Giustizia: nella bozza del “decreto Cancellieri” sconti di pena e lavoro di pubblica utilità Ansa, 12 giugno 2013 Lo sconto di pena per la liberazione anticipata passa da 45 a 60 giorni per ogni semestre di pena scontata. Riduzione della pena per chi in custodia cautelare, abbia da scontare non oltre 3 anni. Lavoro di pubblica utilità per i tossicodipendenti. Popolazione carceraria che dovrebbe diminuire di 3.500, 4.000 persone. Sono alcune delle misure del decreto carceri all’esame del prossimo Cdm. Sconto pena maggiore per liberazione anticipata da 45 a 60 giorni per ogni semestre di pena scontata. Liberazione anticipata per chi in custodia cautelare ha una pena residua non oltre i 3 anni. Lavoro di pubblica utilità per i tossicodipendenti. Sono alcune delle misure del decreto carceri contenute in una bozza diffusa dall’Ansa e che andrà al prossimo Cdm. Attraverso meccanismi sia in entrata, che in uscita, l’intervento normativo dovrebbe ridurre la popolazione carceraria di 3.500-4.000 persone, secondo le prime stime. La versione del decreto in possesso dell’Ansa è stata revisionata il 9 giugno e si compone di sei articoli. Si tratta quindi di un pacchetto di misure-tampone piuttosto agili per affrontare l’emergenza del sovraffollamento delle carceri, che rischia di diventare come sempre più intenso durante l’estate, ma che in generale rappresenta uno degli ambiti che necessitano misure urgenti, anche per le richieste di riportare la situazione dentro gli standard comunitari e internazionali che arrivano dall’Europa. Il decreto agisce apportando modifiche e aggiunte a diverse norme: l’art. 656 del codice di procedura penale sull’esecuzione delle pene detentive, con ricadute anche sulle disposizioni sulla detenzione domiciliare; la legge sul lavoro all’esterno dei detenuti; il testo unico sulla droga nella parte relativa alla repressione degli illeciti. Una delle misure chiave, prevista nell’articolo 2 del decreto legge, riguarda lo sconto di pena ai fini della liberazione anticipata per i detenuti che danno prova di partecipare all’opera di rieducazione: una detrazione che sale da 45 a 60 giorni per ogni semestre di pena scontato. Una misura accompagnata da una disposizione transitoria all’art. 4 congegnata per evitare generalizzazioni ed effetti più estesi del necessario. Tra le altre novità, si prevede che quando la pena residua da scontare, computando le detrazioni per buona condotta, non superi i 3 anni, o i 6 per i reati commessi da tossicodipendenti, il pm “trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza” perché provveda “senza ritardo con ordinanza” alla riduzione della pena. Quando questo stesso quadro riguardi la custodia cautelare, si prevede che il pm “trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza per la decisione sulla liberazione anticipata”. Inoltre, scatta la possibilità di sospendere l’esecuzione della pena nei casi di detenzione domiciliare in cui la pena non superi i 4 anni. Viene ampliata la possibilità di estendere l’assegnazione di detenuti ad attività in favore della collettività, prevedendo che specifiche categorie di detenuti non pericolosi “possono essere assegnati a titolo volontario all’esecuzione di progetti di pubblica utilità”, in base a “programma aggiornati con frequenza semestrale e trasmessi al magistrato di sorveglianza”. E si allargano le ipotesi di lavoro di pubblica utilità prevista per detenuti tossicodipendenti, ad eccezione di coloro condannati per i reati più gravi. Giustizia: intervista al ministro Cancellieri “così toglieremo 4mila detenuti dalle celle” di Michele Brambilla La Stampa, 12 giugno 2013 Chiedo subito al ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, che da poche settimane è traslocata dal Viminale in via Arenula, se quella delle carceri è la prima grana che si è trovata sulla scrivania. “È la cosa più seria - risponde - entro il mese di maggio dell’anno prossimo dobbiamo avere risolto il problema”. Maggio 2014 è la data indicata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo come termine per porre rimedio allo scandalo del sovraffollamento. “L’Europa impone che ciascun detenuto abbia a disposizione, in cella, uno spazio non inferiore ai tre metri quadrati. Sotto questa soglia, la detenzione è considerata tortura”, dice Anna Maria Cancellieri. E poi è arrivata, oltre all’Europa, la reprimenda di Napolitano, che ha invitato il governo a far presto. Ministro, quando e come pensate di intervenire? “Venerdì, o al massimo sabato, il governo farà un decreto legge”. Che cosa prevedrà? “Misure per anticipare alcune uscite dal carcere, e altre per limitarne le entrate. Stiamo lavorando sui reati. E pensando anche all’estate, quando la situazione rischia di scoppiare per il caldo”. Quanto varrà questo decreto, in termini di numeri? “Lo stiamo ancora definendo. Il 24 poi ripresenteremo in Parlamento, con qualche correzione, il provvedimento del ministro Severino, che va nella stessa direzione: far uscire un pò di persone, quelle che hanno mostrato di esserselo meritato, e non far entrare altri che possono essere mandati agli arresti domiciliari o assegnati a lavori socialmente utili. È chiaro che tutto questo si potrà fare con persone non pericolose e per reati per i quali sono previste pene basse. Abbiamo calcolato che, con queste misure, la popolazione carceraria dovrebbe ridursi di 3.500-4.000 persone”. Ministro mi perdoni: ma le “unità eccedenti”, chiamiamole così, sono ventimila secondo i vostri dati, trentamila secondo quelli dell’associazione Antigone. “Sappiamo bene che ci vuole di più, e stiamo lavorando. Mediamente, nelle nostre carceri sessantamila persone ci sono sempre”. Pensate a un indulto? Nel 2006 portò la popolazione carceraria sotto i 40.000 detenuti, adesso sono 66.000. “L’indulto svuoterebbe le carceri di 15-20.000 detenuti. Ma non è in programma come iniziativa del governo. È una questione che eventualmente riguarda il parlamento”. Nuove carceri? “Con nuove costruzioni, o con ampliamenti delle carceri esistenti, nel 2012 sono stati ricavati duemila posti in più. Quest’anno ne otterremo altri quattromila, nel 2014 duemilacinquecento, nel 2015 e 2016 altri duemila circa. In totale, fra tre anni e mezzo avremo poco meno di undicimila nuovi posti”. Ne mancherebbero ancora diecimila. “Nel fondo carceri, dopo il “taglio” di 228 milioni operato nella finanziaria del 2012, sono rimasti 70 milioni, più altri 60 di ribassi d’asta. Insomma abbiamo un tesoretto. Stiamo utilizzando le cellule grigie per capire come utilizzarlo...”. Idee? “La filosofia, avendo pochi mezzi, è quella di realizzare strutture leggere, più aperte, più semplici da costruire. Poi stiamo verificando certi edifici che il Demanio militare ci può mettere a disposizione: caserme e carceri che potrebbero essere ristrutturate. E stiamo cercando anche di recuperare nuove risorse dai beni sequestrati alla mafia”. Quanto costa un carcere “leggero” di quelli che volete costruire, da 4-500 posti? “Ne abbiamo appena appaltato uno così a Catania e costerà trenta milioni: sarà pronto alla fine del 2016. Ma abbiamo altre idee: stiamo parlando con la Regione Toscana per capire se è possibile riaprire Pianosa, e se è il caso di rendere indipendente da un punto di vista energetico il carcere della Gorgona, che passerebbe da 50 a 100 posti”. Quali sono situazioni più critiche? “Mi segnalano Poggioreale, l’Ucciardone, Marassi...”. Ministro, l’emergenza carceri è solo un problema di sovraffollamento? “Certo che no. Dobbiamo cambiare il modo di stare in carcere. Il detenuto non deve rimanere chiuso in cella tutto il giorno a non fare nulla. Ho visto che lei è stato a Padova, dai detenuti che lavorano con la Cooperativa Giotto: ecco, quello è un modello da seguire e da esportare. Anche a Bollate lavorano. Il detenuto deve potere uscire di cella e lavorare. Non giova solo a lui, serve anche a chi sta fuori, perché si abbassa, e di molto, la possibilità di una recidiva. Voglio dire: il detenuto che in carcere lavora - meglio ancora se lavora con aziende che devono stare sul mercato, perché così si responsabilizza maggiormente - una volta uscito spesso ha già un’occupazione, o comunque può trovarla più facilmente. E ha meno possibilità ricadere negli errori del passato”. Però le imprese che chiedono di produrre all’interno del carcere incontrano un’infinità di ostacoli burocratici. “È vero. Dobbiamo modificare questa situazione. L’imprenditore non deve avere intralci. In ogni caso su questa strada non ci fermeremo. Ogni nuova struttura deve poter avere gli spazi per il lavoro. È un imperativo categorico”. Si interverrà anche sui detenuti in attesa di giudizio? Sono il quaranta per cento. “A noi risultano circa il 35 per cento. Comunque troppi. Soprattutto quelli in attesa di un giudizio di primo grado, che sono il 18,60 per cento. Tra di loro c’è gente che sarà assolta”. La lentezza dei processi? “Apriremmo un discorso infinito. Diciamo che su questo tema bisogna inventarsi qualcosa. Qualche idea ce l’ho”. Un terzo dei detenuti è costituito da stranieri. Non basterebbe espellerli per risolvere il sovraffollamento? “Non è così facile. Di molti stranieri non sappiamo neppure il Paese di provenienza. E poi per far scontare a un detenuto la pena nel suo Paese d’origine occorre il suo consenso. E difficilmente lo concede”. A proposito di rieducazione: che cosa pensa di Graziano Mesina? “Una grandissima delusione. Uno che fa la guida turistica e va in giro con il Porsche Cayenne... Con la gente che non sa come comprare pane e latte... Una botta che rimette in discussione tante cose, che crea difficoltà alle nostre politiche di recupero. Ma dobbiamo continuare ad avere fiducia nell’essere umano”. Il 41 bis? “Quello non si tocca. Se da una parte siamo pronti ad aprire, non abbiamo nessuna intenzione di mollare su questo punto”. L’ergastolo? I radicali raccolgono le firme per l’abolizione. “È un tema di cui bisognerebbe parlare in parlamento. Ma bisognerebbe sentire anche le vittime di coloro che sono state condannate all’ergastolo. Le vittime non vanno mai dimenticate”. Giustizia: carceri fuori dalla legge, iniziato conto alla rovescia per trovare una soluzione di Michele Passione (Avvocato, componente dell’Osservatorio Carcere dell’Ucpi) Il Manifesto, 12 giugno 2013 Ora che la “Grande Chambre” di Strasburgo ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’Italia avverso la sentenza Torreggiani ed altri sul sovraffollamento carcerario, è utile interrogarsi su ciò che potrebbe e dovrebbe accadere nel nostro Paese. Tenuto conto di quanto già affermato dalla Corte, che... “si rallegra dei passi compiuti dalle autorità nazionali, e non può che incoraggiare lo stato italiano a proseguire i suoi sforzi”; del resto, l’Italia non si era opposta alla pronuncia dell’adozione della sentenza pilota, in forza del riconosciuto carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario. Sarebbe stato utile e giusto riconoscere l’importanza della sentenza, e provvedere agli strumenti da adottare per assolvere all’obbligo giuridico, ma invece si è perso altro tempo. Nel mentre, qualcosa si muove fuori dai palazzi della Politica. Due uffici di sorveglianza (Venezia e Milano) hanno sollevato la questione di costituzionalità dell’art.147 del codice penale, nella parte in cui non prevede il rinvio dell’esecuzione della pena quando quest’ultima debba avvenire in condizioni contrarie al principio di umanità, in ragione del sovraffollamento carcerario. La Corte di Appello di Roma, il Tribunale di Viterbo e la terza sezione penale della Corte di Cassazione hanno sollevato invece la questione di costituzionalità sulla Legge Fini Giovanardi, la principale fonte di incarcerazione nel nostro paese. Soprattutto, mentre la commissione giustizia della camera esamina la proposta di legge in materia di pene detentive non carcerarie e di messa alla prova, che pur con il lodevole fine di indicare più moderne ed utili risposte sanzionatorie, alternative al carcere, non incide sull’over crowding, essendo riferita ai soli reati puniti con pena (edittale, e non inflitta) non superiore nel massimo a 4 anni, è in corso nel paese la raccolta delle firme per tre proposte di legge di iniziativa popolare (www.3leggi.it). Un cartello di associazioni, che cresce ogni giorno, propone di prevedere il reato di tortura nel codice penale, di istituire il Garante nazionale delle persone private della libertà personale, di introdurre il principio delle cosiddette “liste di attesa”, una sorta cioè di numero chiuso per il carcere (trasparente strumento di assunzione di responsabilità statuale), di modificare le disposizioni in materia di recidiva, di custodia cautelare in carcere, di