. 67.000 detenuti per 45.000 posti letto. Mancano in sostanza 22.000 posti-letto. 24.000 circa i detenuti stranieri (soprattutto Marocco, Tunisia, Algeria con forte presenza di albanesi, romeni e polacchi) con una conseguente babele di lingue, di culture, di religioni. Il 35% della popolazione detenuta è tossicodipendente. Avvengono mediamente 60 suicidi per anno. L’indice di sovraffollamento rimane in termini costanti intorno a 142% (la Puglia è al 182%, mentre la Liguria è al 176%). La media europea si aggira intorno al 99%. Più del 40% dei detenuti è in custodia cautelare. Le carceri come pattumiere della società. Dopo i letti a castello che raggiungono il soffitto, dopo l’occupazione delle aule scolastiche e delle salette adibite alla socialità, resta ancora libero qualche corridoio. Tutto questo alle soglie di una torrida stagione estiva. Questa è la drammatica situazione in cui sono costretti a vivere i detenuti nella maggior parte delle 206 carceri del territorio nazionale. Saltano inevitabilmente tutti gli schemi di trattamento. Saltano tutti gli schemi di controllo medico. La presa in carico diventa un esercizio inutile. Il sovraffollamento condiziona ed influenza molteplici aspetti rendendo precarie sia le strutture edilizie, sia le più elementari regole di igiene personale e ambientale. In queste condizioni particolarmente critiche stenta a realizzarsi la Riforma della Medicina Penitenziaria. Addirittura in alcune Regioni come la Sicilia non è ancora iniziato l’iter. La Riforma della Medicina Penitenziaria doveva costituire l’ultimo treno per rendere più umano e più civile il carcere. Niente di tutto questo. Ha mancato completamente l’obiettivo, perché intanto è calata nel momento peggiore quando le condizioni di grave sovraffollamento delle carceri hanno reso quasi impossibile l’applicazione delle più elementari norme di Medicina Preventiva. L’organizzazione penitenziaria è letteralmente in ginocchio. I detenuti chiedono attenzione. I detenuti chiedono il rispetto di elementari diritti. Ci troviamo di fronte a un trattamento disumano e degradante. Molto opportunamente qualcuno ha parlato di tortura ambientale. Le iniziative legislative portate avanti dal Ministro della Giustizia Severino in merito al sovraffollamento non hanno fatto acquisire risultati apprezzabili e rimangono sulla carta nel novero delle buone intenzioni. Altrettanto si può dire del pacchetto Giustizia del Ministro Cancellieri. Il carcere è seriamente e gravemente malato e non può essere curato con l’aspirina. Le aspettative risultano completamente deluse. La Corte Europea dei diritti dell’uomo ci ha presi giustamente di mira e non intende mollare la presa. Ormai a ritmo incalzante vengono inoltrati al Governo italiano continui, severi richiami al fine di ripristinare con estrema urgenza le norme di legalità in carcere. Il nostro Paese ha fatto una pessima figura presentando il ricorso, che era tra l’altro in stridente contraddizione con le dichiarazioni rilasciate dai massimi rappresentanti istituzionali, dal Presidente della Repubblica al Ministro della Giustizia, sulle condizioni intollerabili in cui sono costretti a vivere i detenuti. La Corte europea, come era facilmente prevedibile, ha rigettato il ricorso dell’Italia e ha ordinato il risarcimento dei detenuti, prevedendo 12 mesi per risolvere il problema. Bisogna mettere mano e alla svelta abolendo o rimodulando la legge Bossi-Fini, la legge Fini-Giovanardi e l’ex legge Cirielli che ormai legittimamente vengono etichettate come vere e proprie leggi liberticide. Si rende necessaria una maggiore attenzione della magistratura verso i detenuti seriamente malati per il riconoscimento di un beneficio di legge o per la concessione di pene alternative. I detenuti tossicodipendenti non hanno alcuna prospettiva in carcere. Possono solo peggiorare le loro condizioni. In considerazione delle reiterate sentenze della Corte Costituzionale, si deve assumere il criterio dell’extrema ratio della custodia in carcere. Le circolari emanate dal Dap devono essere rese operative e non devono rimanere come