Giustizia: carceri, i buoni propositi e la memoria corta di Valter Vecellio Notizie Radicali, 2 gennaio 2013 Grazie a un lavoro di documentazione del Centro Studi di “Ristretti Orizzonti”, possiamo fare un’opera di recupero di memoria che è utile ed importante. Si tratta delle dichiarazioni, delle prese di posizione, delle “promesse” dei principali rappresentanti politici e istituzionali. Quello che hanno detto in materia di carcere e di giustizia. Si comincia con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il suo “Messaggio di fine anno”: “Più che mai dato persistente di inciviltà da sradicare in Italia rimane la realtà angosciosa delle carceri, essendo persino mancata l’adozione finale di una legge che avrebbe potuto almeno alleviarla. Saluto, tuttavia, con compiacimento il fatto che per iniziativa della Commissione parlamentare istituita in Senato si stia procedendo alla chiusura - cominciando dalla Sicilia - degli Ospedali psichiatrici giudiziari, autentico orrore indegno di un paese appena civile”. L’impellente urgenza è stata completamente archiviata; ora c’è il dato di “persistente inciviltà da sradicare”. Il presidente del Consiglio Mario Monti l’8 agosto scorso, intervistato dal settimanale “Tempi”, dice: “La giustizia deve dare risposte nel segno di una giurisdizione rapida, efficace, al passo con i tempi. Risposte tardive sono un servizio denegato al cittadino e dunque un danno alla collettività, anche sotto il profilo economico. In questo periodo, poi, l’insopportabile caldo rende ancor più drammatico il sovraffollamento carcerario...”. Giurisdizione rapida, efficace, al passo con i tempi… Silvio Berlusconi, il 30 dicembre dice: “La situazione delle carceri è indecente. Intollerabile. Totalmente inaccettabile. La giustizia ti leva la libertà se hai commesso un reato, ma non può toglierti anche la salute e la dignità, come invece fa in questo Paese. Le carceri italiane sono una vergogna mondiale”. Pierluigi Bersani il 17 dicembre dichiara: “Ancora una volta Pannella mette a repentaglio la propria vita per richiamare l’attenzione sulle disastrose condizioni del sistema penitenziario italiano. La sua testimonianza richiama le forze politiche all’evidente violazione dell’articolo 27 della Costituzione, che indica la finalità riabilitativa del carcere e vieta l’applicazione di pene disumane. È questo purtroppo un precetto assai lontano dalla realtà, nella quale anni di politiche tese a fare della reclusione l’unica forma di pena hanno portato a numeri impressionanti di sovraffollamento nelle carceri e alla conseguente cancellazione di tutti i percorsi di reinserimento”. Nichi Vendola il 14 dicembre sostiene: “In Italia abbiamo il picco storico dei suicidi e degli atti di autolesionismo: un carcere violento e disumano fa male all’intera società. Si tratta di rispettare una norma della nostra Costituzione che prevede l’umanità della pena e il carcere come un luogo di transizione verso la reintegrazione. Penso che dobbiamo avere umanità, intelligenza e penso che dobbiamo dare chance di vita a chi oggi è in carcere”. Beppe Grillo nel suo blog il 24 giugno del 2011 scrive: “Marco Pannella si sta battendo per una causa giusta, contro le morti in carcere, ogni anno più di 150, molte di queste oscure e riportate purtroppo con regolare cadenza su questo blog. Non ci vogliono più carceri, ma meno detenuti. Va abolita la legge Fini-Giovanardi che criminalizza l’uso delle marijuana. I reati amministrativi vanno sanzionati con gli arresti domiciliari e un lavoro di carattere sociale. Il carcere in Italia non serve a riabilitare nessuno, ma a uccidere. È una scuola di criminalità. Basta nuove carceri e che le istituzioni ascoltino Marco Pannella”. Come nella famosa canzone di Mina, “Parole, parole, parole…”. Nella “rassegna” di cui abbiamo dato conto mancano le dichiarazioni dei radicali; il motivo lo spiega lo stesso Centro Studi di Ristretti: “Ce ne sarebbero tante e importanti, ma sappiamo che non occorrerà rammentargliele... sappiamo che le ricorderanno bene e continueranno a battersi per i diritti dei detenuti, e di tutti i cittadini, come hanno fatto finora”. Ha ragione, ma occorre che i radicali abbiano la possibilità concreta di poter continuare a fare quello che hanno fatto e stanno facendo. Una possibilità che giorno dopo giorno viene preclusa, erosa. Per impedirlo c’è solo un modo, iscriversi e sostenere i radicali. Spesso si chiede che cosa i radicali sono disposti a fare; la domanda è un’altra: cosa siamo disposti a fare, ciascuno di noi, perché i radicali possano continuare a fare quello che fanno. Buona giornata, buon 2013. E buona fortuna. Giustizia: dai Radicali “Amnistia, giustizia e libertà”, una lista di scopo per le carceri di Monica Gasbarri www.clandestinoweb.com, 2 gennaio 2013 A margine della conferenza stampa che si è svolta al partito Radicale, sul caso di Ambrogio Crespi, Clandestinoweb ha intervistato il Segretario dell’Associazione “Il detenuto Ignoto” Irene Testa che, davanti alle nostre telecamere ha tracciato il quadro di “una situazione che più volte abbiamo sottolineato di tortura e trattamenti umani degradanti a causa di negligenza e indifferenza da parte di chi poteva intervenire e non l’ha fatto”. Per questo motivo, partita dalla spinta di Marco Pannella, nasce la proposta di “Amnistia, giustizia e libertà”, una lista di scopo con obiettivi chiari, che intende mettere dentro personalità che su questo fronte hanno delle forti sensibilità e intendono lottare affinché si affronti questo tema e si riesca a far approvare un provvedimento che è ormai indispensabile per far fronte al grave problema della giustizia in Italia e delle carceri ovviamente”. Giustizia: Pannella; sulle carceri Napolitano è il primo a ferire il dettato costituzionale Ansa, 2 gennaio 2013 Nel suo discorso di fine anno, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha parlato anche delle carceri. È Marco Pannella, leader storico dei Radicali, a rispondere alle parole del Capo dello stato, in un intervento in diretta su Radio Radicale: “Di fianco al Presidente c’era, per fortuna, la bandiera europea. Ma per il resto - a parte l’accenno alle