Giustizia: corruzione, prescrizione, “tribunalini” e carceri sono tra le priorità politiche di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 24 gennaio 2013 Gennaio, mese di bilanci sulla giustizia. E quest’anno anche di programmi elettorali. L’agenda delle priorità non ha bisogno di fantasia né di input europei. A dettarla ci sono i dati aggiornati sulla giustizia, messi a punto per l’inaugurazione del nuovo anno giudiziario (domani la cerimonia in Cassazione). Dati che - pur nel bailamme dei diversi criteri di rilevazione - sono incontrovertibili: quasi 9 milioni di processi pendenti; sette anni la durata media di una causa civile, cinque quella del processo penale; 128.531 le prescrizioni; 66mila i reclusi nelle patrie galere, rispetto a 48mila posti disponibili. Nella sostanza, nulla di nuovo. La malagiustizia ci costa 1 punto percentuale di Pil, i tempi lunghi delle controversie commerciali (1.210 giorni in Tribunale) ci collocano tra i 20 Paesi peggiori dei 185 analizzati dal rapporto Doing Business della Banca mondiale e allontanano gli investimenti tanto quanto il proliferare della corruzione, che pesa sull’economia per 70 miliardi e per 1.000-1.500 euro su ogni cittadino, come tassa occulta. Il ministro della Giustizia Paola Severino, però, è ottimista sul futuro, certa che le misure seminate daranno frutti nel medio-lungo periodo e che ci sarà continuità con la politica giudiziaria intrapresa. All’est e-ro raccoglie molti apprezzamenti, ma anche preoccupazioni. “E adesso che succederà?” è la domanda ricorrente. I programmi elettorali sulla giustizia (là dove ci sono) sembrano però improntati più alla discontinuità. Come nel caso della storica riforma dei Tribunalini, essenziale per l’efficienza della giustizia. In passato, nel capitolo “tempi lunghi” dei processi c’era sempre un riferimento alla riforma della geografia giudiziaria. Ora che è stata varata e si tratta solo di attuarla, prevale apertamente l’approccio critico. La riforma viene rilanciata ma in versione “corretta” rispetto all’attuale. Il Pd lo dice espressamente, proponendo di riaprire la partita su Tribunali e Procure soppressi. Il Pdl non la cita nel programma, ma fa fede quanto ha cercato di fare in Parlamento per rinviarne l’operatività. Ricominciare da zero significherebbe archiviarla, mentre ci sarebbe bisogno di un impegno - anzitutto politico - per garantirne la rapida attuazione. Sulla corruzione, il leit motiv è invece quello di “una nuova legge”. Mario Monti - che come capo del Governo chiese tre volte la fiducia in Parlamento, rinunciando a rafforzare il testo e a misurarsi con la sua maggioranza, in particolare con i veti del Pdl - ora dice addirittura che la legge “si è rivelata del tutto insufficiente”. Perciò promette di “completarla”, di rivedere il falso in bilancio, di introdurre il reato di autoriciclaggio e, naturalmente, una nuova disciplina della prescrizione per allungarne i termini, cioè la vera priorità inutilmente sollecitata finora da magistrati e organismi internazionali per una lotta efficace alla corruzione. Non a caso, la percentuale più alta delle prescrizioni, in Cassazione, riguarda i reati dei colletti bianchi. Di riforma parlano sia il Pd che Rivoluzione civile (Ingroia), prendendo nettamente le distanze dalla “ex Cirielli” (che dal 2005 ha dimezzato i tempi di prescrizione) per sostituirla con un altro sistema di calcolo. Obiettivo mancato dal centrosinistra nel 2008, che ora ci riprova. Sempre che abbia i numeri per farlo. Con Monti e Ingroia ci sarebbe convergenza, non con il Pdl. Nei 13 punti del programma berlusconiano, infatti, non si parla né di corruzione né di prescrizione ma piuttosto si punta (ancora una volta) su separazione delle carriere, modifica della responsabilità civile dei magistrati, limiti alle intercettazioni, inappellabilità delle sentenze di assoluzione. C’è però il carcere, e la ricetta è più lavoro ai detenuti e meno custodia cautelare, visto che il 40% dei clienti delle prigioni è in attesa di giudizio. L’emergenza penitenziaria sarà anche al centro dell’anno giudiziario, sia per il ricorso troppo frequente al carcere da parte dei magistrati sia per una legislazione che ha via via ampliato l’arresto obbligatorio e che è frutto delle politiche leghiste sulla sicurezza. Perciò il Pdl, che con la Lega deve fare i conti, non si sbilancia sulle misure alternative alla detenzione (demonizzate dal Carroccio), la via maestra per ridurre il sovraffollamento e la recidiva, imboccata dalla Severino. Monti dice di voler continuare su questa strada e altrettanto fa il Pd in modo inequivoco. Senza escludere che, insieme a riforme strutturali, possa anche arrivare un’amnistia. Ci sta anche Ingroia, purché limitata a reati minori. Giustizia: il carcere non può essere fuori legge di Adriano Sansa (Magistrato) Famiglia Cristiana, 24 gennaio 2013 Siamo stati condannati, noi italiani, e pagheremo di tasca nostra 100 mila euro per avere inflitto, secondo quanto attesta la Corte di Strasburgo, un trattamento inumano e degradante a sette detenuti nelle nostre carceri. Meno di tre metri quadrati a testa, avevano a disposizione, E quello è il nostro primato” condiviso con la Serbia, in Europa: 148 detenuti per 100 posti, contro i 99 della media europea. Altre 500 cause pendono, altre centinaia arriveranno. Spenderemo così quel denaro che abbiamo finora lesinato - da ultimo tagliato ulteriormente ai fondi per il lavoro dei detenuti nel dicembre scorso - per mettere umanità e decenza nelle carceri e sostenere le misure alternative con i loro ottimi frutti; torna, per loro effetto, al crimine solo la metà di quanti vi ricadono dopo il carcere. Ripenso a tutto questo mentre corro in macchina intorno al muro di cinta del carcere di Marassi a Genova, uno dei peggiori d’Italia per sovraffollamento. Ma non ho voglia di pensare a ciò che in concreto vi avviene in quel preciso momento: promiscuità soffocante, scontro di corpi, di odori e umori, impassibilità di muoversi, esasperazione, violenza fisica e sessuale, Grande disagio del personale, impedito nell’azione rieducativa, spinto dai fatti alla ruvidità e alla perdita di fiducia. Eppure tutto si lega. La giustizia è accettabile se si muove nell’ambito delle leggi, in ogni sua fase. Il carcere, misura estrema, non può essere fuori della legge. Se lo è, fa perdere legittimità all’intero sistema penale, anzi allo statuto della cittadinanza e dei diritti. Tanti anni fa avevo provato a dire che per gli stessi giudici diventa arduo pronunciare condanne sapendo che la loro esecuzione avverrà fuori della legalità e dell’umanità. Ne era nata una vivace polemica, avevo sperato che un pò servisse. A ogni amnistia, del resto, si prometteva di cambiare. Ora abbiamo un anno per rimediare, dice la Corte: assai poco per tanta opera, da cominciare quindi immediatamente. Sono passate due settimane, nessuno dei candidati ne parla. Giustizia: in 30 mila al voto, Circolare Dap sull’esercizio del diritto elettorale dei detenuti di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 24 gennaio 2013 Il dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha posto le basi per rendere effettivo un diritto, quello di voto, non sempre adeguatamente garantito negli istituti di pena italiani. Con circolare numero 4 del 7 gennaio 2013, divulgata nei giorni scorsi a tutti i provveditori dell’amministrazione penitenziaria, si è ribadita la procedura utile a fare votare, i prossimi 24 e 25 febbraio 2013, quei detenuti che non abbiano perso il godimento dei diritti civili e politici. Si rammenta che “le modalità per esercitare l’elettorato attivo da parte delle persone recluse sono state disciplinate con legge 23 aprile 1976, n. 136, e in particolare, dagli articoli 8 e 9 secondo cui il diritto di voto è in concreto subordinato all’iscrizione nelle liste elettorali del comune presso cui è ubicato l’istituto penitenziario di assegnazione, previo rilascio da parte del sindaco (del comune di iscrizione elettorale) dell’attestazione di avvenuta inclusione nell’apposito elenco. È inoltre