Giustizia: carcerazione preventiva, le responsabilità dei magistrati di Beniamino Deidda La Repubblica, 31 gennaio 2013 Da qualche settimana infuria la polemica sulle nostre carceri e sul trattamento disumano riservato ai detenuti in tutta Italia. La discussione tra i soggetti interessati al mondo carcerario è accesa e un po' retorica: condanne, deprecazioni, proteste e accuse generiche. Tutti parlano, ma ogni giorno si continua ad arrestare e a disporre la custodia in carcere. Questo andazzo è stato duramente contrastato dalla sentenza della Corte Europea di giustizia dell'8 gennaio scorso che ha condannato l'Italia per avere infranto il divieto di infliggere ai detenuti trattamenti inumani e degradanti, sancito dall'art. 3 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo. L'Italia non riesce a garantire neppure lo spazio vitale ai detenuti: meno di tre metri quadrati a testa e qualche volta meno di due. I tentativi di suicidio tra i carcerati sono 11 volte più frequenti che nel resto della popolazione. Gli aspiranti suicidi in carcere sono gli stessi che quando erano fuori non avevano nessuna voglia di ammazzarsi. Segno sicuro che le condizioni della detenzione in carcere inducono al suicidio. Ce n'è abbastanza per ritenere che sono violati non solo l'art. 3 della Convenzione, ma anche gli articoli 2 e 27 della nostra Costituzione. A Sollicciano e in tutte le carceri della Toscana le cose non vanno meglio. Nel carcere fiorentino c'è posto per poco più di 400 persone. Ce ne hanno stipate 1300, contro ogni logica e contro ogni umanità. È necessario allora chiedersi che si fa, a Firenze e altrove, per porre fine ad una vergogna non più tollerabile. Nella sua sentenza la Corte europea ha richiamato le raccomandazioni del Comitato dei Ministri che invitano non soltanto gli Stati, ma anche ciascun pubblico ministero e ciascun giudice, a ricorrere il più ampiamente possibile alle misure alternative alla detenzione, "anche allo scopo di ridurre la crescita della popolazione carceraria". In sostanza, non basta più sollecitare l'azione del Governo e del Parlamento, occorre l'impegno e la responsabilità di tutti i magistrati. Sulla stessa linea il Presidente della Corte di Cassazione, durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario, ha ricordato che i giudici di merito devono adeguare le decisioni in tema di libertà ai principî di proporzionalità e di adeguatezza. Ebbene, le persone che affollano il carcere in attesa di giudizio non ce le mandano né il Governo, né il Parlamento; ce le mandano i giudici su richiesta dei pubblici ministeri. Si dirà: sono le leggi che prevedono il carcere preventivo, occorre cambiarle. Non è così. Nel nostro ordinamento opera il principio costituzionale della non colpevolezza fino a sentenza definitiva e la detenzione in carcere è considerata l'extrema ratio, solo quando non sia possibile ricorrere ad altri provvedimenti. Da noi non è l'extrema ratio: basta guardare chi sono i carcerati in attesa di giudizio. Oltre la metà di quelli che stanno a Sollicciano sono extracomunitari: immigrati, tossicodipendenti, mariuoli da strapazzo, diversi, emarginati. Non credo che i pericoli per la collettività vengano da queste persone. Se di queste sono piene le galere, significa che la carcerazione preventiva non assolve alla funzione prevista dalla legge, ma ad altri obiettivi. Dopo la sentenza della Corte europea non possiamo più ritenere che gran parte delle decisioni dei giudici siano legittime. La sentenza chiede all'Italia comportamenti conseguenti e le sentenze vanno rispettate, soprattutto dai giudici. Ogni volta che si dispone la carcerazione preventiva come misura non strettamente necessaria per la salvaguardia della collettività, si commette un atto illegittimo consistente nell'assoggettare le persone a trattamenti disumani e degradanti. Si tratta di provvedimenti che violano un divieto costituzionale assoluto (art.27: le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità), che non ammette eccezioni. Questa spirale va interrotta. Bisogna pretendere dai magistrati il rispetto della Costituzione e delle decisioni delle corti di giustizia internazionali. È stato dato ampio rilievo all'invito rivolto ai sostituti dal Procuratore della Repubblica di Milano, diretto ad un uso più oculato della carcerazione preventiva. Il garbo del Procuratore di Milano è a tutti noto, ma i Procuratori possono fare molto di più: possono negare il loro assenso, previsto dalla legge, alle richieste di misura cautelare avanzate dai sostituti, quando non rispettino i criteri restrittivi previsti dalla legge. Mi pare giunta l'ora che i magistrati si assumano la responsabilità giuridica e sociale che la legge e l'ordinamento gli assegna. La decisione sulle misure di carcerazione spetta solo ai magistrati e non può certo condividersi l'idea che al sovraffollamento delle carceri si può ovviare solo costruendone di nuove. In un paese rispettoso dei diritti della persona il problema si risolve non con più carceri, ma con meno carcere. Giustizia: buttati 16 milioni di euro per il Laboratorio Centrale del Dna dei detenuti di Silvia D'Onghia Il Fatto Quotidiano, 31 gennaio 2013 La Polizia Penitenziaria non trova 37 tecnici, il laboratorio è fermo. Questa è una storia tipicamente italiana. Una storia di ritardi e di sprechi, che ha portato - fin qui - a spendere 16 milioni di euro pubblici. Una storia che qualcuno teme possa trasformarsi anche in accordi ultra legem. Stiamo parlando del Laboratorio nazionale del Dna, finito di collaudare martedì all'interno del Polo del carcere romano di Rebibbia. A chiederci di istituire una Banca dati nazionale e un Laboratorio del Dna è stata l'Europa nell'ormai lontano 2005. È di quell'anno, infatti, il Trattato di Prüm, col quale i Paesi dell'Unione vogliono garantirsi nuovi strumenti per il coordinamento e la lotta al crimine, attraverso lo scambio (e quindi la tipizzazione) dei profili del Dna dei detenuti per delitti non colposi, di coloro che vengano arrestati in flagranza di reato o che siano sottoposti a misure alternative al carcere, sempre in presenza di una sentenza definitiva. Il Trattato supera, e di molto, i confini di Schengen. Avere una Banca dati, nazionale e ben regolamentata, avrebbe inoltre consentito di unificare le varie raccolte di Dna che le forze dell'ordine hanno sparse per l'Italia. Ebbene, il nostro Paese ci ha messo ben quattro anni prima di recepire il Trattato. Nonostante un avvio di discussione parlamentare nel 2007, infatti, l'adesione porta la data del 30 giugno 2009 (legge 85). Il testo prevede che a giocare la partita siano il ministero dell'Interno e quello della Giustizia: al primo spetterà la responsabilità della Banca dati, il secondo sarà chiamato a istituire, attraverso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che dovrebbe mappare i detenuti, il Laboratorio nazionale. Passa un altro anno e finalmente, il 2 ottobre 2010, viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo che prevede l'istituzione dei "ruoli tecnici del personale del Corpo di polizia penitenziaria": operatori, revisori, periti e direttori. Il numero delle persone necessarie a mandare avanti il Laboratorio è 37. Non centinaia, appena 37. Eppure il Dap non riesce a bandire i concorsi, che devono essere aperti all'esterno. In tre anni, tra i corridoi del Dipartimento, si rincorre la voce che