Giustizia: campagna elettorale e carceri, qualcosa di cui dire di Umberto Folena Avvenire, 6 gennaio 2013 C’è qualcosa di sbagliato nelle carceri italiane. Terribilmente e drammaticamente sbagliato. Uno sbaglio che conduce alcuni non alla redenzione e alla libertà, ma alla scelta di morire. L’eccessiva attesa del giudizio e le celle sovraffollate sono problemi gravi e noti. E lo sbaglio, denunciato da cifre sottolineate in rosso, ne è in parte sia la causa sia l’effetto. Da un lato investiamo tantissimo, 3.511 euro al mese per ogni detenuto. “Investiamo”, non “spendiamo”. È denaro nostro, di noi contribuenti, che ha come fine la restituzione alla società di uomini capaci di chiudere con il passato, dopo aver pagato per il loro errore, e a dare il proprio contributo al bene comune. Italiani non più da temere ma su cui poter contare. Quei 3.511 euro sono tanti davvero, se si pensa che più di noi, tra i Paesi maggiormente sviluppati, investono soltanto Regno Unito, Nuova Zelanda e Canada. Tutti gli altri di meno. Gli Stati Uniti, con la loro popolazione carceraria sterminata, arrivano ad “appena” 1.433 euro. Dall’altro lato, quasi in nessun Paese si muore in carcere come in Italia. Si muore di disperazione. Ci si ammazza. Ogni anno si tolgono la vita 9,1 carcerati ogni 10mila. Tanti o pochi? Gli italiani liberi che si suicidano sono 1,2 ogni 10mila. Dunque il rapporto è di 1,2 a 9,1. In Germania è di 2,5 a 5,5, in Gran Bretagna 1,6 a 8,8. Ogni suicidio è una tragedia di troppo; ma nel nostro Paese i suicidi fuori dalle sbarre sono sensibilmente di meno rispetto all’estero; e quelli dietro le sbarre sensibilmente di più. Perché? E perché ciò accade nonostante tanto denaro investito? Qualcuno potrà obiettare: sì, è una tragedia, ma una tragedia “minoritaria”, che riguarda una porzione limitata di umanità; e molti carcerati non sono nemmeno italiani. I veri problemi sono altri... Obiezione respinta. Da che cosa si misura il “tasso d’umanità” di una nazione? Da come vengono trattate le donne, si dice giustamente; dallo spazio che trovano nel mondo del lavoro e in politica, dalla possibilità di costruire una famiglia e avere tutti i figli che desiderano ed essere aiutate (e non solo dal marito) nell’assisterli ed educarli. Giusto. Si dice anche: da come vengono trattati bambini, anziani, infermi e disabili. Insomma i “meno forti” e autonomi. Giustissimo. Infatti, in genere, i programmi elettorali si occupano di loro, anche se mai abbastanza e sempre con ritrosia ed eccesso di parsimonia, a volte - è un sospetto legittimo - quasi o solo per retorica elettorale. Ma c’è qualcosa che, per ora, non riuscia­mo a ritrovare nei programmi dei partiti. È bello ricordarlo con le parole, remote ed autorevoli, di Fëdor Dostoevskij: “Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni”. È troppo, allora, chiedere e perfino pretendere che nelle pros­sime settimane i candidati si assumano precisi impegni per rendere meno infernali le nostre carceri? Per trovare pene alternative alla cella, come quelle che sono state fatte naufragare pochi giorni fa in Parlamento? Per far diminuire quell’osceno spread, quella voragine tra suicidi fuori e suicidi dietro le sbarre? Non tanto per investire meno di quei 3.511 euro a testa, ma per farli fruttare sul serio? Parlatene. Senza chiedervi se la cosa può portare o togliere voti. Se “conviene” o no. Parlatene per un solo, semplice motivo: perché è giusto farlo. Giustizia: nelle carceri italiane costi alle stelle, ma mancano i risultati di Lorenzo Galliani Avvenire, 6 gennaio 2013 Spendiamo per detenuto più della Francia, il doppio della Spagna, due volte e mezzo quanto investito dagli Stati Uniti. Dipendesse solo dal budget, la gestione del sistema penitenziario dovrebbe essere un fiore all’occhiello del nostro Paese. Eppure non è così. L’affollamento e il tasso di suicidi (uno ogni mille detenuti) continuano a essere dolorose piaghe delle carceri italiane. Nel mondo, le più costose sono Guantanamo e Halden (la prigione norvegese preparata ad ospitare Breivik, il terrorista di Utoya); “il prezzo della cella” - si intitola così l’analisi realizzata da “Le Due Città”, periodico del Dap - è rispettivamente di 52mila e 12mila euro al mese. L’Italia si ferma a quota 3.511 euro a detenuto: 3mila solo per pagare la Polizia penitenziaria e il personale civile. Tra le voci minori, il vitto e il materiale igienico per i carcerati (137 euro). Appena 20 euro per la manutenzione - ordinaria e straordinaria - delle strutture. La spesa, alla fine, è inferiore a quella sostenuta da Nuova Zelanda (5.929 euro a detenuto) e Regno Unito (4.684), ma più alta di quella francese (3.110) spagnola (1.650). Più elevata persino di quella degli Stati Uniti, che pure - rivela l’indagine - sono arrivati a destinare “più fondi alle carceri piuttosto che all’istruzione” e hanno visto “esplodere del 570% negli ultimi venti anni la spesa per il sistema penitenziario nazionale”. Nelle prigioni di New York, prosegue lo Studio del Dap, “ogni recluso ha un costo medio annuale che supera i 40mila euro: il che significa che ogni cittadino della Grande Mela versa ogni anno attraverso la tassazione 100 euro da destinare alla gestione dei penitenziari cittadini”. Eppure, complessivamente, gli Usa si fermano a 1.433 euro a detenuto: nonostante il boom di spese, restano sotto. Alla quantità di risorse, però, non corrisponde automaticamente un miglioramento delle condizioni dei detenuti. Parlano sempre i dati, stavolta quelli del Consiglio d’Europa. Nel 2009 si sono suicidati in Spagna 4 prigionieri ogni 10mila. In Italia (che, abbiamo visto, spende il doppio per la gestione del sistema penitenziario), ben 9,1. Meno della Francia (maglia nera in Europa, con 17,6), ma più di Germania, Austria, Polonia, Regno Unito. Dietro ai numeri, le storie, le persone. Ciro, che dopo aver rubato qualche secondo ad un agente con una scusa (“Ho bisogno di fumare, mi vai a prendere un accendino?”) si è impiccato con le lenzuola alle sbarre della cella. O Sascha, che a 24 anni si è tolto la vita nel bagno della cella. Più tutti gli altri. Più i 10 poliziotti penitenziari che, ogni anno, si lasciano andare alla disperazione. L’Italia, rileva una elaborazione del Centro Studi di Ristretti Orizzonti, “detiene il record del tasso di sovraffollamento penitenziario in Europa e, allo stesso tempo, presenta lo “scarto” maggiore tra suicidi dentro e fuori dal carcere: difficile pensare che non esista un rapporto tra affollamento delle celle, riduzione della vivibilità e elevato livello di suicidi”. Cresciuto “del 300%”, prosegue lo studio, dagli anni ‘60 ai giorni nostri. I motivi? Quarant’anni fa “i detenuti erano prevalentemente criminali professionisti (che mettevano in conto di poter finire in carcere ed erano preparati a sopportarne i disagi), mentre oggi buona parte della popolazione detenuta è costituita da persone provenienti dall’emarginazione sociale (immigrati, tossicodipendenti, malati mentali), spesso fragili psichicamente e privi delle risorse caratteriali necessarie per sopravvivere al carcere”. E per sopravvivere anche alla vita dopo il carcere. Formare i detenuti a un lavoro è uno strumento che può favorire il loro reinserimento nella società. Ma la percentuale di detenuti lavoranti, stando ai report pubblicati dal Ministero della Giustizia, ha toccato in Italia i minimi storici: a giugno 2012 risultavano occupati 13.278 carcerati su 66.528, il 19,96%. Nel 2008 si superava il 24%, nel 2006 il 30%. In Toscana risultano occupati appena 58 dei 174 posti disponibili, in Campania 32 posti su 190. Nel settore “sartoria/calzetteria/maglietteria” gli istituti penitenziari d’Italia avrebbero spazio per 309 lavoratori. Quelli effettivi sono però appena 80. E l’impressione è che, alla fine, ad avere bisogno di un rammendo sia proprio il sistema-carcere. Diminuiscono i reclusi, ma il sovraffollamento resta L’emergenza sovraffollamento non è ancora rientrata, ma da qualche anno il numero dei detenuti tende a diminuire: nel 2010 i reclusi erano infatti 67.961, nel 2011 erano scesi a 66.897 e alla fine dell’anno scorso ne sono stati contati 65.717 (23.486 gli stranieri). I