Giustizia: Capodanno in carcere, c’è ben poco da festeggiare di Francesco Lo Piccolo www.huffingtonpost.it, 3 gennaio 2013 Capodanno, ma c’è ben poco da festeggiare, a meno che non si voglia festeggiare l’ingiustizia. Perché lì, in quei bei palazzi romani dove la giacca e la cravatta sono d’obbligo, dove gli eletti del popolo avrebbero dovuto tenere fede a impegni e promesse, lì nulla è stato fatto perché venissero promulgate leggi per il rispetto dell’uomo e del diritto. Solo parole, anzi chiacchiere. C’è ben poco da festeggiare se nei Palazzi non fa orrore sapere che in carcere a Foggia c’è una madre (non ancora processata e condannata) rinchiusa in una cella col figlioletto di 10 giorni nato poco prima di Natale. E mi chiedo, anche se so la risposta: perché a Sallusti è stato evitato il carcere e a lei no? E ancora c’è ben poco da festeggiare se non vengono i dubbi sulla giustizia della nostra giustizia di fronte alla notizia che in un altro carcere italiano è rinchiusa una madre col figlio di appena due mesi. Ha ucciso un uomo, l’ha ucciso perché quell’uomo aveva fatto irruzione nella sua roulotte e aveva commesso atti osceni davanti ai suoi figli. Ma mi chiedo, e anche qui so la risposta: perché i marò che sono accusati di aver ucciso due pescatori indiani sono a casa (addirittura ricevuti al Quirinale) e quella madre è invece costretta in una gabbia? Capodanno, c’è ben poco da festeggiare se non fa orrore sapere che in carcere dall’inizio del 2012 si sono uccisi ad oggi 59 detenuti e 9 agenti di polizia penitenziaria ...che nel carcere di Sollicciano piove dentro le celle... che in quello di San Giuliano a Trapani manca l’acqua e che per detenuto sono a disposizione 4 metri quadrati (i polli in batteria stanno meglio)... che al Marassi di Genova per andare in gabinetto bisogna fare i turni... che nel carcere di Brindisi quattro agenti di polizia penitenziaria sono risultati affetti di Tbc presa da contatto con un detenuto straniero affetto da tubercolosi rinchiuso in cella anche se malato. E pochi giorni prima di chiudere il palazzo per le festività, gli eletti del popolo hanno diminuito le previsioni di spesa per il mantenimento, l’assistenza e la rieducazione dei detenuti e azzerato i fondi per gli sgravi fiscali a chi assume ex carcerati... mentre nei tribunali, in forza delle solite inique leggi, per i tossicodipendenti si dispone il carcere e non la comunità terapeutica (utile un dato: per effetto della Bossi-Fini, della Giovanardi e della ex Cirielli nelle nostre carceri il 38,4 per cento dei detenuti sono tossicodipendenti contro i 14,1 per cento della Francia, i 14,8 per cento della Germania, i 15,6 per cento della Gran Bretagna. E dai dati dell’Oms l’Italia non ha certo il doppio dei tossicodipendenti degli altri paesi europei). Capodanno... ecco il 2013, ancora ben poco da festeggiare: nelle carceri italiane ci sono 60 bambini (tra questi il neonato di Foggia nato poco prima di Natale), io farò festa quando saranno tutti fuori con le loro mamme, in case famiglia, o in qualunque altro posto che non sia un carcere perché quei bambini non hanno colpe, perché so che col male non si cura mai il male, anzi si fa peggio. Giustizia: morire di carcere… inizia bene il 2013! di Emilio Quintieri www.clandestinoweb.com, 3 gennaio 2013 Dopo la strage consumatasi nel 2012 all’interno delle nostre carceri, con 154 persone detenute morte, 60 delle quali suicidatesi, iniziamo la contabilità dei “morti pena” del 2013. Giuseppe Pizzo, 58 anni, operaio edile, incensurato, originario di Belmonte Mezzagno, si è impiccato con un lenzuolo dopo aver fallito, la scorsa estate, un primo tentativo di suicidio sventato dalla Polizia Penitenziaria. Era rinchiuso nel Carcere “Ucciardone” di Palermo e da alcuni mesi si trovava da solo in cella. In attesa di essere giudicato perché accusato di avere ucciso e bruciato il corpo di una giovane prostituta nigeriana. Il suo legale, l’avvocato Mimmo La Blasca, aveva presentato due istanze di scarcerazione. Una dopo il primo gesto insano e l’altra dopo un’accidentale caduta avvenuta nel carcere di Termini Imerese. Pizzo era precipitato giù dalle scale riportando diverse fratture. Entrambe le istanze sono state rigettate dal Tribunale del Riesame che ha ritenuto le sue condizioni psichiche compatibili con il regime carcerario e necessarie per garantire le esigenze cautelari. Il prossimo 10 gennaio sarebbe dovuto iniziare il processo con rito abbreviato dinanzi alla Corte di Assise di Palermo. Nel Carcere “Ucciardone” di Palermo, a fronte di una capienza regolamentare di 345 posti, vi sono rinchiuse in condizioni disumane 600 persone. In Calabria, presso la Casa Circondariale “San Pietro” di Reggio Calabria, un detenuto di 50 anni, reggino, ha tentato il suicidio nella sua cella, non riuscendoci per l’intervento del personale della Polizia Penitenziaria. Lo ha fatto impiccandosi alle grate della finestra, il modo più diffuso all’interno delle carceri. L’uomo, in cella da solo, come ciascun detenuto in osservazione psichiatrica, era da poco rientrato dalla comunità terapeutica esterna. E, come ogni detenuto di questo genere, è soggetto a videosorveglianza 24 ore su 24, come previsto dalla legge. Ed è proprio attraverso i monitor di controllo che l’Agente della Penitenziaria in servizio si è accorto in tempo del tentativo del 50enne di compiere l’estremo gesto ed è intervenuto prontamente, evitando l’ennesima morte per suicidio nel pianeta carceri. Questo detenuto, che si trova in carcere già da tempo per reati da ricondurre alla droga, aveva anche scritto una lettera alla moglie, informandola della sua volontà di farla finita. Nel Carcere di Reggio Calabria i detenuti sono ristretti, o forse è meglio dire ammassati, in delle celle con 4 letti a castello, 433 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 149 posti. Proprio recentemente le condizioni illegali di entrambi gli Istituti Penitenziari erano state portate all’attenzione del Governo con distinte Interrogazioni Parlamentari sottoscritte dall’Onorevole Rita Bernardini e dal Senatore Salvo Fleres. Più in generale, per quanto riguarda la Calabria, l’ultimo atto del Sindacato Ispettivo Parlamentare, che ha denunciato ai Ministri della Giustizia e della Salute la gravissima situazione in cui versano le “Patrie Galere”, è stato presentato, su mia sollecitazione, al Senato della Repubblica lo scorso 17 dicembre dal Senatore Marco Perduca e cofirmato dai Senatori Roberto Di Giovan Paolo, Donatella Poretti, Roberto Della Seta, Francesco Ferrante e Salvo Fleres. Giustizia: detenuti stranieri in costante calo, nonostante muro misure alternative Redattore Sociale, 3 gennaio 2013 È un trend in costante discesa quello dei detenuti stranieri presenti nelle carceri italiane. Dal 2008 a oggi il calo è stato di quasi tremila unità all’anno sul totale degli ingressi, passando dai 43.099 del 2008 ai 40.073 del 2009 fino ai 37.298 del 2010 per arrivare ai 33.305 di fine 2011. Lo attesta il Dap che, nell’ultimo numero del periodico “Due Città” di ottobre, cerca le ragioni del fenomeno. “Nel 2007 gli stranieri rappresentavano il 37,48% delle presenze e il 48,50% degli ingressi - spiega il Dap. Da allora le percentuali vanno lentamente diminuendo fino a superare, negli ultimi rilievi disponibili, di poco il 35% nelle presenze e il 43% negli ingressi”. I principali motivi sono legati alla crisi economica, “che ha reso l’Italia meno attrattiva e ridotto del 40% l’affluenza complessiva degli stranieri”, e alla Direttiva europea 2008/115 sui rimpatri “che ha di fatto messo in questione la sussistenza del reato di mancata ottemperanza all’obbligo di allontanamento dal territorio dello Stato”. Infatti, gli ingressi dalla libertà per reati legati al testo unico sull’immigrazione sono passati dai 10.125 del 2008 (di cui 7.372 solo per la violazione delle norme sull’espulsione) ai 2.480 del 2011 (di cui 995 per mancato rimpatrio a seguito di espulsione). Nel primo semestre gli ingressi per violazione del testo unico sull’immigrazione si sono fermati a quota 410. Eppure, i dati dimostrano che “ancora oggi gli stranieri sono più arrestati (e, verrebbe da dire, anche più controllati) degli italiani e, una volta condannati, restano in carcere più a lungo”. A fronte di 42.723 presenze di italiani prodotte da 43.723 ingressi (pari al 97,82%) vi sono 24.174 presenze di stranieri prodotte da 33.305 ingressi (72,58%). “Appare evidente che quella degli stranieri è una ‘detenzione di flussò, causata o da un maggior ricorso all’arresto in flagranza di reato e alle misure cautelari personali o da un più ampio uso del carcere anche per pene temporalmente brevi”, spiega Stefano Anastasia, tra i fondatori dell’associazione Antigone. Un altro dato descrive il fenomeno: a fine 2011 i detenuti in attesa di giudizio erano il 36,98% tra gli italiani e il 47,36%tra gli stranieri. “Eloquenti anche i dati sulla pena residua - conclude il Dap: gli