Giustizia: Bersani tra i detenuti; carceri meno affollate con lavoro e pene alternative Tm News, 29 gennaio 2013 Nel percorso di detenzione carceraria quando c’è formazione e lavoro la percentuale di recidiva diminuisce, “sono i numeri a dirlo”. Per questo è necessario “rendere le carceri meno affollate” attraverso l’introduzione di pene alternative. Il segretario del Pd e candidato premier del centrosinistra, Pier Luigi Bersani, è stato profondamente toccato dalla sua visita al carcere Due Palazzi di Padova dove si sperimenta il lavoro come viatico verso il reinserimento dei detenuti nella vita e nell’attività professionale. Bersani ha incontrato i lavoratori del Consorzio Rebus che nel carcere di Padova gestisce le cooperative di lavoro Giotto (occupa 120 detenuti e realizza biciclette, assemblaggio valige e chiavette Usb) e la cooperativa Work in progress che si occupa di ristorazione e del laboratorio di pasticceria, rinomato per il suo panettone e che impiega sempre i detenuti del carcere. Sulle misure alternative e sulla possibilità di risolvere il problema del sovraffollamento, Bersani ha aggiunto: “C’è anche la possibilità di depenalizzare alcuni reati, e questo deve consentire nel carcere - ha proseguito - percorsi che siano più seri, più civili, normali. Percorsi che consentano davvero un reinserimento”. Nell’auditorium del Due Palazzi, il leader del centrosinistra ha ascoltato il racconto di alcuni detenuti. Il passaggio da una vita sbandata alla luce di una professione acquisita nel periodo di detenzione. Bersani ha avuto alcuni momenti di commozione ascoltando una lettera indirizzatagli da un detenuto croato che, infine, gli ha rivolto una preghiera: “Aspettiamo un fine pena certo, non dimenticarti di noi onorevole”. Un detenuto di nazionalità albanese ha invece concluso la sua vicenda drammatica con una battuta un stile bersanese che ha strappato una risata al segretario: “Onorevole anche noi non siamo qui a smacchiare i giaguari”. Sul fronte giustizia i governi degli ultimi anni hanno avuto come priorità “le leggi ad personam, mentre il Pd, ha rivendicato Bersani, ha sempre indicato tre punti essenziali: “carcere, giustizia civile, organizzazione del servizio giustizia”. “Sul tema carceri intendiamo impegnarci - ha proseguito - questa è una visita in contropelo per la campagna elettorale ma necessaria perché esiste una cultura, una mentalità populista, securitaria che rappresenta un’ideologia che sopravvive nonostante l’evidenza”. È anche il giudizio negativo della Ue sulla situazione carceraria italiana deve essere da sprone: “L’Europa non è solo fiscal compact - ha insistito il segretario - ma anche il grado di civilizzazione di un paese”. Bersani ha quindi posto l’accento sui valori che devono tornare alla solidarietà e all’attenzione per chi resta indietro. “Se tocca a me si ricomincia dalla moralità, legalità e solidarietà. Il Pd vuole partire dai temi strutturali”. Infine i detenuti hanno donato al leader del Pd una bicicletta, una valigia, una targa in ceramica e una chiavetta Usb per la firma digitale, tutti prodotti realizzati con il loro lavoro in carcere. A Padova leader Pd visita sede Anffas e carcere Due Palazzi (Ansa) Pier Luigi Bersani si smarca per una mattinata dai sondaggi, dalle polemiche su Mps e il duello con Monti e il Cavaliere per dare una cifra tutta particolare alla sua campagna elettorale: quella della solidarietà, che lo porta a Padova a far visita prima all’Anffas, dove incontra i disabili psichici e le loro famiglie, e poi ai detenuti del carcere Due Palazzi. Un bagno nei problemi veri del Paese, spiega il segretario del Pd, ma anche i più dimenticati, o volutamente rimossi. Padova, pur con un numero di detenuti quasi doppio rispetto alla capienza, è tuttavia un’isola felice nel pianeta carcere. Perché qui il lavoro c’è ed è organizzato dall’impegno di tanti volontari delle cooperative sociali, punto d’orgoglio del Veneto. Bersani, accompagnato dal direttore del Due Palazzi Salvatore Pirruccio, e dal responsabile giustizia del Pd, Andrea Orlando, visita i laboratori dove i detenuti che lavorano con le coop “Giotto” e “Work in progress”, del consorzio Rebus, producono biciclette, valigie, chiavette Usb, e soprattutto dolci, come il panettone famoso per la sua bontà in tutta Italia. I volontari, gli agenti di polizia carceraria, i magistrati del Tribunale di sorveglianza, spiegano al candidato alla premiership con dati e tabelle quanto il lavoro sia rieducativo: al punto che se, ufficialmente, la recidiva è pari al 69% per il totale dei carcerati, per chi ha svolto un’occupazione durante la detenzione è appena dell’1%. Il problema è che dei 66mila carcerati italiani quelli che lavorano veramente in modo strutturato sono meno di un migliaio, l’1,2% del totale. Così, spiegano a Bersani, oltre a rimettere mano al sistema della giustizia, diventa fondamentale non disperdere quei “miseri” 16 milioni di euro che il Governo ha inserito per le carceri nell’ultima legge di stabilità. Nell’Auditorium del Due Palazzi, dove arriva il profumo della pasticceria interna, Bersani ascolta, prende appunti, promette che, se spetterà a lui il Governo, qualcosa farà per dare più dignità a queste persone. Poi c’è un cambio netto. Cominciano a parlare i detenuti: lo fa Davor Kovac, croato di 47 anni, con una condanna all’ergastolo sulle spalle, orgoglioso del lavoro di pasticcere che gli consente di guardare “con un po’ di speranza al futuro”. È la volta di un altro ergastolano, un giovane albanese: regge in mano un foglietto e in italiano stentato racconta del rimorso per aver “distrutto” due vite, quella della propria famiglia e di quella della sua vittima, spiega che con il lavoro in carcere ha capito “il valore della vita” e che con “un lavoro onesto si può veramente fare una vita onesta”. Bersani non sa trattenere l’emozione, e mentre il ragazzo racconta il suo dramma si asciuga con una mano le lacrime. Finale con i doni fatti al segretario del Pd dai detenuti-lavoratori: un dolce, una chiavetta Usb, una fiammante bicicletta ed una valigia. Per “partire” sì, gli dicono, ma anche, se ne avrà voglia, per tornare a trovarli. Bersani tra detenuti a Padova: una visita in contropelo (Tm News) “Una visita in contropelo”. È Pier Luigi Bersani stesso a definirla così. Il leader e candidato premier del centrosinistra dedica una mattinata per ascoltare i problemi delle carceri, un incontro che lo commuove. Ma non ascolta solo i problemi. Ci sono anche quelli che Nicola Boscoletto, leader del padovano Consorzio Rebus, capofila di una piccola ma molto qualificata schiera di cooperative sociali di tutta Italia, definisce “piccoli fari che indicano una strada da seguire, un porto sicuro a cui attraccare”. Esempi positivi, di gente che anche dietro le sbarre non aspetta un decretone del governo per tirarsi su le maniche. Sono i detenuti lavoratori. Non gli 11mila delle statistiche, quelli a cui danno una scopa in mano o un carrello con le vivande da spingere per tre o quattro ore alla settimana, quando va bene. Sono quelli che hanno un lavoro vero, uno stipendio, le trattenute. Quelli che possono dire, come i fratelli pasticceri Gianni e Biagio: “Prima chiedere denaro alla famiglia era una continua umiliazione, adesso siamo noi che contribuiamo a sostenerla”. Quelli come Bledar Giovanni, che tutti i giorni si ricorda delle sue vittime e per espiare, con i soldi dello stipendio, ha adottato a distanza un bambino africano. Questi sono i lavoratori sui generis che Pier Luigi Bersani incontra nella prima parte della mattinata nella casa di reclusione Due Palazzi di Padova. Sono gli operatori del call center, gli addetti alla costruzione delle biciclette e delle valige, gli operai cinesi che assemblano con velocità e precisione imbattibili le pen drive per Infocert, i cuochi specializzati e formati a tutte le possibili norme sulla sicurezza e l’igiene, oltre che i pasticceri degli inimitabili panettoni. Sono quelli che sanno già che, se un giorno usciranno dal carcere, una professionalità da spendere ce l’avranno bella pronta in tasca. Quelli, infine - spiega Boscoletto a Bersani - che una volta usciti tornano a delinquere nella misura dell’1 per cento, mentre i loro più sfortunati colleghi che non hanno avuto esperienze di lavoro dietro le sbarre sono destinati (la percentuale autorizza ad usare questo verbo) al crimine nella misura del 90 per cento. Torna come una litania l’invocazione delle misure alternative, la via che permetterebbe di dare un po’ di ossigeno a tante carceri sovraffollate. Quello di Padova, giusto per non andare tanto lontano, con