tossicodipendenti, in base ai dati riferiti al primo semestre 2012, rappresentano invece 24% dell’interna popolazione carceraria. Sempre l’anno scorso, i suicidi dietro le sbarre sono stati 57 (6 in meno rispetto all’anno precedente). Quanto alla tipologia delle condanne sono circa 10.500 i detenuti che devono scontare solo un altro anno di pena e quasi 20.000 quelli che non superano il residuo massimo di tre anni. L’età media oscilla tra i trenta e i quarant’anni tra i reclusi italiani, mentre per gli stranieri il dato si abbassa e la maggior parte ha tra i venticinque i i trent’anni. Le detenute madri erano 59 nel 1993 e oggi sono 57, stabile anche il numero dei bambini minori di tre anni che vivono dietro le sbarre: erano 60, sono 61.1 nidi, invece, sono diminuiti: oggi ne funzionano 16 contro i 18 di vent’anni fa. È intanto arrivato a circa 10mila il numero dei detenuti che usufruiscono dell’affidamento in prova: al 31 dicembre sono infatti 9.989, mentre sono 9.139 quelli in detenzione domiciliare, di cui 2.640 per effetto della legge del 2010 che prevede la possibilità di scontare ai domiciliari una pena non superiore ai dodici mesi, anche se residuale di una più lunga. Quanto a misure di sicurezza, sanzioni sostitutive e altre misure, sono 2.840 i detenuti in libertà vigilata, 172 quelli in semidetenzione e libertà controllata, 2.988 svolgono lavori di pubblica utilità, hanno ottenuto la sospensione condizionale della pena o un lavoro all’esterno. Detenuti stranieri: tremila in meno all’anno È un trend in costante discesa quello dei detenuti stranieri presenti nelle nostre carceri. Dal 2008 a oggi il calo è stato di quasi tremila unità all’anno sul totale degli ingressi, passando dai 43.099 del 2008 ai 40.073 del 2009 fino ai 37.298 del 2010 per arrivare ai 33.305 di fine 2011. Un fenomeno che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria collega alla crisi economica, “che ha reso l’Italia meno attrattiva e ridotto del 40% l’affluenza complessiva degli stranieri”, e alla direttiva europea sui rimpatri “che ha messo in questione la sussistenza del reato di mancata ottemperanza all’obbligo di allontanamento dal territorio dello Stato”. Infatti, gli ingressi dalla libertà per reati legati al testo unico sull’immigrazione sono passati dai 10.125 del 2008 di cui 7.372 solo per la violazione delle norme sull’espulsione) ai 2.480 del 2011 (di cui 995 per mancato rimpatrio). Ciò nonostante, ancora oggi, “gli stranieri sono più arrestati degli italiani e, una volta condannati, restano in carcere più a lungo”. A fronte di 42.723 presenze di italiani prodotte da 43.723 ingressi (pan al 97,82%) vi sono 24.174 presenze di stranieri prodotte da 33.305 ingressi (72.58%). “Appare evidente che quella degli stranieri è una detenzione di flusso, causata o da un maggior ricorso all’arresto in flagranza di reato e alle misure cautelari personali o da un più ampio uso del carcere anche per pene brevi”, spiega Stefano Anastasia, trai fondatori dell’associazione Antigone. Un altro dato descrive il fenomeno: a fine 2011 i detenuti in attesa di giudizio erano il 36,98% tra gli italiani e il 47,36% tra gli stranieri. “Eloquenti anche i dati sulla pena residua - conclude il Dap: gli stranieri in carcere con una pena da scontare inferiore ai tre anni sono nettamente preminenti rispetto agli italiani”. Il mancato accesso alle misure alternative resta uno scoglio insormontabile: al 30 giugno 2012 gli stranieri in misura alternativa erano 3.679 contro 12,733 italiani. Giustizia: Pagano (Dap), dai circuiti alle pene alternative, ricette per migliorare le carceri Avvenire, 6 gennaio 2013 Il problema delia giustizia e delle carceri deve essere inserito necessariamente nell’agenda politica, e invece non sembra essercene traccia. Se emergenza è, la si affronti come tale”. Luigi Pagano, vice capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, cerca di scuotere i candidati ricordando loro che “non tutto può essere lasciato sul tavolo del Dap”. Come la soluzione al problema del sovraffollamento (65.717 detenuti a fronte di 46.795 posti) di cui tanto si parla ma che alla fine sembra “sia dovuto più a una causa naturale” o addirittura considerato “una sorta di punizione biblica” anziché qualcosa “che si può e si deve risolvere con decisioni concrete e lavoro congiunto tra diverse forze in campo”. Pagano trasforma poi la sua sferzata in proposte concrete nella speranza che vengano fatte proprie dai candidati alle politiche. In tema di reinserimento insiste sull’idea dei circuiti (“occorre diversificare i detenuti in base alla tipologia giuridica e alla pericolosità dei soggetti”) e per quanto riguarda la riabilitazione dei tossicodipendenti (il 24% dei reclusi) sollecita interventi economici a favore dei Sert per garantire il percorso trattamentale quale alternativa alla detenzione. Sul fronte dell’emergenza suicidi, il vice presidente del Dap, sottolinea la necessità cri attivare “una maggiore collaborazione con le Asl” mentre per quanto riguarda le misure alternative insiste sulla necessità di rivedere la legge Cirielli che rappresenta “uno sbarramento o-stativo inutile e pericoloso”. E a conferma delle resistenze in materia di benefici ricorda che “anche la messa alla prova sollecitata dal guardasigilli, Paola Severino, non è stata approvata”. Eppure, sottolinea, “chi esce in misura alternativa, ha una recidiva bassa, per il 70% non torna dietro le sbarre”. Ma nonostante la forza dei numeri la via per il reinserimento è sempre una corsa a ostacoli perché, ad esempio, “se non si finanzia la legge Smuraglia, che concedendo sgravi fiscali alle imprese ha portato lavoro all’interno e all’esterno del carcere, come si può realmente pensare di dare una possibilità ai reclusi?”. “La vera sicurezza è quando riusciamo a portare fuori un detenuto recuperato”, insiste Pagano ricordando che “la situazione d’emergenza determinata da sovraffollamento, suicidi e tensioni negli istituti penitenziari” (206 in totale) alla fine viene scaricata non solo sui detenuti ma anche sugli agenti di polizia penitenziaria “che rischiano di subire situazioni che non possono oggettivamente affrontare”. E aggiunge: “Un agente di custodia che controlla 200 o 400 detenuti è una contraddizione in termini”. Quanto all’organizzazione “noi prevediamo una diversa modalità di lavoro, ma è auspicabile anche l’assunzione di nuovi agenti”. Tornando ai circuiti, Pagano spiega: “Oggi abbiamo 10.500 detenuti che devono scontare ancora un anno di pena e quasi 20.000 che arrivano a massimo tre anni. Non diciamo certo che bisogna liberarli, ma ci sarà una differenza tra questi 10.500 e chi invece ha scritto sul proprio cartellino “fine pena mai”? Non si rinuncia al trattamento rieducativo neanche per un ergastolano, ma certo lavoriamo con maggiore concretezza e possibilità di interventi in tempi brevi sugli altri detenuti”. La ricetta dei circuiti permetterebbe inoltre di “graduare l’impiego del personale sia di polizia penitenziaria sia amministrativo, in relazione alla caratterizzazione dell’istituto, e soprattutto permetterebbe di aprire le porte del carcere alla società esterna per iniziare il trattamento all’interno e poi dandogli la possibilità di accedere a misure alternative quali l’affidamento in prova”. Insomma “se questi problemi fossero inseriti nell’agenda politica e si intervenisse quotidianamente non si arriverebbe a pensare di affrontare il sovraffollamento solo con amnistia e indulto. Misure, queste, che poi rischiano anche di diventare necessarie per risolvere un’emergenza contro la quale tutti puntano il dito”. Giustizia: il “vaffa day” dei detenuti di Valentina Ascione Gli Altri, 6 gennaio 2013 Nel suo libro scritto dal carcere “Il candore delle cornacchie”, l’ex presidente della Sicilia Totò Cuffaro racconta che a Capodanno, allo scoccare fatidico della mezzanotte, i detenuti invece di salutare l’anno che si apre, celebrano quello che si chiude con un sonoro “Vaf-fan-cu-lo”. In fondo non hanno molte ragioni, loro - forse nessuna - di festeggiare l’arrivo di un nuovo anno di galera e di giorni tutti uguali, grigi e lunghissimi, da trascorrere dietro le sbarre di una