La discesa in campo degli uomini ombra Ristretti Orizzonti, 9 gennaio 2013 “Più che mai dato persistente di inciviltà da sradicare in Italia rimane la realtà angosciosa delle carceri” (Giorgio Napolitano: Messaggio di fine anno, 31 dicembre 2012) Ormai ci siamo. Il 24 febbraio si voterà. Per gli uomini ombra queste saranno le votazioni più importanti della loro vita. Soprattutto per quelli che hanno 20, 30 o più anni di carcere sulle spalle. Oggi al colloquio mia figlia mi ha detto che è indecisa per chi votare e mi ha chiesto consiglio. Ed ho pensato che se anche i detenuti e gli uomini ombra non possono votare, lo potranno però fare i parenti e gli amici. Subito dopo mi è venuta l’idea di fare campagna elettorale alla luce del sole nelle carceri. Molti nostri famigliari, amici e conoscenti di norma non vanno a votare, ma lo potrebbero fare per quei partiti, che per le imminenti elezioni, nel loro programma sulla giustizia metteranno questi tre punti: 1) Legalità in carcere 2) Applicazione della funzione rieducativa della pena prevista dall’articolo 27 della Costituzione 3) Abolizione dell’ergastolo In questi giorni mi sto chiedendo: molte persone perbene (e forse non perbene) sono “scese in campo”, perché non farlo anche noi? In Italia molti cittadini hanno a che fare con la giustizia, molti di questi sono ristretti in carcere e alcuni in pene alternative. E tutti insieme, con le nostre famiglie, parenti e amici, possono essere un serbatoio di voti per qualsiasi partito politico che abbia il coraggio e sia d’accordo a migliorare la giustizia e a riconoscere ai detenuti il diritto a relazioni affettive intime, diritto al lavoro (anche ricompensato esclusivamente con sconti di pena), allo studio e il diritto a un fine pena per gli ergastolani. Dopo ventidue anni di carcere sono molto convinto che se lo Stato saprà custodire i suoi prigionieri con più attenzione e in condizioni di legalità, questi usciranno persone migliori. Molti uomini politici hanno sempre affermato che il garantismo per i poveracci e l’impegno per i detenuti fanno perdere i voti. Ora i detenuti e soprattutto gli uomini ombra desiderano dimostrare che quel partito o lista civica che s’interesserà di carcere li guadagnerà. Il voto dei nostri familiari è l’unico mezzo per trasformare la debolezza del singolo detenuto nella forza di tutti i detenuti. Ignazio Bonaccorsi Carmelo Musumeci Gaetano Fiandaca Giustizia: il tema dei diritti sia al centro della campagna elettorale di Mauro Palma Il Manifesto, 9 gennaio 2013 Irrompe l’Europa, con una sentenza della Corte per i diritti umani sulle carceri, in un confronto elettorale finora avvitato attorno al tema degli equilibri economici e finanziari e a quello, più di cucina, delle sotto-aggregazioni in cerca di seggi. Un avvio di campagna elettorale che sembra fin qui aver dimenticato, come lontana nel tempo, la linfa vitale che si era espressa in modo lampante nella partecipazione di massa ai referendum dello scorso anno e che, sebbene con altri numeri, si era rivista in quella alle primarie per scegliere il leader della coalizione. Tutto è sembrato ricomporsi in questi giorni in una sorta di gioco interno a un sistema scarsamente dialogante con l’impellenza dei bisogni concreti di larghi settori in sofferenza e anche con le potenzialità di un mondo giovanile che non trova possibilità di essere protagonista, ristretto nella condizione di precarietà sociale, oltre che economica e soggettiva. L’Europa irrompe condannando l’Italia per violazione di quell’articolo 3 della Convenzione per la tutela dei diritti umani che vieta trattamenti e pene inumani o degradanti. E lo fa a partire dallo strutturale sovraffollamento delle carceri nel nostro Paese. Che il tema sia urgente è noto e tutti ne convengono a parole: più volte il presidente della Repubblica ha definito la situazione attuale non degna della civiltà del nostro contesto sociale e lo stesso governo aveva dichiarato già nel 2010 lo “stato di emergenza” di fronte a una situazione così grave. Quest’ultima condanna però non è semplicemente una nuova sentenza che si aggiunge alle altre, perché la Corte chiarisce che il problema del sovraffollamento inaccettabile qui da noi è strutturale e proprio per questo la sua è una cosiddetta “sentenza pilota”, che fa da guida alle tante altre che giacciono in giudizio. Inoltre, chiarisce che nella situazione attuale il detenuto italiano non ha strumenti efficaci per vedere sanata la violazione del suo diritto a condizioni dignitose, essendo la via del ricorso interno priva di effettività. La Corte, infine, dà un anno di tempo all’Italia per porre fine alla situazione presente, impegnandosi nel frattempo a sospendere i casi che dovessero giungerle e che denunciassero condizioni dello stesso tipo. Detta, quindi, un’altra agenda al futuro governo, che si sovrappone a quelle di cui molto si discute: lo fa definendo una priorità che richiederà di essere affrontata in tempi molto rapidi se non si vorrà incorrere in sanzioni ben più onerose, dati i molti casi pendenti, e soprattutto se non si vorrà essere additati come un paese che viola quegli obblighi non in maniera episodica ma strutturale. La stessa presidente di sezione della Corte, che nel primo dei casi di questo tipo, nel 2009, si era espressa in modo dissenziente a favore dell’Italia questa volta precisa, in una nota annessa alla sentenza, di aver votato per la condanna perché da allora nulla si è fatto e il problema è diventato di sistema. Questa è l’Europa che rappresenta il sentire di una costruzione possibile che riponga al centro la tutela dei diritti fondamentali di tutti, anche di chi ha commesso errori e che non accetta di regredire nella pre-modernità sulla spinta di tagli di risorse. Ma, proprio l’impostazione che la sentenza dà alla “questione carcere” rimbalza sulla responsabilità politica dell’assenza di questo tema da programmi, coalizioni, candidature, futuro governo: il tema è rimasto nel dibattito - grazie alla testimonianza di Pannella - solo in una duplice versione, quella umanitaria e quella di adesione o meno all’adozione di un provvedimento di clemenza. Due dimensioni importanti ma che non ne colgono pienamente la matrice politica perché questa risiede nell’essere il carcere evidenza tangibile del sistema di giustizia e questo, a sua volta, della modalità di misurarsi con le asperità delle società complesse. Rinchiudere, quasi nascondere in quel luogo detentivo, anche al di là della tollerabilità delle condizioni, è stata la modalità con cui da molti anni ci si è misurati con tale complessità. Rinchiudere è stato il messaggio falsamente rassicurante lanciato più volte in funzione della ricerca di un adrenalinico consenso elettorale. Senza costruire politiche e senza capire che si andava così rinchiudendo anche la nostra dimensione civile. Solo se la campagna elettorale che si apre saprà cogliere la centralità del tema dei diritti, la politica tornerà a svolgere il proprio ruolo e non si limiterà più alla gestione ragionieristica o, peggio, “emergenziale” dell’esistente. Giustizia: la questione carceri irrompe nella campagna elettorale e impegna la politica di Stefano Folli Il Sole 24 Ore, 9 gennaio 2013 La questione della condizione carceraria in Italia irrompe nella campagna elettorale, ma con quali esiti concreti nessuno può dirlo. Certo, la dura condanna espressa dalla Corte di Strasburgo per i diritti umani non stupisce nessuno. Lo stesso ministro della Giustizia Paola Severino, che si dichiara “avvilita”, se l’aspettava. È una macchia per il nostro paese e le parole di Napolitano sono fra le più dure pronunciate dal capo dello Stato in questi ultimi anni: la sentenza “è una mortificante conferma della incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena”. Una frase drammatica se a pronunciarla è il presidente della Repubblica. Il quale peraltro ha le carte in regola perché più volte nel corso del suo mandato che si avvia a conclusione ha richiamato il tema e lo ha sottoposto all’attenzione distratta delle forze politiche. Ma un verdetto così aspro da parte della Corte europea toglie qualsiasi alibi e mette in evidenza l’inconcludenza retorica del sistema. Qualcuno obietterà che la condizione dei carcerati non è una priorità; in realtà lo è, come testimoniano le battaglie civili di coloro che in questi anni non si sono stancati di impegnarsi per cambiare le cose, a cominciare dai radicali di Pannella (il comitato Calamandrei ha assistito tre dei sette detenuti che hanno provocato il pronunciamento di Strasburgo). In ogni caso la priorità della questione carceraria è imposta dalla nostra appartenenza all’Unione europea che prescrive precisi standard in tema di diritti umani. Non è un problema di “lassismo” bensì di civiltà giuridica. E adesso che i ritardi e le inadempienze non sono più ammessi, al punto che l’Italia ha solo un anno di tempo per correggere la situazione, l’aspetto politico diventa centrale. Si può immaginare che il nodo delle carceri diventi qualcosa di più di un breve paragrafo nei programmi dei partiti? Dopo il commento del capo dello Stato, così dovrebbe essere. C’è il rischio invece che l’intera vicenda si esaurisca in un bengala polemico acceso nella notte e che subito dopo si torni all’ordinaria paralisi. Un anno tuttavia fa presto a passare e una condanna così drastica e perentoria, che accumuna l’Italia a paesi come la Russia, l’Ucraina, la Moldova, la Bulgaria e altri, non potrà non interpellare la responsabilità del prossimo governo politico. La riforma che prevede in molti casi pene alternative al carcere, nonché nuovi fondi per l’edilizia penitenziaria, non potrà restare nel cassetto. Quale che sia la maggioranza parlamentare che s’insedierà dopo il 24 febbraio. Anche sotto questo aspetto c’è da augurarsi che nelle nuove Camere siano rappresentati deputati e senatori di ogni schieramento sensibili ai diritti civili. Se è vero che l’Europa non può essere solo “spread” e vincoli di bilancio, è altrettanto vero che bisogna dimostrare con lo slancio politico e con l’iniziativa legislativa che esiste nell’Unione uno spazio comune fatto di diritti e di sensibilità civile di cui l’Italia fa parte e non alla retroguardia. In fondo l’avviso ricevuto dalla Corte giunge alla fine di una legislatura sfortunata, ma anche alla vigilia di una svolta politica. Una magnifica occasione per le forze politiche vecchie e nuove che vogliono dimostrarsi all’altezza della sfida. Giustizia: le carceri italiane sono fuorilegge… ma il vero reato è sorprendersi di Susanna Marietti (Associazione Antigone) Il Manifesto, 9 gennaio 2013 È dispiaciuta ma non sorpresa, ha dichiarato la ministra Severino alla notizia della nuova condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. E figuriamoci se sorpresi lo siamo noi, che quotidianamente denunciamo le condizioni disumane e degradanti nelle quali le pene detentive vengono espiate. L’Italia è seconda solo alla Serbia nell’area del Consiglio d’Europa per tasso di affollamento. L’ultimo Rapporto di Antigone, intitolato non a caso “Senza dignità” e pubblicato lo scorso novembre, ci racconta delle carceri più sovraffollate dell’Unione Europea, con oltre 140 detenuti ogni 100 posti letto. A Busto Arsizio il tasso di affollamento al momento del ricorso, presentato da detenuti ristretti lì e nel carcere di Piacenza, era del 300% circa. Tre detenuti per un posto. Attualmente nelle carceri italiane vi sono poco meno di 67 mila detenuti, mentre i posti letto regolamentari sono circa 45 mila. Molti reparti sono chiusi perché insani. I detenuti vengono ammassati nelle restanti sezioni. Le aree pensate per la socialità sono usate come dormitori. Capita spesso che arrivino a mancare letti e materassi. I detenuti fanno a turno a stare in piedi. Non hanno un posto dove sedersi a scrivere una lettera o leggere un libro. In molte carceri sono chiusi in cella per ventidue ore al giorno. La Corte di Strasburgo lascia un anno di tempo all’Italia per rendere efficaci i suoi meccanismi di ricorso interni, ma di fatto le lascia un anno di tempo per risolvere il problema del sovraffollamento. Nessun ricorso sarà mai efficace in queste condizioni, aveva infatti scritto. Un sillogismo neanche troppo implicito e piuttosto facile da sciogliere. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha parlato ieri di “mortificante conferma”. E certo di conferma si tratta. Ci sono sentenze che quanto meno sciolgono il dubbio di un’alternativa (l’imputato è colpevole o innocente?). Quella della Corte Europea si limita a confermare quel che tutti sapevamo prima di leggerla: che in galera in Italia le condizioni di vita sono disumane e degradanti. Lo sono per i presunti innocenti - oltre il 40% dei detenuti è in attesa di giudizio - e per i colpevoli. Un’evidenza nota a tutti. Un anno di tempo per risolverla. Un anno lo ha avuto il governo di Silvio Berlusconi, che nel gennaio 2010 dichiarò lo stato di emergenza penitenziaria. Ha varato un piano carceri mal pensato nell’ispirazione e irrealizzabile nella concretezza. Un anno lo ha avuto il governo tecnico. Ha adottato un provvedimento di legge, definito enfaticamente salva-carceri, che ha liberato una scarsa manciata di persone. A breve si apre un’epoca politica nuova. L’Europa - un’altra Europa rispetto a quella che solitamente parla a Monti - ci sta chiedendo di riportare il rispetto dei diritti umani in una parte della nostra società (dove non si pensi comunque che sia il solo affollamento a spingere alla loro violazione). Un cartello di associazioni ha presentato da tempo le proprie proposte in questa direzione. Tra queste la modifica delle tre leggi massimamente produttrici di carcerazione (quella sull’immigrazione, quella sulle droghe e quella sulla recidiva) e l’introduzione delle liste di attesa penitenziarie. Nessuno deve entrare in prigione se manca per lui lo spazio. L’indignazione sul tema delle carceri è fortunatamente sempre più sentita. Se la nuova politica precorresse i tempi del popolo probabilmente dimostrerebbe, molto più di quanto con le sue timidezze non creda, di essere capace di interpretarlo. Giustizia: se il vostro cuore se ne fotte dei carcerati, almeno ragionate col bieco portafoglio Tempi, 9 gennaio 2013 Se i risarcimenti della Corte europea fossero assegnati a tutti i detenuti, lo Stato sborserebbe 1 miliardo di euro. Di Rosa (Csm): bisogna finanziare misure alternative. Nonostante la condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, i tre maggiori leader impegnati nella campagna elettorale sembrano non voler affrontare il tema della situazione inumana delle carceri italiane. Una questione non secondaria, viste le ripetute condanne da parte di numerose corti europee e internazionali, che ora rischia di diventare anche un problema economico. Eppure, quella che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha definito una “mortificante conferma dell’incapacità del nostro Stato di garantire i diritti elementari” non sembra interessare né Pier Luigi Bersani né Mario Monti, i quali non hanno finora comunicato cosa faranno per risolvere il problema. E non dice nulla Silvio Berlusconi, che pure una settimana prima dell’ennesima condanna della corte di Strasburgo, si era espresso contro l’uso della carcerazione preventiva, che da sola è responsabile del 40 per cento della popolazione detenuta (record che arriva al doppio della media europea). In questo panorama, gli unici a tenere sotto osservazione il fenomeno rimangono i radicali e alcuni parlamentari sparsi nei più diversi partiti. 1 miliardo di euro in risarcimenti Se l’Italia fosse condannata a pagare per la situazione in cui versano i quasi 70mila detenuti italiani sarebbe costretta a pagare 1 miliardo di euro. Una bella somma. Già 550 detenuti sono pronti a ricorrere alla corte di Strasburgo. “Forse per fare progressi”, suggerisce Il Foglio, in un editoriale in terza pagina, “converrà d’ora in avanti appellarsi non più al cuore, alla pietas dovuta agli ultimi fra gli ultimi, ma al bieco portafoglio”. “Al ritmo di 15 mila euro a testa, per indennizzare tutti i detenuti i cui diritti sono stati violati, occorrerà una finanziaria”. La lettera di Di Rosa (Csm) Giovanna Di Rosa, magistrato e componente del Consiglio superiore della magistratura, rivolge oggi un appello alle forze politiche, pubblicato sul Corriere della Sera, perché si stanzino fondi, tagliati dal governo Monti, per le misure alternative: “L’Europa - scrive - condanna l’italia per lo stato del carcere. E noi che facciamo? L’anno scorso ci sono state tante parole e nessun fatto. Anzi uno c’è stato: il provvedimento assunto in sede di approvazione della legge di Stabilità che ha eliminato il finanziamento, già minimo, della legge Smuraglia, che da anni consentiva sgravi fiscali e contributivi agli imprenditori che assumono detenuti ed ex detenuti. Per il 2013 la direttiva del ministero della Giustizia sul carcere non fa sperare meglio. È scritto, sì, che si devono migliorare le condizioni detentive e ultimare il piano di edilizia carceraria, ma come? La costruzione di nuove carceri è costosa e lunga. Sono passati tanti anni da quando se ne parla e niente è accaduto. La direttiva promette un miglioramento delle condizioni di vita in carcere anche con la formazione professionale e l’avviamento al lavoro, da ricercarsi con la collaborazione di altre istituzione e di enti locali. La mia esperienza di magistrato di sorveglianza mi dice però che questi enti e istituzioni non hanno denari. Figuriamoci dunque quale sarà la situazione ora, senza neppure interventi delle imprese private, per la crisi in atto. Se i detenuti e gli ex detenuti avranno meno lavoro, saranno ancora meno le misure alternative che il magistrato potrà concedere. Certo, la magistratura dovrà fare sempre di più la sua parte, perché non c’è un solo detenuto in carcere che non vi sia stato collocato da un magistrato, ma certo non potrà dare misure alternative senza lavoro. adoperiamoci allora, subito, per un ripensamento concreto a una vicenda insostenibile giuridicamente, politicamente, umanamente. Basta parole. Occorre fare”. Giustizia: Pannella: “l’infamia dell’Italia, nelle carceri una situazione da Quinto Mondo” Il Tempo, 9 gennaio 2013 La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo rappresenta un nuovo grave richiamo alla insostenibilità della condizione in cui vive gran parte dei detenuti nelle carceri italiane”. Così il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in merito alla questione del sovraffollamento delle carceri. “Si tratta - ha aggiunto - di una mortificante conferma della perdurante incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena, e nello stesso tempo di una sollecitazione pressante da parte della Corte a imboccare una strada efficace per il superamento di tale ingiustificabile stato di cose”. Durissima la posizione di Marco Pannella”: “Interrompere l’infame flagranza da Quinto Mondo nel quale siamo immersi nella cloaca statalista italiana”. È “l’invito rivolto in particolare a Monti, a Bersani e al leader berlusconiano Bobo Maroni. Cosa altro dovremmo ancora fare - chiede Pannella - per decriminalizzare la sostanziale e perbenista criminalità di stampo nazi-comunista per la quale ormai, quasi quotidianamente, siamo non tanto e non solamente condannati ma infamati in Europa e nel mondo?”. Molto solidale la posizione del Pdl: quella della Corte europea di Strasburgo “è una decisione che certifica a livello europeo le ragioni della lotta di Marco Pannella”. È il commento del deputato Pdl Alfonso Papa. “A ben vedere - ha sottolineato - il precedente di una tale pronuncia risale al 2009, quando di nuovo la Corte di Strasburgo censurò l’Italia facendo séguito al ricorso di un detenuto nel carcere di Rebibbia. Due punti meritano particolare enfasi: da una parte, la carenza di spazio, meno di 3 metri quadrati a testa, è definita come strutturale dai giudici europei; dall’altra, l’Italia è invitata a porre rimedio al problema del sovraffollamento carcerario. Basterà questo per svegliare i politici di casa nostra? Nel dubbio, è meglio appoggiare le liste “Amnistia giustizia e libertà” guidate dal leader radicale”. “La sentenza è un segnale preoccupante per il nostro Paese perché mette in luce l’insostenibilità della situazione carceraria in Italia. Un verdetto che non ci fa onore e che ci invita a riflettere e ad agire”. Così il presidente del Senato, Schifani, che ha proseguito: “I detenuti hanno il diritto di scontare la pena in condizioni umane e lo Stato ha il dovere di saperle garantire. Quindi, il problema del sovraffollamento delle carceri deve essere affrontato e risolto con urgenza e con un approccio di quella coesione nazionale che è indispensabile per attuare ogni processo di riforma di così rilevante e fondamentale entità”. “Una sentenza che conferma quanto vanno dicendo da anni tutti gli operatori che hanno a che fare con il carcere: la situazione è insostenibile”. Lo sostiene don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani delle carceri. Una condizione, secondo Balducchi, insostenibile “non solo per motivi di vicinanza umana, ma proprio dal punto di vista giuridico: lo Stato sta commettendo un’illegalità”. Giustizia: intervista a Patrizio Gonnella “Siamo uno Stato-canaglia, lo dice pure l’Europa” Il Sussidiario, 9 gennaio 2013 100mila euro da pagare a sette detenuti attualmente nei carceri di Busto Arsizio e Piacenza come risarcimento morale e la richiesta di porre rimedio al sovraffollamento delle nostre carceri entro un anno di tempo. È la sentenza della Corte europea di Strasburgo che ha condannato l’Italia per violazione dei diritti umani. Una sentenza che, come ha detto il ministro Severino, era da aspettarsi, ma che forse aprirà finalmente uno spiraglio nella drammatica situazione carceraria italiana. Lo dice Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, contattato da Ilsussidiario.net, spiegando che questa condanna differisce in modo dirompente dalla precedente già rilasciata dalla Corte nel 2009. “Data la cifra che lo Stato italiano dovrà pagare e visto che ci sono già centinaia di altri ricorsi pronti, all’Italia non conviene neanche più economicamente tenere i detenuti nelle condizioni bestiali in cui si trovano attualmente”. In cosa si distingue questa nuova condanna rispetto a quella che c’era stata nel 2009? Si distingue dalla precedente per tre ordini di motivi. In buona sostanza, questa è una sentenza ancora più dirompente. Ci spieghi perché. Il primo è che essendo una sentenza-pilota, essa vedrà molte sentenze fotocopia, se le condizioni rilevate saranno identiche. Non ci sarà cioè ogni volta un nuovo procedimento diretto per ascoltare le ragioni dello Stato italiano. Le ragioni sono già state ritenute non soddisfacenti e pendono già tanti altri ricorsi. Noi soli come associazione abbiamo presentato già 140 ricorsi collettivi e ci hanno fatto già sapere dalla Corte che nei prossimi giorni arriveranno le prossime due sentenze. Il secondo motivo? La Corte ha dato un tempo preciso all’Italia per risolvere la cosa. Non è che il nostro paese potrà stare con le mani in mano. A differenza della precedente sentenza, la Corte ha detto che bisogna rimediare la situazione attuale. La decisione su come farlo ovviamente è dell’Italia visto che siamo uno Stato sovrano, ma la Corte dice che ci sono indicazioni che dovranno essere ascoltate e tenute in considerazione. Ovviamente siamo in campagna elettorale e non si può far nulla ma si possono prendere impegni seri già adesso. Infine il terzo motivo: nel precedente caso il ricorrente aveva ottenuto un risarcimento di circa mille euro, adesso l’Italia deve pagarne 100mila ai vincitori del ricorso, perché le loro condizioni erano peggiori rispetto a quelle del carcerato recluso a Rebibbia. Dunque non conviene più tenere le persone in questo stato neanche dal punto di vista economico. Esatto. Uno stato bestiale, dove le persone ammassate in pochissimi metri quadri. Ci vuole perciò una decisione anche per interrompere il circolo vizioso dei risarcimenti. Intanto siamo davanti al recente brutto esempio del decreto lavoro nelle carceri bocciato a Natale dal Senato: possiamo avere fiducia che si faccia davvero qualcosa? Quel caso è stato incredibile. Un paese dove il capo dello Stato per il secondo anno consecutivo solleva il problema, dove le massime autorità morali e religiose e istituzionali si sono poste il tema anche con toni drammatici e tutto questo non produce nulla per colpa di una classe politica ingessata e impaurita, non può andare avanti. In più, a poche settimane dal voto tutti cercano di racimolare consenso evitando di impegnarsi su questo fronte. Che cosa si aspetta che faccia la classe politica? Questo è il momento in cui le forze politiche che vanno al voto devono dire come intendono risolvere la situazione. C’è chi dirà, già me lo immagino, che lo risolveranno costruendo nuove carceri, ma questa è pura propaganda. Perché? Non è mai stato fatto in passato di costruire nuove carceri e oggi non ci sono nemmeno i soldi per farlo. Bisogna intervenire invece sulle cause di questa carcerazione di massa che non ha nulla a che fare con la sicurezza dei cittadini. E con che cosa invece? Le parlo di casi conosciuti di persona, come quello di un detenuto che era tossicodipendente alla fine degli anni 90 e che a undici anni dal fatto ha visto la sentenza diventare esecutiva. Nel frattempo si era totalmente reinserito nella società lavorando e facendosi una famiglia: ha dovuto spiegare che andava in carcere per fatti commessi undici anni prima. Oppure un extracomunitario che ha accumulato undici anni di carcere per denunce perché vendeva cd contraffatti. Bisogna mettere mano a questi casi con coraggio. Si può dire che oltre al sovraffollamento delle carceri c’è anche un problema di giustizia inefficiente? Certo: una giustizia lenta, selettiva e burocratizzata che non riesce più a essere coerente con il suo significato costituzionale. Nel 2009 si rispose alla prima condanna con il piano carceri, oggi si è lavorato al cosiddetto piano salva carceri: lei ritiene che si sia fatto un passo in avanti? Personalmente, do merito al governo uscente di aver cambiato le parole d’ordine, non avendo accelerato sui temi dell’intolleranza. Si è insomma passati dal ministro Castelli che