purtroppo succede troppo spesso delle buone intenzioni sulla carta. Deve prevalere la graduazione delle pene attraverso misure cautelari meno restrittive (le cosiddette pene alternative) che risultano del resto parimenti idonee a preservare le esigenze processuali e di sicurezza sociale. Si avverte forte l’esigenza di delineare precise, incisive norme per favorire il lavoro dei detenuti che rimane al momento attuale l’unico, vero efficace incentivo che ha consentito concreti processi di reinserimento sociale. Sull’esempio della maggior parte dei Paesi europei deve essere portato a risoluzione il problema della sessualità in carcere, mentre in Italia si continua a disquisire sulla materia con posizioni assolutamente retrive che non trovano alcuna giustificazione plausibile. In questi termini si continua a negare un atto di natura implementando inevitabilmente la patologia della rinuncia o della degenerazione. Le condizioni politiche attuali non consentono alcuna prospettiva perché inevitabilmente prevarranno i veti incrociati. Di fronte al dramma di un carcere sovraffollato e violentato nella sua configurazione istituzionale e strutturale, bisogna avvertire l’umiltà di mettere da parte le ideologie e rendere operativa una strategia della riduzione del danno attraverso il riconoscimento dell’amnistia. Solo in questi termini si potrebbe restituire legalità alle strutture penitenziarie e si darebbe una risposta finalmente adeguata alle legittime richieste detta Corte d’Europa. Lettere: riparazione ingiusta detenzione, la Corte europea in direzione diversa dall’Italia di Giulio Petrilli Ristretti Orizzonti, 18 giugno 2013 Dopo una lunga e difficile battaglia, per vedermi riconoscere la riparazione per ingiusta detenzione, in quanto scontai dal 1980 al 1986, sei anni di carcere, con l’accusa di partecipazione a banda armata ( Prima Linea) per poi esssere assolto. Battaglia persa sia in appello a Milano che in cassazione a Roma, con la motivazione sempre uguale di aver avuto frequentazioni sbagliate, dopo queste due incredibili sconfitte, ho trovato una sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, datata 10 luglio 2001, che dà completamente ragione alle mie tesi. Le parti di questa sentenza sono un cittadino italiano Lamanna e l’Austria. La sentenza recita: “Il ricorrente, dopo essere stato detenuto in custodia cautelare, era stato assolto. Decidendo sulla richiesta di riparazione per ingiusta detenzione, la competente Corte aveva respinto la domanda sulla base della considerazione che i sospetti a suo carico ancora permanevano. Da qui la lamentata violazione al principio di presunzione d’innocenza. La Corte ha ritenuto sussistente la violazione affermando che, una volta divenuta definitiva la sentenza di assoluzione, qualsiasi dubbio circa la responsabilità penale, anche se contenuta nella stessa decisione di assoluzione, deve ritenersi in contrasto con il principio riconosciuto nella convenzione europea”. Una sentenza chiarissima che non lascia spazio a interpretazione. Se sei stato assolto, punto. A me incredibilmente non è andata così, una aperta violazione del diritto che la Corte Europea alla quale ricorrerò, anche alla luce di questa chiarissima sentenza non può che riconoscere. Ma aldilà di come andrà a finire, questa sentenza mi ripaga di tante delusioni. Le vittorie morali, dopo tutto quello che ho vissuto, contano molto di più dei risarcimenti economici che in ogni caso sarebbero stati doverosi sia da parte dello Stato che dei magistrati che commettono gravi errori. Puglia: i detenuti potranno eseguire lavori di pubblica utilità fuori dalle carceri www.coratolive.it, 18 giugno 2013 Importante accordo siglato dall’Anci Puglia e dall’Amministrazione penitenziaria pugliese. Il Presidente di Anci Puglia, senatore Gino Perrone e il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria di Bari, Giuseppe Martone, hanno siglato presso la sede Anci di Bari un innovativo protocollo di intesa finalizzato a favorire il lavoro esterno di pubblica utilità dei detenuti. Presente anche il delegato Anci alla sicurezza Giampiero