carceri - non un cenno, sul problema centrale per il quale noi siamo - grazie in particolare al Presidente di questo settennato - in flagranza indiscussa dei massimi reati, contro il diritto, contro la legge, contro le leggi”. “Oggi, nella sostanza, il Presidente della Repubblica è il primo nella pratica evidente ad ignorare ed a ferire quanto la nostra Costituzione ci detta, è lui per primo essere ed agire incurante di qualsiasi regola, di qualsiasi norma, di qualsiasi caratteristica della nostra ex democrazia, della antidemocrazia che lui oggi purtroppo esprime anche con questo discorso, nel quale l’accenno al diritto e alla giustizia, tranne l’accenno iniziale alla giustizia sociale, non c’è stato” ha aggiunto quindi Pannella. Giustizia: morte e carcere… parole ormai sempre più pensate, dette e scritte insieme di Ilaria Cucchi Notizie Radicali, 2 gennaio 2013 Finisce l’anno con Pannella che digiuna fin quasi a morire. E con l’affermazione dei periti nominati dalla corte: Stefano Cucchi sarebbe morto di fame dopo l’arresto il 15 ottobre 2009. Morte e carcere: parole ormai sempre più pensate, dette e scritte insieme. A indignarsi è solo chi non ha a che fare con la giustizia. Dentro le aule dei tribunali lo si dà per scontato che nei confronti di coloro che sono nelle mani dello Stato possano essere compiuti atti di violenza psicologica e fisica. Terribile. Quando ci si rivolge direttamente ai giudici tutti i segni, imbarazzanti e agghiaccianti. Di tali violenze diventano equivoci, dubbi, quando addirittura non scompaiono. I consulenti diventano incerti, possibilisti, balbettanti. Salvo poi recuperare sicurezza e determinazione quando devono escludere, negare, difendere. Da tre anni giro per i tribunali di tutta Italia e le scene si ripetono uguali. Un esempio piccolo: Yaya Samura, teste fondamentale per l’accusa, ha riferito in aula del pestaggio subito da mio fratello. Ha parlato dei calci, del tonfo del trascinamento del suo corpo a terra, del suo successivo colloquio con lui, dove Stefano si lamentava di essere stato picchiato mostrandogli le ferite e il sangue che ne usciva. Quel sangue è stato ritrovato su quei pantaloni sequestrati dal pm. Il consulente nominato dalla procura ha scritto che è sangue fresco e di mio fratello. È la prova che non si è procurato quelle lesioni in una caduta accidentale, ma per un pestaggio. Questo però non esiste per i periti che non ne fanno cenno. Perché? Perché semplicemente quelle ferite come quelle sulle mani e sul corpo risalgono prima del suo arresto. Certo. Ma per tutto questo è realmente accaduto. Perché è “normale”. Tutto normale. Per la nostra Costituzione non lo è. Ma è vecchia e inadeguata ai tempi, come afferma qualcuno. Forse ha ragione. Giustizia: ddl misure alternative, un provvedimento insufficiente… e comunque bloccato di Maria Chiara Sicari www.agoravox.it, 2 gennaio 2013 Uno tra gli ultimi provvedimenti che il Ministro della Giustizia ha provato ad affrontare (bloccato dalla Lega ed Idv, ma non per motivi che elencherò) è il ddl misure alternative finalizzato principalmente allo svuotamento degli istituti di pena come alternativa all’amnistia. Tale discussione non è mai stata affrontata dalle Camere, anche se l’emergenza carceraria è stata sollecitata dal Presidente della Repubblcia nel luglio 2011, e soprattutto, mai più richiamata all’ordine e all’attenzione della politica a dei cittadini. In realtà il significato delle misure alternative al carcere è un altro: reinserimento socio-lavorativo e risocializzazione del condannato. Dietro tali misure c’è un grande lavoro di professionisti penitenziari e le difficoltà che tali figure si trovano a dover affrontare nel quotidiano sono numerose tra cui, non indifferente, la continua diminuzione dell’organico che non permette un lavoro continuo e costante danneggiando sia il detenuto che la società stessa. Statistiche riportano che solo il 18% dei detenuti che hanno usufruito delle misure alternative tornano a delinquere, mentre, per chi non ne usufruisce, ha un tasso di recidiva pari al 79%. Oggi le misure enunciate da Gozzini sono cambiate: in questi ultimi anni si preferisce concedere misure controllabili come la detenzione domiciliare (misura che, a parer mio, non permette la risocializzazione e il reinserimento) e, l’affidamento in prova al servizio sociale (nocciolo delle misure alternative), sta sparendo in quanto viene camuffato dalla “detenzione domiciliare con permessi lavorativi” e, quei pochi che vi accedono hanno un fine pena di pochi mesi. Per di più, le misure alternative vengono concesse con molta parsimonia: sono davvero poche le persone che ne usufruiscono a fronte di quante ne avrebbero diritto. Inoltre, come si può chiedere una maggiore concessione di misure alternative, che prevedono il lavoro come primo elemento costitutivo per il reinserimento, se non è stata rifinanziata la legge Smuraglia? Con questo sistema numerose cooperative sono state costrette a chiudere riducendo il lavoro dei soggetti in esecuzione penale esterna. Vittime di questi tagli sono stati anche gli enti locali, i quali non hanno più possibilità di finanziare progetti lavorativi come misura alternativa. Delle misure alternative di oggi ne devono discutere gli operatori preposti e la Magistratura di Sorveglianza perché, purtroppo, tali misure non sono più quelle previste dalla Gozzini, ma completamente reinterpretate e riorganizzate in base alla comodità del momento. In questa situazione non possiamo chiederne l’aumento finalizzato allo sfollamento delle carceri. Le originali misure alternative della l. 663/86 stanno scomparendo per colpa di questi provvedimenti “cerotto” come ad esempio la l. 199/10, la l. 211/11 etc. che, sempre di più, mirano alla reclusione continua e perpetua del soggetto all’interno del proprio domicilio senza la possibilità di reinserimento e risocializzazione. Se vogliamo rendere efficace tale provvedimento bisogna reintegrare l’organico carente degli uffici preposti al reinserimento, rivalorizzare la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale e, chissà, magari limitare la detenzione domiciliare e iniziare l’utilizzo del braccialetto elettronico. Giustizia: Capezzone (Radicali); perché Ambrogio Crespi è ancora in carcere? Italpress, 2 gennaio 2013 “L’ho fatto alcune settimane fa, e torno a farlo oggi. Rivolgo una domanda semplice e rispettosa: perché Ambrogio Crespi è ancora in carcere? Personalmente, per come ho potuto conoscere Ambrogio e la sua famiglia, non credo neppure a una virgola delle accuse mosse contro di lui. Ma, del tutto a prescindere dalla mia opinione su Ambrogio, la domanda è un’altra, la stessa di alcune settimane fa: quali sono i concreti pericoli di ripetizione del presunto reato, o di inquinamento delle presunte prove, o di fuga, che giustificano la sua detenzione anticipata in carcere, ormai così prolungata?”