definiva le carceri hotel a cinque stelle a chi si è reso conto che il problema esiste. Ma si è fatta tanta propaganda: parlare di salva carceri a chi conosce il mondo penitenziario come noi e visita tutti i giorni i carceri, fa ridere. In che senso? Perché non è stato salvato nulla e tutti sapevano che non poteva essere salvato nulla. È stato un provvedimento tampone e non risolutivo. Ci vuole ben altro. A proposito invece del piano carceri, siamo davanti a un totale fallimento. È un piano partito nel 2010: siamo nel 2013 e non un solo mattone è stato posato per costruire nuove carceri. Andrebbe chiuso e i soldi usati per progetti di recupero facendo uscire le persone dal carcere con misure alternative e inserendiole nelle comunità terapeutiche. Sto parlando di 450 milioni di euro bloccati per carceri che non si faranno mai. Il caso Pannella: solo clamore mediatico o iniziativa di qualche utilità? Pannella ha il merito di essere quello che ha posto il tema pubblico e quindi aver lottato perché la questione diventasse di tutte le forze politiche. Nella nuova legislatura le riforme penali necessarie per far sì che questa ondata di affollamento si arresti, dando una buona risposta alla Corte europea, sono secondo me queste: riforma della legge sulla droga, riforma di quella sull’immigrazione, riforma della recidiva e della custodia cautelare. Contemporaneamente, per far ripartire il sistema un provvedimento di amnistia ci vorrebbe, perché chiunque conosce il sistema carcerario sa che quelle leggi prima di entrare in funzione ci vogliono almeno due anni prima cioè di produrre un effetto decongestionante. Il sistema deve ripartire da numeri decenti e nel frattempo non c’è scusa per l’amministrazione penale per non trattare bene i detenuti. Giustizia: ci voleva la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo… di Valter Vecellio Notizie Radicali, 9 gennaio 2013 Dunque, “nuovo grave richiamo alla insostenibilità della condizione in cui vive gran parte dei detenuti nelle carceri italiane”… “mortificante conferma della perdurante incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi”… “ingiustificabile stato di cose”; e ancora: “…Il Parlamento avrebbe potuto, ancora alla vigilia dello scioglimento delle Camere, assumere decisioni, e purtroppo non l’ha fatto. La questione deve ora poter trovare primaria attenzione anche nel confronto programmatico tra le formazioni politiche che concorreranno alle elezioni del nuovo Parlamento così da essere poi rimessa alle Camere per deliberazioni rapide ed efficaci”. Così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha commentato la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che per l’ennesima volta ha condannato il nostro paese per la situazione della Giustizia e delle carceri. Va tutto bene. Solo che la doglianza presidenziale viene dopo oltre un anno di inerzia dello stesso presidente: che dopo aver parlato di “prepotente urgenza”, di “realtà che ci umilia in Europa e ci allarma”, di “abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale”, di “emergenza assillante”, e aver auspicato ogni “possibile intervento e non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi”… dopo aver solennemente pronunciato queste impegnative parole, non ha dato alcun pratico seguito, e non ha fatto l’unica cosa che avrebbe dovuto e potuto fare: mandare un formale messaggio al Parlamento ponendolo di fronte alle sue responsabilità. Non c’è giornale che non dedichi un suo spazio alla questione. Non è mai troppo tardi, vien da dire, rubando il titolo di una famosa trasmissione della Rai anni Sessanta. Ma al tempo stesso ci si può e ci si deve chiedere dov’erano fino a oggi, perché hanno dovuto attendere la sentenza di Strasburgo per accorgersi di una realtà da tempo denunciata e che è sotto gli occhi di tutti. E così la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha fatto quello che Napolitano non ha voluto e saputo fare: ricordare e ricordarci che nelle carceri italiane il sovraffollamento si aggira sul 142 per cento, vale a dire ci sono 140 detenuti per ogni 100 posti letto, mentre la media europea è del 99,6 per cento, e siamo maglia nera in Unione europea per la condizione degli istituti. E ci sono regioni che statisticamente stanno anche peggio: la Liguria è al 176,8 per cento; la Puglia al 176,5 per cento; il Veneto a 164,1 per cento. E ci sono casi limite, in cui il numero dei detenuti è più che doppio rispetto ai posti regolamentari, come nel carcere messinese di Mistretta: 269 per cento; e Brescia: 255 per cento; o Busto Arsizio: 251 per cento. La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo dà al nostro paese un anno di tempo per decidere misure di compensazione per quei cittadini “vittime del sovraffollamento nelle prigioni italiane”, che la Corte definisce “strutturale e sistemico”. E giova infatti ricordare che nei 206 istituti di pena italiani vivono dunque oltre 65mila persone, a fronte di una capienza regolamentare di 47mila unità. Secondo la Corte dei diritti dell’Uomo, con il sovraffollamento delle carceri l’Italia viola l’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti dell’Uomo, che proibisce la tortura e il trattamento inumano o degradante. Il giudizio della Corte si è basato sul ricorso di sette detenuti nelle prigioni di Busto Arsizio e Piacenza. Ciascuno ha denunciato di aver diviso una cella da 9 metri quadrati con due altre persone, per 3 metri quadrati a testa, di aver sofferto per la mancanza di acqua calda e in qualche caso anche per una illuminazione inadeguata. La Corte di Strasburgo ha ribadito che “la detenzione non comporta la perdita dei diritti garantiti dalla Convenzione” e ha stabilito che lo spazio a disposizione dei detenuti in questione non era conforme agli standard richiesti per un’accettabile detenzione. La scelta di esprimere un “giudizio pilota” è determinata dal fatto che “il sovraffollamento delle carceri in Italia non riguarda soltanto i cittadini che hanno presentato il ricorso”: infatti, “la natura strutturale e sistemica del sovraffollamento è emersa chiaramente in occasione della dichiarazione di uno stato di emergenza nazionale da parte del presidente del consiglio nel 2010”, ed è confermata anche dalle “diverse centinaia di denunce pendenti presso la Corte” sull’argomento. Per tornare a Napolitano, ora dice che “la questione deve poter trovare primaria attenzione anche nel confronto programmatico tra le formazioni politiche che concorreranno alle elezioni del nuovo Parlamento così da essere poi rimessa alle Camere per deliberazioni rapide ed efficaci”. Tutti diranno che il Presidente ha ragione. Poi, come hanno fatto finora, con l’eccezione dei radicali, torneranno a fare quello che hanno sempre fatto: dividersi poltrone e spartirsi il bottino. Giustizia: “Una tortura le vostre carceri”… così la Corte di Strasburgo condanna l’Italia di Liana Milella La Repubblica, 9 gennaio 2013 La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per le condizioni di vita inumane nelle carceri, in particolare per il trattamento degradante di sette detenuti nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza. L’ultimatum di Strasburgo per il presidente della Repubblica Napolitano è una “mortificante conferma”. “Violazione dei diritti umani, tortura e trattamento disumano o degradante”. La Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo schiaffeggia l’Italia sul carcere. La strapazza sull’assurdo sovraffollamento. La costringe a pagare 100mila euro a 3 detenuti di Busto Arsizio e a 4 di Piacenza costretti per anni in celle di 3 metri. Loro si sono rivolti alla Cedu reclamando giustizia e l’hanno ottenuto nel modo più clamoroso. Collezionando il severo richiamo di Napolitano e “l’avvilito rammarico” del Guardasigilli Severino che, sul filo della legislatura, si è vista bloccare il ddl sulle misure alternative da chi al Senato, come il capogruppo Pdl Maurizio Gasparri con la Lega, ha preferito votare la riforma forense. Lo twitta pure Corrado Passera: “Male ha fatto il Parlamento a buttare a mare quel ddl”. Uno schiaffo pesante taglia la campagna elettorale e costringe i partiti a occuparsi di un tema che non buca il video. Soprattutto perché la Corte mette l’Italia sotto tutela e le dà un anno di tempo per correggere la grave stortura carceraria. Senza interventi metterà mano ai 550 ricorsi di altrettanti detenuti che denunciano condizioni inaccettabili. La sentenza piomba sull’Italia alle 11. Reagisce subito Paola Severino: “La mia amarezza è grande, ma non sono stupita: non è consentito a nessuno fare campagna elettorale sulla pelle dei detenuti”. Poi l’avvilimento per il ddl mancato su domiciliari e messa in prova. Ancora: i risultati del decreto approvato sullo stop alle “porte girevoli” con i detenuti scesi nel 2011 da 68.047 a 65.725. Alle 17 ecco la nota sdegnata di Napolitano: “È la mortificante conferma della perdurante incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena”. Una rampogna per il ddl bloccato: “Il Parlamento avrebbe potuto assumere decisioni e purtroppo non lo ha fatto”. Un monito ai partiti: “Il confronto sul carcere dev’essere una priorità per le forze politiche”. “Quello che non si è fatto in questa legislatura dovremo farlo nei primi 100 giorni della prossima” promette Roberto Rao del’Udc. Anna Finocchiaro del Pd già vede “il futuro governo di centrosinistra “ impegnato a “restituire alla pena la funzione costituzionale di rieducazione del condannato”. Il premio Nobel Dario Fo va a San Vittore e, applauditissimo, parla di “giorno straordinario perché l’Europa ha fatto giustizia”. Marco Pannella è pesante: “Cosa altro dovremmo ancora fare per decriminalizzare la sostanziale e perbenista criminalità di stampo nazi-comunista per cui siamo infamati in Europa e nel mondo?”. Prosegue col solo sciopero della fame. Il presidente di Antigone Patrizio Gonnella vede una sentenza “epocale” cui “ne seguiranno centinaia se l’Italia sul carcere non cambia strategia politica Giustizia: 4 reclusi in 9 mq… ecco la nostra vita all’inferno tra freddo, sporcizia e malattie di Massimo Pisa La Repubblica, 9 gennaio 2013 Storie di dannati e di gironi infernali. Prendete Mohamed El Haili, marocchino di Khourigba, 36 anni, ufficialmente operaio a Enna, dentro alle Novate di Piacenza dal febbraio 2008 per spaccio. Entra nel buco, senza riscaldamento d’inverno quando ci si copre come si può, con gli sbarroni di ferro che non fanno passare luce né aria e da fine giugno ad agosto si crepa di caldo e di sudore. Febbre, sete, puzzo. Esce 29 mesi dopo, il ricorso che mette in mano all’avvocato Giuseppe Rossodivita ha la forma asettica di un modulo di sei pagine e la sostanza di una supplica postuma. “Sono stato ristretto in una cella della sezione C di 7 metri quadri. Da questi dovevo sottrarre tre metri quadri di mobilio”. Sono i letti a castello, ferro battuto, il posto più in alto è il peggiore perché dormi faccia al soffitto e quello tocca all’ultimo arrivato. A volte cadi, nel sonno, e ti rompi un braccio e finisci in infermeria, dove almeno si sta larghi perché più di due per stanza non si può. “Ci vivevo insieme ad altri due detenuti per 18 ore al giorno, avevo meno di 2 metri quadri per muovermi. Non c’erano servizi igienici”. Nemmeno il bugliolo, il medievale secchio per i bisogni. Uscito dall’inferno, ne dovrà passare un altro di carte bollate quando lo Stato gli ricorre contro addossandogli l’onere della prova, ma sono inezie ormai rispetto al buco. Funzionava così alle Novate. Con le celle al massimo di nove metri quadri, minimo tre detenuti, un tavolino dove mettere il fornelletto e due sgabelli, e a turno uno a mangiare in branda o sulla tazza del cesso, quando c’è. Con l’acqua calda inesistente dietro le sbarre, e tre giorni a settimana nelle docce. Con una popolazione che esonda di continuo, in una struttura costruita per ospitarne 178 e tollerarne al massimo 375, fino ai 415 di un anno fa, anche se “oggi sono 318 - sostiene la direttrice Caterina Zurlo - ed è in via di ultimazione un nuovo padiglione da 200”. Roba che “manco nei canili”, spiega Afrim Sela, detenuto albanese che ci passa 14 mesi tra il 2009 e il 2010, quando affida la sua difesa all’avvocato Flavia Urciuoli. Roba che anche quando hai ragione, e te lo riconosce il Provveditorato regionale, resti lì dove sei. Succede a Tarcisio Ghisoni, dentro dal 2007 per storie di cocaina: passa due anni nel buco da 9 metri quadri per tre poveri cristi, gli viene accolto il ricorso ad agosto 2009 ma in una cella da due persone verrà trasferito solo sei mesi dopo. È uscito qualche giorno fa, voglia di parlare e ricordare non ne ha. A Busto Arsizio, l’altra maglia nera condannata dalla Ue, si ribellarono in 34 al carnaio. Struttura moderna, per carità, con cioccolateria e laboratorio del pane, sala attrezzi e serra, biblioteca e calcetto. Solo che, dai 167 previsti e dai 345 tollerati, a ottobre 2011 si erano ritrovati in 455, “tanto che - spiega il direttore Orazio Sorrentini - dichiarammo il tutto esaurito e parlai col procuratore capo. Oggi siamo 399 e paradossalmente stiamo tranquilli”. Non la pensò così Mino Torreggiani, 64enne ex rapinatore di