Bennardi. L’accordo - rende noto un comunicato diffuso dall’Anci al termine dell’incontro barese - ha la finalità di avviare un programma sperimentale di attività lavorative nelle comunità locali, promosse dai Comuni per supportare l’inserimento lavorativo dei soggetti in esecuzione penale (detenuti e in misura alternativa alla detenzione) e prevede anche la possibilità di coinvolgere tali soggetti in attività lavorative gratuite in favore delle comunità locali. La finalità di reinserimento sociale delle persone in esecuzione di pena si consegue non solo attraverso l’azione del Ministero della Giustizia per il tramite delle sue strutture e del suo personale, ma anche, rectius, principalmente, attraverso l’assunzione di responsabilità in questo processo delle comunità locali, intendendo con ciò in primo luogo le forme di rappresentanza democratica e di governo della popolazione sul territorio, costituite dalle autonomie locali. Si tratta, quindi, di un’iniziativa che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e l’Anci stanno promuovendo su tutto il territorio nazionale e che aiuterà a smentire una serie di luoghi comuni sul rapporto tra esecuzione penale e lavoro: nel medesimo programma viene valorizzata la funzione rieducativa della pena, assolvendo alla sua funzione formativa e risocializzante, promuovendo l’azione risarcitoria dei rei nei confronti della società, dando il giusto risalto al loro lavoro, anche gratuito. L’impegno di tutti i soggetti istituzionali, che sono e che saranno coinvolti dall’iniziativa, va nel senso di imprimere un deciso impulso nella direzione dell’incremento della sicurezza e dello sviluppo economico e sociale dei territori della Puglia. I soggetti in esecuzione di pena, come sempre avviene quando si danno risposte concrete a bisogni di primaria importanza, sapranno dimostrarsi all’altezza delle aspettative e smentire ogni luogo comune. “Nel suo complesso, - ha sottolineato il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria di Bari, Giuseppe Martone - l’iniziativa dà rilievo all’esclusivo interesse della collettività: il ruolo degli enti locali di Puglia viene in evidenza anche sul tema della sicurezza, intendendo con ciò non solo la prevenzione e la repressione di condotte antigiuridiche, ma anche e soprattutto la coesione sociale (ossia l’inclusione sociale) come fattore e, al contempo, cartina di tornasole di un sistema di sicurezza sociale: è dimostrato che lo sviluppo di un territorio è strettamente connesso alla garanzia della sicurezza delle persone e dei beni. Infatti, scarsa coesione sociale e fenomeni di marginalità determinano una situazione di scarsa attrattività per gli investimenti delle imprese e alimentano il circolo vizioso tra scarsa qualità sociale e ritardo di sviluppo”. Per il presidente Anci Puglia Perrone: “questa intesa, la seconda in Italia a livello regionale dopo la Calabria, rappresenta un grande esempio di civiltà, coglie in pieno la finalità rieducative della pena sancita nell’art. 27 della Carta costituzionale e coinvolge i comuni, che sono il primo presidio dello Stato e della legalità sui territori. Il lavoro unito all’impegno e alla responsabilità diventano una leva fondamentale per il recupero sociale dei detenuti e per un loro fattivo contributo alla crescita delle comunità, anche in termini di sicurezza e giustizia”. “Lo spirito dell’iniziativa va nell’ottica della prevenzione - ha sottolineato il referente Anci Puglia Gianpiero Bennardi - il metodo repressivo spesso risulta insufficiente per il recupero sociale dei soggetti interessati. Per i sindaci questo progetto può essere una occasione per dare una risposta concreta alla esigenza di sicurezza dei territori oltre che un apporto concreto per i servizi comunali”. Sardegna: Sottosegretario Beretta; porteremo mafiosi nelle carceri dell’isola, non la mafia di Stefano Ambu La Nuova Sardegna, 18 giugno 2013 Niente mafia da esportazione con i detenuti della 41 bis in arrivo in Sardegna. A garantirlo è il sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Berretta durante la conferenza stampa