cella il più delle volte angusta e affollata. Non l’inizio, dunque, ma è piuttosto la fine che genera trepidazione e attesa. L’attesa di poter graffiare un’altra tacca sulla parete e sulla propria pena. Un anno che se ne va è anche un passo in più verso la libertà. Verso il traguardo di una vita riconquistata. E ne avranno ancora di cose da lasciarsi alle spalle i nostri detenuti. Tanto per cominciare, quella cupa disperazione che anche nel 2012 ha spezzato decine di esistenze di ehi nelle nostre galere ha visto nella morte la sola via d’uscita possibile. E poi l’indifferenza di una società che guarda al carcere come al luogo della rimozione di tutti i mali, e la propaganda forcaiola dei tanti che si ostinano a far cassa sulla pelle di chi sconta la propria pena in condizioni di inaccettabile degrado e fuori della Costituzione. E le false speranze, tante, incoraggiate da un governo che intorno all’emergenza carceraria ha seminato buone intenzioni e belle parole e perfino versato qualche lacrima, senza però raccogliere nulla di vagamente concreto. “Vaffa”, quindi, alla delusione. E alla rabbia, per la beffa dei tagli alle risorse per favorire l’attività lavorativa dei reclusi. Accadeva poco prima di Natale, quando Marco Palmella aveva già superato i dieci giorni di sciopero della sete e il ministro della Giustizia desiderava portare in dono a lui e ai detenuti il sì definitivo alla legge di dubbia efficacia (del tutto inutile, secondo i radicali) sulle pene alternative. Mentre dunque al Senato andava in scena il tentativo, poi fallito, di salvare il ddl - con Paola Severino pronta a “occupare” l’aula finché non si fosse giunti all’approvazione e la Lega a sventolare i soliti cartelli contro una legge “salva delinquenti” - la Camera dei deputati votava la fiducia sulla manovra di stabilità, che tra le varie voci include l’azzeramento del fondo per il lavoro dei detenuti: lo strumento più efficace, il lavoro, per abbattere la recidiva e favorire il reinserimento sociale. Il “vaffa” di mezzanotte, quest’anno, è stato più forte. Anche se fuori nessuno lo ha sentito. Auguri. Giustizia: Ginefra (Pd); più riforme di leggi che causano la carcerazione e meno amnistie Ansa, 6 gennaio 2013 “Le carceri italiane sono sovraffollate anche perché stracolme di immigrati e tossicodipendenti per due norme che portano tra i primi firmatari i civici con il manganello”. Così il deputato del Pd Dario Ginefra in merito alla scelta dei Radicali di inserire nel loro simbolo la parola “Amnistia”. “Con i Radicali ho sempre condiviso le battaglie per i diritti dei detenuti, ma dico loro che occorre uno sforzo riformatore comune che in luogo delle invocate amnistie, promuova la modifica di leggi che pongono l’Italia in coda nella lista dei Paesi civili”, conclude. Giustizia: Fiano e Favi (Pd); ministro verifichi la denuncia Cgil su discriminazioni al Dap Ansa, 6 gennaio 2013 “Di fronte alla grave denuncia della Cgil di atteggiamenti antisindacali che si starebbero verificando nell’amministrazione penitenziaria chiediamo al ministro Severino di accertare se ciò risponda al vero. Inoltre, nel caso le accuse trovassero riscontro, cosa intenda fare per porre fine a questo stato di cose che aggraverebbe ulteriormente la già drammatica condizione delle carceri italiane e di quanti operano al loro interno”. Così in una nota Emanuele Fiano e Sandro Favi, responsabili sicurezza e carceri del Pd. Giustizia: Osapp; più lavoro e meno istituti penitenziari nelle scelte del nuovo governo Ansa, 6 gennaio 2013 “Le notizie che stanno pervenendo indicano la tendenza ad un ulteriore peggioramento delle condizioni di detenzione e di lavoro nelle carceri italiane per il 2013, a meno che, fin dal suo insediamento, il nuovo governo non collochi l’emergenza penitenziaria tra i problemi del Paese da affrontare con la massima urgenza ed in maniera del tutto diversa da quanto fatto dal governo del prof. Monti” è quanto si legge in una nota che Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) ha trasmesso quest’oggi alle segreterie territoriali del sindacato ed al personale di polizia penitenziaria sul territorio. “Con il 25% di personale penitenziario in meno e il 20% dei detenuti in più negli ultimi 15 anni, non si può più immaginare di affrontare attraverso palliativi temporanei un sovraffollamento oramai del 142% (67.130 ristretti in 47.040 posti) - prosegue il sindacalista - con addirittura 8 regioni su 20 (Campania, Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia Valle d’Aosta e Veneto) in cui, mediamente, si ospitano 3 detenuti negli spazi destinati ad uno soltanto”. “Per comprendere le incongruenza e l’inefficacia delle ultime misure governative - indica ancora il leader dell’Osapp - basti pensare che attualmente il 46% dei detenuti condannati in via definitiva (17.674 su 38.664 pari al 57% della popolazione detenuta totale) si trova in carcere con una pena residua inferiore ai 24 mesi che potrebbe essere scontata, nella stragrande maggioranza dei casi, all’esterno degli istituti di pena o nel paese d’origine, mentre almeno il 50% delle custodie cautelari, per 13mila detenuti imputati in primo grado su 26mila in attesa di giudizio definitivo, potrebbero essere consumate presso i domicili o in altri luoghi idonei”. “Il nostro auspicio come sindacato rappresentativo di personale appartenente all’unica forza di polizia del Paese destinata a svolgere, per legge, funzioni di reale pacificazione sociale attraverso il produttivo reinserimento nella collettività dei detenuti - conclude Beneduci - è che i 500 milioni di euro che anche il governo Monti ha voluto destinare alle nuove infrastrutture penitenziarie, sulla base di un c.d. ‘piano-carceri” dalle finalità e dagli esiti quanto mai incerti dopo 4 anni , sia invece utilizzato dal nuovo governo per favorire la formazione professionale e l’occupazione di giovani e disoccupati, soprattutto nei territori ad alto indice di criminalità, quale unica misura in grado di prevenire concretamente ulteriori ed insostenibili incrementi della popolazione detenuta”. Giustizia: Di Giacomo (Sappe) in sciopero di fame e sete contro sovraffollamento carceri di Giuseppe Formato www.primonumero.it, 6 gennaio 2013 Da 24 giorni il consigliere nazionale del Sindacato di Polizia Penitenziaria (Sappe) non tocca cibo. Dalla prossima settimana è intenzionato a smettere anche di bere: “Ci si deve rendere conto che la situazione degli istituti di pena è oltre il livello di guardia e a farne le spese sono i detenuti e gli agenti di custodia”. Cita una sentenza della Corte Europea secondo cui nei penitenziari italiani il trattamento riservato ai carcerati è paragonabile alla tortura: “In effetti sono ammassati gli uni agli altri, non è accettabile”. La sua proposta: depenalizzare molti reati minori per poter così ridurre il numero dei detenuti. È provato da ventiquattro giorni di digiuno, ma deciso a portare avanti la sua battaglia. È molisano, si chiama Aldo Di Giacomo, e sta facendo parlare di sé mezza Italia. Quella, per lo meno, che ha a cuore il destino di chi suo malgrado deve avere a che fare col carcere, agente o detenuto che sia: “Il mio sciopero della fame” dice “è un atto di protesta contro la situazione del sistema giustizia in Italia, che parte dalla lentezza dei processi e finisce inevitabilmente per esplodere nel sistema penitenziario”. Dai primi di dicembre Di Giacomo non tocca cibo per dare forza alla sua causa, e non intende fermarsi. All’inizio della prossima settimana annuncerà, durante una conferenza stampa in Senato, di essere pronto a iniziare anche lo sciopero della sete. Proprio come ha fatto Marco Pannella fino a qualche giorno fa affinché si accendessero i riflettori dell’opinione pubblica e della politica sul problema delle carceri. Pannella lo ha fatto in quanto esponente di un partito che ha sempre avuto a cuore la questione delle prigioni; il campobassano Di Giacomo lo sta facendo in quanto “addetto ai lavori”. È infatti un consigliere nazionale del Sappe, il sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria, e anche per questo la sua protesta è ancor più clamorosa: “Dobbiamo riflettere” dice “su alcuni numeri: ogni anno, in Italia, 70 detenuti si suicidano; mentre, negli ultimi dieci anni 104 poliziotti penitenziari si sono ammazzati, per l’accumulo di stress. Può andare avanti questo sistema?”