La privazione della libertà non è la fine di tutti i diritti Il Mattino di Padova, 17 giugno 2013 In questi giorni il Governo sta disperatamente cercando soluzioni al sovraffollamento: un anno di tempo è quello che gli ha dato la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per riportare nelle carceri la dignità e il rispetto di chi vi è detenuto, e anche di chi lavora all’interno, ma se non cambierà nulla la prospettiva è di dover pagare enormi risarcimenti per i danni prodotti da una detenzione disumana. Speriamo che almeno, se non è l’umanità, sia la paura delle somme da sborsare a far trovare al nostro Paese la strada per ridurre drasticamente il sovraffollamento e ridare un senso alle pene. A sostegno di questa speranza portiamo una sentenza della Corte costituzionale, un’ordinanza di un Magistrato di Sorveglianza di Padova, la testimonianza di un detenuto: ma l’idea di base è la stessa, che la persona detenuta resta comunque una persona, che viene privata della libertà, ma non degli altri diritti. La Corte costituzionale “dà una mano” ai magistrati a far tornare nella legalità le carceri “L’estensione e la portata dei diritti dei detenuti può subire restrizioni di vario genere unicamente in vista delle esigenze di sicurezza inerenti alla custodia in carcere. In assenza di tali esigenze, la limitazione acquisterebbe unicamente un valore afflittivo supplementare rispetto alla privazione della libertà personale, non compatibile con l’art. 27, terzo comma, Cost”. A dirlo è una nuova sentenza della Corte costituzionale che stabilisce un principio particolarmente importante per la giurisprudenza penitenziaria. L’amministrazione penitenziaria tre anni fa aveva disposto che venisse impedito ai detenuti sottoposti al regime di 41 bis di guardare alcuni canali televisivi (il regime del 41 bis prevede condizioni di detenzione molto ristrettive rispetto alla quotidianità del carcere: un colloquio al mese e una telefonata, corrispondenza censurata, un’ora d’aria e niente contatti con il resto della popolazione detenuta. Una specie di isolamento prolungato dove l’unica cosa “libera” è la televisione). Un detenuto aveva fatto reclamo al magistrato di Sorveglianza, che era intervenuto ordinando all’Amministrazione penitenziaria il ripristino della possibilità di assistere ai programmi trasmessi dalle emittenti televisive Rai Sport e Rai Storia, in quanto il relativo “oscuramento” aveva leso il diritto soggettivo all’informazione del detenuto medesimo. Ma gli effetti di questa sentenza potrebbero andare oltre la restituzione ai detenuti della possibilità di guardare alcuni programmi televisivi. L’aspetto più interessante è il riconoscimento del dovere che la direzione del carcere ha di dare esecuzione ai provvedimenti del magistrato di Sorveglianza nel suo ruolo di “tutore” dei diritti delle persone private della libertà personale. La discussione sul potere del magistrato di Sorveglianza non è nuova e ritorna, specialmente in materia di sovraffollamento, ogni volta che un giudice riconosce una violazione ma si scontra con la direzione del carcere che prende atto, ma non rimedia alla violazione. Ecco perché, oltre alla questione del diritto all’informazione, questa sentenza scioglierà qualche nodo anche in materia di sovraffollamento. E di nodi ce ne sono tanti. Porto come esempio un caso concreto. A Padova un detenuto ha fatto ricorso denunciando una violazione complessiva dei propri diritti in quanto condivide una cella di circa 9 mq con altri due compagni e le condizioni di sovraffollamento rendono tutti i servizi (l’area dei passeggi, i locali docce, i problemi sanitari con pochi medici in istituto, le scarse possibilità di lavorare) inadeguati per i detenuti presenti. Il magistrato di Sorveglianza di Padova, dopo aver raccolto informazioni sulla planimetria delle celle e letto le relazioni ispettive dell’ULSS, ha fatto una visita all’istituto, ha ascoltato anche il detenuto ricorrente. Alla fine ha accertato l’esistenza di condizioni di detenzione del reclamante tali da costituire un trattamento inumano nella parte riguardante lo spazio personale vivibile, in pratica il magistrato ha detto alla direzione del carcere che ai detenuti non è garantito spazio sufficiente se vivono in tre pin una cella prevista per uno. Quindi ha chiesto l’adozione urgente di misure per rimediare a questa violazione, specificando che al detenuto dovrebbe essere garantito uno spazio minimo individuale pari o superiore a 3 mq. Cosa farà ora la direzione del carcere? La Corte costituzionale ha appena affermato il dovere del direttore di attuare il provvedimento del magistrato. È vero che un conto è dire al direttore di lasciare i detenuti guardare qualche canale televisivo in più, e un altro è fargli togliere le brande aggiunte da qualche anno in quasi tutte le celle. Ma la Corte ha affermato un giusto principio e quello va applicato. Certo che mai come questa volta il detto “esagerare, ma con equilibrio” ha avuto senso: se non “esageravano” nel voler togliere anche la televisione ai detenuti sottoposti al regime duro del 41 bis, non ci sarebbe stata questa sentenza che potrebbe restituire molto di più ai detenuti. E potrebbe anche mettere ulteriormente alle strette il governo italiano che deve dimostrare alla Corte europea di aver preso misure concrete per rimediare al sovraffollamento carcerario. Altrimenti rischia di vedersi piombare addosso una cascata di condanne che per il momento sono state solo congelate. Elton Kalica, redazione di Ristretti Orizzonti Se calpestano i miei diritti, come io ho calpestato quelli degli altri, qual è la differenza fra me e loro? È impressionante come il carcere possa cambiare una persona, e troppo spesso non in una persona migliore, ma peggiore di quanto può essere già di suo l’essere umano. Quello che più mi ferisce, guardandomi attorno, è la presenza di molti giovani. Osservandoli so già definire il loro futuro, conosco questi posti e vedo quello che possono produrre. A volte mi chiedo se non siano proprio le istituzioni a volerci far diventare quello che siamo, per poter mandar avanti un loro perverso piano. Ovviamente non è così, però è vero che si parla tanto del reinserimento dei giovani nella società, ma non si riesce a proporre qualcosa di concreto. Possiamo fare tante discussioni, confrontarci su questi temi con le persone competenti, direttori, educatori, psicologi, magistrati, ma il problema rischia di incrementarsi sempre di più per le condizioni di sovraffollamento. Io stesso sono stato un diciottenne carcerato e mi sono imbattuto in questa realtà. Da allora ad oggi (19 anni) le cose sono peggiorate. Cosa succede a un giovane quando entra in carcere? Una volta fatta la visita medica di primo ingresso, in cui la domanda primaria è se ha bisogno di farmaci per dormire, si fa un colloquio con l’educatrice e uno con lo psicologo, e poi spesso, per mancanza di personale e di opportunità per tutti, si viene abbandonati al proprio destino. Capisco il sovraffollamento, le difficoltà economiche per poter integrare altro personale, i pesanti tagli che ogni anno vengono fatti alle risorse disponibili nonostante la gente sia sempre di più, ma non giustifico il menefreghismo in particolare nei confronti dei giovani che dovrebbero essere aiutati a tornare a diventare parte integrante nella società. Il futuro del paese sono i giovani, questa frase si sente dire dai politici solo per opportunismo, e invece spesso si tagliano fuori ragazzi che potrebbero essere recuperati e credere in un futuro migliore. Nella mia esperienza, ho girato parecchi carceri e il problema l’ho sempre trovato, anche se in alcune carceri forse viene affrontato in maniera più responsabile, si cerca di avere un contatto più frequente tra operatori e detenuti, si dà più spazio per quanto riguarda il lavoro e i corsi in cui un giovane può scoprire passioni o imparare un mestiere. Sono stato nel carcere di Torino, all’interno c’è una comunità, Arcobaleno, dove si prova a fare qualcosa di diverso soprattutto per i tossicodipendenti, con persone competenti, dunque in grado di ascoltare i problemi che inducono un ragazzo a drogarsi e commettere reati. Finito il programma, ti aiutano a proseguire al di fuori un percorso lavorativo attraverso una misura alternativa. Da pochi mesi mi trovo nel carcere di Padova, e faccio parte della redazione di Ristretti Orizzonti. All’interno del carcere c’è la possibilità di frequentare scuole medie, superiori, polo universitario e vari corsi, o di lavorare nei laboratori interni, ma voglio ricordare che queste belle opportunità non sono per tutti. Penso ai miei compagni che questa possibilità di fare un percorso di cambiamento non l’avranno mai. Nelle sezioni vedo giornalmente gli sguardi di uomini vagare nello sconforto, lamentarsi della mancanza di