convocata a fine mattinata nella sede regionale del Pd dopo la visita al Tribunale di Cagliari e prima della partenza per l’Oristanese. “Evitiamo allarmismo strumentale dell’arrivo dei mafiosi in Sardegna. Le preoccupazioni? Faremo di tutto perchè non ci siano effetti collaterali e affinché l’isola non importi il problema. Per i 41 bis faremo in modo che sia un’adeguata vigilanza anche sui familiari. L’eventuale arrivo sarà gestito con grande cautela e per evitare problemi ai sardi e alla Regione”. Con i nuovi Istituti di Bancali e Uta potrebbero tornare in Sardegna molti agenti di polizia penitenziaria circa centocinquanta, che hanno fatto la richiesta di rientro. Ma - questo è quanto emerso dall’incontro di ieri - bisogna ancora valutare con attenzione i numeri. Apertura sempre più vicina per Bancali, ha garantito il sottosegretario, mentre per Uta non ci sono date ufficiali. Per quanto riguarda il Tribunale di Cagliari, Berretta, al termine dell’incontro col presidente della Corte d’Appello, Grazia Corradini, e del procuratore generale, Ettore Angioni, si è detto soddisfatto della situazione degli arretrati penali, mentre ha sottolineato che c’è ancora da fare per quanto riguarda le cause civili: “Per il penale - ha detto - siamo nei limiti previsti. Sul civile c’è la convinzione che entro i prossimi cinque anni si possano raggiungere standard analoghi. Abbiamo una buona dotazione organica per quanto riguarda la magistratura, mentre ci sono problemi per quanto riguarda il personale amministrativo e delle cancellerie”. Una panoramica anche sulla situazione nazionale: “Siamo all’ indomani di un importante decreto legge - ha detto - dopo tanto tempo viene introdotto un ufficio del giudice con risorse umane aggiuntive per il buon funzionamento del lavoro. E soprattutto si aggredisce la grande mole di arretrato civile grazie all’utilizzo di magistrati onorari, docenti universitari, notai che potranno essere di supporto all’attività dei togati”. Una giustizia migliore anche per l’immagine del Paese. “In generale - ha aggiunto - siamo di fronte a una scelta di intervento sulla giustizia anche per rendere il nostro Paese anche ben visto dagli investitori stranieri che potrebbero essere spaventati dalla lentezza della legge. Ultima novità più controversa, è quella della mediazione. Anche in questo caso vogliamo ridurre l’arretrato eliminando il numero dei contenziosi”. Berretta ha fatto accenno anche alle pene alternative alla detenzione: “Stiamo parlando in Italia- ha detto - di una possibilità che riguarda 3500-4000 detenuti. Sbagliato solo pensare alle alternative solo come soluzione per la riduzione del sovraffollamento nelle carceri. È giusto quello che ha detto il ministro: se la detenzione è l’extrema ratio, occupiamoci a fondo di tutto il resto”. Lombardia: migliorano i servizi sanitari nelle carceri, ma rimangono ancora punti critici Adnkronos, 18 giugno 2013 “Dalla data del passaggio della competenza sulla sanità penitenziaria dallo Stato alle Regioni la qualità dei servizi erogati è aumentata e, in parallelo, il benessere psicofisico dei detenuti presenti nelle carceri ne ha guadagnato. Certamente rimangono punti critici e ambiti di miglioramento dovuti perlopiù alla scarsità delle risorse a disposizione”. A fare il punto sulla situazione sanitaria degli istituti di pena lombardi è l’assessore regionale alla Salute Mario Mantovani, intervenuto oggi in Commissione Speciale situazione carceraria in Lombardia, presieduta da Fabio Fanetti. La scarsità di risorse, spiega Mantovani, si riflette “sull’ambito penitenziario così come sui liberi cittadini: dal 2009 in poi a livello nazionale per la sanità penitenziaria sono stati erogati 160 milioni di euro, di cui circa 30 milioni alla Regione Lombardia”. L’assessore, riferisce una nota diffusa dal Consiglio regionale, ha parlato anche dei disabili della casa Circondariale di Busto Arsizio: il progetto, ha spiegato, risale a quando ancora la sanità penitenziaria era di competenza ministeriale. Dopo la realizzazione delle strutture i fondi per la gestione delle stesse sono