Giustizia: la Corte di Strasburgo condanna l’Italia per il sovraffollamento delle carceri di Ilaria Polleschi Reuters, 8 gennaio 2013 La Corte europea per i diritti dell’uomo ha condannato oggi l’Italia a pagare quasi 100.000 euro complessivi di risarcimento a sette detenuti per il sovraffollamento delle carceri, chiedendo inoltre di risolvere al più presto questo “problema strutturale”. Il ministro della Giustizia Paola Severino si è detta “profondamente avvilita”, ma non stupita, dalla condanna. La Corte di Strasburgo, all’unanimità, ha deciso che nel caso sollevato da sette detenuti nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza c’è stata la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quello che proibisce la tortura o i trattamenti inumani o degradanti. L’Italia è stata dunque condannata a pagare 99.600 euro di risarcimento ai sette, più 1.500 euro ciascuno per il pagamento delle spese. L’Italia da anni combatte il problema del sovraffollamento delle carceri - che contano oltre 65.000 detenuti contro una capienza di 45.600 posti - e lo stesso presidente della Repubblica nei mesi scorsi ha definito la situazione a un punto critico insostenibile che necessita di soluzioni coraggiose. Il Partito Radicale da tempo chiede un’amnistia e oggi il suo leader Marco Pannella - che prima delle feste ha affrontato un pesante sciopero della fame e della sete per denunciare la questione - ha rivolto un invito a “(Mario) Monti, a (Pierluigi) Bersani e al leader berlusconiano Bobo Maroni: di interrompere l’infame flagranza da Quinto Mondo nel quale siamo immersi”. Nella sua decisione, non ancora definitiva, la Corte ha stabilito che i detenuti in Italia, con solo 3 metri quadrati di spazio ciascuno, usufruiscono di almeno un metro quadro in meno rispetto agli standard europei, che fissano lo spazio vitale a 4 metri. La mancanza di spazio viene esacerbata in alcuni casi da altre condizioni, come la mancanza di acqua calda per lunghi periodi e l’inadeguatezza di luce e ventilazione, spiega la Corte sul proprio sito web. La Corte ribadisce che il verdetto impone all’Italia un obbligo legale a implementare le misure appropriate per assicurare ai ricorrenti il diritto che per il tribunale è stato violato. Inoltre, la decisione è considerata un “giudizio-pilota”, il che obbliga lo Stato a risolvere numerosi casi individuali relativi agli stessi problemi strutturali a livello interno. Sovraffollamento è strutturale Nella sentenza di condanna emessa oggi, i giudici della Corte europea dei diritti umani constatano che il problema del sovraffollamento carcerario in Italia è di natura strutturale, e che il problema della mancanza di spazio nelle celle non riguarda solo i 7 ricorrenti: la Corte ha già ricevuto più di 550 ricorsi da altri detenuti che sostengono di essere tenuti in celle dove avrebbero non più di 3 metri quadrati a disposizione. I giudici chiamano quindi le autorità italiane a risolvere il problema del sovraffollamento, anche prevedendo pene alternative al carcere. I giudici domandano inoltre all’Italia di dotarsi, entro un anno, di un sistema di ricorso interno che dia modo ai detenuti di rivolgersi ai tribunali italiani per denunciare le proprie condizioni di vita nelle prigioni e avere un risarcimento per la violazione dei loro diritti. Con la sentenza emessa oggi l’Italia viene condannata una seconda volta per aver tenuto i detenuti in celle troppo piccole. La prima condanna risale al luglio del 2009 e riguardava un detenuto nel carcere di Rebibbia di Roma. Dopo questa prima condanna l’Italia ha messo a punto il “piano carceri” che prevede la costruzione di nuovi penitenziari e l’ampliamento di quelli esistenti oltre che il ricorso a pene alternative al carcere. Giustizia: nelle carceri italiane sovraffollamento al 142%, maglia nera nell’Unione europea Ansa, 8 gennaio 2013 L’Italia è maglia nera in Europa per la condizione degli istituti. Il tasso di sovraffollamento delle carceri italiane, secondo l’ultimo rapporto di Antigone, l’associazione che si batte per i diritti nelle carceri, è del 142,5%, dunque ci sono oltre 140 detenuti ogni 100 posti letto, mentre la media europea è del 99,6%. Rispetto a questi numeri record ci sono regioni che statisticamente stanno anche peggio: la Liguria è al 176,8%, la Puglia al 176,5%, il Veneto a 164,1. E ci sono casi limite, in cui il numero dei detenuti è più che doppio rispetto ai posti regolamentari, come nel carcere messinese di Mistretta (269%), a Brescia (255%) e Busto Arsizio (251%). In questi due istituti, come in altre del Nord la presenza di stranieri è superiore a quella degli italiani. A San Vittore (Milano) su 100 detenuti 62 sono stranieri, a Vicenza 65. Le percentuali più alte di stranieri tra i detenuti si registrano in Trentino Alto Adige (69,9%), Valle d’Aosta (68,9%) e Veneto (59,1%). Le più basse in Basilicata (12,3%), Campania (12,1%) e Molise (11,8%). Secondo la sentenza pubblicata oggi l’Italia ha un anno di tempo per decidere misure di compensazione per quei cittadini “vittime del sovraffollamento nelle prigioni italiane”, che la Corte definisce “strutturale e sistemico”. Sono 65.701 i detenuti nelle carceri italiane, di cui ben 25.696 in attesa di giudizio definitivo. Questi i dati, aggiornati al 31 dicembre scorso, del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Nei 206 istituti di pena del Paese vivono dunque oltre 65mila persone, a fronte di una capienza regolamentare di 47.040 unità. Gli stranieri presenti nei penitenziari italiani sono 23.492. Per effetto della legge svuota-carceri, approvata nel novembre 2010, che prevede l’esecuzione ai domiciliari dell’ultimo anno di pena, sono usciti dai penitenziari 9mila detenuti (9.005), di cui 2.492 stranieri. Secondo la Corte dei diritti dell’Uomo, con il sovraffollamento delle carceri l’Italia viola l’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti dell’Uomo, che proibisce la tortura e il trattamento inumano o degradante. “Questo problema strutturale - si legge nel giudizio - è ora ben conosciuto a livello nazionale. La corte chiede alle autorità di realizzare entro un anno misure che rimedino le violazioni della Convenzione relative al sovraffollamento”. Il giudizio si è basato sul ricorso di 7 persone detenute nelle prigioni di Busto Arsizio e Piacenza. Ciascuno ha denunciato di aver diviso una cella da 9 metri quadrati con due altre persone, per 3 metri quadrati a testa, di aver sofferto per la mancanza di acqua calda e in qualche caso anche per una illuminazione inadeguata. La Corte di Strasburgo ha ribadito che “la detenzione non comporta la perdita dei diritti garantiti dalla Convenzione” e ha stabilito che lo spazio a disposizione dei detenuti in questione non era conforme agli standard richiesti per un’accettabile detenzione, pari ad almeno 4 metri quadrati per persona. Il problema, ha riconosciuto la Corte, è stato accentuato dalla mancanza di acqua calda per lunghi periodi e di illuminazione nel carcere di Piacenza. La scelta di esprimere un “giudizio pilota” è determinata dal fatto che “il sovraffollamento delle carceri in Italia non riguarda soltanto i cittadini che hanno presentato il ricorso”: infatti, “la natura strutturale e sistemica del sovraffollamento è emersa chiaramente in occasione della dichiarazione di uno stato di emergenza nazionale da parte del presidente del consiglio nel 2010”, ed è confermata anche dalle “diverse centinaia di denunce pendenti presso la Corte” sull’argomento. Anche se Strasburgo non può determinare le scelte di politica penale degli Stati, o su come devono organizzare i loro sistemi detentivi, la Corte “incoraggia giudici e inquirenti a fare un maggiore uso, laddove possibile, delle misure alternative alla detenzione e cercare di ridurre il ricorso al carcere, per affrontare il problema della crescita della popolazione carceraria”. A Piacenza e Busto Arsizio situazione critica Nelle due regioni in cui si trovano le carceri di Piacenza e Busto Arsizio, al centro della sentenza della Corte di Strasburgo, la situazione complessiva descritta dai dati del Dap è la seguente: in Emilia Romagna il numero di detenuti complessivo è 3.469 contro una capienza regolamentare di 2.464 unità e tollerabile di 4.143; in Lombardia sono presenti 9.307 persone nelle carceri contro una capienza di 6.051 e una capienza tollerabile di 9.179. Per quanto riguarda in particolare la casa circondariale di Piacenza, Antigone indica che la struttura - che risale agli anni 70 - è omologata per una capienza di 178 detenuti, ha una capienza tollerabile di 362, ma ospita 390 persone. “Le celle sono di 9 mq compreso il bagno, con 3 - 4 detenuti per cella”, segnala l’associazione. “Mediocre lo stato di manutenzione della struttura: pareti scrostate, non vengono riverniciate da tempo, cancelli sono arrugginiti, il pavimento in linoleum si scolla, la pulizia della struttura non è particolarmente buona. Le celle denotano notevole trasandatezza: letti a castello arrugginiti, pareti scrostate, luce ridotta dal sovraffollamento e nei corridoi insufficiente”. “Cronica mancanza di acqua calda”. A Busto Arsizio “a fronte di una capienza regolamentare di 167 posti, si contano 435 detenuti (ma si è arrivati anche a 450 detenuti), il 260,5% della capienza regolamentare”. “Le quattro sezioni detentive, nel corpo centrale dell’Istituto, hanno 26 celle originariamente previste come singole e ora tutte a tre posti, anche con castelli da 3. I bagni delle celle, tutti con acqua fredda, opportunamente isolati, hanno Wc alla turca, lavandino, bidet”. “Il vitto distribuito sembra preparato con cura ma in tutte le sezioni si rileva che le distribuzioni non avvengono in quantità sufficiente”. Giustizia: Severino; sono avvilita dalla condanna di Strasburgo, ma c’era da aspettarselo Ansa, 8 gennaio 2013 “Sono profondamente avvilita ma purtroppo l’odierna condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo non mi stupisce”. Così il ministro della Giustizia Paola Severino in merito alla sentenza di Strasburgo sul sovraffollamento carcerario italiano. “In questi tredici mesi di attività ho dato la priorità al problema carcerario: il decreto salva carceri, il primo provvedimento in materia di giustizia varato un anno fa dal consiglio dei ministri e divenuto legge nel febbraio del 2012, ha consentito di tamponare una situazione drammatica. I primi risultati li stiamo constatando: i detenuti che nel novembre del 2011 erano 68.047 sono oggi scesi a 65.725 in quanto il provvedimento ha inciso sul fenomeno delle cosiddette porte girevoli, vale a dire gli ingressi in carcere per soli due - tre giorni, e sulla durata della detenzione domiciliare allungata da 12 a 18 mesi. Tuttavia - prosegue il ministro Severino - questa misura da sola non è sufficiente. Mentre continuiamo a lavorare sul piano edilizia carceraria, servono altre misure strutturali, come ci suggerisce la stessa Corte europea di Strasburgo. Il ddl del governo sulle misure alternative alla detenzione andava esattamente in questa direzione. Il Senato ha però ritenuto che non ci fossero le condizioni per approvare in via definitiva il provvedimento, seppure su di esso la Camera si fosse espressa ad amplissima maggioranza. La mia amarezza, torno a ribadirlo, è grande: non è consentito a nessuno fare campagna elettorale sulla pelle dei detenuti. Continuerò a battermi - come ministro ancora per poche settimane e poi come cittadina - perché le condizioni delle persone detenute nelle nostre carceri siano degne di un paese civile”. Pagano (Vicecapo Dap): misure alternative per affrontare sovraffollamento “Da Strasburgo arriva un’altra condanna che rende ancora più impellente individuare le soluzioni idonee per affrontare l’emergenza sovraffollamento”. Lo dice Luigi Pagano, vice capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, commentando la sentenza della Corte Europea per i Diritti Umani che punta il dito contro la situazione delle carceri italiane. ‘Sicuramente - spiega il vice capo del Dap - una delle strade per affrontare seriamente la questione - oltre ai 2.000 nuovi posti che avremo a breve e al completamento del piano carceri - è l’incentivazione delle misure alternative”. Per Pagano, infatti, “non c’è solo un problema di celle e posti letto: occorre adeguare gli istituti al regolamento di esecuzione della legge penitenziaria varata nel 2.000, che tra le altre misure prevede, ad esempio, docce nelle celle, spazi per attività e altro. Tecnicamente - fa notare - la cella è il luogo di detenzione notturna; la vita dei detenuti dovrebbe svolgersi all’esterno della cella, ed è quello che stiamo cercando di fare con il progetto dei circuiti carcerari. Oltre all’adeguamento strutturale, bisogna qualificare l’attività trattamentale, finalizzandola a pene e misure alternative”. “La messa in prova, ad esempio, non è stata varata - ricorda Pagano - e sappiamo quanto il Guardasigilli Severino abbia sostenuto questo progetto. Occorrerebbe inoltre rivedere quelle norme che pongono dei limiti all’accesso a misure alternative”. In definitiva, “sentenza di condanna o meno, è necessario un progetto globale che veda impegnati legislatore e amministrazione penitenziaria, ma per la sua realizzazione necessita anche del convinto contributo della società esterna. Si chiarisca una volta per tutte che carcere si vuole e cosa si vuole dal carcere”, taglia corto il vice capo del Dap. Giustizia: condanna Corte di Strasburgo, i commenti dei politici e degli operatori sociali Ristretti Orizzonti, 8 gennaio 2013 Chiti (Pd): paese con prigioni disumane non è pienamente civile “La sentenza della Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo, che ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di 7 detenuti, dà ragione a tutti quelli che si battono per migliorare la condizione di vita nelle carceri. Un paese che ha prigioni disumane non è pienamente civile”. Lo ha detto il vice presidente del Senato, Vannino Chiti, in una intervista