stranieri in carcere con una pena da scontare inferiore ai tre anni sono nettamente preminenti rispetto agli italiani”. Il mancato accesso alle misure alternative resta dunque uno scoglio per ora insormontabile: le ultime statistiche semestrali (30 giugno 2012) riportano 3.679 stranieri in misura alternativa contro 12.733 italiani. “Tra le possibili ragioni del calo degli ingressi c’è anche l’entrata nell’Unione europea della Romania - sottolinea il Dipartimento - che, dopo il Marocco, conta il maggior numero di presenze nelle carceri: l’acquisizione della cittadinanza europea dei detenuti romeni consente di accedere con maggiore facilità alle misure alternative. Giustizia: in 24 mila fuori delle prigioni... basterebbe un atto di clemenza di due anni di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 3 gennaio 2013 Gli stranieri rappresentano il 35,6% della popolazione detenuta italiana. Il tema degli stranieri detenuti è comune a molti Paesi europei. Tant’è che esso è stato prescelto come uno dei temi nevralgici da affrontare in seno alla Conferenza dei capi delle amministrazioni penitenziarie dei 47 Stati del Consiglio d’Europa svoltasi a Roma. Gli stranieri detenuti costituiscono una delle cause del sovraffollamento. L’altra è data dalla custodia cautelare. Delle 66.685 persone detenute al 31 ottobre 2012, emerge dal Rapporto Antigone 2012, ben 26.804, il 40,1%, non sconta una condanna definitiva ma è in carcere in custodia cautelare. In base ai dati pubblicati dal Consiglio d’Europa nel marzo 2012 la percentuale dei detenuti in attesa di giudizio è del 23,7% in Francia, del 15,3% in Germania, del 19,3% in Spagna e del 15,3% in Inghilterra e Galles. La media dei paesi del Consiglio d’Europa è del 28,5% e questo dato rappresenta certamente l’anomalia maggiore del nostro sistema. L’altra anomalia è data dalla questione delle tossicodipendenze. Anche qui la nostra legislazione produce tassi di carcerazione - il 38,4% circa della popolazione reclusa - superiori alla media europea. In Francia questa percentuale è del 14,1%, in Germania del 14,8, in Spagna del 28% ed in Inghilterra e Galles del 15,6%. Il contrasto al sovraffollamento è anche alla radice della giornata di protesta dell’Unione delle camere penali Italiane e dei quattro giorni di manifestazioni dei radicali, della settimana scorsa, che più specificamente invocano amnistia e diritto di voto per i detenuti. Basterebbe un provvedimento di clemenza generalizzato di due anni per far uscire dalle carceri 23.596 persone. Il sovraffollamento riduce gli spazi un po’ dappertutto. I detenuti permangono nelle celle sino a venti ore al giorno. In alcuni casi (Latina) si cerca di porvi rimedio, in altri (Fermo) non si insiste nell’organizzazione ed offerta di attività trattamentali. Scuola e lavoro sono i cardini della funzione rieducativa della pena. 363 sono i detenuti iscritti a un corso di laurea. 25 sono quelli che sono riusciti a laurearsi nel corso del 2011. Meno di un quarto dei detenuti è impegnato in attività scolastiche e poco più di un decimo dei presenti ha portato a termine con successo un percorso di studio. I trasferimenti da carcere a carcere, improvvisi e non preavvisati, sono spesso la causa della non conclusione del corso scolastico. In tal modo si sprecano energie e risorse. Eppure, se anche in Italia come in Germania si facesse una indagine sulla incidenza della istruzione sulla recidiva, risulterebbe ben chiaro che l’indice di reiterazione del reato si azzererebbe, o quasi, nelle persone che studiano in carcere, usando proficuamente il tempo a disposizione. L’emancipazione dalla devianza passa sempre dalla scuola e dalla educazione. Ancora più allarmante è il quadro relativo alla formazione professionale. Vi partecipa un misero 3,6% dei presenti segno di un progressivo disinteresse delle regioni che su questo tema hanno la competenza. In generale mancano i soldi per far fronte a qualsiasi bisogno. Nel 2007, anno durante il quale la presenza media giornaliera è stata di 44.587 detenuti, il bilancio del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ammontava a 3.095.506.362 euro. Nel 2011, quando la presenza media giornaliera è stata di 67.174 detenuti, il bilancio del Dap era di 2.766.036.324 euro. A fronte di un aumento dei detenuti di circa il 50%, il bilancio è stato tagliato del 10,6%. I costi per gli investimenti (edilizia penitenziaria; acquisizione di mezzi di trasporto, di beni, macchine e attrezzature ecc.) sono calati del 38,6% e quelli per il mantenimento, l’assistenza, la rieducazione ed il trasporto detenuti, a fronte della notevole loro crescita, sono addirittura calati del 63,6%. Anche il lavoro penitenziario ha subito forti contrazioni. Nel primo semestre 2012 a lavorare sono stati 13.278 detenuti, ossia meno del 20% del totale dei reclusi. Questo calo è conseguenza dei drastici tagli del budget previsto nel bilancio del Dipartimento per le mercedi dei detenuti che negli ultimi anni si è ridotto del 71%: si è passati dagli 11 milioni di euro del 2010, ai 9.336.355,00 euro del 2011 e ai 3.168.177 euro dell’anno scorso. Giustizia: Bernardini (Ri); su legalità dello Stato e carcere siamo soli…. con le nostre liste di Eleonora Martini Il Manifesto, 3 gennaio 2013 Rita Bernardini, deputata Radicale eletta nelle liste del Pd, cosa pensa della dichiarazione di Mario Monti sui “temi etici” giudicati non prioritari e sui quali il premier vuole lasciare libertà di coscienza? Cosa che non si può togliere a nessuno; l’importante è che non voglia obbligare la coscienza di qualcun’altro, come è già accaduto in passato. Non le sembrano discorsi già sentiti all’interno del Pd? Non proprio, lì si usava un’altra forma per annacquare tutto: si cercavano “scelte condivise” e perciò alla fine non si prendeva posizione su certi argomenti. Sembra che non vada meglio con il carcere e la giustizia. No. Una cosa è certa: di questo nessuno se ne vuole occupare. Ho appena letto una notizia che trovo scandalosa: che non abbiano mandato Cuffaro al funerale del padre. Quando si arriva a tali livelli di inumanità e di intolleranza, vuol dire che la democrazia è al di là della crisi. Allora aggiungiamo altre due notizie dal mondo penitenziario. I casi di tubercolosi nel carcere di Benevento e non solo, e i primi due casi di suicido dell’anno: uno riuscito all’Ucciardone di Palermo e uno per fortuna solo tentato a Reggio Calabria. Ricomincia lo stillicidio. Anche a Rebibbia, l’ultimo carcere che ho visitato durante la notte di Capodanno, ci sono detenuti che hanno il dubbio di aver contratto la Tbc ma non sono stati sottoposti a test. Tutto ciò è indice del disastro della sanità penitenziaria. Le condizioni igieniche sono talmente pessime che le malattie si possono trasmettere anche agli agenti, come è avvenuto a Benevento. Ormai è un pianeta, quello del carcere - che Pannella chiama “le catacombe” - che a mio avviso è sfuggito al controllo dal punto di vista igienico sanitario e di cura: si muore di malattie che fuori sono curabili. Marco Pannella ha sospeso, per ora, la sua lotta non violenta? Sì, ma presto riprenderà lo sciopero della fame e poi anche della sete. Ha una forza interiore che sbaraglia tutti. Né Monti né Bersani e neppure Ingroia hanno messo al centro dell’agenda il carcere... Proprio per questo abbiamo promosso le liste “Amnistia, giustizia e libertà”. Nessuno si pone il problema che lo Stato è in difetto e che vanno rimosse le illegalità. Non è solo una questione di carcere: negli ultimi anni i procedimenti sia civili che penali sono aumentati di numero in continuazione, e oggi se ne contano oltre 5 milioni per ciascun ramo. Quali candidati avete trovato per le vostre liste e con chi vi accorderete, visto che con questa legge elettorale senza coalizione non si va lontani? Abbiamo raccolto candidature importanti: Giorgio Albertazzi, don Mazzi, don Gallo, Luigi Amicone. Ma sono liste ancora in via di formazione: promosse da Marco Pannella, ma aperte e “di scopo”. In queste ore stiamo discutendo anche di eventuali coalizioni, ma al momento non ci sono state fatte offerte. Nel 2005, alle regionali, sia il centrodestra che il centrosinistra posero un veto sul nome di Luca Coscioni, perciò non concludemmo nessun accordo. Invece alle ultime elezioni politiche abbiamo accettato un ricatto del Pd che ha posto un veto su Pannella. Perciò valuteremo ogni proposta, nel caso ci fossero. Ma con Luigi Amicone, il direttore ciellino di Tempi, oltre all’amnistia cos’altro potete condividere? Se intanto riuscissimo a risolvere il problema della giustizia in Italia avremmo fatto un passo avanti su tutti i fronti. Come ho già detto, è una lista di scopo. In ogni caso, noi continueremo a portare avanti le nostre lotte su tutti i temi. Non solo dentro ma anche fuori del parlamento. Su questioni come l’eutanasia noi riteniamo di rappresentare la maggioranza non solo degli italiani ma anche dei cattolici praticanti. Quindi, se