ordinamento penitenziario e di sostanze stupefacenti. Servono almeno 50.000 firme, serve l’aiuto di tutti. Spetterà al Comitato dei ministri, cui il regolamento della Corte assegna priorità di compiti in caso di sentenze pilota, sorvegliare sul rispetto della pronuncia di Strasburgo; il Parlamento italiano, con la Legge n. 12 del 2006, ha da tempo adottato disposizioni in materia di esecuzione delle pronunce della Corte, per favorire l’attuazione delle sentenze emesse con sentenza pilota. Spetta a noi fare in modo che questo paese possa liberarsi dal profondo senso di vergogna che ci umilia in Europa e nel mondo, e soprattutto restituire dignità a chi l’ha persa da tempo. L’art. 46 Cedu pone a carico di tutti gli organi dello Stato (esecutivo, legislativo e giudiziario) la responsabilità, ciascuno per la sua parte, di adottare misure necessarie per conformarsi alla sentenza emessa. Una sentenza pilota non porta a un “pilota automatico”, e i richiami europei non possono valere solo in materia di bilancio; il tema dei diritti sta tutto dentro un percorso di sviluppo di un Paese, ed è nostro impegno e dovere promuoverli e tutelarli. Giustizia: Battaini (Ue); l’Italia ha un anno di tempo... siamo curiosi di vedere come farà Asca, 12 giugno 2013 Dopo la sentenza Torreggiani del 27 maggio scorso con cui la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha condannato l’Italia per il sovraffollamento delle carceri, Roma “ha a disposizione esattamente un anno per adottare misure, altrimenti rischierà di dover corrispondere indennizzi non indifferenti, e siamo curiosi di vedere cosa farà”. Lo ha indicato il vice segretario generale del Consiglio d’Europa, Gabriella Battaini, conversando con la stampa a conclusione di una sua visita a Roma. Nel contrasto al sovraffollamento carceri “una strada è incidere sui tempi lumaca della giustizia italiana, un’altra prevedere pene alternative al carcere per i reati minori, una terza estradare nei paesi d’origine i cittadini stranieri che vengono arrestati per aver commesso reati in Italia, un’altra ancora costruire nuovi carceri”, ha indicato l’alto esponente dell’Organizzazione internazionale in difesa dei Diritti umani che comprende 47 Paesi europei. In tale quadro, “siamo curiosi di vedere quali misure e decisioni adotterà l’Italia rispetto alla sentenza Torreggiani” entro il 27 maggio 2014, ha indicato Battaini. Giustizia: Ferranti (Pd): la “messa alla prova” è primo tassello per una giustizia riparativa Ansa, 12 giugno 2013 Con la proposta di legge sulle pene detentive non carcerarie e sulla sospensione del procedimento con messa alla prova per reati di non particolare allarme sociale si prevedono norme in grado di incidere sulla situazione emergenziale delle carceri. “Per affrontare seriamente le criticità della giustizia servono ampie riforme di sistema che interverranno nel medio e lungo periodo. Nel frattempo urgono provvedimenti che la Commissione giustizia della Camera sta portando avanti sin dal primo giorno. Mi rammarica il fatto che non tutte le forze politiche ritengano di condividere l’occasione per iniziare a risolvere drammatici problemi come il sovraffollamento carcerario e lo smaltimento dei procedimenti”. Lo afferma il presidente della commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti. “Con la proposta di legge sulle pene detentive non carcerarie e sulla sospensione del procedimento con messa alla prova per reati di non particolare allarme sociale si prevedono norme in grado di incidere sulla situazione emergenziale delle carceri e di diminuire il carico dei procedimenti penali. Il sovraffollamento carcerario degli ultimi decenni è il frutto di politiche securitarie, fondate sull’esclusione del disagio sociale e della devianza. Oramai nelle carceri si vive in una condizione inaccettabile per uno stato democratico, in palese violazione del principio costituzionale che garantisce la finalità rieducativa della pena. È iniziato il conto alla rovescia per il ripristino della legalità penitenziaria. È da tempo che l’Europa ci bacchetta chiedendoci di risolvere il problema del sovraffollamento, ma anche di accelerare i tempi della giustizia civile e di smaltire l’arretrato dei procedimenti. Problemi risolvibili solo con un lavoro sinergico tra Parlamento e Governo che mi auguro possa portare, nel più breve tempo possibile, risultati concreti. Questo è un piccolo tassello di un più ampio puzzle. Intanto la commissione Giustizia della Camera lavorerà duramente per portare il testo in aula a partire dal 24 giugno prossimo”. Patriarca (Pd): non solo nuove celle ma pene alternative “Il tema delle carceri non sia affrontato solo costruendo nuove celle, ma prima di tutto con pene alternative alla detenzione in carcere. La Lega sappia che per avere un sistema più umano basterebbe prendere esempio dal resto d’Europa”. Lo afferma il deputato del Pd Edoardo Patriarca, componente della Commissione Affari Sociali. “Alla pena della detenzione non sovrapponiamo la pena del sovraffollamento - continua Patriarca. L’Europa ha già bocciato lo stato delle nostre carceri e l’eccessivo numero di detenuti in attesa di giudizio. Diamo un segnale chiaro dando impulso alle misure alternative”. Favi (Pd): condivisibili proposte ministro Cancellieri “Con le proposte avanzate dal ministro Cancellieri si attiva un percorso, che il Pd condivide, per affrontare alla radice le distorsioni di sistema che generano inaccettabili condizioni di degrado delle nostre carceri. Ci auguriamo che il ministro Cancellieri mostri coraggio e determinazione anche esplicitando le idee innovative in materia di custodia cautelare e di rilancio delle misure alternative alla detenzione. Apprezziamo, infine, la nomina del professor Glauco Giostra a consulente del ministro che porta con se un bagaglio di proposte importanti elaborate dalla commissione mista Csm, Magistratura di sorveglianza e Ministero della Giustizia”. Lo afferma in una nota Sandro Favi, responsabile nazionale Carceri del Pd. Gozi (Pd): bene Cancellieri, ma servono anche amnistia e indulto “La rinnovata sensibilità del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri sul tema del sovraffollamento nelle carceri è un segnale importante, come lo sono le imminenti misure del governo preannunciate dal Guardasigilli. Ma senza un provvedimento per l’amnistia e l’indulto l’Italia rimarrà a lungo in una situazione di grave illegalità”. Lo afferma il deputato del Pd Sandro Gozi, che ha presentato una proposta di legge per l’amnistia e l’indulto alla Camera parallela alla proposta del senatore Pd Luigi Manconi al Senato, commentando un’intervista rilasciata ad un quotidiano dal ministro Cancellieri. Gozi precisa che “l’Europa ci ha più volte condannati per questa realtà inaccettabile e la Corte Europea dei Diritti dell’uomo ci ha dato tempo fino al maggio dell’anno prossimo per porvi rimedio definitivamente. Almeno 19 mila posti in meno rispetto al numero reale delle persone detenute in Italia, che secondo alcune associazioni come Antigone arriverebbero in realtà a circa 30 mila, ci distanziano dalla civiltà e dai principi fondamentali europei. Secondo lo stesso ministro, i provvedimenti in cantiere potranno ridurre la popolazione carceraria al massimo di 4000 unità: così scalfiremo appena il problema e l’Italia rimarrà nell’illegalità europea, continuando a violare la dignità personale di tantissimi detenuti. Cancellieri ha aggiunto che entro il 2016 saranno disponibili 11 mila nuovi posti. In attesa che questo avvenga, serve un provvedimento forte che ci allinei al rispetto dei diritti umani che ci siamo impegnati a tutelare in Europa e violiamo in Italia”. Giustizia: Bernardini (Radicali): sulle carceri Governo schizofrenico di fronte all’Europa Prima Pagina News, 12 giugno 2013 “La sentenza n. 135/2013 della Corte Costituzionale ha dunque ristabilito che se il Magistrato di Sorveglianza “ordina” un provvedimento perché ritiene siano lesi i diritti fondamentali di un detenuto, il Governo è “obbligato” ad adempiere. Quel che ai nostri occhi appariva “logico” e corrispondente a quanto già stabilito da un’altra sentenza dell’Alta Corte (n. 266 del 23 settembre 2009), oggi viene di nuovo riaffermato con forza. Detto questo, due comportamenti istituzionali sono da segnalare: da una parte quello, schizofrenico, del Governo che per difendersi davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo va a dire che la tutela giurisdizionale è garantita dal fatto che i detenuti possono rivolgersi al Magistrato di Sorveglianza, ma quando quest’ultimo dà ordini, l’Amministrazione (il Governo) si rifiuta di eseguirli; dall’altra mi permetto di rilevare che la stessa Corte Costituzionale nel momento in cui, con l’importante sentenza, dà ragione al Magistrato di sorveglianza, non completa la sua opera perché - a mio avviso - avrebbe dovuto anche ordinare la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Roma, potendosi ravvisare nel comportamento di coloro che non diedero esecuzione all’ordinanza del magistrato quanto meno il reato previsto dall’art. 650 del codice penale (inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità). Voto: 10 e lode al Magistrato di Sorveglianza di Roma, 8 alla Corte Costituzionale, bocciato il Ministero della Giustizia”. È quanto dichiara Rita Bernardini, ex deputata radicale. Pannella: decreto Governo è “auto bidone” “Il decreto svuota carceri è un auto bidone”. Così il leader dei Radicali Marco Pannella, sul decreto annunciato dal Governo per risolvere il sovraffollamento carcerario per il quale, sostiene, “servono amnistia e indulto”. “Abbiamo già avuto lo svuota carceri”, ha detto Pannella in una conferenza stampa a Napoli spiegando che “il problema è innanzitutto la giustizia. Se abbiamo un Ministero con gestione prefettizia, con il ministro che ci racconta cose incredibili, crolla tutto, non si salva niente”. Con Pannella è presente l’ex parlamentare Rita Bernardini, che ha aggiunto: “Da 33 anni l’Italia viene condannata in sede europea come un criminale di lungo corso, per i trattamenti inumani e degradanti nelle nostre carceri e per l’irragionevole durata dei processi penali pendenti. Il ministro Cancellieri parla di un milione e mezzo di cause pendenti, non so chi le dia i dati ma sono oltre 5 milioni e mezzo”. “In Campania - ha aggiunto - c’è il record italiano di procedimenti penali e civili pendenti, uno per ogni famiglia”. Giustizia: Osapp; grave errore escludere Polizia penitenziaria in misure emergenza carceri Adnkronos, 12 giugno 2013 “A parte la nostra totale fiducia nella volontà di migliorare la grave emergenza penitenziaria da parte della Guardasigilli Annamaria Cancellieri, dalle anticipazioni sui nuovi provvedimenti del Governo pubblicate dagli organi di informazione, non ci sembra che le misure proposte si discostino o sopravanzino granché quanto i vari ministri della Giustizia hanno indicato negli ultimi dieci anni”. È quanto afferma in un comunicato Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). Secondo l’Osapp, “il problema della scarsa incisività degli provvedimenti di questi anni rispetto alle gravi emergenze penitenziarie e a un sovraffollamento delle carceri di oltre il 40%, riguarda sia l’inerzia delle ultime assemblee parlamenti nell’affrontare in maniera incisiva e senza strumentalizzazioni i problemi e sia la progressiva e grave lontananza della vita e del lavoro negli istituti di pena dei vertici dell’amministrazione che hanno proposto le misure poi adottate in sede politica”. “L’esperienza ci ha purtroppo insegnato - prosegue il leader dell’Osapp - quanto criminogeno in se risulti l’attuale sistema e quanto irrisorie si rivelino le misure finalizzate al mero decongestionamento delle infrastrutture, senza affrontarne la scarsa funzionalità nel reinserimento sociale dei detenuti”. “Altrettanto negativo, negli annunci di queste ore, è il fatto che non sembrerebbero sussistere nel Governo preoccupazioni di sorta per le gravi conseguenze, persino rispetto alle possibilità di sopravvivenza futura del sistema, derivanti della disorganizzazione e della proverà di mezzi e degli organico (il 25% del personale rispetto al 1992) della polizia penitenziaria i cui assetti sono di almeno vent’anni indietro agli standard europei e delle altre forze di polizia, per cui ci auguriamo che anche da questo punto di vista la realtà dei fatti superi le anticipazioni”, conclude. Giustizia: per attuazione “Piano carceri” serve un centro di coordinamento più efficiente di D. Alessandro De Rossi (Lidu, Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo) L’Opinione, 12 giugno 2013 La settimana scorsa al convegno tenutosi presso il carcere di Saluzzo si è