stati interrotti. Oggi, ha aggiunto Mantovani, la Casa circondariale soffre di una situazione di superaffollamento. Il sistema sanitario regionale della Lombardia, ha assicurato, ha preso in carico la cura e la salute dei detenuti presenti, in attesa che il problema possa essere risolto a livello nazionale, con il riconoscimento dei costi gestionali, che sono decisamente rilevanti”. La Regione Lombardia, ha anche aggiunto l’assessore, con un decreto ad hoc ha già disposto che nelle strutture penitenziarie operino specialisti in psichiatria per almeno 20 ore ogni cento detenuti, ed esperti in psicologia per il servizio accoglienza e sostegno ai detenuti. Inoltre il Sistema sanitario lombardo offre assistenza psichiatrica ai detenuti anche a livello di ricovero. C’è poi l’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, di cui si parla per un’eventuale chiusura: è una struttura totalmente ed esclusivamente sanitaria, senza personale di polizia penitenziaria. Nel biennio 2011-2012 sono stati reinseriti nel territorio lombardo circa 400 pazienti a fronte di una presenza che si avvicina intorno ai 200 pazienti, ha ricordato l’assessore. Dal prossimo anno si affiancheranno nuove strutture alternative, che saranno comunità psichiatriche di alta assistenza per un massimo di 20 posti a Mantova, Desenzano del Garda, Como, Garbagnate Milanese. Altri punti toccati: la prevenzione e l’assistenza. La Regione Lombardia, ha spiegato Mantovani, ha disposto che le Asl siano disponibili per l’esecuzione di screening di vario tipo, tra cui quelli ordinariamente fatti per la prevenzione dei tumori. Inoltre alle persone anziane con patologie il sistema sanitario offre l’assistenza necessaria anche alla fine della detenzione. E nei casi di detenuti in istituti di pena lombardi lontani dalle loro residenze, l’assistenza sanitaria è assicurata in quanto si considera preminente la condizione di detenuto. Brescia: il Sindaco Del Bono apre al nuovo carcere, ma solo se realizzato con fondi statali www.bsnews.it, 18 giugno 2013 Una situazione molto grave, ai limiti, forse oltre, dell’umano. Il grido d’allarme lanciato dal consigliere regionale Gianantonio Girelli e dal consigliere comunale Giuseppe Ungari a margine della visita al carcere di Canton Mombello viene condiviso anche dal neo primo cittadino di Brescia Emilio Del Bono che per la prima volta da quando è stato eletto parla di Canton Mombello. Dopo il sopralluogo da parte dei due consiglieri, Del Bono nella giornata di domenica ha sentito telefonicamente il Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, che ha ben presente i problemi in cui versano le carceri bresciane ed è stata “sollecitata” dal sindaco per fare in modo che Brescia non rimanga esclusa dai finanziamenti statali per la realizzazione di nuove carceri. Sarebbe questo l’unico modo per allargare l’istituto di pena di Verziano sfruttando l’area appositamente dedicata dalla precedente amministrazione nel Pgt, per ricavare almeno 300 posti. Il commento di Del Bono in merito all’ampliamento di Verziano: “Sono favorevolissimo, si tratta di capire se riusciamo a reperire fondi, se lo Stato riesce a farlo nel piano di edilizia penitenziaria. Il Comune da solo non è in grado di metterci le risorse necessarie”. Brescia: dalle sbarre del carcere all’ambulanza del 118.. “nel mio futuro il sociale” di Alessandro Gatta www.bresciatoday.it, 18 giugno 2013 A Canton Mombello un corso di formazione per interventi di Primo Soccorso che ha coinvolto diversi detenuti: uno di questi salirà su un’ambulanza del 118. Il Progetto Papillon, unico in Italia, ora anche a Verziano. Il reinserimento dei detenuti nella società, dando loro una chance per rinnovarsi e “guardare al futuro”, magari con una professione “socialmente utile” e che possa comunque garantire un reddito medio sufficiente a creare una prospettiva di reinserimento. È stato presentato a Brescia il Progetto Papillon 2013: dopo la prima parte (da giugno a ottobre dello scorso anno), in cui 12 detenuti hanno concluso felicemente un percorso formativo di primo soccorso (da 60 ore) si