educatori, di un sostegno da parte di psicologi e molto altro, ma sempre tra di noi, perché protestare, anche se con una forma pacifica, comporterebbe farsi mettere l’etichetta del rompiscatole e non riuscire ad ottenere il riconoscimento dei propri diritti. In una società, civile come la nostra, questi diritti non dovrebbero essere calpestati, perché se no dov’è la civiltà? Abbiamo commesso degli errori e per quanto mi riguarda ho anche persistito nel commetterli, ma se la società attraverso le sue istituzioni si comporta come mi sono comportato io, calpestando i miei diritti come io ho calpestato quelli degli altri, qual è la differenza fra me e loro? Paghiamo i nostri errori e dobbiamo accettarlo con responsabilità, ma non siamo uno scarto di una società che vuole apparire civile. Lorenzo Sciacca Giustizia: Decreto Cancellieri, sulle carceri ancora tanti buoni propositi… e nessun fatto di Francesco Lo Piccolo (Direttore di “Voci di dentro”) www.huffingtonpost.it, 17 giugno 2013 Ho avuto modo di leggere lo schema (bozza?) di decreto-legge del ministro Cancellieri dal titolo “Disposizioni urgenti per contrastare il sovraffollamento delle carceri e in materia di sicurezza”. Si tratta di un testo di 26 articoli divisi in cinque capitoli. In tutto sono sedici pagine e a una prima e veloce lettura più che affrontare il problema del sovraffollamento nelle carceri sembra l’ennesimo pacchetto sicurezza con inasprimenti e aumenti di pene, con l’introduzione di nuovi reati come il furto d’identità, con la proroga fino al 2016 delle norme che consentono l’arresto in flagranza per disordini durante le manifestazioni sportive. Per non scontentare nessuno (come ad esempio coloro che vedono il progresso solo nella alta velocità e si dimenticano che al sud e in Sicilia per fare cento km alle volte ci vogliono tre treni, tre cambi e dieci ore di viaggio), c’è anche l’allargamento dell’area del cantiere Tav che è sottoposto al controllo delle Forze armate. Non per ultimo, nel decreto c’è anche l’arresto con pena fino a 10 anni e la multa da 1.000 a 20.000 euro per i ladri di rame. Sonni tranquilli dunque per i vari Grillo, per coloro che si credono padani, per i tanti preoccupati per un ennesimo svuota carceri con i delinquenti tutti liberi. Perché, a leggere sempre la bozza di decreto, mi pare che le norme che permettono la libertà anticipata e/o i domiciliari riguardino: 1) reati che prevedono pene fino a tre anni e dopo eventuale decisione del giudice di sorveglianza (ma è un provvedimento che esisteva già in forza della legge 165/98 Simeoni Saraceni); 2) reati punibili fino a sei anni ma limitatamente nei confronti di persone tossicodipendenti che hanno bisogno di cure appropriate in comunità o altro; 3) reati fino a quattro anni limitatamente a persone ultra settantenni, malati gravi, donne incinte, giovani fino ai 21 anni di età. Bello sforzo!! Non so se arriveremo alla fatidica cifra di quattromila in libertà... anzi, ne dubito assai. In tutti i casi difficile credere che siano queste le misure utili e necessarie a superare l’emergenza carcere e ridurre il sovraffollamento (67 mila detenuti per 40-45 mila posti). Dello stesso avviso del resto anche Donato Capece, segretario generale del Sappe, Sindacato autonomo di polizia penitenziaria. Come altrettanto è certo che non sono le nuove carceri che si vorrebbero costruire (come è stato detto nei giorni scorsi) l’altra strada per risolvere l’emergenza delle celle strapiene dove, come dice Ascanio Celestini, un detenuto vive in 7 mq, un metro quadrato in più di quello che viene concesso a un maiale in una porcilaia. Se i soldi ci sono - mi dicono spesso i detenuti che fanno parte dei laboratori di Voci di dentro - forse sarebbe meglio spenderli per mettere a norma quelli esistenti e per favorire attività lavorative all’interno degli istituti. Ad esempio, alla manutenzione e alla ristrutturazione potremmo pensarci noi. In questo modo il nostro tempo dentro non sarebbe più tempo perso e buttato. Sempre in merito alle belle idee di costruire nuove carceri (idee che piacciono certo ai costruttori) c’è una domanda che resta senza risposta: come si pensa di coprire la sorveglianza se già oggi mancano 8 mila agenti di polizia penitenziaria? Ed è di poche settimane fa una protesta della polizia penitenziaria davanti al carcere di Pescara: anche lì poco più di 100 agenti a fronte di 300 detenuti. Senza dimenticare che un pò in tutta Italia mancano direttori, che più di uno è costretto a reggere due Istituti spostandosi dall’uno all’altro; che non ci sono a sufficienza né medici, né educatori, né psicologi... Meno male che stiamo parlando di “disposizioni urgenti per contrastare il sovraffollamento”. Altro che montagna che ha partorito il topolino... quello che sta apparendo è solo fumo. Certo - mi fanno notare gli amici di Ristretti - il decreto cancella buona parte della “ex Cirielli” e quindi gli ostacoli all’ammissione alle misure alternative per i recidivi, ma non c’è alcuna traccia di aumento della liberazione anticipata (art. 54 op) e nemmeno di un ampliamento della Legge 199/2010. Insomma forse c’è solo la volontà e la buona intenzione, vedi ad esempio le norme relative alle modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354 dove, sempre nella bozza si scrive che i “detenuti e gli internati possono essere assegnati a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito nell’esecuzione di progetti di pubblica utilità in favore della collettività da svolgersi presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato. Si applicano, in quanto compatibili, le modalità previste nell’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274”. Appunto buoni propositi...per i fatti si vedrà. Giustizia: le “carceri-impresa”… poter fare in Italia quello che esportiamo in Africa di Valerio Bosco La Voce, 17 giugno 2013 “Di respirare la stessa aria di un secondino non mi va, ed ora ho deciso di rinunciare alla mia ora di libertà. Se c’è qualcosa da spartire tra un prigioniero e il suo piantone che non sia l’area di quel cortile, voglio soltanto che sia prigione”. Sono parole, quelle di Fabrizio De Andrè (Nella mia ora di libertà, Storia di un impiegato, 1973) che sarebbero perfette per descrivere, oggi, il dramma delle carceri italiane, l’ultimo anello, il più devastato, del sistema della giustizia in Italia. Pochi e precisi i numeri sono spiegano le condizioni disumane delle patrie galere. Che spingono persone in attesa di giudizio o che scontano la loro pena a rinunciare alla loro ora di libertà. A protestare. A fare scioperi della fame e della sete nel migliore dei casi. Ad incontrare la droga ed uccidersi in quelli peggiori. Affidando magari al suicidio l’ultimo grido di dolore e disperazione. Il tasso di affollamento delle nostre carceri è solo di poco sotto la Serbia. 66.685 detenuti a fronte di una capienza di poco più di 45.000: il 40% di loro è in attesa di giudizio. A far riflettere è anche il fatto che almeno 13.000 di questi verranno riconosciuti innocenti o estranei ai fatti di cui sono accusati. L’Europa, quell’Europa che spesso ci appare pura costruzione finanziaria e burocratica, conserva ancora, in ambiti purtroppo poco noti, una qualche nobilità. Quella di avere la forza di denunciare le nostre inadempienze, la nostra strage quotidiana di diritto. Il bel paese è lo stato europeo con il maggior numero di condanne per violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Oltre duemila sentenze sono lì a denunciare la durata infinita dei nostri processi. Un sistema che blocca la vita delle persone. E un economia già in ginocchio. 