parlato dei problemi relativi al Piano carceri e delle diverse forme di partenariato tra sistema pubblico e privato. Aggiungiamo a nostra volta che nel “Piano carceri” stilato a suo tempo, peraltro in continuo work in progress, si legge: “L’amministrazione, considerate le limitate risorse finanziarie disponibili, ha svolto un accurato studio teso ad individuare soluzioni alternative di finanziamento, valutando la possibilità di ricorrere a taluni istituti normativi quali la locazione finanziaria, la finanza di progetto e la permuta”. Il Governo già un paio di anni, fa ben consapevole della carenza finanziaria, intendeva includere i privati nel “disegno risolutivo del piano per l’edilizia penitenziaria”. A parere di chi scrive, già prima della fase di realizzazione del disegno risolutivo del piano non sarebbe stato sbagliato promuovere una pianificazione di più ampio respiro culturale che stabilisse in modo organico e multidisciplinare le possibili operazioni da compiere a fronte dell’intero patrimonio esistente sul territorio: riuso, riassetto, dismissione, cessione, ristrutturazione, locazione, ecc., di taluni edifici penitenziari ed aree pertinenziali all’interno di un paradigma di azioni da concordare attraverso una specifica normativa anche con i diversi enti locali e uffici competenti. Tale processo sistematico di valutazione delle preesistenze architettoniche e ambientali, se ben impostato con le altre funzioni ministeriali, avrebbe potuto trasformarsi in una grande opportunità per innescare un ciclo virtuoso in rapporto diretto con le attività presenti sul territorio. In tal modo individuando utilmente, all’interno delle diverse filiere, nuovi ambiti di recupero sociale del detenuto come momenti alternativi, non disarticolati e sporadici come ora avviene, destinati all’applicazione della pena. Tutto il percorso, collegato alle catene produttive locali, ai servizi sociali, alle strutture cooperativistiche e di volontariato, ai valori architettonici ed ambientali espressi dalle diverse realtà territoriali, potrebbe ricucire finalmente le molte connessioni funzionali sistemicamente interagenti tra apparato pubblico e iniziativa privata attualmente in grande sofferenza per la nota crisi economica. Non tutti sanno che l’attuale patrimonio carcerario italiano è costituito da un 20% di edifici realizzati tra il 1200 ed il 1500 (medio evo e rinascimento!), un 60% costruito tra il 1600 ed il 1800 e solo il rimanente 20% in tempi successivi. Questi dati aprono scenari inquietanti nel momento del difficile confronto con il “valore” di questi edifici: manufatti abbandonati a fronte di un inevitabile e progressivo degrado, costruzioni e siti di alto valore architettonico ed ambientale. L’incapacità “strutturale” di rispondere alla necessità di adattamento a moderni criteri di funzionalità, unita all’alta qualità storico-culturale ed economica di cui sono portatori questi edifici, determinano altissimi costi di manutenzione per la quotidiana gestione dello status quo, con bassi rendimenti funzionali in termini di qualità e sicurezza. Non solo in questo settore, come è noto, è proprio la questione della “competenza” burocratico-culturale, che unita al potere di diniego, rappresenta la più complessa tra le cause che rendono inattiva la capacità di risolvere il problema di come amministrare questo enorme patrimonio. È il motivo primario che scoraggia l’intervento privato nei confronti di una vasta varietà di operazioni volte alla cessione, alla vendita, alla dismissione, al recupero, alla ristrutturazione. Ragioni ufficiali che, dietro lo schermo delle diverse “competenze”, dell’apparente complessità delle operazioni, spesso tendono a dissuadere in partenza qualsiasi proposta innovativa in ordine alle eventuali scelte da compiere in termini di riuso o dismissione di questi edifici. Circa questo enorme patrimonio edilizio, il Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del ministero della Giustizia) comunicò, per voce dell’allora suo dirigente, Franco Ionta, che per reperire la somma necessaria al completamento del Piano destinato alla costruzione di nuovi istituti, sarebbe stato necessario “proporre l’alienazione e la dismissione di immobili, soprattutto se situati nei centri storici, e prendere in considerazione la possibilità di vendere parte del patrimonio edilizio penitenziario vincolando l’acquirente a corrispondere quanto necessario con modalità contrattuali da definire”. Vero è che, prima di poter addivenire a tali corrette ipotesi, sarebbe necessario definire qui e subito una modalità coerente e strutturata concernente i criteri d’intervento nei confronti dell’intero patrimonio edilizio. Una sorta di “sistema a rete”, avente come obiettivo il possibile coinvolgimento, oltre che dell’imprenditoria privata, anche delle cooperative di ex detenuti, sulla base di programmi di riabilitazione sociale e qualificazione professionale che prevedano misure alternative al carcere ed il reinserimento nel ciclo produttivo destinato al riuso, sotto altre forme e funzioni, dello stesso patrimonio edilizio carcerario. In questo grande sforzo di sintesi e pianificazione strategica, determinante dovrebbe essere l’impegno ed il coinvolgimento dell’imprenditoria privata come vero e proprio motore dello sviluppo. Interventi di project financing, leasing e pianificazione concordata e comunque di partenariato tra pubblico e privato, insieme ad un’innovativa visione urbanistica, così come ebbi a scrivere nel mio libro “L’Universo della detenzione” (Mursia 20011), se non scoraggiati dalla burocrazia, se ben governati da un Centro decisore nelle mani del Dap e da efficienti e motivati apparati dello Stato, possono rappresentare già oggi una grande opportunità per la futura soluzione del problema penitenziario e contribuire significativamente alla ripresa del sistema economico e produttivo. Le amministrazioni locali, soggetti primari che tradizionalmente svolgono attività di rilevazione e catalogazione sul territorio, consentirebbero di disporre fin da subito di un vasto panorama sufficientemente chiaro sullo stato attuale delle preesistenze architettoniche destinate alla reclusione per poter riflettere sulle possibili iniziative da intraprendere in ordine alle diverse esigenze funzionali. Scopo della ricognizione mirata sarebbe quello di dare vita ad “aree didattiche” di informazione tecnica destinata alla formazione professionale dei detenuti, mediante un continuo confronto su obiettivi, modalità e strumenti da utilizzare per una revisione delle procedure lavorative nel settore penitenziario. Per aiutare una riflessione sul processo di rilevazione e valutazione sistematica del patrimonio edilizio, sarebbe opportuno elaborare un quadro ragionato degli esiti delle attività di catalogazione, organizzato per tabelle ordinate per tipologia di beni, stato di conservazione, potenzialità di riutilizzazione secondo piani alternativi per aree territoriali e per annualità. In tal modo, verrebbe a configurarsi una necessaria conoscenza delle azioni da intraprendere per il futuro circa le possibili scelte di conservazione, ristrutturazione, riuso, riconversione funzionale, dismissione, cessione, in base alle esigenze di diversa natura provenienti dal contesto territoriale e dalle esigenze specifiche del piano carceri. La complessità della costruzione di nuovi moderni istituti, unita allo stato attuale del patrimonio penitenziario esistente ed alle scelte che riguardano in generale il “Piano carceri”, evidenziano la necessità che il Dap, a parere di chi scrive, organizzi territorialmente Centri di coordinamento interdisciplinare in grado di sovrintendere, pianificare, modulare ed indirizzare, secondo il contributo sistemico delle diverse competenze specifiche, tutti gli interventi all’interno di un quadro unitario di riferimento. Confidiamo che queste, come altre idee emerse dal dibattito di Saluzzo, possano essere di sprone per rimuovere l’inerzia burocratica nella quale affonda rapidamente il Paese. Con tutte le pericolose conseguenze prevedibili. Giustizia: Boldrini (Camera): prevedere reato tortura, seguirò iter con massima attenzione Il Messaggero, 12 giugno 2013 Non c’è solo Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, quando il presidente della Camera Laura Boldrini si impegna a vigilare sull’approvazione della legge contro il reato di tortura. Ci sono anche Lucia Uva, sorella di Giuseppe, Grazia Serra Mastrogiovanni, nipote di Francesco, Domenica Ferulli, figlia di Michele, Claudia Budroni, sorella di Dino, poi i parenti di Rudra Bianzino, quelli di Federico Aldrovandi e Luciano Isidro Diaz, unico superstite alle misure cautelari nelle delegazione ricevuta ieri alla Camera. Poi i parenti delle vittime, accompagnati dal senatore Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti Umani e dell’associazione “A buon diritto”, hanno incontrato il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri. “Sono con voi. Qualsiasi persona sarebbe profondamente scossa dopo aver attraversato esperienze come le vostre - ha detto Boldrini. Lo Stato deve essere orgoglioso di avere cittadini come voi”. Il presidente ha auspicato l’istituzione del reato di tortura: “Seguirò l’iter con massima attenzione. Sono molto toccata dai vostri racconti e molto ammirata dal vostro coraggio e dalla vostra fiducia nello Stato. È incomprensibile che l’ordinamento italiano ancora non preveda il reato di tortura. Vi garantisco che quando il provvedimento arriverà alla Camera, ne seguirò l’iter con attenzione”. Anche il ministro Cancellieri ha ascoltato quelle storie finite nelle aule dei tribunali. Morti violente e misteriose. “Ascoltare significa metabolizzare quel che viene detto: sono qui per ascoltarvi adesso e in futuro. Mio dovere - ha detto il ministro - è avere fiducia nella giustizia e negli apparati dello Stato, ma se dovessero emergere errori da parte degli uomini dello Stato, vanno perseguiti con maggiore rigore proprio perché si tratta di uomini dello Stato”. Il ministro ha esteso a tutti la solidarietà espressa nei giorni scorsi ai familiari Cucchi. Lettere: caso Cucchi; i medici condannati scrivono “Non è chiaro chi picchiò Stefano…” Il Tempo, 12 giugno 2013 Fa ancora discutere la morte di Stefano Cucchi. Stavolta a prendere la parola sono i medici dell’ospedale Sandro Pertini, gli unici contro i quali si è abbattuta la sentenza della terza Corte d’assise: due anni di reclusione al primario della struttura protetta, Aldo Fierro; un anno e quattro mesi ai medici della stessa struttura, Stefania Corbi, Silvia Di Carlo, Flaminia Bruno e Luigi Preite De Marchis. Condanna a 8 mesi di reclusione per il medico Rosita Caponetti. Assolti gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli, Domenico Pepe e gli agenti della polizia penitenziaria Nicola Menichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici. Ieri all’ospedale si è tenuta un’assemblea dei camici bianchi, durante la quale uno dei sanitari coinvolti ha letto una lettera. “Il processo - legge Stefania Corbi - non è riuscito a rispondere a questa domanda, ovvero se le percosse ci siano state e soprattutto da parte di chi (...) L’aver accomunato nel medesimo processo, sia coloro che erano accusati di un pestaggio ai danni di una persona privata della libertà personale, sia i medici accusati di averli coperti e avere abbandonato quella persona, ha fatto sì che quei medici, nell’immaginario collettivo, siano diventati essi stessi degli aguzzini, sui quali sono state translate tutte le accuse fatte ai primi (...)”