. Lo afferma Daniele Capezzone, portavoce del Pdl. Anche l’onorevole Sandro Gozi (Pd) esprime il suo sostegno Il deputato del Partito Democratico Sandro Gozi ha ribadito il suo sostegno alla causa di Ambrogio Crespi, detenuto al carcere di Opera già da 84 giorni. Gozi, che già durante la trasmissione radiofonica “Giù il velo” che conduce su Radio Città Futura, aveva manifestato il suo sostegno nei confronti di Ambrogio, ha fatto sapere che si augura che “cessino misure spropositate di detenzione nei suoi confronti”. Le dichiarazioni di Gozi sono riprese anche da Luigi Crespi sulla sua pagina web. “Esprimo la mia solidarietà a Luigi Crespi per la sua battaglia non-violenta a favore della scarcerazione del fratello Ambrogio, detenuto a Milano con una misura cautelare molto severa. Ho seguito, e continuerò a seguire, il caso di Ambrogio Crespi perché si profila come un esempio di giustizia di cui questo Paese non ha bisogno - dichiara il deputato del Pd. Spero che Crespi possa riacquistare al più presto la propria libertà e mi auguro che cessino misure sproporzionate di detenzione che privano della dignità umana cittadini liberi di questo Stato”. Molise: Di Sandro; sciopero fame contro carceri affollate, sostegno ad Aldo Di Giacomo Ansa, 2 gennaio 2013 L’assessore regionale alla Sanità Filoteo Di Sandro esprime solidarietà nei confronti di Aldo di Giacomo, presidente dell’associazione Cultura e Solidarietà, sottufficiale della Polizia Penitenziaria, in sciopero delle fame, ormai da circa 20 giorni, per sollevare, all’attenzione del mondo politico, sociale e culturale, il tema della lentezza della giustizia e, più in particolare della congestione del sistema carcerario. Di Giacomo, come il leader storico dei radicali Pannella, ritiene che il sistema carcerario italiano continui ad essere afflitto da un sovraffollamento eccessivo e da inciviltà con la quale vengono ospitati i detenuti: basti pensare alle 120 morti all’anno con oltre 90 suicidi. “La problematica sollevata da Di Giacomo è di assoluta rilevanza, perché il grado di civiltà di un Paese si misura anche attraverso la qualità del sistema carcerario. Con circa ventimila detenuti in più rispetto alle possibilità di accoglienza ed un numero esorbitante di processi pendenti non si può soprassedere sulla necessità di intervenire, in maniera sistemica, sulla giustizia italiana al fine di raggiungere il duplice obiettivo di rapidità nei giudizi e dignità nella detenzione - afferma Di Sandro. Nell’esprimere, quindi, vicinanza e pieno sostegno alle ragioni che hanno spinto Di Giacomo alla scelta dello sciopero della fame, non posso che chiedergli di desistere da quest’iniziativa e di ricominciare ad alimentarsi, nella speranza che il nuovo Parlamento possa finalmente dare una risposta adeguata a questa problematica. Per quanto di mia competenza, mi attiverò affinché l’intero mondo politico e istituzionale possa dare massima attenzione alle difficoltà rappresentate ed acquisire la consapevolezza dell’urgenza di interventi in materia”. Napoli: carceri invivibili, sovraffollamento e condizioni igienico sanitarie problemi più gravi www.justicetv.it, 2 gennaio 2013 Uno striscione occupa il balcone principale del Comune di Napoli. Titola “Fate presto” e si riferisce all’urgenza di intervenire nelle carceri per rendere almeno vivibile il periodo di reclusione per i detenuti. Sovraffollamento e condizioni igienico sanitarie sono i problemi più gravi. Per questo, l’amministrazione di Palazzo San Giacomo, e l’associazione Carcere Possibile Onlus, chiedono, nell’immediato, un intervento legislativo del governo. “Abbiamo ritenuto di dover sostenere questa campagna perché la situazione si sta facendo davvero tragica - spiega l’assessore al welfare di Napoli Sergio D’Angelo. Siamo ad un suicidio ogni 5 giorni e un decesso ogni 2 giorni. I detenuti vivono in una condizione ai limiti del rispetto dei diritti umani. La prima cosa che si dovrebbe fare è un intervento legislativo da parte del governo. Abbiamo leggi ingiuste: la Bossi-Fini o la legge sulle tossicodipendenze hanno riempito inutilmente le prigioni di tossicodipendenti che avrebbero avuto bisogno di essere aiutati con corsi di recupero e di riabilitazione”. Secondo l’assessore al Welfare di Napoli, la situazione partenopea è tra le più gravi in Italia. Sovraffollamento e sporcizia, ma non solo. Nei penitenziari, in cui sono numerosissimi gli extracomunitari, è difficile anche trovare mediatori culturali e interpreti che siano in grado far comunicare i detenuti stranieri tra loro e con le autorità. “Poggioreale - continua D’Angelo - è un vero e proprio cancro per la città. Le persone che entrano lì dentro, anche per reati meno gravi, sono prede facili della criminalità organizzata ed escono da quella esperienza ancora più livorosi e da loro non ci si può attendere nulla di positivo. Al contrario, le poche esperienze che abbiamo avuto come amministrazione nel portare assistenza e formazione professionale nelle carceri, ci dicono che con poco è possibile invertire questa tendenza”. Insomma, le condizioni in cui versano i reclusi fanno sì che questi, una volta usciti, siano in condizioni psicologiche tali da non riuscire a reinserirsi nel tessuto sociale. “Quando i detenuti escono dalla galera ne escono più cattivi di come ci sono entrati - osserva ancora D’Angelo -. E questo rende insicura la società. Il livello di civiltà di una società si misura anche dalla