Tir, che firmò un ricorso insieme ad altri 33 detenuti. Non ne potevano più del tre per nove, meno letti e tavoli e wc. Di ricorsi hanno accolto il suo e quello di Bazoumana Bamba e di Raul Riccardi: i primi tre nomi dei tre fogli del listone dei 34, pare fatto apposta. Anche il fatto che a Strasburgo ci sono andati da soli, senza avvocati, a difendersi contro il Ministero. Hanno vinto lo stesso. Giustizia: il criminologo Fiandaca; l’iniziativa di Marco Pannella va sostenuta e sviluppata Notizie Radicali, 9 gennaio 2013 Giovanni Fiandaca, giurista, ordinario di diritto penale presso l’Università di Palermo. È stato docente di Diritto penale e di Criminologia presso l’Università Kore di Enna. Con Enzo Musco ha curato una collana di manuali di diritto penale. Pubblica articoli sull’edizione palermitana del quotidiano “La Repubblica”. Fra il 1994 e il 1998 è stato membro del Consiglio Superiore della Magistratura. Dal 1999 al 2001, nominato dal guardasigilli Oliviero Diliberto, ha presieduto una commissione ministeriale per la redazione di un testo unico in tema di contrasto alla criminalità organizzata. Cosa ne pensa della situazione delle carceri italiani e come osserva i vari approcci alla problematica che esprime il mondo politico? La situazione delle carceri ha raggiunto livelli di estrema gravità e drammaticità. Purtroppo, la stragrande maggioranza delle forze politiche mostra scarsa sensibilità rispetto a un problema annoso che richiederebbe interventi adeguati e non più dilazionabili. Un recente riscontro della scarsa sensibilità politica è rinvenibile nella sopravvenuta decisione di tagliare le risorse per incentivare il lavoro dei detenuti, ancorché inizialmente previste nella Legge di stabilità. Lei che ha studiato a lungo la questione della funzione della pena, che giudizio dà dell’iniziativa di Pannella sull’amnistia? La questione degli scopi della pena è troppo complessa per poter essere affrontata in poche battute. Posso solo dire che in proposito soffre di una certa stanchezza anche il dibattito teorico-accademico. E ho motivo di ritenere che non poca confusione e non poco disorientamento diffusi nel mondo della politica rendano la discussione sul tema particolarmente difficile anche nelle sedi politico-istituzionali. Un parlamentare di centro-destra, che ho avuto occasione di incontrare nell’ambito della presentazione di un libro, ha avuto l’onestà di ammettere che il Parlamento oggi non sarebbe in grado di affrontare un problema così arduo, anche a causa dell’eccessiva divergenza e frammentazione dei punti di vista. Senza contare le pulsioni repressive diffuse in una verosimile maggioranza della popolazione, artificialmente indotte dalle ventate di populismo anche penale presenti peraltro non solo nel nostro Paese. Nonostante queste difficoltà di partenza, ritengo che, come studiosi e come intellettuali, dovremmo a maggior ragione impegnarci molto di più per riaprire un dibattito pubblico non solo sul tema del carcere, ma della punizione più in generale. Occorrerebbe in teoria una sorta di nuovo illuminismo penalistico per riattivare un approccio razionale e critico all’interno di una discussione pubblica che continua purtroppo a riproporre stancamente e meccanicamente concezioni almeno in parte obsolete e atteggiamenti collettivi alimentati più da pulsioni emotive che da considerazioni razionali. In questo quadro, il discorso sul carcere andrebbe affrontato non isolatamente, ma nel contesto più generale di una revisione del sistema sanzionatorio complessivo e del catalogo dei reati. Da questo punto di vista, allora, l’amnistia potrebbe rappresentare non certo una modalità risolutiva di intervento, ma soltanto un provvedimento destinato ad affrontare l’emergenza contingente. Non sarei contrario in linea di principio, considerata la drammaticità della situazione carceraria, ma il vero e arduo problema rimane quello di far oggi maturare l’ampio consenso politico necessario ai fini di una approvazione parlamentare di un provvedimento di questo genere. Non pensa che l’iniziativa di Pannella metta in discussione la previsione di molti reati senza vittime che affollano le carceri, legati al proibizionismo sulle droghe e sull’immigrazione come reato in sé? Sì, penso, anche in base a quanto detto prima, che l’iniziativa di Pannella metta implicitamente in discussione la legittimazione di non poche fattispecie di reato presenti nel nostro ordinamento e le ragioni della loro sopravvivenza. Non pensa che la battaglia di Pannella possa essere un’occasione per ridiscutere l’istituzione carceraria in quanto tale? Lo penso. E ritengo che questa iniziativa di Pannella va supportata e sviluppata. Quali reati secondo lei possono essere depenalizzati? Quali reati potrebbero essere puniti con misure alternative al carcere? Come studioso di diritto penale sensibile alle nuove prospettive della giustizia riparativa, e comunque alle chances di utilizzo di strumenti extra punitivi di intervento, le dico che la possibilità di fare a meno della pena tradizionale è in linea teorica prospettabile per un numero di reati ben più ampio di quanto abitualmente non si ritenga. Bisognerebbe, in realtà, avere il coraggio di sperimentare, senza soggiacere alla vischiosità e all’inerzia dei vecchi schemi punitivi. Ma il mondo della politica è disposto a dare ascolto al pensiero penalistico più evoluto? Occorrerebbe un mutamento di orizzonte culturale, che, partendo dalla società, finisca col coinvolgere anche i politici. Secondo lei perché nell’affrontare la questione giustizia, in pochi si soffermano ad analizzare la spesa che il sistema genera alle casse dello stato e quindi alle tasche degli italiani? Perché, come dicevo prima, il tema della punizione viene perlopiù affrontato in maniera poco razionale e predominano i pregiudizi consolidati e gli atteggiamenti emotivi e la paura di affrontare vie nuove. Pannella dice spesso che la prescrizione è un’amnistia di classe, perché chi può permettersi buoni avvocati può tirare in lungo i processi. Lei che ne pensa? C’è non poco di vero in questa valutazione di Pannella. La disciplina della prescrizione andrebbe peraltro completamente riscritta, specie dopo i guasti provocati dall’opportunistico riformismo berlusconiano. Nei confronti della lista “amnistia Giustizia e Libertà”, sarebbe interessato ad un concreto appoggio, pensando, anche, ad una eventuale candidatura “di scopo” con tali liste? Manifesto con convinzione la mia disponibilità a collaborare e non escludo l’eventualità di accettare una proposta di candidatura. Giustizia: Napolitano; “Mortificante conferma”. Schifani: “La sentenza non ci fa onore” Ansa, 9 gennaio 2013 “La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo rappresenta un nuovo grave richiamo” per l’Italia ed è “una mortificante conferma della incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena”, è stato il commento del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il capo dello Stato ha sottolineato che “la Corte chiarisce che non spetta ad essa dettare ai singoli Stati le normative penali né i criteri di organizzazione dei rispettivi sistemi penitenziari, ma ribadisce le raccomandazioni venute dal Consiglio d’Europa affinché gli Stati prevedano adeguate misure alternative alla detenzione, riducendo il ricorso alla carcerazione. In questa direzione - ha ricordato Napolitano - il Parlamento avrebbe potuto, ancora alla vigilia dello scioglimento delle Camere, assumere decisioni, e purtroppo non l’ha fatto. La questione deve ora poter trovare primaria attenzione anche nel confronto programmatico tra le formazioni politiche che concorreranno alle elezioni del nuovo Parlamento così da essere poi rimessa alle Camere per deliberazioni rapide ed efficaci”. Schifani: sentenza corte Strasburgo non ci fa onore “La sentenza della Corte di Strasburgo è un segnale preoccupante per il nostro Paese perché mette in luce l’insostenibilità della situazione carceraria in Italia. Un verdetto che non ci fa onore e che ci invita a riflettere e ad agire. I detenuti hanno il diritto di scontare la pena in condizioni umane e lo Stato ha il dovere di saperle garantire. Il problema del sovraffollamento delle carceri deve quindi essere affrontato e risolto con urgenza e con un approccio di quella coesione nazionale che è indispensabile per attuare ogni processo di riforma di così rilevante e fondamentale entità”. Lo rende noto un comunicato dell’ufficio stampa del Senato d’Italia. Giustizia: Pannella continua sciopero della fame… e interventi di politici, operatori, giuristi Ristretti Orizzonti, 9 gennaio 2013 “Mi fa piacere che Napolitano, massimo responsabile della flagranza di reato dell’Italia nei confronti dei diritti umani e della democrazia, ora sia mortificato, bene. Non so cosa accadrà dopo. La condanna ennesima arriverà, perché siamo il flagranza come Italia da delinquenti professionali, non solo contro il popolo italiano ma contro l’Europa e le sue istituzioni”. Queste le parole di Marco Pannella (Radicali) a Tgcom24, che precisa che il suo sciopero continua ma “è solo della fame e non della sete”. “Se i 400mila andassero a chiedere giustizia con avvocati e politici, l’Italia partitocratica, ladra di denaro e di verità, quanto dovrebbe sborsare? 100 euro per 400mila. L’Italia sarebbe colpevole anche di bancarotta fraudolenta. Monti sta mettendo le pezze a quello di cui siamo stati responsabili come popolo italiano. A noi avete dato il 2% e agli altri il 98%. Gli altri sono ladri di verità, di democrazia e di quattrini. Siamo solo noi che da trent’anni abbiamo individuato il problema. Il vero problema che ci rimproverano non è solo che siamo dei nazi-comunisti per come teniamo le nostre carceri ma siamo responsabili del fatto che ci sono 10 milioni di processi civili e penali e nelle carceri 20mila persone che quando avranno al sentenza saranno ritenuti innocenti. Il vero problema è che almeno 20 milioni di italiani hanno a che fare con processi che durano oltre la loro morte. Oggi si danno le colpe a Monti ma il popolo italiano se la prenda con se stesso. Prima di Monti chi cacchio ha votato?”, conclude. Bonino (Radicali): sarò candidata a sostegno della lista “Amnistia, giustizia e libertà” Dichiarazione di Emma Bonino, Vice Presidente del Senato: “In merito al lancio AdnKronos di questo pomeriggio riguardo ad una mia eventuale non partecipazione alle prossime elezioni, desidero precisare che sarà candidata a sostegno della Lista di scopo “Amnistia, Giustizia e Libertà” promossa dai radicali. L’ennesima condanna di oggi da parte della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo per il trattamento inumano e degradante dei detenuti nelle nostre carceri conferma ciò che noi radicali sosteniamo da anni sulla malagiustizia in generale e sull’illegalità e disumanità del nostro sistema penitenziar io in particolare, e conferma la assoluta necessità ed urgenza di essere presenti alle prossime elezioni con la Lista “Amnistia, Giustizia e Libertà”. Cicchitto (Pdl), dopo condanna di Strasburgo rivedere il carcere preventivo “La condanna della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo all’Italia per il sovraffollamento delle carceri e la violazione dei diritti dei detenuti, impone al prossimo governo e al prossimo Parlamento una grande responsabilità e un impegno da onorare, senza più alibi: predisporre una profonda e innovativa riorganizzazione della giustizia. Il nostro sistema giudiziario a causa delle mancate e necessarie trasformazioni, a causa degli ostacoli spesso innalzati sulla strada della modernizzazione, nel corso degli anni si è deformato tanto da arrivare alla realtà attuale, a situazioni di degrado e di iniquità nelle quali sono comprese quelle dei nostri istituti penitenziari. A ciò in particolare, bisognerà porre rimedio, nella legislatura che verrà, con sollecitudine e tempestività, non solo con la realizzazione delle non più rinviabili riforme strutturali ma anche con un cambiamento relativo all’area della pena detentiva in carcere. L’abuso della carcerazione preventiva in carcere, che riguarda ben il 40 per cento dei detenuti, è una delle storture più evidenti e inaccettabili di questo nostro sistema che non funziona più, tanto che la Corte europea è già intervenuta ammonendo l’Italia sulla necessità di un utilizzo più prudente della detenzione prima della condanna. Il governo Berlusconi ha avviato, non senza difficoltà, questo complesso percorso di rinnovamento con l’intento di affrontare ogni aspetto e problema della giustizia in modo armonico e organico. La questione carceri, per risolvere la quale l’Europa ha concesso al nostro Paese un anno di tempo per mettersi in regola, deve essere inserita in un progetto globale che preveda l’introduzione di nuove norme e interventi per una giustizia che sia all’altezza di un paese civile, più equa, più veloce e rispettosa dei diritti di tutti i cittadini”. È quanto dichiara il capogruppo del Pdl alla Camera, on. Fabrizio Cicchitto. D’Ambrosio Lettieri (Pdl): dopo condanna Ue serve amnistia “L’ennesima condanna dell’Italia da parte della Corte europea per violazione della dignità umana nelle carceri non