. Dal sindacato Cgil si è levata una voce di solidarietà. “Si può morire di morte naturale, senza che alcun medico abbia colpa perché, ricordatevi, anche la medicina ha i suoi limiti”, dichiara Andrea Ciolli, responsabile funzione pubblica medici. È presumibile che la causa del decesso del povero Cucchi sia stata cardiaca, infatti nell’autopsia i problemi cardiaci non vengono rilevati”. Ieri il caso Cucchi, e anche di altre vittime di maltrattamenti, è arrivato sino alla Camera dei deputati. I parenti di Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino, Dino Budroni, Stefano Cucchi, Michele Ferrulli, Franco Mastrogiovanni, Giuseppe Uva hanno inconttato al preside bnte Laura Boldrini. “Sono molto toccata dai vostri racconti, e molto ammirata dal vostro coraggio. È incomprensibile il fatto che l’ordinamento italiano ancora non preveda il reato di tortura. Vi garantisco che, una volta che il provvedimento incardinato al Senato sarà arrivato qui alla Camera, ne seguirò l’iter con la massima attenzione. Sono con voi. Qualsiasi persona - aggiunge Boldrini - sarebbe profondamente scossa, dopo aver attraversato esperienze come le vostre lo Stato deve essere orgoglioso di avere cittadini come voi”. Le parole di un altro rappresentante istituzionale, il ministro di Giustizia Annamaria Cancellieri, hanno sollevato le reazioni del Sappe, sindacato della polizia penitenziaria. Il 6 giugno, da Lussemburgo la responsabile di via Arenula aveva detto: “Sono una donna delle istituzioni e non giudico l’operato della magistratura ma alla sorella di Stefano Cucchi esprimo una grandissima solidarietà: sono consapevole che quello è un dolore che nessuno ha lenito”. Ieri ha risposto il segretario generale Donato Capece: “Il ministro tuteli e difenda l’onorabilità del corpo di polizia penitenziaria, dei tre poliziotti assolti nella vicenda della morte di Stefano Cucchi e dei magistrati che hanno emesso la sentenza. Non è possibile assistere, leggere e ascoltare - scrive Capece - dichiarazioni francamente inaccettabili. Le sentenze si rispettano sempre, anche quando non soddisfano”. Lettere: al presidente Regione Sicilia Rosario Crocetta, sulla nomina del Garante detenuti di Silvano Bartolomei (Avvocato) Ristretti Orizzonti, 12 giugno 2013 A fine luglio p.v. scadrà il mandato settennale del Garante Regionale per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti. Quale componente dell’Associazione “Il Carcere Possibile” Onlus auspico che si proceda nella scelta del nuovo Garante in maniera trasparente e pubblica per evitare di nominare soggetti di non comprovata competenza o di chiara appartenenza politica. Insomma , si individui, così come vuole la legge, una personalità davvero indipendente, che sia esperta in materie di diritti umani e di riconosciuta competenza giuridica nel campo del diritto penale e di quello penitenziario. Conseguentemente, si renda l’incarico assolutamente gratuito e senza alcun supporto organizzativo e burocratico (le sedi, il personale regionale, una dotazione finanziaria, consulenze, ecc..) per evitare l’esborso di risorse finanziarie proprio in un momento di grave difficoltà economica che l’Ente Regione attraversa. Il Garante dei Diritti del detenuto deve essere coadiuvato, a richiesta, da tutti gli uffici della regione senza bisogno di strutture burocratiche proprie. La natura di organo di garanzia, vigilanza, di persuasione, di sensibilizzazione - tale dovrebbe essere il Garante - lo esenta dal disporre di specifiche autonome risorse finanziarie, umane e materiali, a carico della regione, proprio per non condizionarne l’autonomia e la libera iniziativa. C’è in atto una “emergenza carceri” che investe tutto il Paese, e la Sicilia in maniera particolare (dato l’alto numero di ristretti, quasi il doppio rispetto a quelli che gli istituti di pena possono ospitare) ragion per cui la Regione dovrebbe fare la sua parte. Nominando subito un nuovo Garante che conosca la problematica, ma soprattutto, che sia all’altezza della situazione, capace di agire, a tutela della popolazione carceraria, nei confronti del Governo e dell’Amministrazione penitenziaria, per determinare una condizione nuova all’interno degli Istituti di pena siciliani in applicazione delle leggi, dei regolamenti, e della Giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Si confida in un pronto intervento della S.V. On.le per effettuare la nomina di competenza onde evitare dannose “prorogatio” o inspiegabili ritardi. Toscana: Ricerca ARS; metà dei detenuti è straniera e giovane, ha una media di 38,5 anni Ristretti Orizzonti, 12 giugno 2013 Il 96,5% di loro è di sesso maschile e il 70& di loro sono affetti da disturbi psichici, malattie infettive e disturbi dell’apparato digerente. Ecco alcuni dati da una indagine ARS. La popolazione detenuta nelle carceri toscane è giovane (età media: 38,5 anni), con basso livello di istruzione, composta per la metà da stranieri (i nord africani sono il gruppo etnico più rappresentato) e per la quasi totalità (96,5%) maschile. Nonostante l’età media sia così bassa, oltre il 70% dei detenuti sono comunque affetti da almeno una patologia: soprattutto disturbi psichici, malattie infettive e disturbi dell’apparato digerente. Questi i dati generali emersi dall’indagine che l’Ars (Agenzia Regionale di Sanità) Toscana ha condotto nel 2012, in collaborazione con il Servizio sanitario regionale, per verificare lo stato di salute della popolazione detenuta nelle carceri toscane. I risultati dell’indagine verranno presentati il 17 giugno a Firenze nel corso del convegno “Lo stato di salute dei detenuti italiani e il loro rischio suicidario”, che si terrà nell’auditorium di Sant’Apollonia, dalle 9 alle 13.30. I risultati dell’indagine sono stati presentati stamani, nel corso di una conferenza a cui hanno preso parte Francesco Cipriani, direttore Ars Toscana, Fabio Voller, dirigente Ars Toscana e curatore dell’indagine, e Barbara Trambusti, dirigente assessorato diritto alla salute. Monitoraggio della salute in carcere: l’indagine ARS e la cartella clinica informatizzata della Regione Toscana. L’indagine dell’Ars ha raccolto - con la forte collaborazione dei professionisti che operano all’interno degli istituti penitenziari - le informazioni socio-demografiche e cliniche di 3.329 detenuti (cioè quasi l’80% dei presenti in Toscana alla data del 21 maggio 2012) ed è alla sua seconda edizione: dal 2009 (anno della prima rilevazione) ad oggi si è arrivati ad un buon livello di informatizzazione dei dati sanitari penitenziari, ed è in fase di implementazione il progetto regionale di cartella clinica penitenziaria informatizzata. Si tratta di una cartella sanitaria informatizzata che è stata installata presso tutti gli istituti penitenziari toscani, attraverso la quale - una volta a regime - sarà possibile monitorare in modo sistematico lo stato di salute dei pazienti detenuti e gestire i loro trattamenti sanitari (visite, cure e somministrazione di farmaci), garantendo privacy e sicurezza. La Regione Toscana, a seguito della Riforma emanata nel 2008, pone particolare attenzione alla salute dei cittadini detenuti ed ha avviato un processo di collaborazione e di dialogo con le istituzioni dell’intero apparato penitenziario. Il processo è lungo e richiede la modifica di norme giuridiche e la messa in sicurezza degli ambienti, ma l’adozione di protocolli di cura idonei favorirà un miglioramento dell’intero processo assistenziale riducendo il verificarsi di eventi a volte anche drammatici. Questi i dati sulla salute nelle carceri toscane rilevati dall’indagine Ars Analizzando più in dettaglio i dati emersi dall’indagine condotta nel 2012, emerge che - in linea con quanto affermato dall’Organizzazione mondiale della sanità - i detenuti sono affetti soprattutto da disturbi di natura psichica: le malattie psichiche rappresentano il 41% di tutte le patologie riscontrate, prime per frequenza in tutti e 3 i principali gruppi etnici che compongono la popolazione detenuta (italiani, nord africani, est europei). “Fra i disturbi psichici - precisa Fabio Voller, dirigente Ars Toscana - prevalgono i disturbi da dipendenza da sostanze (diagnosticati nel 52,5% dei detenuti affetti da disturbi psichici) e i disturbi nevrotici e di adattamento (28,4% dei detenuti). Rispetto all’indagine Ars del 2009, le diagnosi di disturbi psichici sono aumentate, a fronte invece di una riduzione complessiva delle patologie: tale aumento è dovuto esclusivamente alla diagnosi di tossicodipendenza che, a distanza di 3 anni, è aumentata di quasi 15 punti percentuali. Un aumento così marcato del disturbo da dipendenza, difficilmente spiegabile attraverso uno studio epidemiologico come il nostro, è comunque in linea con i dati di altre recenti indagini anche internazionali”. Ai disturbi di salute mentale seguono per frequenza i disturbi dell’apparato digerente (14,4% - in particolare del cavo orale) e le malattie infettive e parassitarie (11,1%). Fra le malattie infettive uno dei problemi maggiori è l’epatite C (probabilmente legata alla tossicodipendenza), che incredibilmente riguarda in misura maggiore i detenuti italiani (ma questo potrebbe dipendere solo dalla maggiore reticenza degli stranieri a sottoporsi agli screening infettivologici). Per quanto riguarda l’HIV, solo l’1,2% dei detenuti toscani risulta HIV positivo, dato nettamente inferiore a quello internazionale medio (10%), ma anche a quanto riportato da un recente studio multicentrico svolto in 9 strutture italiane attraverso la valutazione sierologica. La spiegazione: un numero elevato di detenuti in Toscana non è a conoscenza della patologia e probabilmente, non dando il proprio consenso allo screening, aggrava la propria condizione clinica e diventa un’importante fonte di contagio. Altre due patologie che interessano la popolazione detenuta sono la tubercolosi (TBC) e la sifilide. I tentativi di suicidio ed i gesti di autolesionismo rappresentano un’emergenza nel sistema carcerario italiano, così come in quello di molti altri paesi, ma la situazione nelle carceri toscane è migliore rispetto a quella italiana: nel corso dell’ultimo anno nelle carceri toscane il 6,1% dei detenuti visitati ha messo in atto un gesto di autolesionismo (in Italia è il 10,6% sul totale dei detenuti), mentre l’1,3% (44 soggetti) ha tentato il suicidio (in Italia la frequenza di tentati suicidi è dell’1,9% sul totale dei detenuti). Il 95% dei detenuti toscani che ha tentato il suicidio ha una diagnosi di malattia di tipo psichiatrico, prevalentemente legata al disturbo da dipendenza da alcol o sostanze (70%). Nonostante le strutture penitenziarie toscane organizzino in media 5 ore di attività fisica (a cui partecipano però poco più del 40% dei detenuti), la permanenza giornaliera in cella rimane davvero molto elevata: i detenuti trascorrono infatti mediamente in cella oltre 17 ore al giorno. Il 33,9% svolge un’attività lavorativa o manuale durante la detenzione. Da una prima analisi sembra che i detenuti che svolgono un qualche tipo di attività, pur in stato di coercizione, hanno una salute migliore rispetto agli altri. Fra i minori detenuti nelle carceri toscane, 78 sono i ragazzi che durante il periodo indice hanno avuto accesso alle strutture, di cui 51 sono maschi. Solo il 29,5% di loro è italiano, la fascia di età più rappresentata è quella 16-17 anni ed oltre il 30% dei ragazzi detenuti presentano una patologia: si tratta soprattutto di problemi di dipendenza da sostanze (in misura maggiore rispetto ai loro coetanei liberi). Salute in carcere: gli altri temi del convegno del 17 giugno Il convegno si pone anche come momento di discussione e confronto: oltre ai dati toscani sulla salute dei detenuti verranno infatti presentate le esperienze di altre regioni - come l’Emilia Romagna - per promuovere interventi mirati alle reali necessità di questi cittadini. Ma il convegno intende dare una lettura più ampia del fenomeno e definire un concetto di salute che non sia solo assenza di malattia ma stato di benessere, o nella fattispecie miglioramento della condizione di vita della persona. Si affronterà quindi il tema del suicidio in carcere, con i dati nazionali aggiornati ed un approfondimento sulla prevenzione dei suicidi. Infine, verrà presentato l’avvio del progetto ministeriale “Lo stato di salute dei detenuti degli istituti penitenziari di 6 regioni italiane: un modello sperimentale di monitoraggio dello stato di salute e di prevenzione dei tentativi suicidari”, coordinato dalla Regione Toscana e dall’ARS in collaborazione con le altre regioni coinvolte. Le attività della Regione per la tutela della salute dei detenuti Il lavoro di indagine svolto dall’Ars sulla salute dei detenuti rientra nell’ambito delle attività messe in atto e sostenute dalla Regione Toscana che da tempo e coerentemente lavora per garantire in ambito penitenziario il diritto ad un’assistenza sanitaria pari a quella dei cittadini liberi. Un lavoro di monitoraggio e di indagine sullo stato di salute dei detenuti in toscana è importante e necessario per mettere a punto nuove strategie, più efficaci e mirate da parte dell’ Assessorato alla Salute. Nel lungo percorso seguito coerentemente dall’Assessorato si è arrivati ad oggi alla definizione di linee di intervento per la tutela del diritto alla salute di detenuti e internati negli istituti compresi nel territorio toscano. La continuità e costanza di questo percorso ha condotto ad un confronto costruttivo, inevitabile per realizzare efficacemente le linee guida approvate, con il Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria, il Centro di Giustizia minorile e le Asl, prime protagoniste nella gestione del processo di miglioramento. L’adozione di protocolli di cura idonei favorirà un miglioramento dell’intero processo assistenziale riducendo il verificarsi di eventi a