realizza finalmente l’obiettivo di rendere operativo almeno uno dei corsisti su un mezzo di soccorso d’emergenza del 118, presso un’associazione di volontariato della Provincia di Brescia. Un detenuto della Casa Circondariale di Brescia infatti, attualmente collocato agli arresti domiciliari, seguirà un apposito corso per soccorritore certificato di 120 ore a bordo di un’ambulanza: l’esperimento, il primo in Italia, è il frutto appunto del Progetto Papillon che già nel 2012 (con la collaborazione tra Aifos Protezione Civile con vari enti ed associazioni che in piena collaborazione con il Garante dei detenuti di Brescia, l’ex giudice Emilio Quaranta, e della direttrice della casa circondariale bresciana, Francesca Gioieni) ha erogato all’interno del carcere di Canton Mombello un corso di formazione per volontari di Primo Intervento. Un progetto che nel 2013 verrà ripetuto anche nel carcere di Verziano, dove per la prima volta le attività di Papillon saranno rivolte a detenuti di ambo i generi. “Se l’obiettivo della pena - spiegano proprio da Aifos - è anche il recupero sociale del detenuto non vediamo ad oggi controindicazioni per lo sviluppo e l’attuazione del progetto. Voler formare dei detenuti ad una professione di soccorso sociale può essere considerato sintomo da parte delle istituzioni di una particolare sensibilità nei loro confronti, oltre che manifestazione della volontà di affrontare e risolvere il problema di quello che sarà il futuro di queste persone che hanno precedentemente sbagliato ma che, se ben indirizzate e controllate, potranno reinserirsi a pieno titolo e dignitosamente nella società”. Sono attualmente in corso contatti con altre carceri della Lombardia (già si parla dell’istituto circondariale di Bollate in Milano) per attivare percorsi formativi analoghi a quello di Brescia. Spirito solidale e sociale ma anche puramente pratico: “Dalla messa in ruolo di numerosi nuovi soccorritori il servizio di soccorso in ambito territoriale trarrà vantaggi notevoli anche nel tempo di reperimento di un’ambulanza. Siamo convinti che l’addestramento di alcuni giovani, opportunamente selezionati, che stiano contando una pena detentiva sarebbe una valida soluzione alla quotidiana mancanza di personale addestrato alle emergenze”. Catania: Uil-Pa Penitenziari; carcere di piazza Lanza invaso da blatte di grosse dimensioni www.blogsicilia.it, 18 giugno 2013 La presenza nel carcere di Piazza Lanza di “blatte di grosse dimensioni che invadono il muro di cinta e i reparti detentivi comprese le stanze dei detenuti e la mensa” è stata denunciata dalla segreteria provinciale di Catania dell’ Unione italiana lavoratori pubblica amministrazione (Uilpa), in una lettera inviata al direttore della struttura e al provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria Palermo dal segretario Armando Algozzino. Il sindacalista chiede “una urgente e immediata disinfestazione” per “limitare il proliferare di questi insetti e per rendere dignitoso e umano lo svolgimento del servizio da parte del Personale di polizia penitenziaria che opera all’interno dell’istituto e sulle mura di cinta, il quale deve garantire la sicurezza non difendersi dagli attacchi di questi insetti i quali arrivano ad entrare anche dentro le mimetiche.”. “Siamo certi - scrive Algozzino - che la direzione provvederà immediatamente alla disinfestazione e che il Provveditorato, per quanto di competenza, provvederà allo stanziamento dei fondi ove necessario per risolvere il problema”. Restando in tema carcerario, lunedì 24 giugno, alle 15, il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri sarà a Catania per partecipare all’inaugurazione del reparto detenuti costruito al terzo piano dell’edificio F3 dell’ospedale Cannizzaro. Tra le altre autorità parteciperanno, tra gli altri, il presidente della Regione Siciliana Rosario Crocetta, l’assessore della Salute Lucia Borsellino, il sindaco di Catania Enzo Bianco, il prefetto Francesca Cannizzo, il procuratore della Repubblica Giovanni Salvi, oltre a numerose personalità istituzionali. Nato dalla collaborazione fra il