le sue 900 presenze ospita il doppio dei detenuti che dovrebbe. Giustizia: domani al via la Campagna per tre ddl di iniziativa popolare sulle carceri Adnkronos, 29 gennaio 2013 Domani alle ore 12, a Roma, presso la Sala Valdese in via Marianna Dionigi 59, verrà presentata alla stampa la campagna “Tre leggi per la giustizia e i diritti. Tortura, carceri, droghe”. Nella stessa mattinata le proposte di legge di iniziativa popolare saranno depositate presso la Corte suprema di Cassazione dalle organizzazioni A buon diritto, A Roma, insieme - Leda Colombini, Antigone, Arci, Associazione nazionale giuristi democratici, Bin Italia, Cgil, Cgil-Fp, Conferenza nazionale volontariato giustizia, Cnca, Forum droghe, Forum per il diritto alla salute in carcere, Ristretti Orizzonti, Società della Ragione, Unione Camere penali italiane, Vic-Volontari in carcere. Saranno presenti tra gli altri i responsabili di tutte le organizzazioni promotrici. “Le proposte - si legge in una nota dell’associazione Antigone - costituiscono un vero e proprio programma di governo per ripristinare la legalità nel nostro sistema penale e penitenziario”. Giustizia: Corte Strasburgo condanna di nuovo Italia, per mancate cure a detenuto malato Ansa, 29 gennaio 2013 L’amministrazione penitenziaria del carcere di Foggia non ha fornito cure adeguate a un detenuto, Bruno Cirillo, affetto da una paralisi parziale del braccio sinistro. La Corte dei Diritti dell’Uomo ha quindi condannato oggi l’Italia per trattamento inumano e degradante del detenuto riconoscendogli un risarcimento per danni morali di diecimila euro. Bruno Cirillo, detenuto nel carcere di Foggia, soffre di una paralisi parziale del braccio sinistro e ha quindi bisogno, secondo i medici specializzati, di un trattamento di fisioterapia intensivo e regolare per evitare sia il dolore che un peggioramento del suo stato di salute. Ma nonostante l’avviso dei medici e gli interventi ripetuti dei giudici di sorveglianza, Bruno Cirillo dal 2008 non ha potuto accedere se non sporadicamente ai trattamenti di cui ha bisogno. In parte questo è dovuto - secondo le spiegazioni fornite alla Corte dall’Italia - anche all’alto numero di domande ricevuto dall’amministrazione sanitaria del carcere e dal sovraffollamento. Dopo aver analizzato tutti gli elementi a loro disposizione i giudici di Strasburgo hanno stabilito che “tenuto conto delle circostanze, le autorità italiane hanno fallito nel loro obbligo di assicurare al ricorrente un trattamento medico adatto alla sua patologia”. La Corte “considera che quanto subito dal detenuto ecceda il livello inevitabile di sofferenza insito nella detenzione e costituisca un trattamento inumano e degradante”. Lo Stato, in base alla sentenza, dovrà versare a Bruno Cirillo 10 mila euro per danni morali. Questa è la quarta volta che l’Italia viene condannata per non aver fornito cure adeguate ai detenuti. L’intervento di De Leonardis, Pres. Commissione Affari Istituzionali Regione Puglia La Corte dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per il trattamento “inumano e degradante” che il carcere di Foggia avrebbe riservato a Bruno Cirillo, detenuto affetto da una paralisi parziale del braccio sinistro, che non avrebbe ricevuto le cure adeguate. La Corte di Strasburgo ha riconosciuto al detenuto un risarcimento per danni morali pari a 10mila euro. Sul caso si è pronunciato anche Giannicola De Leonardis: “Per chi conosce bene la situazione drammatica nelle carceri italiane, compresa la casa circondariale di Foggia - le cui carenze di organico del personale chiamato a garantire il rispetto di diritti e regole elementari per detenuti in numero ben maggiore rispetto alle possibilità di una decorosa vivibilità sono ben note - l’ultima condanna inflitta dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo all’Italia per il trattamento riservato dall’amministrazione penitenziaria della struttura foggiana al detenuto Bruno Cirillo, affetto da una patologia invalidante, non rappresenta certo un fulmine a ciel sereno”. Il presidente della settima Commissione Affari Istituzionali della Regione Puglia, ripropone “ancora una volta un’emergenza che non può essere ignorata e dimenticata, ma va affrontata non con soluzioni tampone tipo indulto o amnistie, ma con interventi strutturali e un deciso e decisivo adeguamento dell’organico del personale costretto a sforzi inumani per supplire a carenze diventate croniche. In particolare nella casa circondariale foggiana, più volte comparsa nelle cronache nazionali per suicidi ed episodi che rendono vani proprio quegli sforzi e l’impegno quotidiano di tanti uomini e donne che ancora credono nella funzione rieducativa della detenzione, nella possibilità di un riscatto per chi ha sbagliato e nella dignità della persona, di qualunque persona. Un’emergenza che non può rimanere sullo sfondo della campagna elettorale in corso, ma deve ritrovare la giusta e necessaria centralità: l’Europa non ci chiede solo sacrifici economici e il rispetto di parametri e bilanci a ogni costo, ma anche di mettere fine a una vergogna non più tollerabile che si rinnova giorno dopo giorno” sottolinea. “Una vergogna che va finalmente affrontata, per dare ancora un senso alla parola giustizia” la conclusione di De Leonardis. Sappe: condanna Strasburgo colpa anche di Regione Puglia “La condanna inferta all’Italia dalla Corte Ue per i diritti dell’uomo per un detenuto curato male a Foggia, a parere del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, non deve essere comminata all’Amministrazione Penitenziaria bensì ai responsabili sanitari e politici della Regione Puglia che in questi anni non sono riusciti o non hanno voluto mettere in piedi un servizio sanitario decente a sostegno delle problematiche mediche dei detenuti presenti nei penitenziari pugliesi”. Lo afferma il segretario nazionale del sindacato, Federico Pilagatti, rilevando che “purtroppo in questi anni il Sappe ha più volte richiesto l’intervento del presidente della regione Vendola affinché si aprisse un confronto serio per verificare criticità al fine di porre rimedi che diminuissero l’impatto negativo sulla popolazione detenuta”. “Invece nulla - aggiunge Pilagatti - se non sterili tavoli tecnici alla regione Puglia con partecipanti che in molti casi ignoravano quello che accadeva nelle carceri, anche perché erano stati esclusi da questi incontri sia i sanitari che lavoravano nelle carceri che i sindacati dei poliziotti penitenziari che conoscono molto bene cosa accade nei penitenziari pugliesi. Casi come quello di Foggia potranno interessare centinaia di detenuti a cui viene negato il diritto ad essere curati in maniera adeguata nonostante le gravi patologie di cui sono portatori”. Il Sappe - si aggiunge nella nota sindacale - “da mesi chiede un incontro anche con l’assessore alla sanità, ma sembra che il problema sanità penitenziaria non interessi nessuno, salvo poi assistere a sentenze come quella della corte di giustizia europea che condanna per l’ennesima volta l’Italia incapace di tutelare diritti minimi sanciti dalla costituzione italiana”. Giustizia: Reding (Ue); sui diritti dei detenuti gli Stati membri non vogliono intromissioni Ansa, 29 gennaio 2013 “La Commissione attribuisce grande importanza al rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti nell’Unione europea. Le condizioni detentive rientrano però nelle competenze degli Stati membri, a loro volta vincolati alle norme internazionali definite in materia dal Consiglio d’Europa”. Questa è la risposta della Commissaria Ue alla Giustizia Viviane Reding all’interrogazione presentata da Andrea Zanoni insieme ad altri eurodeputati, sulle critiche condizioni di detenzione nelle carceri italiane. “Nonostante l’ampio consenso sui problemi dovuti al ricorso eccessivo alla custodia cautelare, la maggior parte degli Stati membri non è favorevole a interventi normativi particolarmente incisivi a livello dell’Ue”, prosegue la risposta. “Il fatto che, nonostante le facili promesse e le tante denunce internazionali, i governi nazionali siano così restii ad accettare standard comuni per le condizioni delle proprie carceri, la dice lunga sulle reali intenzioni di risolvere il problema - attacca Zanoni. Mi auguro che il prossimo governo italiano, anche alla luce della sentenza di condanna della Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo di questo gennaio, abbia il coraggio e la responsabilità di farsi promotore in sede europea di una legislazione che restituisca dignità ai detenuti”. “La Commissione intende anche concentrarsi sulla corretta attuazione degli strumenti