Giustizia: Ue; carceri italiane le più affollate; Lettonia ha più detenuti in rapporto abitanti Agi, 22 gennaio 2013 Alla fine del 2011 erano 66.897 i detenuti rinchiusi nelle carceri italiane, circa 110 ogni 100mila abitanti. Una cifra in leggero calo (dell’1,6 per cento) rispetto all’anno precedente ma sufficiente perché l’Istat, nel rapporto “Noi Italia” del 2013, definisca “inadeguate” le strutture carcerarie come dimostra l’indice di affollamento che, a livello nazionale, è di 146,4 detenuti per 100 posti letto previsti. Il nostro Paese, però, con 107,6 detenuti per 100mila residenti (dato del 2009) mostra un’incidenza della popolazione carceraria inferiore a quella dei 27 membri dell’Unione Europea nel loro complesso (126,2). E la Lettonia (con 312,9 detenuti per 100mila abitanti) è il Paese che fa registrare valori più elevati. A seguire ci sono Estonia, Lituania e Polonia, mentre la presenza proporzionalmente minore di detenuti si ha in Finlandia con 60,5 reclusi per 100mila residenti. Secondo l’Istat l’indice di affollamento del 2011 è in leggera diminuzione rispetto al 2010 (quando era di 151 detenuti per 100 posti letto) soprattutto grazie all’applicazione di misure su detenzioni breve e domiciliari. I detenuti presenti nelle carceri italiane, sempre alla fine del 2011, erano nella quasi totalità maschi (cioè il 95,8 per cento) e per oltre un terzo stranieri (36,1 per cento). Il Mezzogiorno, con 134,6 detenuti ogni 100 mila persone presenta il valore più alto del rapporto tra popolazione carceraria e residenti nel 2011. Al di sopra della media nazionale è anche il Centro, con 114,9 mentre il Nord - est ha la presenza di detenuti minori, con 71,7 reclusi per 100mila abitanti contro i 102,3 del Nord - ovest. La metà (50,5%) dei detenuti nell’Italia settentrionale è straniera. Giustizia: ministra Severino; serve impegno per soluzioni strutturali a emergenza carceri Italpress, 22 gennaio 2013 “La nostra azione si è sviluppata su vari fronti, tutti rigorosamente strutturali: quello dell’edilizia carceraria; quello volto ad introdurre meccanismi di deflazione attraverso l’eliminazione del fenomeno delle porte girevoli e l’ampliamento delle possibilità di applicare la detenzione domiciliare; quello finalizzato a favorire modalità di esecuzione della pena diverse dalla detenzione in carcere”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Paola Severino, parlando del sovraffollamento carcerario nel suo intervento a Strasburgo all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa. “Sulle strutture carcerarie la nostra azione, pur dovendo fare i conti con la ristrettezza delle risorse disponibili, è stata particolarmente incisiva: l’obiettivo è di consegnare entro il 31 dicembre 2014 altri 11.700 posti - ha proseguito. Già nel 2012 sono stati consegnati 3.178 nuovi posti, ai quali se ne aggiungeranno 2.382 entro giugno di quest’anno. Nella situazione di emergenza abbiamo varato un decreto legge con l’obiettivo di incidere sia sul fenomeno delle cosiddette porte girevoli (gli ingressi in carcere delle persone arrestate solo per due - tre giorni), sia sulla durata della pena che si può scontare in casa (aumentata da 12 a 18 mesi). Gli ingressi per pochi giorni sono così passati dal 27% del totale nel 2009 al 13% nel 2012, e ben 8.363 persone hanno potuto scontare la pena presso il domicilio. Nel complesso, è stata registrata, per la prima volta e al di fuori di provvedimenti di amnistia, una riduzione della popolazione detenuta, scesa da 68.000 a circa 65.000 nel giro di 12 mesi”. “È stata, infine, disposta la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari entro il 31 marzo 2013: le persone saranno internate in strutture del Servizio sanitario nazionale, ma resteranno vigilate all’esterno delle strutture dalla polizia di Stato - ha sottolineato il Guardasigilli. Per completare il quadro degli interventi contro il sovraffollamento, ma anche in una più ampia ottica di politica criminale, il Governo ha presentato un disegno di legge sulla messa in prova (probation) e su altre misure alternative alla detenzione. Costituisce per me motivo di rammarico che il Senato, per l’anticipato scioglimento del