a Radio Radicale. “La Corte - ha aggiunto l’esponente del Pd - ha evidenziato che per l’Italia la questione del sovraffollamento delle carceri è un problema strutturale. Ricordo che il Pdl e la Lega Nord al Senato hanno affossato la legge sulle pene alternative al carcere, che era stata approvata dalla Camera dei Deputati. Era una misura piccola e limitata, ma andava nella giusta direzione. Il nuovo Parlamento, ammesso che l’attuale governo non riesca ad occuparsene in questo mese, deve farsi carico di questa emergenza, non più tollerabile. La pena deve essere giusta, tempestiva e deve essere unita alla rieducazione, non calpestare fondamentali diritti umani”. Favi (Pd): restituire il senso di umanità al sistema penitenziario “La condanna della Corte europea dei diritti umani per il trattamento disumano e degradante nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, ma che in realtà costituisce una pesante censura per lo stato di degrado dell’intero sistema penitenziario italiano, sancisce la fine di una sterile quanto ipocrita politica per la gradualità delle misure da prendere per porre rimedio al sovraffollamento”. “L’impegno del Pd è perché il nuovo Parlamento adotti con urgenza provvedimenti per abrogare e correggere le leggi che più concorrono agli alti indici di incarcerazione, agli ingiustificati inasprimenti delle pene introdotti con le politiche della paura e alle preclusioni all’accesso alle misure alternative che in Europa (e perfino negli Stati Uniti) sono indicate come più efficaci soluzioni per la riduzione dell’area dell’illegalità e della recidiva di reato”. “L’impegno e la cura del Pd saranno continue, nella prossima legislatura, affinché si realizzino le condizioni strutturali e di sistema che restituiscano sia alle carceri che alle pene non detentive il senso di umanità, le condizioni di legalità e la costante tensione al recupero delle persone alla convivenza civile al termine della loro sanzione”. Di Giovan Paolo (Pd): ddl misure alternative non può più attendere “Una risposta alla Corte dei Diritti Umani sarebbe potuta essere l’approvazione del ddl sulle pene alternative. Ma il Pdl ha preferito far saltare tutto. Ora dopo il pronunciamento della Ue l’approvazione di tali norme diventa un imperativo per la prossima legislatura”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria, dopo la condanna arrivata oggi all’Italia da parte della Corte Europea per i Diritti Umani per le condizioni dei detenuti nelle carceri. “Da inizio anno ad oggi ci sono già stati due suicidi - continua Di Giovan Paolo. Non si può attendere ancora e prendere tale sentenza come l’ennesima negativa nei confronti dell’Italia. È in gioco la vita di migliaia di persone”. Mantini (Udc): depenalizzazione e amnistia reati minori “La nuova condanna dell’Italia da parte della Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo per il disumano sovraffollamento delle carceri deve far riflettere sulla necessità di porre tra le priorità della nuova legislatura una seria depenalizzazione accompagnata da un’amnistia per i reati minori”. Lo afferma Pierluigi Mantini (Udc). “È necessario cambiare indirizzo con sanzioni alternative, civili e amministrative, e la previsione del carcere solo per i reati più gravi. Ed occorrono istituti penitenziari più civili, con più lavoro per i detenuti e massima sicurezza solo in caso di pericolosità sociale. È necessaria una vera svolta, ci saranno altre condanne dell’Italia da parte della Cedu perché il requisito dei tre metri quadrati di spazio vitale per detenuto non è rispettato”, conclude. Finocchiaro (Pd): condanna corte Ue ci dà purtroppo ragione “La condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani per le condizioni inumane e degradanti nelle carceri non stupisce e dà ragione a chi, come il Pd, ha sostenuto in Parlamento, in prima linea, le ragioni di tutti quei provvedimenti che avrebbero almeno alleggerito la situazione, in attesa di interventi più radicali”. Lo dice Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato. “Proprio prima di Natale, quando ormai la legislatura era agli sgoccioli - ricorda Finocchiaro - ho denunciato in Aula come l’affossamento da parte del Pdl e della Lega del disegno di legge sulle pene alternative al carcere, caro alla cultura del mio partito, segnasse un fallimento della politica. Quel testo, approvato alla Camera dei Deputati, aveva infatti prodotto legittime speranze tra i detenuti e le loro famiglie. Io penso che il futuro governo di centrosinistra si dovrà occupare di rendere più umane le condizioni nei penitenziari italiani e di restituire così, finalmente, alla pena la sua funzione costituzionale di rieducazione del condannato”. Rossodivita (Radicali): bene sentenza, ora Italia ha solo anno di tempo “Accogliamo la sentenza odierna della Corte Europea dei diritti dell’Uomo con grande soddisfazione e, al contempo, con grande sofferenza per il nostro Paese. Tre su sette, decisi dalla Corte con questa sentenza pilota, sono casi che abbiamo seguito nell’ambito dell’iniziativa assunta dal Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei”. È quanto afferma, in una nota, l’avvocato Giuseppe Rossodivita, segretario del Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei, commentando la condanna dell’Italia su ricorsi proposti dal comitato Radicale per la giustizia Piero Calamandrei. “C’è soddisfazione, politica e professionale - spiega l’esponente Radicale - perché si tratta di una sentenza adottata con la procedura della sentenza pilota; per cui la Corte, rigettando tutte le difese avanzate dal governo italiano, alcune persino imbarazzanti, certifica ufficialmente l’esistenza di un problema strutturale all’origine della violazione dei diritti umani dei detenuti e invita l’Italia, entro un anno di tempo, ad individuare una soluzione a questo problema che la pone strutturalmente al di fuori della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo”. “In questo contesto - conclude Rossodivita - la Corte avvisa l’Italia che sono centinaia i ricorsi in attesa di essere decisi, che il loro numero è in continuo aumento e che la loro trattazione rimarrà sospesa per un anno in attesa dei provvedimenti che l’Italia adotterà, invitando altresì lo Stato a sensibilizzare la magistratura nel senso di ampliare il ricorso alle misure alternative al carcere e a ridurre l’anomalia tutta italiana per cui il 40% dei detenuti sono presunti innocenti in attesa di giudizio”. Farina (Pdl): fermare tortura detenuti con l’amnistia “La condanna dell’Italia per la violazione della dignità umana dei detenuti di Busto Arsizio e di Piacenza dimostra una volta di più la necessità di porre termine a una tortura in atto in questo istante. Dinanzi a una situazione così grave, che abbassa il livello di civiltà del nostro Paese assai più che i differenziali finanziari, occorre procedere all’amnistia o comunque a qualsiasi strumento che tolga dalle mani dello Stato l’arma del boia”. Lo dichiara in una nota l’on. Renato Farina del Pdl. “Purtroppo è prassi del Ministero della Giustizia non dare una risposta. E ora - conclude Farina - questa risposta la dà la corte Europea”. Tatarella (Fli): condanna Strasburgo macchia per l’Italia “La Corte di Giustizia di Strasburgo ha condannato lo Stato italiano per le inumane condizioni carcerarie riservate ai detenuti, anche a quelli in attesa di giudizio che, Costituzione alla mano, sono da considerare ancora innocenti”. Lo dichiara l’eurodeputato Fli, Salvatore Tatarella. “La condanna relega il nostro paese, una volta culla della civiltà giuridica, fra gli ultimi del terzo mondo. Fra le tante eredità dei governi Berlusconi annoveriamo anche questa infamia che macchia l’immagine dell’Italia nel mondo”, conclude Tatarella. Papa (Pdl): condanna Corte europea certifica ragioni Pannella “È una decisione che certifica a livello europeo le ragioni della lotta di Marco Pannella”. È questo il commento del deputato Pdl Alfonso Papa sulla sentenza di condanna emessa dalla Corte europea dei diritti umani nei confronti dell’Italia per il trattamento inumano e degradante di sette detenuti registrati nei carceri di Busto Arsizio e di Piacenza”. “A ben vedere - sottolinea - il precedente di una tale pronuncia risale al 2009, quando di nuovo la Corte di Strasburgo censurò l’Italia facendo seguito al ricorso di un detenuto nel carcere di Rebibbia. Due punti meritano particolare enfasi: da una parte, la carenza di spazio, meno di tre metri quadrati a testa, è definita come strutturale dai giudici europei; dall’altra, l’Italia è invitata a porre rimedio al problema del sovraffollamento carcerario”. “Basterà questo - si domanda Papa - per svegliare i politici di casa nostra? Nel dubbio - conclude - è meglio appoggiare la lista Amnistia Giustizia e Libertà, guidata dal leader radicale”. Russo Spena (Prc): bene corte Strasburgo, male parlamento italiano “Bene la condanna della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo nei confronti dell’Italia per la violazione dei diritti dei detenuti. Male il Parlamento che non ha fatto, come chiediamo da tempo, una seria riforma del nostro sistema carcerario: in Italia è fuori legge e anticostituzionale, perché trasforma la pena in vendetta”. Così, in una nota congiunta, Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista, e Giovanni Russo Spena, responsabile nazionale Giustizia, commentano la condanna all’Italia da parte della Corte Ue per il sovraffollamento delle carceri. “Ci vogliono misure alternative alla detenzione - sottolineano - e bisogna abrogare leggi che sono la causa diretta del sovraffollamento degli istituti di pena, come la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi”. Serracchiani (Pd): sentenza non è la prima… ma sia ultima “Non è la prima sentenza di questo tipo: dobbiamo assolutamente fare in modo che sia l’ultima”. Lo afferma Debora Serracchiani, parlamentare europea del Partito democratico e componente della commissione Libertà civili, commentando la sentenza con cui oggi la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante di 7 carcerati detenuti nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza. “Non sono sorpresa di fronte a questa sentenza - prosegue l’europarlamentare - perché in diverse visite ho potuto conoscere la drammatica situazione delle carceri italiane, legata soprattutto al sovraffollamento”. Secondo Serracchiani “la prossima legislatura non potrà evitare di affrontare con urgenza questa situazione scandalosa, sia affrontando con coraggio i nodi della depenalizzazione e delle pene alternative, sia avviando improrogabili interventi di edilizia carceraria. Nell’universo carcere - sottolinea - non ci sono solo detenuti ma anche decine di migliaia di guardie di polizia penitenziaria”. “Il monito europeo purtroppo è la conseguenza di anni in cui questo problema è stato colpevolmente trascurato - conclude Serracchiani - in omaggio alla demagogia e al populismo di alcune forze politiche”. Li Gotti (Idv): vero problema è finanziario “La condanna dell’Italia per il trattamento ‘disumanò dei detenuti a causa del sovraffollamento delle carceri tocca un problema reale che, nel corso degli ultimi dieci anni, non è stato affrontato con decisioni reali”. Ad affermarlo il responsabile Giustizia dell’Italia dei Valori, senatore Luigi Li Gotti, che aggiunge: “nel corso di quest’ultima legislatura, almeno in tre o quattro occasioni, abbiamo sentito parlare del piano carceri. Le ultime comunicazioni da parte del ministero della Giustizia annunciano l’apertura di oltre 6.000 nuovi posti nel prossimo biennio”. “Ovviamente l’attualità del problema non consente soluzioni immediate, a cominciare dalla nuova richiesta insistente di amnistia da parte dei radicali. Si dimentica - aggiunge - che l’amnistia non è un atto del governo ma deve essere approvata dal Parlamento con la maggioranza qualificata dei due terzi e nessuno, in questi cinque anni di legislatura, ha mai chiesto di inserire in commissione l’esame di un tale provvedimento. Per altro, l’amnistia avrebbe un’incidenza scarsissima sulla popolazione carceraria se viene contenuta, così come è sempre stato, per i reati di cosiddetta fascia bassa per i quali non si va in carcere”. “Il problema - conclude Li Gotti - è di natura finanziaria perché esistono carceri già realizzate che non vengono aperte per la mancanza di personale a causa della politica dei tagli lineari. Dicessero che questo è il problema anziché fare chiacchiere inutili”. Gasparri (Pdl): unica soluzione è riforma giustizia “Nel giorno della condanna dell’Europa per la difficile situazione delle nostre carceri, voglio esprimere solidarietà e vicinanza al consigliere del sindacato penitenziario Sappe, Aldo di Giacomo, da un mese in sciopero della fame”. Lo afferma il presidente del gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri. “Conosco Di Giacomo da tempo e so con quanta determinazione si sta impegnando per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di innovare il sistema giustizia. Un agente come tanti, che non gode del clamore mediatico, ma che vive ogni giorno il dramma di migliaia di detenuti costretti in situazioni incivili senza avere alcun capo d’accusa e di colleghi poliziotti sotto torchio morti per suicidio. Per questo - aggiunge, in segno di protesta, ha deciso di sottoporsi allo sciopero della fame ed invocare la riforma della giustizia. Il problema del sovraffollamento delle carceri si risolve in primo luogo con una giustizia giusta, rapida e certa. È impensabile che ancora oggi almeno il 40% della popolazione detenuta sia in attesa di giudizio per colpa di un sistema lento e macchinoso. Con Alfano ministro della Giustizia molto è stato fatto per rendere più snello il sistema, a cominciare dalla informatizzazione delle procure. Ma la strada è ancora lunga ed i rilievi dei giudici di Strasburgo impongono un’accelerazione. Condivido quindi le motivazioni di Di Giacomo e lo invito a desistere