. Ovvio che “questo sistema” sia, dal suo punto di vista, logica conseguenza di una situazione che ha a che fare con le negligenze della politica: “C’è una sentenza della Corte di Giustizia Europea che descrive l’Italia come un Paese che tortura i carcerati. Secondo questa sentenza se un detenuto ha meno di nove metri quadrati a disposizione è in una situazione di tortura. Da noi i carcerati sono ammassati l’uno sull’altro. E così viene calpestato pure l’articolo 28 della Costituzione, secondo il quale il carcere deve essere rieducativi”. All’origine di tutto c’è, secondo l’esponente molisano del Sappe, il malfunzionamento della macchina della Giustizia: “Abbiamo un milione e mezzo di processo aperti con centottantamila prescrizioni all’anno. La situazione è aggravata dal fatto che si fanno processi per reati di lieve entità che intasano inutilmente i Tribunali. Non sarebbe più opportuno trasformare questi reati in semplici sanzioni amministrative da dare a chi subisce il torto? Senza contare il fatto che ci sono 180 mila persone che ogni anno vedono chiudersi i processi senza che nessuno prenda una decisione. Magari, anche per reati di una certa entità”. Per Di Giacomo il passaggio dalle lentezze della giustizia al disastro dei penitenziari è automatico: “La conseguenza di quello che ho appena detto è una situazione nelle carceri non più sostenibile. Sono strapiene. In carcere deve andare solo il vero delinquente e non, magari, il venditore ambulante che troviamo d’estate sulla spiaggia a vendere borse con le griffe falsate. Per il bene della collettività, è meglio rispedire in patria il venditore ambulante e non mandarlo in carcere a spese degli italiani. E questo è solo un esempio”. Presidente della Regione Molise Iorio incontra Di Giacomo Il Presidente della Regione Michele Iorio ha ricevuto, nel pomeriggio di oggi, Aldo Di Giacomo, Presidente dell’Associazione “Cultura e Solidarietà” e Consigliere nazionale del Sindacato Penitenziario “Sappe”, impegnato da qualche tempo nello sciopero della fame, per sensibilizzare le istituzioni e la classe politica alle problematiche di una “Giustizia più giusta” e del sovraffollamento delle carceri. Iorio ha condiviso le motivazioni e gli obiettivi della protesta di Di Giacomo, ma lo ha invitato a desistere, visto le sue condizioni di salute rese sempre più precarie, e anche in considerazione della volontà, annunciata dallo stesso presidente di “Cultura e Solidarietà”, di iniziare anche lo sciopero della sete. Il Presidente della Regione ha poi auspicato che le Istituzioni, a tutti i livelli, prendano atto di questa protesta e soprattutto dell’importanza delle tematiche affrontate, alcune delle quali, come il sovraffollamento delle carceri, fatte proprie dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, in varie occasioni e, in particolare, nel recente messaggio agli italiani di fine anno. “Spero che i temi di una giustizia più veloce ed equa, e di carceri più vivibili, siano affrontati adeguatamente nella prossima campagna elettorale per rendere, a riguardo, i cittadini più edotti sulle varie problematiche e in grado di esprimere un loro specifico mandato. Per quanto mi concerne, sensibilizzerò il mio Partito, per assicurarmi che esso agisca in modo programmatico prima, ed operativo poi, in tale direzione”, ha affermato Iorio. Presidente della Regione Marche Spacca: solidarietà per Di Giacomo, Di seguito la dichiarazione del presidente Gian Mario Spacca in merito allo sciopero della fame del segretario del Sappe, Aldo Di Giacomo. “Esprimo piena e convinta solidarietà a nome del Governo delle Marche al segretario del Sappe, Aldo Di Giacomo, impegnato a richiamare l’attenzione della nostra comunità contro il sovraffollamento delle carceri. Di Giacomo solleva un grido di dolore affinché siano riconosciuti diritti fondamentali della persona: dignità, diritto ad una giustizia giusta, diritto ad un trattamento degno di un Paese civile e democratico come l’Italia, diritto del personale della Polizia penitenziaria a lavorare in condizioni di sicurezza. Diritti che purtroppo, oggi, le condizioni delle carceri italiane non consentono di poter garantire, a causa di una carente politica nazionale. Nell’assicurare l’impegno della Regione Marche a tenere alta l’attenzione su questa determinante questione, affinché il tema delle depenalizzazioni e del ricorso alle misure alternative al carcere sia inserito tra le priorità della prossima legislatura, esprimo preoccupazione per il protrarsi dello sciopero della fame da parte di Di Giacomo e per il suo annuncio di voler intraprendere anche quello della sete. Giustizia: perché Lander Fernandez Arrida non va estradato in Spagna? è un basco… di Mauro Palma Il Manifesto, 6 gennaio 2013 Un folto e qualificato gruppo di giuristi, membri del Parlamento, intellettuali ha promosso un appello, affinché Lander Fernandez Arrida, attualmente agli arresti domiciliari a Roma non sia estradato in Spagna, come richiesto dalle autorità di quel paese, in particolare dalla Audiencia National. Si tratta di un paese con sedimentate relazioni culturali, sociali, politiche, consuetudinarie con il nostro e, quindi, vale la pena soffermarsi sulle motivazioni di tale richiesta di rifiuto. Chiarendo subito che credo che essa debba essere accolta e Lander Fernandez Arrida non debba essere estradato. Partiamo dall’urgenza dell’appello: la quarta sezione della Corte d’Appello di Roma si riunirà per decidere il caso il prossimo martedì 8 gennaio, dopo aver più volte chiesto chiarimenti alle autorità spagnole, a testimonianza di qualcosa di poco convincente nella richiesta. Poi, qualora l’estradizione venisse ritenuta giuridicamente fondata e venisse accolta, resterebbe soltanto una decisione d’ordine politico circa il darne o meno esecuzione; ma di questi tempi d’interregno istituzionale si rischia che sia eseguita quasi automaticamente, senza il necessario fermarsi a riflettere sulle conseguenze, potenzialmente gravi. I fatti di cui egli è accusato risalgono a più di dieci anni fa e consistono nell’aver dato fuoco il 20 febbraio 2002 a un autobus vuoto in Bilbao, nel quadro di un insieme di azioni dimostrative. In una comunicazione ufficiale, peraltro richiesta dalla Corte italiana, le autorità spagnole hanno chiarito che risulta che il fatto non avesse la possibilità di cagionare danni a persone e che non è mai stato rivendicato da alcuna organizzazione terrorista. Quindi, il tutto dovrebbe concludersi con una prescrizione. Tuttavia la qualificazione del reato gioca nella decisione. Lander Fernandez è basco, è accusato di contiguità con l’Eta, data la sua appartenenza alla presunta organizzazione terrorista Kale Borroka - denominazione che letteralmente significa “Violenza di strada” - e l’episodio viene ricollegato a giornate di lotta indette dall’Eta, nei giorni antecedenti il 22 febbraio di quell’anno. Da qui il qualificarlo non più come danneggiamento semplice, bensì come danneggiamento terroristico e la conseguente richiesta di estradizione: una tortuosa argomentazione. L’Italia ha posto l’accusato agli arresti domiciliari sin dallo scorso giugno e ora ci si avvia verso la decisione. Vale la pena allora ricordare alcuni elementi, al di là della forzatura procedurale che s’intravede in questo caso. D primo è che la Spagna non è mai riuscita a dare prova sufficiente per confutare le accuse di maltrattamenti e tortura delle persone fermate in quanto accusate di appartenenza o contiguità con l’Eta. Accuse, queste, mosse da molte organizzazioni non governative internazionali e dallo stesso Rapporteur delle Nazioni Unite contro la tortura. Non solo, ma la particolare procedura che l’Audiencia National - una procura e un tribunale ad hoc per questi casi - può attuare in questi casi prevede la possibilità di detenzione segreta (la cosiddetta detenzione incommunicada) per cui l’accusato è tenuto in particolari celle, senza possibilità di accesso all’avvocato e senza inopportuni sguardi