di riconoscimento reciproco esistenti in materia di detenzione prima di mettere a punto nuove proposte legislative e pubblicherà, entro la metà del 2013, relazioni sull’attuazione delle tre decisioni quadro”, fa sapere l’eurodeputato, che conclude: “La situazione in Italia è diventata insostenibile. Oltre al trattamento inumano viene messo in pericolo anche il recupero dei detenuti. Solo comuni standard europei obbligatori per tutti i Paesi Ue possono risolvere questa piaga d’inciviltà europea”. La sentenza di gennaio è la seconda condanna per l’Italia. La prima condanna risale al luglio del 2009 e riguardava un detenuto nel carcere di Rebibbia di Roma. Dopo questa prima condanna l’Italia ha messo a punto il “piano carceri” che prevede la costruzione di nuovi penitenziari e l’ampliamento di quelli esistenti oltre che il ricorso a pene alternative al carcere. Il 5 ottobre scorso Zanoni ha tenuto una conferenza a Treviso proprio sulla situazione delle carceri italiane insieme al Dott. Francesco Massimo, Direttore da oltre 25 anni dell’Istituto Penitenziario trevigiano, Giovanni Borsato, operatore della Caritas, Don Marco di Benedetto, volontario al Carcere di Rebibbia, Antonio Zamberlan, responsabile della Cooperativa Alternativa che opera all’interno della struttura di Treviso, nonché Carlo Silvano, autore di alcuni testi sulla realtà carceraria. Il 15 agosto scorso Zanoni ha fatto visita con alcuni suoi collaboratori al carcere di Treviso, Santa Bona, aderendo all’iniziativa “Ferragosto in carcere” che ha visto impegnati parlamentari nazionali ed europei all’interno delle strutture carcerarie italiane. Giustizia: Sappe; di nuovo in aumento il numero dei detenuti nelle affollate carceri italiane Asca, 29 gennaio 2013 A denunciarlo è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, che ha parlato di una popolazione carceraria che ha toccato le 65.945 persone detenute, 63.124 uomini e 2.821 donne, nelle oltre 200 carceri italiane. Carceri, si fa notare, costruite per ospitarne circa 45mila persone, spiega il Segretario Generale Sappe Donato Capece. “Tutte le regioni italiane vedono presenti più detenuti rispetto alla capienza regolamentare, con tutti i conseguenti disagi ai detenuti ed all’operatività dei poliziotti. - ha detto Capece. Le tre regioni con il maggior numero di detenuti sono Campania (dove ci sono 8.280 persone rispetto ai 5.974 posti), Lazio (7.071 presenti a fronte di 4.834 posti) e Sicilia (7.106 per 5.555 posti). Mi sembra evidente che, nonostante lo stato di emergenza nazionale decretato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri tre anni fa, poco o nulla è stato fatto per risolvere le criticità ed anche il Governo Monti ha le sue responsabilità”. Si fa, inoltre notare come oggi in Italia vi siano più del 36% dei detenuti in attesa di un giudizio, 24mila stranieri in cella, un detenuto su 3 tossicodipendente, con il lavoro penitenziario che resta “un miraggio” visto che lavorano pochissimi detenuti e vi sono 6.000 poliziotti in meno negli organici. Giustizia: Cgil denuncia; al Ministero agenti fanno anche gli imbianchini... il Dap smentisce Ansa, 29 gennaio 2013 “Per le ristrutturazioni si effettuano gare d’appalto. Intollerabile che in una situazione di difficoltà come quella vissuta nelle carceri italiane i poliziotti penitenziari siano impegnati in attività improprie”. È quanto afferma la Cgil Funzione Pubblica, rendendo noto di aver ricevuto “con oltre un mese di ritardo” “la risposta del vice capo vicario del Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria” “alla nostra contestazione”. Una risposta che “conferma quanto avevamo affermato e denunciato con un flash-mob davanti la sede di Via Arenula: al Ministero della Giustizia i poliziotti penitenziari sono stati utilizzati come imbianchini, violando le normative sul corretto impiego delle risorse umane del Corpo, oltre che quelle altrettanto vincolanti per l’amministrazione che normano la ristrutturazione e gli interventi di natura manutentiva per i luoghi della pubblica amministrazione”. “La cosa peggiore è che lo avrebbero fatto gratuitamente e fuori dall’orario di servizio”, afferma Fabrizio Fratini, segretario nazionale di Fp-Cgil, rendendo nota la risposta ricevuta dall’ufficio Relazioni Sindacali del Dap. “Chiediamo alla Ministra Paola Severino - aggiunge Fratini - di garantire che cose di questo genere non accadano più e la sollecitiamo a rispondere alle nostre richieste in merito allo scandaloso protrarsi della pratica dei distacchi di agenti presso altre strutture non deputate al servizio penitenziario o a funzioni ad esso affini. Il suo silenzio - conclude il sindacalista - potrebbe apparire un tacito consenso”. Dap: nessun agente è stato impiegato come imbianchino Comunicato del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Ufficio Stampa e Relazioni Esterne. Nessun agente di Polizia Penitenziaria è stato impiegato come imbianchino presso il Ministero della Giustizia, come sostenuto dal sindacato Fp-Cgil. A sottolinearlo è il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria che, piuttosto, dà atto di un gesto di generosità dimostrata da due agenti e dal comandante dell’Ufficio per la Sicurezza Personale e della Vigilanza dell’Amministrazione penitenziaria presso il Ministero della Giustizia. Per consentire al personale di usufruire quanto prima di due stanze loro destinate, il comandante ha infatti acquistato a sue spese la vernice e il materiale necessario alla tinteggiatura, mentre gli agenti - volontariamente, in un giorno di riposo, fuori dall’orario di servizio - hanno provveduto ad imbiancare gli ambienti. Se questo significa “violare il corretto impiego delle risorse umane”, allora bisogna intendersi su cosa sia un atto volontario o una buona azione. Giustizia: caso Aldrovandi; in carcere agenti condannati, respinta istanza misure alternative Tm News, 29 gennaio 2013 Tre dei quattro agenti condannati per l’omicidio di Federico Aldrovandi dovranno scontare sei mesi di carcere. Lo ha stabilito il tribunale dei sorveglianza di Bologna, da giorni riunito in camera di consiglio. Per il quarto poliziotto condannato, la sentenza arriverà tra circa un mese perché l’udienza è stata rinviata per un difetto di notifica. Il Tribunale di Sorveglianza ha quindi respinto la richiesta di affidamento ai servizi sociali e ai domiciliari da parte della difesa di Paolo Forlani, Luca Pollastri e Monica Segatto. I tre agenti, assieme al collega Enzo Pontani, sono condannati per eccesso colposo nell’omicidio di Aldrovandi, il giovane morto nel 2005 a Ferrara, dopo essere stato fermato dalla polizia per un controllo al rientro da una festa. Gli agenti erano stati condannati a 3 anni e 6 mesi, ma per effetto dell’indulto ne dovranno trascorrere in prigione soltanto 6 mesi. Tribunale: da agenti mai segni ravvedimento Da parte dei tre agenti condannati per il caso Aldrovandi “non si è dato registrare un atto concreto” che indichi “effettiva comprensione della vicenda delittuosa” e “presa di distanza dalla stessa”. Poi, “nessuna manifestazione esplicita e concreta di resipiscenza; non un gesto anche solo simbolico nei confronti della vittima o dei suoi familiari, cui peraltro, il risarcimento è stato pagato solo dallo Stato; non un gesto di riparazione sociale, e tanto meno di ricordo manifesto e di monito rispetto al ripetersi di simili comportamenti da parte di altri”. Lo scrive il Tribunale di Sorveglianza di Bologna in un passaggio che ritorna nelle tre ordinanze che respingono le istanze dei difensori di Monica Segatto, Luca Pollastri e Paolo Forlani: “Non riesce il Tribunale ad individuare qualsivoglia elemento di meritevolezza atto a sostenere la concessione e poi la corretta fruizione, ai fini rieducativi dei benefici penitenziari, atteso che nessun percorso di rieducazione e recupero può in concreto ipotizzarsi”. Rigettate le ipotesi: dall’affidamento, alla detenzione domiciliare fino anche a quella della semilibertà, regime incompatibile con l’attività di poliziotti. Segatto è ora addetta alla squadra di controllo e passaporti e vigilanza portuale alla Polizia di frontiera di Venezia; Pollastri è alla vigilanza alla questura di Vicenza; mentre Forlani, in servizio alla polizia di frontiera di Tarvisio-Udine, è in aspettativa per malattia dal giorno dopo la condanna in Cassazione. Ordine esecuzione pena spetta a Procura Ferrara Dopo il deposito della decisione del Tribunale di Sorveglianza sul caso della morte di Federico Aldrovandi, gli atti verranno inviati ora alla procura di Ferrara che dovrà emettere l’ordine di esecuzione pena, i sei mesi