Parlamento, non abbia licenziato in via definitiva il provvedimento, già approvato a larghissima maggioranza dalla Camera. Tuttavia il seme è stato gettato, il messaggio è stato dato e accolto favorevolmente: proprio alcuni giorni fa il Procuratore della Repubblica di Milano ha dato disposizione ai suoi sostituti di limitare la custodia in carcere ai casi di assoluta indispensabilità a fini di indagine, di prevenzione e di punizione. Trovo questo uno straordinario esempio di come la nostra magistratura accolga tempestivamente gli input normativi ed applicativi delle sentenze di questa Corte, ponendoli a fondamento dell’interpretazione della legge - ha concluso la Severino. Confido inoltre, anzi ne sono certa, che il nuovo Governo e il nuovo Parlamento proseguiranno l’opera da noi iniziata, portando a termine quei progetti che abbiamo messo in campo e che rappresentano il completamento di quanto abbiamo già attuato in materia di recupero di efficienza e di razionalizzazione del sistema giustizia”. Bene Bruti Liberati su limiti a detenzione “Alcuni giorni fa il Procuratore della Repubblica di Milano ha dato disposizione ai suoi sostituti di limitare la custodia in carcere ai casi di assoluta indispensabilità a fini di indagine, di prevenzione e di punizione. Trovo questo uno straordinario esempio di come la nostra magistratura accolga tempestivamente gli input normativi ed applicativi delle sentenze” della Corte di Strasburgo “ponendoli a fondamento dell’interpretazione della legge”. Lo ha detto il ministro della Giustizia Paola Severino, oggi a Strasburgo, in merito all’invito rivolto nei giorni scorsi da Edmondo Bruti Liberati ai pm milanesi, dopo la sentenza della Corte dei diritti dell’Uomo che ha condannato l’Italia per la situazione delle carceri. Vietti (Csm): responsabilità prima di tutto del legislatore In fatto di problemi della giustizia in Italia “le responsabilità sono innanzi tutto del legislatore che negli ultimi decenni ha pensato di risolvere tutti i problemi introducendo più reati e minacciando più carcere, con l’effetto paradossale di paralizzare i processi e sovraffollare le carceri in condizioni sempre più disumane”. Lo ha detto Michele Vietti, vice presidente del Csm, in un’intervista al Tg2 per la rubrica dell’approfondimento. Secondo Vietti bisogna “intervenire con coraggio sui mezzi di impugnazione, che oggi consentono a tutti e per tutto di arrivare fino in Cassazione, ingolfata da oltre 80mila cause l’anno. Questo è un lusso che non possiamo più permetterci”. Giustizia: Ucpi; carceri dimenticate nei programmi elettorali, partiti dicano cosa faranno Adnkronos, 22 gennaio 2013 I partiti chiamati direttamente in causa sugli interventi previsti in materia di giustizia. È l’iniziativa dell’Unione camere penali che il prossimo 2 febbraio a Bologna organizza una serie di confronti con i responsabili del settore che saranno incalzati da un rappresentante dei penalisti sui vari punti in agenda. Una formula diversa, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, che faccia da contraltare alle tante cerimonie ufficiali. “Quest’anno, in piena campagna elettorale, abbiamo scelto il confronto con le forze politiche, non intorno a tavolo ma con una serie di incontri a due, mezz’ora ciascuno - spiega all’Adnkronos il presidente dei penalisti Valerio Spigarelli - Già per il Partito democratico ha dato la disponibilità Andrea Orlando. Aspetto la risposta da Maroni, De Magistris e Dambruoso”. E non manca la polemica sulle troppe “discese” in politica da parte dei magistrati. “In questo avvio di campagna elettorale che c’è poca giustizia nelle agende dei partiti - denuncia Spigarelli - In particolare, nell’agenda delle agende, quella di Monti, non si dice assolutamente nulla. Per gli altri, cose scarse e generiche e non si va oltre buoni propositi. Noi chiediamo che la giustizia sia centrale nel dibattito politico, perché misura la qualità della democrazia”. È fitta invece l’agenda per i penalisti, a partire dal dramma delle carceri, da affrontare con misure strutturali ma anche attraverso interventi emergenziali, come amnistia e indulto. Poi la riforma costituzionale, che garantisca la terzietà del giudice, e