con Amicone non siamo d’accorso su questo, è un problema più suo che nostro. Ma in fondo siete più vicini a Monti che a Fassina, no? Sinceramente non lo saprei dire. Certo è che se ci fosse stata un’opzione politica a noi affine, ci saremmo già coalizzati. O forse non esisteremmo nemmeno più. Il sostegno del Vaticano a Monti non vi impressiona? La Chiesa ha fatto endorsement anche sull’amnistia. In fondo, non credo che possa incidere più di tanto. Giustizia: morire con le manette ai polsi, la storia di Luigi Marinelli di Luigi Manconi e Valentina Calderone L’Unità, 3 gennaio 2013 La storia di Luigi Marinelli, 48 anni, romano, deceduto il 5 settembre del 2011 dopo essere stato ammanettato dalla polizia. Per la famiglia la sua fine è da collegare alla violenza subita durante l’arresto. Per il pm no. Luigi Marinelli muore il 5 settembre 2011 nella sua abitazione di Roma, all’Eur, verso le 15.30. Circa un’ora prima la madre dell’uomo, a seguito di una lite per una questione economica, aveva chiamato la polizia. Luigi Marinelli, 48 anni diagnosticato schizofrenico, invalido al cento per cento e consumatore occasionale di sostanze stupefacenti, aveva chiesto alla madre un assegno di 10mila euro, soldi che gli spettavano in quanto parte dell’eredità lasciatagli dal padre. La donna, viste le condizioni di salute del figlio, si era rifiutata, ne era nata una lite e per questo motivo decideva di richiedere l’intervento della polizia. Nel frattempo Vittorio Marinelli, fratello di Luigi, si recava nell’abitazione della madre avvertito da quest’ultima. Da adesso in poi la situazione precipita. Di fronte alle insistenze del fratello, e in presenza della polizia, Vittorio convince la madre a dare i soldi a Luigi. Questi, preso l’assegno, cerca di guadagnare l’uscita ma gli agenti glielo impediscono. Si susseguono momenti concitati in cui Marinelli viene sbattuto contro la porta, atterrato e ammanettato. Dopo poco ha un malore e fa visibilmente fatica a respirare. Vittorio Marinelli, che ha assistito a tutta la scena, chiede che vengano tolte le manette al fratello per consentirgli di muoversi ma gli agenti si accorgono in quell’istante di non avere le chiavi. Passano lunghi minuti prima che un’altra volante allertata dai poliziotti arrivi a casa di Marinelli e possa liberargli i polsi. Nel frattempo viene chiamato il 118 e il personale paramedico, una volta giunto, non può far altro che constatare il decesso di Luigi Marinelli. Sul corpo dell’uomo, nel corso dell’esame autoptico, sono state riscontrate quattordici lesioni, oltre alla rottura di alcune costole. Per i medici incaricati di effettuare l’autopsia, quelle lesioni sono “di piccole dimensioni, superficiali e non compatibili (...) con azioni di costrizioni o comunque di colluttazione significativamente veementi”. E a loro avviso le fratture costali “sono state prodotte dopo la morte o in limine vitae quando, cioè, il soggetto era in sul morire: vanno cioè attribuite alle manovre di soccorso e di rianimazione”. Il pubblico ministero che ha condotto le indagini ha chiesto l’archiviazione del caso avvalorando la tesi prospettata dai consulenti tecnici per i quali “si può escludere che la morte di Marinelli sia stata causata dalla postura coattivamente indotta da parte degli agenti di polizia”. Contro la decisione del Pm, la famiglia di Marinelli, attraverso l’avvocato Giuseppe Iannotta, ha presentato opposizione alla richiesta di archiviazione. Per l’avvocato, infatti, non è da escludere una causa di morte da arresto cardiaco provocata da un forte trauma toracico, secondario alle manovre violente di ammanettamento da parte di un agente. Le dichiarazioni rese da questi ultimi non coincidono, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo delle manette: uno dei poliziotti intervenuti nell’abitazione di Marinella dichiara che “gli venivano subito tolte le manette di sicurezza”. Questa circostanza, però è stata smentita oltre che dal fratello e dalla madre di Marinelli, anche dagli agenti della volante intervenuti successivamente e proprio per portare le chiavi delle manette. Come è ovvio, la posizione costretta in cui si trovava Marinelli, ha impedito di praticare nei modi dovuti “le pur minime manovre emergenziali di soccorso nei tempi utili e indifferibili necessari”. Questo fatto, di estrema importanza, non viene nemmeno (Stato dai consulenti che hanno redatto l’autopsia e inoltre, nessun approfondimento viene fatto dai Pm sul perché gli agenti abbiano ammanettato Marinelli. Non c’era nessun motivo, infatti, per procedere al fermo dato che la sua condotta non configurava alcuna fattispecie di reato. In ultimo, la mancata individuazione del nesso causale tra l’intervento degli agenti e la morte di Marinelli: Se Marinelli non fosse stato bloccato, scaraventato a terra con veemenza e schiacciato da un peso che superava decisamente i due quintali, sarebbe deceduto in quel momento? L’udienza in cui verrà deciso se queste domande hanno un senso, e se maritano una risposta più approfondita di quella ricevuta finora, è fissata per 18 gennaio 2013. Giustizia: G8; in 32, torturati alla Diaz e a Bolzaneto, si rivolgono alla Corte di Strasburgo Il Manifesto, 3 gennaio 2013 Trentadue manifestanti torturati alla Diaz e a Bolzaneto si rivolgono alla Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo per ottenere la giustizia che non hanno avuto in Italia. Sui ricorsi, presentati tra il 2009 e il 2011, la Corte ha ora deciso di avviare un esame preliminare di ammissibilità inviando una serie di domande alle quali il governo italiano dovrà rispondere entro quattro mesi. I 32 ricorrenti sostengono di essere stati sottoposti ad atti di tortura e trattamenti inumani e degradanti e accusano le autorità italiane, tra l’altro, di non aver comminato pene adeguate alla gravità dei reati commessi. Questo anche perché l’ordinamento italiano non prevede il reato di tortura e trattamento inumano e degradante e tutti i responsabili sono stati giudicati per reati meno gravi. E proprio questo è uno dei punti su cui i giudici chiedono allo Stato italiano di fare chiarezza. A Strasburgo si vuole sapere se l’ordinamento italiano prevede sanzioni adeguate per chi abbia commesso atti di tortura o sottoposto delle persone a trattamenti degradanti e inumani. Ma anche quali misure disciplinari siano state adottate nei confronti dei responsabili durante tutto l’arco del processo e quale sia stato il decorso della loro carriera. La Corte vuole inoltre che il governo fornisca informazioni su come sono state condotte le inchieste, dato che i ricorrenti sostengono che queste non sono state efficaci nell’individuare tutti i responsabili anche per la mancata collaborazione delle forze dell’ordine. Infine i giudici vogliono sapere a che punto è il processo per i fatti di Bolzaneto. È la seconda volta che la Corte di Strasburgo viene chiamata a occuparsi dei fatti del G8 di Genova. La prima ha riguardato la morte di Carlo Giuliani, assolvendo completamente le autorità italiane dopo averle condannale in una prima sentenza. Basilicata: Bolognetti (Ri); qualcuno vorrebbe tenere nascosta “nuova shoah” delle carceri Notizie Radicali, 3 gennaio 2013 C’è una sofferenza che qualcuno vorrebbe tenere nascosta dietro le sbarre di carceri assurte a discarica sociale. Ci sono immagini che ti restano dentro, appiccicate, e che ritornano di continuo. Ci sono volti e situazioni che non riesci e non puoi dimenticare, come per esempio una cella fredda, asettica, dove un uomo o quel che ne resta consuma giornate eterne, ristretto e isolato, e può solo fare i conti con la sua sofferenza e il suo dolore”. Lo dichiara Maurizio Bolognetti, segretario lucano dei Radicali Italiani, dopo l’incontro con un detenuto presso la Casa circondariale di Matera, lo scorso 29 dicembre, “uno straccio d’uomo perso nella sua disperazione e chiuso in una cella con solo il letto e senza nemmeno il materasso”. Guardandolo - aggiunge Bolognetti - inevitabilmente ho pensato a quelli che qualcuno ritiene degli eccessi; ho pensato a quando Marco Pannella ebbe a definire le nostre patrie galere “un consistente e allarmante nucleo di nuova shoah”. Il caso di M., grazie a Rita Bernardini, è finito all’attenzione del Dap ed è purtroppo uno dei tanti casi che emergono in galere infami, indegne di un paese civile e assurte a gironi danteschi per l’intera comunità penitenziaria”. “Mi piacerebbe - aggiunge - conoscere chi ha pensato di far scontare a un povero cristo il suo supplemento di inferno terreno. Vorrei chiedergli perché e se sa in quali condizioni è ristretto un uomo che non può certo essere curato in un carcere. Intanto, e spero non me ne voglia, intendo accompagnare con lo sciopero della fame la ripresa dell’iniziativa nonviolenta, del Satyagraha di Marco Pannella. Occorre, credo, nutrire una lotta, dar corpo alla fame e sete di legalità che Marco ha rappresentato e rappresenta. Lo dobbiamo a noi stessi e alla nostra “ambizione” di voler riguadagnare questo nostro Stato, incapace di rispettare la sua propria legalità, alla civiltà e al diritto”. Marche: Consigliere D’Anna solidale con Aldo Di Giacomo in sciopero fame per le carceri Ansa, 3 gennaio 2013 Il consigliere regionale del Gruppo misto Giancarlo D’Anna esprime “solidarietà a Aldo Di Giacomo, rappresentante del Sappe il quale, per denunciare la grave situazione delle carceri italiane, ha ripreso lo sciopero delle fame, visto che le numerose denunce di situazioni di carenza di personale della polizia penitenziaria, sovraffollamento, e problematiche strutturali esposte nel corso degli anni non hanno trovato ascolto”. “A Di Giacomo col quale ho condiviso alcune iniziative e battaglie, il mio sostegno e appoggio, alle autorità competenti - conclude D’Anna - il pressante invito a fissare un incontro con l’esponente del Sappe per evitare che Di Giacomo continui la sua protesta con lo sciopero della sete con gravi rischi per la propria salute”. Ciccioli (Fratelli D'Italia): esprime solidarietà ad Aldo Di Giacomo L'On. Carlo Ciccioli, tra i fondatori del nuovo Partito “Fratelli D'Italia Centrodestra Nazionale" esprime forte solidarietà al Consigliere Nazionale del Sappe (Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria) Aldo Di Giacomo (che è anche Segretario Regionale), che ha iniziato lo sciopero della fame da piu' di venti giorni quale eclatante richiamo al mondo della politica sulla situazione delle carceri, della giustizia in genere e delle condizioni di lavoro e di vita degli Agenti di Polizia Penitenziaria. "Intanto – dichiara Ciccioli – mi sento di esprimere la mia solidarietà ad Aldo Di Giacomo e credo nella sua scelta di fare lo sciopero della fame, augurandomi che non possa sfociare anche in quello della sete . Un segnale di estrema sofferenza di chi vive sulla propria pelle l'esperienza della situazione carceraria, che parla anche di cento poliziotti morti per suicidio in dieci anni, settanta suicidi all'anno tra i detenuti, ventimila ospiti in più rispetto alle possibilità delle carceri e oltre nove milioni di processi penali pendenti". "Il mio impegno – conclude Ciccioli – è sia istituzionale volto alla problematica della riforma della giustizia, che con provvedimenti che possano dare finalmente il via ad una seria programmazione dell' edilizia carceraria: si aprirebbero cosi' spazi davvero vitali anche per il lavoro degli Agenti di Polizia Penitenziaria e spazi adeguati alle condizioni di vita dei detenuti stessi" Palermo: detenuto si impicca nella sua cella all’Ucciardone, il primo in carcere dell’anno Agi, 3 gennaio 2013 Un detenuto del carcere Ucciardone di Palermo stamane si è tolto la vita nella sua cella, impiccandosi con un lenzuolo alla parte più alta delle sbarre poste alla finestra. Si tratta di Giuseppe Pizzo, 58 anni, imputato per l’omicidio di una prostituta, fatto per il quale doveva essere giudicato nei prossimi giorni con il rito abbreviato. Era in carcere dal 10 maggio 2012. A trovarlo agonizzante e in fin di vita sono stati gli agenti penitenziari, che appena due ore prima avevano fatto un controllo. I medici hanno tentato di salvarlo, ma non c’è stato nulla da fare. Di Giovan Paolo (Pd): 2013 si apre nel peggiore dei modi “Sul fronte delle carceri il 2013 si apre nel peggiore dei modi: un suicidio e un detenuto malato contagioso. Il 2012 si è chiuso con il Pdl che ha detto no alle misure alternative al carcere. In questo modo si è detto no a un percorso di recupero per tanti”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, segretario della commissione Affari Europei. “La prossima legislatura non potrà esimersi dall’affrontare questi temi, perché in questa siamo arrivati a un passo dall’ottenere risultati - continua Di Giovan Paolo. Mi auguro che non prevalgano le tanto fallimentari logiche securitarie, logiche che hanno condizionato il recente passato”. Apprendi (Pd): si dia corso ad una seria riforma carceraria “Il primo suicidio dell’anno, nel carcere dell’Ucciardone di Palermo, di un detenuto, ripropone vecchi problemi, sempre attuali, grazie all’indifferenza di chi, nelle istituzioni dovrebbe prestare attenzione alle difficoltà che i direttori delle carceri continuamente segnalano. Il sovraffollamento, la mancanza di personale della Polizia penitenziaria l’esigua e insufficiente presenza di psicologi, e di educatori, sono certamente cause di esasperazione e disperazione che spesso portano al suicidio. Nessun governo si preoccupa di migliorare le condizioni di vita all’interno delle carceri. È necessario che si dia corso ad una seria riforma carceraria”. Papa (Pdl): ieri all’Ucciardone inaugurato anno dei suicidati “All’Ucciardone si è inaugurato l’anno dei suicidati in carcere dallo Stato italiano. Contro il rischio che nel prossimo Parlamento non ci sia nessuna forza a difesa della giustizia e della legalità, le liste Amnistia Giustizia e Libertà, volute da Marco Pannella, saranno un antidoto all’indifferenza colpevole di una classe politica dedita esclusivamente ai giochi del potere per il potere”. È quanto dichiara il deputato del Pdl Alfonso Papa, riferendosi alla morte avvenuta ieri nel carcere di Palermo, dove un detenuto si è impiccato con un lenzuolo in cella. “Solo nel 2012 - ricorda - sono stati accertati 60 suicidi dietro le sbarre, al ritmo di uno ogni sei giorni. Come riportato dall’osservatorio di Ristretti Orizzonti, dal 2000 a oggi si sono contati 751 suicidi su un totale di 2087 morti tra i reclusi e - conclude Papa - persino il Guardian ha dedicato un approfondimento al fenomeno dei suicidi nelle carceri italiane”. Sappe: gli eventi critici potranno solo che aumentare Un detenuto italiano si è impiccato questa mattina alle sbarre della sua cella nel carcere dell’Ucciardone a Palermo. L’uomo è accusato dell’omicidio di una prostituta. “Si tratta della ennesima drammatica morte di un detenuto - commenta Donato Capece, segretario generale del Sappe, Sindacato autonomo Polizia penitenziaria. Nella situazione in cui versa attualmente il pianeta carcere gli eventi critici potranno solo che aumentare in modo esponenziale e l’operato del personale di Polizia Penitenziaria risulterà vano se non si troverà una soluzione celere”. “Se la già critica situazione penitenziaria del Paese non si aggrava ulteriormente è proprio grazie alle donne e agli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria - sottolinea Capece - che tra il 2010 ed il 2011 sono intervenuti tempestivamente in carcere salvando la vita a più di 2.000 detenuti che hanno tentato di suicidarsi e impedendo che gli oltre diecimila atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze”. Poliziotti, aggiunge il segretario del Sappe, “i cui organici sono carenti di oltre 6mila e 500 unità e che mantengono l’ordine e la sicurezza negli oltre duecento Istituti penitenziari a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato, lavorando ogni giorno, ogni ora, nel difficile contesto penitenziario con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità”. Reggio Calabria: detenuto sotto “osservazione psichiatrica” tenta suicidio impiccandosi Ansa, 3 gennaio 2013 Salvato dall’intervento di un agente che lo stava monitorando dalla sua postazione. Un detenuto di 50 anni, reggino, ha tentato il suicidio nella sua cella della casa circondariale di Reggio Calabria. Lo ha fatto impiccandosi alle grate della finestra, il modo più diffuso all’interno delle carceri. Dopo averne sventati a decine nell’anno appena trascorso, questo è il primo caso del 2013 a cui la Polizia penitenziaria del “San Pietro” deve far fronte. L’uomo, in cella da solo, come ciascun detenuto in osservazione psichiatrica, era da poco rientrato dalla comunità terapeutica esterna. E come ogni detenuto di questo genere, è soggetto a videosorveglianza 24/24h, come previsto dalla legge. Ed è proprio attraverso i monitor di controllo che l’agente della penitenziaria in servizio si è accorto in tempo del tentativo del 50enne di compiere l’estremo gesto ed è intervenuto prontamente, evitando l’ennesima morte per suicidio nel pianeta carceri. Il detenuto reggino, in carcere già da tempo per reati da ricondurre alla droga, aveva per giunto scritto una lettera alla moglie, deciso quindi a farla finita. Impossibile sapere con certezza il motivo all’origine di questo estrema scelta, ma tutta lascia immaginare che sia di carattere personale, familiari, non a caso il reparto di detenzione è quello psichiatrico. Non dovrebbero esserci, dunque, secondo le fonti, altre motivazioni dietro il tentativo di impiccagione. Al contempo, si ripresenta però l’occasione per i massimi esponenti locali e nazionali del Sappe di ribadire come sempre le cifre del pianeta carceri, in grave difficoltà ormai da decenni. Affermano il segretario nazionale ed il segretario generale aggiunto del Sindacato di polizia penitenziaria - rispettivamente Damiano Bellucci e Giovanbattista Durante - che “a Reggio Calabria sono ristretti 350 detenuti e vi operano 149 agenti; molti sono impiegati in altri istituti, pur essendo in forza a Reggio Calabria, come ad esempio quelli distaccati da oltre 10 anni a Sant’Angelo dei Lombardi, in Campania, e non si comprende il motivo per cui il Dipartimento non li faccia rientrare nella propria sede”. Reggio Calabria: Longo (Prc); calato silenzio su carcere Laureana… non doveva riaprire? Asca, 3 gennaio 2013 “Sono trascorsi tre mesi da quando è stato chiuso l’istituto penitenziario “Luigi Daga” di Laureana di Borrello (Rc) e da allora, grazie soprattutto al comitato cittadino nato spontaneamente per difendere un patrimonio di civiltà, sono state intraprese diverse iniziative anche di natura istituzionale per chiederne l’immediata riapertura. Sin da subito abbiamo avvertito un grave pericolo incombere sul territorio, perché spesso in Calabria ciò che viene definito provvisorio rischia di divenire definitivo”. Lo afferma Giuseppe Lonfo (Prc), Consigliere provinciale di Reggio Calabria. “Da un mese sembra essere calato il silenzio sul Luigi Daga - dice Longo - nonostante arrivi ogni tanto qualche tiepido segnale di speranza e nonostante pare che dal Ministero della Giustizia sia giunta una comunicazione al Dap di Catanzaro per riaprirlo”. “Lo vogliamo vedere riaperto - conclude - prima che diventi motivo di spot elettorale nei prossimi mesi, perché quella struttura ospitava tanti giovani calabresi che, entrati nel L. Daga, hanno rinnegato la criminalità organizzata ed intrapreso un percorso rieducativo importante rappresentando quella struttura carceraria l’unica in cui alle persone che vi arrivavano veniva offerta una vera possibilità di riscatto”. Spoleto (Pg): detenuto egiziano di 21 anni aggredisce un agente con pugno in faccia Ansa, 3 gennaio 2013 Il giorno prima un altro recluso era stato sfregiato con una lametta. La nota del Sappe “Manca personale”. È iniziato nel peggiore dei modi il 2013 nel supercarcere spoletino di Maiano. Nel pomeriggio di ieri, primo gennaio, un detenuto 21enne di nazionalità egiziana ha aggredito un’agente di polizia penitenziaria nel momento in cui quest’ultimo gli stava aprendo la porta della cella per permettergli di raggiungere le docce. L’egiziano, di punto in bianco, gli ha sferrato un pugno in faccia, costringendolo a ricorrere alle cure dei sanitari in servizio presso il pronto soccorso dell’ospedale di Spoleto, che hanno giudicato guaribili le sue lesioni in 5 giorni. Regime “buonista”. In una nota diramata attraverso il proprio sito internet il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, stigmatizza con decisione il grave episodio di violenza - che richiama alla mente quello ancor più grave accaduto in luglio ai danni di un assistente capo, brutalmente percosso da un detenuto condannato per associazione mafiosa - denunciando allo stesso tempo “l’applicazione troppo buonista del sistema sanzionatorio previsto dalla legge, per colpa della quale nel carcere di Maiano si va a perdere la funzione deterrente e di prevenzione a non far commettere ai detenuti azioni contrarie alle norme”. Nel comunicato, inoltre, si fa riferimento al divieto, per il personale di polizia penitenziaria, di avere con sé qualsiasi tipo di arma; “è pertanto evidente la difficoltà di intervento in casi estremi e da fronteggiare con immediatezza, anche quando ci si trova davanti a soggetti in possesso di armi improprie, come lamette modificate o altre armi da taglio rudimentali”. Detenuto sfregiato - L’aggressione all’agente, tra l’altro, non è l’unico episodio di violenza avvenuto di recente a Maiano. Solo il giorno prima, infatti, un detenuto ne aveva aggredito un altro sfregiandogli il volto con una lametta da barba. “Solo grazie alla professionalità degli agenti in servizio - si legge nel comunicato - è stato evitato il peggio”. Mancano 55 agenti. Pur ammettendo che rispetto a sei mesi fa la situazione tra le mura del supercarcere è un po’ migliorata, il Sappe ci tiene a sottolineare che gli attuali 635 detenuti sono comunque superiori di 5 unità al numero massimo (senza contare i 40 fuori sede solo momentaneamente per svolgere processi penali) e che il numero degli agenti in organico è tuttora carente di 55 unità rispetto alle 307 previste dal regolamento. “Pertanto - scrivono i responsabili del sindacato nell’ultima parte della nota - auspichiamo che gli episodi di violenza siano sanzionati con fermezza dalla direzione e che il dipartimento di amministrazione penitenziaria studia la possibilità di utilizzo di sistemi o armi a scopo difensivo, come già ci risulta che avvenga in altre nazioni”. Benevento: Ugl; agenti positivi a Tbc, solo punta iceberg di situazione sanitaria esplosiva Il Mattino, 3 gennaio 2013 “Quanto accaduto nel carcere di Contrada Capodimonte (Benevento), dove 4 agenti sono risultati positivi al test della Tbc, è purtroppo solo la punta dell’iceberg di una situazione esplosiva sotto l’aspetto sanitario, a causa del persistente sovraffollamento”. Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, sul caso emerso alcuni giorni fa. “Ciò che più ci preoccupa però - aggiunge Moretti - è che non si tratti di un episodio isolato: la rilevazione dell’incidenza della diffusione della tubercolosi nelle carceri è infatti allarmante e si riverbera anche all’esterno dei penitenziari attraverso i contatti della popolazione generale con quella carceraria”. “Ci siamo spesso domandati - sottolinea Moretti - se la scelta di delegare alle Regioni la sanità penitenziaria sia stata saggia, visto che chi vive in un luogo così promiscuo e in una condizione di elevato rischio di contagio non può essere sottoposto a controlli al pari di chi vive liberamente. Ci aspettiamo ora una rapida indagine dell’Amministrazione penitenziaria che accerti se sono state trascurate azioni di prevenzione da parte della direzione del carcere di Benevento e - conclude il sindacalista - auspichiamo la messa a punto di valide misure precauzionali a tutela del personale e dei detenuti”. Caltanissetta: Sappe; in carcere presenza media trecento detenuti per capienza di 240 posti Giornale di Sicilia, 3 gennaio 2013 Al Malaspina, dove recentemente si sono verificati episodi poco piacevoli, si viaggia attorno a una presenza media giornaliera di trecento unità rispetto ad una capienza di 240 posti. Sovraffollamento e carenze d’organico rendono problematico l’andazzo nella vecchia struttura borbonica di via Messina È difficile la situazione nelle due case circondariali più importanti della provincia. Il problema, puntualmente denunciato dalle organizzazioni, riemerge prepotentemente in queste ore dopo il suicidio di un detenuto all’Ucciardone. Al Malaspina, dove recentemente si sono verificati episodi poco piacevoli, si viaggia attorno a una presenza media giornaliera di trecento unità rispetto ad una capienza di 240 posti. Sovraffollamento e carenze d’organico rendono problematico l’andazzo nella vecchia struttura borbonica di via Messina che ospita nel padiglione cosiddetto di “alta sicurezza” 160 detenuti (mafia e altro). Gli altri ospiti (quasi 140) sono ristretti nel padiglione dei cosiddetti “comuni” teatro negli ultimi tempi di episodi che hanno destato clamore. Dapprima il tentativo di evasione - sventato dal personale della polizia penitenziaria - di due detenuti (un gelese e un ennese) e successivamente l’aggressione di tre agenti da parte di un detenuto romeno adesso trasferito in altro carcere. Per fortuna non si registrano casi di suicidi, ma solo di autolesionismo. “Sulla carta - dichiara Rosario Di Prima, segretario del sindacato Osapp - l’organico di polizia penitenziaria malgrado tutto il personale ha difficoltà per ottenere ferie e permessi”. Non è certamente rosea invece la situazione al carcere di Gela inaugurato appena un anno fa con una capienza di cinquanta posti. La struttura fa registrare sistematicamente il pienone creando già problemi d sovraffollamento. Per il trasferimento dei detenuti vengono utilizzati mezzi assemblati con “pezzi” ricavati da altri automezzi dismessi e d’estate la penuria di risorse idriche costringe la direzione a limitare l’utilizzo delle docce. Pisa: detenuti, agenti e volontari uniti da una passione, la cucina…. ecco i loro consigli di Laura Montanari La Repubblica, 3 gennaio 2013 Certe ricette non badano a calorie, zampetti di maiale, panne e sughi misti. Altre hanno una doppia versione: per chi sta fuori e per chi sta dentro. I mondi non si mescolano facilmente, quelli del carcere hanno confini invalicabili, sbarre alle finestre, percorsi obbligati. Regole del tipo: il fornellino sì, ma soltanto in alcune celle, il forno no, in nessun caso e lo stesso per gli utensili di acciaio. In mezzo ci sono le stanze sovraffollate, i muri vecchi, i materassi umidi, la ruggine, la fatica di non vedere il cielo mai in nessuna stanza. Vi verrebbe mai in mente che in un posto del genere possa nascere un libro di