da scontare in carcere per i tre agenti. La procura aveva infatti sospeso all’indomani della sentenza di Cassazione, l’ordine di esecuzione in quanto la pena residua (i sei mesi, rispetto i 3,6, di cui 3 anni indultati) era inferiore ai tre anni e dunque per legge i termini erano sospesi per dare la possibilità, entro i 30 giorni, di presentare richiesta di affidamento ai servizi sociali, come poi è avvenuto. Quindi, dopo le richieste, erano stati raccolti gli atti, fissate le udienze davanti al tribunale di sorveglianza e poi la decisione dei giudici bolognesi. Prendiamo atto del provvedimento adottato - spiegano dalla procura di Ferrara - ora ci attiveremo di conseguenza. Padre Federico: agenti in cella bel segnale per le istituzioni “Non possiamo dire di essere contenti, ma siamo molto soddisfatti: è l’obiettivo che ci eravamo preposti ed è sicuramente un bel segnale per l’immagine stessa delle istituzioni”. Così Lino Aldrovandi, padre di Federico, commenta la decisione del Tribunale di sorveglianza di Bologna di confermare il carcere per 3 dei 4 agenti condannati in via definitiva per eccesso colposo in omicidio colposo del figlio morto a 18 anni, nel 2005 a Ferrara, durante un controllo di polizia. La sentenza di oggi che ha respinto la richiesta dei legali degli agenti finalizzata all’ottenimento di misure alternativa al carcere, “è un altro tassello verso la giustizia - prosegue il padre della vittima - ma manca ancora l’ultimo: quello dell’espulsione dal corpo di persone che hanno commesso dei reati e non hanno saputo gestire la divisa che indossano”. I genitori di Federico chiedono, infatti, da anni un provvedimento anche disciplinare per l’espulsione dei 4 agenti dalla Polizia. Avvocato famiglia: atto finale di un lungo percorso “È l’atto finale di un lungo percorso che non poteva avere, secondo giustizia, meta diversa”: così Fabio Anselmo, difensore della famiglia Aldrovandi, ha commentato l’ordinanza del tribunale di sorveglianza di Bologna in cui è stato disposto il carcere per 3 dei 4 agenti condannati per l’eccesso colposo nell’omicidio colposo di Federico Aldrovandi. La decisione dei magistrati della Sorveglianza ha riguardato i 6 mesi di pena residua che dovranno scontare Paolo Forlani, Luca Pollastri e Monica Segatto. Per il quarto agente condannato, Enzo Pontani l’udienza è stata rinviata al 26 febbraio per un difetto di notifica. Vendola: tortura diventi reato anche in italia “Alla famiglia di Aldrovandi un grande abbraccio: da loro in questi anni gesti e parole di grande dignità. Ora il nuovo Parlamento che verrà faccia diventare reato la tortura anche in Italia”. Così Nichi Vendola, presidente di Sinistra Ecologia Libertà, su twitter commenta la decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna del carcere per tre dei quattro poliziotti condannati per la morte del giovane di Ferrara. Migliore (Sel): inserire reato di tortura “La sentenza del Tribunale di Sorveglianza è la prova giudiziaria di una verità storica che noi conoscevamo”. Lo afferma Gennaro Migliore della segreteria nazionale di Sinistra Ecologia Libertà a proposito della decisione di far scattare il carcere per tre dei quattro poliziotti Paolo Forlani, Monica Segatto e Luca Pollastri condannati in via definitiva a tre anni e sei mesi per l’uccisione di Federico Aldrovandi: il 18enne morto nel 2005 a Ferrara in un controllo di polizia. “Nessuno potrà restituire alla vita e sanare il dolore della famiglia, degli amici e di tutti noi per la morte di Federico Aldrovandi - continua Migliore - ma dobbiamo impegnare la politica e le istituzioni affinché tali atti non si possano più ripetere. L’omicidio di Federico Aldrovandi - conclude - è la conferma di come sia insostenibile una disciplina giudiziaria che non contempli il reato di tortura”. Sel Bologna: agenti non possono restare in polizia “Bene la decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna sul carcere per tre dei quattro poliziotti condannati per la morte di Federico Aldrovandi, ma Patrizia Moretti ha ragione, non basta. Perché sei mesi di reclusione non sono proporzionati alla colpa commessa - un omicidio compiuto vestendo la divisa - e perché fino ad ora i tre poliziotti sono stati solo sospesi dalle Forze dell’Ordine”. Questo il commento di Valentina Cuppi di Sel Bologna in merito alla sentenza di oggi pomeriggio sull’omicidio di Federico Aldrovandi. L’esponente Sel, nel sottolineare l’impegno per l’istituzione del reato di tortura in Italia, annuncia due dibattiti pubblici sul tema con la mamma di Federico Aldrovandi. Ortale (Prc-Fds): condannati definitivamente gli assassini di Federico “Non sono un supporter della gente da mandare in carcere. Credo che sia una istituzione, quella delle case di pena, da ripensare e rivoluzionare completamente. Ma penso che la notizia della condanna definitiva per omicidio colposo per tre agenti su quattro che assassinarono a Federico Aldrovandi sia davvero il minimo che i genitori si attendessero, insieme a tutti noi che abbiamo seguito e sostenuto questa battaglia di verità. Mando un forte abbraccio a Lino, alla madre di Federico ed a tutti quei cittadini che si sono spessi per non far cadere nel solito oblio questo vergognoso omicidio di un ragazzo di soli 18 anni, assassinato a Parma la mattina del 25 settembre 2005”. Lo afferma in una nota Claudio Ortale, vice Presidente del Consiglio del Municipio Roma XIX. Coisp: campagne d’odio contro le forze dell’ordine “Più pericolosi di mafiosi, stupratori, spacciatori. Tre Poliziotti sono finiti in carcere per scontare una pena di sei mesi ricevuta per una contestazione a titolo di mera colpa. Siamo allibiti, ed è inutile fare gli ipocriti e tentare la strada della finta diplomazia. Troppo spesso non capita di finire in carcere neppure ai mafiosi, ai delinquenti della peggiore specie, o ai condannati per delitti gravissimi, o a chi ha subito una condanna magari non pesantissima, ma per reati di forte allarme sociale come stupri o maltrattamenti in famiglia, o molto altro ancora”. È il commento di Franco Maccari, Segretario Generale del Coisp, Sindacato Indipendente di Polizia, alla notizia che “il Tribunale di sorveglianza di Bologna ha deciso di mandare in carcere Paolo Forlani, Monica Segatto e Luca Pollastri, tre dei quattro poliziotti condannati in via definitiva a tre anni e sei mesi per la morte di Federico Aldrovandi, il 18enne morto nel 2005 a Ferrara durante un controllo di polizia”. “Prendiamo atto - dice Maccari - che in Italia tre poliziotti imputati per eccesso colposo sono ritenuti talmente tanto pericolosi da dover essere rinchiusi in una cella, e la cosa rappresenterà certamente un buon esempio...”. “Sappiamo - aggiunge Maccari - che questa decisione è estremamente funzionale il bisogno di vendetta dei protagonisti di questa drammatica storia, che comunque per avere piena soddisfazione pretendono che i colleghi perdano pure il posto di lavoro, anche se questo non è previsto da alcuna norma. Sappiamo che è funzionale anche alle campagne d’odio e denigrazione delle forze dell’ordine che, per qualche incredibile motivo, in mezzo a ruberie e abusi d’ogni genere, hanno vinto la poltrona dei cattivi dell’anno in questo strano Paese. Sappiamo che è funzionale a chi sull’emotività scatenata dalle vicende umane altrui ci marcia e ci racimola consensi, lettori, ascoltatori, candidature. Ma sappiamo, altrettanto concretamente, che è funzionale pure alla crescita esponenziale delle ansie e dei patemi che accompagnano ogni giorno di più tutti i poliziotti che scendono in strada con uno stato d’animo facilmente immaginabile”. Giustizia: cadute di Bernardo Provenzano in cella, anche Gup chiede video in carcere Ansa, 29 gennaio 2013 Anche il Gup che celebra l’udienza preliminare sulla trattativa Stato-mafia vuol vederci chiaro sulle strane e ripetute cadute in carcere del boss Bernardo Provenzano. All’udienza di oggi - la posizione del capomafia è stata stralciata da quella degli altri imputati - il giudice Piergiorgio Morosini ha chiesto l’acquisizione del video girato dalle telecamere a circuito chiuso del carcere di Parma, in cui il padrino è detenuto, il 12 dicembre, data dell’ultima caduta costata al boss un ematoma cerebrale, poi operato, e alcuni giorni di coma. Il gup vuol vedere anche il video girato la sera in cui Provenzano venne trovato con un sacchetto di plastica in testa, episodio letto inizialmente come tentativo di suicidio, smentito dal Dap. Tutte le immagini, però, vengono riprese nei corridoi dell’istituto di pena perché in cella, diversamente da altri boss, Provenzano non ha le videocamere. Sarà