6 milioni di processi civili arretrati che costano all’Italia 96 miliardi di euro in termini di mancata ricchezza. E qualche punto di prodotto interno lordo. Ma torniamo alle carceri. Ci sono centinaia di detenuti che lo Stato tortura quotidianamente e che è chiamato - e sarà chiamato - a risarcire per danni materiali e fisici. Non solo. Le nostre prigioni sono diventate, negli ultimi decenni, palestra alla vita criminale. Porta d’accesso ad un’illegalità percepita come orizzonte unico dell’agire individuale. Prima, durante e dopo l’esperienza “dietro le sbarre”. Altro che rieducazione del condannato, ovvero reintegrazione nella vita sociale. Come imporrebbe l’articolo 27 della Costituzione repubblicana. Ad aggravare il tutto c’hanno pensato, in questi ultimi anni, miopie conclamate di legislatori che saranno ricordati per l’eternità. E per la loro stronzaggine. Ci perdoni la Boldrini, per l’insulto agli onorevoli. Ci riferiamo a quel monumento di repressione della legge Fini-Giovanardi ed alla sua folle equiparazione tra droghe leggere e pesanti. A quell’ossessiva criminalizzazione del consumo di sostanze stupefacenti che oggi, basti pensare all’uso di cocaina, costringerebbe alla galera un buon terzo della classe dirigente italiana (Stiamo approssimando per difetto). O ancora, pensiamo all’inumana Bossi-Fini - l’ex presidente della Camera ne ha fatti di capolavori - che attribuì la qualifica di reato alla “condotta” non violenta, figlia di disperazione, dell’immigrazione clandestina. Strumenti che hanno contribuito a riempire le carceri. E che ora rischiano di farle esplodere. È questa la triste fotografia di una realtà di cui parlano solo i radicali in Italia. Certo, qualche volte il papa. Più raramente il presidente Giorgio Napolitano. Che solo negli ultimi mesi sembra essersi interessato al tema, preferendosi dedicare ad atti assai meno costituzionali - nomine di saggi, benedizione delle larghe intese, indicazioni di governi a scadenza - rispetto ad un più doveroso messaggio alle Camere, capace forse di mettere con le spalle al muro il Parlamento, da oltre un decennio muto, sordo e cieco rispetto al dramma delle carceri. Nel trinomio Italia-carceri-giustizia, c’è un grande paradosso che sconvolge. E che dà però qualche speranza in più, oltre a quella offertaci dell’ennesima battaglia dei referendum radicali (la nuova campagna sarà lanciata a Napoli nei prossimi giorni). Ci riferiamo alla notizia di un progetto ambizioso e straordinario della cooperazione italiana allo sviluppo. Ancora viva, nonostante i tagli imposti dai governi che si sono succeduti sino ad oggi. A Makallè, nel nord dell’Etiopia, i nostri cooperanti stanno lavorando ad un progetto che in pochi anni ha creato un carcere modello, da cui i detenuti non vogliono scappare. Alla lettera, applichiamo laggiù quel principio della pena come rieducazione che, salvo pochissime eccezioni, è quotidianamente ignorato ed umiliato in patria. I detenuti di Makallè imparano un mestiere, frequentano corsi d’impresa, coltivano frutti, lavorano tessuti. Sono sostenuti da imprese autogestite ed hanno un conto corrente presso banche di micro credito. Progetti simili a Makellé sono stati avviati dall’Italia in Afghanistan e in Libano. Se solo un po’ dell’umanità che ha ispirato iniziative come quelle di Makellé riuscisse a fare breccia nella nostra classe politica, avremmo forse meno bisogno di quei quattro gatti dei radicali italiani. E i nostri detenuti sarebbero finalmente capaci di respirare nella loro ora di libertà. Immaginando, magari, una vita diversa. Da cittadini. E non da criminali. Giustizia: Referendum; Napoli per un giorno diventa il crocevia delle battaglie Radicali di Giuseppe Crimaldi Il Mattino, 17 giugno 2013 Napoli per un giorno diventa il crocevia delle battaglie radicali, anzi della battaglia per eccellenza: quella sulla “giustizia giusta”. Con una lunga no-stop in piazza del Plebiscito i radicali tornano a chiedere l’amnistia. È stato lo stesso leader Marco Pannella a rivolgere da Napoli un nuovo appello al Presidente della Repubblica. “Napolitano - ha detto - rivolga un messaggio alle Camere per annunciare l’amnistia, unico strumento tecnico per interrompere la flagranza di reato contro l’umanità e i diritti umani perpetrate nel nostro Paese. Al nuovo Capo dello Stato chiediamo di fare quanto il vecchio Capo dello Stato non ha fatto”. Il leader dei radicali ha così presentato la raccolta di firme per i 12 referendum, cinque dei quali sulla giustizia. “Le condizioni della nostra giustizia - ha detto Pannella - sono peggiori di 30 anni fa, quando Enzo Tortora veniva condannato innocente. Oggi ci sono le condanne ufficiali della giurisdizione europea, costituzionalizzata in Italia, nei confronti del nostro Paese per violazione dello Stato di diritto e dei diritti dell’uomo”. Dal palco hanno dato l’adesione ai referendum sulla giustizia il presidente della Commissione giustizia del Senato Nitto Palma, a nome del Pdl (con esclusione di quello sull’abolizione dell’ergastolo), il deputato del Pd Daniele Giachetti, il senatore del Pdl Luigi Compagna, il presidente della Camera Penale di Napoli Domenico Ciruzzi, l’urbanista Aldo Loris Rossi, il cappellano del carcere di PoggiorealeDonFranco Esposito. Presenti anche il consigliere regionale del Pse Corrado Gabriele, il deputato del Pdl Luigi Cesaro e l’ex parlamentare Alfonso Papa. Per Nitto Palma “in Italia vi sono ancora tanti Enzo Tortora, ed è sempre utile ricordarli: ecco perché aderiamo convintamente ai referendum sulla giustizia, con l’unica eccezione di quello sull’abolizione dell’ergastolo. Il 25 per cento della popolazione carceraria è in attesa di giudizio e il 50 di esso viene poi assolto perché le impostazioni dell’accusa non trovano riscontro nelle decisioni dei giudici”. Inevitabili i riferimenti anche al caso di Nicola Cosentino, coinvolto e arrestato nell’ambito di indagini sulla camorra casertana. “La vicenda di Cosentino - ha dichiarato Compagna - si iscrive nel contesto di una giustizia che merita questa campagna referendaria”. Rispondendo alle domande dei giornalisti, la dirigente radicale Rita Bernardini ha detto: “Alla Camera ci siamo pronunciati sull’arresto di Cosentino e ribadiamo che vogliamo la verità dei fatti. Siamo contro la custodia cautelare quando non c’è un pericolo serio, e in Italia, dove almeno il 40 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio, se ne fa abuso”. “Su carceri e ius soli - ha aggiunto Marco Di Lello, capogruppo socialista alla Camera - il governo Letta ha dato i primi segnali positivi ma ancora insufficienti: perciò continueremo la battaglia nelle piazze, insieme con i Radicali, e in Parlamento a sostegno delle proposte di legge socialiste”. Giustizia: digiuno a staffetta nella campagna “3 leggi di iniziativa popolare per i diritti” Ristretti Orizzonti, 17 giugno 2013 Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze, ha dichiarato: “La mobilitazione per il giorno 26 giugno per una grande raccolta delle firme sulle tre proposte di legge di iniziativa popolare sta prendendo corpo, con l’obbiettivo di raggiungere le 50mila firme da consegnare in Parlamento proprio per fine giugno. Il Governo non ha ancora proceduto all’attribuzione della delega per la politica delle droghe. Vi è il timore che per il gioco degli equilibri interni alle larghe intese la decisione sia di pura conservazione mentre occorrerebbe una chiara discontinuità rispetto alle scelte compiute negli anni scorsi da Carlo Giovanardi. Sarebbe assurdo che dopo la sentenza della Cassazione, che rinvia la legge Fini Giovanardi alla Corte Costituzionale, si rilegittimasse una posizione che ha la responsabilità principale del sovraffollamento carcerario. È confermata l’intenzione del Governo di emanare un decreto legge sulle questioni del carcere nei prossimi giorni. È uno strumento unico e irripetibile che non può essere sprecato con provvedimenti minimali e parziali. Per questo suggerisco che con le associazioni e con i movimenti si faccia il massimo di pressione affinché il decreto legge contenga le proposte elaborate dal Cartello per le leggi di iniziativa popolare e integralmente i contenuti della Commissione del Csm presieduta dal professor Giostra. Aspettiamo ancora la fissazione degli incontri istituzionali che abbiamo chiesto. Oggi è partito il digiuno a staffetta con l’adesione del giornalista, Renzo Magosso. Domani raccoglierà il testimone Leonardo Fiorentini, webmaster di Fuoriluogo.it e del sito www.3leggi.it.” Raciti (Pd): sosteniamo campagna Antigone I Giovani Democratici sostengono le tre leggi di iniziativa popolare promosse dall’associazione “Antigone”. Ad annunciarlo è Fausto Raciti, segretario nazionale Gd e deputato Pd. “La politica e le Istituzioni hanno la responsabilità di intervenire concretamente. I cittadini hanno il dovere di chiedere al Parlamento leggi che contribuiscano a porre fine a questa vergogna”, aggiunge Raciti, riferendosi alla campagna portata avanti da Antigone chiamata “3leggi”, che prevede l’introduzione del reato di tortura in Italia; l’abolizione del reato di clandestinità; la depenalizzazione del consumo e la diversificazione tra droghe leggere e pesanti. “Nelle carceri italiane si manifesta il più odioso dei sintomi di una democrazia malata: un’emergenza segnalata da più parti, ma che non può accontentarsi di moniti ed auspici. Un sistema che lede i diritti umani, che punisce il disagio anziché contenerlo”, spiega Raciti. “Il 26 giugno, “giornata mondiale contro la tortura” - aggiunge Raciti - in tutta Italia i Gd daranno vita ad una mobilitazione a sostegno delle tre proposte di legge, per una democrazia che non escluda nessuno, senza la quale una vera idea di democrazia e una ripresa economica reale non sarà mai possibile. Contestualmente la delegazione parlamentare dei Giovani Democratici poterà avanti in sede istituzionale una battaglia affinché le “3leggi”, sostenute dalla mobilitazione sociale di questi giorni, diventino in maniera celere argomento