dalla sua protesta in considerazione delle sue precarie condizioni di salute. E sollecito tutte le istituzioni a dare risposte immediate”, conclude Gasparri. Co-mai: tutelare diritti e rispettare cultura detenuti stranieri “Tutelare i diritti umani e rispettare di più le abitudini culturali e le festività religiose dei carcerati stranieri o di diverse culture e religioni”. Sono le richieste del presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia (Co-mai) e fondatore di “Uniti per Unire” Foad Aodi, dopo la sentenza della Corte Europea per i Diritti Umani che condanna l’Italia per le condizioni dei detenuti nelle carceri. “Il portavoce della Co-mai Daoudi Tilouani organizza ogni anno una visita ai prigionieri di fede musulmana nell’occasione della fine di Ramdan e della festività del Eid”, ricorda l’associazione in una nota. Aodi chiede inoltre “ai partiti politici di mettere nella loro agenda politica seriamente, non solo nel periodo pre-elettorale o nell’emergenza, soluzioni alle numerose problematiche degli immigrati che sono rimaste irrisolte e contribuiscono all’aumento delle segnalazioni e richieste di aiuto. Gli atti di discriminazione, disuguaglianza, sfruttamento e di razzismo che negli ultimi cinque anni sono aumentati del 30 per cento nell’ambito della sanità, scuola, lavoro, affitti di casa, pubblica amministrazione, trasporti, che arrivano tramite lo sportello Co-mai, Amsi e di Uniti per unire”, ammonisce Aodi. Infine il presidente Co-mai ribadisce il suo appello “a tutti gli immigrati di essere protagonisti e attivi e per determinare insieme a tutti il nostro futuro in Italia per l’interesse comune per andare oltre l’integrazione”. Consolo (Fli): carceri siano priorità assoluta prossimo parlamento “Come il Guardasigilli Severino, siamo avviliti ma non stupiti: denunciamo da sempre l’indegna situazione delle carceri italiane, sotto gli occhi, ma evidentemente non all’attenzione, di tutti”. È quanto dichiara in una nota Giuseppe Consolo, deputato di Futuro e Libertà e presidente del Consiglio di Giurisdizione a Montecitorio, dopo la condanna odierna da parte della Corte Europea del sistema carcerario italiano. “Ci auguriamo - prosegue Consolo - che lo sblocco dei fondi per l’edilizia carceraria e l’approvazione definitiva del decreto sulle pene alternative siano priorità assolute del prossimo Parlamento: la crescita di un Paese passa anche e soprattutto attraverso il rispetto dei diritti fondamentali di ogni persona”. Associazione Detenuto Ignoto: interventi ispirati a visione di sistema “L’ennesima condanna dell’Italia di fronte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha riconosciuto ciò che come radicali andiamo sostenendo da anni ossia che la ‘questione penitenziaria” ha ormai assunto nel nostro Paese una intollerabile configurazione strutturale, tale da rendere improcrastinabili interventi non più caratterizzati da risposte di natura episodica o peggio emozionale, ma ispirati da una visione di sistema e dalla percezione chiara delle criticità che è necessario affrontare”. Lo dichiarano Irene Testa e Alessandro Gerardi, segretario e membro dell’associazione radicale “Il Detenuto Ignoto”, che denunciano il “silenzio imbarazzante” della politica. “Se poi si vanno a leggere anche le frequenti condanne dell’amministrazione penitenziaria davanti al giudice interno in alcuni recenti leading cases - sottolineano - ci si può agevolmente rendere conto di quanto l’attuale situazione di sfascio e di totale illegalità del nostro sistema giudiziario sia il frutto del sommarsi di vari fattori, soprattutto di carattere organizzativo, strutturale e normativo, che hanno operato in una sorta di ‘sinergia perversa”. “A fronte di questa vera e propria emergenza nazionale, il Presidente della Repubblica continua a volgere la testa dall’altra parte - denuncia l’Associazione - mentre i partiti e gli schieramenti politici sono capaci solo di fare appello alla pelosa quanto inconcludente retorica sul sovraffollamento carcerario, salvo poi arrendersi al populismo delle manette al primo crimine efferato che la stampa getta in pasto all’opinione pubblica”. “In questo scenario desolante l’unica forza politica che ha saputo fare della questione giustizia il punto dirimente della propria campagna elettorale è rappresentata dalla Lista di scopo Amnistia, Giustizia e Libertà promossa dai Radicali; per il resto, su tutti questi temi - concludono Testa e Gerardi - visto l’andamento delle prime settimane di campagna elettorale, non possiamo far altro che registrare l’imbarazzante silenzio degli schieramenti politici tradizionali, oltre ad un non meno clamoroso mutismo delle nuove formazioni politiche, a partire dal Movimento 5 Stelle”. Ugl: condanna Strasburgo purtroppo non sorprende “La sentenza della Corte dei diritti umani di Strasburgo sulle carceri, purtroppo, non ci sorprende affatto”. Lo dichiara il segretario dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, spiegando che “chi, come noi, da anni porta avanti battaglie per far emergere le difficoltà di un sistema in cui i tagli orizzontali hanno messo in ginocchio il rispetto della dignità umana prima ancora della sicurezza igienico sanitaria dei detenuti e del personale che vi opera, sa bene che a questo verdetto ne seguiranno presto altri se non si metterà mano in modo deciso a quella che anche il presidente della Repubblica ha definito una barbarie”. Il sindacalista osserva che “gli istituti penitenziari di Busto Arsizio e di Piacenza non sono purtroppo gli unici nel nostro Paese ad essere in una situazione di inaccettabile sovraffollamento, in cui lo spazio a disposizione per ciascun ristretto è sotto il limite previsto dalle convenzioni internazionali. Ci sono infatti altre strutture, anche più note, come San Vittore di Milano, Regina Coeli di Roma, Poggioreale di Napoli e Ucciardone di Palermo, tanto per citarne alcune, in cui la condizione detentiva è non meno preoccupante e, stante la sentenza appena emessa, a rischio di condanna”. “Da tempo rivendichiamo interventi urgenti per affrontare questa vera e propria emergenza, ma i nostri appelli sono rimasti purtroppo inascoltati, tanto che ora ci ritroviamo con una seconda sanzione. Noi non ci arrendiamo- conclude il sindacalista- è infatti nostra intenzione proseguire nella nostra battaglia chiedendo audizione non solo alle istituzioni nazionali interessate, ma anche alle competenti Commissioni del Parlamento Europeo”. Nobile (Pdci-Fds): giusta sentenza Strasburgo Non poteva che essere questo il giudizio della Corte europea dei diritti umani sul sistema delle carceri del nostro Paese. Le motivazioni alla base della condanna inflitta allo Stato italiano non sono certo una novità e vanno ben al di là dei sette casi esaminati: basta entrare nei penitenziari del Lazio per constatare che le condizioni di vita dei detenuti sono inumane, che si sopravvive in assenza di ogni diritto, condividendo una piccola cella con altri sette detenuti, in condizioni igienico sanitarie pietose”. Lo dichiara in una nota Fabio Nobile, consigliere Pdci Fds alla Regione Lazio. “Una situazione –prosegue - che è il risultato di anni di politica degli annunci, di misure propagandistiche ed inefficaci come il piano svuota carceri di Berlusconi, e di leggi vergognose come la Bossi-Fini o la Giovanardi. Oggi - continua il consigliere - la buona notizia è che l’Italia ha un anno di tempo per adottare misure utili a risolvere il problema del sovraffollamento. Un anno in cui verrà sospeso il giudizio su centinaia di ricorsi giunti alla Ue. Se, ancora una volta, il Parlamento perderà l’occasione di porre fine alle gravi violazioni della Costituzione e dei diritti delle persone detenute, sono certo -conclude Nobile- che i ricorsi alla Corte diventeranno migliaia o più”. Giovanardi (Pdl): stop a ipocrisia e disinformazione del governo “Dopo la condanna di Strasburgo per l’affollamento delle nostre carceri, è ora di finirla con l’ipocrita rammarico del governo e la solita disinformazione di chi tira in ballo a sproposito leggi in vigore, come la Fini-Giovanardi sulle droghe”. Lo afferma Carlo Giovanardi, responsabile politiche antidroga del Pdl. “Ribadisco per la centesima volta che se governo e regioni stanziassero i fondi necessari per pagare le rette alle comunità di recupero, già da subito migliaia di detenuti per reati comuni ma tossicodipendenti potrebbero lasciare il carcere per scontare la loro pena curandosi in comunità. Tutto il resto -conclude Giovanardi- sono chiacchiere che servono soltanto a strumentalizzare ideologicamente il dramma del sovraffollamento delle carceri”. De Micheli (Pd): condanna Strasburgo pessima notizia “La condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia per il sovraffollamento carcerario è una pessima notizia, ma purtroppo non arriva a ciel sereno. Durante le mie visite al penitenziario di Piacenza, ad esempio, ho avuto modo di constatare le criticità che permangono nella struttura, nonostante alcuni miglioramenti generali”. Lo rileva la parlamentare piacentina del Pd Paola De Micheli, firmataria di numerose interrogazioni in Parlamento sulla situazione italiana delle carceri. “Abbiamo segnalato più volte in Parlamento, con alcune interrogazioni, che in settori delicati del carcere - prosegue - il sovraffollamento ha toccato livelli insostenibili. È un fattore che contribuisce all’indebolimento della sicurezza di dipartimenti già di per sé delicati. Problemi simili sono stati oggetto di ampie discussioni nelle Commissioni competenti in Parlamento, e in questa legislatura il cosiddetto decreto svuota carceri prevedeva misure di alleggerimento del sovraffollamento carcerario sui migliori modelli europei. Altra urgenza, oltre al sovraffollamento, riguarda la totale inadeguatezza degli spazi carcerari, sia di quelli comuni che in cella. L’ampiezza dei luoghi in cui scontare una pena è fondamentale a garantire il principio costituzionale secondo il quale il detenuto va in carcere per riabilitarsi alla società, per essere recuperato a livello umano e civile”. “Attualmente - sottolinea la parlamentare - stando alle condizioni in cui versano i penitenziari, la considerazione del carcere che viene alimentata è quella che contribuisce a diffondere una concezione punitiva della pena, e nient’affatto rieducativa. Auspico che questa ulteriore condanna dell’Italia sia da stimolo ad un intervento rapido e risolutivo, nel solco costituzionale, all’incivile problema del sovraffollamento carcerario”. Bernardini (Radicali): 80% detenuti sono recidivi, a Bollate solo il 5% Quanto costa al sistema Italia l’attuale condizione delle carceri? Oggi la Corte Europea dei diritti umani ha condannato l’Italia a risarcire alcuni detenuti perché costretti in spazi di circa tre metri quadrati ciascuno. “L’unico carcere italiano civile - afferma la deputata radicale Rita Bernardini - è quello di Bollate dove c’è una percentuale di recidiva del 5%. La media italiana è invece dell’80%”. Bernardini elenca dati che fanno pensare: “1) I detenuti sono circa 66mila per circa 45mila posti; 2) il 37% dei detenuti è di origine straniera; 3) il 42% dei detenuti è in attesa di sentenza, la metà di loro risulterà innocente; 4) in Italia ci sono 5 milioni di cause penali pendenti e altrettante civili; 5) è in atto una amnistia strisciante perché ogni anno ci sono circa 180mila prescrizioni”. Bernardini ritiene che la durata dei processi in Italia sia “irragionevole”. È “indegno” il modo con cui la giustizia viene amministrata nel nostro Paese. Alla domanda se anche Rebibbia possa essere considerato un carcere accettabile, Bernardini risponde: “Sono stata a Rebibbia la notte di Capodanno, reparto maschile G8. I detenuti non avevano neppure il sapone per lavarsi”. Per la deputata radicale va condannata “l’incapacità della partitocrazia italiana di risolvere i problemi strutturali delle carceri e della giustizia. Questo ci fa apparire in Europa come uno Stato non degno di considerazione. La nostra immagine è pregiudicata”. Aiga: politica affronti dramma sovraffollamento “Il mancato rispetto dei diritti umani nelle carceri è moralmente inaccettabile, nonché una palese violazione di quanto stabilito dalla nostra Costituzione. Nonostante ciò, in campagna elettorale il tema è finito in secondo piano, malgrado i dati drammatici sul sovraffollamento negli istituti di pena, in Italia: il nostro tasso è, infatti, il secondo più alto d’Europa dopo la Serbia, con 153 presenze ogni 100 posti letto. Chiediamo che la politica s’impegni per affrontare seriamente questa emergenza”. È quanto dichiara il presidente dell’Aiga, l’Associazione italiana dei giovani avvocati, Dario Greco, commentando la condanna della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo nei confronti del nostro Paese per trattamento inumano e degradante di 7 detenuti a Busto Arsizio e Piacenza. Secondo il leader dei legali under 45 “è più che mai urgente pretendere dallo Stato la tutela delle persone che si trovano dietro le sbarre, specie dei più deboli che stanno espiando una colpa, o che sono addirittura in attesa di giudizio”. Coordinamento Giudici Sorveglianza: situazione drammatica La sentenza della corte dei diritti umani di Strasburgo segue “le reiterate denunce della Magistratura di sorveglianza circa le drammatiche condizioni di sovraffollamento in cui versano gli istituti penitenziari italiani”. Lo sottolinea il coordinamento Nazionale dei Magistrati di sorveglianza che ricorda “il quotidiano impegno della magistratura di sorveglianza nella tutela dei diritti dei detenuti e nella applicazione delle misure alternative alla detenzione”. Nel prendere atto “dell’importante provvedimento della Corte europea ed in attesa di leggerne le motivazioni”, il coordinamento rileva che “per un più efficace esercizio dei compiti che le sono affidati appare tuttavia assolutamente necessario che da un lato siano potenziate le risorse a disposizione degli Uffici di