la procura a dovere chiedere al Dap le riprese per poi girarle al gup. I pm hanno aperto un fascicolo sul fantomatico tentativo di suicidio in cui confluiscono anche gli accertamenti sulle cadute: lo scopo è capire se si tratti di episodi accidentali o se qualcuno abbia cercato di eliminare il capomafia. Calabria: Quartuccio (Gd); chiusura Opg, governatore Scopelliti convochi Terzo Settore www.ildispaccio.it, 29 gennaio 2013 “La chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, che avverrà il prossimo 31 marzo, è una notizia da accogliere positivamente poiché finalmente si restituisce vita e dignità a persone che ormai da anni subiscono l’umiliazione di vivere in un contesto squallido e degradato. Quello che però lascia perplessi in merito all’iniziativa è il solito percorso all’italiana di una legge che pur decretando la chiusura degli Opg non prevede che fine faranno, successivamente, gli ospiti di queste strutture. Nel decreto contro il sovraffollamento delle carceri voluto dal ministro della giustizia Severino, è stato accolto l’emendamento che oltre a prevedere la chiusura degli Opg rimanda alle Regioni e alla sanità regionale il compito di prendersi cura degli ospiti attualmente residenti in queste strutture. Per quel che risulta, nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona P.G. vi sono circa 40 infermi calabresi dei quali la nostra regione dovrà farsi carico. Per ovviare a questa situazione, pare, che la giunta regionale abbia deciso di adoperare i locali dell’ex ospedale psichiatrico di Girifalco, una struttura fatiscente che necessita di cospicui fondi per la sua messa a norma che, però, non potrebbe avvenire nei tempi previsti per legge: giova ricordare, infatti, che il 31 Marzo, quindi tra circa 2 mesi, gli Opg saranno chiusi e la struttura di Girifalco dovrà subire lavori di ristrutturazione per circa un anno”. Daniele Quartuccio, Responsabile Politiche Sociali, terzo settore ed associazionismo dei Giovani Democratici di Reggio Calabria si unisce all’appello lanciato nei giorni scorsi da Mario Nasone dell’Agape e da don Giacomo Panizza della Fondazione Progetto Sud i quali hanno proposto che queste 40 persone vengano ospitate nelle strutture già esistenti in Calabria ed in particolar modo nel comprensorio reggino, all’avanguardia sotto questo punto di vista: “Per questo motivo - afferma Quartuccio - mi appello al governatore ed alla giunta regionale, chiedendo loro di convocare un tavolo di concertazione al quale far partecipare i rappresentanti del terzo settore calabrese e tutti coloro i quali ormai da anni gestiscono strutture per persone con disabilità, affinché si trovi con loro una soluzione utile, sensata e responsabile che faccia fronte in maniera professionale a questa necessità. Ritengo inutile e dispendiosa l’ idea di investire i fondi nella ristrutturazione dell’ex ospedale di Girifalco a fronte della presenza di numerose realtà importanti e professionali, che ormai da anni operano sul territorio regionale, e sulle quali poter investire”. Latina: De Marchis (Pd); spostare il carcere dal centro, struttura dell’edificio è vetusta www.latina24ore.it, 29 gennaio 2013 “Il carcere va spostato dal centro di Latina e l’area di via Aspromonte che la Casa circondariale occupa va restituita alla città”. Lo dice Giorgio De Marchis, capogruppo del Partito democratico in consiglio comunale e candidato al consiglio regionale del Lazio, dopo aver visitato oggi il penitenziario del capoluogo pontino. De Marchis, su invito della direttrice della struttura Nadia Fontana, ha assistito allo spettacolo teatrale “Vedersi dentro”, scritto e interpretato dalle detenute di via Aspromonte e frutto di un laboratorio seguito dalle stesse detenute. La rappresentazione è stata occasione per constatare le criticità che affliggono la struttura e che sono legate soprattutto al problema del sovraffollamento, con un numero di detenuti pari quasi al doppio dei posti regolamentari. “Oltre alla necessità di portare il carcere fuori dal centro - ha sottolineato il candidato alle regionali - resta il nodo problematico del sovraffollamento dell’istituto. Secondo le ultime stime diffuse dal garante dei detenuti del Lazio, nella casa circondariale di Latina sono attualmente recluse 158 persone, di cui 38 donne, a fronte di una capienza regolamentare di 86 posti. Un’emergenza che investe tutta la Regione e i suoi quattordici istituti penitenziari, dove a settembre scorso stando al report del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria si contavano 7.130 detenuti, oltre 2.300 in più rispetto ai 4.838 posti disponibili”. “Ma al di là dei numeri - aggiunge De Marchis - ci sono le condizioni in cui i detenuti vivono a confermarci la criticità della situazione del carcere cittadino. La struttura dell’edificio è vecchia, gli spazi di vivibilità, dai corridoi alle celle passando per i bagni, sono ridotti, sporchi, fatiscenti e gli spazi trattamentali, escluso il teatro, appaiono assolutamente inadeguati rispetto al numero di detenuti ospitati. Per non dire poi della grave carenza di organico di cui soffre la polizia penitenziaria, problema anche questo presente in molti istituti del Lazio”. Aosta: il direttore Domenico Minervini; il carcere di Brissogne al limite della capienza www.aostaoggi.it, 29 gennaio 2013 Rischio di sovraffollamento carcerario nel penitenziario valdostano. Parola di Domenico Minervini, direttore, dal gennaio 2010, della Casa Circondariale di Brissogne. “Ad oggi, - dice - ospitiamo 284 detenuti a fronte di una capienza di 290/291. Queste poche celle vuote devono rimanere tali per rispondere alle situazioni di emergenza e ai vari casi di isolamento”. Spiega: “Un detenuto malato psichiatrico non può stare in cella con altri. Lo stesso vale per i casi giudiziari. Gli arresti improvvisi, quindi, devono poter essere risolti con una logistica adeguata e tempestiva”, puntualizza Minervini. La presenza costante del 60/62 per cento di detenuti extracomunitari e stranieri identifica il radicale cambiamento della società. In questa ottica, la direzione della Casa Circondariale di Brissogne è impegnata nella costante realizzazione di progetti trattamentali che includono scuola, sport, lavoro. “La nostra popolazione carceraria dipende molto dalla situazione di Torino - riprende il direttore -. L’ospitalità a Le Vallette “Lorusso Cotugno” non può superare i 1.520 detenuti per non creare condizioni ghettizzanti. Quando si constatano esuberi, la direzione assegna gruppi di detenuti alle carceri del Distretto. Il Provveditorato organizza controlli settimanali. Ogni giovedì, inviamo il nostro rapporto numerico”. La qualità di vita nell’istituto penitenziario regionale è migliorata, a livelli incentivanti, da quando il direttore Minervini ha deciso l’apertura delle celle dalle 9 alle 17,30; è la prima volta nella storia delle carceri valdostane. “Il 1 febbraio - annuncia - festeggiamo i tre anni di sperimentazione con un riscontro più che incoraggiante, considerato che non avevamo pianificato alcun progetto nelle specifiche sezioni”. La totale libertà di movimento interna ha preceduto di un biennio la decisione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che, lo scorso anno, ha sollecitato la decompressione delle celle. “Il sovraffollamento non è stato risolto a livello nazionale, soprattutto - ricorda Domenico Minervini, ma da parte nostra, provvediamo ad alleggerire questa realtà con misure alternative finalizzate ad abbattere le tensioni fra gli ospiti. Cosa che sembra essere riuscita nella stragrande maggioranza dei casi”. La Corte Europea ha condannato lo Stato italiano, accusandolo di mantenere carceri in una condizione di grande precarietà. Ogni detenuto, sancisce tra l’altro la sentenza, deve poter disporre di uno spazio vitale di almeno 7 metri quadri; nei casi di emergenza i metri quadri devono essere non inferiori a tre. Due anni fa, nel penitenziario di Brissogne, sono state riviste le metrature. “Le dimensioni delle nostre celle - informa il direttore Minervini - misurano 8,60 metri quadri, comprese le toilette. Vi ospitiamo due detenuti. Lo spazio a loro disposizione riflette quanto richiesto dall’Europa”, conclude. Vicenza: la Garante; anche i detenuti possono votare… istruzioni per l’uso in Comune Giornale di Vicenza, 29 gennaio 2013 Diritto di voto dei detenuti: in vista delle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio Federica Berti, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, eletta dal Comune di Vicenza nel 2011, ricorda che i detenuti aventi diritto al voto sono ammessi a votare nel luogo