i bandi sono pronti e stanno per essere pubblicati. Invece sul decreto ministeriale manca sempre una firma. Evidentemente in tre anni, con l'avvicendarsi di tre ministri - Alfano, Nitto Palma e Severino - non si è trovato il tempo di far vidimare il testo. Nel frattempo, però, il Laboratorio è nato. Ricavato da un vecchio capannone all'interno del polo di Rebibbia, una struttura utilizzata per il lavoro dei detenuti, il Laboratorio è costato oltre 16 milioni di euro solo per le attrezzature. Parliamo di strumentazioni all'avanguardia, di armadietti elettronici che si aprono solo con determinati badge, di microscopi, frigoriferi, materiali reagenti, 120 mila kit per analisi, oltre ai computer e al materiale informatico. Il collaudo è terminato a novembre, martedì sono state apportate le ultime modifiche. Ora manca soltanto la procedura per l'accreditamento, impossibile da ottenere finché non c'è il personale. Il risultato è comunque una struttura che fa invidia ai singoli archivi di polizia e carabinieri, questi ultimi tenuti originariamente fuori dai giochi. Tanto che, secondo le organizzazioni sindacali della penitenziaria, qualcosa si starebbe muovendo proprio in questa direzione. Nelle ultime settimane si sono tenute numerose riunioni interforze. Riunioni cui hanno partecipato dirigenti della polizia scientifica e ufficiali del Ris dei carabinieri. "Abbiamo chiesto una consulenza a chi ha già l'accreditamento, come il Ris, o a chi ha comunque laboratori all'avanguardia", fanno sapere dal Dap. La sensazione dei sindacati, smentita categoricamente dal direttore generale delle risorse materiali, Alfonso Sabella, è che invece si vada verso un accordo: se la polizia penitenziaria non è in grado di occuparsene, allora meglio passare la mano. Il che non sarebbe neanche di interesse per i cittadini, se non fosse per il fatto che, in assenza di una modifica normativa, rischierebbero di saltare tutti i futuri processi nei quali sia fondamentale la prova del Dna. Immaginate un procedimento per mafia, nel quale per incastrare l'imputato viene utilizzato un Dna schedato da un carabiniere e non da un poliziotto penitenziario. Vizio di forma, tutto da rifare. Ma anche questa è una storia italiana. Giustizia: Pagano (Dap); nessuno spreco, il Laboratorio Centrale Dna presto sarà attivato Agenparl, 31 gennaio 2013 "In relazione a notizie di stampa su presunti sprechi economici e ritardi attribuibili all'Amministrazione Penitenziaria in ordine alla realizzazione del "Laboratorio centrale nazionale d'analisi del Dna" di supporto alla realizzazione della Banca Dati Nazionale Dna, si precisa quanto segue: 1) La legge istitutiva della Banca dati nazionale è stata varata nel 2009 ed ha attribuito all'Amministrazione Penitenziaria il compito di realizzare e gestire il Laboratorio Centrale del Dna attraverso ruoli tecnici della Polizia Penitenziaria istituti ad hoc. 2) Da quella data l'Amministrazione Penitenziaria ha avviato tempestivamente il complesso iter per la creazione del Laboratorio e per le procedure dei bandi di concorsi riguardante i predetti ruoli tecnici. 3) La gestione dei fondi accreditati all'Amministrazione è stata estremamente oculata. Sono stati realizzati, in tutti i 206 istituti penitenziari, i gabinetti per il prelievo dei reperti biologici sia dei detenuti già presenti sia per gli ingressi futuri; è stato formato il personale, è stato creato, presso la Casa di Reclusione di Roma Rebibbia, il laboratorio centrale completandolo di attrezzature tecnologicamente all'avanguardia, operando un risparmio di oltre un milione di euro. 4) Il laboratorio allo stato non è fermo, bensì, dopo il collaudo del fabbricato e delle apparecchiature acquistate, sono in corso le procedure per l'accreditamento dello stesso che saranno avviate dai biologi della Università di Tor Vergata 4) Le procedure concorsuali per l'assunzione dei ruoli tecnici della Polizia Penitenziaria, infine, avranno inizio non appena saranno varati, dai competenti organi, i regolamenti attuativi. 5) Non esiste nelle altre forze di Polizia un desiderio di accaparramento del Laboratorio né, invero, il Dap sarebbe disponibile a "passare la mano". È avvenuto, invece, che, in un leale rapporto di collaborazione istituzionale, i vertici di Polizia e Carabinieri abbiano offerto la disponibilità di loro esperti a collaborare con il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria per aiutarlo nelle procedure di accreditamento consentendo, in aggiunta alla esperienza maturata nel settore, un ulteriore risparmio di fondi in quanto, comunque, ci sarebbe stata necessità di esperti che avrebbero dovuto essere retribuiti". Lo si legge in un comunicato di Luigi Pagano - Vice Capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Giustizia: Viminale; per elezioni regionali detenuti possono votare solo in regioni residenza Adnkronos, 31 gennaio 2013 "I detenuti aventi diritto al voto sono ammessi ad esercitare tale diritto nel luogo di reclusione o custodia preventiva". Lo sottolinea il Viminale, pubblicando on-line le modalità di voto anche per altre categorie di cittadini con problemi di impedimento allo spostamento, come gli infermi. Per le elezioni regionali in Lombardia, Lazio o Molise "i detenuti saranno ammessi al voto purché siano elettori di una delle regioni interessate, cioè siano iscritti nelle liste elettorali di uno dei comuni della regione, e purché siano reclusi in istituti penitenziari della regione medesima -specifica il ministero dell'Interno. Per le elezioni politiche, i detenuti potranno votare in qualsiasi luogo di detenzione si trovino, purché siano iscritti nelle liste elettorali di qualsiasi comune del territorio nazionale". Il voto degli elettori detenuti sarà "raccolto da un seggio speciale che si costituisce il giorno precedente le consultazioni, contemporaneamente all'insediamento dell'ufficio elettorale di sezione nella cui circoscrizione è ricompreso l'istituto di detenzione o custodia preventiva". "Una decisione scandalosa", commenta all'Adnkronos Rita Bernardini dei Radicali, prima firmataria di un ordine del giorno, approvato all'unanimità dai gruppi parlamentari tranne la Lega, l'11 dicembre scorso nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia. "Viene negato di fatto un diritto costituzionale, con la politica del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di incarcerare fuori dalla regione di residenza i detenuti. Abbiamo intenzione di presentare un ricorso alla Corte europea per i diritti dell'uomo". Giustizia: Sappe; da revisione circuiti penitenziari sicurezza a rischio, far lavorare detenuti Adnkronos, 31 gennaio 2013 "Il progetto di revisione dei circuiti penitenziari elaborato dall'Amministrazione penitenziaria allenterà la sicurezza delle carceri italiane: lo abbiamo già detto e lo ribadiamo oggi". È quanto dichiara in una nota Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, commentando il progetto presentato dal Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria e dai Provveditori regionali. "Non si può pensare che con l'autogestione delle sezioni detentive o con l'accorpamento dei posti di servizio per i poliziotti i problemi si risolvono - continua Capece. Cosa faranno i detenuti? Gireranno liberi per i corridoi a far cosa? Quel che serve è porre il lavoro al centro della detenzione, non far stare 20/22 ore al giorno i detenuti in cella