giunge, purtroppo, inaspettata. Sono anni che visito personalmente le carceri della mia regione, la Puglia e sono anni che ne denuncio la condizione insostenibile, sia per i detenuti e le detenute, che per il personale penitenziario. Oltre alle tante interrogazioni, per quanto riguarda il carcere di Bari, ho lanciato anche una provocazione, proponendo una chiusura immediata della struttura per assoluta inadeguatezza dei requisiti tecnico-strutturali e della sua capacità ricettiva che è tarata per ospitare la metà dei detenuti presenti. E la situazione non è migliore per il personale e gli agenti di polizia penitenziaria i cui lodevoli sforzi meriterebbero ben altro tipo di trattamento e di riconoscimenti. Le condizioni di detenuti e personale del carcere di Taranto è pressoché analoga. Mi ero anche battuto per l’utilizzo di una struttura penitenziaria modello, quella di Spinazzola, praticamente inutilizzata, che avrebbe potuto perlomeno alleviare la situazione di sovraffollamento. In un perdurante quadro di gravissima criticità non si sa che fine abbiano fatto le cospicue risorse economiche destinate dal Governo Berlusconi all’edilizia carceraria in Italia (circa 800 milioni di euro), ma si sa certamente che ben 40 milioni di euro destinati alla costruzione di un nuovo carcere a Bari siano andati persi, tra l’altro, per le inefficienti e inadeguate posizioni locali, a cominciare da quella del Sindaco. E allora credo ci si debba orientare immediatamente verso l’amnistia: sarà pure il segno della incapacità dello Stato, ma resta ormai l’unica strada percorribile per superare un’emergenza strutturale che espone il nostro Paese a ripetute condanne della Corte di Giustizia europea. Contestualmente va messo in ristrutturazione il sistema normativo che disciplina le politiche penitenziari e dando piena attuazione alle misure alternative alla pena detentiva, anche per i soggetti in attesa di giudizio, che raggiungono il 40% della popolazione carceraria. Si tratta di una storia di inefficienze, ritardi e diritti negati di cui tutti dovremmo fare mea culpa reagendo finalmente all’unisono per cambiare questo quadro sconsolante e vergognoso che trasforma un luogo che dovrebbe svolgere una funzione rieducativa, paradossalmente in una sorta di discarica umana. Torno a ribadire che risolvere in fretta il problema del sovraffollamento è un dovere della politica, è una battaglia civile e democratica che deve restituire dignità ai detenuti e alle detenute, senso all’obiettivo di reinserimento sociale e assicurare agli operatori del settore ogni strumento utile a lavorare in un clima di serenità e di sicurezza”. È quanto sostiene in una nota il sen. del Pdl, Luigi d’Ambrosio Lettieri, segretario della Commissione sanità di Palazzo Madama. Comi (Pdl): obbligo futuro governo sanare emergenza “Obbligo e dovere morale del futuro governo sarà quello di sanare in tempi rapidi l’emergenza carceri. La sentenza di condanna a pagare una multa, espressa ieri dalla Corte europea dei diritti umani nei confronti dell’Italia per il sovraffollamento e l’imbarbarimento dei nostri istituti penitenziari, riporta in primissimo piano la questione. E induce a una profonda riflessione, innanzitutto il mondo politico, su una realtà vergognosa e indegna di un Paese civile e democratico, correttamente definita dal presidente Napolitano una “mortificante conferma” dell’incapacità dello Stato di assicurare diritti basilari ai reclusi”. Lo afferma Lara Comi, europarlamentare del Pdl. Rao (Udc): eliminare stato illegalità entro 100 giorni “Quello che non si è fatto in questa legislatura dovremo farlo nei primi 100 giorni della prossima. Occorre tirare fuori le carceri dalla situazione di illegalità. È un obbligo giuridico e morale che tutte le forze che si candidano per il prossimo Parlamento devono assumere nei confronti dei cittadini e dell’Europa”. Lo afferma il deputato dell’Udc Roberto Rao. “Una delle più gravi mancanze di questa legislatura - aggiunge - è stata l’incapacità di rispondere con norme e provvedimenti adeguati all’emergenza carceraria che l’odierna sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo certifica come illegale. E a nulla sono serviti i numerosi ed accorati appelli delle massime istituzioni civili e religiose, dal Presidente della Repubblica al Papa. In questi cinque anni il Parlamento è stato costretto a impiegare più di due terzi del tempo dedicato ai problemi della giustizia in uno scontro all’arma bianca su norme ad personam o relative a processi eccellenti. Siamo di fronte ad una emergenza drammatica ed evidente agli occhi di tutti che deve essere affrontata al pari delle altre emergenze nazionali, con rapidità e condivisione. Invece l’ultimo atto di questa legislatura è stata la mancata approvazione da parte del Senato della legge sulle pene alternative al carcere. Basta leggere le statistiche per capire che più dei due terzi di coloro che scontano la pena in carcere vi tornano per altri reati, mentre è recidivo solo il 20 per cento di chi sconta la pena in circuiti alternativi e poco più dell’uno per cento di quanti vengono inseriti nel mondo del lavoro”. “Le soluzioni per affrontare in tutta la sua complessata questo problema - conclude Rao - esistono e noi le abbiamo più volte enunciate e vanno dalla depenalizzazione dei reati minori alla rivalutazione di misure alternative al carcere, dell’uso meno diffuso della custodia cautelare all’adeguamento dell’organico del personale di polizia, dalla riqualificazione delle strutture esistenti alla nuova edilizia carceraria, fino agli accordi internazionali per far scontare ai detenuti stranieri le pene nello Stato di appartenenza”. Vietti (Csm): impegno partiti per le carceri già in campagna elettorale Il tema delle carceri “veda l’esplicito impegno dei partiti in campagna elettorale per proporre soluzioni che il prossimo Parlamento dovrà rapidamente adottare”. È l’auspicio espresso dal vicepresidente del Csm, Michele Vietti, commentando la condanna inflitta da Strasburgo all’Italia per il sovraffollamento dei penitenziari del Paese. “Il Csm fa suo il giudizio del presidente della Repubblica - ha sottolineato Vietti, a margine del plenum di questa mattina - che ha parlato di mortificante conferma di una situazione che aveva già definito a suo tempo indegna di un Paese civile”. A chi gli chiedeva se, di fronte a una tale emergenza, sia ineludibile giungere a un provvedimento di clemenza, Vietti ha risposto: “Sulla clemenza sappiamo bene che c’è un problema politico e numerico. Bisognerà aspettare di vedere la composizione e l’orientamento del prossimo Parlamento”. Palazzo dei Marescialli, ha ricordato il vicepresidente, ha affrontato già la questione degli istituti di pena italiani: il mese scorso ha “approvato una delibera che contiene soluzioni strutturali di modifiche normative che, se approvate, porterebbero a deflazionare il sovraffollamento carcerario”, ha concluso Vietti. Margara: (Garante detenuti Toscana): la condanna dell’Europa non è una sorpresa Alessandro Margara denuncia da tempo le condizioni drammatiche delle carceri anche in Toscana: “Il rischio è che nell’indifferenza generale nulla cambi”. Niente di nuovo sotto il sole, purtroppo. La condanna europea non è certo una sorpresa per chi, come il Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale Alessandro Margara, denuncia con forza da tempo le drammatiche condizioni di sovraffollamento delle carceri in Italia e in Toscana. “La Corte Europea dei diritti dell’uomo - commenta Margara - ha sanzionato l’Italia sul ricorso di alcuni detenuti che fanno parte di un mezzo migliaio che ha fatto analogo ricorso e che otterrà analogo risultato”. E prosegue: “La Corte Europea afferma che l’Italia deve ridurre il numero dei propri detenuti che attualmente è superiore di circa 20mila ai posti disponibili. Questo può essere realizzato nei tempi rapidi richiesti dalla Corte Europea in due modi: o si costruiscono nuove carceri o si fa un ‘bel condonò. Tutte e due le vie sono chiuse, la prima per mancanza di risorse economiche, la seconda per la presumibile opposizione di Monti. L’ipotesi più probabile è che le cose restino come sono fra l’indifferenza generale e che la Corte Europea continui a condannare l’Italia”. La sentenza di Strasburgo condanna l’Italia per il trattamento inumano e degradante di sette carcerati rinchiusi a Busto Arsizio e a Piacenza. La Corte ha riconosciuto un risarcimento per danni morali di centomila euro, invitando l’Italia a porre rimedio al sovraffollamento delle carceri entro un anno. Nota di Francesco Maisto (Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna) Leggo che si ricomincia a rimbalzare tutta la responsabilità sulla classe politica in generale da una parte, e si chiedono azioni urgenti di tutta l’Anm. Verso il futuro Governo. Non credo che tutta e solo la colpa sia della politica in generale, che ha pure le sue responsabilità. Pur essendo convinto assertore del valore unitario delle azioni dell’Anm, non credo che riuscirà a sortire tanto chiedendo impegni di programma in campagna elettorale. Suggerirei, in estrema sintesi: 1. Abbandonare l’ipocrisia che l’approvazione del ddl sulla messa alla prova avrebbe risolto il problema. Comunque gli effetti sarebbero stati molto limitati, nel corso degli anni, in analogia con la 199 (la cd “svuota carceri” - ndr). 2. Lavorare nell’immediato a leggi ferme. Riforme strutturali e di organizzazione si possono attuare e non sono state tentate. Qualche idea c’è in giro. Ma nulla leggo tra agende e programmi. 3. Riprendere i due documenti elaborati dalla Commissione Mista del Csm e subito abbandonati, anche in sede ministeriale. La sola approvazione di alcuni correttivi alla inutile carcerazione proposti avrebbe deflazionato in carcere di 10.000 detenuti! 4. Non puntare sull’edilizia penitenziaria. 5. In linea con la sentenza della Corte, superare lo scandalo della non esecutività delle decisioni della Magistratura di Sorveglianza. Anche qui è illuminante il percorso della Commissione Mista. Ucpi: servono misure strutturali, no propaganda “Quella della Corte europea dei diritti dell’uomo è una sentenza annunciata e conferma la necessità che temi come la crisi delle carceri e la riforma della giustizia, acquistino centralità nel dibattito politico ed elettorale, come l’Ucpi chiede da tempo”. Lo dichiara in una nota l’ Unione delle Camere Penali Italiane. “L’intollerabile situazione delle carceri italiane - continua l’Ucpi, che ci ha fatto meritare l’ennesima condanna della Cedu, è lo specchio fedele di una giustizia che non funziona e calpesta i diritti fondamentali, di cui si dovrebbe però parlare in maniera seria e concreta, soprattutto in campagna elettorale, senza strumentalizzazioni, e senza solidarietà pelose e di maniera. Dicano i rappresentanti dei partiti quali sono le riforme che in tema di giustizia propongono, e dicano soprattutto se sono disposti ad affrontare l’emergenza con strumenti adeguati, come l’amnistia e l’indulto. Si smetta poi di strumentalizzare la mancata approvazione del ddl sulla messa alla prova, provvedimento dal potenziale assai ridotto per come era stato licenziato dalla Camera, e inadeguato a far fronte alla crisi se non profondamente modificato. Il sovraffollamento carcerario è un problema strutturale e va affrontato con riforme strutturali, incrementando le misure alternative e intervenendo sull’abuso della custodia cautelare, ad esempio, ma è anche un’emergenza attuale che pretende scelte coraggiose e non il consueto coro di chi vuole salvarsi, oltre che l’anima, anche i voti, e quindi piange con un occhio solo. Dichiarazione di Lucia Castellano, Assessore del Comune di Milano L’Italia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo per il sovraffollamento delle sue carceri: E’ una notizia che non fa onore a questo Paese, anche perché le norme penitenziarie più avanzate d’Europa (tanto la legge del 75 quanto il regolamento di esecuzione del 2000). Purtropo queste norme non sono mai state applicate nella loro interezza. Non solo. Si sono succedute nel tempo una serie di norme che guardano al solo profilo retributivo della pena (vedi legge ex Cirielli). Sarebbero due, a mio parere, i rimedi per evitare queste ignominose condanne. In primo luogo abolire leggi "carcerogene" come la Bossi Fini e la ex Cirielli e finalmente considerare il carcere l’extrema ratio e non la prima risposta punitiva che ci viene in mente. Ci é di esempio, in questo senso, il progetto di riforma del codice penale del nostro Sindaco, quando era Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati. In secondo luogo, bisognerebbe occuparsi di come organizzare il tempo e le condizioni di vita di chi é recluso in carcere. Cominciando da una banalita: aprire le porte delle stanze di detenzione, come prevede la legge. Ci vuole solo un po' di coraggio: più il carcere è affollato, più le stanze devono stare aperte. E’ un suggerimento che viene dal buon senso, oltre che da una precisa disposizione normativa ( la legge distingue infatti i locali di pernottamento da quelli di svolgimento delle attivita). Una terza via d’uscita a questa vergogna potrebbe essere