di detenzione, dove sarà installato un seggio elettorale speciale. Per poter votare, il detenuto, tramite l’Ufficio Matricola del carcere, deve far pervenire al sindaco del Comune nelle cui liste elettorali è iscritto, una dichiarazione di volontà di votare presso il luogo in cui si trova. La dichiarazione deve essere corredata dell’attestazione del direttore del carcere che comprova la detenzione dell’elettore. Per votare è inoltre necessario possedere la tessera elettorale: in caso di smarrimento, dopo apposita denuncia, il detenuto deve inoltrare richiesta di duplicato al Comune nelle cui liste elettorali risulta iscritto, delegando poi al ritiro un familiare o un convivente. Il tutto deve concludersi entro i tre giorni antecedenti il primo giorno di voto. Il Ministero dell’Interno, quest’anno, ha esplicitamente sollecitato i prefetti affinché si attivino per richiamare agli adempimenti di rispettiva competenza le amministrazioni comunali e i direttori degli istituti di pena e a svolgere attività di sensibilizzazione e informazione sull’argomento, in linea con la risoluzione dell’11 dicembre 2012 delle commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera che impegnano il Governo affinché il diritto di votare sia concreto per tutti coloro che nelle carceri italiane godono ancora dei diritti civili e politici. Dichiara a questo proposito Federica Berti, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Vicenza: “Invito tutta la popolazione detenuta ad esercitare il proprio diritto di voto, a non lasciarsi abbattere, vincendo la sfiducia nelle istituzioni politiche che sino ad oggi, a dire il vero, si sono dimostrate poco efficaci per la risoluzione delle problematiche penitenziarie”. Aggiunge l’assessore alla famiglia e alla pace Giovanni Giuliari: “Apprezzo l’iniziativa della Garante e mi associo a lei nell’invitare le persone private della libertà personale ad esercitare il loro diritto di voto. È un modo importante per non rassegnarsi, per esprimere la propria volontà di cambiamento, per sostenere coloro che si impegneranno a risolvere il grave problema del sovraffollamento delle carceri e migliorare la qualità di vita delle persone detenute. Certo, si possono avere delle incertezze su chi votare, ma per un detenuto è ancora più importante non avere dubbi sul fatto di andare a votare: è una delle poche cose che gli sono rimaste, è la resistenza a non cedere alla rassegnazione, è rivendicare un diritto di cittadinanza dentro alle mura, è evitare di auto privarsi di un diritto che, se esercitato, può far sentire viva una persona”. Trieste: panettiere lavoro preferito dai detenuti, ma anche lezioni falegnameria e sartoria Il Piccolo, 29 gennaio 2013 Detenuti-allievi anche nel 2013. Decisa la graduatoria dei corsi di formazione che anche quest’anno verranno effettuati nelle carceri. Al Coroneo di Trieste “spopola” la panetteria, con 84mila euro su 386.500. Con i fondi messi a bilancio dalla Regione si faranno anche corsi di falegnameria (67.200 euro), tecniche di ripresa audio e video (50.400), mosaico (50.400), sartoria (33.600) e restauro di tappeti (33.600). Nella casa circondariale di Udine va per la maggiore il corso per operai edili, con 81mila euro, ma i detenuti potranno scegliere diverse altre tecniche (pulizia e sanificazio-ne, legatoria, arredo verde d’interni) per un totale di 253mila euro. Più variegata la formazione nel carcere di Tolmezzo, dove gli insegnamenti maggiormente finanziati sono tre su 11 (edilizia, cucina e ortofloricoltura), per un totale di 603mila euro assegnati e opportunità di formazione originali, fra cui il corso di agricoltura biologica. Un solo corso è invece stato finanziato nel carcere di Gorizia, dove i detenuti potranno imparare tecniche di pulizia e sanificazione, con un fondo di18.900 euro. Questi sono i risultati della gara, aperta a ottobre dalla Regione, per individuare i progetti formativi nei penitenziari del Friuli Venezia Giulia che potevano essere finanziati con il bilancio regionale. Dai fondi sociali europei sono stati dirottati a questo fine 1,3 milioni di euro. “Per il reintegro nella società di chi sta scontando una pena - commenta Angela Brandi, assessore regionale alla Formazione - è necessario un piano formativo che consenta al detenuto di avere delle opportunità una volta fuori dal carcere. Senza lavoro non c’è libertà, e compito delle istituzioni è di prevenire la criminalità consentendo a chi ha sbagliato di avere un’occasione di riscatto”. Un discorso a parte va fatto per il sociale, di competenza del vicepresidente Luca Ciriani. Per i progetti di inclusione delle persone detenute (ed ex detenute) e per i minori a rischio sono stati riservati, nella finanziaria regionale, 825mila euro, somma invariata rispetto al 2012. È cambiata invece la modalità con cui i fondi verranno ripartiti. Se in passato enti e associazioni presentavano i progetti alla Regione, che spartiva i fondi, ora per evitare sprechi di risorse, derivanti da eventuali doppioni, la Regione “dirotta” i soldi direttamente agli Ambiti sociali del territorio, con i Comuni capofila. Saranno quindi gli Ambiti a ricevere i fondi dalla Regione e a distribuirli ai soggetti con almeno due anni di esperienza nel campo. L’intento è di effettuare così un controllo più diretto delle risorse. Di recente gli Ambiti di Trieste, Muggia e San Dorligo hanno aperto il primo bando di questo tipo, con cui sono stati individuati i dieci soggetti interessati a dividersi i 144mila euro stanziati. Roma: evasione di due detenuti al carcere minorile di Casal del Marmo, ripresi poco dopo www.clandestinoweb.com, 29 gennaio 2013 Hanno tentato di scappare dal carcere minorile di Roma. Due giovani detenuti hanno ideato e messo in scena una tentata evasione durata, però, solo poche ore. Erano ristretti a Casal Del Marmo e da lì sono fuggiti per dirigersi in un quartiere a nord della Capitale. Qui sono stati ritrovati dalla polizia penitenziaria che si era subito messa sulle loro tracce. A darne notizia la Fns Cisl Lazio che spiega in una nota: “Da quanto appreso sono evasi due detenuti, io 21 anni e l’altro 19, dall’Ipm Casal del Marmo Roma dopo aver colpito violentemente un operatore civile. Subito dopo l’evasione iniziata la caccia ai due fuggiaschi ripresi dalla Polizia Penitenziaria in zona Monte Mario”. “La Fns Cisl Lazio - si legge ancora nel comunicato stampa - esprime apprezzamenti al Personale di Polizia Penitenziaria intervenuto alla cattura degli evasi e pena solidarietà all’operatore coinvolto purtroppo in detto evento”. Colpiscono volontario con martello Sono evasi da un istituto minorile a Roma dopo aver colpito un volontario alla testa con un martello, ma sono stati bloccati poco dopo dalla polizia penitenziaria con l’aiuto di un carabiniere fuori dal servizio. A tentare la fuga sono stati due giovani romeni, entrambi maggiorenni, che erano detenuti nell’istituto penale minorile di Casal del Marmo. I due sono stati arrestati per evasione e lesioni, ma l’accusa potrebbe aggravarsi per tentato omicidio dopo il referto medico del volontario ferito. Sappe: assegnare commissari polizia penitenziaria a carceri minorili “L’episodio avvenuto questa mattina nel carcere minorile di Roma è gravissimo” e deve sollecitare “l’assegnazione stabile in servizio nelle carceri minorili di Commissari della Polizia Penitenziaria, in grado di conciliare al meglio le esigenze di sicurezza a quella rieducative, provvedendo nel contempo ad una revisione degli incarichi dirigenziali”. Così il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) Donato Capece commenta in una nota l’aggressione subita da un operatore volontario da parte di due detenuti nel carcere minorile di Casal del Marmo a Roma. “La cosa grave - sottolinea Capece - è che un detenuto non doveva trovarsi presso l’Ipm in quanto ha compiuto i 21 anni il 19 gennaio 2013. In base alla normativa vigente doveva quindi essere assegnato inderogabilmente in un istituto per adulti, come era stato richiesto dalla Direzione del carcere minorile, ma l’Amministrazione penitenziaria non è intervenuta - attacca il segretario Sappe. All’operatore ferito va la nostra vicinanza e solidarietà e al Reparto di Polizia Penitenziaria dell’istituto penale per minorenni di Roma, che pure patisce una grave carenza di organico, il nostro plauso ed il nostro più vivo apprezzamento per come è stato gestito il grave e pericoloso evento critico”. È tuttavia “evidente che c’è più di qualcosa che non va nella Giustizia minorile - ammonisce Capece - oggi abbiamo oltre 500 minorenni detenuti negli istituti di pena per minori