alimentando la tensione fatta da risse, aggressioni, suicidi e tentati suicidi, atti di autolesionismo". "I detenuti, tutti - rimarca il sindacalista - devono lavorare. Il condannato che espia la pena in carcere ha un tasso di recidiva del 68,4% contro il 19% di chi ha fruito misure alternative e addirittura l'1% di chi è inserito nel circuito produttivo. Ma questa dirigenza del Dap non ascolta chi lavora in prima linea in carcere e fa della filosofia pericolosa, a tutto discapito della sicurezza: basti pensare, è notizia di oggi, che è a rischio la realizzazione della Banca dati del Dna (costata 16 milioni di euro) perchè questa Amministrazione non è in grado (o non vuole) i ruoli tecnici della Polizia Penitenziaria!" A giudizio del Sappe "l'amministrazione Penitenziaria sembra vivere in una realtà virtuale e non si rende evidentemente conto della drammaticità del momento, che costringe le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria a condizioni di lavoro sempre più difficili: la situazione penitenziaria è sempre più incandescente e rincorrere la 'vigilanza dinamica ed i patti di responsabilità con i detenuti, come vorrebbe il Dap, è una chimera". Insomma, "le carceri restano invivibili, per chi è detenuto e per chi ci lavora. E la vigilanza dinamica dei penitenziari voluta da Giovanni Tamburino, Capo dell'Amministrazione Penitenziaria, e dal Vice Luigi Pagano, per alleggerire l'emergenza carceraria è una chimera". Bisogna invece, spiega Capece "pensare a un regime penitenziario aperto; a sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità favorendo un depotenziamento del ruolo di vigilanza della Polizia Penitenziaria, relegata ad un servizio di vigilanza dinamica che vuol dire porre in capo ad un solo poliziotto quello che oggi lo fanno quattro o più Agenti, a tutto discapito della sicurezza e mantenendo il reato penale della colpa del custode; ebbene, tutto questo è fumo negli occhi". "Ribadiamo di non credere che l'amnistia, da sola, possa essere il provvedimento in grado di porre soluzione alle criticità del settore. Quel che serve sono vere riforme strutturali sull'esecuzione della pena: riforme che non vennero fatte con l'indulto del 2006, che si rilevò un provvedimento tampone inefficace a risolvere i problemi", conclude Capece. Giustizia: casi di Sergio Romice e Ottaviano Del Turco; peggio di crimini, sono stati errori di Valter Vecellio Notizie Radicali, 31 gennaio 2013 Due notizie che, proprio perché tali, non fanno "notizia". Eppure all'inizio fecero, eccome!, notizia. Sui giornali e nei resoconti radiotelevisivi se ne scrisse e parlò, tutti i particolari della cronaca, e molto di più. Fatti, antefatti, presunti misfatti…Ora silenzio. La prima notizia riguarda l'ex direttore del carcere di Sulmona Sergio Romice: è stato prosciolto dall'accusa di negligenza, per non aver gestito correttamente la vita detentiva di un detenuto "eccellente", Michele Aiello. Aiello, ex manager della sanità siciliana, era ritenuto luogotenente di Bernardo Provenzano; le cui condizioni di salute di Aiello sarebbero peggiorate durante la sua permanenza nel supercarcere, perchè non gli fu predisposta una dieta adeguata al suo stato di salute. Aiello, rinchiuso nel carcere di Sulmona dal 5 febbraio del 2011 fu in seguito posto ai domiciliari perchè affetto da fauvismo, e quindi incompatibile con la detenzione carceraria senza un'adeguata dieta alimentare. Sulla vicenda erano state aperte due inchieste: del ministro della Giustizia Paola Severino, conclusasi senza che siano state accertate responsabilità; l'altra del Dipartimento di amministrazione penitenziaria. Subito dopo la scarcerazione di Aiello decisa dal giudice del tribunale di sorveglianza dell'Aquila, Romice era stato trasferito temporaneamente nella sede del Provveditorato di Pescara dove è tuttora in servizio. La seconda notizia "non notizia", viene da Pescara. Riguarda l'ex presidente della regione Abruzzo Ottaviano Del Turco. Cinque anni fa Del Turco è incappato nel tritacarne della giustizia. Il 14 luglio del 2008 quando arrestato con l'accusa di aver intascato tangenti: oltre sei milioni di euro da Vincenzo Angelini, proprietario della clinica privata Villa Pini. Unico accusatore di Del Turco, Angelici ha raccontato di avergli portato in mazzette per oltre venti visite nella sua casa di Collelongo. Ieri Del Turco è stato ascoltato in aula. Per un paio d'ore ha risposto alle domande del Pubblico Ministero Gianpiero Di Florio. Pochissime, riferiscono le agenzie, quelle sulle ipotetiche tangenti intascate; e una solo quella diretta posta alla fine: "Ma davvero lei l'unica cosa materiale che ha mai preso da Angelini è stata la partecipazione di nozze di sua figlia?". E Del Turco, senza esitazione ha risposto: "Sì. Posso aggiungere che non c'erano nemmeno i confetti". Per il resto, lunghe disquisizioni sulle cartolarizzazioni fatte dalla giunta Del Turco, sulle delibere adottate in proposito, sui rapporti con la Deutsche Bank, sui rapporti con l'ex-presidente della finanziaria regionale Giancarlo Masciarelli. Del Turco ha risposto a tutte le domande, fornito chiarimenti e dato spiegazioni. La Pubblica Accusa finora non è riuscita a trovare tracce delle ipotizzate mazzette che Del Turco avrebbe intascato. E sono trascorsi cinque anni. Del Turco ha confermato di aver ricevuto Angelini a casa sua quattro volte ma ha negato risolutamente di aver ricevuto soldi: "È inutile, non c'è nessuna busta. Non ho pagato 5 mele 250 euro", ha chiosato guardando negli occhi i magistrati in aula. Che anche in base a questa considerazione lo hanno portato in galera, sostenendo che Angelini fosse entrato nella casa di del Turco con 250 mila euro e ne fosse uscito con una busta con dentro, appunto, cinque mele. Come disse Talleyand (o Fouché, se si preferisce), "è stato peggio di un crimine, è stato un errore". Che neppure si ammette e riconosce. Giustizia: caso Cucchi; la Corte pronta a derubricare l'accusa di omicidio volontario Il Messaggero, 31 gennaio 2013 Rischia di essere ridotto ad un processo per omicidio colposo, paragonabile alle decine di istruttorie per colpa medica che si svolgono ogni giorno, il dibattimento per la morte del giovane Stefano Cucchi deceduto nel 2009 dopo essere stato arrestato e aver passato alcuni giorni detenuto in ospedale. Ieri, la corte d'assise ha cominciato a valutare l'ipotesi di derubricare l'attuale accusa di omicidio per abbandono terapeutico nell' accusa minore di omicidio colposo. Che fosse questa l'aria che si respirava nell'aula bunker di Rebibbia si era capito con chiarezza un mese fa, all'epoca del deposito della perizia chiesta proprio dal tribunale: il 13 dicembre i periti incaricati dalla corte hanno stabilito che il giovane è morto a causa delle mancate cure dei medici, per grave carenza di cibo e liquidi. Nessuna conferma chiara delle accuse agli agenti che lo tennero in custodia, ora a processo per lesioni ma che secondo le ipotesi iniziali avrebbero causato danni irreversibili al quadro clinico del ragazzo. Secondo la perizia, invece, le lesioni riscontrate post mortem sul corpo di Cucchi potrebbero essere causa di un pestaggio o di una caduta accidentale "né vi sono elementi che facciano propendere per l'una piuttosto che per l'altra dinamica lesiva". Durante l'udienza di ieri, gli avvocati di parte civile Fabio Anselmo e Alessandro Gamberini hanno chiesto