qualità delle carceri, dal modo con cui rinuncia a esercitare il desiderio di vendetta su chi ha sbagliato”. Benevento: Sappe; indagine celere su caso agenti positivi a test tubercolosi Italpress, 2 gennaio 2013 A Benevento, resta alta la tensione nel carcere di Contrada Capodimonte dopo l’accertamento che 4 agenti di Polizia Penitenziaria sono risultati positivi al test della Tbc. Gli accertamenti erano stati disposti dopo aver accertato che un detenuto straniero era affetto da tubercolosi. Donato Capece, Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe è tornato a chiedere una indagine dell’Amministrazione Penitenziaria, celere ed immediata, su quanto avvenuto nel carcere di Benevento, a tutela del personale di polizia penitenziaria e dei detenuti anche al fine di scongiurare il rischio di diffusione della tubercolosi nella struttura. “Non è un mistero che la prevalenza della tubercolosi, sia essa conclamata o latente, è più alta nella popolazione carceraria rispetto alla popolazione generale, per cui e da tempo le organizzazioni sanitarie hanno messo l’accento sulla necessità di arrestare il contagio in questa popolazione a rischio - afferma Capece. Questo a Benevento non è avvenuto, per cui chi dirige la struttura deve essere avvicendato perché deve mettere coloro che lavorano a stretto contatto con i detenuti - come i poliziotti penitenziari - nelle condizioni di operare con tutte le tutele, a cominciare da quelle sanitare. Peraltro, secondo recenti studi l’alta prevalenza di tubercolosi nella popolazione carceraria contribuisce all’aumento dell’infezione anche nella popolazione generale: i risultati hanno evidenziato una prevalenza 23 volte più alta nella popolazione carceraria per la Tbc conclamata e 26,4 volte più alta per la Tbc latente. Inoltre, l’8,5 per cento dei contagi nella popolazione generale è attribuibile a contatti con la popolazione carceraria”. Reggio Calabria: Sappe; detenuto 50enne tossicodipendente tenta il suicidio nel carcere Agi, 2 gennaio 2013 Un detenuto di 50 anni ha tentato il suicidio impiccandosi alle grate della finestra del carcere. È accaduto ieri pomeriggio, nel penitenziario di Reggio Calabria A dare notizia stamane dell’episodio sono Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Damiano Bellucci, segretario nazionale. L’uomo, di nazionalità italiana, era solo in cella ed era rientrato da poco dalla comunità terapeutica esterna ed era in carcere per reati legati alla droga ed altro. “Solo grazie al pronto intervento dell’agente della polizia penitenziaria in servizio nella sezione detentiva - comunica il Sappe - è stato evitato il peggio. Il nuovo anno nelle carceri italiane inizia così com’era finito, anche grazie alle posizioni demagogiche di chi fa di tutto per non cambiare niente, a cominciare dalla mancata approvazione del disegno di legge sulla messa alla prova e su un serio progetto di depenalizzazione dei reati minori che andrebbero sanzionati con misure interdittive e pene alternative al carcere. Chi pensa di affermare la certezza della pena ricorrendo esclusivamente al carcere, dimentica - scrive il Sappe - di dire che la certezza della pena in Italia non esiste perché solo il 4/5% di coloro che commettono reati vengono condannati, tutti gli altri restano impuniti, per la lungaggine dei processi e per l’inefficienza del sistema giustizia”. A Reggio Calabria, secondo quanto rende noto il sindacato, sono ristretti 350 detenuti e ci sono 149 agenti molti dei quali sono però impiegati in altri istituti. Alcuni sono distaccati da oltre 10 anni a Sant’Angelo dei Lombardi, in Campania, “e non si comprende il motivo - dice il Sappe - per cui il Dipartimento non li fa rientrare a nella propria sede”. Larino (Cb): la direttrice Rosa La Ginestra; detenuti tra scuola, lavoro, figli e matrimoni di Rossella Travaglini www.primonumero.it, 2 gennaio 2013 Da 22 anni alla direzione del carcere di massima sicurezza di Larino, che ospita tra i 280 e i 330 detenuti e dove si sperimentano le “Sezioni a regime aperto”, dove i detenuti vengono lasciati “liberi” di utilizzare spazi, docce e palestra e non hanno vincoli di orario. Rosa La Ginestra racconta la vita dietro le sbarre e le opportunità di riscatto reali concretizzate in vent’anni di impegno spesi per detenuti che sono “persone” e non “i cattivi dei giornali”. Nell’interesse di tutti. E con tanto di battesimi, matrimoni e sposa in abito bianco. Rosa La Ginestra è una donna appassionata. Una donna che crede nel lavoro che fa. Una donna determinata, ma anche fiduciosa. La sua “esperienza” a capo della Casa Circondariale di Larino dura da ventidue anni. “Nel 1990, eravamo tutti appena arrivati, la sede del carcere era stata da poco spostata nella nuova locazione (il cambio di indirizzo nel 1987, quando da via Cluenzio, pieno centro storico, fu trasferita sulla strada provinciale 80, ndr) - racconta - in questo ventennio abbiamo lavorato molto per cercare di costruire qualcosa, creando un clima sereno e allo stesso tempo di rispetto”. In contrada Monte Arcano la struttura imponente di cemento armato si nota da lontano. Una cancellata enorme, di ferro, separa il mondo esterno da una dimensione “parallela”. In quelle mura, sorvegliate 24 ore su 24, si sviluppa una “realtà altra”, nella quale il tempo appare dilatato e dove il ticchettare dell’orologio scandisce le ore con un ritmo diverso, più lungo. Quella soglia metallica si erge lì quasi fosse un limen, un confine. Rosa La Ginestra lo conosce bene il “suo” carcere. In tutti questi anni, assieme al personale che quotidianamente opera nella struttura, ha fatto sì che i detenuti potessero avere un’opportunità di riscatto e di reinserimento una volta terminata la pena. “Il detenuto astratto è il “cattivo” del giornale. Il detenuto concreto, invece, è una persona”. Una persona da aiutare e da guidare verso il reinserimento. La vita in carcere ha pochi termini di paragone. Esiste, all’interno, una sorta di “tempo privilegiato” grazie al quale è possibile “portare avanti dei percorsi e ottenere dei risultati provando a fare qualcosa”. Percorsi semplici, che il più delle volte partono da “azioni” o cose apparentemente