italiani. Quella della detenzione minorile è una specificità della giustizia di cui si parla, a torto, sempre troppo poco. Eppure è sempre più frequente l’utilizzo dei minori coinvolti in attività criminose. Le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, personale specializzato nel trattamento dei detenuti minorenni - conclude - fanno davvero un encomiabile lavoro con una utenza particolarmente difficile e con molte criticità. Ma bisogna intervenire concretamente”. Uil-Pa Penitenziari: intervenire con urgenza a Casal del Marmo “La Uil-Pa Penitenziari continua ad evidenziare che presso questa struttura esistono problemi che non possono essere più lasciati al caso, servono interventi strutturali e logistici che permettano un servizio adeguato per contrastare fatti simili già portati alla luce nell’ultimo anno come aggressioni e altri fatti gravi accaduti. Per questo motivo invitiamo il Dipartimento Giustizia Minorile a non dormire sugli allori, il sistema minorile carcerario e alla totale deriva e bisogna intervenire con serietà e responsabilità adeguate”. È quanto si legge in una nota della Uil-Pa Penitenziari, in merito a quanto accaduto questa mattina nel carcere minorile di Casal del Marmo, dove due detenuti ex minorenni hanno aggredito un operatore e sono fuggiti ma sono stati rintracciati due ore dopo. “Questa mattina dopo le 10.30 circa due detenuti ex minorenni ristretti presso il carcere minorile di Casal del Marmo - si legge nella nota - mentre si trovavano a svolgere attività trattamentali nei pressi della piccola fattoria interna, hanno sequestrato e colpito gravemente l’operatore civile della cooperativa che cura questo servizio, riuscendo a scavalcare il muro di recinzione e darsi alla fuga”. “Il personale di Polizia Penitenziaria è immediatamente intervenuta, con raccambolesco inseguimento nei pressi di Torrevecchia in collaborazione con le altre forze dell’ordine, riusciendo a riprendere nell’arco di un paio d’ore i fuggitivi, con reati che vanno dall’omicidio per il 21 enne e per rapina e altro per il 18 riportandoli in istituto, sulla quale sono in approfondimento di indagine da parte delle autorità competente e del Dipartimento della Giustizia Minorile”, conclude. Bologna: venerdì il convegno “La salute (p)reclusa… e le nostre forme di tortura” Agenparl, 29 gennaio 2013 La Salute Preclusa e le nostre forme di tortura: una riflessione a partire dal caso di Franco Mastrogiovanni Perché in Italia non esiste il reato di tortura? Il diritto alla salute è garantito all’interno delle nostre carceri? Bologna, venerdì 1 Febbraio in Sala Borsa - Auditorium Enzo Biagi, alle ore 16.30, per parlare del caso di Franco Mastrogiovanni e delle condizioni di salute delle nostre carceri. Introduce Matteo Lepore, assessore del Comune di Bologna. Intervengono Alessandro Bergonzoni, attore-scrittore; Luigi Manconi, professore e presidente dell’associazione “A Buon Diritto”; Grazia Serra, nipote di Franco Mastrogiovanni; l’Avvocato Valentina Restaino, parte civile in processo per Unasam. Durante l’iniziativa verrà proiettata la video inchiesta dell’associazione Progrè, “La Salute (p)reclusa” e un estratto, reso pubblico dai familiari, di ciò che successe nei quattro giorni in cui Franco Mastrogiovanni fu costretto in un letto d’ospedale, ripreso dalle telecamere della struttura sanitaria. Per riflettere sul fatto che gli istituti penitenziari non possano essere dei parcheggi per carnefici chiusi in un microcosmo a sé stante, che i diritti costituzionali rivendicati per i cittadini liberi devono essere ugualmente garantiti per quelli reclusi. Non è di carità ai poveri che parliamo, né di pietà per chi ha commesso un errore: parliamo del grado di civiltà di uno Stato, parliamo di un mondo del Diritto che inganna se stesso diventando illegale (…) Chiediamoci: alla luce della situazione delle nostre carceri, lo Stato che punisce chi trasgredisce le sue regole è nel giusto? Se la risposta è no, allora qualcuno sta barando”. L’iniziativa è realizzata in collaborazione con Biblioteca Sala Borsa e con il contributo dell’Università di Bologna - Alma Mater Studiorum. Progrè è un’associazione, nata nel 2011 a Bologna , da un’idea di un gruppo di studenti universitari che hanno avvertito l’esigenza di creare uno spazio politico slegato dalle appartenenze (e non appartenenze) partitiche di ciascuno di noi. Il pluralismo è il punto di partenza di ogni attività e progetto che affrontiamo. Ci occupiamo di politiche migratorie, di questioni generazionali e della realtà carceraria. Il nostro metodo di lavoro parte dallo studio e dall’approfondimento per poi sfociare nella condivisione dei risultati conseguiti attraverso forme tradizionali e sperimentali di comunicazione. La fase di studio avviene attraverso focus di gruppo e di ricerca con professionisti del settore (professori universitari, esperti provenienti dal mondo dell’associazionismo e delle istituzioni in generale) mentre la fase di formazione si articola in iniziative pubbliche e in attività di volontariato (già svolte, per esempio, presso il carcere minorile di Bologna, il Cie di Bologna e, adesso, presso lo sportello migranti della Cgil nonché, a breve, presso il carcere della Dozza). Il nostro obiettivo è di stimolare il dibattito pubblico su argomenti che troppo spesso sono affrontati solo in un’ottica emergenziale. Che senso ha parlare di sovraffollamento carcerario al solo fine di stilare una triste contabilità dei casi di suicidio in cella? È giusto parlare di flussi migratori solo in occasione dell’ennesimo affondamento di un barcone nelle acque del Mar Mediterraneo? E degli under 30 si può parlare solo il giorno del bollettino Istat sulla disoccupazione giovanile? Secondo noi no e da circa due anni proviamo a farlo quotidianamente. Libri: “I giorni scontati. Appunti sul carcere”, a cura di Silvia Buzzelli Recensione di Patrizio Gonnella Micromega, 29 gennaio 2013 “L’intervento urgente che oggi si richiede ai sistemi detentivi sovraffollati, oltre a quello di garantire condizioni rispettose della dignità delle persone, è quello di incidere in entrambe le direzioni: quello della riduzione degli ingressi con l’adozione di altre misure ugualmente di contenimento e controllo, ma non direttamente privative della libertà, e quella della accentuazione delle possibilità di percorsi che attenuino la misura detentiva riportando verso quel riannodare il legame con la società, reciso dalla commissione del reato, che possa altresì diminuire il rischio di recidiva.”. Così Mauro Palma, attualmente vicepresidente del Consiglio europeo per la esecuzione penale del Consiglio di Europa, nelle sue Considerazioni a margine che aprono il bel libro “I giorni scontati. Appunti sul carcere”, curato da Silvia Buzzelli per Sandro Teti Editore. Si alternano nel volume interventi di direttori di carcere, operatori sociali, storici, accademici. C’è persino un veterinario che racconta della sua esperienza lavorativa nell’isola penitenziaria di Gorgona. Il libro è qualcosa di più che un libro, visto che contiene anche un documentario di Germano Maccioni, regista e attore sia a cinema che a teatro. Nella sua postfazione il filosofo Luigi Lombardi Vallauri scrive che il solo pensiero del carcere gli infonde sgomento. Si definisce un animale da spazio aperto. Oggi non è facile immaginarsi una prospettiva riformista. Il sistema penitenziario è al collasso. Non ha retto alla complessità della società. E forse non è in condizioni di resistervi neanche in futuro. In un sistema sovraffollato la pena ha perso il suo senso costituzionale. La rieducazione è oramai ridotta a mito. Al limite per alcuni è speranza di redenzione. Nulla ha a che fare con la pratica laica della reintegrazione sociale. Sono i rapporti di forza e le ipocrisie del controllo a governare la vita in carcere. Lo sgomento è il sentimento che molti detenuti provano al loro ingresso in prigione. Alcuni non riescono a liberarsene e si suicidano. Altri convivono con esso per mesi o addirittura per anni. Immaginate il senso di sgomento che può provare un ergastolano ostativo, il quale sa che non uscirà mai dal carcere. Per lui non vi saranno giorni scontati. Per lui la pena varrà per intero. Inizia ora l’ultimo mese di campagna elettorale. Il tema penale e penitenziario mi pare faccia fatica ad emergere nelle discussioni pubbliche. Un consiglio però mi sentirei di darlo a chi deve andare al voto. Ricordatevi tutte quelle leggi che prendono il nome da un politico e il 24 e 25 febbraio non votatelo. Libri: “Il bandito dell’isola”, di Ezio Barbieri www.strettoweb.com, 29 gennaio 2013 