e ottenuto che sull'ipotesi di cambiare il reato in una accusa minore ci fosse un supplemento di istruttoria. "Il problema- spiega Gamberini - è che la Corte di Strasburgo ha stabilito che qualora il tribunale decidesse in sentenza di cambiare il reato, anche questa decisione dovrebbe essere stata presa dopo un contraddittorio". La mossa della parte civile, dunque, serve ad evitare che una eventuale condanna per un reato minore finisca per essere annullata in Appello o in Cassazione. La nuova istruttoria potrebbe anche aprire ulteriori strade per l'accusa. All'udienza del 21 febbraio, la parte civile intende chiedere l'acquisizione di una consulenza redatta dal professor Gaetano Thiene, insieme col collega Vittorio Fineschi. Thiene è il cardiologo e anatomopatologo che ha scritto la perizia decisiva per la condanna di tre poliziotti nel caso di Federico Aldrovandi, lo studente ucciso a botte calci e manganellate in seguito ad un arresto a Ferrara, nel 2005. L'avvocato Gaetano Scalise, difensore del primario del Pertini Aldo Fierro, si mostra sereno: "Prendiamo atto e siamo sicuri di poter dimostrare che non vi sono gli estremi nemmeno per l'omicidio colposo. Chiederemo di sentire i nostri consulenti". Giustizia: madre di Peppino Impastato non parlò con Saviano, Gip dà ragione a Persichetti Corriere del Mezzogiorno, 31 gennaio 2013 Il giudice di Roma ha archiviato la richiesta di danni dello scrittore nei confronti dell'ex Br per i suoi articoli su "Liberazione". Non è un ottimo periodo per Roberto Saviano. Prima la sua Napoli - una parte degli abitanti di Scampia - gli si rivolta contro per la fiction di Sky tratta dal suo libro-caso "Gomorra" (che, secondo alcuni, avrebbe mercificato a senso unico il dramma di quella periferia devastata dalla camorra). Poi il tribunale di Roma che ha archiviato la sua richiesta di danni nei confronti Paolo Persichetti, l'ex Br che si era occupato della querelle sul caso Peppino Impastato dalle pagine di "Liberazione". Il Gip di Roma, Barbara Càllari, ha depositato un'ordinanza di archiviazione della querela di Roberto Saviano contro il direttore del quotidiano "Liberazione", Dino Greco, e il giornalista Paolo Persichetti, seguita alla pubblicazione di articoli in cui si riprendeva la richiesta del "Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato" di Palermo di rettificare un'affermazione contenuta nel libro "La parola contro la camorra" di Saviano, secondo cui il film "I cento passi" di Marco Tullio Giordana avrebbe "riaperto il processo" per il delitto Impastato, avvenuto il 9 maggio '78 a Cinisi. Il Centro, in una lettera-diffida dell'ottobre 2010, dimostrava che i processi contro i mandanti dell'assassinio erano cominciati prima dell'uscita del film, nel settembre 2000, e che già nel '98 si e ra costituito, presso la Commissione parlamentare antimafia, un comitato per indagare sul depistaggio delle indagini sulla morte del militante di Lotta Continua. "Alla lettera-diffida - spiega il presidente del Centro Impastato, Umberto Santino - l'editore Einaudi rispondeva che "ulteriori iniziative diffamatorie sarebbero state perseguite nei termini di legge". Una richiesta di verità veniva scambiata per diffamazione. Il film ha fatto conoscere Impastato al grande pubblico ma non ha avuto, né poteva avere, alcun effetto dal punto di vista giudiziario. Il Centro prende atto del provvedimento del tribunale di Roma e invita ancora autore ed editore ad effettuare la rettifica. Sappiamo che non ci sono mezzi legali per imporla, ma chiediamo semplicemente un atto di onestà intellettuale". La vicenda è ricostruita sul sito di "Liberazione". "Persichetti aveva dato notizia della querela del Centro Impastato e dei familiari di Peppino ad Einaudi, editore di "La parola contro la camorra", perché l'autore ripristinasse con correttezza storica nella narrazione della battaglia per la verità sull'assassinio di Impastato, un episodio "accessorio" nell'economia dell'articolo che tuttavia per Saviano ha assunto un significato capitale: la presunta telefonata che Felicia Impastato, madre di Peppino, gli avrebbe fatto nell'estate del 2004. Episodio che Saviano racconta con dovizia di particolari in un altro libro, La bellezza e l'inferno, ma che viene smentito da testimoni fondamentali. Umberto Santino, presidente del centro Peppino Impastato di cui fu amico e compagno, torna a chiede re ad autore ed editore la rettifica di "affermazioni non veritiere. Sappiamo che non ci sono mezzi legali per imporla. Chiediamo semplicemente un atto di onestà intellettuale". Lettera aperta degli uomini ombra al Segretario nazionale del Partito Democratico Ristretti Orizzonti, 31 gennaio 2013 La politica non dice niente. Non amo le persone che sono insensibili alla verità. (Pasternak). Giornata da galeotto per il Segretario nazionale del Partito Democratico Pierluigi Bersani che ha visitato il carcere di Padova, ma come accade spesso nei casi in cui alcune persone importanti visitano l'Assassino dei Sogni (come i prigionieri chiamano il carcere) l'hanno visto pochi detenuti. Segretario Bersani, sicuramente, l'avranno fatta girare nel salotto buono del carcere senza farla salire nelle sezioni dove avrebbe potuto vedere cose molto diverse, anche in quel carcere di Padova, considerato un "fiore all'occhiello" dell'Amministrazione Penitenziaria. Avrebbe visto in piccole celle singole tre persone accatastate come pezzi di legno in una legnaia. E anche tante persone imbottite di psicofarmaci per levargli quella poca vita che gli è rimasta, perché ormai vivono una vita vegetativa, visto che il carcere com'è oggi trasforma l'umano in non umano. Noi siamo degli uomini sociali ed invece questo tipo di carcere ci rende asociali, perché così com'è ci ammazza il corpo, la mente e il cuore. Eppure i diritti dei detenuti dovrebbero essere diritti di tutti, anche i suoi e di tutti i cittadini che hanno la fedina penale pulita. Segretario Bersani, mi permetto di riportarle alcuni titoli di giornale dopo l'ultima condanna emessa contro l'Italia da parte della Corte Europea: "Severino: il nuovo Parlamento affronti subito l'emergenza. Scandalo carceri, la condanna umilia il Paese" (Il Messaggero 9.01.2013). "Una politica senza giustizia" (Mauro Palma). "Scendono dalle stelle ma il vero reato è sorprendersi" (Susanna Marietti, il Manifesto 9.01.2013). "Carceri disumane, l'Europa condanna l'Italia". "Violati i diritti umani". "Una tortura le vostre carceri. Strasburgo condanna l'Italia". "Quattro reclusi in 9 metri quadri: ecco la nostra vita all'inferno fra sporcizia e malattie" (Repubblica 9.01.2013). "Malagiustizia la condanna di Strasburgo, carceri sovraffollate, maxi risarcimento per sette detenuti" (Il Giornale 9.01.2013). "Schiaffo (meritato) all'Italia carceraria" (il Sole 24 ore 9.01.2013). "Il sovraffollamento delle carceri, spread dei diritti che pesa sull'Italia. Le carceri incivili che l'Italia non vede". "L'Europa parla di trattamento degradante, Severino: "Sono avvilita, non stupita". Il capo dello stato: "perdurante incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi" (Corriere della Sera 9/01/2013). "La tortura finisca" (Giuseppe Anzani, Avvenire 9.01.2013). Segretario Bersani, non l'hanno neppure portata a visitare i buchi neri e profondi delle sezioni di massima sicurezza dove sono sepolti vivi gli uomini ombra. Persone che sono murate vive, alcuni