scontate, ma che in fondo si scopre non esserlo affatto. L’istruzione è una di queste. La Direttrice della Casa Circondariale frentana non nasconde la grande fiducia per il mondo della scuola e dell’istruzione. “È capitato che ci fossero detenuti che non sapessero leggere o scrivere - ha spiegato - quando accadeva che qualcuno di loro riceveva una lettera scritta dai figli, non sapendo leggere, erano costretti a rivolgersi al compagno di cella perché lo facesse al suo posto”. È per questo che da diversi anni i detenuti fanno scuola. “Si è partiti con le elementari per arrivare, quest’anno, alla formazione di tre classi prime dell’Istituto Alberghiero - ha spiegato la Direttrice - Ma abbiamo anche una convenzione con l’Università di Chieti-Pescara. Per il momento non ci sono iscritti, ma la possibilità di seguire i corsi tramite piattaforme on line c’è. Per quanto riguarda la scuola, siamo molto soddisfatti. Da parte dei docenti abbiamo sempre riscontrato una grande professionalità, i detenuti si sentono trattati da persone. Sanno di essere ascoltati. Fare lezione per loro rappresenta un contatto con l’esterno”. Ci spiega qual è l’importanza delle scuole in un carcere? “Il discorso della scuola si lega più in generale a quello della cultura e del “sapere”. Apprendere e imparare a fare qualcosa costituisce un veicolo importante per offrire una chance di reinserimento. Molti di loro sono ragazzi. Arrivano dai quartieri di periferia e probabilmente, nella loro vita, non hanno mai avuto l’opportunità di fare o imparare qualcosa. Qui la cosa che non manca è il tempo. Un tempo privilegiato che ci consente di portare avanti dei progetti, dando la possibilità ai detenuti di rivedere se stessi e investire sulle proprie esperienze”. Cosa insegna la cultura? “Può insegnare tante cose. In primo luogo a relazionarsi. Spesso si arriva alla violenza perché non si conosce altro modo per ottenere le cose. Invece, grazie allo studio, si imparano linguaggi diversi e contemporaneamente si apprende il metodo per valorizzare ciò che si sa fare. La scuola ci sta offrendo grandi possibilità e collegamenti anche con il mondo esterno”. Ci fa qualche esempio? “Proprio qualche giorno fa, grazie all’Istituto San Pardo, siamo stati a Roma in visita nella Santa Sede. Abbiamo portato quattro detenuti della massima sicurezza, grazie alla disponibilità del Magistrato. È stata un’esperienza emozionante, soprattutto quando siamo stati ricevuti dal Pontefice. Per i detenuti è stata una cosa nuova. Uno di loro non usciva dal carcere da 8 anni... quando siamo rientrati mi ha confessato che gli girava la testa, tanti erano gli anni che non usciva fuori. Stando in carcere è come se in parte perdessero la cognizione dello spazio”. Qual è il contatto che hanno con ciò che avviene fuori? “Siamo noi, le persone che li seguono quotidianamente, gli insegnanti, il personale tutto. Poi c’è la televisione, che loro guardano... e la famiglia...”. Ci sono familiari che vengono a trovare i detenuti? “Sì. Ci sono madri, padri, sorelle, fratelli, bambini. Ci sono figli, anche piccoli, che vengono portati qui per incontrare il proprio genitore. In generale, cerchiamo di far fare a tutti coloro che arrivano il colloquio. C’è chi viene dalla Sicilia, dalla Calabria... regioni molto lontane. Spesso dopo un viaggio di molte ore”. E i bambini? “Adesso, per l’incontro prima di Natale, siamo riusciti a organizzare per loro un intrattenimento grazie a don Benito Giorgetta e ad alcuni psicologi. La cosa che i detenuti ci chiedono è avere dei fotografi che li ritraggano con i propri figli e i propri familiari...”. Come è organizzata la Casa Circondariale frentana? “Esistono tre circuiti. Uno che chiamiamo “Zeta” riservato ai collaboratori di giustizia. Poi c’è un circuito di media sicurezza e infine di alta sicurezza”. Da dove provengono e quali sono i reati? “La maggior parte viene dalla Campania. Ma ci sono anche detenuti provenienti dalla Sicilia o dalla Calabria. Gli stranieri sono poche decine. Per quanto riguarda i reati... c’è chi è dentro per spaccio, semplice o organizzato, per rapine. Ci sono detenuti provenienti da ambienti mafiosi. In questo periodo ci sono anche persone con disturbi mentali”. Complessivamente a quanto ammonta la popolazione? “Dipende dai periodi dell’anno. Solitamente varia tra i 280 e i 330. Cerchiamo sempre di non superare il numero di tre persone per cella, in modo tale da evitare il sovraffollamento e dare a tutti una sistemazione dignitosa. Da poco abbiamo avviato, inoltre, la sperimentazione delle “Sezioni a regime aperto” con 75 di loro e devo dire che fino ad oggi abbiamo riscontrato risultati molto positivi”. Cosa si intende per “Sezioni a regime aperto”? “I detenuti vengono lasciati “liberi” di utilizzare gli spazi presenti nelle loro sezioni, senza vincoli di orario. Il personale è in un certo senso sgravato e svolge un lavoro soprattutto di supervisione. I detenuti possono gestirsi autonomamente la palestra, la sala socialità, le docce e così via... Loro si autoresponsabilizzano. Per esempio, in palestra, dove possono stare in 8 per volta, i detenuti, singolarmente hanno imparato ad alternarsi e a gestirsi negli orari in modo tale da non affollare l’ambiente. Poi si occupano di pulire e manutenere gli attrezzi. È importante che imparino a rendersi indipendenti. Fuori da qui, la maggior parte ha sempre aspettato che tutto piovesse loro dall’altro...”. Cosa può fare il Carcere per queste persone? “Il Carcere può fare tanto perché qui c’è il tempo per avviare percorsi, ma sarebbe bello se ci fosse un contributo maggiore da parte della comunità...”