ricette? Eppure è lì che è stato costruito “Ricette al fresco”, 85 modi per cucinare nel carcere Don Bosco di Pisa. Edizioni Ets. “Controluce è il modo in cui per buona parte della giornata si vede fuori da dentro una cella, è una prospettiva diversa da quelle usuali, che forse ruba colori e dettagli, ma restituisce la figura nelle sue linee essenziali”. Controluce è anche il nome dell’associazione di volontari a cui appartiene Giovanna Baldini, curatrice di questo volume, insegnante in pensione che da anni lavora in carcere tenendo corsi che poi consentono ai detenuti di affrontare da privatisti gli esami di idoneità e qualifica. “Ricette al fresco” mette insieme tanti saperi e tante culture, trasforma il cibo in una scheggia di libertà, una via di fuga dalla noia di ore spesso uguali, fa diventare rotonda una qualsiasi tavola. Così nel libro (con una presentazione del direttore della casa circondariale, Fabio Prestopino), le singole ricette sono firmate soltanto con un nome lasciando immaginare al lettore chi ci sia dietro: un detenuto, un agente penitenziario, un volontario, uno psicologo o qualcun altro che a vario titolo entra da quelle parti. Il nome ha un sapore di uguaglianza, sganciato dai carichi penali. “Cucinarsi e cucinare per gli altri è un modo di amare e condividere” scrive nella presentazione Giovanna Baldini. Per rompere le barriere geografiche di una convivenza che non è sempre facile. In cucina le frontiere si possono sciogliere con il profumo di un soffritto o di una spezia che accende la curiosità dei vicini di cella. Non ci sono frontiere ai fornelli: si va dalle tagliatelle “a puvuriello”, a un nostalgico “vermicelli al sole di Sicilia”. Dalla “fasulia libanese”, al riso alla senegalese di Youssou (con agnello, manzo, cipolle, aglio e pomodoro) al “patacon pisao colombiano” suggerito da Mauricio, a base di banane verdi, olio di semi e spicchi d’aglio, ai “rognoni alla rumena” (scritto proprio così) e suggerito da Marian. Se è vero che la pasta resta, il comune denominatore della maggior parte dei piatti (non bisogna dimenticare che il detenuto per approvvigionarsi deve ordinare “la spesina” e la disponibilità delle cose è limitata), è altrettanto vero che oggi per via della composizione della popolazione carceraria spesso a favore di nazionalità non italiane, la pasta deve difendersi da altri prodotti o piatti tipici, come il cous cous (che Jamel immagina con carne di agnello) o il gulash. È come se ciascuno portasse un po’ del proprio mondo dentro le pagine di questo libro scritto principalmente dai detenuti del Don Bosco, come se le ricette cedessero alla nostalgia di casa o alle radici lasciate da qualche parte, ma mai tagliate. Ai sogni o alla rabbia. La zuppa anticrisi, le lasagnette bastarde, i gnocchetti sardi che “andrebbero accompagnate con un bicchiere di Cannonau di Ierzu, sempre se non sei qui...”. E qui sta per il carcere, dove l’alcol è vietato e anche la Coca-cola somiglia a un lusso. Catanzaro: inaugurata “Arte oltre il muro”, la mostra rimarrà aperta fino al 6 gennaio www.catanzarolive.it, 3 gennaio 2013 L’esposizione si svolge al Musmi. I pezzi in ceramica sono stati realizzati dai detenuti del carcere di Siano. Si arricchisce di nuovi manufatti in ceramica realizzati dai detenuti del carcere di Siano, la mostra “Arte oltre il muro”, che resterà aperta fino al prossimo 6 gennaio nelle sale del Musmi, il Museo Storico Militare presso il Parco della biodiversità di Catanzaro. Già molti degli oggetti esposti sono stati acquistati dai visitatori, ed il ricavato verrà destinato alle famiglie dei detenuti. L’iniziativa, realizzata grazie alla collaborazione tra il presidente della Provincia di Catanzaro Wanda Ferro, la direttrice della Casa circondariale, Angela Paravati, e il magistrato di Sorveglianza Antonella Magnavita, unisce l’arte alla solidarietà, e ha consentito di esporre le più belle opere realizzate dai detenuti all’interno del laboratorio del carcere, in collaborazione con la Bottega d’arte “il Tornio” di Squillace. C’è ancora tempo, dunque, per visitare la mostra e per acquistare le opere. Sempre al Parco della biodiversità, inoltre, nell’area prospiciente all’ingresso del Museo Storico Militare, è possibile visitare il Presepe, “un’occasione offerta ai tanti visitatori e alle famiglie - dice il presidente Wanda Ferro - di trascorrere alcuni momenti piacevoli all’insegna dello spirito più autentico e tradizionale delle festività natalizie”. Catanzaro: musica per giovani detenuti dell’Istituto penale Minorile “Silvio Paternostro” Asca, 3 gennaio 2013 Auguri di buon anno, sotto forma di musica, sono stati portati dalla Cicas ai minori dell’Istituto penale “Silvio Paternostro” di Catanzaro. La mattina dell’ultimo dell’anno una delegazione della Cicas, la Confederazione dei piccoli imprenditori commercianti artigiani e servizi, guidata dal presidente nazionale Giorgio Ventura - informa un comunicato, ha fatto visita alla casa di detenzione per minori, nell’intento di apportare un po’ di serenità ai ragazzi, impegnati nel difficile percorso di reinserimento nella vita civile dopo le esperienze negative che hanno precedentemente vissuto. La musica è stata eseguita, con la consueta spassionata partecipazione, dal gruppo musicale G.D.L. Band, di Gianfranco Caroleo, che, ancora una volta ha accolto con generosità l’invito della Cicas. Giorgio Ventura, nel suo breve discorso di saluto, ha voluto ringraziare il direttore dell’Istituto, Francesco Pellegrino, e il personale tutto, per l’ulteriore manifestazione di fiducia accordata alla Confederazione, nel quadro di una collaborazione avviata da anni con vari momenti ricreativi e formativi. ‘Si è trattato - ha detto Ventura al termine della visita - di una piccola parentesi in una situazione esistenziale difficile, ma riteniamo che anche questi gesti, provenienti dal mondo dell’associazionismo, possano incrementare, nei giovani ospiti dell’Istituto, la fiducia in un futuro diverso e migliore”. Bologna: all’Ipm “Nuvole in viaggio”, attività motorie, ricreative e culturali per i detenuti Ristretti Orizzonti, 3 gennaio 2013 Sport per tutti non è solo uno slogan o una bella cartolina da mostrare . Per Uisp lo sport per tutti nessuno escluso è una missione, perché il movimento è un diritto e va esteso a tutta la popolazione senza alcun pregiudizio. Da oltre trent’anni l’Associazione opera all’interno delle strutture penitenziarie cittadine, per promuovere l’attività motoria come strumento di prevenzione, socialità e integrazione. In un periodo di vicissitudini interne complicate con i relativi avvicendamenti dirigenziali, possiamo comunque affermare che Uisp ha sempre condotto l’attività all’interno dell’Istituto Penale Minorenni di Bologna senza mai interromperla. Sempre al fianco dei ragazzi proponendo attività e collaborando alla fornitura di materiale per consentire le attività motorie e socio-ricreative. Nell’ultimo anno ad esempio si è passati da un laboratorio di tai-chi, alle amichevoli sul campo da calcetto, alla organizzazione di uno spazio biblioteca. Succede spesso però che durante le festività natalizie molte iniziative si fermino o abbiano la loro naturale conclusione. Ci sono attività però che non possono e non devono fermarsi. Per dare quel significato aggregante ed educativo, che Uisp vuole perseguire è necessario dare un segnale ai ragazzi che la società civile, dove presto torneranno a vivere, non li abbandona. Così l’Unione Italiana Sport per tutti ha riproposto anche quest’anno “Nuvole in viaggio”, il calendario di attività motorie, ricreative e culturali che fino al 5 gennaio si svolgerà all’Interno dell’ Ipm bolognese. “Calcio, capoeira, mini tornei di pingpong e calcio balilla. Attività semplici ma stimolanti per far trascorrere ai ragazzi un periodo di festa nel miglior modo possibile. Quando le altre attività si sono fermate, abbiamo pensato di organizzare il tempo in modo costruttivo, sereno e divertente.” Sono queste le parole di Francesco Costanzini, coordinatore del progetto, che si avvale di Gabriele Gamberini (volontario da oltre vent’anni al Pratello) e della supervisione sul campo di Cristina Angioni (operatrice sportiva). “Desideriamo ringraziare la Polisportiva Lame che con entusiasmo ha fatto partecipare i propri ragazzi ad una partita amichevole all’interno dell’Istituto. Ringraziamo inoltre il dott. Alfonso Paggiarino, l’equipe educativa coordinata da Romina Frati, la Polizia Penitenziaria per aver contributo e sostenuto il progetto.”, prosegue Costanzini, che conclude: “Per tutto l’anno è possibile (per gruppi spontanei, squadre professioniste o amatoriali) organizzare una partita amichevole con i ragazzi. Basta rivolgersi a Uisp” Eboli (Sa): all’Icatt conclusione Progetto “Riscatto in campo (un sogno divenuto realtà)” www.eolopress.it, 3 gennaio 2013 Il 12 gennaio 2013, atto conclusivo del Progetto “Riscatto in campo (un sogno divenuto realtà)” iniziato il 29 