di loro da oltre venti e trent'anni. Uomini ormai né morti né vivi che non usciranno mai dal carcere, perché hanno un tipo di ergastolo che li condanna alla "Pena di Morte Viva", destinati a morire in carcere. Non le nascondo che speravo d'incontrarla per dirle che in Italia il carcere interessa a pochi e non interessa perché i detenuti pesano poco sul piano elettorale, non hanno il diritto a votare ed allora diventano marginali rispetto ad altre priorità quando invece, dal punto di vista sociale ed umano, non lo dovrebbero essere. Segretario Bersani, per favore, nella campagna elettorale dica qualcosa sulle carceri e sull'esistenza in Italia della pena di Morte Viva. E faccia come il suo collega di partito, Massimo D'Alema, e altri suoi validi senatori, vada sul sito www.carmelomusumeci.com e firmi la Proposta d'iniziativa popolare per l'abolizione della pena dell'ergastolo, i nostri cuori le dicono grazie. E le augurano buona vita. A nome degli uomini ombra Carmelo Musumeci e Giuseppe Zagari. Sicilia: carceri sporche e affollate, troppo calde d'estate e troppo fredde d'inverno di Elisabetta Cannone La Sicilia, 31 gennaio 2013 E ancora carenza di personale, deficienze strutturali, violenza e perfino suicidi. La condizione delle carceri siciliane, in linea con la maglia nera assegnata all'Italia dall'Unione europea che l'ha multata già due volte (l'ultima in ordine di tempo lo scorso 8 gennaio) è al collasso. Sono i numeri a dare l'idea di cosa succede nell'Isola. Quelli pubblicati nel sito del ministero della Giustizia. Con 1421 presenze la Sicilia è al terzo posto per maggior numero di detenuti italiani e stranieri in attesa di primo giudizio (dati al 31 dicembre 2012). Prime sono Campania e Lombardia (rispettivamente con 2.113 e 1.751). Ma è il rapporto tra detenuti e capienza massima degli istituti siciliani a lanciare un allarme. A fronte di una capienza massima regionale di 5.555 presenze, infatti, in carcere ci sono ben 7098 persone. Le situazioni peggiori? Bicocca, Catania, per esempio. Qui i reclusi sono 257, ma la struttura potrebbe contenerne 141. Altra maglia nera alla "concittadina" Piazza Lanza: 477 contro un numero regolamentare di 355. Non va meglio dall'altra parte dell'Isola. A Palermo la situazione più drammatica è al Pagliarelli: 1304 i carcerati. La struttura potrebbe riceverne soltanto 858. Male anche l'Ucciardone: 487 contro i 423 previsti. Non se la passa bene nemmeno Agrigento: 417 invece di 262. E poi ancora 282 anziché 183 a Caltanissetta; 92 al posto di 49 a Castelvetrano (Trapani); 509 contro 312 a Siracusa. "Il sovraffollamento è solo uno dei problemi - spiega Salvo Fleres, garante dei diritti dei detenuti da tempo impegnato nella denuncia di quanto accade dietro le sbarre. Dovremmo parlare anche di carenza di personale di polizia penitenziari (circa 6.000 in meno rispetto all'organico previsto), di carenze trattamentali (circa 700 educatori in meno), poca attività didattica e lavoro intra ed extra murario (solo il 15%). E ancora poca cultura e poca assistenza psicologica, e dunque, tanta recidiva: circa l'80%. Un sistema autoreferenziale, disorganizzato, in una parola, colpevole". Portavoce dei detenuti sono anche i legali. "Esiste una emergenza carceri - spiega l'avvocato Pina De Gaetani del Foro catanese - A Catania e provincia i detenuti in alcuni casi sono anche il doppio o il triplo di quelli che potrebbero essere ospitati, con ovvi problemi di carenza di condizioni igieniche. Spesso si tratta di strutture come Piazza Lanza, vecchie, che necessitano di manutenzione, fredde d'inverno e caldissime d'estate". Da Palermo il collega penalista Ermanno Zancla. "Le carceri siciliane sono ai primi posti, insieme a quelle lombarde, in quanto a sovraffollamento. La media dello spazio per detenuto è inferiore ai 7 metri quadrati per la cella singola e ai 4 per la multipla, indicati come parametro dal Comitato europeo per la prevenzione alla tortura". "Dovremmo essere condannati tutti per concorso in tortura e una recente sentenza lo conferma - afferma Eleonora Baratta, avvocato catanese che in galera ha perso, suicida, un suo cliente -. I detenuti convivono un'unica stanza o pseudo tale con una decina di persone anche per 23 ore". Spazi che poco hanno a che fare con un Paese civile. "Vivere male in carcere - riprende Fleres - vuol dire stare in dieci in una cella che può contenerne tre, dormire per terra, fare la doccia due volte alla settimana, non studiare, non lavorare, ammalarsi spesso, soffrire il caldo insopportabile d'estate e il freddo gelido d'inverno. Bisogna sfatare la storiella dei giustizialisti che il carcere è un albergo a cinque stelle: è un luogo in cui lo Stato perde e fa perdere la dignità". "È inaccettabile per uno stato democratico una situazione del genere - commenta Lino Buscemi, avvocato ed esperto di diritti umani -. Non sono disattese solo le direttive comunitarie sui diritti dell'uomo ma anche la nostra stessa Costituzione. Dietro le sbarre c'è chi ha commesso reati gravi, ma anche delitti minori, e perfino chi attende il primo giudizio e quindi potenzialmente innocente. Lo Stato non può essere vendicativo". Da Palermo, infine, una iniziativa che vede protagonisti l'avvocato Ermanno Zancla, la dott. Agata Galvano oltre ai legali Gino Michele, Domenico Arnone e Stefano Bertone, ovvero il Libro bianco carceri. "Punto di partenza è la raccolta di testimonianze del maggior numero possibile di detenuti e poi iniziare un'azione di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale contro il ministero della Giustizia". Il 60% dei detenuti è plurirecidivo Il 60% dei detenuti in Italia è pluri-recidivo. Il 50%, 268.459, ha tra una e quattro carcerazioni precedenti a quella per cui è in cella. Ben 350 detenuti hanno più di 15 carcerazioni alle spalle, 1.394 tra 10 e 14. La metà di queste carcerazioni è frutto di condanne definitive. Il 19% dei detenuti è in attesa di primo giudizio, circa il 20% in attesa della decisione della corte d'Appello e della Cassazione. Dei 65.700 detenuti, presenti al primo gennaio 2013, 28.608 sono alla prima carcerazione. Questi i dati sul pianeta carceri e in particolare sulla recidiva, concausa del sovraffollamento carcerario. Circa 15 mila detenuti hanno meno di 30 anni. 587 detenuti hanno più di 70 anni. Oltre il 40% è celibe o nubile. I laureati sono 604, di cui 176 stranieri, meno dell'1% del totale. Meno di un terzo del totale dichiara di avere un lavoro fuori. I detenuti in cella per aver violato la legge sulle droghe sono il 37%. Gli stranieri detenuti sono 24.179, il 50% è in custodia cautelare. Gli ergastolani sono 1.581. Gli arresti domiciliari, se non c'è posto in cella Un "cartello" di organizzazioni vicine al mondo penitenziario si mobilitano per ripristinare la legalità nelle carceri e affidano a tre proposte di legge d'iniziativa popolare il compito di riportare il sistema carcerario sotto controllo. Sono infatti 22 mila i detenuti in più rispetto ai posti negli istituti di pena con un tasso di affollamento che, come ha stigmatizzato la Corte europea dei Diritti umani che ha più volte condannato l'Italia, è più alto d'Europa. I provvedimenti intervengono sul sovraffollamento con una norma che tramuta l'ordine di esecuzione della pena in carcere in obbligo di permanenza presso il domicilio ove non ci siano in carcere posti letto regolari disponibili. "I detenuti dormono