quella di considrare il detenuto portatore di tutti i diritti civili previsti dalla Costituzione, escluso quello della libertà personale, che è limitata dalla detenzione. In una parola, la pena é il muro di cinta. All’interno di queste mura debbono essere conservati la dignità personale, la libertà di movimento, la responsabilita individuale, la qualità della vita. C’e un esempio in Italia, il Carcere di Bollate. Dove ci si limita ad applicare la legge. Oggi, purtroppo, la vera rivoluzione sta nell'applicazione di quanto già prescritto dal legislatore. Don Spriano (Cappellano Rebibbia): sentenza importante, è ora decisioni “È importante che la sentenza abbia suscitato una maggiore attenzione e riflessione. Ma è ancora più importante che chi può decidere, decida. Ma questo non sta avvenendo”. È il commento al Sir di don Sandro Spriano, cappellano dell’istituto penitenziario di Rebibbia (Roma), alla sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che ha condannato ieri l’Italia per il trattamento inumano e degradante nei confronti di sette detenuti nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza. ‘Sono contento - afferma don Spriano, è una conferma simbolica di quanto denunciamo da anni. Ma ancora una volta, e non sarà l’ultima, è mortificante. Ricordiamo che già c’era stata un’altra condanna della Corte di Strasburgo nel 2009. Il problema è che queste sentenze lasciano il tempo che trovano nell’opinione pubblica. Non so quanti cittadini siano davvero favorevoli o quanti pensino invece che il carcere debba punire al massimo, come sta avvenendo’. Anche se la sentenza riguarda casi estremi, fa notare il cappellano di Rebibbia, “queste situazioni sono oramai diffuse in tutta Italia. I detenuti italiani sono abbandonati. Non hanno più i diritti che dovrebbero avere, prima di tutto il diritto alla dignità”. Don Spriano si augura che “qualche grande politico presente nelle liste elettorali cominci a parlare dei problemi del carcere. Finora non è successo”. Dario Fo: l’Europa ha punito l’Italia e finalmente ha fatto giustizia “È una vergogna”, ma è anche “una giornata straordinaria perché l’Europa ha punito l’Italia e finalmente ha fatto giustizia. Sono anni che diciamo che la situazione del carcere italiano è indegna di un popolo civile”. Dario Fo ha commentato così la sentenza della Corte europea dei diritti umani che ha condannato l’Italia per il trattamento “inumano e degradante” dei detenuti. E lo ha fatto in un contesto che più adatto non si poteva immaginare: il carcere di San Vittore, a Milano, dove un nutrito gruppo di detenuti ha sottolineato con applausi scroscianti la presenza del premio Nobel e il suo discorso. “Oggi - ha aggiunto Dario Fo parlando anche a nome di Franca Rame, invitata ma assente - abbiamo vinto una battaglia. Siamo profondamente felici per aver collaborato, in quarant’anni, alla lotta per una situazione più umana e vivibile del carcere. Speriamo che in questo modo l’Europa abbia spronato il governo che verrà a cambiare le cose, a trasformare le carceri in un luogo dove si migliora e non dove si peggiora”. Il premio Nobel ha ricordato l’impegno suo e della moglie con “Soccorso rosso”, l’organizzazione che negli anni di piombo assicurava assistenza legale ai militanti di sinistra in prigione e monitorava le condizioni carcerarie. E ha ricordato anche il suo arresto, nel novembre del 1973, e la sua breve detenzione a Sassari “per resistenza a un pubblico ufficiale” che - ha ironizzato Fo, ma non troppo - “ha perso due volte il processo e non ha fatto carriera”. Eravamo “leggermente” di sinistra - ha aggiunto - e rompevamo davvero le scatole. Non come la sinistra di oggi, che le rompe di meno, forse troppo poco...”. L’incontro si è aperto a sorpresa con un aneddoto su San Francesco, “anch’egli detenuto quando era un ragazzino”. Perché quella del carcere, secondo l’attore, “è un’esperienza che tutti dovrebbero provare, bisognerebbe fare come in certe tribù dell’Africa, dove i ragazzini vengono tenuti per una settimana in prigione”. L’incontro si è concluso con uno scambio di doni. Dario Fo ha regalato alcuni suoi dipinti e in cambio ha ricevuto dai detenuti diversi oggetti prodotti nella legatoria del carcere, con una dedica che ha commosso il premio Nobel: “A Dario Fo, il giullare che ha saputo donare al mondo pagine teatrali uniche senza dimenticare di lottare per gli ultimi e gli oppressi”. All’incontro, voluto dalla direttrice del carcere Gloria Manzelli e organizzato nell’ambito del progetto “Liberazione nella prigione” con il supporto della Libera Università del Teatro di San Vittore, è intervenuto anche l’assessore comunale Stefano Boeri, che ha ribadito la volontà di portare in carcere, per un giorno, la Pietà di Michelangelo. “E vorremmo - ha detto Boeri - che quel giorno ci fosse anche Dario Fo, un uomo unico perché capace di trasformare gli spazi”. Toscana: il Pd chiede seduta straordinaria del consiglio regionale sui problemi delle carceri Adnkronos, 9 gennaio 2013 Una seduta straordinaria del Consiglio regionale interamente dedicata alla situazione delle carceri in Toscana. La richiesta è stata depositata ieri - primo firmatario Enzo Brogi - e reca le firme di diciotto consiglieri del Pd, tra cui il presidente della Regione Enrico Rossi, il capogruppo Vittorio Bugli e il segretario toscano del partito Andrea Manciulli. Gli altri sottoscrittori sono Caterina Bini, Vincenzo Ceccarelli, Nicola Danti, Ivan Ferrucci, Eugenio Giani, Daniela Lastri, Lucia Matergi, Ardelio Pellegrinotti, Rosanna Pugnalini, Marco Ruggeri, Marco Spinelli, Pierpaolo Tognocchi, Matteo Tortolini e Gianfranco Venturi. Tema specifico della riunione, quindi, sarà “l’emergenza regionale conseguente all’eccessivo sovraffollamento egli istituti penitenziari” e intende dare seguito alla precedente seduta dello scorso settembre che già delineava “una situazione grave e di emergenza dove precise scelte legislative hanno trasformato i penitenziari in luoghi di contenzione, invece che di rieducazione, contrariamente a quanto previsto dalla Costituzione”. “Oramai parlare di emergenza carceri - spiega Enzo Brogi - è dire poco: la recentissima condanna della Corte di Strasburgo che parla di ‘trattamento disumano e degradante” per i detenuti delle carceri italiane ci dice che i problemi si sono acuiti e che non è possibile stare a guardare passivamente. “Siamo consapevoli - continua Brogi - che le risposte principali spettano al parlamento, che purtroppo non è riuscito a produrre nulla di concreto prima dello scioglimento delle Camere, sicuramente per paure elettoralistiche. In Toscana, però, abbiamo una tradizione di civiltà e di grande sensibilità al tema della condizione carceraria e crediamo debba servire da pungolo nei confronti di coloro che dovranno dare risposte urgenti, principalmente sul piano della riforma legislativa delle misure alternative alla detenzione”. “Crediamo - conclude Brogi - di poter offrire un contributo non limitato alla denuncia, ma anche di idee e proposte che scaturiscono da una conoscenza diretta del problema che alcuni di noi hanno avuto modo di assumere grazie alle visite negli istituti toscani svolte a più riprese”. Liguria: Sappe; in Regione oltre 1.800 detenuti per 1.000 posti, possibili ricorsi a Corte Ue Tm News, 9 gennaio 2013 “Mi amareggia come italiano ma non mi sorprende affatto che la Corte europea dei diritti umani abbia invitato il nostro Paese a risolvere il problema strutturale del sovraffollamento delle carceri, incompatibile con la Convenzione Ue. La drammatica realtà delle carceri genovesi e liguri fa ragionevolmente pensare la presentazione di ricorsi analoghi a quelli dei detenuti di Busto Arsizio e Piacenza anche nella nostra Regione”. Lo dichiara in una nota il segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, Roberto Martinelli. “In Liguria - sottolinea Martinelli l’emergenza carceri è sotto gli occhi di tutti: Marassi ha 456 posti letto e 750 detenuti presenti, Sanremo 209 posti e 337 presenze, Chiavari 78 posti e 94 detenuti, Pontedecimo 96 posti letto e 172 presenze, Imperia 69 posti e 120 detenuti, La Spezia 144 posti e 272 detenuti e Savona 75 detenuti per 36 posti letto regolamentari”. Per il segretario del Sappe, si tratta di “un sovraffollamento degradante e costante, che incide pesantemente anche sulle condizioni lavorative dei poliziotti”. Per fronteggiare questo grave problema, secondo Martinelli, “si deve potenziare maggiormente il ricorso alle misure alternative alla detenzione, espellere i detenuti stranieri e favorire nuovi circuiti penitenziari, che ad esempio permettano ai tantissimi tossicodipendenti oggi in cella di espiare la pena nelle comunità di recupero controllati dalla polizia penitenziaria”. Calabria: Consiglio Regionale; la nota del Vicepresidente sulla situazione delle carceri Quotidiano di Calabria, 9 gennaio 2013 “La condanna della Corte europea di Strasburgo all’Italia per il sovraffollamento delle carceri dovrà essere assunta come monito e come uno degli impegni prioritari dal prossimo Parlamento”. Lo afferma il Vicepresidente del Consiglio regionale, Alessandro Nicolò. “L’Italia ha dovuto subire l’ennesima umiliazione su una questione civile assolutamente delicata che connota l’indice di qualità del sistema democratico. Ma i dati - prosegue Alessandro Nicolò - sono inquietanti: sono ventimila i detenuti in più rispetto alla capienza di 45 mila delle strutture operative, di cui il 40% in attesa di giudizio. Lentezze processuali, strutture fatiscenti le cui condizioni si sono ulteriormente aggravate per il taglio delle risorse della Giustizia, relegano il nostro Paese accanto alla Serbia, nonostante il decreto salva-carceri, che ha permesso di deistituzionalizzare ed assegnare alla pena alternativa ben tremila detenuti. Secondo i dati dell’associazione Antigone - prosegue Alessandro Nicolò - fatta base cento per posti letto, sono 142 i detenuti in Italia, a fronte di una media europea del 99% circa. Tutto ciò, in condizioni fatiscenti, spesso senza acqua e servizi igienici minimi, situazioni - sottolinea Nicolò - che inducono fatalmente atteggiamenti autolesionistici, forme di aggressività, ulteriormente moltiplicate dall’insufficienza di personale di polizia penitenziaria, di servizi sociali, di strutture alternative aperte, come nel caso del Luigi Daga di Laureana di Borrello. È dunque necessario stringere i tempi - suggerisce Alessandro Nicolò - individuando, nel contingente, istituti giuridici che consentano forme di detenzione extracarceraria, e, nel contempo, accelerare tutte le procedure amministrative affinché strutture di detenzione come il supercarcere di Arghillà, siano al più presto messe nella condizione di operatività. La sentenza di Strasburgo - conclude il Vicepresidente del Consiglio regionale - è stata uno spartiacque senza ritorno per il nostro sistema penitenziario cui occorrerà la massima attenzione, nonostante i tempi di crisi, poiché rappresenta uno degli indici di civiltà, di autorevolezza di uno Stato che non dia l’impressione di comminare soltanto vendette, ma che sia garante delle parti, aggressori ed offesi, con i canoni della democrazia compiuta”. Piemonte: Radicali; da tre anni attendiamo la nomina del Garante regionale dei detenuti Adnkronos, 9 gennaio 2013 “A 3 anni dall’approvazione della legge non si è ancora proceduto alla nomina del garante dei detenuti e all’attivazione delle importantissime funzioni. Nomina e attivazione delle funzioni sono un obbligo che oggi il Consiglio regionale del Piemonte sta violando”. Così in una nota Salvatore Grizzanti e Igor Boni, rispettivamente segretario e presidente Associazione radicale Adeliade Aglietta. Commentando la condanna all’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, i due esponenti radicali aggiungono: “ogni giorno denunciamo la violazione dei diritti dei carcerati e degli agenti di polizia penitenziaria. Ogni giorno è evidente che tali violazioni non sono un’eccezione ma la regola nelle strutture carcerarie italiane”. Pistoia: Garante; non solo repressione… senza azione rieducativa non c’è alcuna sicurezza di Antonio Sammartino www.gonews.it, 9 gennaio 2013 Condurre in carcere chi commette dei reati, senza svolgere nessuna azione rieducativa non risolve i problemi sulla sicurezza. Le ultime vicende che hanno riguardato il nostro territorio relative al susseguirsi di numerosi furti nelle abitazioni, atti di violenza a scopo di rapina, fino al tragico gesto dell’omicidio di un sacerdote, hanno suscitato in tutti noi un sentimento di allarme sociale, riportando al centro dell’attenzione il tema della sicurezza. Giustamente, e qui senza distinzione di appartenenze politiche, da più parti si richiama alla necessità di maggiori controlli sul territorio da parte delle forze dell’ordine, nonché di un potenziamento dell’attuale organico degli agenti di polizia e quindi di una maggiore capacità nel reprimere gli atti criminosi. Condividendo la preoccupazione per quello che sta accadendo, vorrei sottolineare che sarebbe a mio avviso insufficiente se ci affidassimo solamente ad una risposta di tipo repressivo, in quanto una maggiore sicurezza sociale è