. E pensa che queste persone potrebbero essere impegnate in qualche modo, anche fuori dal carcere? “Sarebbe bello se queste persone venissero utilizzate in maniera attiva, impiegando la loro manodopera per servizi di pubblica utilità. Qui in carcere sono forza inattiva tenuta in carcere. Tra loro c’è anche chi sarebbe disposto a lavorare a costo zero, per risarcire il danno della comunità”. A tal proposito, qual è la reazione della gente nei confronti di chi sta in carcere? “Il primo istinto è quello di chiuderli dentro. Quotidianamente, a livello mediatico, sentiamo decine di fatti di cronaca che inevitabilmente ci condizionano. È importante, tuttavia, dare una possibilità a questa gente. Il lavoro, per esempio. È importante che queste persone, una volta fuori da qui, abbiano un lavoro: dal punto di vista del reinserimento è molto importante”. C’è qualcosa che la società potrebbe fare per “prevenire”? “Come dice lei, la prevenzione è fondamentale. Bisognerebbe investire in tal senso”. Lei ha sempre dimostrato grande attenzione, per quel che è nelle sue possibilità, per queste persone e le loro famiglie... ma è vero che qualcuno dei detenuti del Carcere, anche recentemente, è stato autorizzato per sposarsi? “È così. Diversi matrimoni e anche uno, due battesimi. Un detenuto si è sposato di recente. Ha avuto un permesso per raggiungere il comune e poi hanno fatto qui un mini rinfresco. La sposa, con tanto di abito bianco, ha portato anche i confetti. Qualche altro matrimonio è stato celebrato qui, nella Casa Circondariale, alla presenza del sindaco. Ovviamente tutto è molto spartano... hanno poco tempo, quello di fare un rinfresco, scattare qualche foto”. C’è qualcosa di cui i detenuti hanno più bisogno? “Tra loro c’è chi necessiterebbe del minimo indispensabile. Sapone, dentifricio... lo scorso anno, grazie all’impegno di don Benito Giorgetta, è stata organizzata la “Befana del Detenuto”, con cui si è riuscito ad avere dei kit di questo tipo che abbiamo poi dato ai detenuti... Come amministrazione riusciamo a dare qualcosa, ma purtroppo i fondi a disposizione sono sempre meno...”. Verbania: i detenuti sistemano i parchi gioco con i fondi raccolti dal Kiwanis club La Stampa, 2 gennaio 2013 Saranno coinvolti anche alcuni detenuti della casa circondariale di Pallanza nell’opera di ristrutturazione dei parchi gioco cittadini distrutti dal tornado che il 25 agosto si è abbattuto su Verbania. Lo annuncia Diego Puppo, presidente del Kiwanis club Verbania, che proprio a questo ripristino devolve i fondi raccolti in occasione del concerto di Natale dell’Ente musicale Verbania, così come il ricavato di altre iniziative che il club ha promosso durante il 2012 e continuerà ad organizzare fino al 2014. “Abbiamo stabilito importanti e proficue partnership con il Comune e la direzione del carcere”, dichiara Diego Puppo. “Con l’Assessorato ai lavori pubblici - aggiunge - possiamo così concordare a quale parco destinare i nostri contributi per provvedere alle attrezzature e ad altre necessità per la sua ricostruzione, fedeli al proposito di finalizzare le attività del nostro club alla comunità in cui viviamo”. Per quanto riguarda la collaborazione con l’istituto di pena, si è già concretizzata di recente realizzando un’area verde per creare un ambiente più distensivo in occasione degli incontri dei carcerati con le loro famiglie. “I contatti con la direttrice Rosalia Marino proseguono - continua Puppo - e il prossimo risultato che desideriamo raggiungere è proprio collegato alla sistemazione del parco giochi che ci verrà affidato”. Si è così avviato l’iter per ottenere il permesso necessario affinché alcuni detenuti siano impiegati e collaborino nei lavori necessari. Potrebbero essere una dozzina quelli in condizioni detentive tali da consentire loro di partecipare a questo progetto, che sarebbe naturalmente di significativa valenza sociale, come altri già svolti in città dagli ospiti della casa circondariale. Roma: Rita Bernardini; capodanno 2012/2013 nella Casa circondariale di Rebibbia Ansa, 2 gennaio 2013 Capodanno nelle carceri fianco a fianco con i detenuti. È passata così la mezzanotte per i Radicali e in particolare per l’onorevole Rita Bernardini che ha trascorso la mezzanotte 2012/2013 nella Casa Circondariale di Rebibbia “con Irene Testa, Matteo Mecacci, Valentina Angela Stella Alessandro Gerardi, Barbara Cupisti, Daniele Sabiu” come ha ricordato questa mattina sul suo blog. “Sorrisi, strette di mani, carezze, sguardi profondi, piedi scalzi, sayonara indossate con i calzini, bandane di ogni tipo, penne regalate, caffè preparato al volo, merendine al posto del panettone, la 199 che non arriva e quando arriva è a fine pena, anche a un giorno dalla liberazione, se fai colloqui con la moglie non puoi telefonare alla madre che sta in Romania (ma perché?), lasciatemi qui dove vedo i miei bambini non a Castrovillari dove mi hanno assegnato… Ricordi? ci siamo visti lì e ti ho fatto il caffè; ho male all’orecchio è da cinque mesi che devono operarmi ma mi dicono che devo aspettare; io sono del Kosovo… “Antonio Russo” per noi un eroe nazionale, Marco, come sta Marco? Lunga vita a Marco Pannella….” questo il racconto delle ultime ore del 2012 e delle prime del 2013 nelle parole della deputata radicale. Roma: permesso eccezionale a detenuto per gara “We Run Rome” Agi, 2 gennaio 2013 C’era anche un giovane detenuto tra le migliaia di concorrenti che ieri, l’ultimo giorno del 2012, hanno preso parte nelle strade della capitale alla “We Run Rome”, gara podistica di 10 km nel cuore della città che ha avuto un grande successo tra il pubblico di turisti e visitatori che hanno scelto Roma per trascorrere il Capodanno. Il detenuto - M. M., con davanti ancora una lunga pena da scontare, recluso nella casa di reclusione di Civitavecchia - ha ottenuto un permesso eccezionale del direttore Patrizia Bravetti poi firmato dal magistrato di sorveglianza ed ha potuto correre la gara per cui si era preparato con costanza nel cortile dell’istituto di pena. L’iniziativa nasce grazie alla sensibilità della direzione carceraria che ha realizzato l’iniziativa proposta da un gruppo sportivo podistico romano, il team Lbm Sport presieduto da Gianfranco Balzano, il quale insieme a Fabio Martelli, vice presidente della Fidal regionale Lazio, si adopera in un progetto di crescita attraverso lo sport dei detenuti di una struttura carceraria come quella di Civitavecchia. E questo anche grazie all’operato di educatori penitenziari, come Alessia Giuliani, appassionata e praticante il podismo. Il giovane, che nei mesi scorsi non ha mai mollato nell’impegno ad allenarsi - pur considerando la ristrettezza degli spazi dove farlo, il