necessaria l’esibizione della tessera elettorale permanente (quello che un tempo era il certificato elettorale) istituita ai sensi del dpr 8 settembre 2000, n. 299”. I provveditori regionali vengono invitati a verificare che in ciascun carcere “tutti i detenuti aventi diritto al voto abbiano ricevuto la tessera elettorale, impartendo altresì le opportune disposizioni affinché le direzioni provvedano, per quanti non l’abbiano ancora ricevuta, a richiederne un duplicato ai competenti Uf-fi ci elettorali. Si procederà, inoltre, a verificare che siano predisposte tutte le misure utili a garantire il regolare esercizio di tale diritto”. Altro tema sollevato è quello della informazione circa le concrete modalità di svolgimento e di partecipazione al voto. Non può bastare una generica affissione dell’orario o dei manifesti recanti la indicazione delle liste, bensì va sensibilizzata tutta la popolazione detenuta alla circostanza che dispone di un diritto politico essenziale in una democrazia. Dal numero degli effettivi votanti si capirà quanto l’informazione abbia funzionato e quanta solerzia vi sia stata nella raccolta dei certificati elettorali ci sia stata. Va ricordato che i detenuti essendo in prigione hanno poche chance di procurarsi la tessera elettorale. C’è bisogno necessariamente della mediazione istituzionale. Va ricordato che non tutti i detenuti possono votare. L’articolo 28 del codice penale prevede che il condannato può essere privato del diritto di elettorato attivo e passivo e di ogni altro diritto politico. L’interdizione può essere temporanea qualora la pena inflitta abbia una durata non inferiore a un anno né superiore a cinque anni oppure perpetua qualora consegue alla pena dell’ergastolo e alla reclusione non inferiore a cinque anni. Nel tempo ci sono state varie proposte di riforma di questa norma col tentativo di estenderne la portata. La questione ha avuto anche un impatto europeo, infatti si è costruito un braccio di ferro tra la Corte europea dei diritti umani e il Regno Unito, fermo nel non voler cambiare la propria legislazione restrittiva. Guardando alla composizione della popolazione detenuta italiana più o meno 30 mila persone hanno il diritto di voto. Giustizia: Grasso (Pd); amnistia sarebbe insufficiente, per le carceri è pannicello caldo Adnkronos, 24 gennaio 2013 “Se l’amnistia potesse risolvere davvero il problema del sovraffollamento, direi di sì ma l’amnistia interviene su una tipologia di reati per i quali non è prevista la detenzione. L’Europa ci ha intimato di ridurre la popolazione carceraria di 20.000 detenuti in un anno. Ma senza interventi organici, non è pensabile superare un problema così esteso con provvedimenti parziali e occasionali. I pannicelli caldi non servono”. Lo ha dichiarato Pietro Grasso, capolista del Pd al Senato nel Lazio, ospite di “Adnkronos Confronti”. Giustizia: Amnesty; Ingroia e Boldrini (Sel) firmano nostro appello, noi partigiani di diritti Dire, 24 gennaio 2013 “Carissimi amici di Amnesty Italia, vi ringrazio per questa vostra iniziativa, i cui temi sono di fondamentale importanza per il futuro del nostro Paese. Ho firmato con convinzione il vostro appello, e qui di seguito potete trovare le mie risposte alle 10 domande sul rispetto dei diritti umani, che sono fra le priorità del programma di Rivoluzione civile”. È quanto scrive il leader di Rivoluzione civile, Antonio Ingroia che oggi ha firmato l’appello-decalogo sui diritti umani di Amnesty International Italia “Ricordati che devi rispondere” rivolto a tutti i candidati a premier alle prossime elezioni politiche. 1. Garantire la trasparenza delle forze di polizia e introdurre il reato di tortura. La legalità deve essere rispettata sempre e da tutti. Introdurre sia meccanismi che agevolino la trasparenza nell’operato delle Forze dell’ordine sia il reato di tortura è necessario ed è anche nell’interesse di chi, con grande sacrificio, difende ogni giorno la legalità. 2. Fermare il femminicidio e la violenza contro le donne. In questi anni abbiamo assistito alla crescita di una devastante cultura sessista. Dobbiamo contrastare con ogni mezzo la violenza contro le donne sul piano della prevenzione, ma non basterà se non sapremo rivoluzionare i criteri culturali diventati egemoni in questi decenni. 3. Proteggere i rifugiati, fermare lo sfruttamento e la criminalizzazione dei migranti e sospendere gli accordi con la Libia sul controllo dell’immigrazione. Una delle colpe più gravi di cui si è macchiato il governo Berlusconi è l’accordo che concedeva alla Libia una licenza di uccidere purché tenesse gli immigrati lontano dalle nostre coste. Quegli accordi devono essere denunciati. La politica dei respingimenti va respinta una volta per tutte. 4. Assicurare condizioni dignitose e rispettose dei diritti umani nelle carceri. Se la civiltà di un Paese si vede dalle condizioni delle sue carceri il nostro è incivilissimo. Questa situazione è in buona parte conseguenza di alcune leggi sciagurate varate dai governi Berlusconi. Vanno radicalmente modificate, con la depenalizzazione di molti reati minori. 5. Combattere l’omofobia e la transfobia e garantire tutti i diritti umani alle persone Lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate) Anche la lotta contro l’omofobia è una questione di ordine tanto culturale quanto penale. Noi siamo favorevoli all’introduzione di quelle aggravanti che la destra ha sempre bocciato, ma riteniamo che combattere l’omofobia voglia dire anche garantire ai gay e alle lesbiche la possibilità di sposarsi, adottare figli e accedere a tutti i diritti legali. 6. Fermare la discriminazione, gli sgomberi forzati e la segregazione etnica dei rom. I rom sono stati spesso un comodo capro espiatorio per la rabbia dei cittadini di fronte ad una condizione di insicurezza che era invece conseguenza di politiche sbagliate e fondi insufficienti per le Forze armate. Questa tendenza va invertita sia con fondi adeguati per la sicurezza sia puntando su modelli lungimiranti di assistenza. 7. Creare un’istituzione nazionale indipendente per la protezione dei diritti umani. È un’ipotesi senz’altro interessante, a patto che non si trasformi nell’ennesimo carrozzone costosissimo e utile solo a distribuire consulenze e prebende. È necessario valorizzare il ruolo delle associazioni e delle Organizzazioni non governative per garantire il rispetto dei diritti umani. 8. Imporre alle multinazionali italiane il rispetto dei diritti umani. In molti Paesi la globalizzazione ha comportato violazioni clamorose dei diritti umani, in particolare ai danni dei soggetti più deboli, primi fra tutti i bambini. Gli Stati dovrebbero usare tutti i mezzi a loro disposizione per fermare questo scempio. 9. Lottare contro la pena di morte nel mondo e promuovere i diritti umani nei rapporti con gli altri stati. Per chi, come Rivoluzione Civile, si considera partigiano della Costituzione occorre adoperarsi per garantire il rispetto dei suoi principi in tutto il mondo. Per noi è un dovere. E tra questi c’è il rifiuto della pena di morte e una concezione della condanna carceraria non vendicativa ma finalizzata alla risocializzazione. 