di discussione presso il parlamento italiano”, conclude Raciti. Giustizia: Osapp; 22mila detenuti in più, dal governo ci aspettiamo concreta risolutezza Ristretti Orizzonti, 17 giugno 2013 “Se nel carcere di Torino i detenuti nuovi giunti dormono, da giorni, per terra senza neanche il materasso e se nell’istituto di pena di Roma-Rebibbia, una volta fiore all’occhiello dell’Amministrazione penitenziaria, si continua a morire (3 giorni fa, il quinto decesso negli ultimi 20 giorni), il Governo e la Ministro della Giustizia Cancellieri dovrebbero fare qualcosa di più che parlare soltanto di provvedimenti tampone” è quanto si legge in una nota a firma di Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) che aggiunge: “tra l’altro la Guardasigilli Cancellieri, qualora dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) le giungano puntuali informazioni, dovrebbe essere più che preoccupata del ritorno nelle carceri a 66mila presenze detentive per soli 43mila posti-letto effettivi, con 7 regioni (Liguria + 75%, Puglia +64%, Veneto +58%, Lombardia + 53% Valle d’Aosta + 50%, Marche +47% e Campania +46%) che hanno persino superato le presenze c.d. tollerabili ed altre quattro regioni (Friuli, Lazio, Umbria e Sicilia) che sono assai vicine a tale limite. “Tra l’altro - prosegue il leader dell’Osapp - mentre riprende un po’ dappertutto il cd. effetto porte girevoli, con gli arrestati che non sostano più nelle camere di sicurezza delle Questure prima delle udienza di convalida presso i Tribunali, continuano a diminuire i poliziotti penitenziari in servizio (-1,4% dall’inizio 2013) per infermità e per raggiunti limiti di età”. “Purtroppo, le iniziative verso il carcere dei Ministri della Giustizia degli ultimi anni, fino alla recente Guardasigilli Severino, sono risultate del tutto fallimentari, non solo per responsabilità politiche nel valutare, senza strumentalizzazioni e slogan, l’emergenza penitenziaria del Paese in termini di minore sicurezza e più gravi rischi per la Collettività e per l’incapacità dei vertici che gestiscono il sistema nell’individuare soluzioni adeguate, ma anche per l’assenza di coraggio nell’affrontate il problema in maniera globale e senza pregiudizi”. “Come rappresentanti del personale e addetti noi stessi agli istituti di pena, ci auguriamo - conclude Beneduci - che la Ministro Cancellieri non chiuda la porta ad alcuna delle soluzioni possibili e necessarie, compressa l’integrale riforma del sistema, delle sanzioni che vi si scontano e della Polizia Penitenziaria che ne garantisce il funzionamento.” Abruzzo: dalla Regione oltre 3 mln ripartite alle Asl per spese della sanità penitenziaria Ansa, 17 giugno 2013 La Giunta regionale, su proposta dell’assessore alla Prevenzione collettiva, Luigi De Fanis, ha ripartito la somma di 3 milioni 612 mila euro tra le Asl per sostenere i costi per le funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali materia di sanità penitenziaria. La somma fa riferimento alle quote di riparto per l’annualità 2011, disposte dal Ministero della salute, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni. “Come è noto - ha spiegato l’assessore De Fanis - nel recepire il Dpcm del 2008, la Regione Abruzzo ha fissato i criteri e le modalità necessari agli adempimenti inerenti il trasferimento dell’attività in materia di sanità penitenziaria, comprese le procedure necessarie alla presa in carico del personale già operante negli Istituti penitenziati incidenti sul territorio regionale”. I criteri per il riparto della somma alle Asl sono i seguenti: 60 per cento per la capienza degli Istituti penitenziari alla data del 31/12/2011; 30 per cento per l’ingresso dei detenuti dalla libertà nel corso dell’anno 2011; 10 per cento per la presenza di Istituti con capienza inferiore ai 200 detenuti. Pertanto la suddivisione è così ottenuta: Asl Avezzano Sulmona, l’Aquila 1.156.504; Asl Lanciano-Vasto- Chieti 1.141.452; Asl Pescara 580.281, Asl Teramo 733.869. Sardegna: Sottosegretario Berretta; nessun allarmismo per arrivo di detenuti del 41-bis www.sardegnaoggi.it, 17 giugno 2013 “Evitiamo ogni forma di allarmismo, faremo di tutto per evitare problemi collaterali”. Questo il commento del sottosegretario alla Giustizia, Giuseppe Berretta in risposta alle polemiche suscitate nei giorni scorsi in merito all’annuncio di trasferimento di detenuti in regime di 41bis, tra cui Riina e Provenzano, nelle carceri sarde. Berretta, in visita stamattina al Tribunale di Cagliari, ha parlato della situazione degli organi giudiziari in Sardegna: “Le condizioni sono buone per quanto riguarda la magistratura, diversa è la condizione degli uffici di cancelleria, per i quali si registrano carenze di personale”. Tuttavia il sottosegretario ha annunciato provvedimenti volti a sopperire il deficit nei prossimi mesi, annunciando un’imminente riorganizzazione delle strutture carcerarie sarde in seguito alla chiusura del San Sebastiano di Sassari. Tra i punti in agenda anche le misure volte all’incentivazione di misure di conciliazione, in modo da ridurre i carichi di processi per i tribunali: “La mediazione è uno strumento che potrebbe essere utile per prevenire e ridurre il contenzioso” ha affermato Berretta. Altro problema particolarmente sentito nell’Isola è quello della condizione delle strutture carcerarie, tra le quali Buoncammino, nell’attesa che venga istituita la figura del Garante dei diritti per i detenuti. In campo nazionale è in corso di istituzione, “in Sardegna esiste già una legge da considerarsi innovativa - ha detto Giuseppe Luigi Cucca, Senatore del Pd - purtroppo il Consiglio regionale non ha ancora provveduto alla nomina”. Intanto si prospettano azioni favorevoli all’introduzione di pene da scontare al di fuori delle carceri: “Le misure alternative che stiamo prospettando sono coerenti con il dettato costituzionale e funzionali al percorso di riabilitazione - ha concluso Berretta, che poi tornando sul trasferimento dei detenuti per mafia ha annunciato il suo impegno nell’evitare qualsiasi tipo di problema. Ci sarà un’azione sinergica tra ministero e forze penitenziari, intendiamo farci carico della procedura”. Per niente d’accordo con le proteste degli ultimi giorni anche il segretario dei democratici Silvio Lai: “Bisogna smettere di creare allarmismo, tra l’altro il trasferimento dei carcerati in regime di 41bis permetterà a molti degli agenti penitenziari sardi che hanno fatto domanda di riavvicinamento di poter tornare nell’Isola”. Sardegna: scontro Regione-Governo sull’ipotesi di riapertura del carcere all’Asinara www.sassarinotizie.com, 17 giugno 2013 Fino a oggi sono in pochi a parlarne apertamente. Le dichiarazioni battute dalle agenzie di stampa sono rare e, molto spesso, sono accompagnate da brusche smentite. Eppure la paura che il maxi carcere dell’Asinara possa riaprire i battenti appare sempre più concreta. L’ultima persona in ordine di tempo che ha fatto un velato riferimento a questa ipotesi è Giuseppe Berretta, il sottosegretario alla Giustizia. In visita al tribunale di Cagliari, Berretta ha risposto ad alcune domande dei cronisti sulla possibilità che venga riaperto il carcere dell’Asinara. Con una frase sibillina, il sottosegretario ha dichiarato che “la Sardegna ha già delle strutture importanti” dove ospitare i detenuti in regime di 41 bis. Una dichiarazione che si somma a quella rilasciata la scorsa settimana dal procuratore Domenico Fiordalisi. Durante un’intervista a radio Sardegna, Fiordalisi ha detto che la dislocazione dei detenuti condannati per mafia nei carceri di Bancali e Uta potrebbe mettere a dura prova la resistenza del tessuto urbano da un’eventuale contaminazione criminale. Per questo - ha aggiunto - bisognerebbe rivalutare le possibilità di riaprire il carcere dell’Asinara: un contesto che per la sua conformazione geografica offre grosse garanzie sotto questo profilo. Punti di vista che stonano con le idee del presidente della Regione, Ugo Cappellacci, che questa mattina ha commentato le dichiarazioni del sottosegretario alla giustizia. “Nell’isola dell’Asinara la Regione e la Conservatoria delle Coste stanno portando avanti una serie di progetti che la renderanno un modello di eccellenza di sviluppo sostenibile. Qualsiasi ipotesi di riapertura del vecchio carcere non solo sarebbe un’ipotesi scellerata, ma sarebbe un’idea retrograda e per noi inaccettabile. Spiace che ogniqualvolta appare nella nostra isola un ministro o sottosegretario fresco di nomina, vie e riproposta questa idea folle. Questo fa sospettare - afferma ancora Cappellacci - che qualche solerte funzionario abbia verso tale area un’attenzione di cui faremo volentieri a meno. La Sardegna e le sue isole minori si propongono sullo scenario internazionale per uno straordinario patrimonio ambientale, paesaggistico, culturale e