per terra, non ci sono più spazi comuni, oziano nelle loro celle - ha spiegato il presidente dell'associazione Antigone - rendendo evanescente la funzione rieducativa della pena". "Circa il 60% dei detenuti è pluri-recidivo. Oltre il 50%, 28.459 persone, ha tra una e quattro carcerazioni precedenti. "Vogliamo diversificare - ha aggiunto il portavoce delle associazioni - il destino dei consumatori di droghe leggere da quello di sostanze pesanti". Sardegna: deputato Mauro Pili (Pdl) attacca Governo "Regione diventa cayenna di mafia" Agi, 31 gennaio 2013 "Con un blitz ordinato dal ministro della Giustizia, tra sabato e domenica, sono giunti nell'isola pezzi da novanta delle più rilevanti organizzazioni mafiose e camorriste". La denuncia è del deputato del Pdl Mauro Pili che ha presentato un'interrogazione nella quale si parla di "nomi tenuti sotto copertura" e si paventa "il rischio di infiltrazioni mafiose nell'isola".Sabato prossimo, afferma il parlamentare, "è previsto l'arrivo di un'altra decina di pericolosi criminali" per un obiettivo finale di "150 mafiosi nel carcere di Tempio nel giro di un mese". "C'è di tutto nel nuovo sbarco mafioso nell'isola", afferma Pili, "tra cui Matteo Tamburello, un boss di primo piano che ha capeggiato, con il padre, le famiglie mafiose mazaresi con la benedizione di Matteo Messina Denaro. Tra gli arrivi anche quello dell'anello di congiunzione tra la mafia palermitana e quella americana, il boss Salvatore Parisi arrestato nell'ambito dell'operazione Old Bridge, condotta dalla Questura del capoluogo siciliano in collaborazione con l'Fbi, per non parlare di uno dei più veloci e attivi criminali nel campo del narcotraffico Giacomino Stelitano, soprannominato Shumi, dedito ai rapporti criminali tra il Sud America e l'America Latina". "L'allontanamento di 37 detenuti la scorsa settimana, liberando un'intera ala del carcere di Nuchis, vicino a Tempio", ha detto ancora l'esponente del Pdl, "lasciava intendere che il ministero si stava muovendo nella direzione più volte denunciata, quella di trasformare la nuova struttura in un carcere destinato all'alta sicurezza. Questo in un'area ancora più sensibile di altre per gli investimenti pubblici in atto come la nuova strada Sassari-Olbia e possibili interventi nel settore turistico". Mafia: detenuto di 52 anni muore per infarto nel carcere di Bicocca Agi, 31 gennaio 2013 Morto un boss di peso della mafia della provincia di Caltanissetta. Si tratta di Rosario Lombardo, considerato personaggio di spicco di Cosa nostra di Niscemi, deceduto per infarto nel carcere di Catania, a Bicocca, all'età di 52 anni. Era finito in cella con l'accusa di associazione mafiosa e per avere progettato di uccidere i figli (due dei quali ancora minorenni) di due collaboratori di giustizia niscemesi, pronti a fare luce sull'organizzazione criminale e sulle strategie economie del clan. Lombardo era chiamato "Saru cavaddu" ed era ritenuto un boss influente nella determinazione degli equilibri mafiosi. Modena: Sappe; sventato tentativo suicidio di un detenuto magrebino di circa 30 anni Adnkronos, 31 gennaio 2013 La notte scorsa, nel carcere di Modena, "un detenuto magrebino di circa 30 anni ha tentato il suicidio, impiccandosi all'interno della cella in cui era detenuto. Solo l'attenzione e la prontezza dell'agente in servizio nella sezione detentiva ha reso vano il tentativo dell'uomo". Ne dà notizia Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe. "È sempre e solo grazie alla professionalità della polizia penitenziaria che vengono evitati e controllati, all'interno delle carceri, i tanti eventi critici, compresi i tentativi di suicidio che sono circa mille ogni anno. Negli ultimi 20 anni - ricorda - la polizia penitenziaria ha salvato la vita a circa 17.000 detenuti che hanno tentato il suicidio". A Modena, attualmente, ci sono circa 350 detenuti, "ma il numero è destinato a salire ed a raggiungere i 600 circa, a seguito dell'imminente apertura del nuovo padiglione detentivo che dovrebbe ospitare i detenuti con pene fino a 5 anni di reclusione". San Severo (Fg): detenuto colpito da grave crisi respiratoria, salvato dagli agenti Un uomo di origini napoletane, A.R. di 38 anni, detenuto nel carcere di San Severo (Fg) in preda a una grave crisi respiratoria è stato soccorso e salvato dagli agenti di Polizia Penitenziaria. L'episodio è avvenuto nella mattinata di domenica 27 gennaio. Decisivo è stato l'intervento degli agenti di Polizia Penitenziaria e dei sanitari di turno in servizio in quel momento all'interno del carcere. Solo il pronto intervento e l'attenzione del personale operante all'interno dell'Istituto hanno potuto evitare il tragico epilogo con l'uomo che era già sofferente. Infatti il detenuto è stato salvato dalla respirazione artificiale alternata a massaggio cardiaco immediatamente praticati. Vista la gravità della situazione, il detenuto, veniva trasportato d'urgenza, presso l'Ospedale di San Severo dove veniva ricoverato. "Grande professionalità ed attenzione da parte della polizia penitenziaria e del personale sanitario nell'espletamento dei propri compiti - afferma il Comandante della Casa Circondariale di San Severo Commissario Dr. Giovanni Serrano - la situazione nelle carceri italiane è grave, ma nonostante le difficoltà operative derivanti dal sovraffollamento e dalla mancanza di personale, si riescono a fronteggiare gli eventi critici grazie alle capacità e allo spirito di sacrificio del personale". Napoli: Radicali manifestano davanti carcere di Poggioreale per diritto di voto dei detenuti Notizie Radicali, 31 gennaio 2013 Questa settimana l'Associazione radicale "Per la Grande Napoli" è stata presente dinanzi al carcere di Poggioreale per informare i cittadini in attesa del colloquio con i familiari, sulla possibilità, per i detenuti che ne facciano richiesta, di esercitare il diritto di voto per le prossime elezioni politiche. Luigi Mazzotta, candidato al Senato per la Lista Giustizia Amnistia Libertà, al termine dei sit-in tenuto stamane ha affermato: "In questi anni abbiamo cercato di trasformare le "processioni" che ogni mattina si tengono fuori il carcere di Poggioreale - indegne per un paese che voglia definirsi civile - in un laboratorio politico per far crescere la lotta nonviolenta per l'amnistia e il ripristino di condizioni di legalità nelle carceri. Sono oltre novecento i familiari di detenuti che hanno sottoscritto, diventandone di fatto presentatori, la Lista elettorale promossa da Marco Pannella. Ho ricordato a tutti che per esercitare il diritto di voto all'interno del carcere bisogna fare richiesta. Nei prossimi giorni cercheremo di incontrare i direttori delle carceri napoletane e il sindaco De Magistris per avere la garanzia che tutto venga organizzato nel rispetto delle leggi". Bologna: nuovo "stop" per la Garante dei detenuti, Laganà sospesa dal Consiglio di Stato La Repubblica, 31 gennaio 2013 Uno a due, per gli sfidanti. E palla al centro, in una partita che ancora deve finire. Il Consiglio di Stato ha accolto l'ultimo ricorso presentato dell'associazione Papillon, "sospendendo temporaneamente dalle funzioni - riferisce l'avvocato Michele De Fina - il garante comunale dei detenuti ", Elisabetta Laganà, già dichiarata incompatibile una volta e poi rinominata dall'amministrazione comunale. Il provvedimento è stato adottato in via cautelare e provvisoria, in