sorveglianza sul territorio e dall’altro che urgenti misure normative vengano approntate dalle istituzioni competenti”. Pisapia: condanna Cedu prevedibile, serve riforma strutturale “La sentenza di condanna per l’Italia da parte della Corte di Strasburgo, sul tema del sovraffollamento delle carceri, era, purtroppo, prevista e prevedibile. Si conferma, ancora una volta, come una riforma complessiva del sistema penale, partendo dalla necessità di un nuovo Codice che sostituisca quello vigente che risale al periodo fascista non sia più procrastinabile. Le carceri scoppiano e sono sempre più disumane, in aperto contrasto con l’art. 27 della Costituzione. Una vera riforma della Giustizia è ormai un problema strutturale, non emergenziale e va dunque risolto con misure altrettanto strutturali. In particolare, sono convinto che si debba puntare con determinazione a uscire dalla logica per cui il carcere sia l’unica sanzione penale. Come dimostra l’esperienza, infatti, vi possono e vi debbono essere, evidentemente in presenza di reati non di sangue e di non grave allarme sociale, pene più efficaci a livello preventivo e repressivo. Ciò, oltretutto, farebbe diminuire la recidiva, il numero dei reati e, nel contempo, accelererebbe i tempi della Giustizia tutelando meglio le vittime dei reati”. Così il Sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, commenta la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani che condanna l’Italia per il sovraffollamento delle carceri. “Come ha giustamente ricordato il Garante dei detenuti del Lazio - prosegue Pisapia - in Parlamento è ferma da tempo una proposta di riforma elaborata dalla Commissione ministeriale, che ho avuto l’onore di presiedere, composta da numerosi professori universitari, avvocati e magistrati. Salvo alcune indicazioni recepite a larga maggioranza, quella riforma non ha mai visto la luce, ma risponde esattamente a quanto chiede la Corte Europea dei diritti umani: il progetto di riforma del Codice Penale prevede, infatti, pene principali diverse da quelle carcerarie e quindi già irrogate dai giudici di merito, quali detenzione domiciliare, pene interdittive, pene prescrittive, messa alla prova anche per imputati maggiorenni, lavori socialmente utili o finalizzati al risarcimento dei danni. Il carcere, che è un’istituzione totale deve essere l’ultima ratio. Tutto ciò, naturalmente, non in presenza di reati di sangue o di gravi condotte penalmente rilevanti”. Da Pisapia anche una precisazione sulla situazione milanese: “Tra pochi giorni - assicura - sarà nominato il Garante dei detenuti, figura istituita in una seduta straordinaria del Consiglio Comunale che si è tenuto nel carcere di San Vittore lo scorso ottobre”. Gonnella (Antigone): Italia rischia enorme spesa per risarcimenti a detenuti “La condanna da parte della corte europea dei diritti umani è una sentenza epocale che rischia di costare all’Italia un’enormità di risarcimenti. Sono infatti oltre 500 i ricorsi presentati da detenuti per le condizioni disumane e degradanti in cella”. Lo dichiara Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, che si batte per i diritti nelle carceri, che ha già presentato 140 ricorsi, di cui molti collettivi. “Ora l’Italia - spiega Gonnella - in base alla sentenza, ha un anno di tempo per rimediare”. “I ricorsi presentati alla corte dei diritti umani - spiega Gonnella - riguardano le condizioni di detenzione degradanti per il numero di metri quadri insufficiente a garantire la dignità umana”. Sotto i tre metri quadri a detenuto la corte stabilisce si configuri il trattamento disumano. “Speriamo che dopo la condanna al risarcimento - prosegue Gonnella - e dunque essendo diventato economicamente costoso non risolvere il problema del sovraffollamento l’Italia prenda urgenti provvedimenti”. “Sarebbe, infatti più conveniente - sollecita - intervenire abrogando tutte le leggi che producono ingiusta carcerazione”. “E comunque - aggiunge - l’amministrazione penitenziaria, nell’immediato, dovrebbe assicurare condizioni di vita interne alle carceri diverse, ad esempio tenendo aperte le celle durante la giornata”. Infine Gonnella, in occasione della campagna elettorale in corso, chiede che le forze politiche “si esprimano su come intendano risolvere il grave problema del sovraffollamento in carcere”. Rathaus (Cir): sentenza obbliga politica a mettere riforma sistema in agenda La condanna del Corte Europea dei Diritti dell’Uomo “obbliga finalmente a inserire in modo chiaro e inequivocabile la riforma del sistema carcerario nell’agenda politica di chi si candida a governare il Paese”. È quanto scrive il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) esprimendo “grande soddisfazione” per la sentenza della Corte con cui l’Italia è stata condannata per la violazione dei diritti umani dei detenuti nelle carceri. “Quello di oggi è un caso pilota - sottolinea il Cir - perché non si applica solamente al caso in oggetto, ma sancisce che il sovraffollamento delle carceri è un problema strutturale del sistema penitenziario italiano”. “È evidente che il tema delle carceri e delle condizioni di detenzione non può più passare in secondo piano - afferma Fiorella Rathaus, responsabile dei programmi Cir di riabilitazione e cura per le vittime di tortura - questa sentenza obbliga “il Governo a mettere in atto, entro un anno dall’entrata in vigore della sentenza, dei rimedi che siano in grado di contrastare in maniera adeguata questo fenomeno”. “Inoltre - aggiunge Rathaus - ci sembra importante cogliere anche questa occasione per sottolineare che in Italia è ancora assente dal codice penale il reato di tortura. Questa assenza ha reso impossibile perseguire in maniera adeguata diversi atti di tortura denunciati negli ultimi anni. L’assenza del reato di tortura e la pratica strutturale di condizioni di detenzione disumane e degradanti costituiscono due vergogne per un Paese che si vuole civile, ed è veramente giunto il momento che in Italia queste tematiche fondamentali vengano affrontate”, conclude. Perego (Cei): misure alternative sono utili alla sicurezza Davanti al dramma del sovraffollamento delle carceri, sanzionato oggi dall’Alta Corte di Strasburgo, occorre “rileggere le misure alternative come un vero strumento per la sicurezza dei cittadini”. Lo ha affermato il direttore della Fondazione Migrantes, promossa dalla Cei, monsignor Giancarlo Perego. “Queste misure - ha osservato il prelato in una conferenza stampa - garantiscono meno recidive, con uno scarto davvero considerevole nei reingressi di chi sconta la pena in questo modo rispetto a quelli che escono dal carcere. Una percentuale che include anche gli stranieri, oggi purtroppo molto presenti nelle carceri italiane”. “Dall’Europa - ha concluso monsignor Perego - arriva un forte richiamo in direzione di una maggiore applicazione delle misure alternative che pur sperimentate con successo sono oggi meno applicate. L’attenzione della Ue ci dice che occorre ritornarci”. Bruno (Garante Emilia Romagna): di sentenze come questa ce ne saranno molte in futuro A fine dicembre la relazione della visita che la Usl è tenuta a fare ha segnalato nel carcere di Piacenza “una situazione di grave sovraffollamento: la capienza è di 182 uomini e 13 donne, ma le persone detenute erano 326”. A dirlo è la Garante delle persone private della libertà personale dell’Emilia - Romagna, avv. Desi Bruno, che preannuncia: “di sentenze come questa ce ne saranno molte in futuro”. In una tale situazione infatti, spiega la Garante, “se metti tre persone in celle da 9 metri quadrati arrivi al limite dei 3 metri a persona, considerati lo spazio minimo vitale”. Inoltre, spiega poi l’avvocato, che sui 326 detenuti, la metà, cioè 158, sono stranieri. E, a Piacenza come nel resto delle carceri italiane, il 20-25% dei reclusi è tossicodipendente. E dire, spiega, che il carcere piacentino è uno dei pochi che ha aperto un reparto di osservazione psichiatrica, “un vero e proprio fiore all’occhiello”, ma, ha aggiunto, “sono i numeri che distruggono ogni tentativo di migliorare. Io sono d’accordo per una misura clemenziale, come amnistia o indulto, ma se non si fanno riforme strutturali, saranno inutili”. La situazione è critica in quasi tutte le strutture detentive della regione, anche se paradossalmente “in alcune situazioni si è risolto grazie al terremotò. Nel senso, spiega la garante, che per evitare situazioni di pericolo ci sono stati consistenti spostamenti di detenuti da Bologna, Ferrara e anche Modena, carcere dove però la situazione resta sovraffollata”. Marroni (Garante Lazio): giusta sentenza Strasburgo, occorre depenalizzare “Quella comminata oggi dalla Corte europea dei diritti umani è una sentenza giusta per un sistema carcerario che, così com’è, viola la Costituzione e lede sistematicamente i diritti delle persone detenute”. Lo dichiara il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni commentando la sentenza con la quale la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per il trattamento riservato a 7 persone detenute a Busto Arsizio e a Piacenza. La magistratura ha anche invitato lo Stato Italiano a porre rimedio, entro un anno, al problema strutturale del sovraffollamento delle carceri, incompatibile con la Convenzione Ue. “La Corte Europea dei diritti umani - ha detto Marroni - non ha fatto altro che fotografare una situazione di emergenza umanitaria che, da anni, andiamo denunciando alla istituzioni nazionali, purtroppo senza avere risposte”. Secondo il Garante, “per rispondere all’invito ad umanizzare le carceri non bastano misure straordinarie, come l’indulto del 2008, visto che solo dopo pochi mesi gli istituti tornarono ad affollarsi. Occorre una profonda riforma legislativa che intervenga da un lato sul codice penale e dall’altro sulla legislazione dell’ultimo decennio tutta centrata sul carcere come “pena regina”. Mi riferisco a leggi come la Bossi-Fini, la Giovanardi, la ex Cirielli: norme che non hanno fatto altro che produrre carcere. L’ultimo vano tentativo di riformare il sistema è stato, la scorsa legislatura, quello nato dalla Commissione Pisapia, oggi sindaco di Milano, che prevedeva un sistema fondato su pene pecuniarie, interdittive, prescrittive e solo alla fine, quando le altre sanzioni apparivano inadeguate, detentive. Una bozza che giace dimenticata nei cassetti del Ministero di Giustizia”. “Per questi motivi - ha concluso Marroni - auspico che il nuovo Parlamento abbia il coraggio di affrontare radicalmente tali problematiche, rivedendo la legislazione in vigore nel senso di prevedere la pena carceraria come extrema ratio e privilegiando misure alternative, ma non per questo meno efficaci, che siano in grado di risanare il sistema”. Fleres (Garante Sicilia): assoluta inadeguatezza del sistema carcerario La sentenza della Corte di Strasburgo che condanna l’Italia a causa delle irregolari condizioni detentive, conferma l’assoluta inadeguatezza, se non addirittura l’illegalità, del sistema carcerario e dell’esecuzione penale nel nostro Paese. Peraltro, numerosi Magistrati di Sorveglianza, alcuni anche su mia iniziativa, hanno già disposto interventi sanzionatori a carico dell’Amministrazione penitenziaria finalizzati al miglioramento delle condizioni detentive. La multa di 100.000 euro imposta allo Stato italiano da parte della Corte di Strasburgo conferma, altresì, quanto ho avuto modo di dire, in più occasioni, al Ministro della Giustizia e cioè che il Governo si troverà davanti ad un bivio: o investirà risorse per migliorare le carceri italiane, o sprecherà pubblico denaro per pagare multe. Dettori (Fp-Cgil): problema dei detenuti vissuto anche dagli operatori “Una sentenza storica che condanna la disumanità del nostro sistema, che emette un giudizio pesante su una classe politica incapace di affrontare il problema, che lo ha eluso approvando troppo spesso norme propagandistiche. Le carceri italiane vivono un’emergenza umanitaria che denunciamo da anni e che è ragione di grave sofferenza tanto per i detenuti quanto per gli operatori”. Con queste parole Rossana Dettori, Segretaria Generale dell’Fp - Cgil Nazionale, commenta la condanna dell’Italia da parte della Corte dei diritti umani di Strasburgo in merito al sovraffollamento delle carceri. “Negli ultimi anni il fenomeno ha subito un’accelerazione - continua Dettori - da una parte a causa di norme insensate e punitive come la Bossi - Fini sulle droghe e la Fini - Giovanardi sull’immigrazione, dall’altra per un impoverimento che l’austerità ha persino aggravato, portando all’impossibilità di affrontare le gravi carenze infrastrutturali”. Mentre i detenuti “marciscono in celle anguste - aggiunge la sindacalista - invece di veder affrontato il problema assistiamo a un pericoloso giro di vite sul lavoro in carcere, un’operazione di trasferimento dai loro luoghi di lavoro dei nostri delegati sindacali e iscritti, rei di aver denunciato la pratica del distacco di poliziotti penitenziari in altre sedi e quindi dell’allontanamento dagli istituti. Distacchi che pesano su un organico pensato per una popolazione di circa 37/38 mila detenuti e che dovrebbe contare su circa 45mila poliziotte e poliziotti. Oggi il rapporto è ribaltato, 68mila a 37mila, 30mila ‘ristrettì in più e 8mila agenti in meno. Su questo non abbiamo ricevuto alcun riscontro nè dalla ministra Severino né tanto meno dal Capo del Dap Tamburino”. Le nostre carceri, conclude la segretaria Generale dell’Fp - Cgil, “sono un’onta che ci allontana dall’occidente e dalla democrazia, un luogo di sofferenza tanto per chi vi è recluso tanto per chi è costretto a lavorarci in condizioni inaccettabili”. Capece (Sappe): non solo Busto e Piacenza, situazione carceri al collasso “Non sono degradanti le carceri di Busto Arsizio e Piacenza, dove anzi il personale di Polizia Penitenziaria svolge ogni giorno un importante servizio di professionalità ed umanità: è l’intero sistema penitenziario al collasso, anche