identitario. Per questo rifiutiamo e contrasteremo ogni iniziativa che tenti di riappiccicare alla nostra terra l’etichetta di Cayenna d’Italia. Sarebbe quello l’unico vero crimine”. Anche il sindaco di Porto Torres, Beniamino Scarpa, respinge l’ipotesi di una riapertura del carcere dell’Asinara. “Ancora una volta un’esponente del governo - probabilmente poco informato sul fatto che all’Asinara, Parco Nazionale, si persegue da anni un modello di sviluppo improntato sull’eco sostenibilità, sulla conservazione della natura e del patrimonio storico e culturale, sul turismo e sulle attività ad esso legate - rilancia l’idea di ripristinare il carcere” afferma Scarpa. L’ipotesi che circola in queste ore viene definita dal primo cittadino di Porto Torres “totalmente scellerata e non ha nulla a che vedere con il percorso avviato con fatica dall’amministrazione locale assieme alla Regione Sardegna, alla Conservatoria delle Coste, All’Ente Parco. Sarebbe opportuno, piuttosto, che il governo nazionale collabori e ci fornisca le risorse per perfezionare il sistema turistico dell’isola, un paradiso da mostrare ai visitatori, un patrimonio per il nostro Paese e non certamente una terra da chiudere a doppia mandata e da ingabbiare con il ritorno del carcere e dei mafiosi. Oltre a trattarsi di un’ipotesi non percorribile dal punto di vista pratico (le diramazioni non sono più luoghi segreti, ma periodicamente visitati dai turisti, e la maggior parte degli stabili sono in possesso della Regione Sardegna) è un’idea che offende la nostra comunità e che non tiene conto degli sforzi fatti da noi tutti per restituire l’Asinara ai portotorresi e alla Sardegna. Invito il sottosegretario Beretta - conclude Beniamino Scarpa - a visitare la nostra splendida isola, possibilmente in compagnia del Ministro dell’Ambiente: si renderà conto che il carcere non può e non deve più abitare da queste parti e che l’Asinara è un parco da tutelare e da valorizzare. Solo su quest’ultimo punto gradiremmo le attenzioni e l’impegno del governo nazionale”. Cappellacci: riapertura Asinara sarebbe un crimine “Presso l’isola dell’Asinara la Regione e la Conservatoria delle Coste stanno portando avanti una serie di progetti che la renderanno un modello di eccellenza di sviluppo sostenibile. Qualsiasi ipotesi di riapertura del vecchio carcere non solo sarebbe un’ipotesi scellerata, ma sarebbe un’idea retrograda e per noi inaccettabile. Spiace che ogniqualvolta appare nella nostra isola un ministro o sottosegretario fresco di nomina, vie e riproposta questa idea folle. Questo fa sospettare che qualche solerte funzionario abbia verso tale area un’attenzione di cui faremo volentieri a meno. La Sardegna e le sue isole minori si propongono sullo scenario internazionale per uno straordinario patrimonio ambientale, paesaggistico, culturale e identitario. Per questo rifiutiamo e contrasteremo ogni iniziativa che tenti di riappiccicare alla nostra terra l’etichetta di Cayenna d’Italia. Sarebbe quello l’unico vero crimine” Piemonte: firmato protocollo d’intesa per favorire la diffusione del rugby nelle carceri www.marketpress.info, 17 giugno 2013 Di seguito la dichiarazione dell’assessore Michele Coppola per il progetto del rugby in carcere: “Fin dalla sua nascita ho creduto nel progetto Rugby e Carcere dell’Associazione “Ovale Oltre le sbarre- ha detto questa mattina l’assessore Michele Coppola presente alla firma del Protocollo d’intesa per attivare l’insegnamento del rugby in carcere - perché basato su regole, sacrificio e rispetto. I temi e le criticità legati al carcere e alla popolazione carceraria sono sempre attuali, come testimoniano i recenti interventi del presidente Napolitano e del ministro Cancellieri. Il progetto testimonia il coraggio di affrontare argomenti difficili e assume quindi un significato importante, per questo come Regione Piemonte siamo orgogliosi di presentare questa iniziativa in piazza Castello e rinnoviamo la nostra condivisione e disponibilità a collaborare e a fare “gioco di squadra” anche per il futuro per sviluppare questa esperienza, anche in altri istituti. I valori e principi dello sport, e del rugby, in particolare offrono una modalità nuova per le persone che hanno sbagliato di vivere un secondo e un terzo tempo, proprio come accade nel rugby”. L’assessore Coppola ha letto a tutti i presenti la lettera del presidente della Regione, Roberto Cota, nella quale viene ringraziata l’Associazione “L’ovale oltre le sbarre” ideatrice di questo importante progetto di promozione dello sport nelle carceri di cui l’incontro di oggi rappresenta una tappa fondamentale per lo sviluppo di iniziative future. Con l’obiettivo di aiutare i detenuti a recuperare ruolo sociale e dignità personale, l’ Associazione Ovale oltre le sbarre , la Federazione Italiana Rugby, il Comitato Regionale Piemontese Fir e il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per il Piemonte hanno firmato un Protocollo d’intesa per favorire l’avvio di progetti d’ insegnamento del gioco del rugby presso gli Istituti penitenziari del territorio regionale del Piemonte e della Valle d’Aosta , sperimentando un modello di riferimento replicabile in Italia e all’estero. In virtù delle proprie specifiche competenze, i soggetti coinvolti - che indicano come referenti, rispettivamente, Walter Rista, Stefano Cantoni, Giorgio Zublena, Marco Bonfiglioli - realizzeranno laboratori didattici finalizzati all’insegnamento del rugby ai detenuti; ogni laboratorio, coordinato da tecnici e allenatori Fir e supportato dal personale penitenziario locale, potrà coinvolgere sino a 30 detenuti in sedute di allenamento bisettimanali, della durata di 2 ore ciascuna. Il modello di riferimento è l’esperienza progettuale condotta presso il carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino: qui, nel 2010, l’Associazione Ovale oltre le sbarre ha avviato i primi 2 moduli sperimentali coinvolgendo circa 40 detenuti in attività propedeutica al rugby, costantemente seguiti da un tecnico abilitato Fir e assistiti da medici e personale interno al carcere. Nel 2011, per dare continuità all’iniziativa, è stata costituita l’Associazione Sportiva La Drola Rugby, dotata di uno Statuto regolamentare conforme ai regolamenti Fir, che ha costruito il suo organico al termine di un bando di reclutamento nazionale avviato in collaborazione con la direzione carceraria. La squadra - composta da circa 30 detenuti di molteplici etnie - è stata iscritta al Campionato regionale piemontese di serie C, dove milita ancora oggi. I detenuti-giocatori sono chiamati a sottoscrivere un Codice etico e comportamentale che prevede specifici meccanismi sanzionatori in casi di violazione e a rispettare il Programma di recupero sviluppato in stretta collaborazione con il personale carcerario. Il progetto è stato realizzato grazie al significativo contributo economico erogato negli anni dalla Compagnia di San Paolo , che ha fortemente creduto nella capacità dell’iniziativa di contribuire a migliorare la qualità della vita in carcere e favorire un dignitoso reinserimento sociale per gli ex detenuti. Seguendo le linee - guida definite dal protocollo, il cosiddetto Modello Ovale verrà a breve replicato presso le strutture carcerarie di Alessandria, Asti, Saluzzo e Aosta; il referente progettuale (per queste sedi e per quelle che in futuro chiederanno di aderire all’iniziativa) sarà l’Associazione Ovale oltre le sbarre, che metterà a disposizione le necessarie competenze e metodologie di lavoro sviluppate e sperimentate in un triennio di attività. Enna: chiude il carcere di Nicosia, entro fine mese detenuti trasferiti www.vivienna.it, 17 giugno 2013 Entro la fine del mese i detenuti del carcere Cappuccini di Nicosia, verranno trasferiti, quindi si procederà alla chiusura della struttura penitenziaria. Queste le ultime sconfortanti notizie, purtroppo annunciate, sul destino del carcere. Ieri sera si è svolto un vertice tra le rappresentanze sindacali degli agenti di polizia penitenziaria in servizio a Nicosia, il sindaco Sergio Malfitano ed il vicesindaco Carmelo Amoruso, per discutere delle azioni da mettere in campo, anche se ormai sembra che tutto è consumato. Tre mesi fa era stato trasmesso il decreto del ministero della Giustizia che era stato emanato il primo febbraio scorso, che prevede la chiusura delle carceri di Nicosia, Mistretta e Modica. Il decreto era stato notificato alle direzioni delle tre case circondariali e quindi anche a quella di Nicosia, che sancisce la chiusura della struttura penitenziaria e che dispone l’avvio urgente della procedura di restituzione del carcere al demanio che ne è proprietario. Tecnicamente da quel momento si attendevano le disposizioni per il trasferimento dei detenuti e l’assegnazione ad altre carceri del personale della Polizia penitenziaria