Ministero della Giustizia, l’Assessorato della Salute della Regione Siciliana e l’Azienda ospedaliera per l’emergenza Cannizzaro, in risposta a un fabbisogno da tempo avvertito, il reparto di Medicina Protetta è stato progettato d’intesa con l’Amministrazione Penitenziaria e realizzato nei tempi previsti. I lavori, consegnati a fine ottobre, si sono conclusi il mese scorso e nelle ultime settimane si è proceduto alla messa a punto degli aspetti organizzativi. Sito al terzo piano dell’edificio F3, il reparto è collegato con gli ambulatori di diagnosi e cura, le sale operatorie e il dipartimento immagini; l’area di degenza comprende sei stanze, ciascuna dotata di due posti letto, e appositi locali per controllo, colloqui, medicheria. Mentre l’ospedale Cannizzaro garantirà al paziente un adeguato percorso assistenziale con il concorso di tutte le competenze specialistiche presenti in Azienda, nel reparto opererà un nucleo di Polizia Penitenziaria con funzioni di sorveglianza e sicurezza e di collaborazione ai fini del recupero della salute del paziente. D’intesa con i Garante dei diritti dei detenuti della Regione Siciliana, è stato individuato un delegato con compiti di tutela e ascolto nei confronti dei ricoverati. In occasione della presentazione dei locali della Medicina Protetta, alla presenza del Ministro Cancellieri, sarà inoltre avviato un percorso per la produzione di un “Regolamento per la trasparenza e la legalità” delle Aziende sanitarie, sulla base del “codice antimafia” redatto dall’ex Procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Vigna, dal prof. Giovanni Fiandaca dell’Università di Palermo e dal prof. Donato Masciandaro dell’Università Bocconi di Milano. Volto a prevenire e combattere i rischi di infiltrazioni criminali, condizionamenti, abusi e illeciti, il nuovo Regolamento riguarderà tutti gli ambiti dell’attività istituzionale, con specifico riferimento a procedure d’appalto, acquisti di prodotti e servizi, assunzione e gestione di personale, rapporti con soggetti terzi. Catania: il Ministro Cancellieri inaugura reparto per detenuti all’Ospedale “Cannizzaro” Ansa, 18 giugno 2013 Sarà il ministro alla Giustizia, Anna Maria Cancellieri, a inaugurare, lunedì prossimo, il reparto di Medicina protetta dell’ospedale Cannizzaro di Catania, prima struttura in città dedicata all’assistenza ai detenuti. Il taglio del nastro è previsto alle 15 alla presenza, tra gli altri, del presidente della Regione Siciliana Rosario Crocetta, dell’assessore della Salute, Lucia Borsellino, del sindaco di Catania, Enzo Bianco, del prefetto Francesca Cannizzo e del procuratore capo della Repubblica Giovanni Salvi. Nato dalla collaborazione fra il ministero della Giustizia, l’assessorato della Salute della Regione Siciliana e l’Azienda ospedaliera per l’emergenza Cannizzaro, il reparto di Medicina Protetta è stato progettato d’intesa con l’amministrazione penitenziaria. Situato al terzo piano dell’edificio F3, il reparto è collegato con gli ambulatori di diagnosi e cura, le sale operatorie e il dipartimento immagini; l’area di degenza comprende sei stanze, ciascuna dotata di due posti letto, e appositi locali per controllo, colloqui, medicheria. Mentre l’ospedale Cannizzaro garantirà al paziente un adeguato percorso assistenziale con il concorso di tutte le competenze specialistiche presenti in azienda, nel reparto opererà un nucleo di polizia penitenziaria con funzioni di sorveglianza e sicurezza e di collaborazione ai fini del recupero della salute del paziente. D’intesa con il Garante dei diritti dei detenuti della Regione Siciliana, è stato individuato un delegato con compiti di tutela e ascolto nei confronti dei ricoverati. Brescia: carcerato tenta l’evasione scappando a piedi in autostrada, subito bloccato www.bresciatoday.it, 18 giugno 2013 Un inseguimento in autostrada lunedì pomeriggio ha messo la parola fine al tentativo di evasione di un detenuto tunisino di 33 anni che, rientrando nel carcere di Milano Opera dopo un processo a Venezia, ha provato a fuggire a una stazione di servizio di Castenedolo. Lo racconta, in