una seria riflessione sull’obbligatorietà dell’azione penale, modifiche al codice penale e di procedura penale. “Questi sono problemi fondamentali - sottolinea Spigarelli - i politici ci dovrebbero dire in che maniera intendano risolverle”. Per il problema dell’affollamento delle carceri, spiega il leader dei penalisti, “non c’è bisogno solo di una riforma del codice penale, di interventi di depenalizzazione ma serve una vera e propria rivoluzione nel sistema delle pene. Il carcere deve essere applicato solo a reati di elevata pericolosità sociale, e un sistema sanzionatorio moderno deve prevedere un catalogo di sanzioni diverse a partire messa in prova con lavori socialmente utili”. Spigarelli ricorda le proposte sulle misure alternative, non approvate e rimaste all’esame del Parlamento, ma le giudica inefficaci perché previste solo per reati puniti con pene edittali basse, fino a 4 anni. Comunque la prima cosa che il nuovo Parlamento dovrebbe fare è approvare un provvedimento di clemenza, amnistia o indulto, per cui “serve coraggio politico da parte di tutti”. Una riforma costituzionale della giustizia è l’altro passaggio imprescindibile, “per arrivare a un giudice realmente terzo e davvero equidistante tra pm e difensore”. Dal leader dei penalisti, arriva poi una stoccata ai magistrati in politica. “Che ci sia un problema di rapporti tra politica e magistratura ce lo dice il numero dei magistrati che si sono candidati. Pochi si interrogano non tanto sulla curiosa vicenda di Ingroia ma anche su un candidato a ministro della Giustizia come Piero Grasso che da un giorno all’altro passa da poltrona procuratore nazionale antimafia a quella di ministro”. La questione, avverte Spigarelli, “andrebbe regolamentata diversamente”. Almeno, “servirebbe un periodo di tempo tale da non offuscare la funzione precedente di magistrato”. Giustizia: Tamburino (Dap) difende scelta “circuiti regionali” e territorializzazione pena Comunicato stampa, 22 gennaio 2013 Giovanni Tamburino, Capo del Dap, affida a un breve comunicato parole di stima per il suo vice Luigi Pagano che lo ha sapientemente coadiuvato nell’elaborazione del progetto riguardante l’attuazione dei circuiti regionali, un progetto che ridisegna l’intera “architettura penitenziaria” e realizza così lo spirito dell’Ordinamento del 1975 sulla territorializzazione della pena. Vigilanza dinamica, patti di responsabilità, redistribuzione efficace delle risorse: questi sono i principi contenuti nella circolare sui circuiti regionali emanata lo scorso giugno. “Un progetto articolato e sistemico - dichiara Giovanni Tamburino - che ha introdotto apprezzabili novità che vanno ad incidere su una più efficace distribuzione delle risorse umane e materiali e quindi sul miglioramento delle condizioni di vita detentiva e sull’organizzazione del lavoro della Polizia Penitenziaria. Pieno sostegno a Luigi Pagano - continua il Capo del Dipartimento - oggetto di strumentali attacchi per avere portato avanti con convinzione e con la riconosciuta esperienza professionale un progetto condiviso dall’Amministrazione Penitenziaria che, in tutte le sue articolazioni, centrali e regionali, ha assicurato piena e leale collaborazione. Giustizia: Sappe; domani sit-in davanti al Dap per protestare contro affollamento carceri Adnkronos, 22 gennaio 2013 “L’amministrazione penitenziaria guidata da Giovanni Tamburino e Luigi Pagano è incapace di risolvere i problemi e per questo centinaia di aderenti al Sappe, manifesteranno domani mercoledì 23 gennaio, dalle ore 9, davanti alla sede del Dap”. Lo annuncia il sindacato di polizia penitenziaria in una nota, precisando che l’appuntamento è a largo Luigi Daga, a Roma. “Sono ormai passati tre anni - scrive il segretario del sindacato, Donato Capece - da quando il governo Berlusconi decretò ufficialmente lo stato di emergenza nazionale conseguente all’eccessivo affollamento degli istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale, ma la situazione, nonostante il cambio di esecutivo e la guida di Mario Monti, non è affatto cambiata. Anzi, è peggiorata. Dai 64.791 detenuti che c’erano nelle 206 carceri del paese - conclude Capece - il 31 dicembre 2009 