che opera a Nicosia. adesso le disposizioni sul trasferimento dei reclusi che sembra dovrà essere completato entro il 30 giugno, sono arrivate e il carcere, a questo punto, è chiuso. Nei mesi scorsi era già accaduto con un carcere del centro Italia, la scorsa settimana con la sezione femminile del carcere di Enna, che probabilmente è stata resa libera per trasferirvi provvisoriamente i detenuti di Nicosia che sono di Comuni dell’Ennese. Una notizia che stronca le speranze e spezza le gambe all’economia della città che a questo punto si avvia ad un declino che si compirà a settembre con la chiusura del tribunale. I dati elaborati nei mesi scorsi dal Confcommercio parlano di una perdita complessiva di almeno 2.500 abitanti a causa della chiusura dei due presidi e questo a cascata, determinerà anche la progressiva diminuzione delle classi scolastiche. Una tragedia per Nicosia dove sono destinati a chiudere negozi ed attività commerciali e dove gli immobili perderanno progressivamente valore. A marzo si era svolto sulla chiusura del carcere un consiglio comunale straordinario proprio davanti alla struttura penitenziaria e l’amministrazione Malfitano si è detta pronta a realizzare con fondi comunali i lavori di ristrutturazione e messa in sicurezza che sono necessari, in attesa di realizzare, anche ricorrendo ad un progetto finanza un nuovo carcere previsto nel Piano regolatore generale. Purtroppo il Governo è rimasto sordo alle proposte come sordo rimane sulla richiesta di mantenere il tribunale e di scongiurare la catastrofe economica di un cittadina che vive di questa economia. Ieri sera all’incontro si è discusso dei possibili passaggi istituzionali e delle azioni di protesta da mettere in campo. Bologna: Tar E-R; legittima nomina Elisabetta Laganà a Garante comunale dei detenuti Ristretti Orizzonti, 17 giugno 2013 “Il Tar Emilia Romagna ha respinto il ricorso presentato dall’Associazione Papillon Rebibbia Onlus e dal dottor Vito Totire contro la nomina del Garante per i diritti delle persone private della libertà personale, nella persona della dottoressa Laganà Elisabetta, approvata dal Consiglio comunale con deliberazione del 13 giugno 2012. Con la sentenza n. 455/2013 in data 30 maggio 2013 e pubblicata il 14 giugno 2013, il Tar ha rigettato tutte e cinque le censure mosse dai ricorrenti, ritenendole infondate ed accogliendo le argomentazioni del Comune. È stato respinto il motivo di ricorso, attinente alla condizione di ineleggibilità. La Garante aveva presentato le proprie dimissioni in data 25 ottobre 2011 dall’incarico di esperto del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, dimissioni accettate dal Consiglio Superiore della Magistratura in data 13 giugno 2012. Il Tar ha ritenuto che l’accettazione da parte del Consiglio Superiore della Magistratura rende le dimissioni irrevocabili e, quindi, fa venir meno la condizione di ineleggibilità, mentre la deliberazione di recepimento del Ministero ha solo una funzione ricognitiva (quindi non costitutiva) e nulla può aggiungere o togliere alla situazione come definita con l’accettazione dal Consiglio Superiore della Magistratura. Sono stati, inoltre, respinti tutti i motivi attinenti alla regolarità della procedura adottata dagli organismi consiliari per addivenire all’elezione della Garante. È stata respinta l’eccezione di illegittimità dell’avviso pubblico della Presidenza del Consiglio per la presentazione delle candidature per l’incarico di Garante. Il Tar di Bologna ha ritenuto che la nomina del Garante non è una procedura concorsuale e che il regolamento comunale sull’elezione del Garante non prevede l’obbligo di pubblicazione dell’avviso sulla Gazzetta Ufficiale. L’onere di pubblicizzazione è stato adeguatamente osservato mediante la pubblicazione dell’avviso sul sito del Comune, sull’Albo Pretorio e mediante comunicati stampa. Sono stati respinti i motivi attinenti la procedura seguita nella Commissione consiliare “Affari generali e Istituzionali”. Il Tar ha stabilito che è stato rispettato il regolamento comunale sull’elezione del Garante - che prevede che la definizione dei criteri per la valutazione dei curricula debba precedere l’esame dei curricula stessi - e che la secretazione delle sedute di Commissione è stata disposta nel rispetto del regolamento sul funzionamento del Consiglio. Nessun vizio di motivazione della deliberazione consiliare è stato accertato dal Tar, in quanto, trattandosi di una nomina di tipo fiduciario alla quale si perviene mediante uno speciale procedimento elettorale, l’atto è correttamente motivato. Infine, i ricorrenti avevano sostenuto che la nomina era da annullare perché la Garante aveva già svolto le funzioni di esperto presso il Tribunale di Sorveglianza. I giudici del Tar hanno stabilito che non sussiste alcuna causa di incompatibilità, in base alla normativa regolamentare comunale, né si può ipotizzare una violazione del principio di buona amministrazione, in quanto le attività svolte quale esperto presso il Tribunale di Sorveglianza rappresentano un’esperienza non incompatibile con le funzioni di garante”. Cagliari: Sdr; contenzioso tra Dap e Asl blocca ristrutturazione Cdt di Buoncammino Ristretti Orizzonti, 17 giugno 2013 “Un assurdo quanto paradossale braccio di ferro tra il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e l’Azienda Sanitaria Locale n.8 di Cagliari ha impedito finora l’avvio della ristrutturazione del Centro Diagnostico Terapeutico della Casa Circondariale del capoluogo sardo. I cittadini privati della libertà che vi sono ricoverati dovranno insomma ancora sopportare i disagi provocati da calcinacci che cadono sulle brande, i piatti delle docce spesso intasati, i tubi arrugginiti da cui non sempre sgorga l’acqua calda, nonché la forte umidità e le bizze dell’impianto elettrico”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, avendo appreso che “mentre la Asl ha chiesto al Ministero di liberare le celle del Cdt per avviare i lavori, la risposta è stata l’attuale impossibilità di effettuare il trasferimento dei detenuti in altre strutture”. “Quello cagliaritano - sottolinea Caligaris - è uno dei 15 Centri Clinici presenti in Italia ma per le condizioni strutturali in cui si trova attualmente non è in grado di garantire un livello di assistenza adeguato. Da tempo infatti il Dipartimento, anche in attesa del trasferimento delle competenze dal Ministero della Giustizia a quello della Sanità, e quindi alle relative ASL, aveva sospeso gli interventi di manutenzione e di ammodernamento dei macchinari. Era inoltre stata presa in considerazione l’apertura del carcere di Uta, ancora invece in alto mare. L’aspetto paradossale della questione però è che i disagi dei cittadini privati della libertà ricoverati nella struttura sono stati rilevati e confermati da un sopralluogo dei tecnici della ASL”. Permanendo però questa situazione la struttura diagnostico-terapeutica di Buoncammino non potrà più funzionare per la diagnosi e cura. Del resto il Reparto dell’Ospedale Santissima Trinità dove venivano ricoverati i detenuti in condizioni particolarmente gravi è stato di fatto smobilitato. È quindi indispensabile - conclude la Presidente di Sdr - che i lavori vengano avviati al più presto dalla Asl cagliaritana in modo che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sia “costretto” a trasferire i detenuti-ammalati in altre strutture attrezzate nel rispetto della territorialità della pena. Sta di fatto che al più presto l’attuale situazione di illegalità deve essere rimossa e il diritto alla salute dei detenuti anziani e malati garantito”. Napoli: a Secondigliano il riscatto passa anche dalla terra, 8 detenuti al lavoro negli orti www.eolopress.it, 17 giugno 2013 “Un ritorno alla vita”, “una redenzione”. Per gli otto detenuti del carcere di Secondigliano che tra le mura lavorano l’orto questa attività non è semplice svago, ma qualcosa di più. Oggi nell’istituto di pena campana, la firma del protocollo tra l’assessorato all’Agricoltura della Regione Campania, il centro penitenziario e il garante per i detenuti con il quale si creerà una cooperativa per la vendita dei prodotti che già da un anno si coltivano a Secondigliano. “Questa è vera solidarieta”‘ dice l’assessore, Daniela Nugnes, anche se poi puntualizza “a certi progetti devono partecipare tutti, per esempio anche gli assessorati alle Politiche sociali” e aggiunge “più che all’economicità si deve badare al reinserimento sociale”. Otto detenuti volontari, tra capi di cosche ed esponenti di spicco di clan mafiosi, quasi tutti con fine pena mai. Due ettari di terra per 20 litri di olio e poi frutta e ortaggi. Dalla Regione arrivano 3.000 euro più il supporto tecnico e degli agronomi che mettono a disposizione il frantoio regionale e i semi di alcuni di alcune specie in via di