10. Garantire il controllo sul commercio delle armi favorendo l’adozione di un trattato internazionale. Non solo sono d’accordo, ma credo che, oltre a favorire i trattati internazionali, si debba vigilare sul commercio di armi da parte delle industrie italiane con la stessa severità con cui si fronteggia la criminalità organizzata. Boldrini (Sel): aderisco ad appello Amnesty International Dal femminicidio alle carceri, dai rifugiati all’omofobia: l’Italia è un paese in cui ampie fasce di popolazione corrono il rischio di violazioni dei diritti. Per questo sottoscrivo con convinzione “Ricordati che devi rispondere”, la campagna lanciata da Amnesty International”. Lo afferma Laura Boldrini, ex portavoce dell’Agenzia Onu per i Rifugiati, oggi capolista alla Camera dei Deputati di Sinistra Ecologia Libertà in Sicilia e nelle Marche. “I dieci punti contenuti nel documento che Amnesty sta sottoponendo ai leader delle coalizioni e ai candidati - aggiunge - fanno già parte del mio bagaglio culturale, dell’esperienza maturata in quasi venticinque di lavoro in favore dei più deboli e per il rispetto dei diritti umani. Temi che, adesso, metto al centro dell’impegno politico e che, se sarò eletta, spero di portare in Parlamento”. “Ringrazio Amnesty International - conclude Boldrini - per tutto quello che fa e per aver dato vita a questa iniziativa, ricordandoci che nel nostro paese bisogna tenere alta la guardia sul rispetto dei diritti umani. Credo che per ogni parlamentare italiano dovrebbe essere un imperativo civico assumersi questi impegni”. Giustizia: Ilaria Cucchi; mi sono candidata con Ingroia, per dare senso nuovo alla politica Dire, 24 gennaio 2013 “In passato ho votato Fini. Ho sempre avuto grande stima per Fini e lui non ha mai deluso le mie aspettative, tenendo sempre desta l’attenzione sulla vicenda di mio fratello. A deludermi sono stati tutti i politici di questi anni, lontani dal mondo reale”. Così Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, il giovane deceduto mentre si trovava in stato di detenzione, candidata alla Camera nelle Liste di Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia, intervenuta questa mattina ai microfoni di Radio Città Futura. “Occorre un radicale cambiamento - ha detto ancora Ilaria Cucchi - noi arriviamo adesso e non possiamo essere accusati di niente. Possiamo dare molto: siamo persone normali, che con il loro impegno vogliono dare un senso nuovo alla politica”. Ilaria Cucchi, ha poi spiegato cosa l’ha spinta all’impegno politico: “Sono una libera professionista, una madre, di fede cattolica, una persona normale come tante, che ad un certo punto si è resa conto che in questo paese gli ultimi non sono e non saranno mai uguali ai primi. L’ho capito, soprattutto entrando a contatto a seguito della vicenda di mio fratello, con la realtà delle carceri. Sono delle vere e proprie discariche sociali sulle quali dobbiamo portare attenzione”. Cosa farà in Parlamento se eletta? “Mi impegnerò innanzitutto per una legge sulla tortura e poi lotta alla corruzione e riforma della giustizia nella direzione degli interessi dei cittadini, dei più deboli. Non sempre nelle aule di giustizia ad emergere è la verità”. Giustizia Beneduci (Osapp); amnistia e lavoro per i detenuti… da qui parte la rivoluzione Ansa, 24 gennaio 2013 “Nella XVI legislatura, in Parlamento e in particolare nelle compagini del Pdl e del Pd sostenitrici del Governo Monti, sono prevalsi il disinteresse e la volontà di contenere, più che risolvere, le gravi condizioni di sofferenza negli istituti di pena”: lo dice Leo Beneduci, già segretario dell’Osapp (sindacato autonomo di polizia penitenziaria) e ora candidato al Senato, nel Lazio, per la Lista Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia. “Se il lavoro e la giustizia per tutti sono tra i principi basilari della nostra democrazia - dice Beneduci - tali presupposti non potranno realizzarsi se nel nuovo Parlamento continueranno a negarsi la prepotente emergenza e l’attuale grado di inciviltà delle carceri italiane e le esigenze di sicurezza dei cittadini garantite solo dalla piena e non parziale operatività delle Forze di Polizia”. “L’amnistia, l’istituzione di una Bicamerale sui problemi della giustizia e la rieducazione del detenuto, con il potenziamento del lavoro all’esterno del carcere ad attuazione dell’articolo 27 della Costituzione: questi sono i primi tre punti dell’agenda della prossima Legislatura per Rivoluzione Civile - ad affermarlo è Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Polizia Penitenziaria), nonché capolista al Senato per il Lazio nella lista di Antonio Ingroia, che commenta a caldo le prime indiscrezioni sulla relazione dell’anno giudiziario che ha consegnato il Ministro della Giustizia Severino. “Da una prima lettura dei dati che ci interessano - spiega il candidato di Rivoluzione Civile - il Guardasigilli parla di problematiche che lei stessa dice di aver tentato di aggredire, e che sono poi sempre quelle. Sì, i detenuti sono calati in un anno, ma se guardiamo ai dati non resi, quelli che pesano, - spiega Beneduci - le carceri stanno lì a marcire e ci sono buchi di bilancio: come quelli per il piano edilizia mai ultimato (500 milioni di euro); o la voragine dei 117 milioni di euro, spesi per il rinnovo della fornitura di braccialetti elettronici non funzionanti, di cui nessuno parla, ma che gravano comunque. Ci vuole altro: probabilmente un progetto rivoluzionario - attacca infine Beneduci. Propongo adesso l’amnistia, come difesi l’indulto nel 2006, e la metto al primo punto del progetto rivoluzionario di Ingroia. È innegabile, infatti, che per riformare la Giustizia sia necessario azzerare e ripartire, utilizzando un binario unico e rapido, come la Bicamerale, per discutere e approvare le riforme sui temi proposti”. Giustizia: intervista a Donato Capece (Sappe); la Polizia penitenziaria è stata abbandonata di Monica Gasbarri www.clandestinoweb.com, 24 gennaio 2013 La situazione nelle carceri italiane è sempre più drammatica: l’Italia viene condannata dall’Europa per il sovraffollamento e per la violazione dei diritti umani che ogni giorno si consumano all’interno delle nostre prigioni, di fronte alla generale indifferenza della politica che, salvo rare eccezioni rappresentate ad esempio dal Partito Radicale, non sente l’urgenza di inserire questa quotidiana vergogna nella propria agenda politica. Spesso però ci si dimentica di considerare l’altra faccia della medaglia, rappresentata dalla popolazione della Polizia Penitenziaria che, come denuncia il Sappe, è sempre più esigua. Clandestinoweb ha intervistato Donato Capece, il segretario generale del Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria, che ha spiegato quali sono le ragioni della protesta che solo mercoledì è sfociata nell’ennesima manifestazione contro il Dap. Ieri protesta davanti al Dap quali le motivazioni? Noi protestiamo contro il sovraffollamento, contro la grave carenza di organico. La Polizia Penitenziaria è completamente abbandonata a se stessa e l’unico progetto che è stato messo in piedi dall’Amministrazione Penitenziaria guidata da Giovanni Tamburino e Luigi Pagano è quello della Vigilanza Dinamica, che però noi rispediamo al mittente. Di cosa si tratta? Si tratta di un progetto che noi contestiamo che prevede che la Polizia Penitenziaria non sia presente fisicamente nella fase di controllo dei detenuti che sono lasciati liberi di gestirsi, mentre gli agenti controllano lo svolgimento della vita all’interno del carcere attraverso un sistema di videosorveglianza. In cosa non vi convince questo progetto? Contrasta con l’articolo 387 del Codice Penale che sancisce la responsabilità del custode. Se l’amministrazione e la sicurezza vogliono abdicare, non immischino la Polizia penitenziaria. Per questo chiediamo l’avvicendamento dei vertici del Dap. Le carceri esplodono, le condizioni di vita dei detenuti violano i diritti umani fondamentali, quali quelle delle polizia penitenziaria? Abbiamo più volte chiesto misure alternative alla detenzione e riforme strutturali del sistema carcerario a partire dalla depenalizzazione dei reati e dalla creazione di circuiti penitenziari. Con una modifica della struttura stessa delle carceri si può dare maggiore vivibilità. Invece continuano a crescere i detenuti a fronte di una diminuzione della polizia penitenziaria, mentre continuano a mancare figure addette al recupero e all’assistenza. In campagna elettorale, eccezion fatta per i Radicali, non si parla di emergenza carceri. Lei cosa ne pensa? Mi auguro che tutti i partiti inseriscano nella loro agenda un problema che quasi nessuno vuole affrontare. Il carcere deve servire al recupero e al reinserimento sociale, non può essere considerato come un ammasso di persone senza speranza, o una discarica. Un dirigente del Sappe, Di Giacomo, ha iniziato nelle scorse settimane uno sciopero della fame in segno di protesta. Come considera tale gesto? Sicuramente il suo