per le incapacità politiche ed istituzionali a risolvere il grave problema del sovraffollamento. Anche per questo il Sappe manifesterà a Roma il prossimo 23 gennaio davanti alla sede del Dap”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria. “Non avere dato seguito al Ddl sulle pene alternative in carcere - aggiunge Capece - indica quale diffuso disinteresse hanno le criticità penitenziarie in Parlamento. Non crediamo che l’amnistia, da sola, possa essere il provvedimento in grado di porre soluzione alle criticità del settore. Quel che serve sono vere riforme strutturali sull’esecuzione della pena: riforme che non vennero fatte con l’indulto del 2006, che si rileverà un provvedimento tampone inefficace”. Capece ricorda inoltre come “poliziotti e poliziotte penitenziarie nel biennio 2011 e 2012 sono intervenuti tempestivamente in carcere salvando la vita ad oltre 2000 detenuti che hanno tentato di suicidarsi e impedendo che oltre 10mila atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare e avere ulteriori gravi conseguenze. E hanno fronteggiato oltre 1.500 episodi di aggressione e circa 8.000 colluttazioni”. Per il Sappe, “si deve potenziare il ricorso alle misure alternative alla detenzione, espellere i detenuti stranieri e favorire nuovi circuiti penitenziari, che ad esempio permettano ai tantissimi tossicodipendenti oggi in cella di espiare la pena nelle comunità di recupero controllati dalla Polizia Penitenziaria”. Capece sottolinea infine come sia giunto il tempo “che la classe politica rifletta seriamente sui contenuti della sentenza di Strasburgo ed intervenga con urgenza per deflazionare il sistema carcere del Paese, che altrimenti rischia ogni giorno di più di implodere. Il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è spesso lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensioni, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Per questo - conclude il segretario - il Sappe manifesterà a Roma, e torna a sollecitare l’adozione di riforme strutturali, che depenalizzino i reati minori e potenzino maggiormente il ricorso all’area penale esterna, limitando la restrizione in carcere solo nei casi indispensabili e necessari”. Beneduci (Osapp): nuova condanna Strasburgo disonore per Italia “Dopo anni di denunce e di segnalazioni come sindacato e come operatori penitenziari, riguardo alle inaccettabili condizioni delle carceri italiane, del tutto inascoltate dall’ultimo governo Monti come dal Parlamento, in qualità di cittadini italiani riteniamo un vero e proprio disonore avere subito una nuova condanna dalla corte europea dei diritti umani di Strasburgo” è tale il commento a caldo espresso dall’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) per voce del segretario generale Leo Beneduci, riguardo alla seconda condanna che la Corte di Strasburgo ha comminato all’Italia per le condizioni di detenzione di 7 detenuti nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza. “Peraltro - prosegue il sindacato - non ci si può aspettare nulla di positivo da un sistema in cui solo 25 infrastrutture penitenziarie su 207 risultano in regola nel rapporto tra i posti disponibili e presenze detentive, mentre 80 carceri hanno superato di oltre il 50% qualsiasi capienza ammissibile con punte di eccellenza negative in realtà persino di grande rilievo quali Milano - S. Vittore: + 138% (in pratica 3 detenuti dove ne può alloggiare uno solo), Ancona + 119%, Firenze - Sollicciano +95%, Lecce + 87%, Napoli - Poggioreale +64%”. “Completa inoltre il quadro, nonostante la grave emergenza in atto - prosegue il leader dell’Osapp - l’assoluta inerzia, la penuria di idee e la lontananza dai problemi concreti da parte di una Amministrazione penitenziaria centrale in cui le logiche di partito e di potere hanno prevalso nelle scelte degli iper stipendiati vertici, rispetto alle capacità e alla competenza, anche durante il governo c.d. tecnico”. “Se non si vuole restare la Cenerentola d’Europa anche in ambito penitenziario e non continuare a subire condanne e richieste di risarcimento dei danni per milioni di euro - conclude Beneduci - occorre deflazionare e riformare il sistema e innovare integralmente l’amministrazione che lo gestisce e che ha lasciato allo sbando, soprattutto nell’ultimo anno, le donne e gli uomini che in carcere vivono e lavorano.” Giustizia: Ristretti Orizzonti; “liste di attesa” per chi deve scontare pene detentive brevi Vita, 8 gennaio 2013 Oggi è arrivata la condanna della Corte Europea per i Diritti Umani sulla situazione carceraria italiana. La Corte parla di violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani che vieta la tortura o il trattamento disumano o degradante esortando il nostro paese ad adottare entro un anno di tempo una misura o una combinazione di misure atte a rimediare. Nel mirino c’è il sovraffollamento e la pronuncia si basa sui casi di alcuni detenuti condannati a scontare pene detentive nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza e che hanno denunciato il fatto di aver dovuto condividere con altri due carcerati una cella di 9 metri quadrati, e lamentato la mancanza di acqua calda e in alcuni casi di un’adeguata illuminazione delle celle. Ristretti Orizzonti da sempre impegnata nelle carceri italiane sottolinea la situazione invivibile delle strutture detentive italiane. Francesco Morelli del Centro Studi dell’associazione è stato raggiunto da Vita.it per capire cosa cambierà con questa sentenza europea. È arrivata una sentenza chiara e inequivocabile... Una sentenza sacrosanta. Per quello che sappiamo sono oltre 500 ricorsi pendenti alla Corte di Strasburgo contro il sovraffollamento portati in parte da Antigone (associazione che lavora per i diritti dei carcerati ndr), in parte dai Radicali e in parte dai singoli carcerati. Credo sia evidente che un problema c’è. La sentenza fa in modo che non ci sia più la possibilità di discutere il dato. Per altro che si tratta di una sentenza pilota. L’Italia deve adeguarsi alle regole europee per la detenzione. Prevedono uno spazio minimo sotto la soglia del quale non si può assolutamente scendere. Il nostro Paese le viola costantemente da anni. Cosa cambierà questa sentenza? Probabilmente nulla. Se chi deve prendere le decisioni avesse la volontà ci sarebbero tanti strumenti per migliorare. Ad esempio? Posto che la costruzione di nuove strutture penitenziarie ci vogliono troppi anni le soluzioni praticabili sono due. Basta guardare all’estero. Da un parte, come fanno in Germania e Norvegia, il differimento delle pene brevi e lo snellimento della custodia cautelare. Per differimento delle pene brevi intende indulto e amnistia? So che in Italia si storce il naso. In realtà non è una vera e propria amnistia. Si tratta più che altro di una lista di attesa. Destinata esclusivamente a condanne sotto i 3 anni. La pena viene scontata quando si libera il posto. E sulla custodia cautelare cosa si può fare? È un problema gravissimo in Italia. Siamo al primo posto nel mondo per numero di detenuti in attesa di giudizio. Nel mondo la media è del 15% noi siamo al 40%. Per altro di questo 40% più della metà a fine processo risulta innocente. Lo rivela un’indagine Eurispes sugli ultimi 50 anni. Giustizia: Antigone; il precedente di Izet Sulejmanovic e altri centinaia di ricorsi pendenti Avvenire, 8 gennaio 2013 Il primo a presentare ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro le condizioni inumane di detenzione è stato Izet Sulejmanovic, cittadino bosniaco. Dal luglio 2009 al settembre 2011, a seguito della sentenza “Sulejmanovic contro Italia” del 16 luglio (ricorso n. 22653/2003), sono state 1.580 le richieste arrivate sulla scrivania del difensore civico di Antigone che ha accettato di presentare 150 ricorsi davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro le condizioni inumane di detenzione. Di questi, 30 erano ricorsi collettivi, 60 singoli. Altri 200 sono stati presentati dai detenuti e supervisionati dal difensore civico. Da Asti a Palermo, le condizioni di vita denunciate dai detenuti sono molto simili tra loro. Al “Pagliarelli” di Palermo due vivono per venti ore al giorno in celle di otto metri quadri. Bisogna fare poi i conti con scarsità di luce, bagno privo di acqua calda e di finestra, possibilità di accesso alla doccia soltanto per tre volte a settimana, assenza di riscaldamento. Sedici persone hanno invece presentato ricorso dal carcere di Prato: due persone trascorrono 18 ore al giorno in celle di 5 metri per 2,8 metri. Anche in questo caso, bagno privo di acqua calda e di finestre, docce fatiscenti, celle sprovviste di interruttore interno per l’accensione della luce. Per l’ora d’aria i detenuti devono rinunciare a fare la doccia e mancano le cure specialistiche, effettuate solo per casi particolarmente gravi. Condizioni difficili anche a Poggioreale, dove un detenuto denuncia la presenza di 12 o 13 persone in celle di 8 metri per 4. Gli spazi adibiti a bagno e cucina sono uniti tra loro, le finestre sono munite di schermature. Il tempo trascorso in cella è di 22 ore. Ad Asti, 20 detenuti denunciano celle di 4,46 per 2,43 metri in cui vivono per 20 ore al giorno due detenuti, finestre con doppie grate apribili soltanto in parte, bagno privo di acqua calda e di finestra. Giustizia: il sovraffollamento delle carceri è tortura, la Cedu condanna l’Italia di Matteo Mascia www.rinascita.eu, 8 gennaio 2013 Le carceri italiane rappresentano una vera e propria emergenza. Il sovraffollamento ha ormai superato ogni soglia di tolleranza. Nonostante questo, il Governo e il Parlamento hanno fatto finta di non vedere; sminuendo quanto stesse accadendo tra i cittadini reclusi. Nella sua ultima seduta, il Senato ha addirittura preferito non approvare il disegno di legge sull’introduzione di alcune misure alternative alla detenzione. Era più urgente licenziare la legge con cui si è modificata la disciplina della professione forense. Migliaia di cittadini privati della libertà - il quaranta per cento dei quali in attesa di giudizio - hanno tutto il tempo per aspettare l’avvio della prossima legislatura e la partenza di un nuovo iter legislativo. Pazienza se avvocati e associazioni denunciano senza sosta i pericoli legati alle troppe presenze. A preoccupare non sono solo i rischi connessi alle rivolte ma, soprattutto, quelli legati alla salute. Qualche giorno fa sono stati segnalati casi di tubercolosi tra gli uomini della Polizia penitenziaria, un campanello d’allarme che non può essere sottovalutato. Intanto, l’Italia ha incassato l’ennesima condanna in sede internazionale. Un triste primato davvero inconcepibile per il Paese che diede i natali a Cesare Beccaria. La Corte Europea per i Diritti umani di Strasburgo ha duramente richiamato l’Italia. I giudici evidenziano la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani che vieta la tortura o il trattamento disumano o degradante esortando il nostro Paese ad adottare entro un anno di tempo, una misura, o una combinazione di misure, atte a rimediare alle violazioni della Convenzione risultanti dal sovraffollamento delle carceri. La pronuncia del Tribunale si basa sui casi di alcuni detenuti condannati a scontare pene detentive nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza. Ricorrenti che denunciato il fatto di aver dovuto condividere con altri due carcerati una cella di 9 metri quadrati, e lamentato la mancanza di acqua calda e in alcuni casi di un’adeguata illuminazione delle celle. Per la Corte, “i detenuti in questione sono stati soggetti a trattamento degradante e disumano come risultato del fatto di aver dovuto condividere uno spazio ridotto con altre due persone e che sono stati vittime di discriminazione rispetto ai detenuti che si trovano in condizioni di detenzione migliori”. La Corte ha altresì condannato l’Italia a versare ai detenuti in questione la somma totale di 99.600 Euro oltre ai 1.500 ciascuno per risarcire i costi e le spese sostenute. La vicenda è solo una delle tante sottoposte all’attenzione dell’organismo di Strasburgo. In tantissimi istituti di pena, i reclusi hanno a disposizione meno di quattro metri quadri. Una cifra in grado di far scattare la condanna in automatico. Valgono poco le giustificazioni prodotte dal ministero dalla Giustizia, dicastero che ogni anno deve iscrivere a bilancio migliaia e migliaia di euro liquidati per risarcimenti legati ai problemi strutturali del nostro sistema di esecuzione penale. Il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria potrebbero finire al centro di un’altra polemica. Questa volta i protagonisti delle rivendicazioni sono i suoi dipendenti. La Cgil ha parlato di “trasferimenti punitivi” a cui sarebbero stati sottoposti diversi delegati sindacali. Procedure in netto contrasto con le norme di diritto del lavoro vigenti. I provvedimenti sarebbero stati emessi in seguito alle denunce riguardanti il distacco di personale di Polizia Penitenziaria presso altri servizi e uffici centrali, piaga antica e irrisolta che continua a essere messa in atto dal Dap. Distacchi che pesano ulteriormente - sempre secondo la Cgil Funzione pubblica - su un organico che dovrebbe contare su circa quarantacinquemila poliziotte e poliziotti, così come stabilito dal Dm dell’8 febbraio 2001 pensato per una popolazione di circa trentottomila mila detenuti contro gli attuali sessantottomila. A oggi sono solo 37.500 unità quelle effettivamente in servizio nell’amministrazione penitenziaria, ottomila agenti in meno a fronte di trentamila detenuti in più. Tra quelli in servizio 4.000 circa sono attualmente impegnati in compiti istituzionali diversi da quelli svolti nelle carceri, dal Ministero della Giustizia al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dalle Scuole di Formazione e aggiornamento ai Provveditorati regionali, dagli Uepe (uffici esecuzione penale esterna) al Gom (gruppo operativo mobile), dalle Fiamme Azzurre, all’Uspev (ufficio scorte), dalle