anche la diretta conseguenza della capacità da parte di un territorio nel riuscire ad essere anche più attento e rispondente alle necessità e ai bisogni di chi ha meno possibilità e capacità d’integrarsi. Occorre cioè, oltre all’importante e necessario ruolo svolto dalle forze dell’ordine, che gli enti locali esprimano delle politiche sociali in grado di intercettare le aree di bisogno e di emergenza sociale presenti nel nostro territorio, cercando di dare delle risposte concrete e offrire delle alternative a coloro, come purtroppo sempre più spesso tra i giovani e giovanissimi, vedono nella devianza sociale, e quindi nel crimine, l’unica strada possibile. Le realtà presenti sul nostro territorio che operano con i ragazzi e i soggetti a rischio di devianza sociale, come i centri socio educativi, le associazioni di volontariato e le cooperative sociali, svolgono un ruolo di prevenzione, recuperando a ruolo di cittadini, chi potenzialmente potrebbe diventare un domani uno spacciatore, un ladro o un borseggiatore. Come giustamente si ravvisa la necessità di non tagliare le spese e di potenziare l’organico di chi tra mille difficoltà si occupa di ordine pubblico, è allora altrettanto importante che vi sia a mio avviso un’uguale attenzione, già a partire dagli enti locali, nel sostenere queste realtà associative appena descritte, che si occupano principalmente di recupero sociale. Condurre in carcere chi commette dei reati, senza svolgere nessuna azione rieducativa, (prima e durante il periodo detentivo), non risolve i problemi sulla sicurezza, ma li sposta solamente nel tempo. Del resto, rimanendo in ambito penitenziario, tutti i dati ormai confermano che la sola azione repressiva, al di là di quello che verrebbe naturale pensare, genera insicurezza e non sicurezza sociale, producendo e alimentando il fenomeno della recidiva dei reati. Infatti, 7 detenuti su 10 (70%), che scontano l’intera pena in carcere, ricommettono un reato dopo il periodo di detenzione; mentre 2 detenuti su 10 (20%), ammessi alle misure alternative al carcere, ricommettono un reato dopo il fine pena. È compito della Politica guardare al tema della sicurezza senza atteggiamenti pregiudiziali, orientando la propria attività verso quelle azioni che veramente possono portare a dei risultati concreti, evitando, come accaduto in passato, di agire sull’onda dell’emotività che troppo spesso ha avuto come unico effetto solamente quello di alimentare forme di discriminazione e razzismo. Busto Arsizio: direttore del carcere; siamo scesi sotto i 400 detenuti, ma abbiamo 167 posti Varese News, 9 gennaio 2013 Il direttore della Casa circondariale di via per Cassano dopo la sentenza della Corte europea che condanna l’Italia per trattamento inumano dei detenuti spiega che la situazione è leggermente migliorata, ma chiede misure più incisive. Il direttore del carcere di Busto Arsizio Orazio Sorrentini di fronte alla sentenza della corte europea mette davanti i numeri: “Attualmente la situazione nella casa circondariale è molto meno pesante rispetto a quella in cui maturò la denuncia dei detenuti - spiega - nel periodo natalizio siamo scesi sotto i 400 per la prima volta da quando sono a capo di questa struttura, ora i detenuti sono 399”. Con questo Sorrentini non vuole sminuire la situazione di difficoltà: “Dico solo che adesso si respira un po’ rispetto all’autunno del 2011 quando i detenuti toccarono la punta massima di 455”. In quel momento il direttore non si tirò indietro e scrisse una lettera nella quale annunciava che il carcere di Busto Arsizio non avrebbe fatto entrare nemmeno un detenuto in più: “Quest’autunno abbiamo avuto un altro picco toccando quota 440 ma adesso siamo scesi sotto la soglia psicologica anche se, come già ampiamente spiegato in diverse interviste la struttura di Busto Arsizio ha una capienza di 167 detenuti che può tollerare fino ad un massimo di 300 unità, il calcolo è presto fatto”. Il Comitato per la prevenzione della tortura ha fissato in 7 metri quadrati pro capite lo spazio minimo per ogni detenuto ma “ha anche specificato che questa soglia può scendere se all’interno ci sono attività trattamentali che consentono di poter uscire per qualche ora dalla cella - prosegue Sorrentini - in questo caso non può considerarsi tortura”. A Busto si cerca di fare il possibile perché gli spazi ci sono ma i finanziamenti per le attività trattamentali arrivano col contagocce: “ Da quella denuncia qualcosa è cambiato, ad esempio non c’era ancora la cioccolateria, che è stata inaugurata nel novembre 2010 e dalla tarda primavera 2012 abbiamo attivato anche il laboratorio di panificazione - prosegue - quindi possiamo dire che ora la situazione è difficile ma non disperata”. Sorrentini è consapevole che il famoso svuota carceri non sarà convertito in legge e con le elezioni alle porte sarà difficile che qualche forza politica possa proporre un’amnistia o qualcosa di simile e quindi c’è da stringere i denti e andare avanti con quel che c’è. “ Mi rendo conto che sia un problema difficile da risolvere ma la vera soluzione sarebbero le strutture adeguate per le misure alternative alla detenzione - conclude - si veda la situazione degli ospedali psichiatrici giudiziari che dovrebbero essere chiusi a partire dal 2013 ma se non sono state realizzate strutture di altro genere siamo sempre allo stesso punto. Questa sentenza arriva nel momento peggiore per lo Stato italiano che è senza soldi e ha bloccato qualsiasi iniziativa” come, ad esempio, la costruzione di una nuova ala del penitenziario, previsto dall’allora ministro della Giustizia Alfano e sacrificato sull’altare della spending review. In realtà una soluzione per alleggerire la pressione negli istituti lo stesso direttore l’aveva proposta in un’intervista rilasciataci poco dopo essere arrivato a Busto Arsizio: “Le due vere soluzioni sono: una legge che depenalizzi l’uso delle droghe (di fatto sparirebbe lo spaccio al dettaglio e anche le grandi organizzazioni criminali subirebbero un grande colpo, ndr) e il superamento del reato di clandestinità”. Busto Arsizio: nel carcere c’è reparto disabili mai aperto… 13 stanze con palestra e piscina Ansa, 9 gennaio 2013 Un reparto pensato e realizzato per ospitare detenuti disabili, pronto ormai da cinque anni, ma mai entrato in funzione: il materiale è ancora imballato nelle stanze. È una delle contraddizioni, documentate dall’associazione Antigone, da anni attiva in difesa dei diritti dei detenuti, nel carcere di Busto Arsizio, una delle due strutture, insieme a quella Piacenza, finita nel mirino della Corte dei diritti umani di Strasburgo: quattro dei detenuti a cui la Corte ha riconosciuto il diritto a un risarcimento perché costretti a vivere in condizioni giudicate inumane e degradanti, sono infatti rinchiusi nel carcere lombardo. Antigone lo ha visitato l’ultima volta circa tre mesi fa: il 18 ottobre 2012. E all’associazione non risulta che, da allora, la situazione sia cambiata. Nuovo e mai utilizzato per “carenza di personale”, il reparto è composto di 13 spaziose stanze a due letti, con servizi igienici funzionali alla destinazione. La sezione dispone inoltre di una stanza da bagno con vasca e supporti per particolari condizioni di invalidità, di una palestra con attrezzatura (probabilmente da rifinire) per le attività riabilitative, e di una grande sala di circa 100 mq nella cui area centrale è situata la piscina. Tutto documentato dalle foto scattate da operatori di Antigone. Anche la saletta-magazzino dove sono giacenti materiali di vario genere ancora imballati: bancali con scatole incellofanate e scatoloni accatastati. Letti, attrezzature, armadietti: tutto è ancora intonso. Nessun segno sulle pareti. Complessivamente nelle carceri italiane risultavano reclusi, al 15 ottobre 2012, 78 persone con disabilità (76 uomini e 2 donne). Quella di Busto Arsizio potrebbe essere una struttura modello, e invece, per ora, appare solo come uno spreco. Il carcere di Busto Arsizio è fra quelli dove più forte è il problema del sovraffollamento, con un livello del 260%: la capienza regolamentare è di 167 posti, ma si contano 435 detenuti, segnala Antigone. Le quattro sezioni detentive hanno 26 celle originariamente singole e ora tutte a 3 posti, anche con letti a castello da 3. Cancellato il progetto di ampliamento, legato al piano carceri 2010, per ospitare altri 200 reclusi entro giugno 2012. Carente il personale, sotto di 74 unità rispetto alla pianta organica. Solo il 25% dei detenuti lavora all’intermo della casa circondariale, dove si registrano carenza d’acqua e spesso, ai pasti, il carrello termina il cibo prima di arrivare alle ultime celle. Tetto, impianto idraulico, docce e bagni, muro di cinta avrebbero bisogno di manutenzione. Brescia: il 2 gennaio 364 detenuti hanno avviato una “class action” contro sovraffollamento di Anna Della Moretta Giornale di Brescia, 9 gennaio 2013 Un metro quadrato. Questo lo spazio massimo che i detenuti della Casa circondariale di Canton Mombello hanno a disposizione per vivere. Uno spazio talmente ristretto che, spesso, a turno sono costretti a rimanere in piedi, per consentire agli altri, con i quali condividono la triste sorte, di poter svolgere le minime attività di sopravvivenza. Per questo, il 2 gennaio 364 detenuti del carcere di via Spalto San Marco hanno depositato alla segreteria della Corte per i diritti umani del Consiglio d’Europa a Strasburgo, una “class action”, ovvero una denuncia delle loro condizioni di vita. Allegando un video, nel quale si documenta il sovraffollamento, con la presenza anche di otto persone in un’unica cella. Le celle di Canton Mombello, 96 in tutto, sono in parte di 12,40 metri quadrati, di cui quattro calpestabili, e altre di diciotto metri, calpestabili tre. Brescia non è tuttavia sola. Proprio ieri, infatti, la Corte per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha pesantemente condannato il sovraffollamento delle carceri italiane con una sentenza depositata a Strasburgo. Avere un metro quadrato, o poco più, a disposizione per vivere in una cella è considerato “tortura e trattamento inumano e degradante” e viola l’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti dell’Uomo. “Questo problema strutturale - si legge nel giudizio - è ora ben conosciuto a livello nazionale. La Corte chiede alle autorità di realizzare entro un anno misure che rimedino le violazioni della Convenzione relative al sovraffollamento”. Il giudizio si è basato sul ricorso di sette persone detenute nelle prigioni di Busto Arsizio e Piacenza. Ciascuno ha denunciato di aver diviso una cella da 9 metri quadrati con due altre persone, per 3 metri quadrati a testa, di aver sofferto per la mancanza di acqua calda e, in qualche caso, anche per un’illuminazione inadeguata. La Corte di Strasburgo ha ribadito che “la detenzione non comporta la perdita dei diritti garantiti dalla Convenzione” e ha stabilito che lo spazio a disposizione dei detenuti in questione non era conforme agli standard richiesti per un’accettabile detenzione, pari ad almeno 4 metri quadrati per persona. La stessa Corte ha stabilito che i sette detenuti che hanno presentato ricorso hanno diritto a un risarcimento, da parte dello Stato italiano, di 99.600 euro per danni non materiali. Quattro di loro avranno, inoltre, diritto a 1.500 euro ciascuno per il rimborso delle spese affrontate nel procedimento. Con la sentenza di ieri, la Corte ha deciso di esprimere un “giudizio pilota”, per denunciare la situazione delle carceri italiane, definendola “strutturale e sistemica” proprio sulla base del ricorso dei sette. Oristano: lettera firmata da 35 detenuti; questo carcere è un lager, meglio la pena di morte Ristretti Orizzonti, 9 gennaio 2013 “Questo non è un carcere ma un lager creato per spersonalizzare il detenuto non per prepararlo a un graduale reinserimento nella società. Si parla tanto di regimi duri per mafiosi, ma qui il regime punitivo lo subiamo noi”. Sono le parole di trentacinque detenuti del carcere di Oristano - Massama “Salvatore Soro” che hanno fatto pervenire una lettera all’associazione “Socialismo Diritti Riforme” rappresentando la realtà detentiva nella struttura penitenziaria inaugurata alla fine di novembre e già sottoposta a pesanti lavori di restauro. “Le nuove strutture penitenziarie hanno necessità - osserva la presidente di SdR Maria Grazia Caligaris - di un opportuno periodo di rodaggio durante il quale testare i dispositivi di sicurezza e quelli relativi alla vita comune come le cucine, le docce, i servizi igienici, i dispositivi elettrici nonché l’organizzazione interna con un numero adeguato di Agenti di Polizia Penitenziaria e di operatori. Per mettere in moto e gestire una struttura così complessa e delicata sono necessarie progettualità e gradualità che poco si conciliano con un’assurda approssimazione che crea soltanto gravi difficoltà. La pretesa urgenza di aprire la struttura per rimediare ai danni del sovraffollamento e della vetustà del carcere di piazza Mannu ha determinato gravi disagi non solo ai detenuti e a tutti gli operatori ma anche ai familiari dei ristretti doppiamente penalizzati dalle difficoltà per