volte anche drammatici. Rispetto alle problematiche emerse dall’indagine di Ars - salute mentale malattie, tentato suicidio, minori - l’Assessorato alla Salute, a partire dal 2008 (passaggio delle funzioni sanitarie alle Aziende sanitarie locali) ha definito linee di indirizzo e protocolli interistituzionali progressivamente attuati. Nell’ambito della ‘tutela della salute mentalè, esistono oggi precise linee di indirizzo per la prevenzione del rischio suicidario; a queste sono seguiti protocolli specifici dei singoli istituti ‘a firma congiuntà fra azienda di riferimento e Direzione dell’istituto. In più, il finanziamento di progetti per la garanzia dell’assistenza psicologica ha raddoppiato di fatto le ore di assistenza garantite: un maggiore numero di ore consente anche una più adeguata accoglienza dei nuovi giunti e la prevenzione del rischio suicidario. A proposito delle malattie più frequenti rilevate dall’indagine Ars, l’impegno regionale è testimoniato dai valori relativi alle singole discipline specialistiche (come rilevato dal monitoraggio 2012 in attuazione del Dpcm 1.4.2008) che evidenziano un’elevata copertura interna agli istituti penitenziari nelle discipline di cui esiste maggiore necessità: l’assistenza psichiatrica è garantita in tutti gli istituti penitenziari; la presenza degli infettivologi è strutturata (è presente per quasi il 50% degli istituti) e garantisce più controlli e più cure su misura. Sul tema dei minori è stato messo in atto un percorso congiunto tra Assessorato e Centro di Giustizia minorile allo scopo di individuare percorsi appropriati per la presa in carico dei minori autori di reato per i quali è necessario accertare tempestivamente i bisogni di salute. Campania: Provveditore; sovraffollamento è critico, apertura nuovi padiglioni entro anno Ansa, 12 giugno 2013 Negli istituti penitenziari campani ci sono a oggi circa 8.200 detenuti a fronte di una capienza di circa 6mila. Il dato è stato fornito dal provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria Tommaso Contestabile in occasione della presentazione di un progetto realizzato con la rivista “L’Espresso napoletano”. Sovraffollamento che - ha sottolineato Contestabile - costituisce “la principale criticità che ha nel carcere di Poggioreale la sua punta”. Una situazione che potrebbe migliorare entro la fine dell’anno con l’apertura di padiglioni che - ha detto il provveditore – “sono in fase di ultimazione e di consegna all’amministrazione penitenziaria”. I padiglioni sono stati edificati all’interno degli istituti di Santa Maria Capua Vetere, Carinola, Ariano Irpino e Avellino inaugurato lo scorso anno”. “Con questi padiglioni, la Campania godrà di ulteriori mille posti a cui - ha sottolineato Contestabile - si andranno ad aggiungere i posti che si libereranno con la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari che andranno definitivamente chiusi il primo aprile 2014”. Sovraffollamento che significa - ha evidenziato il provveditore - “decadimento di tutti i servizi essenziali a cominciare dalla sanità, dalle attività di osservazione e trattamento effettuata da psicologi ed educatori che devono predisporre iniziative per un’utenza che è il doppio di quella che si dovrebbe avere”. “Le voci da dentro”, scrivono i detenuti Offrire ai detenuti degli istituti penitenziari campani l’opportunità di esprimere i propri stati d’animo e trovare un momento di riflessione. Con questo scopo nasce la nuova rubrica della rivista “L’Espresso napoletano”, dal titolo “Le voci da dentro”. A cominciare dal numero di giugno, la rivista accoglierà al suo interno lo scritto di un detenuto campano che sarà selezionato fra tutti quelli inviati. Il progetto nasce dalla collaborazione tra la rivista edita da Rosario Bianco, il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria e l’associazione “Il carcere possibile” della Camera penale di Napoli. “La rubrica - ha spiegato Bianco - vuole dare ai detenuti la possibilità di esprimere i loro pensieri e gli stati d’animo che spesso restano chiusi tra le mura degli istituti e costituisce - ha aggiunto - un progetto rieducativo nello spirito costituzionale della rieducazione penitenziaria”. Il progetto - come riferito dal provveditore Tommaso Contestabile - “rientra tra i tanti programmi che l’amministrazione sta mettendo in campo per coinvolgere nel modo più ampio possibile la società esterna rispetto alla realtà penitenziaria”. La rubrica “Le voci da dentro” costituisce - ha spiegato il provveditore - una sorta di coda di un altro programma “La sorgente educativa” in cui i detenuti elaborano degli scritti che poi vengono valutati da studenti delle scuole superiori. “L’obiettivo finale - ha concluso il provveditore - è creare una sorta di rete tra l’amministrazione penitenziaria e la società civile, attraverso varie istituzioni e associazioni, affinché in un momento di congiuntura negativa per quanto riguarda le risorse, si possa attingere al volontariato che è all’esterno”. Roma: Sappe; in 10 giorni 3 detenuti e 1 infermiera sono morti nel carcere di Rebibbia Asca, 12 giugno 2013 In poco meno di 10 giorni 3 detenuti ed una infermiera sono morti, per cause naturali, nel carcere di Roma Rebibbia. A darne notizia è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. Donato Capece, segretario generale del Sappe, dichiara che “la notizia di queste morti ci intristisce ed amareggia tutti, specie coloro che il carcere lo vivono quotidianamente nella prima linea delle sezioni detentive, come le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. I tre detenuti (dai 30 ai 60 anni) sono morti in giorni diversi per infarto e questa sarebbe anche la causa del decesso in servizio di una infermiera”. Secondo il sindacato il numero delle morti in carcere sta diventando ogni giorno di più “allarmante” se si pensa che, nel solo 2012, ci sono stati in carcere 56 detenuti morti per suicidio (30 italiani e 26 stranieri) e 97 decessi per cause naturali (82 italiani e 17 stranieri). I suicidi sventati sono stati, invece, 1.308. Pianosa (Li): Legambiente boccia l’idea di riaprire il carcere “Costi alti, idea sbagliata” Ansa, 12 giugno 2013 Il decreto “svuota carceri” del ministro Anna Maria Cancellieri incombe su Pianosa. L’ipotesi, ancora tutta da verificare, punterebbe alla riapertura della struttura chiusa nel 1998 che può ospitare fino a 500 detenuti. Ma riaprire Pianosa sarebbe un errore grave e comporterebbe dei contraccolpi seri sul turismo dell’isola. Questo è il punto di vista di Legambiente Toscana, diverso dalla presa di posizione diRossi che si è detto collaborativo sulla riapertura. “Riaprire e gestire un carcere a Pianosa sarebbe molto più costoso che ristrutturare una struttura continentale o utilizzare le carceri nuove e mai utilizzate nel nostro Paese - sostiene Umberto Mazzantini, responsabile di Legambiente Isole minori - inoltre ci sarebbero grossissimi problemi ambientali da affrontare a cominciare da come gestire reflui, attività antropiche e rifiuti in un’isola che è protetta a terra e mare dal Parco e dalle Direttive Habitat e Uccelli dell’Unione Europea”. Secondo l’associazione ambientalista “in tempi di tagli e risparmi ci sembra scandaloso buttare letteralmente soldi in mare per riaprire un carcere costosissimo che il parlamento ha chiuso quasi 20 anni fa per motivi economici e perché riconosceva che l’isolamento insulare non era certo una precondizione utile necessaria per il 41 bis - spiega Mazzantini - riportare i mafiosi nelle nostre isole non è certo una bella idea. Diversa, come abbiamo sempre detto, è utilizzare Pianosa per detenuti a bassa pericolosità sociale per attività di formazione lavorativa in campo agricolo in ambienti semi-aridi mediterranei, ma non si può certo pensare ad una cifra alta senza distruggere i delicati equilibri ambientali che l’istituzione del Parco sta faticosamente ristabilendo”. Livorno: Ciuffini (Fns-Cisl); riaprire il carcere a Pianosa è una scelta irragionevole Apcom, 12 giugno 2013 Da giorni escono dichiarazioni su dichiarazioni per la eventuale riapertura del carcere sull’Isola di Pianosa, dopo che nel 1997 ne venne decretata la chiusura. La prima ipotesi è stata quella proposta dal Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Toscana, che ipotizza la riapertura di un Reparto detentivo del vecchio carcere (una diramazione denominata “sembolello”) per ospitarvi circa 40 detenuti in regime di art. 21, una misura di legge che consente a chi detenuto di uscire per lavoro all’esterno, con controlli saltuari sul lavoro e che non modifica però la condizione giuridica di detenzione, dovendo lo stesso al termine di ogni giornata rientrare in reparto penitenziario con identiche prescrizioni di qualsiasi altro detenuto. Ma non solo. Durante la giornata il detenuto ammesso al regime art.21 deve comunque sottostare ad una serie di limitazioni coerenti con il proprio status giuridico di persona privata della libertà individuale. Inviare quindi 40 detenuti a lavorare su Pianosa, distante dalla terraferma e che non consente al termine della giornata di rientrare nel carcere dove scontano la pena, significa sostanzialmente aprire un reparto detentivo sull’isola. Se si apre un reparto si devono osservare tutte le previsioni dell’ordinamento penitenziario ed organizzare ogni attività di legge per la gestione di persone detenute (servizio colloqui con i familiari, ricezione e invio posta e pacchi, gestione del peculio dei detenuti, gestione della loro situazione giuridica con un ufficio matricola, una infermeria, una cucina per i pasti, etc. etc.), così come si deve organizzare gli spazi per il Personale di Polizia Penitenziaria, con alloggi, Uffici, Mezzi, Mensa ed organizzazione dei turni di lavoro capaci di assicurare l’efficienza delle attività penitenziarie ed i diritti individuali contrattuali, con turni di riposo, ferie etc. etc. È chiaro pertanto che la questione proposta dal Provveditore Regionale non può essere presentata semplicisticamente come è stato fatto. Se a questo aggiungiamo che in Toscana mancano in servizio circa 800 unità di Polizia Penitenziaria (sono previste oltre 3.000 unità mentre ne sono in servizio poco più di 2.200) e che per fronteggiare le necessità già esistenti si spendono oltre 5 milioni di euro l’anno per prestazioni di lavoro straordinario allo stesso Personale (senza contare le decine di migliaia di ore di lavoro straordinario non pagate per carenza di soldi e sostituite con giornate di riposo aggiuntivo ai Colleghi) e che mancano i soldi per la manutenzione dei mezzi e l’acquisto di carburante, è facile comprendere come l’idea proposta manca di sostanziali garanzie per l’attuazione. Per discutere di alcuni aspetti di cui sopra il Provveditore aveva convocato una riunione per il 19 giugno che però - dopo le proteste della Cisl Fns - è stata annullata. Nello specifico avevamo contestato che, come prevedono le normative vigenti, quando si ipotizzano aperture di Sedi Penitenziarie si debba discuterne al Tavolo di Confronto nazionale, perché è chiaro che per una nuova Sede (per piccola che possa essere) è necessario prevedere dotazioni di Personale, spese ed investimenti per strutture, arredi, mezzi e servizi. Dopo quanto detto sono poi apparse altre dichiarazioni stampa, rese anche dal Ministro della Giustizia, dove viene affermato che non si aprirà quel Reparto di cui parla il Provveditore, bensì il progetto è di riaprire un carcere per almeno 500 posti detenuti. Per la Cisl Fns è una follia. In tempi come quelli che viviamo dove si chiudono Ospedali, Scuole, dove si tagliano fondi al trasporto pubblico, ai fondi per l’autosufficienza delle persone bisognevoli di cure, invece di investire sulla manutenzione ed il ripristino d’uso dei carceri già esistenti, si propone di riaprire un carcere in un’isola come Pianosa, distante decine di miglia marine dalla costa e dove non esiste nessun servizio. In Toscana ci sono anche oggi oltre 4.000 detenuti rinchiusi nelle carceri che potrebbero ospitarne circa 3000, e ci sono carceri che in assenza di fondi economici vedono lo stesso Ministero della Giustizia non fare i necessari indispensabili lavori di manutenzione. È il caso di Gorgona dove vengono utilizzati meno della metà dei posti detenuti disponibili, del carcere di Pisa dove si stava costruendo un nuovo padiglione e si sono fermati i lavori, del carcere di Livorno dove i lavori di ampliamento e ristrutturazione proseguono da tempo, del carcere di Lucca dove sono stati chiusi alcuni Reparti, del carcere di Arezzo riaperto al 20% delle possibilità di posti, dell’Opg di Montelupo che vedrà andar via gli Internati e dove (spesi già 5 milioni di euro per ristrutturazione) potrebbero