Procure della Repubblica alla Magistratura di sorveglianza ai Tribunali e altro ancora. Sono 4.500 circa sono i poliziotti penitenziari che risultano quotidianamente impiegati nei servizi di traduzione e piantonamento, 2800 circa quelli che prestano servizio in amministrazioni ed enti statali e parastatali o vengono impiegati in servizi amministrativi dentro e fuori dal carcere. Circa 1.000 operano nel circuito della Giustizia Minorile. Numeri in grado di ridurre drasticamente il personale in servizio tra le celle degli istituti di pena. Una situazione in grado di far esplodere il numero delle ore di straordinario e l’insorgenza delle patologie legate allo stress. Spesso non lo si ricorda abbastanza, la piaga dei suicidi tra le carceri colpisce anche gli agenti di custodia. Un macabro conteggio che non preoccupa il Ministero. Senza provvedimenti drastici - quali un’amnistia o un indulto - non si potrà riportare alla normalità la condizione dei detenuti. La costruzione di nuovi carceri procede con fortissimi ritardi. La spending review non ha risparmiato nessuna pubblica amministrazione. Giustizia: nuova condanna per “trattamenti inumani e degradanti”… l’Italia è recidiva di Roberto Capocelli www.avantionline.it, 8 gennaio 2013 Il sovraffollamento carcerario in Italia è di natura strutturale. Questa la sentenza di condanna, non inaspettata, emessa oggi dai giudici della Corte europea dei diritti umani. Un problema che va ben al di là del risarcimento disposto per i 7 detenuti che avevano presentato ricorso alla Corte riguardo le condizioni alle quali sono sottoposti nelle patrie galere. La magistratura di Strasburgo, infatti, ha emesso una sentenza di condanna per il trattamento inumano e degradante (violazione dell’articolo 3) di 7 carcerati detenuti negli istituti penitenziari di Busto Arsizio e di Piacenza. Un problema, quello del sovraffollamento, che, come ha affermato Angiolo Marroni, Garante dei detenuti del Lazio, intervistato dall’Avanti!, “ha un’origine decisamente normativa”. La Corte ha ingiunto all’Italia di porre rimedio alla questione entro un anno e pagare ai sette detenuti un ammontare totale di 100 mila euro per danni morali. Allo stato attuale sono più di 550 i ricorsi presentati da altri reclusi che sostengono di essere costretti in celle dove avrebbero non più di 3 metri quadrati a disposizione. I giudici europei chiamano quindi le autorità italiane a risolvere il problema del sovraffollamento delle galere, attuando, soprattutto, provvedimenti che prevedano pene alternative al carcere. Si chiede inoltre all’Italia di dotarsi, entro un anno, di un sistema di ricorso interno che dia modo ai detenuti di rivolgersi ai tribunali italiani per denunciare le proprie condizioni di vita nelle prigioni e avere un risarcimento per la violazione dei loro diritti. La Corte ha infine osservato che nella fattispecie le due carceri, in grado di accogliere non oltre 178 detenuti, nel 2010 ne ospitarono 376, toccando un picco massimo di 415 detenuti. Con la sentenza emessa oggi l’Italia viene condannata una seconda volta per aver costretto i detenuti in celle troppo piccole. La prima condanna risale al luglio del 2009 e riguardava un detenuto nel carcere di Rebibbia di Roma. Dopo questa prima condanna l’Italia ha messo a punto il “piano carceri” che prevede la costruzione di nuovi penitenziari e l’ampliamento di quelli esistenti oltre che il ricorso a pene alternative al carcere. Garante, la Corte europea dei diritti umani condanna l’Italia, bollando il problema del sovraffollamento carcerario come “strutturale”. In cosa affonda le radici questo problema antico del nostro Paese? Sicuramente la situazione carceraria italiana ha un’origine decisamente normativa, nel senso che nel nostro Paese qualunque comportamento non lecito viene punito con il carcere che diventa la pena “eccellente”, la pena privilegiata da applicare in caso di comportamento illecito. Lo scenario degli altri paesi europei è radicalmente diverso da questo punto di vista. Un impostazione, quella italiana, che non rispetta la Costituzione e che determina la situazione con la quale ci confrontiamo oggi. Un problema normativo, dunque. Questa “visione” riesce almeno a garantire davvero la sicurezza? Assolutamente no. Questo tipo di approccio viene presentato come il modo migliore per dare sicurezza ai cittadini, ma, di fatto, non è così. Un approccio “securitario” ha l’effetto di creare solo sofferenza e incattivisce chi si trova in quelle condizioni. In qualche modo, finisce per alimentare il fenomeno criminale. Soprattutto le politiche del centrodestra negli ultimi anni hanno accentuato questa impostazione sbagliata. È necessario, dunque, riformare la legislazione in materia e il codice penale. Bisognerebbe rivedere radicalmente l’impianto delle leggi Bossi-Fini, Giovanardi e la ex Cirielli. Una riforma che, per altro, era stata già immaginata, prevista e proposta da più commissioni, tra le quali quella presieduta da Pisapia. Io penso che bisogna fare di tutto per depenalizzare il comportamento illecito e trasformare l’ordinamento di prevenzione, ma anche di punizione nel senso che non sia necessariamente il carcere la pena. Spero che il nuovo governo abbia il coraggio di fare qualcosa che può anche apparire impopolare presso l’opinione pubblica, ma che si impone come necessaria. Giustizia: carceri, i numeri della vergogna di Emilio Fabio Torsello L’Espresso, 8 gennaio 2013 La Corte europea ha condannato l’Italia. Perché ci sono 21mila detenuti in più rispetto alla capienza massima, ogni detenuto ha meno di tre metri a disposizione e mancano 7000 agenti. Mentre i tagli del governo Monti hanno reso ancora più scandalosa la situazioni nelle celle. Oltre 21mila detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare delle carceri e settemila agenti in meno rispetto all’organico previsto. Sono questi i numeri dell’emergenza penitenziaria In Italia. Sono queste le cifre nude che hanno portato a situazioni come quella di Busto Arsizio e Piacenza, dove i detenuti hanno a disposizione meno di tre metri quadrati e la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha quindi condannato il nostro Paese per trattamento inumano e degradant. Nella sentenza anche l’invito a porre rimedio immediatamente al sovraffollamento carcerario. Il bluff del Piano Carceri Gli spazi nelle carceri sono sempre più ridotti, con padiglioni e strutture nuove che non possono essere aperte per mancanza di personale adibito alla vigilanza. E i detenuti, come denunciato anche nel luglio scorso dall’Associazione Antigone, vengono stipati ovunque, in un contesto di vita carceraria sempre più esasperato, sia per i reclusi che per le guardie chiamate ad assicurare il servizio di vigilanza. Eppure sono anni che i diversi governi che si succedono in Parlamento rilanciano un fantomatico Piano Carceri che, almeno stando ai numeri sulla carta, ad oggi è impossibile da attuare: “Il governo - spiega Fabrizio Fratini, Segretario Nazionale FP Cgil – ha varato una politica di tagli per cui è impossibile avere un Piano Carceri di qualità. Negli anni, in modo propagandistico, sono state annunciate aperture di nuove strutture che per mancanza di personale non si è in grado di far funzionare al di là della costruzione delle mura”. I numeri dell’emergenza Secondo i dati comunicati dal Dipartimento per l’Amministrazione penitenziaria al 31 agosto di quest’anno, dalle carceri italiane mancano circa settemila agenti. Le situazioni più gravi in Lombardia, con 1061 uomini in meno rispetto agli organici previsti, nel Lazio con 945 poliziotti in meno e in Sicilia, con 870 agenti che mancano all’appello. Ma la situazione non è migliore in Piemonte e Veneto (-829), in Toscana (-743), in Emilia Romagna (-531), in Campania (-486). Un segno “meno” che accomuna tutte le regioni italiane. E di notte può accadere che un solo agente sia costretto a vigilare su diversi padiglioni del carcere con il rischio di richiami disciplinari in caso di problemi. Le scorte senza uomini “Mentre il numero dei detenuti è aumentato in modo vertiginoso”, spiega Francesco Quinti, responsabile Sicurezza Fp-Cgil, “il personale di polizia patisce il blocco del turn over, con servizi di scorta ridotti all’osso che spesso non rispettano gli organici previsti, non per poca volontà dei colleghi ma per l’effettiva impossibilità a reperire il personale necessario”. Il personale distaccato Ad aggravare la situazione c’è anche la circostanza per cui almeno il 10 per cento del personale di polizia penitenziaria a disposizione viene distaccato presso i Ministeri (su un totale di circa 37mila agenti). E si tratta di agenti formati per far fronte alle necessità del carcere che vengono invece assegnati a compiti amministrativi: “In questo modo”, continua Fratini, “le risorse vengono sprecate due volte: nella fase formativa e nel successivo utilizzo delle loro capacità”. A questi dati, spiegano ancora dalla Fp Cgil, “vanno aggiunti anche quelli relativi ai comandi disposti verso altre amministrazioni o enti statali e l’impatto che produrrà inevitabilmente il blocco parziale del turn over (calcolato in circa 3.000 unità per i prossimi tre anni) su un’amministrazione che annualmente perde circa 850-900 poliziotti posti in quiescenza o riformati dalla commissione medica ospedaliera perché ritenuti non più idonei al servizio nel corpo. Almeno altri 250 - proseguono - per effetto del medesimo giudizio ai sensi del decreto legislativo 443/92 transitano in altri ruoli amministrativi”. E la pianta organica prevista nel 2001 pare ormai superata e di difficile attuazione. Giarda: “Difficoltà insormontabili” La relazione del ministro Piero Giarda, infine, parla chiaro sulle prospettive future: “Le previsioni di bilancio per l’anno 2012 e del bilancio pluriennale per il triennio 2012-2014 sono destinate a produrre difficoltà insormontabili per una serie di fabbisogni di spesa che, qualora non adeguatamente soddisfatti, rischiano di pregiudicare seriamente la funzionalità del sistema penitenziario, nella prospettiva della permanenza di alti tassi di sovrappopolazione in esecuzione penale detentiva e della necessità, quindi, di procedere all’attivazione di nuove strutture penitenziarie”. Un problema strutturale I giudici della Corte europea hanno condannato il nostro Paese per due strutture ma scrivono nella sentenza che il problema del sovraffollamento carcerario in Italia è “di natura strutturale”: la Corte ha già ricevuto più di 550 ricorsi da altri detenuti che sostengono di essere tenuti in celle dove avrebbero non più di 3 metri quadrati a disposizione. Perché non continui la strage silenziosa di chi si toglie la vita: nelle prigioni italiane c’è a un suicidio ogni 924 persone, tra chi è libero uno ogni 20 mila abitanti. Giustizia: Fp-Cgil; sit-in al Dap; no a “distacchi” in sedi amministrative, manca personale Redattore Sociale, 8 gennaio 2013 Protestano gli iscritti alla Fp-Cgil. E denunciano una carenza strutturale: nelle carceri 68 mila reclusi e solo 37.500 le unità in servizio. Più di 10 mila operatori impegnati in compiti istituzionali diversi: servizi amministrativi, traduzione, formazione. “Stiamo portando avanti una battaglia sindacale per ricondurre a legalità una situazione che vede l’amministrazione penitenziaria operare distacchi di personale non previsti dagli accordi. È una situazione che non possiamo tollerare perché crea disuguaglianze tra i lavoratori e disagio negli istituti penitenziari, che soffrono già del sovraffollamento e di una carenza continua di personale”. Lo sottolinea Francesco Quinti, responsabile del comparto sicurezza di Fp-Cgil, nel corso del sit-in organizzato oggi a Roma dalla stessa organizzazione sindacale. La protesta, in corso da questa mattina, davanti alla sede del Dap di Largo Daga a Roma, vede coinvolti una cinquantina di operatori penitenziari iscritti alla sigla sindacale. La Fp-Cgil denuncia infatti “trasferimenti punitivi” nei confronti dei propri iscritti, dai servizi territorio alla sede centrale. Distacchi che “pesano ulteriormente su un organico che dovrebbe contare su circa 45mila poliziotte e poliziotti, così come stabilito dal decreto dell’8 febbraio 2001 pensato per una popolazione di circa 37/38 mila detenuti. Mentre oggi nelle carceri sono presenti 68mila reclusi e sono solo 37.500 le unità effettivamente in servizio nell’amministrazione penitenziaria: 8mila agenti in meno a fronte di 30mila detenuti in più. Con un taglio continuo delle risorse”, aggiunge Quinti. Il sindacato sottolinea che tra gli operatori in servizio, 4000 circa sono attualmente impegnati in compiti istituzionali diversi da quelli svolti nelle carceri: dal ministero della Giustizia al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, dalle scuole di formazione e aggiornamento ai Provveditorati regionali, dagli Uepe (uffici esecuzione penale esterna) al Gom (gruppo operativo mobile), dalle Fiamme Azzurre all’Uspev (ufficio scorte), alle procure della Repubblica alla magistratura di sorveglianza ai Tribunali e altro ancora. 