siamo arrivati a contare 65.701 presenze il 31 dicembre 2012, rispetto alla capienza regolamentare di poco superiore a 43mila posti letto”. Giustizia: assolto dopo 22 anni trascorsi in carcere, chiede a 69 milioni € di risarcimento Asca, 22 gennaio 2013 Giuseppe Gulotta, il muratore di Certaldo (Fi) assolto dopo aver passato in carcere 22 anni, ha chiesto 69 milioni di euro di risarcimento allo Stato italiano. Si tratta della cifra più alta chiesta per riparare a un errore giudiziario. Gulotta è stato assolto il 13 febbraio scorso dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria per l’omicidio di due carabinieri nella caserma di Alcamo Marina (Trapani) nel 1976. L’uomo, che era stato condannato all’ergastolo, ha trascorso 22 anni della sua vita in carcere. “La riparazione dell’errore giudiziario - spiega il legale Pardo Cellini - va commisurata alla durata dell’espiazione della pena e alle conseguenze personali e familiari derivate dalla ingiusta condanna. Tenuto conto della durata della grave vicenda e del periodo di detenzione patito, il danno complessivo è enorme. Quest’uomo ha subito un danno patrimoniale, che comprende sia la perdita dell’attività lavorativa che l’obbligata rinuncia a tutte le chances professionali, oltre all’entità dei contributi previdenziali versati. A questo si aggiunge poi il danno non patrimoniale, declinabile in danno biologico, morale ed esistenziale”. “È una cifra molto alta che a stento riesco a pronunciare - commenta lo stesso Gulotta. Ma ciò che mi è stato tolto è incalcolabile. Penso a tutte le occasioni mancate, alle opportunità perdute”. Calabria: un appello su erogazione risorse per alloggiare ex degenti Opg originari regione Redattore Sociale, 22 gennaio 2013 Fermo un finanziamento per la Calabria di 6,5 milioni di euro. “I nostri parlamentari intervengano con urgenza”. I due esponenti del mondo sociale calabrese si chiedono quale destino sarà riservato ai degenti negli opg del territorio. “I nostri parlamentari intervengano con urgenza sul ministero dell’Economia per sbloccare l’erogazione dei fondi destinati agli ospedali psichiatrici giudiziari calabresi”. A lanciare l’appello sono Mario Nasone, presidente del centro comunitario “Agape” e Giacomo Panizza , fondatore e presidente della Comunità Progetto Sud. I due esponenti del mondo sociale calabrese si chiedono quale destino sarà riservato agli infermi degenti negli Opg del territorio. Nasone e Panizza ricordano che la regione Calabria ha elaborato un piano degli interventi che prevede l’attivazione in uno dei reparti dell’ex ospedale psichiatrico di Girifalco ( in provincia di Catanzaro) di una comunità residenziale che andrà ad accogliere una parte dei pazienti che derivano dalla chiusura dell’ospedale psichiatrico di Barcellona Pozzo di Gotto. Ma tutto è fermo in attesa del finanziamento del ministero della Salute che per la Calabria ammonta a 6,5 milioni di euro. Il finanziamento è fermo al ministero dell’Economia ed al Cipe, che devono dare il loro via all’erogazione dei fondi. I tempi previsti per la ristrutturazione e per la messa in opera della struttura di Girifalco saranno di almeno un anno. “Questo significa - rimarcano Nasone e Panizza - che se non ci sarà una proroga, o la previsione di altre soluzioni alternative, gli attuali internati calabresi rischiano di essere trasferiti in carcere o semplicemente messi sulla strada. C’è quindi la necessità di una risposta urgente su come governo e regione intendono affrontare questo passaggio”. L’altro pericolo che si deve assolutamente evitare è che il grande opg venga sostituito con un altro piccolo ospedale psichiatrico con meno ospiti ma che, di fatto, potrebbe rappresentare l’attivazione di un nuovo “contenitore dell’abbandono”. Nasone e Panizza puntualizzano: “Certamente per i soggetti con patologie più gravi bisogna pensare anche a più strutture residenziali con numeri limitati di ospiti, ma queste devono essere vere e proprie comunità terapeutiche aperte al territorio e avere programmi di riabilitazione psichiatrica e socio - lavorativa. Così come per i soggetti meno gravi la sfida è di pensare e realizzare modelli d’intervento innovativi elaborati dai