essere ospitati non meno di 200 detenuti, del carcere di Massa che si è ristrutturato ma per problemi tecnici non si definisce la situazione. E ci sono poi i carceri di Siena, Grosseto e Pistoia che andrebbero ristrutturati quasi completamente, perché da troppi anni sono andati in decadenza per incuria ed altro. E poi Sollicciano e Firenze e Prato, dove solo in questi 2 Istituti sono reclusi quasi la metà dei detenuti di tutta la regione. Scusandoci per l’esposizione che può apparire lunga, ma che per descrivere tutto richiederebbe ben altro tempo e spazio, auspichiamo che questa nostra lettera aperta, che inviamo a Tutte le Istituzioni, agli Organi d’Informazione ed alla stessa Amministrazione Penitenziaria, serva ad aprire una riflessione seria e di opportunità, con il contributo dei Cittadini e delle tante Associazioni che anche in questi giorni hanno potuto esprimersi nell’interesse collettivo di Tutti. Gorizia: via al restauro della Casa circondariale, cala il numero dei detenuti Messaggero Veneto, 12 giugno 2013 Dopo quasi un lustro d’attesa sono cominciati i lavori di ristrutturazione del carcere di via Barzellini, da tempo alle prese con gravi problematiche strutturali che a più riprese, nei mesi passati, ne hanno messo in dubbio lo stesso mantenimento. L’approdo dei mezzi e degli operai dell’impresa veneziana Sacaim, che si è aggiudicata l’appalto per i lavori, pare mettere al riparo da ipotesi di soppressione - almeno temporaneamente - la casa circondariale del capoluogo isontino. “Finalmente - sospira la direttrice della struttura penitenziaria, Irene Iannucci - sono partite le opere necessarie alla sistemazione delle sezioni detentive del carcere: tutte le stanze saranno recuperate e successivamente dotate di doccia autonoma”. Il piano degli interventi prevede inoltre il recupero dell’alloggio del comandante di reparto, destinato ad ospitare a lavori ultimati gli uffici amministrativi della casa circondariale. Contenuti i disagi per il personale e per i detenuti ospitati in via Barzellini: “Nelle ultime settimane abbiamo ridotto, anche attraverso alcuni trasferimenti, la dimensione della popolazione carceraria: oggi accogliamo circa una ventina di ospiti”, spiega la direttrice della struttura. L’intervento, che si concluderà nell’aprile del prossimo anno, prevede un investimento complessivo di poco superiore al milione di euro. Lo scorso anno, prima che il provveditorato delle carceri del Triveneto accordasse il finanziamento necessario all’avvio del maxi-intervento, il Comune di Gorizia aveva provveduto a una serie di interventi di minima, serviti a sanificare una parte delle stanze che ospitano le due sezioni detentive oggi agibili. “Siamo davvero soddisfatti per l’avvio dei lavori, che erano attesi da ormai troppi anni - commenta Marzio Marcioni, delegato regionale della Fns-Cisl per la situazione penitenziaria. Il nostro sindacato ha sempre visto favorevolmente l’ipotesi della ristrutturazione dell’edificio asburgico che ospita il carcere e crediamo che l’avvio dell’intervento possa mettere la parola fine alle voci di un prossimo smantellamento della struttura. Crediamo che la riqualificazione dell’istituto di pena possa avere ripercussioni positive non solo per il personale penitenziario, ma anche per i detenuti, che nei limiti del possibile devono poter vivere la carcerazione vicino ai propri cari”. Le infiltrazioni d’acqua, problematiche di ordine statico e situazioni di degrado derivate dalla mancanza di manutenzione nel corso degli anni hanno finito con il rendere al limite dell’agibile la casa circondariale di via Barzellini, arrivata nei mesi passati a superare abbondantemente la capienza massima, fissata a trenta unità. Chieti: corsi di formazione e borse lavoro per reinserire i detenuti Il Centro, 12 giugno 2013 Corsi di formazione e borse lavoro per detenuti ed ex carcerati del penitenziario di Madonna del Freddo a Chieti, grazie al progetto Pe.Tra (percorsi di transizione al lavoro) i cui risultati sono stati presentati oggi dalla direttrice del penitenziario, Giuseppina Ruggero, e dai responsabili dell’associazione “Voci di dentro”, Francesco Lo Piccolo, e dell’ente di formazione “Focus”, Letizia De Dominicis. Ai corsi di formazione in informatica e grafica hanno partecipato dieci detenuti che hanno ricevuto 5 euro all’ora per la partecipazione. Per chi ha superato il corso (in questo caso tutti e dieci) erano previsti anche 400 euro come premio, che, per i migliori tre, è lievitato a 2.000 euro. I soldi sono stati attinti dal Fondo sociale europeo, grazie a un progetto che ha messo a disposizione 28.437 euro. Le borse lavoro sono state assicurate, invece dal “Focus” è hanno visto coinvolti sette persone, tra detenuti e persone che hanno appena finito di scontare la pena. Per un anno riceveranno 600 euro al mese. La direttrice Ruggero ha rimarcato, comunque, che nonostante l’istituto di pena avesse messo a disposizione forza lavoro gratuita, il mondo delle imprese si è dimostrato piuttosto chiuso di fronte alla possibilità di prendere al lavoro detenuti o ex carcerati. Palermo: Centro per minori ristrutturato con colletta dei detenuti del carcere Pagliarelli Redattore Sociale, 12 giugno 2013 I detenuti del carcere Pagliarelli raccolgono soldi per la riparazione di un tetto del Centro Arcobaleno. Tra le altre novità del centro, il progetto di raccolta differenziata e la partecipazione di quattro squadre di ragazzi a Mediterraneo antirazzista Una parte del tetto del centro Arcobaleno, da poco rinominato “3P” in memoria di p. Pino Puglisi, centro socio-ricreativo dedicato a 140 tra bambini e ragazzi del quartiere Guadagna, verrà ristrutturato con una parte della somma raccolta dai detenuti della carcere Pagliarelli di Palermo. Un gruppo di detenuti, infatti, venendo a conoscenza dalla televisione dei problemi economici di manutenzione e gestione del centro ha deciso di sostenerlo con un offerta economica. In particolare, la somma servirà per intervenire nel rifacimento del tetto della stanza dedicata al guardaroba. Il centro inoltre sostiene in convenzione con il banco alimentare insieme alla parrocchia san Pio X circa 104 famiglie con disagio economico. “Noi detenuti della Casa circondariale Pagliarelli, abbiamo appreso dalla televisione che il centro Arcobaleno che si occupa di assistere i bambini con diverse difficoltà - si legge nella loro lettera - non riesce a sostenere alle sue spese. Il centro cerca di dare la possibilità ai bambini di occupare il loro tempo libero all’interno della struttura, dando loro la possibilità di studiare con il doposcuola. Il vero punto forte di questo centro è quello di evitare che i bambini ozino per le vie del quartiere. Il centro cerca aiuto per ristrutturare le aree dovute perché fino ad oggi non è stato mai sovvenzionato da nessuno. Sicuramente noi non raggiungeremo la somma che serve ma ci auguriamo che questo piccolo gesto permetta almeno l’inizio dei lavori”. Tra le novità, il centro nella sua opera di sensibilizzazione nei confronti delle famiglie, è riuscita pure, in convenzione con l’Amia ad attivare la raccolta differenziata di carta, plastica, vetro, lattine, tappi. Inoltre, per il secondo anno consecutivo anche i bambini e ragazzi del centro con la maglia del “Real Guadagna” parteciperanno con quattro squadre di calcetto alla kermesse sportiva Mediterraneo Antirazzista che parte domani e si conclude domenica prossima”. Napoli: un orto nel carcere di Secondigliano, lunedì firma del protocollo d’intesa www.julienews.it, 12 giugno 2013 Si terrà lunedì 17 giugno, alle ore 11.30, presso la sala conferenze del Centro penitenziario di Napoli Secondigliano, la firma del protocollo di intesa tra l’Assessorato all’Agricoltura della Regione Campania, la Direzione del Penitenziario e il Garante per i diritti dei detenuti per la realizzazione, all’interno della struttura, di un progetto di gestione del tenimento agricolo da parte di una cooperativa di detenuti. Parteciperanno Daniela Nugnes, assessore all’Agricoltura della Regione Campania; Carminantonio Esposito, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli; Claudio Flores, dirigente dell’ufficio detenuti del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria di Napoli; Liberato Guerriero, direttore del Centro penitenziario di Napoli Secondigliano e Adriana Tocco, Garante per i diritti dei detenuti della Regione Campania. Foggia: al via primo Corso di volontariato penitenziario, organizzato dal Csv e dall’Uepe Redattore Sociale, 12 giugno 2013 Parte il primo Corso di formazione sul volontariato penitenziario realizzato nel territorio di Capitanata. Lo organizzanoil Csv Cesevoca e il Csv Daunia, in collaborazione con l’Uepe Foggia (Ufficio di esecuzione penale esterna). Martedì 25 giugno 2013, dalle ore 17.00 alle 19.00, presso la sede del Cesevoca. (Foggia - Via Marinaccio 4/D) si terrà un primo incontro informativo, con l’intervento del Direttore Uepe, Angela Intini e di Enza Rainone, funzionario del Servizio sociale di Uepe. Nel corso del breve seminario, a cui sono invitate le associazioni di volontariato di Capitanata, saranno illustrati i contenuti del corso, in programma tra settembre e ottobre 2013, presso l’Asp “Marchese F. De Piccolellis” di Foggia (Viale degli Aviatori, 25). Al termine del corso, della durata di 18 ore (5 incontri di 3 ore ciascuno), sarà rilasciato un attestato di partecipazione a coloro che avranno frequentato l’80% delle lezioni, i quali potranno iniziare la pratica da “Assistenti volontari” (art. 78 O.P.). Gli “Assistenti volontari” - con apposita autorizzazione - potranno cooperare nelle attività culturali e ricreative degli istituti di sorveglianza, sotto la guida del direttore e con l’Uepe per l’affidamento in prova, per il regime di semilibertà e per l’assistenza agli ex detenuti e alle loro famiglie. Nel corso dell’incontro del 25 giugno sarà possibile iscriversi al corso (max 20 partecipanti) e avviare l’iter di costituzione di un “Tavolo Tematico”, che vedrà la collaborazione sinergica tra Uepe e le associazioni di volontariato coinvolte nel percorso degli “Assistenti Volontari”. Per partecipare all’incontro informativo del 25 giugno è necessario prenotarsi via e-mail, telefono o fax, contattando gli uffici del Cesevoca e/o del CSV Daunia entro venerdì 21 giugno 2013. Spoleto (Pg): al Festival del cinema “senza frontiere” film sulla vita dei detenuti di Maiano www.tuttoggi.info, 12 giugno 2013 Realizzato dall’iraniano Shahram Karimi, egli stesso con un passato da detenuto ai tempi di Komeini. La rassegna parlerà anche di violenza sulle donne Grande attesa per la sesta edizione di Senza Frontiere/Without Borders, il film festival umanitario internazionale dedicato a film capaci di mettere in evidenza quanto abbiano in comune gli esseri umani e di raccontare storie di vita eccezionali. Il festival, in questa sua edizione 2013, vuole accendere i riflettori su un tema scottante: la situazione dei detenuti nelle carceri. La rassegna, infatti, aprirà con la proiezione di un’opera speciale, prodotta dal festival stesso: film realizzato nel carcere di massima sicurezza di Maiano a Spoleto dall’artista iraniano Shahram Karimi, in collaborazione con 15 detenuti. Il titolo evocativo dell’opera, “Apri la Porta - Open the Door”, ci introduce in uno spaccato della vita in carcere vista attraverso gli occhi dei detenuti che raccontano le ansie, le sensazioni, i sogni che scandiscono la vita di chi è recluso. L’artista, che a suo tempo è stato anch’esso detenuto nell’Iran di Khomeini, è entrato nel carcere di Spoleto con il suo assistente Maziar Mokhtari e con i detenuti ha realizzato un’opera ricca di poesia e di suggestione. Il senso dell’opera è la descrizione di come la mancanza fisica di libertà dovuta allo stato di detenzione, sviluppi il viaggio creativo della mente , in un mondo fatto di sogni, poesia e immaginazione, vera ancora di salvezza per chi non può annoverare la libertà tra le possibili prospettive del proprio futuro. Il risultato è un racconto poetico e visionario, una pagina inedita che mostra il lato più sensibile di uomini solo apparentemente inariditi dal crimine e dal carcere e che scardina i luoghi comuni nei confronti dei detenuti. Ernesto Padovani Direttore della casa di reclusione di Spoleto, ha accolto con entusiasmo la proposta del festival Senza Frontiere che prevedeva la realizzazione del filmato, che è statto prodotto con il contributo del Ministero dei Beni Culturali, e con il sostegno della Fondazione Carla Fendi e di Postevita. Scopo del progetto, oltre a raccontare una realtà spesso sconosciuta o dimenticata, è insegnare ai detenuti la realizzazione di video sperimentali, che