gesto ha sensibilizzato l’attenzione della politica, tuttavia l’ho fatto recedere dalla sua posizione perché è una protesta che è meglio posticipare a dopo la campagna elettorale, quando ci sarà in carica il nuovo ministro che si dovrà occupare di attuare e riformare il nuovo sistema. Corona non sa quel che dice sulle carceri italiane… “Sulle carceri italiane Fabrizio Corona non sa quel che dice. Mi auguro che venga presto estradato in Italia a scontare la pena per la quale è stato condannato: si renderà così conto dell’alto livello di civiltà delle nostre carceri, nonostante l’endemico sovraffollamento, e dell’alta professionalità dei poliziotti penitenziari e di tutti gli operatori. Peraltro, potrebbe chiedere lumi al suo mentore Lele Mora, che ha scritto un libro proprio sugli angeli custodi della Polizia penitenziaria”. A dichiararlo è Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. “La questione penitenziaria è cosa seria ed importante, non materiale da gossip. È importante per il Paese conoscere il lavoro svolto dai poliziotti penitenziari, è importante che la Società riconosca e sostenga l’attività risocializzante della Polizia Penitenziaria e ne comprenda i sacrifici sostenuti per svolgere tale attività, garantendo al contempo la sicurezza all’interno e all’esterno degli Istituti. Il nostro Corpo è costituito da persone che nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio. Persone che lavorano ogni giorno, nel silenzio e tra mille difficoltà ma con professionalità, umanità, competenza e passione nel dramma delle sezioni detentive italiane. Altro che le fantasie di Corona.” Terni: detenuto marocchino si impicca in cella, è il terzo caso in Italia dall’inizio dell’anno Ansa, 24 gennaio 2013 Un detenuto marocchino di 56 anni, ospitato da settembre nella sezione “protetti” del carcere di Terni, si è impiccato legando il lenzuolo alla grata che chiude la finestra della cella. Lo hanno trovato alle otto di stamattina. Era sottoposto ad un’ordinanza di custodia cautelare per violenza sessuale e non aveva mai creato problemi all’interno della struttura carceraria. Un detenuto molto tranquillo, schivo, che non aveva mai esternato situazioni di disagio. Il suo comportamento è sempre stato lineare. Nessun problema era mai emerso con gli assistenti sociali, con cui aveva stabilito una buona relazione. La denuncia “Secondo i dati in nostro possesso - afferma Leo Beneduci, già segretario generale del sindacato autonomo della polizia penitenziaria Osapp e ora candidato al Senato per la lista Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia - si tratterebbe del 12esimo morto in carcere, il terzo per suicidio, dall’inizio dell’anno ed è, quindi, la conferma di una situazione detentiva nelle nostre carceri che va peggiorando di giorno in giorno, in termini di sovraffollamento”. Il comandante della polizia penitenziaria, Fabio Gallo in occasione dell’annuncio dell’apertura di un nuovo padiglione, che ospiterà altri 200 detenuti oltre ai 350 già presenti nella struttura ternana, aveva recentemente messo in risalto la situazione critica del carcere ternano: “Il numero degli agenti; sono 180 unità divise in 3 turni, alle quali se ne dovrebbero aggiungere altre 34, rispetto alle 88 richieste; non è al momento adeguato a garantire la sicurezza e, purtroppo, la stessa incolumità dei detenuti”. Il sindacato Francesco Petrelli (vicesegretario regionale del sindacato Ugl polizia penitenziaria) commenta così la notizia: “Si tratta dell’ennesimo episodio che fa emergere il dramma del carcere di Terni, struttura strozzata da un sovraffollamento che produce condizioni poco consone per la tutela e la dignità dei detenuti”. Sassari: carcere di San Sebastiano a costante rischio di crolli, una parte è inagibile e chiusa Agi, 24 gennaio 2013 Il carcere di San Sebastiano a Sassari è a costante rischio crolli e una parte è chiusa perché inagibile. È solo uno dei tanti problemi della casa circondariale sassarese denunciati stamane da Maria Isabella Puggioni e Irene Testa, candidate al Senato e alla Camera per la lista Amnistia giustizia e libertà alle prossime elezioni politiche. San Sebastiano è stato definito “una delle maggiori vergogne italiane”, e se i detenuti facessero ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, hanno detto le esponenti radicali, i risarcimenti sarebbero molti. L’incontro con la stampa si è tenuto all’esterno del carcere, dove abitualmente i familiari dei detenuti attendono per i colloqui. Nel piccolo spiazzo è stata di recente installata una pensilina che però è insufficiente nei giorni di pioggia e vento e costringe ad attendere in condizioni precarie. Il San Sebastiano conta un’alta percentuale di tossicodipendenti e affetti da patologie psichiatriche, non adeguatamente seguiti a causa della carenza di personale. Da tempo è in costruzione il nuovo carcere di Sassari, nella borgata di Bancali, ma non c’è ancora una data certa sulla sua apertura. Mantova: sottratti soldi e forniture per carcere; indagati direttore, ragioniere ed economa La Gazzetta di Mantova, 24 gennaio 2013 C’è una seconda inchiesta della procura sul carcere che sembra legata a filo doppio alla presunta gestione truffaldina della contabilità di via Poma. È quella sull’incendio divampato il 15 ottobre al primo piano della Casa circondariale. L’ufficio dove era divampato il rogo, riaperto dopo mesi di chiusura con i sigilli della procura, è stato ispezionato dai carabinieri di via Chiassi e in seguito dagli specialisti del Ris di Parma, dotati di attrezzature sofisticate. L’incendio aveva distrutto un divano e un armadio, ma soprattutto molte carte. Compito del magistrato anche quello di ricostruire il contenuto dei documenti andati perduti. Tra le ipotesi investigative, quella secondo cui l’incendio sarebbe stato provocato per far sparire almeno in parte le prove di irregolarità contabili. L’inchiesta è stata aperta all’indomani dell’incendio, quando la relazione dei vigili del fuoco è finita in Procura, sul tavolo del magistrato di turno. Il rapporto aveva escluso la possibilità che l’origine del rogo fosse accidentale. In questa inchiesta non ci sarebbero ancora nomi di indagati Che fine hanno fatto i soldi spariti per anni dalle casse della casa circondariale di via Poma? Chi li ha intascati, e con quali complicità? E soprattutto, quanti sono? Se il buco stimato agli esordi della bufera giudiziaria che nei primi mesi del 2011 s’è abbattuta sulla casa circondariale di via Poma sfiorava il milione, ora la procura s’è fatta un’altra idea: che l’ammanco possa essere anche molto più corposo. Ed è per questo che a giorni il sostituto procuratore Silvia Bertuzzi darà a un consulente l’incarico di stabilire l’esatto ammontare di tutto ciò che negli ultimi anni è stato sottratto all’amministrazione carceraria di via Poma, sia in termini di denaro che di forniture - sempre secondo le ipotesi di accusa - pagate dal carcere e mai arrivate a destinazione. Un lavoro imponente che richiede grande esperienza, e non solo in materia di semplice ragioneria ma di contabilità carceraria. Insomma, quello che si appresta a incaricare la procura di via Poma sarebbe una sorta di super esperto. Dall’ufficio ragioneria del carcere, dove lavora un nuovo staff dopo la rimozione dall’incarico del capo contabile e della sua assistente, entrambi finiti nella rosa degli indagati, continuerebbero ad arrivare segnali di anomalie contabili commesse nel passato per coprire ammanchi e distrazione di fondi. E mentre sembra prendere corpo con sempre maggiore precisione quello che è stato il reale danno provocato all’amministrazione penitenziaria - e agli stessi detenuti, in veste di utenti finali del servizio - il registro degli indagati si arricchisce di nomi. Ai primi tre indagati (per i quali è stata avanzata l’ipotesi di reato di peculato e abuso d’ufficio), l’ex direttore della casa circondariale Enrico Baraniello, il ragioniere capo Gaetano Malaspina e l’economa Anna Santoro, si sono aggiunti negli ultimi mesi quelli di alcuni fornitori di merci e