vari Dsm competenti per territorio che devono prendere in carico i loro ammalati e facilitare la socializzazione con le comunità locali. Insomma - sottolineano i due esponenti del mondo sociale regionale - è giunta l’ora di dotare la Calabria di interventi socio - sanitari improntati al rispetto delle leggi e rispettosi della dignità e dei diritti di questi soggetti, attivando progetti individualizzati, iniziative di inserimento lavorativo e sociale, sostenendo le famiglie sulle quali ricade il maggior peso, potenziando gli organici dei dipartimenti di salute mentale e i servizi diurni e domiciliari, i gruppi appartamento, coinvolgendo le associazioni dei familiari, il volontariato e il terzo settore; creando una rete che accolga queste persone che non sono criminali da abbandonare ma essenzialmente persone da curare. In Calabria, nelle istituzioni e nella società, vi sono soggetti con risorse e capacità di accoglienza e di prendersi ugualmente cura di queste persone deboli, tra le più vulnerabili e fragili della nostra società“. Viene anche evidenziato che il 31 marzo 2013 è il giorno fissato come data ultima per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, la fine di quella che è da anni considerata una vera e proprio vergogna che ha decretato la morte civile di tanti ammalati di mente nel nostro Paese. A tutt’ oggi non risultano stati disposti provvedimenti di proroga, anzi, nel mese di dicembre scorso la competente commissione parlamentare presieduta dal senatore Ignazio Marino ha disposto addirittura il sequestro di alcuni Opg, compreso quello di Barcellona Pozzo di Gotto dove sono internati circa 40 infermi di mente della Calabria, perché si è constatato che il diritto alla salute in queste presidi non era assolutamente garantito. Queste strutture, secondo la commissione, purtroppo “restano carceri - ghetto” che in alcun modo assomigliano a un ospedale. Un atto che sancisce ancora una volta l’inidoneità di queste strutture e che ha anche previsto dei termini perentori per il trasferimento degli internati. In tutta questa vicenda “resta il dato di una riforma per il superamento degli Opg che doveva rappresentare una conquista di civiltà ma che non ha visto il rispetto dei tempi programmati per la sua applicazione. Il governo - fanno notare Nasone e Panizza - nonostante le numerose sollecitazioni della commissione, non ha reso ancora operativo il decreto di riparto tra le regioni delle risorse finanziarie previste per le nuove strutture e per l’assunzione del personale”. Piemonte: il Garante dei detenuti resta un’utopia, scende in campo il Difensore civico di Sarah Martinenghi La Repubblica, 22 gennaio 2013 In Piemonte manca ancora il Garante dei detenuti, nonostante la sua istituzione sia stata stabilita per legge nel 2009. A un anno di distanza dallo sciopero della fame che alcuni radicali dell’ Associazione Adelaide Aglietta avevano portato avanti senza ottenerne la nomina, ci riprova il difensore civico Antonio Caputo, che armato di carta e penna, ha segnalato questa mancanza in una lettera indirizzata al Consiglio regionale del Piemonte, al presidente della Conferenza delle Assemblee legislative italiane e al Ministro della Giustizia che ha competenza sulle carceri. Secondo Caputo, che interviene su istanza di 99 detenuti ad Asti e della stessa Associazione Aglietta, (e scrive anche in qualità di presidente del coordinamento dei difensori civici italiani), potrebbe essere lo stesso Ombudsman, (“uomo che funge da tramite”, sinonimo del difensore civico) a svolgere questa funzione, senza bisogno di cercare altre figure e utilizzare altri fondi. “Secondo i dati della popolazione carceraria in Piemonte, anche nella nostra regione si eccedono i limiti di accettabilità e tollerabilità, e il sovraffollamento incide pesantemente sulla condizione umana dei detenuti”. “Pare necessario - scrive il difensore civico richiamando il Piemonte alle sue responsabilità - che il Consiglio Regionale si faccia carico di ogni consequenziale deliberazione per consentire adeguate misure volte a rendere effettivi i rimedi preventivi specificati dalla Corte, rimanendo fermo l’obbligo di interventi per migliorare la condizione