estinzione. Per il resto è tutto in autofinanziamento con la vendita dei prodotti all’interno del carcere. Presto per l’olio Short Chain, che si traduce sia in “filiera corta” che in “catena corta”, potrebbe anche arrivare il riconoscimento regionale di prodotto biologico. “È come tornare alla vita - dice Gaetano, condannato all’ergastolo per associazione a delinquere - Così capisco davvero il valore del lavoro e capisco anche - scherza - il danno che facevo quando da bambino andavo a rubare nei campi”. Per Salvatore “il lavoro e la fede sono l’unico sostegno”. Per Claudio “la vita fuori è finita, non resta che questo. Siamo anche fortunati rispetto a chi è libero e vive una situazione drammatica perché senza lavoro”. Giuseppe invece è originario di un paese con un nome pesante, Corleone. E anche il suo cognome è pesante. Lui sarà uno dei pochi che rivedrà la libertà e il sogno è tornare a lavorare, ma soprattutto concludere gli studi di Agraria cominciati all’Università di Pisa. “È importante - dice il garante regionale dei detenuti Adriana Tocco - che l’istituzione intervenga nel carcere per favorire il processo di reinserimento nella società. Il detenuto lavora e così riacquista la sua dignità di uomo che produce. Abbiamo avuto anche contatti con un imprenditore napoletano che vuole acquistare questi prodotti”. “Questo progetto è già realtà - dice il direttore del carcere, Liberato Guerriero - Siamo operativi già da un anno. È un percorso importante, assieme ad altre iniziative, come la lavorazione dei rifiuti per 30 detenuti che tra poco vedranno anche l’apertura di un sito di compostaggio”. Rovigo: il 5 luglio torna “Il carcere in piazza”, organizza il Coordinamento dei volontari Ristretti Orizzonti, 17 giugno 2013 Venerdì 5 luglio alle ore 21,00 si terrà a Rovigo, in piazza Vittorio Emanuele II, l’ottava edizione della manifestazione “Il carcere in piazza (per non dimenticare)”, una serata di riflessione, musica, poesia e racconti sulla condizione carceraria, che quest’anno sarà condotta da Giorgia Gay, con l’attrice Elisabetta Mazzullo e lo spettacolo “Orologi tour” di Livio Ferrari e la sua band. Organizzata dal Coordinamento dei volontari della Casa Circondariale di Rovigo in collaborazione con il Comune di Rovigo - Assessorato Turismo e Manifestazioni, la Provincia di Rovigo, la Casa Circondariale di Rovigo e con il contributo del Centro di Servizio per il Volontariato della provincia di Rovigo, per l’occasione usciranno in permesso dall’istituto penitenziario cittadino dei detenuti per assistere all’evento e leggere anche un loro comunicato. Nella piazza i promotori della campagna “Tre leggi per la giustizia e i diritti. Tortura, carceri, droghe” raccoglieranno le firme per le tre proposte di legge di iniziativa popolare depositate lo scorso gennaio in Cassazione. Proposte che costituiscono un vero e proprio programma di governo per ripristinare la legalità nel nostro sistema penale e penitenziario. La prima: “Introduzione del reato di tortura nel codice penale” vuole sopperire ad una lacuna normativa grave. In Italia manca il crimine di tortura nonostante vi sia un obbligo internazionale in tal senso. Il testo prescelto è quello codificato nella Convenzione delle Nazioni Unite. La proibizione legale della tortura qualifica un sistema politico come democratico. La seconda: “Per la legalità e il rispetto della Costituzione nelle carceri” vuole intervenire in materia di diritti dei detenuti e di riduzione dell’affollamento penitenziario, rafforzando il concetto di misura cautelare intramuraria come extrema ratio, proponendo modifiche alla legge Cirielli sulla recidiva, imponendo l’introduzione di una sorta di “numero chiuso” sugli ingressi in carcere, affinché nessuno vi entri qualora non ci sia posto. Insieme alla richiesta di istituzione di un Garante nazionale per i diritti dei detenuti, viene anche proposta l’abrogazione del reato di clandestinità. Infine la terza proposta: “Modifiche alla legge sulle droghe: depenalizzazione del consumo e riduzione dell’impatto” vuole modificare la legge sulle droghe che tanta carcerazione inutile produce nel nostro Paese. Viene superato il paradigma punitivo della legge Fini-Giovanardi, depenalizzando i consumi, diversificando il destino dei consumatori di droghe leggere da quello di sostanze pesanti, diminuendo le pene, restituendo centralità ai servizi pubblici per le tossicodipendenze. Sabato mattina, poi, i rappresentanti nazionali e locali delle Camere Penali, che saranno presenti anche alla serata, organizzano un momento di confronto e riflessione alla Gran Guardia e una visita alla struttura penitenziaria di via Verdi. Lecce: detenuto necessita di essere operato al più presto… la parola ai magistrati www.ilquotidianoitaliano.it, 17 giugno 2013 Il suo stato di salute è incompatibile con la detenzione in carcere. Ha bisogno di essere operato al più presto per prevenire una irreversibile malattia renale. Eppure Giuseppe Martena è ancora in carcere. Martedì davanti al Tribunale di Sorveglianza di Lecce, con il suo difensore di fiducia, l’avv. Paolo Maci del foro di Lecce, discuterà della sua situazione e della possibilità che per lui venga sancito un diritto sacrosanto e costituzionalmente garantito a tutti gli altri cittadini: la possibilità di curarsi adeguatamente scegliendo il proprio medico di fiducia e la struttura dove essere curato. Un problema che come lui tocca tanti altri detenuti nella sua situazione. La speranza è che i magistrati di sorveglianza, con la loro sensibilità e la loro competenza, possano finalmente porre rimedio ad una situazione ormai insostenibile, in considerazione del fatto che l’organizzazione della sanità in carcere non possiede né gli strumenti né le competenze per curare le patologie poi gravi e che, come il Sovraffollamento, è un problema che affligge da sempre il Sistema carcerario e per il quale va trovato al più presto un rimedio. Torino: una cella ricostruita in piazza, nell’ambito della manifestazione eVisioni La Repubblica, 17 giugno 2013 Non è certo un’esperienza che ci si augura di provare nella vita, ma proprio per questo rende l’idea di quanto angusto possa essere stare lì dentro: in uno spazio di pochi metri quadrati, 12 per l’esattezza, ci sono quattro letti, il tavolo, il bagno. È una cella itinerante e vera, in tutto e per tutto, riprodotta dall’associazione “La Fraternità”, e oggi sarà installata nel cortile interno del campus universitario Luigi Einaudi, in lungo Dora Siena 100, dove rimarrà fino a venerdì 21 giugno. Sarà poi trasferita nelle piazze del centro di Torino fino al pomeriggio di domenica prossima. Si tratta di due iniziative, “la cella in università” e “la cella in piazza”, per sensibilizzare i torinesi sulla situazione vissuta dai detenuti nei penitenziari: “Una situazione incivile, resa ancora peggiore dal sovraffollamento delle nostre carceri” denuncia la Camera Penale Vittorio Chiusano, portavoce dell’evento insieme alle associazioni Giuristi Cattolici, Giuristi Democratici, Studi Giuridici sull’Immigrazione e Antigone Piemonte Onlus. Ma la cella itinerante si inserisce in una manifestazione più ampia: eVisioni 2013, un corollario di mostre, convegni, spettacoli teatrali, e raccolte firme per tre leggi di iniziativa popolare “volte a restituire civiltà alle carceri e al nostro paese”. Mercoledì 19 giugno, dalle ore 9.30 alle 12.30, si svolgerà il seminario “fare cinema in carcere” in collaborazione con il polo universitario per studenti detenuti, presso il carcere delle Vallette, con la proiezione del film “Tutta colpa di giuda” e l’incontro con il regista Davide Ferrario, e del cortometraggio “L’ultima notte” (entrambi girati proprio all’interno del Lorusso e Cutugno), seguirà la presentazione del cineforum “studenti un po’ fuori e un po’ dentro”. Giovedì 20 giugno, ore 21 al Cecchi Point di via Cecchi 17, ci sarà lo spettacolo “Valjean” un musical teatrale liberamente tratto da “Le Miserables” di Victor Hugo. Mentre martedì 25 alle 21 andrà in scena lo spettacolo “la carogna da dentro a me” tratto da una sentenza di tribunale in cui un giudice ha affermato che avrebbe dovuto condannare gli imputati per tortura nei confronti di due detenuti, ma non essendo previsto il reato era stato costretto ad assolvere. Venerdì 28 giugno alle 21, infine, Maniaci d’Amore in “Metafisica della prigionia”, un reading scenico sempre sul tema della detenzione, una “mise en space” sul vivere in gabbia. Un carcere civile per un Paese civile Le associazioni Camera Penale “Vittorio Chiusano” Giuristi cattolici, Giuristi Democratici, Studi Giuridici sull’Immigrazione e Antigone Piemonte onlus hanno organizzato le iniziative “La cella in Università” e “La cella in Piazza”. Lunedì 17 nel cortile interno del Campus Universitario Luigi Einaudi (CLE) in Lungo Dora Siena n. 100 