servizi, il cui nome al momento resta secretato. L’inchiesta giudiziaria, affidata ai carabinieri del nucleo investigativo di via Chiassi, è nata due anni fa a seguito di tre diverse ispezioni dei funzionari del Provveditorato lombardo dell’amministrazione penitenziaria che avevano rilevato difformità nella tenuta contabile. Nei movimenti di bilancio degli ultimi anni ci sarebbero forniture di materiali e servizi, regolarmente pagati dalle casse del carcere ma che in via Poma non si sarebbero mai viste. Negli anni sarebbero spariti derrate alimentari riservate alla mensa dei detenuti, impianti elettronici e altri strumenti destinati alla gestione del carcere. L’assessore: a via Poma servono fondi Celle sovraffollate, condizioni igieniche oltre la soglia di rischio, un altissimo pericolo di contrarre malattie, un ambiente ridotto a luogo di semplice punizione anziché rieducazione. A pochi giorni dalla condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani per le condizioni disumane delle sue carceri, due rappresentanti del mondo della politica e delle istituzioni hanno visitato la casa circondariale di via Poma. Ieri mattina, per due ore, l’assessore provinciale alla coesione sociale Elena Magri e il consigliere provinciale Franco Tiana (entrambi candidati in questa tornata elettorale per Sinistra, Ecologia e Libertà, la prima per la Camera, il secondo per la Regione) hanno incontrato vertici e personale del carcere. “Non siamo entrati in via Poma solo per toccare con mano le criticità della casa circondariale - ha spiegato Tiana - ma per vedere cosa poter fare come Provincia a favore di detenuti e agenti. I problemi sono i soliti: spazi inadeguati per 179 detenuti, quando il limite di capienza tollerabile è 180, che li vede stretti fino a dieci in una cella. E poi le condizioni sanitarie, la carenza di docce, la mancanza di carta igienica e di prodotti per la pulizia dovuta ai tagli lineari del governo”. “Qual è la cosa che serve di più al carcere? L’attività sportiva - osserva l’assessore Magri - dalla Provincia basterebbe un contributo di qualche migliaio di euro. Poi c’è l’attività culturale. A due passi, in Provincia, c’è una fornita biblioteca in lingua che potrebbe implementare quella del carcere. Ma non dimentichiamo che tra le problematiche del carcere c’è anche il personale, da anni sotto organico”. Pescara: Uil-Pa; ieri sit-in protesta contro l’apertura del reparto penale presso il carcere www.rete5.tv, 24 gennaio 2013 Si è tenuto nella giornata di ieri, dinanzi la sede del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione penitenziaria, il sit-in di protesta indetto della Uil penitenziari quale contrasto all’apertura del reparto penale presso il carcere di Pescara, utilizzando le linee guida fissate dall’Amministrazione penitenziaria. Il nuovo reparto, che in conseguenza della sua apertura prevista per il 27 gennaio raddoppierà di fatto il numero di detenuti portandoli dagli attuali 200 a 400 e che prevede l’utilizzo di sole 12 unità di polizia penitenziaria per di più provenienti dalle già deflazionate piante organiche gli istituti quali Teramo, Sulmona e Lanciano, è stato contestato soprattutto nei numeri, atteso che accorcerà le coperte già corte dei citati istituti di pena ed anche in considerazione del fatto che 12 unità di polizia penitenziaria per 200 detenuti in più ci sembrava davvero impossibile da accettare. Il Provveditore Bruna Brunetti ha accolto una delegazione rappresentata oltre che dal Segretario regionale Giancola Giuseppe, dal Provinciale dell’Aquila Mauro Nardella, di Chieti Di Giovanni Ruggero, di Teramo Paolo Lezzi e di Pescara Valdino Franchi. Nel corso della riunione il Provveditore ha più volte ribadito il fatto che il penale, la cui struttura è pronta dalla primavera scorsa, andrà aperta perché così ha stabilito il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria pur non avendo ottenuto le 35 unità richieste dal provveditorato stesso sfruttando l’uscita dai corsi a giugno e settembre 2012 dei neo agenti. La Uil esce dall’incontro parzialmente soddisfatta considerato che saranno da subito 15 le unità di polizia penitenziaria da assegnare all’istituto pescarese per poi raggiungere quota 24 entro febbraio. Le stesse saranno equamente prelevate dagli istituti di pena di Vasto, Teramo, Chieti, Sulmona e l’Aquila e questo al fine di pesare il meno possibile sull’economia degli stessi: Gli uomini e le donne della Pol Pen, che faranno richiesta a titolo volontario e senza oneri a carico dell’amministrazione, saranno inviati presso la C.C. di Pescara in regime di distacco e con un criterio che prevede la rotazione di tutti gli aventi diritto ad intervalli di tre mesi - spiega Nardella. Il tutto in attesa che il Dipartimento, in occasione della fuoriuscita dai corsi dei neo agenti prevista per giugno, invii nuovo personale al fine di raggiungere le 35 unità richieste dal provveditorato. Al fine di non rendere il carico di lavoro insostenibile il provveditore ha altresì affermato che presso il reparto penale al secondo piano saranno ubicati detenuti con fine pena non superiore ai due anni mentre al piano terra saranno assegnati esclusivamente detenuti lavoranti. Onde compensare il venir meno delle unità dagli istituti e che saranno interessati dal prelievo degli agenti il provveditore ha espresso l’intenzione di rivedere la distribuzione delle ore di straordinario aumentandone il numero. Nel decorso dell’incontro la dr.ssa Brunetti ha confermato quanto detto già in precedenza circa la ridisegnazione dei circuiti penitenziari. Si avrà quindi la trasformazione della C.R. di Sulmona in carcere di massima sicurezza. In essa saranno custoditi solo detenuti ad alta sicurezza e chiusa sarà la casa lavoro tra l’altro più volte richiesto dalla Uil penitenziari perché ritenuta incompatibile. La casa lavoro tuttavia non abbandonerà i confini regionali. La stessa, infatti, traslocherà in quel di Vasto il cui carcere quindi vedrà ubicati esclusivamente Internati. Un’importante presa di posizione il Provveditore, sempre su sollecitazione della Uil penitenziari, l’ha avuta sulla questione dei ricoveri ospedalieri e che trovano nel repartino penitenziario di Sulmona, vista l’enorme difficoltà da sempre dimostrata in fatto di sicurezza e salubrità oltre che di ordine e disciplina, un vero e proprio tallone d’Achille. Il Provveditore, che sentirà in merito il direttore generale dell’Asl Avezzano/Sulmona Silveri, ha paventato l’idea di concentrare sull’ospedale di Pescara ospedale il futuro ricovero dei detenuti. In conseguenza della disponibilità dimostrata dalla Brunetti e dell’elevata considerazione data alle nostre richieste la Uil penitenziari riallaccia le relazioni sindacali precedentemente sospese”. Forlì: Di Maio (Pd); un nuovo carcere entro il 2015? vigileremo su impegno del ministero Dire, 24 gennaio 2013 Dopo continui ritardi e contrattempi che hanno frenato i lavori per la realizzazione del nuovo carcere di Forlì, nei giorni scorsi il ministero ha garantito che la prima parte dei lavori, ormai deliberati da tempo, terminerà entro il 2015. Non molla la presa il segretario e candidato alla Camera del Pd forlivese, Marco Di Maio: “Mi auguro che i tempi possano essere davvero rispettati e vigileremo affinché l’impegno venga rispettato nei tempi che sono stati promessi”. Se la nuova struttura garantirebbe più rispetto per i diritti dei detenuti in linea con gli standard imposti dall’Europa, Di Maio ricorda che “alcune settimane fa l’Unione europea ha condannato l’Italia a risarcire alcuni detenuti per la situazione di degrado ed inciviltà in cui erano stati costretti per scontare la loro pena, di cui, va ricordato, la Costituzione sancisce una primaria funzione rieducativa”. Dunque, il candidato forlivese si impegna già a contribuire ad abbattere la burocrazia che in Italia ostacola anche la ristrutturazione delle carceri: “Occorre impegnarsi per snellire la burocrazia in materia di lavori pubblici, intervento che consentirebbe, in tutti i settori, di favorire la possibilità di creare