di vita nelle carceri”. Caputo, nella missiva, ritiene doverosa la segnalazione in seguito alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’ Uomo, che ha affermato che è necessario garantire concretamente i diritti, compresi quelli dei detenuti, e prescrive all’Italia un anno di tempo per decidere misure di compensazione in favore delle vittime del sovraffollamento. “In Italia tuttavia ha spiegato - solo 14 regioni hanno nominato un difensore civico che si propone di migliorare la relazione tra cittadini, anche detenuti, e istituzioni, mentre in Europa tutti gli altri 26 Paesi hanno una difesa civica nazionale”. Puglia: “Made in carcere-valori forzati”, una seconda vita per i tessuti… e per le detenute Redattore Sociale, 22 gennaio 2013 Il progetto è dell’imprenditrice Luciana Delle Donne, che ha lasciato un posto da top manager per dedicarsi al sociale. In cinque anni assunte oltre 100 donne recluse, alcune anche in regime di massima sicurezza. “Con noi riacquistano dignità”. Una nuova vita per stoffe e tessuti, ma anche una seconda chance per chi ha sbagliato e sta scontando la sua pena in carcere. C’è la filosofia della “seconda opportunità“ alla base del marchio “Made in carcere-valori forzati”, nato nel 2007 dall’idea di Luciana delle Donne e che, in poco più di cinque anni, ha dato lavoro a oltre cento detenute. Un’impresa in attivo che si basa innanzitutto su una sfida: quella di Luciana. Affermata dirigente di azienda, la prima ad aver aperto in Italia una banca virtuale, un giorno ha scelto di lasciare tutto per dedicarsi al sociale. E, dopo diverse esperienze nelle scuole con i ragazzi immigrati, ha deciso di aprire un laboratorio sartoriale all’interno di un istituto di pena. “Più arrivi in alto alla piramide sociale e più sei lontano dalla gente per capire i reali bisogni delle persone. Proprio quando ero al top della mia carriera ho capito che quell’abito mi stava stretto - racconta Delle Donne - Ho sempre amato lavorare in gruppo, creare nuove sfide e fare da apripista. Così ho cominciato a fare volontariato finché non ho incontrato queste donne chiuse in carcere che avevano bisogno di aiuto”. Il primo laboratorio di sartoria in carcere viene aperto nel 2007 ma l’impresa stenta a decollare, ironia della sorte, per “colpa” dell’indulto che fa uscire tutte le detenute, che aveva iniziato a collaborare al progetto. Così Luciana è costretta a ricominciare da capo e nel 2008 riparte con la sua iniziativa. “Sono entrata in questo mondo da imprenditrice profana: non sapevo niente dei vantaggi per i finanziamenti in questo settore, ad esempio per l’ acquisto delle macchine da cucire. Ma soprattutto ho dovuto superare la diffidenza iniziale delle detenute - racconta - .Molte non credono in se stesse, pensano di essere incapaci o sono sfiduciate sulla vita. Ma una volta che riesci a dimostrargli che hanno torto imparano benissimo. E per loro diventa una sfida per la sopravvivenza: è un’attività che le coinvolge totalmente e permetto loro di non dover stare 20 ore in celle piccole e sovraffollate”. Tra le sarte speciali di “Made in carcere” c’è chi come Lucia, italiana di 35 anni è reclusa da 4 anni, e ha una pena (non definitiva) di trenta. O chi come Elena, rumena di origine rom di 38 anni, che dovrà stare dentro tredici anni. O ancora chi è in regime di massima sicurezza, come Grazia, 35 anni, che ha ancora diciannove anni di carcere davanti a sé. “Partecipando a questa impresa si sentono le donne più importanti del mondo - aggiunge Delle Donne - Percepiscono un regolare stipendio e possono così contribuire alle spese della famiglia che sta all’esterno e aspetta il loro ritorno. Anche solo poter pagare la festa di compleanno di uno dei figli le fa sentire fiere. Riacquisiscono la dignità davanti ai loro cari e sentono di insegnare ai figli qualcosa di dignitoso, che spezza la catena della ripetitività del danno. Inoltre imparano un mestiere che potranno sfruttare anche una volta fuori Imparano molto, ma spesso ci lasciano per la fine della pena: le vedo andar via come una mamma felice. Sono consapevole che per loro questa è anche una palestra di vita”. Il progetto si svolge in due istituti di pena