4.500 circa sono i poliziotti penitenziari che risultano quotidianamente impiegati nei servizi di traduzione e piantonamento, 2800 circa quelli che prestano servizio in amministrazioni ed enti statali e parastatali o vengono impiegati in servizi amministrativi dentro e fuori dal carcere. Circa 1.000 operano nella Giustizia Minorile. Questo fenomeno riduce di fatto a poco più di 24mila gli agenti che operano in carcere. “Per supplire alle forti carenze il personale molti colleghi oggi sono obbligati a effettuare un numero eccessivo di ore di lavoro straordinario, molto spesso con doppi turni - aggiunge Quinti. E spesso manca il personale per assicurare i servizi essenziali di primo livello. Questo aggiunge ulteriore disagio a uno stato di stress psicologico e fisico causato dal sovraffollamento. È una situazione insostenibile a cui va posto rimedio”. Lettere: suicidi in carcere e sconfitte sociali… di Vincenzo Andraous www.politicamentecorretto.com, 8 gennaio 2013 In una settimana due persone hanno tentato di ammazzarsi, due detenuti dello stesso penitenziario. Tra tanti che riescono nell’intento di farla finita, in questi due accadimenti non è andata così, nel primo caso la prontezza di intervento degli Agenti di Polizia Penitenziaria ha consentito di arrivare per tempo, il detenuto è in fin di vita, ma ancora vivo. Nel secondo caso la prontezza di riflessi dei compagni di cella hanno letteralmente sradicato dal buco nero più profondo il compagno dai passi perduti. Due vite per fare una sola parola, predestinati, numeri di un contenitore tritatutto, anche la disperazione più disperante incontra la via più breve per non riuscire a sopportare l’irraccontabile. È già epitaffio per un carcere così ridotto, miserabile e disumano, c’è urgenza di apostrofare la riflessione, innescare la più piccola provocazione per smetterla con gli omissis sulle responsabilità che non ci sono mai, con le posture scandalizzate di una società in preda al panico dialettico e comportamentale. Come se fare gli indifferenti, i vendicativi a oltranza, i giustizialisti all’ennesima potenza, avesse il potere di rendere più mansueti gli uomini e le donne detenute, ponesse argine alle conseguenze drammatiche della recidiva, nell’intento di inquadrare in una identica civicità allo sbando, delinquenti malati e mai curati, malviventi veri e malviventi inventati, trattati nello stesso modo, una popolazione detenuta composta nella stragrande maggioranza da miserabilità, oltre a quella larga fetta di popolazione cosiddetta libera, ma inchiodata al non fare, e quindi nella più che prevedibile commissione di reati. In questa cartina tornasole dai riflessi opacizzati dalle informazioni, comunicazioni, dati, non sempre esposti correttamente, perché esplicitati a seconda del tornaconto personale, c’è a fare da ponte la richiesta di una giustizia che tuteli le persone oneste, ma che garantisca equilibrio e comprensione umana verso chi sconta dignitosamente la propria carcerazione. Giustizia giusta non sta a vendetta, peggio, a indifferenza di riordino, neppure è sinonimo di pena certa, quando la pena è un percorso a ostacoli, malamente accidentato, dove è sempre più obbligante morire di dipendenza, di patologia, di malattia. La Giustizia e il Carcere non possono essere invocati quando qualcuno commette reati indegni o eclatanti, quando il disagio sociale implode - esplode in vere e proprie miserie dis - umane o interessi incrociati devastanti. La giustizia è un valore alto che cresce dentro una condizione individuale e collettiva che sa schierarsi dalla parte di chi è la vittima, di chi è innocente, di chi soffre inascoltato senza meritarlo, la Giustizia è tale perché non ha paura, non fa passi indietro nei riguardi di chi non vede riconosciuti i diritti fondamentali, di chi è costretto a sopravvivere, anche di chi ha sbagliato e non ha la possibilità di riparare, di diventare una persona migliore. Ci si impicca, ci si uccide, quando la pena si traveste e muta in un eccesso di condanna, non c’è solamente la restrizione della libertà personale, ma una vera e propria mancanza di diritto, di corretta interpretazione della misura incapacitante, di non cura della salute e della propria dignità personale. Il non rispetto di queste “prerogative carcerarie”, deprivano lo scopo e l’utilità sociale della pena stessa, che non può esser considerata una punizione o un castigo se non ricompone la solidarietà collettiva, attraverso lo strumento della riparazione che sta nel Dna di ogni possibile giustizia, per ridare autorevolezza e senso al carcere, che punisce il crimine ma rispetta l’uomo, pur sempre cittadino, detenuto. Piacenza: costretti a mangiare su brande a castello con piedi segati per non toccare soffitto Ansa, 8 gennaio 2013 Letti a castello composti da tre brande a cui dovevano essere segate le gambe, perché altrimenti il detenuto che dormiva più in alto toccava il soffitto. Celle di circa 9 metri quadrati, pensate per un solo detenuto, che ne ospitavano tre. Nove metri quadrati in cui oltre alle brande a castello dovevano trovare spazio il fornelletto e il tavolo con gli sgabelli, due, perché il terzo non ci sarebbe stato. Uno spazio talmente angusto che uno o due “ospiti” della cella dovevano mangiare seduti sulla branda. E nei nove metri rientra anche il bagno, dove spesso, proprio per mancanza di spazio, veniva riposto il cibo. Era questa la situazione del carcere di Piacenza qualche tempo fa, così come descritta da chi lo ha frequentato, quella che ha portato alla condanna europea per il sovraffollamento. Sovraffollamento che nel frattempo si è ridotto, e comunque quella non era una situazione particolare nel panorama carcerario italiano. Le carceri, ovviamente, non possono respingere l’arrivo dei detenuti, e così la capienza viene violata regolarmente. “Non è che la situazione di Piacenza sia la più malmessa, spiega Alberto Gromi, Garante dei detenuti del Comune di Piacenza - probabilmente la sentenza è arrivata perché sono stati esaminati prima i ricorsi fatti dai detenuti. Noi, come coordinamento dei garanti territoriali, un paio di anni fa avevamo proposto ai detenuti i ricorsi. E questo è stato fatto un po’ da tutte le parte. Oltretutto Piacenza dal 2010 ad oggi ha comunque peso oltre 100 detenuti, quel sovraffollamento non c’è più. Allora c’erano tre detenuti per cella, ora ce non sono due, e comunque non è che sia l’ideale. Il problema resta nelle sezioni Alta Sicurezza e Protetti, che sono sezioni uniche, con 25 posti ciascuna. Qui spesso sono ancora tre per cella”. Il garante ha una speranza: “che il problema sovraffollamento aiuti a prendere consapevolezza di altri problemi, come ad esempio la mancata attuazione del dettato costituzionale in base al quale la pena deve avere una funzione rieducativa con il lavoro, la formazione, l’accesso alle pene alternative. Non c’è solo il problema di essere ammassati, c’è anche quello di non avere speranza, e questo è terribile”. Anche per la parlamentare piacentina del Pd Paola De Micheli, che si è spesso occupata del carcere cittadino, “quello di Piacenza è un caso con fasi alterne di sovraffollamento: due anni fa la situazione era drammatica, ora è cambiata”. Napoli: Laboccetta (Pdl); il ministro Severino faccia qualcosa per carcere di Poggioreale Ansa, 8 gennaio 2013 “Ho chiesto con una lettera aperta al ministro Severino di risparmiarci stupore e avvilimento dopo la sentenza della Corte di Strasburgo e di fare qualcosa di concreto per il carcere di Poggioreale nei pochi giorni che le restano da Guardasigilli. Prima di cedere la poltrona di Via Arenula, la Severino potrebbe lasciare un segno concreto del suo passaggio al ministero”. È quanto dichiara il deputato del Pdl, Amedeo Laboccetta, coordinatore cittadino del partito a Napoli. “Nel carcere napoletano, precisamente nel padiglione Torino, i detenuti vivono ancora in celle prive del wc e sono costretti a defecare utilizzando cessi alla turca, come ho potuto costatare di recente nel corso di una mia visita ispettiva. Un suo concreto intervento, peraltro di costo modesto, è atteso da anni e sarà apprezzato non solo dalla popolazione carceraria ma anche dalla dirigenza e dal personale di polizia penitenziaria che opera con sacrificio, abnegazione e spirito di servizio nell’ istituto partenopeo”, sottolinea. “Ho chiesto anche al ministro di disporre un’indagine conoscitiva nelle altre carceri italiane per verificare se situazioni vergognose come quella di Poggioreale sussistano altrove”, conclude Laboccetta. Nuoro: carcere, problemi con l’Asl; carenze di personale e mancata stabilizzazione esperti La Nuova Sardegna, 8 gennaio 2013 La situazione è esplosiva all’interno delle carceri dove il fuoco della protesta cova sotto le ceneri da tempo. Sia gli agenti penitenziari, sia il personale dell’area educazionale ha manifestato disappunto per come il ministero della Giustizia e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria stanno gestendo una situazione vicina al collasso che si ripercuoterebbe anche sui detenuti. Gli agenti di polizia penitenziaria, attraverso i loro sindacati, hanno più volte sottolineato le carenze di organico in tutte le carceri della Sardegna e, nel sollecitare l’adeguamento, hanno sottolineato che al ministero giacciono da anni centinaia di richieste di guardie sarde che vorrebbero tornare a casa. Ma da parte del Dap non c’è stata risposta. Sul piede di guerra sono anche i criminologi e gli psicologhi, costretti a lavorare in condizioni difficili e con contratti che non riconoscono la loro esperienza e le competenze acquisite in anni di impegno quotidiano all’interno di strutture fatiscenti. I nuovi tagli imposti dalla spending review costringeranno i criminologi a ridurre drasticamente il loro impegno all’interno del carcere, con le negative ripercussioni che ne conseguiranno per quanto concerne il monitoraggio dei detenuti. I criminologi hanno inviato al ministro della Giustizia e al Dap un dettagliato documento sulla situazione e sollecitato un incontro per cercare di trovare soluzioni. Tra le quali la modifica dell’articolo 80 e la conseguente stabilizzazione degli esperti che già operano nei penitenziari. In questa situazione di tensione, a Nuoro si è aggiunta un’altra grana, che contribuirà a mettere ancora più in difficoltà i criminologi precari: l’assunzione da parte dell’Asl barbaricina di una psicologa nel quadro dell’Osservatorio regionale permanente sulla sanità penitenziaria. Catania: Osapp; entro aprile sarà attivo un reparto ospedaliero riservato ai detenuti Adnkronos, 8 gennaio 2013 “Entro aprile, con un mese di anticipo, verrà consegnato il reparto ospedaliero detenuti individuato all’interno dell’ospedale Cannizzaro di Catania”.A renderlo noto è il vice segretario generale dell’Osapp, Mimmo Nicotra. “Finalmente - prosegue - si sono visti i risultati degli sforzi profusi sin dal loro insediamento dal procuratore capo di Catania, Giovanni Salvi, e dal provveditore regionale, Maurizio Veneziano, che hanno voluto fortemente una struttura sanitaria che compendiasse anche le esigenze di sicurezza per il ricovero dei detenuti della provincia etnea”. Questo reparto detentivo potrà assicurare il contestuale ricovero di dodici detenuti, allocati in sei stanze adeguatamente attrezzate per un massimo di due detenuti per stanza. Inoltre è stata prevista anche un’apposita sala per i colloqui dei detenuti degenti con i familiari. Ancona: convegno sullo stato di attuazione della legge regionale per il sistema carcerario Regione Marche, 8 gennaio 2013 Inclusione lavorativa, inclusione sociale, attività culturali e attività trattamentali e di prevenzione della recidiva: verso questi settori si orientano gli interventi regionali per il 2012 a favore dei detenuti. Le linee generali sono tracciate all’interno della legge di settore del 2008. Del suo stato di attuazione e della situazione degli istituti penitenziari marchigiani si è parlato 20 il dicembre 2012 corso del convegno annuale dedicato a questo tema, ora più che mai di scottante attualità. La Regione Marche ha confermato per il 2012 le risorse a disposizione che ammontano a 837 mila euro: “Questa cifra - dichiara l’assessore ai Servizi sociali, Luca Marconi - testimonia l’impegno verso quella che possiamo considerare un’emergenza sociale. Già lo scorso anno erano raddoppiate le risorse per l’avvio di progetti destinati ai detenuti. Oltre a quelli già avviati vi è un nuovo progetto, a cura dell’Asur, finalizzato al potenziamento del supporto psicologico in ambito penitenziario, post penitenziario e minorile nelle Marche. “Prevediamo - spiega Marconi - un maggior numero di ore di presenza degli psicologi all’interno degli istituti di pena, funzionale a una migliore gestione della complessità derivante dal sovraffollamento delle carceri o, nel caso dei servizi minorili, dal crescente numero di gravi reati commessi da minorenni”. “Con i progetti di inclusione lavorativa e sociale, curati dagli Ats - continua Marconi - si cerca di recuperare la dignità personale dei detenuti nonché le loro competenze ed abilità professionali; in questo modo si perseguono anche gli interessi generali della collettività, quali la maggiore sicurezza sociale, la riduzione del rischio di recidiva penale e la progressiva eliminazione di ogni forma di discriminazione nel mercato del lavoro”. L’obiettivo delle attività trattamentali culturali è invece quello di valorizzare le esperienze di teatro e di diffusione dei servizi bibliotecari in carcere (prestiti librari, letture di gruppo, letture tematiche, in collaborazione con le biblioteche comunali) che sono di provata valenza rieducativa e socializzante, già sperimentate in alcuni istituti penitenziari. In particolare, sono in corso di realizzazione due progetti regionali: il “Teatro in carcere”, curato dall’Ats di Pesaro e il “Sistema bibliotecario carcerario regionale”, curato dalla Comunità montana di Camerino. A questo proposito, durante il convegno sono stati inseriti due spazi culturali, nei quali alcuni detenuti coinvolti nei due progetti regionali teatrali e bibliotecari hanno recitato poesie e brani sulla vita penitenziaria e sulla libertà. I lavori sono stati coordinati da Marco Nocchi, della Regione Marche. Al convegno sono intervenuti, n tra gli altri, Anna Bello (presidente del Tribunale di Sorveglianza), Giorgio Caraffa (direttore sanitario dell’Asur), Elena Cicciù (coordinatore del Centro regionale per la mediazione dei conflitti Regione Marche), Patrizia Giunto (responsabile Ufficio Servizi Sociali Minorenni delle Marche, Centro Giustizia Minorile, Ministero della Giustizia), Patrizio Gonnella (presidente dell’Associazione Antigone), Ilse Runsteni (provveditore Prap), Italo Tanoni (garante dei diritti dei detenuti delle Marche), Serena Tomassoni (presidente della Conferenza regionale volontariato