lavoro e dare fiato alle imprese, quanto mai in affanno in questo momento anche per la paralisi degli investimenti pubblici”. Avellino: Sappe; la “vigilanza dinamica” serve solo a delegittimare la Polizia penitenziaria avellino.ottopagine.net, 24 gennaio 2013 Il Sappe lancia una proposta per ridimensionare i problemi del penitenziario di Avellino. L’iniziativa è stata avanzata durante la conferenza stampa organizzata ieri mattina dal Sappe nel carcere di Bellizzi. I massimi rappresentanti del sindacato hanno puntato l’attenzione sulla vigilanza dinamica, che secono loro, serve a poco o niente per i detenuti del nuovo padiglione. In effetti i rappresentati del Sappe ritengono che i detenuti ristretti nel nuovo padiglione devono scontare pene minime per le quali possono essere applicate misure alternative (servizi sociali o domiciliari). In questo modo si creerebbero posti letto e forza lavoro, riuscendo a risollevare le inefficienze del carcere, almeno in parte. “La vigilanza dinamica dei penitenziari voluta per alleggerire l’emergenza carceraria è un vero flop - così ha esordito Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. Pensare a un regime penitenziario aperto, a sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità, favorendo un depotenziamento del ruolo di vigilanza della Polizia Penitenziaria, relegata ad un servizio di vigilanza dinamica, che vuol dire porre in capo ad un solo poliziotto quello che oggi lo fanno quattro o più agenti, a tutto discapito della sicurezza e mantenendo il reato penale della “colpa del custode”. Ebbene, tutto questo è fumo negli occhi”. “La realtà penitenziaria è che nelle carceri ci sono 45mila posti letto e nelle celle sono invece stipate 67mila persone; che la Polizia penitenziaria ha settemila agenti in meno, che i Baschi Azzurri non fanno formazione ed aggiornamento professionale. Come anche per le conseguenze di quell’effetto burnout dei poliziotti determinato dall’invivibilità di lavorare in sezioni detentive sistematicamente caratterizzate da eventi critici - suicidi, tentati suicidi, aggressioni, risse, atti di autolesionismo, colluttazioni”. “La circolare del Dap - prosegue Capece - è incredibilmente anacronistica, perché si rivolge ai detenuti con pene brevi da scontare che in tutta Europa scontano la pena fuori dal carcere. Dovrebbe essere così anche in Italia, e per questo dovrebbe lavorare l’amministrazione penitenziaria piuttosto che delegittimare la Polizia Penitenziaria e consegnare le carceri all’autogestione dei detenuti. Ci dicano come si fa il servizio dinamico nelle grandi carceri, ad esempio Napoli Poggioreale dove ci sono 2.800 persone in celle idonee ad ospitarne poco più di 1.500 e dove andrò questa mattina a portare la mia solidarietà e la mia vicinanza agli agenti del carcere, a Milano San Vittore che vede più di 1.600 detenuti stivati in celle per 700 posti o a Roma Regina Coeli, più di 1.000 presenze per 700 posti letto!”. Fin qui le affermazioni di Capace sulla situazione del carcere. Il segretario generale non si è limitato nel dire che il penitenziario di Avellino è in grande sofferenza con celle due metri per due e con un numero di agenti esiguo. Pensare che per quanto riguarda le emergenze igieniche sanitarie c’è al momento un solo agente che si occupa della gestione manutenzione dei locali. E per la sorveglianza notturna esterna un solo agente che con l’auto impiega una mezzora per fare il giro completo della struttura. Palermo: Consigliera Monastra chiede pensilina per attesa familiari detenuti Ucciardone Il Velino, 24 gennaio 2013 La consigliera comunale di Palermo, Antonella Monastra, ha chiesto al sindaco Leoluca Orlando, quale massima autorità sanitaria locale ed in qualità di rappresentante dello Stato, di predisporre una pensilina o uno spazio coperto per i familiari dei detenuti costretti a sostare in piedi per ore sui marciapiedi in attesa di effettuare i colloqui periodici all’interno della Casa Circondariale “Ucciardone”. Spiega Monastra: “È una richiesta che riguarda la tutela dei diritti fondamentali ed il rispetto della dignità dei detenuti. La rivolgo unitamente alla denuncia delle condizioni fatiscenti dei locali, del sovraffollamento e della carenza di personale penitenziario e sanitario che da tanto tempo viene segnalata ed avanzata dai detenuti stessi, dal Garante dei Diritti dei Detenuti, da politici ed associazioni di volontariato, ma che non ha avuto ancora alcuna risposta”. Grosseto: Cisl; detenuto picchia tre agenti penitenziari… condizioni minime di sicurezza Agi, 24 gennaio 2013 Tre agenti della polizia penitenziaria di Grosseto sono stati aggrediti questa mattina da un detenuto albanese che non voleva rientrare nella cella del carcere di via Saffi, nel capoluogo maremmano. Il detenuto si è scagliato improvvisamente contro i tre agenti che sono stati poi trasportati al pronto soccorso dell’ospedale Misericordia per le ferite. “Quanto avvenuto ripropone il tema della scarsa sicurezza che la Cisl Fns di Grosseto ha più volte segnalato ai vertici dell’Amministrazione Penitenziaria. Purtroppo capita che il Ministero, riguardo a Strutture come quella di Grosseto, dalle dimensioni contenute e con numeri chiaramente più piccoli di grandi realtà penitenziarie, non si mostri sempre attento, lasciando per troppo tempo il Reparto di questa Città sotto dimensionato nell’organico di Polizia Penitenziaria. Tale condizione determina spesso di operare in condizioni minime di sicurezza e basta, come in questo caso, una singola violenta iniziativa di un detenuto, per esporre ad immediati rischi il Personale in servizio. Anche per questi motivi la Cisl Fns di Grosseto rivendica da tempo una presa di coscienza dell’Amministrazione Penitenziaria e delle Istituzioni Tutte, affinché anche questa nostra realtà riceva la necessaria attenzione in occasione di assegnazioni di personale e di risorse economiche per la manutenzione della struttura e degli apparati di sicurezza”. Cagliari: Sdr; l’80enne Stefania Malu, nonnina di Buoncammino, ha ottenuto domiciliari Ristretti Orizzonti, 24 gennaio 2013 “Il prossimo 8 marzo compirà 80 anni nella sua casa di Cagliari anziché dietro le sbarre. Stefania Malu, la nonnina di Buoncammino, ha lasciato finalmente il carcere. Il peggioramento delle condizioni di salute hanno convinto il Magistrato di Sorveglianza a concederle il differimento della pena. Una decisione che restituisce l’anziana donna ai suoi familiari”. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, avendo appreso che è stata accolta l’istanza presentata dal legale Stefano Piras. “In particolare nelle ultime settimane, l’anziana donna aveva manifestato - afferma Caligaris - problemi respiratori che avevano destato viva preoccupazione tra gli operatori sanitari e le Agenti della Polizia Penitenziaria. Si erano inoltre accentuati i disturbi dell’umore, con crisi depressiva, e i tratti inequivocabili del principio di demenza senile con mancanza di memoria e stato confusionale. Più volte, parlando con i volontari dell’associazione SdR aveva manifestato profondo disagio anche per la preoccupazione di non vedere il figlio Casimiro di 52 anni non più autosufficiente”. Affetta da numerosi gravi disturbi tra cui cardiopatia ipertensiva, aneurisma dell’aorta addominale, ipercolesterolemia, dichiarata incompatibile fin dal 2009, quando aveva ottenuto per le condizioni di salute il differimento della pena, era stata nuovamente condotta in carcere nel giugno 2012 perché le sue condizioni di salute erano risultate discrete a una visita di controllo. La donna, che deve scontare una pena residua di circa 4 anni e 2 mesi con sentenza definitiva della Cassazione del giugno 2008, aveva fatto registrare anche un inizio di demenza senile nel corso di un accertamento diagnostico nel Reparto di Geriatria dell’ospedale Santissima Trinità. “La decisione del Magistrato - conclude la presidente di Sdr - chiude positivamente un capitolo che stava assumendo contorni paradossali per l’età della donna e le sue condizioni fisiche e psichiche ma anche per le caratteristiche di una struttura detentiva come Buoncammino. Un atto di giustizia che richiama l’attenzione sulla realtà della carcerazione in presenza di gravi malattie degenerative dovute all’età avanzata”. La vicenda di Stefania Malu era stata rappresentata anche al Capo dello Stato con la domanda di grazia inoltrata dal legale Stefano Piras convinto che le condizioni fisiche della donna, l’età avanzata, la situazione in cui si trova il figlio disabile e la distanza nel tempo del reato commesso possano permettere al Presidente della Repubblica di emanare un atto umanitario. Libri: “I giorni scontati”, appunti su un serraglio chiamato carcere Recensione di Francesco Zacché Il Manifesto, 24 gennaio 2013 “Chi si punisce, perché si punisce, quando si punisce, come si punisce?”