dicembre 2011 a Serre (Sa) nella Chiesa San Martino Vescovo, con lo spettacolo di beneficenza a cura dei detenuti dell’Icatt, organizzato dalla Parrocchia San Martino Vescovo e dall’Azione Cattolica di Serre in collaborazione con il Comune di Serre, con il patrocinio dell’associazione Sophis di Battipaglia e del Ministero della Grazia Dipartimento Amministrazione Penitenziaria Divisione Casa di Reclusione Eboli. Un progetto ispirato dalla Parola di Dio “E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?...In verità vi dico: ogni volta che fate queste cose a uno dei miei fratelli più piccoli l’avete fatta a me” da questo passo del Vangelo di San Matteo, che caratterizza la liturgia di San Martino, è partito tutto. Lo stesso passo ha ispirato anche l’attrice Claudia Koll a fondare l’Associazione Onlus “le opere del Padre” che realizza progetti non solo in Africa (ultimo “la piccola Lourdes” il centro di accoglienza e riabilitazione motoria per le persone diversamente abili, in costruzione nella Diocesi di Ngozi in Burundi) ma anche in Italia e in modo particolare a sostegno dei più bisognosi, tra cui i detenuti. “La misericordia si manifesta nel suo aspetto vero e proprio quando rivaluta, promuove e trae il bene da tutte le forme di male esistenti nel mondo e nell’uomo”. Ecco allora il perché Claudia Koll, vero apostolo della Divina Misericordia, sarà la madrina di questo progetto. Nell’accogliere l’invito della Comunità di Serre, Claudia Koll sarà ad Eboli la mattina del 12 gennaio per inaugurare il campo di calcio a 5 realizzato all’interno del Carcere e soprattutto per dare la sua testimonianza ai detenuti. Un progetto, appunto, che termina con la testimonianza di Claudia Koll all’interno del Carcere e che era iniziato proprio con la Testimonianza di un detenuto dell’Icatt fuori dal Carcere, grazie al dott. Marco Botta (Operatore Volontario) il quale ha accompagnato il detenuto a Serre per incontrare i giovani il 21 dicembre 2011 al pub “il Ducale”. In quell’occasione i giovani, oltre ad ascoltare la testimonianza del detenuto hanno assistito anche alla proiezione del cortometraggio “Via da Gomorra” realizzato dagli stessi detenuti dell’Icatt e hanno preso parte ad un bel dibattito sul tema. Don Angelo Fiasco, parroco di Serre: “Sento di ringraziare l’intero Consiglio Pastorale Parrocchiale, i giovani di Azione Cattolica e il Presidente Ferdinando Chiaviello per l’organizzazione, il Comune di Serre per il contributo, la Sophis per il patrocinio, il dott. Marco Botta per la disponibilità, la Dott.ssa Rita Romano Direttore della Casa di Reclusione di Eboli per la sua accoglienza e in modo particolare tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione del progetto”. Tutti sono invitati a partecipare al momento di spiritualità che si svolgerà a Serre il 12 gennaio 2013 presso la Chiesa di San Martino Vescovo a partire dalle ore 16.30 con l’accoglienza dei partecipanti e che dopo la recita del Santo Rosario e della Coroncina alla Divina Misericordia con i giovani, si concluderà con la Celebrazione Eucaristica, presieduta da Don Angelo e con la testimonianza di Claudia Koll. Durante la serata si potranno acquistare i cuori di cioccolato dell’Associazione “le opere del Padre” il cui ricavato permetterà all’associazione di aiutare i nostri fratelli più poveri in Africa e in Italia. Immigrazione: proroga di soli due mesi per i 23mila profughi ospitati nelle comunità di Luca Fazio Il Manifesto, 3 gennaio 2013 La conferma che per il governo Monti gli stranieri sono sempre stati “tecnicamente” invisibili è arrivata in questi primi giorni dell’anno con la decisione di prorogare di soli due mesi l’assistenza ai profughi delle “primavere arabe” presenti sul territorio italiano. Sono 23mila persone, tra cui molte donne con bambini, che per la legge italiana - e per la polizia - il 28 febbraio diventeranno “clandestini”. Per la Caritas Ambrosiana si rischia una vera e propria “emergenza umanitaria”, mentre il Comune di Milano parla addirittura di “bomba a orologeria”. Spiega l’assessore ai servizi sociali Pierfrancesco Majorino: “L’emergenza è solo rinviata, queste persone quando rimarranno sulla strada e senza permesso di soggiorno cominceranno a protestare, dobbiamo prepararci a vederli arrivare tutti a Milano, dove le loro manifestazioni avranno più visibilità”. E alla fine dell’inverno, col freddo, è improbabile che i soggetti più deboli, una volta usciti dalle strutture di accoglienza, riescano a trovare soluzioni autonome. Significa che chiederanno aiuto ai comuni in una situazione di emergenza, appoggiandosi a un welfare locale già boccheggiante grazie ai tagli imposti dal governo - e da chi lo ha sostenuto. La gestione di questa nuova fase in più avrà regole nuove, passando dalla Protezione civile al Ministero degli Interni. Con alcune prevedibili ripercussioni negative, secondo la Caritas, che ha chiesto al governo almeno un prolungamento dell’assistenza fino alla prossima primavera, “anteponendo ad ogni valutazione il valore e il dovere della solidarietà”. Un messaggio che dovrebbe trovare immediatamente ascolto anche al Quirinale, se non altro per dare un senso alle parole che il presidente Giorgio Napolitano ha riservato ai profughi nel suo ultimo discorso alla nazione. La situazione, infatti, potrebbe complicarsi ancora prima della nuova scadenza fissata dal Viminale. Alcune strutture di accoglienza, come alberghi o pensionati, per esempio potrebbero decidere di non proseguire l’accoglienza nei termini stabiliti dalle nuove convenzioni che prevedono un costo giornaliero di circa 35 euro a persona (prima erano 46), e per di più contrattato singolarmente da ogni provincia - probabilmente al ribasso. La nuova fase, aggiunge la Caritas, prevede solo interventi per la sopravvivenza (vitto e alloggio), “ciò rischia di interrompere la continuità dei percorsi di integrazione intrapresi grazie ai corsi professionali, ai tirocini, all’accompagnamento sociale e alla mediazione legale, tutti servizi offerti fino ad oggi”. Inoltre, le poche settimane rimaste per la permanenza in Italia, e le informazioni frammentarie, potrebbero alimentare tensioni tra i profughi, “e tale situazione potrebbe degenerare in aperte rivolte”. Per Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci, “lo stato si è svegliato tardi”. E piuttosto male. “Non credo che si riuscirà a risolvere il problema entro la data prevista - spiega - perché l’operazione di riconoscere uno status qualsiasi a queste persone andava fatta prima. Adesso è tardi. La procedura attraverso la quale vengono dati i permessi di soggiorno a 23 mila profughi che sono rimasti in Italia è stata avviata a fine novembre, adesso ci vorranno alcuni mesi”. Laurens Jolles, dell’Alto commissario delle Nazioni unite (Unhcr), forse pensando di avere che fare con un altro paese, suggerisce un altro percorso. “La cosa importante - spiega - non è la proroga ma trovare delle soluzioni, anche individuali, per tutte le persone che stanno aspettando di essere regolarizzate”. Laurens Jolles chiede più tempo e lamenta una totale mancanza di strategia del governo italiano. “Non sono tutte persone con lo stesso profilo, ce ne sono alcune che potrebbero trovare lavoro e restare in Italia, mentre altri potrebbero tornare in patria con degli incentivi”. Ragionevolezza e buon senso a parte, purtroppo, se la situazione dovesse precipitare, è vero invece che non potrebbe capitare in un momento peggiore. In piena campagna elettorale, non sono questi gli argomenti che la classe politica italiana sa affrontare, come direbbero i preti, anteponendo ad ogni valutazione il dovere della solidarietà. Immigrazione: sommossa al Cie di Gradisca d’Isonzo, sette maghrebini in fuga di Luigi Murciano Il Piccolo, 3 gennaio 2013 Ultimo dell’anno ad altissima tensione al Cie di Gradisca. Una pesante rivolta si è consumata nella struttura isontina di identificazione ed espulsione nella serata di San Silvestro. La sommossa ha avuto per protagonisti circa 20 immigrati, per buona parte di etnia maghrebina: di questi, ben 7 sono riusciti ad evadere. E almeno sino al tardo pomeriggio di ieri non si è avuta notizia di un loro ritrovamento. Solo per una fortunata casualità non vi sono stati contusi negli scontri causati dagli “ospiti” del Cie, che hanno bersagliato le forze dell’ordine con un fìtto lancio di oggetti. Dalle ricostruzioni delle ultime ore, l’azione è parsa palesemente preparata nei minimi dettagli dagli immigrati. L’allarme sarebbe scattato attorno alle 20.30, quando un nutrito gruppo di clandestini è riuscito ad uscire dalle proprie camerate nella “zona blu” e a farsi strada nel ventre della struttura. Apparentemente lo hanno fatto senza incontrare alcuna resistenza da parte degli operatori: è stato anzi accertato che alcuni ospiti sarebbero addirittura riusciti a impossessarsi delle chiavi delle porte che separano le stanze dalla zona mensa e dall’area adibita a magazzino. Altre