attesa che il Tar di Bologna entri nel merito della controversia tra "dissidenti" e Palazzo d'Accursio. Facci (Pdl): il Comune faccia un passo indietro Il Consiglio di Stato ha sospeso cautelativamente la nomina della dr.ssa Elisabetta Laganà come Garante dei diritti dei detenuti, effettuata dal Consiglio comunale di Bologna in data 23 luglio 2012, dopo una prima designazione già "bocciata" dal Tar Emilia-Romagna. Sul punto, il Consigliere comunale Michele Facci ha rilasciato la seguente dichiarazione: "Il centro-sinistra in Consiglio comunale, per l'ennesima volta, esce sconfitto dall'oramai annosa vicenda della nomina del Garante dei diritti dei detenuti: anziché procedere secondo buon senso, ha preferito forzare le norme, ed insistere su una nomina - quella della Dr.ssa Laganà - che già il Tar aveva in precedenza annullato. Ho sempre ritenuto quella nomina come illegittima, tanto che, al momento dell'approvazione della delibera, per non incorrere in responsabilità amministrativa, non ho partecipato al voto in aula. Avevo inoltre più volte sollecitato la maggioranza a non insistere nel contenzioso giudiziale, specie dopo il ricorso al Consiglio di Stato da parte dell'associazione Papillon, ma invano. Adesso, l'autorevole pronunciamento del Consiglio di Stato comporta, quale inevitabile conseguenza, oltre alla sospensione dell'attività sociale in favore dei detenuti, anche un danno di natura erariale. Credo che, a questo punto, qualcuno all'interno dello Staff del Consiglio comunale dovrà necessariamente assumersi la responsabilità - politica, amministrativa, contabile - di questo ennesimo grave e colpevole errore da parte dell'Amministrazione cittadina. Invito pertanto chi di competenza, a partire dalla Presidente Lembi e dal segretario generale Uguccioni, a limitare i danni di natura amministrativa all'Ente, esercitando l'autotutela e ritirando la contestata nomina della dr.ssa Laganà". Trento: il consigliere Pd Mattia Civico chiede il Garante detenuti, Lega e Idv si oppongono Il Trentino, 31 gennaio 2013 Oggi il Consiglio provinciale dovrebbe discutere la riforma della Difesa civica che per ora prevede l'attribuzione delle funzioni di Garante dei Detenuti direttamente al Difensore civico. Per correggere questa impostazione il consigliere del Pd Mattia Civico ha depositato una serie di emendamenti, sottoscritti da quasi tutti i capigruppo di maggioranza e da due dell'opposizione. "Penso infatti - afferma - che attribuire questa competenza direttamente al Difensore civico sia una scelta debole e per molti versi inefficace; rimango fermo nella convinzione che il Garante debba essere nominato dal Consiglio provinciale, come espressione della comunità trentina. D'altra parte della stessa opinione sono i 666 sottoscrittori della lettera aperta "Per un garante dei detenuti anche in Trentino" fra i quali il magistrato Pasquale Profiti, la presidente dell'Ordine degli avvocati Patrizia Corona, l'ex direttore del carcere di Trento Francesco Massimo, il responsabile della sanità penitenziaria Claudio Ramponi e molti esponenti del terzo settore che ben conoscono la realtà". "Lega e Italia dei Valori - conclude il consigliere del Pd - hanno manifestato una forte contrarietà annunciando ostruzionismo. Tralasciando polemiche sulla inopportunità politica che un membro della maggioranza si metta a fare ostruzionismo con la minoranza, penso saranno giornate di dibattito difficile, viziato certamente anche dal clima elettorale che non sempre aiuta a stare nel merito delle questioni". Roma: martedì, a Rebibbia, Telefono Azzurro e Dap firmano un Protocollo d'intesa Adnkronos, 31 gennaio 2013 Un "Protocollo d'intesa" tra Telefono Azzurro Onlus e il ministero della Giustizia sarà firmato martedì prossimo alle 15 nella Casa Circondariale Maschile di Rebibbia - Nuovo Complesso, Via Raffaele Majetti, 70 a Roma. All'iniziativa, riferisce una nota di Telefono Azzurro, saranno presenti Ernesto Caffo, presidente Telefono Azzurro, Simonetta Matone, vice capo Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e il ministro della Giustizia Paola Severino. Il protocollo viene sottoscritto per la tutela e la promozione dei diritti dei bambini e adolescenti coinvolti in situazioni di detenzione genitoriale. "Dal 1999 Telefono Azzurro promuove e realizza il Progetto Bambini e Carcere, nato come impegno dei volontari dell'Associazione e rivolto alla tutela di quei bambini di cui uno o entrambi i genitori sono detenuti - spiega la nota - il Nido, per bambini da 0 a 3 anni; la Ludoteca per attenuare l'impatto con la dura realtà carceraria prima, durante o dopo il colloquio con il genitore". Dopo la sottoscrizione del Protocollo sarà possibile visitare la ludoteca. Roma: lezione di legalità nel carcere di Civitavecchia con Don Luigi Merola Ansa, 31 gennaio 2013 Martedì 29 gennaio Don Luigi Merola ha tenuto in carcere, una lezione di legalità, con l'occasione è stato presentato il libro "I colori dell'inferno" scritto dal colonnello psicologo Antonio del Monaco, i cui parte dei proventi sono stati donati dall'autore alla fondazione di Don Luigi Merola " A voce de creature" e una parte anche ai detenuti del Carcere di Aurelia - Civitavecchia diretto dalla D.ssa Silvana Sergi che durante il suo intervento di benvenuto ha dichiarato " ho voluto fortemente questo incontro, ho voluto che si parlasse di criminalità organizzata proprio all'interno del carcere, alla presenza di molti detenuti e studenti ma sono certa che questo messaggio avrà senz'altro eco anche all'esterno. Anche Alessandro Battilocchio,sempre presente alle iniziative promosse dalla Direttrice del carcere, è intervenuto con un breve e significativo intervento. IL teatro del carcere era gremito di autorità civili, militari e molti alunni delle scuole superiori, attentissimi all'importante e forte messaggio educativo e rieducativo che ha voluto trasmettere Don Luigi Merola ai detenuti e ai giovani. Presente all'iniziativa anche la responsabile del Comitato Unicef di Civitavecchia che da anni collabora con le due carceri presenti in città. Venezuela: il Papa esprime cordoglio per morti carcere... mai più drammi simili Adnkronos, 31 gennaio 2013 Dopo gli scontri dei giorni scorsi nel carcere venezuelano di Uribana, durante i quali hanno perso la vita 58 persone, in gran parte detenuti, Benedetto XVI esorta le istituzioni a continuare a lavorare in uno spirito di collaborazione e buona volontà per superare i problemi ed evitare la ripetizione in futuro di tali eventi drammatici. L'appello - come riporta la Radio Vaticana - è contenuto in un telegramma di cordoglio inviato, a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, in cui il Papa esprime il proprio profondo dolore per i tragici incidenti assicurando la sua preghiera per i defunti e la sua più profonda vicinanza spirituale e solidarietà alle famiglie delle vittime e ai circa 90 feriti. Secondo l'Osservatorio venezuelano delle prigioni - ricorda la Radio Vaticana - nel Paese ci sono oltre 45 mila detenuti in strutture che potrebbero ospitarne al massimo 15 mila. L'esecutivo ha aperto un'inchiesta su quanto accaduto. Il penitenziario di Uribana dovrebbe ospitare 850 persone ma al momento ce ne sono 2.500. Per la Commissione Onu per i diritti umani la responsabilità degli scontri è da attribuire alle autorità venezuelane. La Chiesa venezuelana, da parte sua, parla di una