. In un perverso cortocircuito securitario, l’opinione pubblica esige pene immediate ed esemplari nel non luogo carcere, mentre la politica persevera nel criminalizzare il terrorista, l’immigrato, il tossicodipendente, il diverso o l’ostile. Di qui, l’odierno paradosso: lo Stato sceglie di neutralizzare i corpi, li rinchiude in gabbia, siano essi “in attesa di giudizio” o “definiti”, benché Costituzione e Carte internazionali sui diritti dell’uomo impongano il contrario. Il risultato è “scontato”: l’Italia non è nemmeno in grado d’assicurare uno spazio minimo di tre metri quadrati a detenuto; il sovraffollamento carcerario pone il nostro Stato al di fuori degli standard minimi riconosciuti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, tanto che la stessa Corte di Strasburgo ha recentemente ordinato al Governo di rimediare a siffatto trattamento disumano e degradante. In tale cornice, si rivela un prezioso strumento di riflessione sui problemi e sulle dinamiche penitenziarie il libro collettaneo I giorni scontati. Appunti sul carcere (Sandro Teti Editore, pp. 205, euro 20), curato da Silvia Buzzelli, professore di diritto penitenziario e di procedura penale sovranazionale presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, con i contributi d’un qualificato gruppo d’operatori e studiosi del pianeta giustizia: Mauro Palma, Claudia Pecorella, Fabio Cassibba, Elena Lombardi Vallauri, Stefania Mussio, Elena Zeni, Ercole Ongaro, Marco Verdone, Massimo Filippo e Luigi Lombardi Vallauri; a cui si aggiunge il documentario (allegato in dvd al libro) diretto da Germano Maccioni sulla realtà del carcere di Lodi, cui fa da contrappunto la narrazione di Francesco Maisto (presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna) che, in forza della sua pluridecennale esperienza umana e professionale, accompagna lo spettatore nei meandri del sistema-carcere. Strutturato come raccolta d’appunti, il volume offre molteplici spunti sulle ragioni profonde che generano la bulimia penitenziaria. Al tempo stesso, non si sottrae all’impegnativo compito d’indicare le vie da percorrere affinché il carcere possa finalmente dirsi speculum, riflesso della società: come scrive Voltaire, “non raccontatemi della bellezza dei vostri palazzi, ditemi piuttosto come si vive nelle vostre carceri”. Si rimarca, così, il ruolo effettivo giocato dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti e pene inumani e degradanti (Cpt) nel promuovere il rispetto di chi, per qualunque motivo, sia privato della libertà personale (toccante e emblematica è la testimonianza dell’ultima visita ispettiva svolta da Mauro Palma in veste di presidente del Cpt presso la sezione per stranieri dell’ospedale psichiatrico giudiziario dell’Isola di Malta); si ribadisce l’indifferibilità di riforme in grado di ridurre la recidiva e di “sburocratizzare” la magistratura di sorveglianza; si tracciano le linee per gestire la sicurezza in carcere, uscendo da logiche emergenziali; si rivendica la necessità di puntare sull’individualizzazione e sulla differenziazione del trattamento del detenuto secondo i dettami della Costituzione; a mo’ di paradigma, si racconta la vita del carcere di Lodi, con le sue iniziative aperte alla società, e la sua storia ultracentenaria fatta di luoghi e di persone; si conclude con la questione animale, dall’esperimento sui generis dell’isola-carcere di Gorgona, ecosistema dove il ciclo vitale degli animali d’allevamento è nelle mani dei detenuti, alla lucida denuncia sui parallelismi fra “gabbia animale” e “gabbia carceraria”, fra “carcere” e “mo(n)do in cui viviamo”. Sullo sfondo d’ogni contributo, tuttavia, l’interrogativo è sempre il medesimo: “Come conciliare un’istituzione totale, burocratica con l’obiettivo di punire senza infliggere sofferenza?”. E se fosse giunto il tempo di chiudere, nel senso d’abbandonare, il serraglio? Immigrazione: importante sentenza della Consulta sull’assistenza sanitaria per i migranti di Luigi Manconi, Valentina Calderone e Valentina Brinis L’Unità, 24 gennaio 2013 La Corte Costituzionale, con sentenza numero 4 del 2013 ha dichiarato illegittima la legge 44 della regione Calabria (dal titolo “Norme per il sostegno di persone non autosufficienti - Fondo per la non autosufficienza”), nella parte in cui stabilisce che, per godere dei benefici previsti da quella legge, le persone immigrate residenti in Italia devono essere titolari di “regolare carta di soggiorno”. Tale pronuncia richiama la numero 61 dell’anno 2011 in cui veniva stabilito che gli stranieri in possesso di un valido titolo di soggiorno dovevano poter godere, “senza particolari limitazioni”, dei diritti fondamentali della persona come è previsto per i cittadini italiani. Viene specificato, inoltre, che la dicitura “carta di soggiorno”, utilizzata nella legge calabrese in questione, è “atecnica” poiché superata dalla nuova denominazione “permesso di soggiorno di lungo periodo”. Ma c’è di più. La norma censurata non risulta rispettare l’articolo 41 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, in cui i titolari di permesso di soggiorno di durata annuale sono equiparati ai cittadini italiani per quanto riguarda la fruizione delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale. La Corte dichiara l’illegittimità anche per contrasto all’articolo 3 della Costituzione (diritto di uguaglianza): “.La discriminazione introdotta dalla disposizione censurata risulterebbe lesiva anche dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza (articolo 3 Cost.), essendo basata su un elemento di distinzione arbitrario. Come rilevato dalla Corte costituzionale in rapporto ad analoghe norme regionali (sentenza n. 40 del 2011), non vi sarebbe, infatti, alcuna ragionevole correlazione tra il requisito di accesso ai benefici (possesso, da parte dello straniero, del “permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo”) e le situazioni di bisogno e di disagio, riferibili direttamente alla persona in quanto tale, che costituiscono il presupposto di fruibilità delle prestazioni sociali”. Ed è proprio così. Chi necessità di cura ed assistenza, ed è in condizioni di reddito insufficienti a rispondere a queste esigenze, non può rinunciare a farvi fronte solo perché sprovvisto di quel tipo di permesso di soggiorno. La condizione giuridica non può prevaricare su quella psico-fisica. Se così fosse, come proposto dalla legge della Calabria, si tratterrebbe, come è stato messo in evidenza, di misure ingiuste e irragionevoli. Per fortuna a denunciare tale iniquità è stato il Consiglio dei ministri che ha perciò chiesto il parere della Consulta nel febbraio del 2012. Finalmente, dopo quasi un anno, lo scorso 14 gennaio chiarezza è stata fatta. Iran: Nobel Shirin Ebadi denuncia “aumentano le impiccagioni, minoranze perseguitate” Adnkronos, 24 gennaio 2013 “L’aumento esponenziale delle impiccagioni negli ultimi anni, unitamente alla violazione dei diritti delle minoranze etniche in Iran, sono due dati molto preoccupanti”. È l’allarme lanciato dal premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi nel suo ultimo rapporto sulla situazione dei diritti umani in Iran. Nel documento, la Ebadi sottolinea come le autorità iraniane abbiano giustiziato, solo nell’ultimo mese, 19 