Sabato scorso, presso la sala Convegni Oasi di Barcellona Pozzo di Gotto, località in provincia di Messina, in veste di autore e protagonista, Ezio Barbieri ha presentato il libro autobiografico “Il bandito dell’Isola”, redatto con la collaborazione del giornalista-scrittore Nicola Erba. L’evento è stato organizzato dalla Casa Editrice Milieu, in collaborazione con la Libreria Gutenberg e l’Associazione Ossidi di Ferro. Alla presentazione sono intervenuti, fra l’altro, il sindaco di Barcellona Pozzo di Gotto Maria Teresa Collica e l’Assessore alla Cultura Raffaella Campo. I relatori dell’incontro sono stati il direttore dell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto, dott. Nunziante Rosania e il dott. Ernesto Mirabile, ex direttore della struttura carceraria barcellonese e che conobbe Barbieri durante la propria permanenza al “Madia”. Ezio Barbieri, alla veneranda età di 90 anni, con lucidità, ha lavorato con passione e dedizione a questa sua produzione letteraria che racconta la sua vita di “bandito buono”. Noto come il bandito dell’Isola, quartiere milanese un tempo abitato da malavitosi, Barbieri diede vita alla banda della Lancia Aprilia. Insieme all’amico Sandro Bezzi, infatti, creavano spesso il panico tra la gente, sfuggendo alle forze dell’ordine dopo aver rapinato banche e facoltosi industriali. Rapine che terminavano con la distribuzione del bottino agli abitanti del quartiere. Dopo una serie di evasioni e la morte di Bezzi, Barbieri si ritrova protagonista, suo malgrado, della più grande rivolta carceraria del secondo dopoguerra, la Pasqua Rossa di San Vittore. Condannato a trent’anni, nel 1986 sposa da carcerato la signorina Maria Soresina, e solo nel 1971 inizia in Sicilia una nuova vita da uomo libero, come stimato commerciante di vini e abbigliamento. Il libro si trova già nelle librerie al prezzo di €13,90. Stati Uniti: oggi l’esecuzione di Kimberly McCarthy la prima donna dal 2010 Tm News, 29 gennaio 2013 Oggi in Texas sarà eseguita la condanna a morte di Kimberly McCarthy, la prima donna punita con la pena capitale negli Stati Uniti in oltre due anni. L’esecuzione avverrà attraverso iniezione letale nel penitenziario di Huntsville (Texas) alle 18, ora locale, la una di notte in Italia. La donna, 51 anni e afroamericana, è accusata di aver ucciso nel 1997 una sua vicina di casa di 71 anni con 5 coltellate per derubarla. Dopo averle tolto la vita le ha anche tagliato un dito per prenderle un anello e venderlo al banco dei pegni. La donna è anche accusata dell’uccisione di altre due anziane. È stata condannata a morte nel 1998, riprocessata e ritenuta di nuovo colpevole nel 2002. Non sono molte le donne che vengono condannate alla pena capitale. Dal 1976, anno in cui la Corte Suprema ha reintrodotto questa pena, sono state uccise 12 donne, come riportano i dati del Death Penalty Information Center. L’ultimo caso avvenne sempre in Virginia, il 23 settembre del 2010. Arabia Saudita: decapitato un uomo condannato a morte per traffico di droga Aki, 29 gennaio 2013 Un cittadino saudita è stato decapitato in Arabia Saudita dopo essere stato condannato a morte con l’accusa di traffico di droga. La condanna è stata eseguita nella provincia di al-Jawf, nel nord del regno, come ha fatto sapere il ministero dell’Interno di Riad tramite l’agenzia di stampa ufficiale Spa. Musaed al-Ruweili, hanno precisato le autorità, era stato arrestato mentre tentava di spacciare “un gran numero di pasticche nel regno”. Da inizio anno sono almeno sette le condanne a morte eseguite in Arabia Saudita, dove nel 2012 - secondo Human Rights Watch - sono state messi a morte almeno 69 detenuti. Omicidio, stupro, apostasia, rapina a mano armata, oltre al traffico di droga, sono i reati che nel regno vengono puniti con la pena di morte. Stati Uniti: la Casa Bianca rinuncia a chiudere il carcere-lager di Guantánamo Nova, 29 gennaio 2013 Ieri il dipartimento di Stato Usa ha privato Daniel Fried della carica di “inviato speciale per la chiusura del penitenziario di Guantánamo bay”. Fried aveva assunto l’incarico nel 2009, quando il neoeletto Barack Obama aveva promesso di chiudere Guantánamo in capo a un anno. Le restrizioni imposte dal Congresso al trasferimento di detenuti, per, aveva da subito ostacolato il compito dell’inviato. Stando a un comunicato interno al dipartimento, nessuno prender il posto di Fried, cui stato assegnato l’incarico di coordinatore per le politiche sanzionatorie a carico di Iran e Siria. L’ufficio di Fried verrà chiuso, e le sue competenze passeranno all’ufficio dei consiglieri legali del dipartimento di Stato. La chiusura dell’ufficio e la mancata sostituzione di Fried stridono con gli insistenti annunci della Casa Bianca, che ha sempre rinnovato l’impegno a chiudere il penitenziario di Guantánamo Bay, a Cuba. Evidentemente, Washington considera la chiusura dell’impianto un obiettivo non realisticamente conseguibile. Pochi mesi fa, lo stesso Obama aveva sottoscritto un provvedimento legislativo che apportava ulteriori restringimenti alle pratiche di trasferimento dei detenuti da Guantanámo, in netto contrasto con gli impegni formalmente assunti con gli elettori. Ieri Khalid Shaikh Mohammed e altri quattro detenuti di Guantánamo sono pubblicamente comparsi al cospetto di una corte militare. I cinque, ritenuti responsabili dell’attentato alle torri gemelle dello scorso 11 settembre 2001, rischiano la pena capitale. Iran: l’ayatollah Khamenei concede amnistia a 1.298 detenuti per “reati minori” Adnkronos, 29 gennaio 2013 La Guida Suprema della Repubblica Islamica, l’ayatollah Ali Khamenei, ha concesso l’amnistia a 1.298 detenuti in occasione delle celebrazioni per il Mawlid Nabawi, l’anniversario della nascita del profeta Maometto, che in Iran si tengono una settimana dopo rispetto ai Paesi sunniti. Lo ha riferito l’agenzia d’informazione Irna, precisando che l’amnistia per i detenuti liberati è stata richiesta dal capo della Magistratura, l’ayatollah Sadeq Amoli Larijani. Khamenei è solito concedere la grazia a centinaia di detenuti per “reati minori” in occasione di ricorrenze religiose o di anniversari importanti della storia della Repubblica Islamica. Iraq: arrestato giornalista francese per foto non autorizzate, ha ripreso siti sensibili Ansa, 29 gennaio 2013 Un giornalista francese è stato arrestato dalla polizia irachena per avere scattato delle fotografie senza autorizzazione a Baghdad ed è attualmente detenuto in una prigione della capitale senza precise accuse, hanno reso noto oggi fonti del Consolato francese e un responsabile locale. Nadir Dendoune, 40 anni, si è recato in Iraq per realizzare un reportage sul decimo anniversario dell’invasione del Paese, per il mensile Le Monde Diplomatique, secondo la stessa fonte consolare. Il reporter, che ha anche le nazionalità algerina e australiana, “non si è registrato presso le autorità locali, né tantomeno ha chiesto le autorizzazioni necessarie per scattare delle foto”, ha aggiunto la fonte. Un responsabile delle forze di sicurezza irachene ha affermato da parte sua che Dendoune ha fotografato dei “siti sensibili che appartengono a strutture per la sicurezza”, senza però precisare quali, ma ha precisato che il giornalista è in “stato di fermo e non in prigione”. Cina: dissidente mongolo Hada in gravi condizioni, dopo 15 anni di prigione ai domiciliari Ansa, 29 gennaio 2013 Sono sempre più complicate le condizioni di salute, soprattutto mentali, di Hada, il dissidente della Mongolia Interna che dopo 15 anni di prigione, è di fatto agli arresti domiciliari senza condanna dalla fine del 2010. Lo ha denunciato all’organizzazione americana che si batte per i diritti umani in Cina, Human Rights in China (Hric), il figlio dello stesso Hada, Uiles. Secondo il racconto del giovane, ad Hada, che è stato carcerato per separatismo e spionaggio, viene vietato dalle autorità qualsiasi trattamento medico. Le visite ad Hada, che si trova ristretto in una stanza del Jinye Ecological Park nei pressi dell’aeroporto internazionale di Hohhot, capoluogo della Mongolia Interna, sono rade e decise dalle autorità. In una delle sue ultime visite all’uomo, la moglie Xinna lo ha trovato all’inizio di gennaio in pessime condizioni, con fisime e paranoie, diversi problemi fisici e mentali. Lo stesso figlio ha detto che in una precedente visita alla fine dell’anno, suo padre non gli ha neanche rivolto la parola. Uiles ha detto che le autorità continuano a fare pressioni su lui e sua madre perché non parlino con le Ong. Hada, attivista per una maggiore autonomia della Mongolia Interna, è stato arrestato nel 1995.