esterni di chicchessia; anche il giudice lo vedrà soltanto quando egli o ella darà la sua declaración. Questa opacità non consente alle stesse autorità di controbattere alle accuse di tortura e inoltre spesso le indagini sulle violenze che gli arrestati dichiarano di aver subito non vengono adeguatamente investigate. Per questo la Corte di Strasburgo ha condannato anche recentemente la Spagna per violazione dell’articolo 3 della Convenzione dei diritti umani (divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti). In occasione di sue ispezioni proprio rivolte al sistema di detenzione incommunicada, il Comitato per la prevenzione della tortura ha più volte evidenziato pratiche inaccettabili, quali il tenere le persone incappucciate, la non registrazione delle loro presenza etc.; ha così evidenziato il rischio che il sistema - che ripetiamo è esclusivamente rivolto a persone accusate di reati di questo tipo - sia finalizzato a ottenere nomi, informazioni, confessioni. Le risposte avute dalle autorità spagnole sono sempre state inadeguate e non in grado di dissipare i consistenti dubbi. Del resto lo stesso Ombudsman (difensore civico) del Paese basco ha più volte formulato gli stessi rilievi. Ecco perché credo che finché la Spagna non avrà dissipato tali dubbi e non avrà abolito un sistema così pre-moderno e oscuro, non sia giusto estradare una persona ben sapendo quale sarà la caratteristica del rischio a cui la si espone. Anche per non essere noi stessi, complici di eventuali esiti nefasti che richiamerebbero anche la responsabilità del nostro paese di fronte al giudice sovranazionale: non solo sono vietati maltrattamenti e tortura, ma anche il rinvio di una persona verso un luogo o una situazione che la espone a tale rischio. Tanto più per un reato sostanzialmente minore di undici anni fa. Torino: 44enne colto da malore durante arresto, muore in ospedale Adnkronos, 6 gennaio 2013 Non ce l’ha fatta Alessandro Pecora, il 44enne colto da un malore durante l’arresto giovedì sera. È morto nel pomeriggio all’ospedale di Orbassano (Torino). Quando gli agenti di polizia giudiziaria si erano presentati a casa sua a Borgaretto, frazione di Beinasco alle porte di Torino, per notificargli una misura di custodia cautelare in carcere l’uomo, pregiudicato e noto tossicodipendente, aveva dato in escandescenze e si era poi accasciato a terra. Subito soccorso prima dai poliziotti, che gli avevano praticato un massaggio cardiaco, e poi dal 118, era stato trasportato all’ospedale San Luigi di Orbassano (Torino) dove è deceduto. Macomer (Nu): il Direttore rassicura i Sindacati “il carcere per ora non chiude” Ansa, 6 gennaio 2013 La casa circondariale di Macomer, al momento, non chiude. Lo ha scritto il direttore dell’istituto Giovanni Monteverdi in risposta ad una nota dell’Ugl Penitenziari che aveva posto il problema all’Amministrazione. “Nessuno - ha spiegato il direttore - né a livello Ministeriale né regionale, allo stato attuale, può prevedere con certezza quali saranno le politiche che verranno portate avanti in materia penitenziaria dal futuro Governo”. Il responsabile del carcere del Marghine nella stessa nota rassicura il Sindacato circa alcune questioni relative all’organizzazione dei servizi del personale, in modo da contemperare le esigenze della sicurezza e la tutela dei diritti dei lavoratori. Santa Maria Capua Vetere (Ce): i Radicali al fianco dei parenti dei detenuti www.casertanews.it, 6 gennaio 2013 A meno di due settimane dal sit-in non violento della vigilia di Natale, i militanti dell’Associazione Radicale Legalità & Trasparenza Luca Bove, Domenico Letizia e Gianroberto Zampella sono di nuovo al fianco dei parenti dei detenuti. Questa volta l’obiettivo è la raccolta delle pre-firme necessarie per la presentazione delle liste Amnistia, Giustizia, Libertà, il cui simbolo definitivo è stato da poche ore diffuso in rete. Ben 100 firme sono state in poche ore raccolte per tali liste di scopo, finalizzate ad una strutturale riforma della giustizia di cui l’amnistia rappresenti il primo, concreto atto. Per la sola circoscrizione di Campania-2 (comprendente le province di Caserta, Avellino, Benevento e Salerno) sono necessarie almeno 1000 firme autenticate, da raccogliere in una manciata di giorni. Ed è proprio il reperimento degli autenticatori ad essere il punto più delicato della complessa “corsa ad ostacoli” per potersi presentare alle Elezioni Politiche 2013, dove i pochi che vogliono rispettare le regole sono costretti a tempi contingentati e compressi, in totale assenza della minima informazione che possa garantire ai cittadini reale partecipazione. Per questo una delegazione dell’Associazione Legalità & Trasparenza si ritroverà lunedi al Comune di Caserta, per sollecitare al sindaco la presentazione di un elenco di funzionari e consiglieri comunali disponibili all’autentica delle firme. Benevento: chiarimenti dall’Asl sul caso di tubercolosi per un detenuto Il Mattino, 6 gennaio 2013 “L’allarme procurato dalla notizia di un detenuto ricoverato per tbc impone alcuni chiarimenti. Non c’è ancora la diagnosi di certezza della malattia, essendo necessari dei tempi tecnici per l’esito degli esami effettuati ed i protocolli ufficiali prevedono che al solo “sospetto” di tubercolosi, vengano attuate tutte le misure per evitare la diffusione della malattia, tali misure comprendono l’avvio della terapia specifica per l’ammalato o caso sospetto ed il test per i contatti stretti, cioè coloro che hanno coabitato con l’ammalato”. Questo in una nota della Direzione Sanitaria dell’Asl di Benevento. “Tutto ciò è stato messo in atto anche nel caso del detenuto. Il test che si esegue sui contatti, cioè sulle persone che sono venute a contatto con l’ammalato che si sospetta abbia contratto la tubercolosi, è detto “intradermoreazione di Mantoux” e consiste nella iniezione intradermica di una piccola quantità di tubercolina, la comparsa di un arrossamento e di un nodulo nella zona di inoculo indica la “positività” del test. Tale positività non indica che il soggetto sia malato, ma solo che ha avuto un contatto con il batterio. I soggetti risultati positivi vengono sottoposti a radiografia del torace per verificare se sono malati. Nella circostanza che si è verificata nei giorni scorsi, la presenza di alcuni agenti di polizia penitenziaria “positivi” al test di Mantoux non significa che sono malati, come confermato dall’assenza di lesioni attive alla radiografia del torace, eseguita presso l’ambulatorio dell’ASL nella stessa giornata della lettura del test o che sono stati contagiati da un presunto caso di tubercolosi, ma che nella loro vita, hanno avuto contatto con il micobatterio della tubercolosi. Sarebbero risultati, verosimilmente, positivi anche se il test l’avessero fatto in assenza del sospetto caso, va rimarcato che una percentuale di test positivi si ritrova, normalmente, nella popolazione, specie di età adulta. Analogo ragionamento va fatto per i detenuti risultati positivi e, comunque, anche in considerazione delle particolari condizioni di vita del personale e dei detenuti, si è deciso, d’accordo con il Dirigente Medico della Casa Circondariale, di iniziare, per tali soggetti, sottoposti anche ad accertamenti ematologici, una chemioterapia preventiva”. Salerno: Valiante (Regione); rilevate carenze nella organizzazione sanitaria del carcere Ansa, 6 gennaio 2013 “Nel corso della visita tenuta la mattina di Natale alla Casa Circondariale di Salerno, insieme al radicale Donato Salzano, al collega Dario Barbirotti ed ai rappresentanti dell’associazione Nessuno tocchi Caino, avemmo modo di constatare le difficile condizioni dei detenuti con particolare riguardo al sovraffollamento, al temporaneo non funzionamento del sistema di riscaldamento ma soprattutto rispetto alla organizzazione sanitaria, gravemente carente per scarsità di medici ed infermieri come peraltro segnalato anche dal Direttore sanitario del presidio, Giovanni Di Cunzolo”. Lo sottolinea Gianfranco Valiante, presidente della commissione Anticamorra del Consiglio regionale della Campania. “Nella circostanza - aggiunge - segnalammo, a titolo esemplificativo, il caso