cortile esiguo di una struttura carceraria -, si è visto riconosciuto questo merito dell’impegno con un permesso eccezionale che ieri lo ha portato ad essere protagonista della gara, conclusa ad una media di 5 minuti al km, media da considerare più che buona. Con una compagnia speciale come quella appunto rappresentata da Alessia che gli ha dato il passo di gara aiutandolo a superare le prevedibili difficoltà - anche d’ordine psicologico - che un podista incontra, e nel caso suo accresciute da un percorso fatto anche di tratti di strada in sanpietrino e salite con tornanti come quella che da piazza del Popolo porta al Pincio, difficoltà che certo M. non incontra nell’allenamento nel cortile del carcere. Alla fine, tanto sudore e anche i segni della fatica, ma anche tanta soddisfazione negli occhi di M. per quella che può considerare un’impresa portata a termine. Il tempo quindi di indossare nuovamente la tuta, e via di nuovo a Civitavecchia, per il rientro in cella. Rispettando pienamente le disposizioni ricevute e tenendo fede all’impegno assunto con quanti lo stanno aiutando in questo percorso e con quanti in particolare - a cominciare dalla direttrice della struttura di detenzione Patrizia Bravetti - gli hanno dato fiducia concedendogli il permesso eccezionale. Sono una trentina i detenuti coinvolti nel progetto tecnico curato dal team Lbm Sport e da Martelli, con tabelle di allenamenti anche individuali. Come quella seguita appunto da M. che l’ha portato a cimentarsi per la prima volta in una gara ufficiale e tra migliaia di podisti, peraltro in una competizione come la “We Run Rome” con sponsor tecnico di livello mondiale. Droghe: il 2012 si chiude con un bilancio assai negativo per le politiche sugli stupefacenti di Claudio Cippitelli Il Manifesto, 2 gennaio 2013 Il 2012 si chiude con un bilancio assai negativo per le politiche pubbliche sulle droghe. Molti servizi chiusi, enti ausiliari e Ser.T. in gravi difficoltà economica, operatori senza lavoro, tanti utenti senza risposte, tante opportunità terapeutiche e tanti diritti cancellati. Non consola che in questi mesi nessuno dal governo abbia infierito sul ricordo di Stefano Cucchi e delle tante altre vittime della legislazione repressiva voluta dal Governo Berlusconi: se gli aspetti più tragicomici sono scomparsi con Giovanardi, il Dipartimento Politiche Antidroga e il suo direttore continuano a lavorare in modo ideologico contro grande parte della società, della policy community sulle droghe ed in contrasto con molte Regioni. Mentre in tutto il mondo si moltiplicano prese di posizione di premi Nobel, capi di governo, intellettuali, di alcuni Stati degli USA, a favore di un ripensamento della regolazione internazionale delle droghe, Giovanni Serpelloni accumula sacchetti di sabbia e cavalli di frisia per difendere la sua posizione di responsabile nella ridotta del Dpa. Basta dare un’occhiata al sito del Dipartimento per vedere quanto ci costi, in termini economici e scientifici, tale arroccamento. Un comitato scientifico (ex) nazionale dove compare un solo esponente di un istituto italiano, cosa che umilia l’intera comunità scientifica nazionale; una newsletter che riporta ricerche scelte allo scopo di sostenere l’approccio oscurantista del Dpa (nella categoria “prevenzione” si può leggere: “Cannabis: l’uso frequente può essere causa di lesioni involontarie”); una quantità di pubblicazioni tanto faraoniche nell’edizione quanto di dubbia qualità nei contenuti; progetti da 345.000 euro che, invece di favorire la sicurezza nei rave, mettono a rischio migliaia di frequentatori e gli operatori delle Forze dell’Ordine come è successo qualche mese fa a Cusago. Due recenti iniziative meritano una particolare attenzione. La prima è la seconda edizione della Scuola Nazionale sulle Dipendenze che, per i docenti incaricati e i temi proposti, non tiene in nessun conto degli approcci teorici, delle metodologie, delle esperienze di grande parte degli uomini e delle donne dei servizi pubblici e del privato sociale ai quali (solo sulla carta) tale scuola è rivolta e impone una visione e un paradigma culturale. La seconda iniziativa è l’accordo siglato tra il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il Dipartimento Politiche Antidroga che “mira a definire e condividere i concetti di base per poter realizzare strategie ed interventi di prevenzione finalizzati ad evitare l’inizio dell’uso di sostanze stupefacenti e l’abuso alcolico o poterne ritardare l’inizio proprio nella popolazione giovanile”. Ancora una volta, l’approccio scelto è quello centralista, in spregio delle autonomie regionali e delle peculiarità geografiche, che impone dall’alto “delle videoconferenze con esperti nel campo delle dipendenze e delle neuroscienze, utilizzabili come materiale didattico riguardo il tema dell’uso di droghe e dell’abuso alcolico; nonché kit informativi e didattici per un aggiornamento continuo dei docenti sul tema”. Insomma, una sorta di sussidiario unico nazionale sul consumo di droga, di alcol e anche sul gioco d’azzardo patologico. Cannabis, spritz e gratta e vinci, tutto insieme: roba da non credere, roba da MinCulPop. India: italiani condannati all’ergastolo, giovedì ricorso della famiglia a Corte suprema Ansa, 2 gennaio 2013 Sarà presentato giovedì alla Corte Suprema il ricorso “Special live petition” che è stato predisposto contro la sentenza all’ergastolo della Hight Court di Allahabad emessa nei confronti di Tomaso Bruno e Elisabetta Boncompagni, lui di Albenga, lei di Torino, rinchiusi da tre anni nel carcere indiano di Varanasi accusati di aver ucciso un loro compagno di viaggio Francesco Montis. I genitori dei due ragazzi italiani hanno deciso di avvalersi di Mukul Rohatgi, considerato uno dei 10 avvocati più preparati dell’India per questa nuova iniziativa. Nel frattempo, Tomaso Bruno ha inviato una lettera che è stata recapitata alla famiglia ieri. “Si mette via il dolore, si stringono i denti, si controlla la paura, e si riparte ogni mattina con quello che resta”: è una frase dello scrittore friulano Mauro Corona tratta dal libro “La fine del mondo stolto”, con la quale ha chiuso la lettera scritta