verrà installata una cella messa a disposizione da “La Fraternità” associazione di volontariato nei carceri veneti. Rimarrà al Cle, nell’ambito della manifestazione eVisioni 2013, fino alla mattina di venerdì 21 giugno. Per essere poi trasferita in una delle piazze del centro di Torino fino al pomeriggio di domenica 23 giugno. S’intendono così sensibilizzare i futuri operatori di giustizia della nostra città (in particolare gli studenti del Dipartimento di Giurisprudenza), e poi i torinesi tutti in ordine alla incivile situazione in cui vivono le persone ristrette nelle carceri italiane. A corollario dell’iniziativa mostre, convegni, spettacoli teatrali e la raccolta firme per tre leggi di iniziativa popolare volte a restituire civiltà alle carceri e dunque al nostro Paese. Francia: Peciola (Sel); solidarietà a madre Daniele Franceschi, morto in carcere a Grasse Agenparl, 17 giugno 2013 “Esprimo piena solidarietà e vicinanza a Cira Antignano, madre di Daniele Franceschi, che sta manifestando davanti all’Ambasciata Francese per chiedere verità e giustizia sulla morte del figlio. Daniele Franceschi è deceduto nel carcere di Grasse in Francia il 25 agosto del 2010 per cause ancora da chiarire. Il corpo venne restituito dopo 54 giorni in condizioni di putrefazione e svuotato di tutti gli organi. Una delegazione è stata appena ricevuta dall’Ambasciatore e dal Console, che si sono resi disponibili a fare avere al più presto un dossier con le risposte ai quesiti che i familiari hanno posto. Non è tollerabile l’aumento di morti sospette nelle carceri di Paesi come l’Italia e la Francia. Dall’inizio dell’anno sono 83 i decessi nelle carceri italiane, alcuni ancora da accertare. Lo Stato ha il compito di tutelare la salute e la vita delle persone che vengono sottoposte a fermo o arrestate”. Lo dichiara in una nota Gianluca Peciola, consigliere di Sinistra Ecologia e Libertà dell’Assemblea Capitolina di Roma Capitale. Stati Uniti: i “cartelli” della droga reclutano nelle carceri, per impossessarsi del mercato di Veronica Calderon El Pais, 17 giugno 2013 Le carceri Usa si sono trasformate in un terreno fertile per i “buscaderos de talento” (ricercatori di esperti) dei cartelli messicani. Le autorità nordamericane, lo scorso mese hanno accusato Idalia Ramos Rangel, alias La Tia o Big Momma, che opera nel cartello del Golfo e che, insieme a suo figlio -Mohammed Mo Martinez, incarcerato nella prigione di Forrest Rock in Arkansas- entrata in contatto con detenuti statunitensi che erano sul punto di uscire dalla prigione perché lavorassero nello spaccio di droghe. Secondo la Polizia, Martinez e Ramos reclutarono Emmanuel Illo e Mervin Johnson nel 2010 perché distribuissero droghe in Arkansas. Seth Ferranti, detenuto a Forrest Rock dal 1993 per un reato di traffico di droghe, collaboratore della rivista Rolling Stones e The Daily Best, nonché fondatore di Gorilla Convict -una casa editrice che distribuisce libri sulla vita in prigione- dice che, in effetti, i cartelli messicani sono interessati a rafforzare le proprie reti di distribuzione in Usa -il Paese col maggior numero di consumatori di droghe al mondo- e che, per questo, utilizzano i propri contatti in carcere. “Qui è come un fiera dell’impiego”, dice in un messaggio di posta elettronica inviato al quotidiano spagnolo El Pais. “Accade qui, ma sono convinto che succede nel resto del Paese e ovunque ci siano dei messicani che abbiano rapporti con i cartelli”. Il 68% dei 51.000 detenuti nelle carceri Usa, sono messicani. “Questa non è una novità. Il carcere è l’università della delinquenza. È molto comune, e sempre è stato così, che si abbiano contatti e si pianifichino crimini. La differenza è che primi i grandi reclutatori erano le mafie colombiane ed italiane, ora invece sono quelle messicane, ché hanno più potere”. I cartelli messicani sono “la principale minaccia in Usa riguardo al crimine organizzato”, ha detto lo scorso mese di aprile Jack Riley, direttore dell’ufficio della DEA di Chicago. Nel 2008, le autorità Usa avevano rilevato attività criminali dei narcos messicani in 250 città del Paese. Nel 2011 le città sono diventate 1.200. “Guarda dove sono ora. La gente dice ‘questo accade alla frontiera, non è un nostro problema. Ma lo è. I narcotrafficanti operano a Chicago come se fossero lì”, dice Riley in una intervista all’agenzia stampa Associated Press. La Dea ha arrestato un operatore del cartello de La Familia (Michoacan, sulla costa del Pacifico in Messico) nel 2011, che viveva in un tranquillo quartiere di Chicago da dove dirigeva le reti di distribuzione della droga in città. E per rafforzare la distribuzione, sono necessarie risorse umane. Da questo parte il reclutamento nelle prigioni Usa. Ferranti descrive che i narcos messicani hanno stabilito un modello di selezione, che inizia con un’analisi della storia del candidato. “Si capisce che nel carcere c’è una gerarchia che si stabilisce con il rispetto. Che si tratti di un negro o di un bianco, se nel carcere è rispettato, per i messicani sarebbe pronto. Prima di avere un approccio con essi, si informano sulla loro affidabilità e reputazione precedente al carcere. Cercano persone che siano disposte a far parte dei propri canali di distribuzione, che siano al corrente di come questi funzionino in Usa. Che abbiano contatti e conoscenze che una persona che dovesse venire semplicemente dal Messico non avrebbe”. Un altro detenuto, che chiede l’anonimato, racconta in un altro messaggio di posta che le condizioni “sono perfette per i cartelli”: “Io sto per finire una condanna a 10 anni e ci sono già due bande che mi hanno fatto offerte. Mi chiedono, quando uscirò, di trasportare 20 Kg di cocaina. È una follia. Non avevo voglia di tornare in strada a vendere droghe, ma 20 chili? Andrei immediatamente in carcere e mi condannerebbero all’ergastolo, capisci cosa dico?”. Secondo Ferranti, reclutare detenuti nordamericani per la distribuzione di droghe in Usa, è diventato un “fatto corrente” per i cartelli messicani. “La Eme (la banda più potente delle carceri nordamericane, fondata da messicani negli anni 50) e la Hermandad Aria (altra banda di detenuti in Usa) lavorano come sicari per il cartello del Golfo”, spiega. Il detenuto che ha chiesto l’anonimato descrive come la Hermandad e un’altra banda chiamate Tango Blast lavorano per i Los Zetas in Texas. “Comprano armi in Usa che poi inviano in Messico” dice attraverso un messaggio. “Al contrario delle bande nordamericane, i cartelli messicani dicono chiaramente che non vengono in Usa per cercare un punto di distribuzione, ma perché intendono impossessarsi del mercato”. Ma perché contattare degli statunitensi? Ferranti dice che i messicani che non sono direttamente connessi al narcotraffico preferiscono mantenersi ai margini per “paura per le proprie famiglie”, per cui è naturale che cerchino delinquenti nordamericani che “conoscono meglio le reti di distribuzione ed abbiano contatti che nessuno che viene dal Messico potrebbe avere. Tra messicani che hanno rapporti diretti coi principali cartelli del narcotraffico e statunitensi che sanno come vendere le droghe nelle strade, cosa pensi che succederà?”. Ferranti descrive anche le offerte che hanno “molto successo” presso i detenuti. “Molti qui non sono in una posizione in cui possano decidere di non essere disponibili. I cartelli ti fanno un’offerta per dar da mangiare alla tua famiglia e molti ci stanno. Il problema è che tutti credono che diventeranno un nuovo “Scarface”. Ma non è vero. Neanche Tony Montana sopravvivrebbe”. Mali: Amnesty International denuncia; minorenni detenuti nelle carceri di Bamako di Celine Camoin www.atlasweb.it, 17 giugno 2013 Ci sono minorenni, tra cui ragazzini di soltanto 13 anni, tra i presunti combattenti ribelli arrestati dalle forze armate maliane e detenuti nelle carceri di Bamako. Lo denuncia Amnesty International in un rapporto redatto dopo una visita di quattro settimane nel paese. Alcuni dei minorenni detenuti e incontrati dagli esperti di Amnesty sostengono di essere stati torturati o maltrattati. Sono accusati di essere stati arruolati dai gruppi radicali che l’anno scorso avevano preso il controllo della metà nord del paese, e successivamente respinti grazie all’intervento delle forze francesi nell’ambito dell’operazione Serval. L’organizzazione per la difesa dei diritti umani ricorda che il diritto internazionale prevede che i minorenni in detenzione siano separati dagli adulti e che le autorità locali avvisino l’Unicef quando vengono arrestati bambini sospettati di associazione con gruppi armati. Sin dall’inizio del conflitto in Mali nel 2012, diverse associazioni per la difesa dei diritti umani hanno denunciato il reclutamento di minori da parte dei gruppi armati e delle milizie di autodifesa sostenute dalla autorità maliane.