porte sono state forzate a calci. Giunti al magazzino i “rivoltosi” si sarebbero armati di tutto punto, mettendo le mani su alcuni grossi lucchetti e degli estintori. Altri evidentemente si erano preparati alla sommossa da giorni, riempiendo alcune bottiglie di plastica con sassi e sabbia da lanciare nei confronti degli agenti. Una volta raggiunto il piazzale esterno che guarda al vicino Cara, l’adiacente struttura per richiedenti asilo, la tensione ha raggiunto il suo climax. Poliziotti, militari e finanzieri deputati alla sorveglianza esterna sono stati raggiunti dagli oggetti lanciati dagli immigrati. Alcuni di loro hanno svuotato addosso alle forze dell’ordine il contenuto degli estintori: due uomini delle Fiamme Gialle sono stati visitati al Pronto Soccorso di Gorizia per escludere intossicazioni. Approfittando del marasma generale, sette nordafricani come detto sono riusciti a eludere la sorveglianza e - messisi alle spalle anche il Cara - sono riusciti a scavalcare l’alto muro di cinta e far perdere le proprie tracce nella campagna circostante. Ci sono volute alcune ore per ridurre gli altri rivoltosi a più miti consigli. Ma la tensione rimane alle stelle. Secondo i sindacati di polizia, che si occupano della vigilanza perimetrale, all’interno del centro regna l’anarchia. “L’impressione è che possa accadere nuovamente qualcosa da un momento all’altro - fa sapere Angelo Obit, segretario provinciale del Sap - è molto grave che alcuni ospiti siano stati trovati in possesso delle chiavi. Su questo andranno accertate le eventuali responsabilità, anche se sarà molto complesso. Di certo operatori e forze dell’ordine lavorano in condizioni ormai impossibili”. La sensazione di una struttura che naviga a vista rimane molto nitida: ben 5 videocamere del sistema di sorveglianza sarebbero fuori uso da tempo immemore e mai riparate nonostante gli appelli degli agenti. L’ennesima proroga della Prefettura all’attuale gestione è scaduta proprio il 31 dicembre, e si andrà verso un altro rinnovo sino a metà gennaio. Forse l’ultimo prima del nuovo contratto alla Connecting People, la coop siciliana in sella dal 2008 e a cui i tribunali sembrano avere dato ragione in merito alla discussa gara d’appalto. Nel frattempo, non si è del tutto risolta la vertenza dei dipendenti: ricevuti solo nelle ultime settimane 4 mesi di stipendi arretrati attendono ancora, forse ad ore, l’erogazione della tredicesima. India: caso marò; permesso natalizio in scadenza, l’Italia ha assicurato loro rientro di Maria Grazia Coggiola Ansa, 3 gennaio 2013 Scadrà fra due giorni lo speciale permesso natalizio concesso ai marò dai giudici dello stato indiano meridionale del Kerala e quindi, a breve, è previsto il loro ritorno nella città di Kochi dove sono detenuti in libertà vigilata con l’accusa di aver ucciso il 15 febbraio 2012 due pescatori scambiati per pirati. Poco tempo dopo il loro rientro, è probabile che giungerà anche l’attesa pronuncia sulla giurisdizione della Corte Suprema di New Delhi che da oggi ha ripreso regolarmente le udienze dopo la pausa di fine anno. Secondo quanto disposto dai giudici dell’Alta Corte del Kerala lo scorso il 20 dicembre, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone devono tornare allo scadere dei 14 giorni. Il conto alla rovescia scatta dal momento in cui hanno ricevuto il passaporto e sono partiti per l’Italia. Siccome il via libera è arrivato il giorno dopo, ovvero il 21 dicembre, i due fucilieri devono ritornare in Kerala entro il 4 gennaio se vogliono rispettare l’ordinanza che mette anche come “data limite” per il rientro il 10 gennaio. Non si conosce però ancora il momento preciso della loro partenza dall’Italia. Il governo di New Delhi, che aveva dato il parere positivo alla licenza, confida ovviamente nel mantenimento della promessa garantita anche con una lettera del ministro degli Esteri Giulio Terzi al suo omologo indiano Salman Khurshid. Ma le notizie, giunte in India, della possibile candidatura dei due militari alle elezioni politiche di fine febbraio, avevano creato qualche apprensione nei media indiani. L’agenzia di stampa Pti però ha fugato ogni dubbio. “L’Italia ha assicurato l’India che i due militari della Marina Italiana accusati di omicidio in Kerala, ritorneranno nella prima settimana di gennaio”, ha scritto in dispaccio della fine dell’anno in cui cita come fonte “un alto funzionario del governo italiano”. Tra i primi appuntamenti che li attendono, a parte le consuete formalità burocratiche al Commissariato di polizia di Kochi e la restituzione della garanzia bancaria di 826 mila euro, c’è quella del 15 gennaio con il tribunale di Kollam. È il tribunale che ha istruito il processo e che continua a rinviare l’inizio del dibattimento. I giudici attendono il giudizio superiore della Corte Suprema di New Delhi a proposito del ricorso italiano sulla giurisdizione internazionale da applicare al reato, avvenuto al di fuori della acque territoriali indiane e con il coinvolgimento di personale militare in servizio anti pirateria su una petroliera italiana. Rep. Ceca: polemiche su amnistia concessa a funzionari pubblici indagati per corruzione Tm News, 3 gennaio 2013 Piovono critiche in Repubblica ceca per l’amnistia svuota carceri concessa dal presidente Vaclav Klaus in occasione del ventesimo anniversario della nascita di questo Stato, sorto il primo gennaio del 1992 dopo la divisione della Cecoslovacchia e la scissione con la Repubblica slovacca. Il capo dello Stato, attualmente a fine mandato - la sua carica terminerà infatti all’inizio del mese di marzo - ha adottato un provvedimento che rimette in libertà, o comunque condona le pendenze penali, a più di settemila persone. A scatenare le polemiche è il fatto che l’amnistia riguarda anche una serie di controversi personaggi del business, manager di stato e funzionari della pubblica amministrazione coinvolti in clamorosi casi di corruzione e malversazione che godranno ora della interruzione dei procedimenti giudiziari. In parecchi casi si tratta di persone implicate in processi che vanno avanti persino dagli anni Novanta, il periodo il cui l’economia ceca fu caratterizzata da privatizzazioni corsare e da ruberie di ogni genere. “D’altronde è logico che i venti anni di esistenza di uno dei paesi europei più colpiti dal morbo della corruzione, siano celebrati rimettendo in libertà tutti questi personaggi” ha glossato con sarcasmo Boris Cvek, commentatore del portale informativo Britske listy. “Vaclav Klaus rischia di passare alla storia come il presidente che più ha favorito questo tipo di ambiente favorevole alla immoralità nel campo della politica e della economia” è l’ulteriore attacco rivolto al capo dello Stato, nel mirino anche per aver nuovamente evitato , anche nel suo ultimo discorso di inizio d’anno, il minimo riferimento al fenomeno della corruzione. “In linea di massima non sono contraria alla amnistia, visto anche il problema del sovraffollamento carcerario, ma credo non sia giusto utilizzare questa clemenza nei confronti dei corrotti, vera piaga del nostro Paese” è il parere di Eva, laureanda in Giurisprudenza della Università Carlo di Praga. Per lo più negativi i pareri che si colgono da parte dei cittadini, come dimostrano anche gli interventi che animano i più diffusi social network. In dieci anni in carica è la prima amnistia concessa da Klaus, il quale tra l’altro in passato aveva criticato i provvedimenti di condono della pena adottati dal suo predecessore Vaclav Havel. I primi detenuti sono stati già rimessi in libertà e le procedure di amnistia dovrebbero essere concluse entro la giornata di domani, grazie anche a un team di coordinamento attivato da ministero della Giustizia. Giudici e procuratori in queste ore sono all’opera direttamente all’interno degli istituti penitenziari per verificare la posizione dei singoli detenuti. Fra le persone coinvolte dal provvedimento di clemenza una serie di volti noti, come anche Tomas Skuhravy, ex centravanti del Genoa e della nazionale Cecoslovacca, al quale lo scorso anno sono stati inflitti due anni con la condizionale per una truffa ai danni di una assicurazione. Slovacchia: presidente Gasparovic decreta amnistia, in libertà condannati fino a 18 mesi Ansa, 3 gennaio 2013 Dopo il presidente ceco Vaclav Klaus anche il suo collega slovacco Ivan Gasparovic ha decretato oggi un’amnistia parziale. Secondo il quotidiano Sme, saranno rimessi in libertà circa 550 detenuti con pene da scontare inferiori a 18 mesi. L’amnistia è stata decretata in occasione dei vent’anni passati dalla divisione pacifica della Cecoslovacchia nel 1993. L’amnistia parziale decretata ieri a Praga da Klaus rimetterà in liberta circa settemila detenuti su un totale di 23 mila. La più grande amnistia nella storia dell’ex Cecoslovacchia è stata decretata nel 1990 dall’ex presidente dissidente Vaclav Havel. Quella volta furono rilasciati 23 mila prigionieri dei 31 mila in tutto.