una nota, il Segretario Generale della Uilpa Penitenziari Eugenio Sarno. In auto, il detenuto, con fine pena nel 2018, avrebbe chiesto alla scorta di poter andare in bagno. Appena arrivati alla stazione di servizio, il tunisino si è divincolato dagli agenti e ha tentato di fuggire sulle corsie autostradali fino a quando gli uomini della polizia penitenziaria non lo hanno ripreso. L’uomo - ricorda Sarno - aveva già provato a evadere lo scorso ottobre dal pronto soccorso dell’ospedale di Verona, dove si era fatto ricoverare fingendosi malato. Anche in quell’occasione era stato subito fermato. Viterbo: agente penitenziario aggredito e ferito da un detenuto con una lametta Ansa, 18 giugno 2013 Gli episodi di violenza sono all’ordine del giorno e spesso gli agenti di Polizia Penitenziaria si trovano a lavorare senza avere gli strumenti adeguati alle circostanze. Nel carcere di Mammagialla si è verificata un’aggressione ad un agente penitenziario che è stato minacciato da un detenuto con una lametta. Il detenuto, secondo le prime informazioni, è un collaboratore di giustizia. Aggressione ai danni di un agente della Polizia Penitenziaria di Mammagialla. L’episodio si è verificato, questa mattina, nel carcere viterbese. Stando alle prime informazioni raccolte, una agente sarebbe stato minacciato e ferito con una lametta da un collaboratore di giustizia ristretto nel carcere del capoluogo. Immediato l’intervento dei colleghi che hanno subito bloccato l’uomo. Torino: Osapp; detenuto aggredisce agente in repartino dell’Ospedale Molinette Adnkronos, 18 giugno 2013 Un assistente capo della polizia penitenziaria è stato ferito in modo lieve da un detenuto italiano di 44 anni nel repartino detentivo dell’ospedale Molinette di Torino. A riferirlo è l’Osapp, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che spiega che l’aggressione, con calci e pugni, è avvenuta apparentemente senza motivo intorno alle 13 di oggi e che l’agente ha riportato diverse contusioni con una prognosi di 15 giorni. “Siamo in pochi negli istituti di pena - commenta Leo Beneduci, segretario generale Osapp - malpagati, perchè il contratto è bloccato e ora anche malmenati. Visto che la polizia penitenziaria sembra restare l’unica a garantire il funzionamento delle carceri in questo momento - avverte Beneduci - potremmo assumere anche iniziative di protesta tali da paralizzare completamente il sistema qualora non vengano adottate misure per garantire la nostra incolumità fisica”. Stati Uniti: a Guantánamo identificati i prigionieri in “detenzione indefinita” Tm News, 18 giugno 2013 Il Pentagono ha svelato i nomi dei 46 prigionieri “in detenzione indefinita” di Guantánamo, ossia presunti terroristi ritenuti troppo pericolosi per essere trasferiti e che non possono essere processati. Nella lista di 15 pagine, trasmessa al The New York Times e al The Miami Herald in seguito a una richiesta in base al Freedom of information act, sono elencati i nomi di tutti i 166 detenuti ancora presenti nel carcere Usa di Cuba. I prigionieri “in detenzione indefinita” sono 26 yemeniti, 12 afgani, tre sauditi, due kuwaitiani, due libici, un keniano, un marocchino e un somalo: due di loro, entrambi afgani, sono morti. Il loro stato di detenzione è uno dei punti più controversi del carcere: le autorità americane affermano che, dal momento che questi uomini sono stati sottoposti a dure tecniche di interrogatorio, quali il water boarding, denunciate come torture, non possono essere processati perchè le prove contro di loro non sarebbero ammesse da una corte di giustizia. Gli attivisti per i diritti umani hanno accolto con favore la pubblicazione dei dati, rilanciando quindi l’appello all’amministrazione perchè vengano rilasciati gli 86 prigionieri che sono già stati ritenuti passibili di scarcerazione. Altri 34 detenuti possono invece essere portati davanti a una corte di giustizia. Ad oggi sono 104 i detenuti in sciopero della fame da quattro mesi a Guantánamo. Ieri, l’amministrazione di Barack Obama ha nominato l’avvocato Cliff Sloan nuovo inviato speciale per la chiusura del carcere.