politica penitenziaria inefficace del governo, dinanzi al sovraffollamento, alla mancanza di cibo adeguato, alla violenza incontrollata, ai ritardi procedurali e all'umiliazione subita dalle famiglie dei detenuti e invoca un'indagine indipendente e imparziale, che permetta di processare e punire i responsabili. Stati Uniti: bambino di sette anni in manette a New York per lite a scuola Tm News, 31 gennaio 2013 La famiglia di un bambino di 7 anni di New York ha denunciato la polizia e le autorità comunali, accusando gli agenti di aver ammanettato e interrogato il minore per 10 ore dopo una lite a scuola. Stando a quanto riportato dai media Usa, il minore si sarebbe azzuffato con un compagno lo scorso dicembre in una scuola del Bronx, dopo essere stato accusato di aver rubato 5 dollari. Gli agenti sono intervenuti dopo una chiamata per aggressione e rapina e hanno arrestato il bambino, tenendolo per quattro ore nella scuola e per altre sei nel Dipartimento. "Immaginate come mi sia sentita a vedere mio figlio in manette - ha detto la madre del bambino, Frances Mendez, al New York Post - è stato orribile. Non potevo credere a quello che stavo vedendo". "Se il minore e la madre vivessero sulla 64esima e il bambino frequentasse una scuola privata da 35.000 dollari l'anno, pensate che sarebbe stato arrestato, ammanettato a un muro e che alla madre e all'avvocato sarebbe stato negato l'accesso per 10 ore?", ha denunciato il legale, Jack Yankowitz. Da parte sua, la polizia si difende affermando di essersi comportato in modo "appropriato", precisando che sarebbe stato detenuto poco più di quattro ore. Bahrain: torturò a morte manifestante, agente condannato a sette anni di carcere Aki, 31 gennaio 2013 Un agente di polizia in Bahrain è stato condannato a sette anni di carcere per aver torturato a morte un manifestante sciita arrestato durante la rivolta antigovernativa scoppiata nel febbraio 2011. Lo ha annunciato sul suo account Twitter l'avvocato bahrenita Rim Khalaf, noto per il suo impegno a difesa degli oppositori nella monarchia del Golfo. "L'assassino del martire Ali Musheime è stato condannato a sette anni di prigione, si tratta della pena massima prevista per questo reato", ha affermato l'avvocato in un tweet. Numerosi poliziotti sono stati indagati o sono a processo in Bahrain con l'accusa di aver torturato alcuni manifestanti sciiti arrestati negli scontri con le forze di sicurezza. Dal febbraio del 2011 in Bahrain, Paese a maggioranza sciita, si registrano proteste per la richiesta di riforme politiche e maggiori libertà. Da allora, secondo gli attivisti, almeno 80 persone sono state uccise nella repressione delle manifestazioni antigovernative. Nord Corea: google e i "gulag" di Kim.... le prigioni svelate dal satellite L'Unità, 31 gennaio 2013 La Corea del Nord, uno dei Paesi più isolati del mondo, visto dall'alto per la prima volta: campi, scuole e gulag. Le mappe mostrano anche i siti usati per i test atomici voluti dal regime. Un fiume ghiacciato, una coltre bianca, spirali di fumo dai comignoli dei tetti. Appare così Pyongyang, capitale della Corea del Nord. Volendo si può seguire più a nord il fiume della città, il Taedong, e vedere che è completamente gelato: i pescatori sono costretti a praticare fori nel ghiaccio per poter pescare qualcosa. Non è una missione spia tra i cieli del Paese, ma da oggi tutti gli utenti su internet possono farlo. È sufficiente scaricare sul proprio computer l'ultimo aggiornamento di Google Map Maker reso disponibile dal potente motore di ricerca Usa. La nuova versione offre una mappa dettagliata di Pyongyang, con tanto di ospedali, fermate della metropolitana e scuole; fuori della capitale, i particolari sono meno certi, ma si vedono altre città e poi aree grigie che, con lo zoom, vengono identificate come gulag, i famigerati campi di rieducazione. Finora la Corea del Nord era praticamente un foglio bianco sulla mappa per gli utenti dell'applicazione di Google, che crea mappe in base ai dati forniti dagli utenti e poi controllati in un processo simile a quello di Wikipedia. A poche settimane dall'inedito viaggio "a scopo umanitario" in Corea nel Nord del suo numero uno, Eric Schmidt, i cui contenuti sono sempre rimasti un po' oscuri (si è parlato del tentativo di far rilasciare un cittadino Usa accusato di spionaggio), Google ha pubblicato una mappa dettagliata della Corea del Nord. "Per lungo tempo la Corea del Nord è stata una delle aree più vaste con così scarsi dettagli. Ma ora stiamo cambiando tutto ciò", ha detto Jayanth Mysore, responsabile di Google Map Maker, che ha spiegato che la mappa è stata "completata con l'aiuto di una comunità di cittadini cartografi, che hanno lavorato per un periodo di diversi anni". La fonte principale dei dati sono state soprattutto le immagini satellitari. Ma la "community di cartografi", di cui moltissimi cittadini della Corea del Sud, ha contribuito fornendo foto e testimonianze. "Queste mappe saranno particolarmente importanti per i cittadini della Corea del Sud che hanno legami ancestrali con il Nord o addirittura parenti che vivono là", ha spiegato Mysore. La nuova mappa di Google fornisce però sorprese cariche di conseguenze. Tramite il motore di ricerca è ora possibile vedere la struttura del "Camp 22", il più grande gulag della Corea del Nord, situato nel nord del paese, al confine con la Cina. Pyongyang si è sempre difesa dalle accuse sostenendo che si tratta di propaganda straniera e che non esiste nessuna prigione. Sarà più difficile, visto che ora le mappe ne confermeranno l'esistenza, individuando i campi di prigionia dove potrebbero esserci almeno 200mila persone giudicate ostili al regime. Il sistema sarebbe in vigore da 50 anni. Grazie alla qualità delle immagini è possibile che alcuni ex prigionieri riescano a riconoscere il campo in cui sono stati rinchiusi. È stato anche identificato un nuovo gulag che si trova nella provincia a sud di Pyongyang. Il campo, come ha affermato l'analista di Google Curtis Melvis, è circondato da una recinzione di ben 13 chilometri. L'impianto dovrebbe essere stato costruito nel 2006 ed è dotato di sei posti di guardia e due posti di blocco, uffici, alloggi e una miniera di carbone forse non operativa. Stando alla National Human Right Commission, alcune persone sono state rinchiuse in queste prigioni solo per avere lodato la Corea del Sud, mentre la maggior parte di questi detenuti sono stati catturati mentre tentavano di lasciare il Paese in cerca di cibo e lavoro. Oltre il 40% dei detenuti muore per malnutrizione, malattia, abusi e torture da parte delle guardie o a causa del lavoro duro. Ma la mappa di Google renderà ancor più difficile per Pyongyang negare i test nucleari. Già le foto satellitari più recenti mostravano che la Corea del Nord potrebbe essere pronta a mettere in pratica la minaccia di condurre un test nucleare. Il sito Punggyeri, dove sono già stati fatti dei test nel 2006 e nel 2009, su Google è mostrato con le strade pulite dalla neve pesantemente caduta nell'ultimo mese. Gli operai potrebbero avere sigillato il tunnel nella montagna all'interno della quale potrebbe essere fatto detonare l'ordigno atomico da collaudare. Paradossalmente le persone che meno usufruiranno di queste mappe di Google sono proprio i cittadini nordcoreani, che non hanno accesso a internet se non tramite un intranet, cioè un sistema chiuso.