giustizia). Cosenza: delegazione della Giunta e del Consiglio comunale visita la Casa circondariale Asca, 8 gennaio 2013 Una delegazione della Giunta e del Consiglio comunale di Cosenza si è recata in visita alla casa circondariale di via Popilia per portare ai detenuti il saluto del Comune di Cosenza in occasione della Festa dell’Epifania. La delegazione di amministratori e consiglieri era composta dal Vicesindaco Katya Gentile, dal Presidente del Consiglio comunale, Luca Morrone, dall’Assessore alla solidarietà e coesione sociale, Alessandra De Rosa, e, inoltre, dai consiglieri comunali Lino Di Nardo, Francesco De Cicco, Michelangelo Spataro, Maria Lucente, Claudio Nigro, Pierluigi Caputo e Francesco Spadafora. La delegazione è stata accolta dal direttore dell’istituto di pena, Filiberto Benevento. Amministratori e consiglieri hanno incontrato gli ospiti della casa circondariale all’interno del piccolo teatro dell’istituto di pena di via Popilia. Nel suo intervento l’Assessore De Rosa ha ricordato come “il protocollo d’intesa firmato dal Comune con la direzione del carcere rappresenti uno strumento importantissimo per ridare ai detenuti, attraverso il lavoro, la dignità perduta ed anche per migliorare le loro condizioni esistenziali che sono sicuramente fonte di sofferenza e di forte disagio”. Taranto: detenuto semilibero tenta di introdurre droga in carcere, arrestato Adnkronos, 8 gennaio 2013 Agenti del gruppo regionale cinofili antidroga della Polizia Penitenziaria della Puglia, impiegato nel servizio di prevenzione e contrasto contro l’ingresso di droga all’interno del penitenziario di Taranto, hanno arrestato in flagrante di reato un detenuto semilibero di 44 anni, di Andria. Infatti lo stesso, insieme ad altri detenuti semiliberi, rientrato dal permesso - premio concesso per le festività natalizie, per eludere i controlli previsti in tali circostanze, aveva nascosto 5 stecche di hashish del peso di circa 58 grammi nella zona rettale. Forse l’avrebbe fatta franca se ai normali controlli non avesse presenziato anche il cane Pepe, il quale grazie al suo olfatto ed alla sua determinazione, ha segnalato che qualche cosa non andava. Così il detenuto semilibero è stato sottoposto ad una accurata perquisizione ed a un controllo medico che hanno permesso di recuperare la sostanza stupefacente. Proprio nei mesi scorsi il Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria) aveva protestato in maniera vivace con l’Amministrazione Penitenziaria che aveva di fatto smantellato il distaccamento cinofilo pugliese, nonostante la grave emergenza presente nella regione, dove si utilizzano i metodi più svariati per cercare di far entrare la droga in carcere. Quelle proteste - sottolinea il Sappe - hanno ottenuto il risultato di ricostruire il nucleo regionale cinofili che allo stato schiera in questa lotta senza quartiere, 7 unità che potranno contribuire in maniera determinante a combattere una battaglia tanto dura quanto importante per troncare una volta per tutte l’ingresso di sostanze stupefacenti all’interno delle carceri pugliesi. Stati Uniti: Amnesty; le promesse mancate di Obama sulla chiusura di Guantánamo Vita, 8 gennaio 2013 Alla vigilia dell’undicesimo anniversario del primo trasferimento di un detenuto nella base navale di Guantánamo Bay e dell’inaugurazione del suo secondo mandato presidenziale, Amnesty International ha chiesto al presidente degli Stati Uniti Barack Obama di “riprendere in considerazione la promessa, fatta nel 2009, di chiudere il centro di detenzione e, questa volta, di impegnarsi a rilasciare i detenuti o a sottoporli a processi equi”. “Oggi”, sottolinea Amnesty, “a Guantánamo vi sono ancora 166 detenuti. Dal 2002, il centro di detenzione ne ha ospitati 779, la maggior parte dei quali vi ha trascorso diversi anni senza accusa né processo. Sette detenuti sono stati condannati dalle commissioni militari, cinque dei quali a seguito di accordi precedenti il processo sulla base dei quali hanno ammesso la colpevolezza in cambio della possibilità di essere rilasciati. Sei detenuti sono attualmente sotto processo e rischiano di essere condannati a morte dalle commissioni militari, organismi le cui procedure non sono in linea con gli standard internazionali sui processi equi. I sei imputati sono stati sottoposti a sparizione forzata prima del trasferimento a Guantánamo. Due di loro hanno subito la tortura del water boarding (semi - annegamento)”. “La pretesa degli Usa di essere paladini dei diritti umani non è compatibile con l’apertura di Guantánamo, le commissioni militari, l’assenza di assunzione di responsabilità e la mancanza di rimedi per le violazioni dei diritti umani commesse da funzionari statunitensi, tra cui la tortura e le sparizioni forzate, che costituiscono crimini di diritto internazionale”, ha dichiarato Rob Freer, ricercatore di Amnesty International sugli Usa. Dopo il suo primo insediamento, nel gennaio 2009, il presidente Obama aveva promesso di risolvere la questione dei detenuti di Guantánamo e di chiudere il centro di detenzione entro un anno. Aveva anche ordinato la fine dell’uso delle tecniche rinforzate d’interrogatorio da parte della Cia e la chiusura dei cosiddetti siti neri, centri segreti di detenzione diretti dall’intelligence statunitense. Tuttavia, secondo Amnesty, “il presidente Obama ha adottato il paradigma, unilaterale e viziato, della guerra globale accettandone la conseguenza delle detenzioni a tempo indeterminato”. “Nel 2010”, ricorda Amnesty, “l’amministrazione Usa ha annunciato che 48 detenuti di Guantánamo non avrebbero potuto essere né processati né rilasciati ma dovevano rimanere in detenzione militare senza limiti di tempo, senza accusa né processo. L’amministrazione Usa ha inoltre sospeso i rimpatri dei detenuti yemeniti, trattenendo a Guantánamo 30 di essi, a causa di preoccupazioni legate alle condizioni di sicurezza nel paese mediorientale”. “L’amministrazione Obama ha attribuito la mancata chiusura di Guantánamo al Congresso, che ha ripetutamente impedito il rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritti umani applicabili in questo contesto. Il 2 gennaio 2013 il presidente Obama ha nondimeno firmato l’Atto di autorizzazione alla difesa nazionale, pur criticandone alcuni aspetti che di nuovo pongono ostacoli alla soluzione del problema di Guantánamo”. “Il diritto internazionale non autorizza le diverse branche del governo ad aggirare le previsioni del diritto internazionale attraverso questa sorta di gioco delle parti. Quando un paese viene meno ai suoi obblighi internazionali sui diritti umani non può giustificarsi aggrappandosi alle leggi o alle politiche nazionali” - ha commentato Freer. “In ogni caso”, sottolinea Amnesty, “senza un reale cambiamento delle politiche, l’adozione del modello della guerra globale da parte dell’amministrazione Obama significherebbe che, anche nel caso in cui Guantánamo venisse chiuso, le detenzioni illegali anziché cessare verrebbero semplicemente trasferite altrove. L’ampia condivisione del paradigma della guerra globale da parte dei tre settori del governo federale, la protezione concessa ai suoi funzionari tramite l’immunità e il continuo ricorso al segreto di stato, hanno facilitato la mancata assunzione di responsabilità e l’assenza di rimedi per le violazioni dei diritti umani commesse a Guantánamo, nei centri segreti di detenzione della Cia, nei programmi di rendition e in ulteriori contesti”. “Ciò di cui c’è ora bisogno è il riconoscimento e l’applicazione, da parte delle autorità statunitensi, dei principi internazionali sui diritti umani. Ciò significa abbandonare le commissioni militari in favore di processi equi in tribunali ordinari e civili, rilasciare i detenuti che gli Usa non hanno intenzione di processare, accertare pienamente le responsabilità e fornire accesso a forme di rimedio giudiziario per tutte le violazioni dei diritti umani” - ha precisato Freer. Cinque uomini accusati di aver preso parte agli attacchi dell’11 settembre 2001 rischiano la pena di morte se giudicati colpevoli dalle commissioni militari. Stessa pena rischia un sesto detenuto di Guantánamo, imputato in un processo a parte. Dove questi imputati siano stati tenuti in custodia della Cia e quali trattamenti siano stati loro inflitti sono informazioni classificate al livello più alto di segretezza. Nel dicembre 2012, il giudice militare che presiede il processo per gli attacchi dell’11 settembre 2001 ha firmato un ordine di protezione per impedire la divulgazione di tali informazioni, adducendo motivi di sicurezza nazionale. Secondo Amnesty International, le informazioni riguardanti gravi violazioni dei diritti umani o del diritto internazionale umanitario non dovrebbero mai essere tenute segrete per motivi di sicurezza nazionale. I procedimenti nei confronti dei sei imputati proseguiranno nel corso del mese. Cina: Coldiretti; dai campi di lavoro forzato arriva cibo anche per le nostre tavole Agenparl, 8 gennaio 2013 “Dalla Cina sono stati importati 85 milioni di chili di pomodori conservati nel 2012 che secondo la Laogai Research Foundation sono ottenuti anche dai lavori forzati in imprese agricole Lager, i cosiddetti Laogai, che interessano su 1,4 milioni di ettari di terreni che producono per il mercato interno e per l’esportazione”. È quanto afferma la Coldiretti nel commentare la notizia sulla chiusura dopo 55 anni dei famigerati campi di rieducazione in Cina. Dalla Cina - sottolinea la Coldiretti. “L’Italia ha importato prodotti agroalimentari per un valore stimato pari a oltre mezzo miliardo di euro tra pomodori, ortaggi e frutta conservata, aglio e legumi mentre il valore delle esportazioni Made in Italy è pari a poco più della metà. Oltre ad un necessario riequilibrio della bilancia commerciale pesano gli effetti di una concorrenza sleale dovuta a situazioni di dumping sul piano sanitario, ambientale e sociale. Se gli standard sanitari sono diversi rispetto a quelli dell’Unione Europea, la produzione in Cina sembra essere infatti anche realizzata - conclude la Coldiretti - con sfruttamento del lavoro forzato dei detenuti da parte di molte imprese cinesi impegnate nell’export alimentare, secondo la denuncia Laogai National Foundation”. Sudafrica: detenuti danno fuoco ad un carcere, in fiamme ala di massima sicurezza Tm News, 8 gennaio 2013 Un gruppo di detenuti ha appiccato il fuoco ad una ala di massima sicurezza di un penitenziario situato nel centro del Sudafrica. Lo si apprende da una responsabile delle carceri. “Dei detenuti hanno dato fuoco ad una ala di massima sicurezza del penitenziario di Groenpunt”, ha dichiarato all’Afp Grace Molatedi, vice commissario regionale delle carceri nella provincia dello Stato Libero senza fornire dettagli su eventuali vittime o danni. Il numero dei detenuti non è stato comunicato. A novembre, due prigionieri avevano preso in ostaggio un medico e una infermiera in un carcere privato della stessa regione, nei pressi di Bloemfontein. L’infermiera era stata rilasciata rapidamente mentre il medito era stato tenuto in ostaggio per una ventina di ore. Nove guardie e 50 detenuti feriti Cinquanta prigionieri e nove secondini sono rimasti feriti ieri sera nel corso di una rivolta scoppiata in un carcere sudafricano. È quanto ha annunciato oggi la polizia. Le forze dell’ordine hanno fatto irruzione nel penitenziario, utilizzando granate assordanti, per riprendere il controllo di una sezione di massima sicurezza della prigione di Groenpunt, nella provincia dello Stato Libero dove i rivoltosi avevano appiccato il fuoco e eretto delle barricate. “Cinquanta prigionieri e nove secondini sono rimasti feriti ma non è morto nessuno e nessuno è stato colpito da proiettili”, ha dichiarato il portavoce della polizia, Peter Kareli. Questa sezione della prigione conta 750 prigionieri. Secondo gli investigatori, i detenuti hanno criticato la qualità del cibo e rifiutato di prendere i pasti a fine pomeriggio prima di attaccare i secondini e dare fuoco a delle celle. La rivolta ha causato ingenti danni alla prigione. A novembre, due detenuti avevano preso in ostaggio un medico e una infermiera in una prigione privata nella stessa regione, nei pressi di Bloemfontein. L’infermiera era stata rilasciata rapidamente mentre il medico era rimasto nelle mani dei detenuti per una ventina di ore. Qatar: l’Onu denuncia condanna ergastolo di scrittore per poesia su “primavera araba” Tm News, 8 gennaio 2013 L’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani si è dichiarato “estremamente preoccupato” per la condanna e la reclusione in Qatar del poeta Mohammed al Ajami, alias Ibn al Dhib. Mohammed al Ajami è stato condannato all’ergastolo il 29 novembre scorso da un tribunale del Qatar per incitazione contro il regime e diffamazione del principe ereditario di questa monarchia del Golfo. “Siamo preoccupati poiché il processo è stato caratterizzato da un gran numero di irregolarità. Inoltre diverse udienze si sono svolte a porte chiuse”, ha dichiarato una portavoce dell’Alto Commissariato a Ginevra, Cecile Pouilly. L’Alto Commissariato ha anche denunciato il fatto che Mohammed al Ajami “ha apparentemente passato più mesi in isolamento e lo è tutt’ora nonostante una sentenza del tribunale di primo grado abbia ordinato la sua detenzione in condizioni normali”. L’Alto Commissariato seguirà l’evoluzione del caso, ha precisato la portavoce, sottolineando che una sentenza in appello è attesa il 27 gennaio. Secondo Amnesty International, la magistratura del Qatar accusava Ajami di aver scritto nel 2010 una poesia in cui criticava l’emiro ma per dei militanti del Golfo, la vera ragione del suo arresto, avvenuto nel novembre 2011, era la sua “Poesia del giardino”, composta nel 2011 quando era cominciata la Primavera araba. La poesia rende omaggio alla rivoluzione tunisina ed esprime la speranza che il cambiamento contagi altri Paesi arabi. “Siamo tutti la Tunisia contro una elite repressiva”, cantava Ajami.