di una donna nigeriana (Z.A.), affetta da una seria patologia al fegato chiedendone l’immediato ricovero in Ospedale per approfondimento d’indagini: cordialità, dichiarazioni concilianti degli addetti e basta. Z.A. è ora ricoverata, in condizioni non facili, all’Ospedale di Salerno non per la nostra sollecitazione ma per una emorragia che ha fatto prima della burocrazia ed anche della conclamata buona volontà. Domattina alle 11 andremo a far visita a Z.A.; farebbe piacere avere con noi anche il direttore generale dell’Asl di Salerno al quale potremmo chiedere di persona di attivarsi per dare alla casa circondariale di Salerno i medici ed gli infermieri che occorrono”. Modena: Convenzione con il carcere, a Formigine musica e cura del verde per i detenuti www.modenaonline.info, 6 gennaio 2013 Convezione tra Comune e Casa Circondariale di Modena che prevede l’impiego di detenuti volontari per il miglioramento delle aree verdi cittadine. Concerto in carcere per gli Spira mirabilis. Volontari per la manutenzione del verde cittadino. L’orchestra Spira mirabilis che entrerà in carcere per offrire un concerto ai detenuti. Sono queste alcune delle azioni più significativi previste nella convenzione tra l’Amministrazione di Formigine e la Casa Circondariale di Modena, approvata nell’ultima seduta della Giunta comunale. Progetti di recupero sociale rivolti ad un gruppo di soggetti ristretti, nell’ottica di una giustizia “riparativa” anziché “punitiva” che possano contribuire al bene comune. Il primo progetto che coinvolgerà al massimo 3 detenuti, è finalizzato a piccoli interventi necessari per il mantenimento e il miglioramento del territorio e del patrimonio comunale e sarà realizzato dai servizi Verde Pubblico e Manutenzioni, in collaborazione con il personale della Casa Circondariale di Modena. La convenzione avrà una prima durata di 1 anno e prevede lo svolgimento delle attività con cadenza non superiore a 2 giornate settimanali. “Condividiamo pienamente gli obiettivi di questo progetto sinergico con la Casa Circondariale di Modena - dichiarano gli Assessori alle Politiche sociali Maria Costi e ai Lavori pubblici Giuseppe Viola - persegue infatti il miglioramento della qualità della vita di alcune persone detenute e individua azioni volte al loro inserimento socio-riabilitativo attraverso l’apprendimento di competenze e abilità professionali”. Nel dettaglio, le attività concordate consistono in piccoli interventi di potatura di cespugli e siepi; nella pulizia di aiuole, aree verdi e parchi; nella messa a dimora di essenze fiorite stagionali in aiuole; nei servizi resi necessari a seguito di particolari agenti atmosferici (rimozione della neve da aree pubbliche comunali come parcheggi, marciapiedi e scuole); tinteggiatura di arredo urbano come cestini e panchine. Porte del carcere che si aprono per azioni “riparatrici” ma anche per entrare in contatto con la realtà della detenzione. Il Comune di Formigine ha inoltre raccolto la disponibilità dell’orchestra Spira mirabilis per un concerto straordinario da tenersi proprio all’interno della Casa Circondariale di Modena. Eboli (Sa): tra parmigiana e casatiello con i detenuti-chef di La Città di Salerno, 6 gennaio 2013 Ecco una situazione dove gli “arrosti domiciliari” trovano la loro migliore collocazione strategica… La casa di reclusione di Eboli. Ma e poi mai avrei immaginato di fare tappa, in questo percorso “scrocca pranzi”, all’interno di tale tipo di struttura ed essere invitato dai 50 ragazzi, che sono per il momento ospiti di questo luogo, dall’aria, a dire il vero, molto accogliente. Faccio il quadro, velocemente, della situazione in cui mi sono trovato, dopo aver ricevuto l’invito, per permettere ai lettori di sentire il carcere un po’ come “casa propria”; prima di tutto la comunicazione relativa al menù, che mi era stata forzatamente nascosta, insieme all’orario del pranzo, apparentemente deciso da me ma rigidamente chiuso tra l’una e l’una e trenta; poi, il fatto che si era convenuto, nella massima libertà di espressione da parte di entrambi, di stabilire una cinquantina di paletti rispetto a ciò che potevo o non potevo scrivere non dimenticando, però, una cosa molto importante, l’ordine che al tavolo fossimo seduti io, la direttrice, il comandante delle guardie, anch’ella donna e la responsabile delle attività, più due giovani detenuti, scelti non so precisamente da chi, ma accettati senza batter ciglio, visto che i lavori di ristrutturazione, attualmente in corso, con molti pilastri presenti “ancora vuoti” e quindi “ancora abitabili”, sembravano non attendere altro che essere definitivamente riempiti. L’invito, devo ricordare, mi era arrivato durante uno degli interventi culturali che stavo portando avanti all’interno della struttura ed era giunto come se fosse stata quasi una sfida… “Vuoi vedere che ti sorprenderemo?” e “Vuoi vedere che sarai costretto a scrivere bene di noi, perché non ne potrai fare a meno?”. Naturalmente ho pensato che fossero talmente bravi che non avrei trovato “scappatoie” per giocare con le fameliche e ingombranti ironie che hanno contraddistinto, fin dall’inizio, i miei articoli. Speriamo di aver capito bene! Intanto, il giorno dell’invito, arrivo alle 13,20 nella casa di reclusione accolto, naturalmente, dal personale il quale, non chiedetemi perché, mi guardava con l’aria… Tutta ‘na scusa pè magnà… anche se, a dire il vero, questa coda di paglia me la porto appresso fin dal primo invito. Pochi preamboli e ci avviamo tutti verso la sala da pranzo dove 50, rumorosi ed affamati, (scopro ora che pranzano normalmente alle 12) tra chef, aiuto chef, camerieri, tutto fare e finti facenti, ci attendevano, “indicandoci” senza “colpo ferire” quale fosse il nostro tavolo, stranamente posto vicino agli scaloni molto ripidi di questa sala antica, e il mio “va bene il tavolo” venne fuori, sparato, quasi senza accorgermene. Iniziamo il pranzo con un aperitivo alla frutta (ho atteso che bevessero prima gli altri per sana precauzione), un aperitivo dal sapore sanguigno e dalla temperatura “come se fosse stato al fresco”, accompagnati a vista da ottimi salatini. Ecco però in arrivo una leccornia, una inaspettata, quanto regale “Parmigiana di melanzane” il cui sapore sarebbe stato eccezionale se non fosse stato per la quantità inenarrabile di pepe che aveva fatto diventare, in un attimo, le mie labbra una fornace industriale… Nel mio subconscio si faceva largo il senso forte di una forma di attentato oppure di un avvertimento. Ad un tratto però cambia la scena… entra il casatiello che, ahimè, nella Pasqua, simboleggia la corona di spine del Crocifisso. Forse sarà l’ambiente, ma i segnali iniziano ad essere troppi. Le frittelle di alghe portano però un’aria diversa… molto invitante, ma sarà la paranoia o la paura a farmi tradurre, immaginate perché, tutto in negativo… Intanto iniziano ad arrivare i piatti importanti… Pasta alla Siciliana; ne prendo un “Pizzino”, pardon, un pezzettino davvero molto gustoso con la consistenza del maccherone da “mordi e fuggi”. Velocemente, poi, vengono servite salsicce e patate al forno… Perfetto! Finalmente mi sento più sereno ma forse, è presto per dirlo. Il cuoco, uscito dalla cucina per l’occasione, tutto ad un tratto mi si avvicina con un volto poco rassicurante, cercando di spiegarmi il modo con il quale aveva preparato le patate, sottolineando che, dopo averle sbucciate e “fatte a pezzi” per tutta la loro lunghezza, aveva bucherellato, con un forchettone, tutte le salsicce e… ma ora basta però… voglio un po’ di dolce. Si, il dolce, proprio quello che non mangio mai, il dolce che già dal nome, sembrava poter aprire uno spiraglio confortante… il Tiramisù. Infatti nel suo effetto iconico e nel suo status zuccherino, strettamente legato al significato del nome e del sapore, infondeva un nonsoché legato alla “speranza di vivere” e all’andare oltre ogni “tristezza terrena”. Il sapore, infatti, non tradì l’attesa e ci portò velocemente in un clima di evasione. Intanto si avvicinava fortunatamente la fine… ma che sto dicendo, sono “preso” oramai anche nel lessico. In questa sequela di equivoci ho iniziato inequivocabilmente, a