persone, alcune delle quali sono state impiccate in pubblico. L’attivista premio Nobel ha poi denunciato la repressione esercitata dal governo islamico nei confronti delle minoranze etniche residenti in particolare nelle zone di confine e ha fatto riferimento a diversi attivisti iraniani di etnia curda e araba, sottoposti a vessazioni e torture in carcere. In Iran - ha precisato - “le minoranze etniche vengono spesso discriminate e sono emarginate dalla vita politico-sociale ed economica del paese”. “I due blogger Hashem Shabani-nejad e Mohammad Ali Amuri-nejad, l’insegnante Hadi Rashedi, l’attivista curdo Reza Mollazedeh e i due attivisti arabi Jaber al-Boshuke e Mokhtar al-Boshuke - ha sottolineato - sono stati condannati a morte e potrebbero presto essere impiccati”. L’avvocatessa ha denunciato anche le difficili condizioni in cui versano numerosi prigionieri politici e il clima di chiusura e oppressione che si respira nell’intero paese. “Le pubblicazioni di libri e quotidiani - ha ricordato - hanno subito un forte calo a seguito delle rigide censure governative esercitate contro i giornalisti, gli scrittori e gli intellettuali iraniani”. Cuba: Commissione per Diritti Umani; nel 2012 detenuti politici raddoppiati, oggi sono 90 Ansa, 24 gennaio 2013 Sono 90 le persone detenute attualmente a Cuba per motivi politici, esattamente il doppio rispetto a quelle recensite un anno fa, secondo un report della Commissione Cubana per i Diritti Umani e la Riconciliazione Nazione, fondata dal dissidente Elizardo Sanchez e non riconosciuta dalle autorità locali. La Commissione pubblica riassunti mensili sulla repressione del dissenso nell’isola, essenzialmente in base a “fonti della famiglia” dei detenuti. Sanchez sottolinea, in una nota che accompagna il documento, che la cifra diffusa non è precisa, tra l’altro perché le autorità non pubblicano informazioni su questi arresti. Il governo castrista non riconosce l’esistenza di detenuti politici nel paese o di una qualsiasi forma di opposizione, e definisce i dissidenti ‘mercenari al servizio degli Stati Unitì. Secondo la Commissione, il governo cubano ‘sta sostituendo il suo modello di repressione politica, finora caratterizzato da lunghe condanne, con un nuovo modello, che alcuni definiscono repressione di bassa intensità, con arresti di corta durata”. Russia: Pussy Riot minacciata di morte perché “troppo attiva in carcere” Agi, 24 gennaio 2013 Una delle due Pussy Riot in regime di detenzione ha detto di continuare a combattere anche in carcere per vedere riconosciuti i propri diritti, ma proprio a causa del suo attivismo ha ricevuto minacce di morte. In una lunga intervista con il giornale di opposizione Novaya Gazeta, Maria Aliokhina - che sta scontando la pena di due anni di detenzione nel campo di lavoro n. 28 di Perm - ha denunciato la “mentalità da schiavi” che, a suo dire, il sistema penitenziario russo instilla nei detenuti. “Maleducazione, codardia, tradimenti e denunce sono la norma”, ha raccontato la ragazza, 24 anni, e madre di un bambino di cinque. Maria ha chiesto un incontro all’ombudsman dei diritti umani regionale per denunciare le condizioni difficili nel carcere dove, tra le altre cose, le detenute devono lavarsi con l’acqua fredda, nonostante la temperatura esterna di -30 gradi e ha parlato con attivisti per i diritti umani e autorità deputate al controllo della situazione nelle carceri. A suo dire, però, è stata l’unica. “Tutte hanno paura”, ha spiegato. Maria ha poi raccontato di aver ricevuto dure minacce dalle compagne di cella, il cui contenuto suonava più o meno così: “Se rimani in questa unità, sei morta”, ha riferito alla giornalista di Novaya Gazeta. Questa, parlando anche con altre detenute si è sentita confermare le preoccupazione della ragazza. “Ha molte persone contro e che possono farle qualcosa - hanno spiegato - Meglio che non lasci il posto sicuro dove si trova ora”, riferendosi alla condizione di isolamento in cui è stata trasferita l’attivista per questioni di sicurezza. “Non mi succederà nulla - ha poi aggiunto Maria - Se mi metteranno pressione, entrerò in sciopero della fame”. La Novaya Gazeta ha intervistato anche l’altra Pussy Riot, Nadia Tolonnikova, detenuta in Mordovia, nota zona di gulag in tempo sovietico. A differenza della compagna, Nadia non ha denunciato particolari difficoltà nella vita nel campo di lavoro. “Sono un’asceta - ha detto - le condizioni di vita non mi turbano più di tanto”. Pakistan: almeno 700 sospetti militanti islamisti detenuti senza accuse Agi, 24 gennaio 2013 Sono almeno settecento i sospetti militanti islamisti che si trovano detenuti in Pakistan senza che a loro carico siano mai state sollevate accuse formali: lo ha riconosciuto il procuratore generale Irfan Qadir nel corso di un’audizione davanti alla Corte Suprema. Qadir ha ricordato che una simile procedura è pur sempre autorizzata da una legge dello Stato in materia. Poche settimane fa Amnesty International l’aveva aspramente criticata, denunciando come “fornisca un quadro in cui estese violazioni dei diritti umani possono essere perpetrate nell’impunità”, in particolare dalle Forze Armate. È la prima volta in cui nel Paese asiatico un dignitario di grado così elevato ammette un numero tanto altro di prigionieri privi di fatto di qualsiasi tutela. “C’è un’operazione militare in corso nel Waziristan”, ha spiegato il procuratore, riferendosi a due delle remote aree tribali semi-autonome diventate veri e propri santuari per il jihadismo. “In base alla legge non ci è possibile processare quelle settecento persone, ma neppure rilasciarle, finché l’operazione stessa non sarà conclusa”. La Corte Suprema aveva convocato Qadir nell’ambito di un’inchiesta sulla vicenda di sette presunti jihadisti, in carcere dal maggio 2010 senza che alcun addebito sia mai stato contestato loro. Nel febbraio 2012 i sette apparvero in aula, e risultarono in condizioni fisiche pietose: alcuni quasi non erano in grado di camminare. Iraq: ex vicepresidente Aziz chiede aiuto al Papa da carcere di Baghdad, chiede esecuzione Nova, 24 gennaio 2013 L’ex presidente iracheno di fede cristiana Tareq Aziz, ex braccio destro di Saddam Hussein, ha lanciato un appello a papa Benedetto XVI affinché intervenga in suo favore. Dal carcere di Baghdad nel quale si trova, per aver subito una condanna a morte in quanto ex gerarca del regime baathista iracheno, Aziz si mostra “disperato” e fa appello al papa per porre fine alle sue sofferenze. L’avvocato Badie Ezzat, difensore dell’ex vice presidente iracheno ha spiegato al giornale al Quds al Arabi: “Oggi ho incontrato il mio assistito, Tareq Aziz, nella sua cella in carcere e l’ho trovato in condizioni di totale disperazione”. L’avvocato ha aggiunto che Aziz “invierà un messaggio a papa Benedetto XVI per chiedergli di porre fine alla sua sofferenza” ed ha concluso: “Mi ha detto che preferisce essere giustiziato che rimanere in questa situazione”. Somalia: islamisti Al-Shabaab; uccideremo ostaggi Kenya se non saranno rilasciati detenuti Aki, 24 gennaio 2013 I miliziani islamici di Al-Shabaab hanno minacciato di uccidere i due ostaggi kenyoti rapiti un anno fa se Nairobi non rilascerà tutti i detenuti musulmani accusati di terrorismo. In un messaggio postato sull’account dei militanti su Twitter nella notte, il gruppo affiliato ad al-Qaeda ha concesso al Kenya tre settimane di tempo per rilasciare i prigionieri. Nell’ottobre 2011 le autorità di Nairobi hanno lanciato una campagna militare nel sud della Somalia contro gli estremisti. “Il governo del Kenya deve rilasciare tutti i detenuti musulmani in carcere con le accuse di terrorismo”, si legge nel messaggio degli al-Shabab, che hanno anche diffuso un video con i due ostaggi. “Il video contiene un importante”. “Il governo del Kenya ha tre settimane, a partire da mezzanotte 24.01.2013, per rispondere alle domande di Harakat Al-Shabaab Al-Mujahideen se i prigionieri devono rimanere vivi - hanno avvertito. Al termine di questo periodo tutti i prigionieri kenyoti che appaiono nel video saranno giustiziati”.