pugliesi, quelli di Trani e Lecce. I manufatti vengono realizzati con materiale di scarto, proveniente per la maggior parte da altre aziende tessili italiane. Nella loro seconda vita, però, i tessuti assumono uno stile del tutto particolare firmato dalla stessa imprenditrice. E così oltre alle tradizionali shopper di stoffa e borse per la spesa plastificate, nella collezione figura un’originale borsa/sciarpa che cambia forma a seconda dell’uso. Ma anche un portachiavi che nasconde una mini borsa e braccialetti colorati, testimonial del progetto. “Abbiamo successo, non solo perché si tratta di un’iniziativa di inclusione sociale e dal basso impatto ambientale, ma anche perché i nostri prodotti sono belli, originali e di qualità - continua Delle Donne - . Non vogliamo che vengano acquistati per compassione, ma chi li sceglie deve farlo perché il prodotto piace e viene valutato come valido”. Unico ostacolo all’impresa, che per ora va bene e continua a fatturare, è la burocrazia “la sola che merita veramente di andare in galera” secondo l’imprenditrice. “È quello che ci ammazza: abbiamo messo in moto una macchina che ha bisogno di carburante per camminare, ma le questioni burocratiche rallentano tutto. Ci manca il giusto sostegno. Per fare un’assunzione ci vuole un tempo infinito. È veramente un paradosso”. Trieste: bando del Comune per lavoro ai detenuti, partecipano 10 tra coop e associazioni di Elena Placitelli Il Piccolo, 22 gennaio 2013 Tutti in fila per aiutare i detenuti, dopo il successo del panificio al Coroneo. Dieci fra associazioni e cooperative di Trieste sono a caccia dei 144mila euro stanziati dalla Regione per favorire l’inclusione dei detenuti. Per quanto riguarda le cooperative, si tratta di Consorzio 609, Libra, 2001, Eos, La quercia e Reset, mentre le associazioni in fila sono l’Arci, il Villaggio del fanciullo, San Martino al campo e Jonas. Le loro manifestazioni di interesse verranno vagliate da un’apposita commissione ed entro la fine del mese il Comune renderà nota la graduatoria. L’amministrazione comunale ha infatti appena chiuso il primo bando, emanato con l’obiettivo di individuare i soggetti del terzo settore interessati alla co-progettazione delle azioni e degli interventi da realizzare nel 2013. Per tutti la mission è la stessa: il reinserimento sociale sia dei minori a rischio di esclusione sociale sia delle persone detenute, ex detenute e in esecuzione penale esterna al carcere. È il primo bando comunale di questo tipo, resosi necessario da quando, l’anno scorso, la Regione ha cambiato il modo di erogare i finanziamenti connessi alla mission: se prima ogni attore interessato presentava alla Regione il suo progetto, che poi veniva finanziati, ora i fondi regionali (825mila euro all’anno, come nel passato), vengono dirottati direttamente agli Ambiti sociali di riferimento, con i Comuni capofila. All’amministrazione di Trieste è spettato così per la prima volta di assumere il ruolo di coordinatore tra gli attori locali che entro l’8 gennaio hanno fatto domanda di finanziamento. Nel farlo, l’Ambito di Trieste si è gemellato con i vicini ambiti sociali di Muggia e San Dorligo. La commissione, formata dai rappresentati dei tre Ambiti, da un rappresentante dal Dipartimento di giustizia minorile e da un rappresentante dell’Ufficio esecuzione penale esterna, giudicherà la spartizione del contributo, che come detto ammonta complessivamente a 144mila euro, di cui 68mila per gli interventi sui minori e 76 per gli adulti e nell’ambito del carcere. Tra i requisiti necessari, aver maturato un’esperienza almeno biennale nel settore penitenziario, della devianza e del disadattamento e l’esistenza di precedenti collaborazioni con i tre ambiti, il dipartimento di giustizia minorile e l’ufficio di esecuzione penale esterna. “La modifica del regolamento regionale - commenta l’assessore competente Laura Famulari. Permette non solo un maggiore controllo della distribuzione delle risorse, ma fa emergere anche una visione complessiva delle rete di sostegno presente sul territorio. Assumendosi il ruolo di coordinatore, il Comune riesce a partecipare alla stesura dei progetti presentati dagli attori, occupandosi