dare i numeri, in particolare il 17, il 48 e il 90 e per chi conosce la cabala… Intanto ecco il caffè accompagnato da uno strano ma lunghissimo foglietto bianco. Era nella mani dell’energumeno del gruppo il quale, con lo sguardo di chi non ama sentirsi dire no, mi accenna che era arrivata “l’ora di fare i conti”… Ma il pranzo non era a scrocco? Napoli: detenuti di Poggioreale lavorano come giardinieri e netturbini a Torre Annunziata di Giovanna Salvati www.metropolisweb.it, 6 gennaio 2013 Recupero sociale e territoriale: firmato il protocollo d’intesa tra l’Uepe e il comune di Torre Annunziata. Saranno circa venti, ognuno di loro con una storia diversa ma con la voglia di riscattarsi e reintegrarsi nella società. È questa l’iniziativa promossa dai servizi sociali che ieri mattina hanno stipulato un protocollo d’intesa con il Ministero di Giustizia attraverso il quale detenuti del carcere di Napoli verranno integrati in attività lavorative in città. Dal giardiniere all’assistenza ad anziani, trasporto diversamente abili, pulizia delle strade e supporto nella raccolta rifiuti in città ma anche solo nelle iniziative ludiche. Sono questi i ruoli che verranno ricoperti dai detenuti che nelle prossime settimane arriveranno in città. “È un’iniziativa che porterà un doppio beneficio alla nostra città- ha spiegato l’assessore alle politiche sociali Ciro Alfieri - in primo luogo potremmo contribuire alla giusta causa di integrazione sociale attraverso la quale i detenuti con attività che li impegneranno in alcune ore della giornata fuori dal carcere, potranno sostenere i servizi in città: potranno magari ripulire le strade dove necessari degli interventi straordinari e di emergenza, accompagnare i diversamente abili in attività o gli anziani nei centri riabilitativi. Insomma un ruolo di completa assistenza ma che nel contempo servirà a loro nel reinserimento nella società”. Il protocollo non è altro che una convenzione della durata di tre anni e nasce all’interno della programmazione sperimentale del Ministero della Giustizia in ambito penitenziario, volta a favorire il coinvolgimento dei detenuti in attività lavorative di pubblica utilità. Ogni detenuto che verrà inserito nel progetto all’ente comunale non costerà nulla e lavorerà da un minimo di due ore sino a cinque ore al giorno. L’iniziativa sposata dall’Ambito 15 partirà in via sperimentale nel comune di Torre Annunziata alla quale poi potranno aderire anche gli altri comuni del distretto 15 ovvero Boscoreale, Boscotrecase e Trecase. “Per noi rappresenta una grande occasione - conclude Alfieri - possiamo essere impegnati in prima persona nell’offrire una possibilità a queste persone che nonostante il loro curriculum criminale possono finalmente riscattarsi e reintegrarsi in tal modo di lavorare in modo onesto e recuperare nel contempo la propria persona in modo sano ed utile alla società, certo potranno essere detenuti torresi come quelli invece della provincia, poco importa l’importante è contribuire ad una giusta causa”. I detenuti che verranno individuati dai responsabili del penitenziario partenopeo sono in regime di detenzione nel carcere di Poggioreale e saranno sia uomini che donne. Ognuno di loro verrà monitorato dalle guardie penitenziare e sarà dotato di un diario di bordo all’interno del quale verrà ricostruito il suo impegno giornaliero. L’iniziativa prenderà il via nei primi di febbraio dopo la individuazione della mansioni che l’ambito metterà a disposizione per i detenuti. Venezia: il Patriarca Moraglia in visita al carcere femminile “investite sul futuro” La Nuova Venezia, 6 gennaio 2013 Ieri, vigilia dell’Epifania. Alle 16,45 il patriarca Moraglia ha varcato i portoni blindati del carcere femminile della Giudecca. Era il suo primo incontro. Ad attenderlo la direttrice Gabriella Straffi con gli operatori penitenziari, le religiose, i rappresentanti di associazioni e numerosi volontari. E un mondo poliglotta di donne provenienti da 15 nazioni. Le recluse - 73, di cui 33 italiane, 40 straniere - vivono là con le loro fragilità coltivando speranze. Prime fra tutte la libertà e l’abbraccio con i figli. Ma dentro vi sono altre piccole vite, tre bimbi di età compresa fra zero e tre anni costretti a crescere con i ritmi del carcere fra divise e portoni sbarrati. Dalle celle tutte le detenute si sono dirette verso la cappella del penitenziario. Pareva un pellegrinaggio. Emozionate e stipate hanno accolto monsignor Moraglia con canti e applausi: “L’abbiamo attesa a lungo, patriarca. In questo luogo abbiamo tanto tempo per pensare e riflettere. Ci porti nel suo cuore”. Una sosta davanti al presepio allestito collettivamente. Qui il pastore Francesco non ha distolto lo sguardo da quell’angolo illuminato dalla stella cometa. Il paesaggio familiare con la Sacra Famiglia, i Re Magi, i pastori ha aiutato a vivere il vero significato dell’Epifania. “Con le vostre mani avete costruito il segno della speranza. Qui ci sono le vostre storie, sensibilità, percorsi diversi”. Una preghiera poi la celebrazione. Compresenti il segretario particolare, don Morris Pasian, il direttore della Caritas, monsignor Dino Pistolato, i cappellani del carcere femminile e maschile, padre Nilo Trevisanato e don Antonio Biancotto, i padri cappuccini del Redentore, Luca Trivellato e Andrea Cereser. Le parole del Patriarca, semplici ed esplicite, sono risuonate nella piccola chiesa dell’imponente edificio. Il presule ha incoraggiate quelle donne: “Dovete uscire di qui più forti, allenate, credendo di più in voi stesse. Guai se aspettate di togliere il foglietto dal calendario”. Ha portato loro speranza: “Dovete investire sul futuro impossessandovi del presente. Ci sentiamo liberi quando ci mettiamo di fronte a Dio”. Poi il momento delle presentazioni delle attività (cosmesi, lavanderia, sartoria, orticoltura biologica, teatro). “A rotazione lavorano tutte”, ha spiegato la direttrice. Infine i doni, per i bimbi calze piene di dolci, per il Patriarca due ceste colme di prodotti cosmetici e di verdura. C’è stato il tempo anche di uno scambio di battute. Sulla prossima inaugurazione della struttura per le mamme detenute con i loro figlioletti il presule ha detto: “Spero mi inviterete”. E sulla questione delle chiese aperte senza pagamento ha confermato: “Sul calendino c’è scritto tutto. Quando scrivo cerco di pensare le cose”. Contagiate dalle parole di conforto e di fiducia le recluse hanno salutato il pastore Francesco con la consapevolezza di riaverlo presto tra loro. Oggi in Basilica alle 10,30 il Patriarca presiederà il solenne Pontificale. Al trentaquattrenne Marco Zanon di Quarto d’Alti-no, in partenza per la Bolivia, sarà consegnato il “crocifisso” e il mandato missionario. Roma: Cangemi e Alemanno a Rebibbia, portano doni ai figli di detenute e detenuti Dire, 6 gennaio 2013 Solidarietà ieri mattina al carcere romano di Rebibbia Femminile di via Bartolo Longo. L’assessore alla Sicurezza ed Enti locali, Ambiente, Sviluppo sostenibile e Politiche dei Rifiuti della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi, accolto dal vicedirettore Ida Del Grosso e dall’ispettore superiore della Polizia penitenziaria Flavia Sera, ha consegnato ad una rappresentanza di detenute oltre 160 pacchi doni contenenti giocattoli destinati ai figli e parenti delle stesse detenute dell’istituto di pena. L’iniziativa di solidarietà denominata “Dona un Sorriso” che è stata promossa per tutti gli Istituti di pena per permettere a tutti i detenuti di fare un regalo ai propri figli in occasione dell’Epifania. È quanto si legge in una nota della Regione Lazio. “Tale iniziativa che unitamente anche alla rassegna È Natale per tutti, che ha visto in tutto il periodo delle festività, cantanti ed attori esibirsi nelle carceri del Lazio, è stata intrapresa in maniera semplice in quanto abbiamo voluto dare un segnale di vicinanza a coloro che guardano al recupero sociale per scontare gli errori commessi”, ha sottolineato Cangemi. L’occasione è stata utile per visitare la nuova sala colloqui, finanziata dalla Giunta Polverini, che è stata ultimata propri in questi giorni, e sarà inaugurata nei prossimi giorni. Due gli interventi