mettano insieme teoria e pratica per dare loro nuovi strumenti di lavoro da potere usare una volta usciti dal carcere. I detenuti, infatti, hanno collaborato attivamente con il regista non solo nella definizione dei contenuti, ma anche nella realizzazione tecnica in tutte le sue fasi. La mattina del 5 luglio, prima dell’apertura del festival il filmato sarà proiettato in anteprima per i detenuti all’interno dell’istituto di Maiano. La giornata proseguirà con la proiezione de “Il Riscatto”, diretto da Giovanna Taviani e che ha come protagonista Sasà Striano, una storia di redenzione da Napoli a San Miniato, in cui Omero, Dante, Shakespeare danno una svolta ad una vita persa. A conclusione del primo giorno la proiezione del documentario vincitore dell’Oscar 2013 “Searching for Sugar Man” di Malik Bandjellow, una storia di dignità e ispirazione, in cui due Sud Africani cercano di scoprire cosa sia successo a un loro misterioso eroe musicale, e nella loro avventura scopriranno molto di più di quello che avevano sperato. La seconda giornata del festival è dedicata al tema della guerra e della sopraffazione: si aprirà con la famosa pellicola del 1966 di Gillo Pontecorvo “La battaglia di Algeri” e proseguirà con il film palestinese Five Broken Cameras di Emad Burnat & Guy Davidi, per concludersi con l’israeliano “The Gatekeepers” di Dror Moreh, in cui i capi di Shin Bet, i servizi segreti Israeliani, testimoniano le esperienze della loro carriera. Le interviste comprendono segreti di stato e offrono una prospettiva affascinante sulla storia del paese dalla guerra dei Sei Giorni ad oggi. La terza giornata è dedicata alle donne e alla violenza, spesso silente e nascosta, che subiscono in tutto il mondo. In apertura la coproduzione italo iraniana “Iran: unveiled and veiled again” di Firouzeh Khosrovany, un cortometraggio che racconta la storia delle donne iraniane, attraverso materiale d’archivio di Cinecittà e immagini tratte dall’album di famiglia della regista. A seguire il film portato dall’Afghanistan agli Awards 2013, “The Patience Stone” di Atiq Rahimi, in cui una giovane donna, che assiste il marito ridotto allo stato vegetale da un proiettile al collo, decide di dirgli la verità riguardo ai suoi sentimenti per lui. Nella serata il film turco- austriaco “Kuma” di Umut Dag, una storia sorridente e ironica di una donna turca, madre di sei figli, che vive in Austria. Quando si ammala vuole che la sua famiglia venga accudita dopo la sua morte, il che la porta a escogitare un piano. A conclusione “Lore” di Cate Shortland, in cui il dramma della società tedesca del secondo dopo guerra è raccontato dal punto di vista dei bambini. Non mancheranno la tradizionale Plural + selection, nata per stimolare giovani di tutto il mondo ad affrontare con progetti video temi come l’integrazione, l’identità, la diversità, I diritti umani. La selezione di quest’anno propone opere dall’Italia, dall’Australia, dal Belgio. Da segnalare il concerto dedicato a “Open the Door” con Giulia Salsone alla chitarra e Marco Loddo al contrabbasso in programma per il 5 luglio alle 19,30. Augusta (Sr): studenti e detenuti mettono in scena una commedia di Peppino De Filippo www.marketpress.info, 12 giugno 2013 Detenuti sul palco e attori in platea. Si chiude con un pubblico d’eccezione il progetto di educazione alla legalità portato avanti dal carcere di Augusta. I portoni della casa di reclusione di Brucoli aperti per due giorni per ospitare i cast dell’Edipo Re e dell’Antigone in scena al Teatro Greco di Siracusa per il 49° ciclo di rappresentazioni classiche, il più importante evento al mondo dedicato al teatro antico. Da Daniele Pecci a Ugo Pagliai, da Laura Marinoni a Isa Danieli e tutti gli interpreti delle due tragedie hanno assistito alla rappresentazione della commedia di Peppino De Filippo, “Quel bandito sono io”, messa in scena da una compagnia teatrale inedita: 10 detenuti di alta sicurezza, due dei quali condannati all’ergastolo, e alcuni studenti della scuola Arangio Ruiz di Augusta, che hanno recitato insieme all’interno dell’istituto di sicurezza. La rappresentazione fa parte di un progetto di educazione alla legalità, ormai giunto al terzo anno, volto a creare una fruttuosa interazione tra carcere e società civile per trasformare la casa di reclusione di Augusta in un laboratorio di idee e cultura. Da ottobre a maggio, ogni settimana, gli studenti dell’Arangio Ruiz sono entrati nel carcere e hanno portato avanti una collaborazione con i detenuti. Il risultato è stato un prodotto artistico di qualità, una commedia di Peppino De Filippo rappresentata da un gruppo teatrale messo in piedi per l’occasione. Tra gli spettatori, non solo il pubblico che da sempre segue il progetto, ma anche alcuni dei più affermati artisti del panorama teatrale italiano. In occasione della prima e dell’ultima replica dello spettacolo, in questi giorni, il carcere ha accolto, infatti, i protagonisti del 49esimo ciclo di rappresentazioni classiche, in programma fino al 23 giugno al Teatro Greco di Siracusa a cura dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico (Fondazione Inda Onlus). Presenti alla prima di “Quel bandito sono io” tutto il cast dell’Antigone di Sofocle, mentre in occasione dell’ultima replica è stato il turno degli attori dell’altra rappresentazione di punta della rassegna siracusana, l’Edipo Re. Daniele Pecci, Ugo Pagliai, il regista Daniele Salvo, insieme con tutto il cast hanno applaudito gli attori sul palco e gli studenti che hanno messo in piedi l’iniziativa, e infine dispensato alcuni consigli sulla recitazione. La partecipazione dell’Inda vuole sottolineare, ancora una volta, l´importanza e l’utilità sociale della cultura teatrale, capace al tempo stesso di divertire, far riflettere, crescere e unire. Questa iniziativa, come la scelta degli spettacoli L’Antigone, L’Edipo Re e Le Donne al Parlamento mostrano quanto il teatro sia capace di affrontare temi universali e da sempre attuali come ad esempio le donne o la politica, confermando la missione dell’Inda che vuole da sempre oltrepassare il palcoscenico e mantenere sempre vivi i valori del mondo classico fondanti della nostra società. Droghe: legge nata fuori dalla Costituzione… la Fini-Giovanardi all’esame della Consulta di Eleonora Martini Il Manifesto, 12 giugno 2013 È la genesi - e dunque il cuore - della legge Fini-Giovanardi ad essere messa in discussione, questa volta, dalla Cassazione che ieri ha rinviato la legge sulle droghe voluta dal governo Berlusconi nel 2006 alla Corte costituzionale. La terza sezione penale ha ritenuto “non manifestamente infondate” le questioni di legittimità sollevate riguardo la “totale estraneità, rispetto all’oggetto ed alle finalità del decreto-legge, delle norme aggiunte in sede di conversione con cui è stata introdotta una nuova disciplina “a regime” in materia di sostanze stupefacenti”. Come si ricorderà, il provvedimento che ha inciso “pervasivamente” sul sistema classificatorio delle sostanze stupefacenti, aumentando notevolmente le pene “per gli illeciti aventi ad oggetto le cosiddette droghe leggere equiparate a quelle pesanti “, è stato inserito in un decreto legge sulla “sicurezza e il finanziamento per le Olimpiadi invernali di Torino”. E già questa “estraneità” della materia, per i giudici di Piazza Cavour, è in odore di violazione dell’articolo 77 della Costituzione. Ma in più, se ciò non bastasse, al testo del decreto-legge sembrerebbero mancare gli stessi presupposti di “necessità e urgenza”, mai sanati peraltro nemmeno dalla legge di conversione che, anzi, con un maxiemendamento di fatto riscrisse l’intera disciplina sulle droghe. In sintesi, giudica la Cassazione, si è ricorsi ad un “escamotage per far apparire un’iniziativa legislativa del tutto nuova, di fatto inemendabile, eludendo le regole ordinarie del procedimento legislativo”. Con l’ordinanza 25555, dunque, la Corte suprema ha accolto in parte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dall’avvocata Michela Porcile, difensore di un uomo originario di Palermo condannato a 4 anni di reclusione e ad una multa di 20 mila euro per essersi rifornito di quasi 4 kg di hashish. Emerge per i giudici “che la questione rilevante nel presente giudizio e da sottoporre alla Corte costituzionale deve essere circoscritta all’articolo 4 bis” introdotto “dalla legge di conversione n. 49 del 21 febbraio 2006 nella parte in cui, nel sostituire il precedente testo dell’articolo 73 del dpr 309/1990, ha abolito la distinzione tra cosiddette droghe leggere e droghe pesanti ed ha conseguentemente innalzato in misura notevole le pene edittali relativamente alle condotte aventi in oggetto le sostanze stupefacenti cosiddette leggere”. Aver riunito, cioè, in un’unica tabella tutte le sostanze psicotrope a cui fa riferimento l’articolo 73, il core della Fini-Giovanardi, è il motivo per il quale le sanzioni penali risultano prive della “proporzionalità rispetto al reato” sancita dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue e dalla Carta di Nizza. Eppure non è questo il punto focale dell’ordinanza firmata dal presidente della Terza sezione penale Claudia Squassoni e dal consigliere Franco Amedeo. Appare evidente ai giudici la “distonia tra la finalità, la ratio, ossia la ragione di necessità e urgenza che giustificava il decreto legge” e l’introduzione nel testo di conversione (legge approvata con un voto di fiducia, pochi giorni prima dello scioglimento delle camere) di un maxiemendamento contenente provvedimenti fermi da un anno in Senato. Non è dunque infondato ritenere che “l’introduzione delle nuove norme abbia travalicato i limiti della potestà emendativa del Parlamento”. Se si accettassero queste modalità “si consentirebbe ad ogni governo e alla sua maggioranza - scrive la Cassazione - di approfittare di qualunque, anche marginale ed effimera “emergenza” per riformare interi settori dell’ordinamento, utilizzando l’eccezionale potere di legiferare medianti provvedimenti d’urgenza e la speciale procedura privilegiata della loro conversione”. Per Piazza Cavour, “il vulnus al sistema di ripartizione delle competenze normative costituzionalmente configurato potrebbe derivare anche dal cosiddetto abuso della prassi, da tempo invalsa, con cui il governo presenta, nella prima lettura parlamentare dell’articolo unico del disegno di legge di conversione, un maxiemendamento innovativo rispetto al contenuto originario del decreto legge, al fine di sostituirne parzialmente o interamente il testo e sul quale sarà poi posta la questione di fiducia”. “Ha ragione la Cassazione - commenta Valerio Spigarelli, presidente dell’Unione camere penali - adesso se n’è persa la memoria ma fino a qualche anno fa i penalisti insorgevano ogni volta che si ricorreva alla decretazione d’urgenza considerandola uno strumento che andava applicato sul piano penale in casi rarissimi. Non è un caso se si è ricorso a questo strumento per la Fini-Giovanardi, una legge che ha prodotto pene ingiustificate e che contempla una serie di sanzioni amministrative ancora più parossistiche di quelle penali. Come mai - si interroga Spigarelli - nessuno pensa ora a fare un decreto legge sulle carceri dove effettivamente sussiste una reale condizione di necessità e urgenza?”