raggiungere un carcere costruito volutamente in una zona isolata. La macchina quindi non funziona e nascondere la realtà non giova”. “Qui - viene precisato dai firmatari della missiva - si trovano persone che devono scontare 10 giorni, alcuni mesi o qualche anno insieme ad altre che hanno alle spalle oltre 35 anni di reclusione. Non esiste la socializzazione né nelle celle né nell’apposita saletta. Non funziona la palestra né il campo sportivo né è possibile svolgere alcuna attività ginnica. Perfino il cibo è scarso e per dotarsi di qualche tegame si devono fare acrobazie. La situazione è ancora più critica relativamente al vestiario che è ridotto allo stretto necessario e chi non ha colloqui con i familiari non può neanche lavarsi i panni in quanto è vietato stenderli. Le porte delle celle sono sempre chiuse e spesso vengono chiusi gli spioncini. Anche le docce funzionano solo a tratti e così il riscaldamento. Insomma è vero che il carcere è aperto da poco tempo ma noi non abbiamo colpa e non abbiamo chiesto noi il trasferimento a Oristano. È assurdo infine - conclude la lettera - che non si possano acquistare prodotti per la pulizia delle celle. Se queste sono le condizioni in cui siamo costretti a sopravvive allora è meglio che venga ripristinata la pena di morte”. Roma: nel carcere minorile di Casal del Marmo un oliveto per combattere la recidiva Redattore Sociale, 9 gennaio 2013 L’Associazione italiana agricoltura biologica e la azienda cosmetica Lush danno vita alla coltivazione nell’Istituto minorile di Casal del Marmo. Al via anche un corso di formazione per i ragazzi. Acquisiranno competenze utili per il reinserimento sociale. Nel giorno della condanna da parte della Corte di Strasburgo sulle condizioni delle carceri italiane, nell’Istituto minorile di Casal del Marmo di Roma mette radici un progetto per incentivare la riabilitazione e il contrasto alla recidiva. Si tratta di un uliveto biologico che sorgerà su un terreno incolto dell’Istituto grazie al progetto “Piantiamo valori” promosso e curato da Aiab (Associazione italiana agricoltura biologica) e finanziato da Lush, azienda produttrice di cosmetici. I lavori appena iniziati prevedono la realizzazione di un oliveto con settanta alberelli che verranno piantati nei prossimi giorni, mentre per i ragazzi verrà attivato un corso di formazione sul campo per la cura, la potatura delle piante e la raccolta delle olive. “Con questa iniziativa - spiega l’associazione - l’istituto minorile, che già gestisce una piccola fattoria, si doterà di una struttura produttiva che durerà nel tempo, mentre i ragazzi avranno la possibilità di crescere coltivando e di responsabilizzarsi attraverso la cura delle piante. Inoltre potranno acquisire interessi e competenze utili per il fine pena per il reinserimento sociale, necessario anche per evitare la recidiva”. Il progetto, realizzato con la collaborazione dell’Istituto minorile di Casal del Marmo, fa seguito ad un protocollo d’intesa tra e il Centro di Giustizia Minorile del Lazio che ha già consentito la realizzazione di una bioterrazza nella sezione femminile del Centro di Prima Accoglienza di Roma, con un vero e proprio orto pensile. “Il progetto - afferma Alessandro Triantafyllidis, presidente di Aiab,- è frutto di un’interessante sinergia tra associazioni, istituzioni e imprese private a sostegno di obiettivi sociali e si inserisce in un quadro più ampio dell’iniziativa di Aiab sull’agricoltura sociale che rappresenta, oltre ad un’occasione di diversificazione e innovazione dell’attività agricola, anche l’espressione piena del valore civico, sociale ed ambientale dell’agricoltura biologica. Da anni la nostra associazione è impegnata a promuovere la crescita dell’agricoltura biologica nelle colonie ed istituti penitenziari, nella convinzione della grande efficacia del lavoro agricolo anche a fini riabilitativi e del contrasto alla recidiva”. Milano: “Il filo dimenticato”, una mostra sugli anni bui del carcere di San Vittore di Chiara Sirianni Tempi, 9 gennaio 2013 Apre una mostra particolare all’interno del penitenziario milanese. Venti teli ricamati dalle detenute raccontano un biennio drammatico della storia milanese Una scatola di fili da ricamo appartenuta a una donna ebrea, deportata con la sua famiglia, ritrovata dopo anni un negozio parigino. È il punto di partenza di una mostra inedita: venti opere cucite a mano dalle detenute di San Vittore su disegni di Alice Werblowsky, alcune sulle stesse lenzuola della Casa Circondariale al centro di Milano, per riportare alla memoria i drammatici episodi avvenuti in quelle stesse mura tra il 1943 e il 1945. Un biennio drammatico della storia italiana e in particolare milanese, che ha visto le SS trasformare uno dei più conosciuti istituti di pena in un campo di internamento, in cui furono reclusi in condizioni disumane centinaia di ebrei e di detenuti politici. Le stoffe sono state ricamate a punto filza da 23 donne recluse: (Sabina, Sanela, Nadica, Susanna, Malena, Razja, Patricia, Taide, Sara, Elisabetta, Mariangela, Lidia, Loredana, Annamaria, Claudia, Cristina, Sarioska, Loredana, Rosa, Isabella, Paola, Katia, Marianna). La mostra sarà aperta ai visitatori all’interno del IV raggio, lì dove furono rinchiusi gli ebrei prima di essere deportati nei campi di sterminio. Al loro arrivo nel penitenziario gli ebrei non venivano registrati con nome e cognome ma solo con la lettera “e” seguita da un numero: E1, E2, E3. Niente più identità, e totale isolamento. Subirono torture, stupri e violenze. Del primo gruppo (600 adulti e 40 bambini partiti da San Vittore il 6 dicembre 1943 direzioni Auschwitz-Birkenau) tornarono solo 14 adulti e una ragazzina di 13 anni, Liliana Segre. In due anni i convogli diretti dal San Vittore ai campi di sterminio e di transito furono quindici. “Il filo dimenticato: 1943-1945, gli anni bui di San Vittore” evoca anche alcuni episodi di profonda umanità. Per esempio la storia di Andrea Schivo, la guardia di San Vittore che di nascosto dava da mangiare ai bambini: scoperto, fu spedito nel campo di Flossenburg. Giace nel Giardino dei Giusti dello Yad Vashem, a Gerusalemme. O come Giuseppe Grandi, giardiniere: aiutò le famiglie di ebrei a raggiungere la Svizzera, fu arrestato e deportato in Germania, a Buchenwald. O suor Enrichetta Alfieri, soprannominata “l’angelo di San Vittore” perché portava nascosti nelle maniche della tonaca bigliettini (chiamati in codice “le farfalle”) alle famiglie dei prigionieri. Anche lei fu scoperta e rinchiusa per settimane nei sotterranei del carcere. Per visitare la mostra (patrocinata dal Comune di Milano) è obbligatoria la prenotazione quindici giorni prima inviando i propri dati (nome, cognome, luogo e data di nascita) al seguente indirizzo email: ilfilodimenticato(et)saman.it. Per entrare è necessario esibire un documento di riconoscimento. Dove: IV raggio della Casa Circondariale San Vittore, Piazza Gaetano Filangieri 2 Milano. Quando: dal 25 al 27 gennaio 2013. Orari: Venerdì 25-01 aperto alle scuole: 09.30-11.00 / 11.30-13.00/ 13.30-15.00/ 15.30-17.00. Sabato 26-01 aperto al pubblico: 09.00-10.30 / 13.30-15.00 / 15.30-17.00. Domenica 27-01 aperto al pubblico: dalle 13.30- 15.00 / 15.30-17.00. Gran Bretagna: il Governo per risparmiare investirà di più sulla riabilitazione dei detenuti di Leone Grotti Tempi, 9 gennaio 2013 Oggi il ministro della Giustizia Chris Grayling ha presentato una riforma che prevede la riabilitazione e il lavoro per i detenuti: “La recidiva è altissima, continuare con questo sistema sarebbe follia”. Il Regno Unito non è stato condannato come l’Italia dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo per trattamento inumano e degradante dei detenuti, eppure ha deciso di puntare sulla riabilitazione dei carcerati. Il ministro della Giustizia inglese Chris Grayling ha presentato oggi una riforma, rinominata “rivoluzione riabilitazione”, che prevede per tutti i detenuti con pene inferiori ai 12 mesi un periodo di riabilitazione fuori dal carcere. La riforma non è dettata da umanitarismo (in Inghilterra l’utilitarismo è legge) ma da ragioni economiche. Secondo i dati presentati oggi dal ministro, attualmente il 58 per cento dei detenuti con pene inferiori a un anno torna a delinquere entro l’anno, comportando un costo notevole per le casse statali inglesi: “Oggi noi facciamo uscire i detenuti, una volta scontata la pena, con 46 sterline in tasca e non li aiutiamo in altro modo. E non ci importa se la recidiva è altissima. Continuare con questo sistema, sperando che in futuro porti a risultati migliori, è pura follia”. Per questo il ministro propone, oltre a un periodo di riabilitazione, anche un periodo di impiego del detenuto fuori dal carcere sotto libertà vigilata presso datori di lavoro privati che assumano in prova i carcerati e li “paghino in base ai risultati”. Per aiutare le associazioni private che offrono lavoro ai detenuti, il governo contribuirà con 500 mila sterline. La riforma sarà conclusa in primavera e partirà dal 2015. “Il nostro obiettivo - continua il ministro - è sfruttare l’esperienza delle associazioni e dei privati per abbassare la recidiva. I criminali saranno così puniti ma anche aiutati a passare dal crimine al bene. I soldi dei contribuenti verranno usati solo quando si vedrà che la misura serve a combattere il crimine”. Etiopia: nelle carceri pugno di ferro contro oppositori politici Redattore Sociale, 9 gennaio 2013 Tutto cominciò con un cablo su Wikileaks, poi il blogger etiope Betre Yacob, che in Italia collabora con la rivista assaman.info, ha ricostruito l’inferno delle prigioni: torture, violenze, umiliazioni. Tanti morti e nessuna informazione Tutto comincia da un cablo, pubblicato da Wikileaks. Il titolo è “Dentro le carceri dell’Etiopia”. Il blogger etiope Betre Yacob, che in Italia collabora con la rivista assaman.info, ricostruisce l’inferno delle prigioni di Addis Abeba a partire dal racconto che un membro di alto rango dell’opposizione etiope affida all’ambasciatore statunitense di Addis Abeba Donald Yamamoto. Sembra di rivedere quanto accaduto ad Abu Grahib, il carcere iracheno finito nel 2004 al centro di un’inchiesta per le torture a cui erano sottoposti i detenuti, per mano dei soldati americani. Qui a perpetrare le violenze sono i secondini del regime etiope, che anche dopo la morte dell’ex presidente Meles Zenawi continua a usare il pugno di ferro contro gli oppositori politici. Nonostante Amnesty International e Human Rights Watch si siano occupate del tema, nessuno aveva mai descritto le atrocità del carcere con la precisione di Betre Yacob. I detenuti politici delle carceri etiopi “sono costretti a stare bendati e appesi per i polsi per diverse ore, incatenati e picchiati, tenuto in isolamento per diversi giorni o settimane o mesi, sottoposto a torture mentali come le molestie e umiliazioni, costretti a stare in piedi per oltre 16 ore, e con oggetti pesanti appesi ai propri genitali”, scrive Yacob. Alcuni oppositori al regime hanno trovato la morte nelle celle di Addis Abeba. Secondo il report all’ambasciata statunitense, Tsegaye Ayele Yigzaw, Gedlu Ayele Hulu-Ante e Argata Gobena Maru sono rimasti uccisi a seguito dei colpi subiti, mentre una donna incinta, Webit Lengamo, ha abortito a causa delle percosse. In più, secondo quanto riporta Donald Yamamoto, ci sarebbero anche dei veri e propri desaparecidos nelle carceri di Addis Abeba. L’oppositore al regime che fu di Zenaw, oggi in mano al suo ex vice Hailemariam Desalegn, racconta di aver parlato con quattro detenuti arresti ad Hargeisa, in Somaliland, con l’accusa di essere parte del Fronte di liberazione Oromo, un gruppo armato bandito dal governo di Addis Abeba. Per due anni nessuno di loro ha avuto un regolare processo e nessun familiare è stato avvisato dell’incarcerazione. Due detenuti politici finiti in cella per “incitamento alla violenza” durante le elezioni politiche del 2005 “ricevono un pasto ogni due giorni ed è loro proibito di fare una doccia e cambiare vestiti”, scrive Yacob. Il piu’ oscuro tra i penitenziari d’Etiopia si chiama Ma-ekelawi, in cui i prigionieri stanno ammassati in 12 in piccole celle di 4 metri per 4. Uno di quei luoghi dove chi entra non sa se riuscirà mai ad uscire. Yacob descrive la struttura, divisa in una parte “aperta”, con dodici celle, sei per lato, divise da un terreno di circa due metri di lunghezza. “Ci sono otto bagni e due docce per circa 100 detenuti”, spiega Yacob. Ma è il settore “sotterraneo”, quello dove si trovano le celle d’isolamento, il teatro delle violenze. Iraq: Compagnia Contractor Usa paga 5,28 milioni a 71 ex detenuti Abu Ghraib torturati La Presse, 9 gennaio 2013 La Compagnia militare privata statunitense Engility Holdings, la cui consociata era stata accusata di torture nei confronti di detenuti nella prigione di Abu Ghraib in Iraq, ha pagato 5,28 milioni di dollari a 71 persone detenute nella base e in altri centri gestiti degli Usa tra il 2003 e il 2007. L’accordo segna il primo successo degli avvocati degli ex prigionieri di Abu Ghraib. Un altro contractor statunitense, Caci, sarà probabilmente processato l’estate prossima per simili accuse.