strutturali erano stati previsti nella casa circondariale di Rebibbia realizzati con un finanziamento di circa 300mila euro: la riqualificazione appunto della sala colloqui del reparto femminile, che potrà accogliere al meglio familiari e in particolare i bambini delle detenute. Il secondo intervento è stato invece destinato alla ristrutturazione e la messa a norma del montacarichi che garantirà le movimentazioni per i soccorsi ospedalieri urgenti nei piani detentivi e le movimentazioni dei materiali e delle derrate alimentari nel nuovo complesso. Alemanno a Rebibbia consegna regali Epifania Il sindaco Gianni Alemanno ha consegnato stamani i regali donati da Roma Capitale in occasione della festa dell’Epifania ai figli dei detenuti. “Roma non dimentica nessuno dei suoi cittadini, anche quelli più problematici”, scrive su Twitter il sindaco. Alla consegna dei regali hanno preso parte anche il provveditore del Lazio, Maria Claudia Di Paolo, e il garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Roma Capitale, Filippo Pegorari. Salerno: Club Calcio dona dolciumi e giocattoli ai figli dei detenuti nel carcere di Eboli www.salernonotizie.it, 6 gennaio 2013 Dopo aver festeggiato l’avvento del nuovo anno con una cena a cui hanno preso parte diversi esponenti dei vari club affiliati, dell’amministrazione comunale locale e dell’U.S. Salernitana 1919, il Centro di Coordinamento Salernitana Clubs inaugura il 2013 con un’altra iniziativa di beneficenza: questo pomeriggio, in collaborazione con l’Associazione di Volontariato “Quartiere Ogliara”, una delegazione del Centro si è recata presso la Casa Circondariale di Eboli donando ai figli dei detenuti dolciumi e giocattoli di ogni genere ed agli stessi detenuti un calcio balilla programmando per le prossime settimane una sorta di torneo che vedrà coinvolti tutti i club associati. Ad aprire un pomeriggio dalle forti emozioni è stato uno spettacolo di magia seguito da canti e balli che hanno divertito i numerosi bambini presenti e regalato qualche ora di spensieratezza a persone che stanno pagando per i loro errori, ma che, grazie al percorso di recupero avviato in questa struttura, hanno manifestato grande voglia di lottare e guardare avanti anche attraverso iniziative di questo genere. “Èstata una grande gioia” ha raccontato il presidente Riccardo Santoro “ringrazio la direttrice Romano, Archimede dell’associazione Quartiere Ogliara, tutti i membri del Centro di Coordinamento che hanno contribuito alla buona riuscita dell’evento ed i bambini che, con il loro sorriso, hanno donato a tutti noi una forte emozione. Vivere queste realtà equivale ad una lezione di vita, in bocca al lupo a tutti”. Televisione: oggi a TeleCamere (Rai 3) un ampio reportage sulla situazione delle carceri Ansa, 6 gennaio 2013 Un ampio reportage sulla situazione delle carceri in Italia sarà proposto nella puntata di telecamere in onda oggi alle 12.25 e alle 24.45 su Rai 3. Il sovraffollamento, la salute dei detenuti, il reinserimento lavorativo. E non solo: i bambini delle detenute che crescono dietro le sbarre, il lavoro come riscatto dalla vita vissuta dalla parte sbagliata, gli operatori del sistema carcerario che vivono parte della loro esistenza dietro una porta di ferro, il ruolo dei cappellani. Storie, sogni e speranze di un mondo che paga i suoi errori in condizioni spesso non degne di un paese civile: tutto questo a TeleCamere attraverso un viaggio negli istituti di pena italiani, da Rebibbia all’Ucciardone, da Bollate a Trani. Mozambico: La sicurezza alimentare si costruisce in carcere Progetto Mondo Mlal, 6 gennaio 2013 I dati sulla denutrizione in Mozambico parlano chiaro e non lasciano dubbi sul fatto che il Paese sia uno dei più problematici a livello di nutrizione e sicurezza alimentare. Il 2008 e il 2009 hanno registrato tra il 35 e il 44% dei minori di 5 anni denutriti, principalmente per scarsa disponibilità di cibo. Mentre la media nazionale si aggira tra il 22,5 e il 55%. Nei nostri progetti all’interno delle carceri, sia per adulti ma soprattutto per minori, sosteniamo anche la produzione agricola, quale mezzo per migliorare la dieta dei detenuti attraverso una diversificazione dei pasti, fornendo vegetali di vario tipo e anche carne, soprattutto di pollo, prodotta anch’essa nelle strutture carcerarie con le quali lavoriamo. Tutto ciò serve anche come fonte di auto-sostentamento. Infatti la produzione agricola consente alle strutture di reclusione, in particolare la Penitenciaria Industrial de Nampula, di destinare i fondi per l’alimentazione ad altre spese urgenti per garantire condizioni di vita degne a tutti i detenuti. Il progetto Vita Dentro prevede inoltre la creazione di unità di produzione e commercializzazione nella sezione femminile Rex, in particolare produzione di polli che verranno utilizzati in parte per l’alimentazione delle detenute, in parte commercializzate ai ristoranti della zona e infine sarà fatta una vendita al dettaglio per chiunque voglia finanziare un’attività sociale di questo tipo. Afghanistan: liberati 130 detenuti, mano tesa del presidente Karzai per apertura dialogo Ansa, 6 gennaio 2013 Il governo afghano ha dato il suo beneplacito alla liberazione di circa 130 detenuti della prigione di Bagram (a nord di Kabul), fra cui molti presunti militanti talebani, per la mancanza di prove che ne giustificassero l’ulteriore privazione della libertà. Il gesto viene visto come una mano tesa del presidente Hamid Karzai agli oppositori armati ed un invito ad accettare l’inizio di un dialogo che possa mettere fine al lungo conflitto che ha sconvolto il paese. La conferma della misura è stata fornita ai media dal generale Mohammad Yar Barakzai, incaricato dal ministero della Difesa di assumere la gestione del carcere, in passato assicurata agli Stati Uniti ed ora trasferita alle autorità di Kabul. Mesi fa il presidente Hamid Karzai aveva ordinato alla magistratura afghana di visionare i dossier di circa 3.000 detenuti del carcere per verificare la concretezza delle accuse rivolte loro. Il gruppo di detenuti rilasciati erano stati arrestati nelle province meridionali di Kandahar, Zabul e Uruzgan. Iraq: migliaia sunniti manifestano per liberazione detenuti politici Asca, 6 gennaio 2013 Migliaia di sunniti hanno manifestato oggi in Iraq contro il primo ministro Nuri al-Maliki, chiedendo il rilascio dei detenuti politici. Si tratta dell’ultima di una serie di dimostrazioni che si tengono nel paese già da un paio di settimane contro il governo sciita e che hanno ottenuto il sostegno anche di un potente religioso sciita come Moqtada al-Sadr, che oggi si è unito ai sunniti in preghiera presso una moschea di Baghdad, manifestando la sua opposizione nei confronti di Al-Maliki. Le proteste sono iniziate lo scorso 23 dicembre, dopo l’arresto di almeno nove guardie del corpo del ministro della Finanze, Rafa al-Essawi, arabo sunnita e leader del partito secolarista Iraqiya, che fa parte della coalizione che sostiene il governo di unità nazionale di Maliki, ma che critica spesso pubblicamente le azioni del premier. Iran: figlia ex presidente Rafsanjani esce da isolamento in carcere Aki, 6 gennaio 2013 Faezeh Hashemi Rafsanjani, figlia dell’ex presidente iraniano Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, ha ottenuto il permesso per tornare nella sezione pubblica della prigione di Evin, dopo aver trascorso quattro giorni in cella di isolamento. Lo riferisce il sito “Peykeiran”, voce dell’opposizione, spiegando che Faezeh era stata trasferita la scorsa settimana, su ordine del vice procuratore del carcere di Evin, in cella di isolamento per aver offeso la Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei. Secondo quanto aveva annunciato il vice procuratore, Faezeh avrebbe dovuto trascorrere tre settimane in isolamento. La figlia di Rafsanjani, attiva contro il governo durante le proteste dell’Onda Verde nel 2009, è stata condannata a sei mesi di carcere perché riconosciuta colpevole dal Tribunale della Rivoluzione di Teheran di “aver attentato alla sicurezza nazionale, avendo fatto propaganda contro il governo”. Faezeh sta scontando la pena nel carcere di Evin a Teheran.