dalla cella del penitenziario in India. Repubblica Ceca: presidente Vaclav Klaus ha decreta l’amnistia per circa 7mila detenuti Ansa, 2 gennaio 2013 A venti anni dalla divisione pacifica nella ex Cecoslovacchia, il presidente ceco Vaclav Klaus ha decretato oggi un’amnistia parziale per i detenuti. I primi rilasciati potranno uscire dalle prigioni già da domani. Secondo le stime saranno circa settemila su un totale di 23 mila detenuti. Si tratta della più grande amnistia dopo quella decretata dall’ex presidente dissidente Vaclav Havel nel 1990, quando nell’ex Cecoslovacchia furono rimessi in libertà 23 mila prigionieri (16 mila nella sola Repubblica ceca), circa i due terzi dei 31 mila detenuti. Iraq: premier al-Maliki ordina liberazione 700 detenute, escluse condannate per terrorismo Ansa, 2 gennaio 2013 Il premier iracheno Nuri al Maliki, sciita, ha annunciato oggi la liberazione di oltre 700 donne detenute nelle carceri, nel tentativo di placare la situazione nelle zona sunnite del Paese, scosse ormai da dieci giorni da violente proteste. Moqtada al Sadr, leader radicale sciita il cui movimento conta 40 deputati e cinque ministri, ha lanciato un messaggio di solidarietà a sostegno dei dimostranti preconizzando una “primavera irachena, se le cose rimarranno tali”, facendo riferimento alla “Primavera araba” che ha scosso la regione mediorientale. Da dieci giorni alcuni gruppi di manifestanti bloccano l’autostrada che porta alla Siria e alla Giordania nelle regione dove è prevalente la minoranza sunnita. Rispondendo a una delle principali rivendicazioni dei manifestanti, al Maliki ha ordinato che più di 700 detenute vengano liberate, ad eccezione di 210 donne condannate per reati di terrorismo. Lo ha reso noto il negoziatore nominato dal primo ministro, Khaled al Mullah. Ieri sera il premier aveva minacciato in tv i manifestanti, mettendoli in “guardia dal continuare la loro protesta, perché contraria alla Costituzione irachena. Siamo stati pazienti con voi - ha detto - ma non pensate che lasceremo correre”. I dimostranti accusano le autorità centrali, dominate dagli sciiti, di abusare della legislazione antiterrorismo contro la minoranza sunnita. Iraq: Londra e Baghdad trattano scambio di prigionieri, ne beneficerebbe un contractor Tm News, 2 gennaio 2013 Baghdad e Londra stanno discutendo un accordo che potrebbe consentire a una guardia di sicurezza britannica condannata per omicidio in Iraq di scontare il resto della sua pena in Gran Bretagna. Lo ha detto all’Afp Haidar al-Saadi, portavoce del ministero della Giustizia iracheno. Il ministro Hassan al-Shammari è stato invitato a Londra per firmare un memorandum d’intesa sul trasferimento di condannati tra i due paesi. Se l’accordo non riguarda solo il contractor Danny Fitzsimmons, lui ne sarà il principale beneficiario. Fitzsimmons è stato il primo conctractor occidentale ad essere stato condannato da un tribunale iracheno. Gli è stata inflitta la pena dell’ergastolo, equivalente a 20 anni di carcere secondo il codice penale iracheno, per aver ucciso un britannico e un australiano nel 2009 all’interno della zona verde, l’area fortificata di Baghdad. Pakistan: il ministro Terzi auspica la revoca della sentenza capitale per Asia Bibi Agi, 2 gennaio 2013 Il Ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha dato istruzioni all’ambasciata a Islamabad di effettuare un intervento presso le autorità pakistane per sensibilizzarle sul caso di Asia Bibi, la cittadina pakistana di fede cristiana detenuta dal 2009 e condannata a morte per blasfemia, sottolineando in particolare la forte aspettativa del Governo Italiano affinché possa essere quanto prima revocata la sentenza capitale emessa nei suoi confronti. Il Ministro Terzi - fanno sapere alla Farnesina - ha inteso in tal modo aderire alliappello lanciato dalle colonne del quotidiano Avvenire, con una iniziativa che si inserisce nell’azione costante che l’Italia ha svolto sin dall’inizio della vicenda di Asia Bibi. In tutte le occasioni di incontro e contatto con le autorità pakistane è stato rappresentato l’auspicio di una sua immediata liberazione e lo stesso Ministro Terzi si è espresso in tal senso nel suo incontro con il Ministro degli Esteri del Pakistan, Rabbani Khar, durante il Vertice Nato di Chicago. Un’intensa attività diplomatica a sostegno di Asia Bibi è stata svolta dall’Italia anche a Bruxelles presso l’Unione Europea, nel quadro del dialogo strategico Ue - Pakistan. “Il premio Nobel per la Pace conferito all’UE - sottolinea Terzi - oltre che uno straordinario riconoscimento, deve essere anche un forte incentivo ad un impegno sempre maggiore delle istituzioni comunitarie a tutela dei diritti umani e della libertà di religione, presupposto indispensabile per la convivenza pacifica fra i popoli”. Arabia Saudita: insultò islam su twitter, in 500 firmano petizione per rilascio Adnkronos, 2 gennaio 2013 Sono cinquecento i firmatari della petizione per chiedere il rilascio di uno scrittore liberale, Turki al-Hamad, in carcere con l’accusa di aver insultato la religione islamica su Twitter. Indirizzata al principe Salman bin Abdul Aziz, la petizione chiede “il rilascio immediato e incondizionato” di Turki al-Hamad. “Speriamo, chiediamo e ci aspettiamo una decisione rapida in merito a questo grave errore commesso contro Hamad, recita il testo, che definisce il suo arresto ingiusto, inaccettabile, vergognoso, da condannare”. Hamad è stato arrestato su ordine del ministro degli Interni Mohammed bin Nayef bin Abdel Aziz con l’accusa di aver insultato l’Islam via Twitter, come ha reso noto la sua famiglia il 24 dicembre. I suoi post sono stati attaccati dai radicali islamici che lo hanno descritto come un “neo nazista”. Tra i firmatari della petizione per il suo rilascio anche le due attiviste Manal al-Sherif e Najla Hariri, che si sono battute contro il divieto di guida per le donne nel regno, e l’opinionista liberale Ahmad Adnan. Nel testo si chiedono scuse pubbliche per Hamad e si afferma che il suo arresto è una violazione flagrante della Carta dei Diritti dell’uomo oltre a un attacco esplicito al diritto dell’individuo a esprimersi liberamente.