. Droghe: Verini (Pd); bene il ricorso alla Consulta, la legge Fini-Giovanardi va superata Asca, 12 giugno 2013 “I dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla Cassazione in merito al cuore della legge Fini-Giovanardi, nella parte in cui equipara le droghe cosiddette leggere a quelli pesanti, sono stati espressi da sempre e da autorevoli esponenti del mondo scientifico, giuridico e politico. Dunque, è bene che la Consulta si esprima, anche perché la questione ha una diretta attinenza con l’emergenza carceri dove molte persone finiscono in seguito alla rigidità di questa contestata legge di cui il Partito democratico da tempo chiede il superamento”. Così Walter Verini, capogruppo Pd nella commissione Giustizia della Camera, dopo la decisione della Cassazione di rinviare alla Consulta parti della legge Fini-Giovanardi sulle droghe. Brasile: Massimiliano Tosoni, italiano in carcere; urlo la mia innocenza ma mondo è sordo Brescia Oggi, 12 giugno 2013 Una prigione dentro un’altra prigione. C’è quella fatta di sbarre, affollamento e condizioni igienico sanitarie precarie del carcere di massima sicurezza di Itaitinga, dove si dorme nella “pietra”, un giaciglio simile a un loculo che consente di vivere, anzi di sopravvivere in celle da sei metri per sei, occupate anche da nove detenuti. L’altra prigione, invisibile ma non meno angosciante, è quella costruita attorno alle maglie di un sistema giudiziario-investigativo che starebbe ignorando la sua verità. In questa spirale di celle reali e psicologiche si dibatte da 115 giorni Massimiliano Tosoni, ex assicuratore 29enne di Montichiari in carcere in Brasile dal 18 febbraio con l’accusa di aver orchestrato una rapina sfociata nell’omicidio di Andrea Macchelli, imprenditore modenese di 48 anni e del cambiavalute brasiliano Lincoln Dos Santos di 28 anni. Due minorenni, presunti complici del colpo degenerato in un bagno di sangue, accusano Tosoni di essere l’autore materiale del massacro del 31 gennaio. Lui, che si è consegnato volontariamente alla polizia dopo una breve fuga, sostiene invece di essere la vittima di un sequestro lampo e di essere stato costretto a fare da esca per le persone derubate e uccise. A quasi cinque mesi dal doppio assassinio avvenuto a Fortaleza, ieri è stato notificato il capo di imputazione al 29enne che continua a gridare la sua innocenza. E l’istruttoria ha amplificato il senso di impotenza di Tosoni. “Rischio una condanna a 40 anni nonostante in quel fascicolo giudiziario di 160 pagine non ci sia una sola prova oggettiva della mia colpevolezza - si è sfogato l’ex assicuratore con le persone che in questo periodo di detenzione hanno potuto incontrarlo. Il tutto in un’indagine condotta a senso unico contro di me. Nessuno ha cercato riscontri alla mia versione, tutti hanno ignorato quelli che potevano essere indizi a mia discolpa. Non c’è una perizia sui cadaveri, non si sono comparate le impronte digitali sul luogo del delitto, non si sa neppure con certezza quanti e quali coltelli siano stati usati per uccidere. Ma per gli inquirenti è tutto chiaro: io sono il colpevole, non solo e non tanto perché lo affermano due minorenni, peraltro potenziali autori degli omicidi, ma quanto perché i miei precedenti in Italia sono una prova schiacciante”. Già, i precedenti. Tosoni era fuggito da Montichiari nel 2009 dove stava scontando ai domiciliari una pena a 7 anni per una serie di rapine in banca compiute senza armi e senza minacce, tanto da essere ribattezzato all’epoca il “bandito gentiluomo”. “Per le autorità brasiliane invece sono un individuo pericoloso che ha vissuto in clandestinità. E tanto basta per accusarmi. A Fortaleza non mi sono mantenuto con attività illegali, ma col denaro inviato con tanti sacrifici dalla mia famiglia. Mi sono rifatto una vita con la mia compagna brasiliana che mi ha reso papà. Non ho mai toccato un’arma, come si può pensare che abbia ammazzato due persone? E poi, se davvero avessi rapinato quei 50 milioni di reais, sarei fuggito in Italia dove non esiste l’estradizione. Invece sono rimasto in Brasile perché voglio dimostrare la mia innocenza, anche se in queste condizioni comincio a perdere la speranza”. Max ha sfogliato mentalmente quel fascicolo di 160 pagine. “Tutto si basa sul racconto del custode del residence dove è avvenuto il duplice omicidio, che mi ha visto uscire con una borsa. In Italia con queste premesse non si sarebbe istituito neppure un processo. Qui rischio una condanna pesante”. Tosoni confida in un interessamento del Governo al suo caso, ma anche nell’intervento delle autorità consolari. “Non chiedo privilegi - ha spiegato -, ma che mi sia garantito di potermi difendere”. Perché quella prigione invisibile fatta di indifferenza può diventare più angosciante di una cella reale. India: De Mistura sul “caso marò”; presto si arriverà al processo equo che vuole l’Italia Ansa, 12 giugno 2013 L’inchiesta che svolge l’Agenzia nazionale delle investigazioni (Nia) indiana sull’incidente in cui sono implicati Massimiliano Latorre e Salvatore Girone avanza e presto si arriverà a quel processo veloce ed equo che è l’obiettivo principale dell’Italia per riportarli a casa. Conscio delle polemiche suscitate dall’incarico dato ad una polizia che in India si è occupata ad oggi solo di terrorismo e che è pratica soprattutto di leggi che prevedono la pena di morte, l’inviato speciale del governo italiano, Staffan de Mistura, è convinto però che la scelta debba prescindere dall’esperienza del passato. La Nia, ha detto all’Ansa a New Delhi dove si trova in missione, sta lavorando sodò e fra poco affronterà anche il nodo dell’interrogatorio dei testi italiani. Ho potuto verificare dagli incontri avuti, anche con il ministro degli Esteri Salman Khurshid - ha aggiunto - che le indagini stanno procedendo nello spirito di un processo veloce ed equo. Ci sono stati dei ritardi nell’inchiesta - ha indicato - causati da discussioni necessarie per definire le modalità dell’utilizzazione dei testimoni. Fra questi i quattro marò (Renato Voglino, Massimo Andronico, Antonio Fontana e Alessandro Conte) che erano sulla Enrica Lexie con Latorre e Girone e che le autorità indiane vorrebbero ascoltare a New Delhi. Un’ipotesi che però non piace al governo italiano. Non posso entrare nei particolari di questo perché stiamo ancora discutendo - spiega De Mistura - ma certo ci sembra che un loro interrogatorio possa essere fatto anche in Italia. Per quanto riguarda poi la prima inchiesta svolta dalla polizia del Kerala (annullata dalla Corte Suprema per mancanza di territorialità, ndr), ha spiegato l’inviato, non tutto verrà rivisitato dalla Nia, ma solo quelle parti in cui è apparso che gli inquirenti keralesi fossero prevenuti e cercassero di fabbricare conclusioni prestabilite. Per De Mistura, appena terminata questa nuova inchiesta dovrà iniziare il processo per direttissima guidato da un solo giudice nel quale siamo pronti ad utilizzare tutti gli argomenti a disposizione a favore dei nostri maro. Apparentemente si arriverà all’appuntamento in un quadro di relativa serenità. Né la stampa indiana né alcuna piazza - ha rilevato - ha avuto negli ultimi mesi, e sono già tre, iniziative non solo di ostilità, ma neppure di antipatia o di non favore nei confronti dei nostri maro. I due, bloccati dal febbraio 2012, dopo varie peripezie e dopo anche un periodo nel carcere di Trivandrum, ora vivono e lavorano come funzionari nell’ambasciata d’Italia e si preparano al processo in cui dovrà emergere la verità sull’incidente di quel 15 febbraio, quando morirono due pescatori indiani a bordo del St. Antony. Polonia: Amnesty sollecita governo a rivelare verità su Centro detenzione segreto della Cia Agenparl, 12 giugno 2013 “In un rapporto pubblicato oggi, Amnesty International ha chiesto che l’indagine sul coinvolgimento della Polonia nei programmi di rendition e detenzione segreta gestiti dagli Stati Uniti d’America, che dura ormai da cinque anni, sia completata immediatamente e i responsabili di violazioni dei diritti umani siano sottoposti a giudizio in processi equi. Il governo polacco è accusato di collusione con la Central Intelligence Agency (Cia) americana nella creazione di una prigione segreta a Stare Kiejkuty, una località a 180 km a nord di Varsavia, dove, tra il 2002 e il 2005, persone sospettate di legami con il terrorismo furono vittime di sparizione forzata e tortura”. Lo comunica in una nota Amnesty International. “L’indagine sul ‘sito nerò della Cia si sta trascinando dal 2008 ed è stata largamente condotta in segreto. I pubblici ministeri polacchi finora si sono rifiutati di rivelare essenzialmente qualunque informazione relativa all’indagine o di pubblicarne i risultati. “Il segreto e il ritardo non possono essere una tattica per evitare di rendere conto. Il governo polacco deve ammettere le proprie colpe su un periodo della storia del paese in cui quelle autorità appaiono colluse con gli Usa e altri stati nell’arresto illegale di persone e nel loro trasferimento in luoghi in cui sono state torturate e sottoposte a sparizione forzata” - ha dichiarato Julia Hall, esperta di Amnesty International su controterrorismo e diritti umani. “È ormai impossibile tornare indietro: esiste una marea di rapporti attendibili di stampa, organizzazioni intergovernative e non governative, senza dimenticare i dati ufficiali delle agenzie governative polacche, che lascia pochi dubbi sul fatto che la Polonia abbia ospitato un sito segreto di detenzione gestito dalla Cia. Se vi sono prove sufficienti a incriminare ex funzionari e agenti dell’intelligence per la partecipazione in queste attività illegali, è giunto il momento che essi siano portati in giudizio” - ha affermato Hall. Dopo l’11 settembre 2001, persone sospettate di atti legati al terrorismo furono arrestate illegalmente o rapite e trasferite in paesi in cui rischiavano tortura o altre forme di maltrattamento e processi iniqui, oppure furono rinchiuse in prigioni segrete della Cia in cui vennero interrogate con tecniche equivalenti a tortura o altri maltrattamenti. Il 23 maggio 2013, in un importante discorso sulla politica americana contro il terrorismo, il presidente Barack Obama ha riconosciuto l’esistenza di tali pratiche, ammettendo che “… in alcuni casi, ritengo che abbiamo compromesso i nostri valori fondamentali - usando la tortura per interrogare i nostri nemici e detenendo individui in un modo che era contrario allo stato di diritto”. Questa ammissione è stata accolta con favore, ma non va dimenticato che nei tribunali statunitensi l’amministrazione Obama ha ostacolato ogni sforzo perché si chiamasse a rendere conto i responsabili di tali violazioni dei diritti umani. “Gli Usa hanno confessato che i propri agenti hanno torturato e detenuto illegalmente delle persone” - ha commentato Hall. “Se la Polonia si è resa complice di tali violazioni, deve anch’essa riconoscere il ruolo svolto e chiamare a rispondere i responsabili. Sono la gravità e la natura sistematica di questi crimini a pretenderlo”. La Polonia è al centro della scena fin dal 2005, quando fu identificata per la prima volta come paese che aveva ospitato una struttura detentiva segreta della Cia. Nel marzo 2008, le autorità polacche hanno avviato un’inchiesta penale che è stata ripetutamente differita a causa della sostituzione del personale inquirente, del trasferimento della sua sede da Varsavia a Cracovia e dell’asserita scarsa collaborazione del governo americano. La sicurezza nazionale è regolarmente invocata come giustificazione per la segretezza che avvolge l’indagine. Durante l’inchiesta, due uomini hanno ottenuto lo status di parte lesa. Il primo è Abd al-Rahim al-Nashiri, un cittadino saudita ritenuto l’ideatore dell’attentato esplosivo contro il cacciatorpediniere americano USS Cole sulle coste dello Yemen nel 2000. Ha dichiarato di essere stato interrogato in una struttura segreta in Polonia e sottoposto a tecniche rinforzate d’interrogatorio e altre violazioni dei diritti umani, come finte esecuzioni con una pistola e minacce di violenza sessuale nei confronti dei familiari. Si ritiene che anche il secondo uomo, Zayn al-Abidin Muhammad Husayn, conosciuto come Abu Zubaydah, un palestinese apolide nato in Arabia Saudita, sia stato detenuto in Polonia dove, in base alle sue dichiarazioni, venne sottoposto a estremo dolore fisico e pressioni psicologiche. L’ex presidente americano George W. Bush ammise, nelle memorie pubblicate nel 2010, che Abu Zubaydah era stato sottoposto alla tecnica del water boarding (semi annegamento) durante la detenzione segreta della Cia. Abu Zubaydah e al-Nashiri sono attualmente trattenuti nel centro detentivo statunitense di Guantánamo Bay, a Cuba, dove al-Nashiri è sotto processo di fronte a una commissione militare. Entrambi gli uomini hanno anche sporto denuncia alla Corte europea dei diritti umani nel 2011 e nel 2013. Nel caso di al-Nashiri, il governo polacco si è rifiutato di fornire alla Corte le informazioni che aveva richiesto. Il nuovo rapporto di Amnesty International contiene anche il profilo di un terzo uomo che ha denunciato di essere stato detenuto in un sito segreto in Polonia nel 2003. Walid bin Attash, cittadino yemenita, è attualmente detenuto a Guantánamo Bay in attesa di essere processato da una commissione militare. “Le vittime di violazioni dei diritti umani hanno il diritto a un rimedio efficace, che comprende il diritto di conoscere la verità su quanto è loro accaduto” - ha sottolineato Hall. “Il popolo polacco ha anche il diritto di sapere cosa i suoi governanti hanno fatto nel suo nome, incluso qualsiasi coinvolgimento del territorio o delle autorità polacche in violazioni dei diritti umani e in crimini di diritto internazionale quali la tortura e la sparizione forzata. Se la Polonia rispetta i diritti umani e lo stato di diritto, le sue autorità devono avere il coraggio politico di dire la verità sul sito segreto della Cia e su ciò che vi accadde. L’inchiesta penale deve essere veramente indipendente ed efficace e chiunque sia responsabile di tortura e sparizione forzata deve essere portato in giudizio”.