dunque per la prima volta della devianza anche dall’interno del carcere, non solo dall’esterno come era stato finora”. L’assessore aveva constatato di persona la panetteria “made” Coroneo, ora resta da vedere se e quali altri progetti si svilupperanno. Lecce: finge un malore in carcere per evadere. Sappe: evitiamo il turismo carcerario… www.leccenews.it, 22 gennaio 2013 La traduzione di detenuti presso strutture sanitarie esterne comporta, secondo il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, un grave rischio. Parte l’appello agli organi competenti A seguito della sventata evasione di un detenuto che, all’interno del carcere di Lecce, avrebbe finto un malore per essere accompagnato presso una struttura sanitaria esterna, la Segreteria Nazionale del Sappe, sindacato autonomo Polizia Penitenziaria, scrive, tra gli altri, al Prefetto di Lecce e al Dirigente Asl Lecce, al fine di accendere i riflettori su casi simili. Il Sappe denuncia da tempo l’aumento dei ricoveri e delle traduzioni dei detenuti presso i luoghi di cura esterni al carcere, come conseguenza del passaggio della sanità penitenziaria a quella pubblica. Secondo l’organizzazione sindacale, “l’aumento di traduzioni di detenuti verso le strutture sanitarie esterne ha inciso ed incide in maniera determinante sul lavoro del nucleo traduzioni e piantonamenti dell’ Istituto di Lecce a causa della grave carenza in organico del personale di Polizia Penitenziaria, considerato che nella stragrande maggioranza dei casi, le patologie di cui sono affetti i detenuti potrebbero essere curate anche all’interno del penitenziario leccese”. Il problema sussisterebbe soprattutto nelle ore serali, quando condurre all’esterno detenuti anche pericolosi, “con un numero inadeguato di Poliziotti di scorta”, rappresenta una difficoltà non da poco. Anche i piantonamenti, per la maggior parte nelle corsie ospedaliere a stretto contatto con altri malati con un insufficiente numero di personale, determina una situazione per cui correre ai ripari. “Abbiamo chiesto in più occasioni - scrivono dal Sappe - uno sforzo da parte dell’ASL di Lecce affinché consentisse l’ingresso presso il locale Istituto Penitenziario di un numero maggiore di specialisti, al fine di ridurre al minimo il turismo carcerario permettendo così di utilizzare le risorse disponibili, nel controllo più adeguato dei detenuti malati”. Altra questione importante sarebbe la fatiscenza di molti automezzi utilizzati per il trasporto dei detenuti. “Abbiamo notizia che alcuni automezzi che hanno superato diverse centinaia di migliaia di chilometri continuano incessantemente a circolare , considerata l’esiguità degli automezzi disponibili, come pure molti automezzi sono fermi poiché mancano i fondi per ripararli” denuncia Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe. Avellino: Sappe; applicare misure alternative a detenuti che devono scontare pene minime www.ottopagine.net, 22 gennaio 2013 I condannati a pene brevi nel resto d’Europa le scontano fuori dal carcere. Il penitenziario è in sofferenza con celle due metri per due e agenti in numero sempre ridotto. Il Sappe lancia una proposta per ridimensionare i problemi del penitenziario di Avellino. L’iniziativa è stata avanzata durante la conferenza stampa organizzata ieri mattina dal Sappe nel carcere di Bellizzi. I massimi rappresentanti del sindacato hanno puntato l’attenzione sulla vigilanza dinamica, che secondo loro, serve a poco o niente per i detenuti del nuovo padiglione. In effetti i rappresentati del Sappe ritengono che i detenuti ristretti nel nuovo padiglione devono scontare pene minime per le quali possono essere applicate misure alternative (servizi sociali o domiciliari). In questo modo si creerebbero posti letto e forza lavoro, riuscendo a risollevare le inefficienze del carcere, almeno in parte. “La vigilanza dinamica dei penitenziari voluta per alleggerire l’emergenza carceraria è un vero flop - così ha esordito Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. Pensare a un regime penitenziario aperto, a sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità, favorendo un depotenziamento del ruolo di vigilanza della Polizia Penitenziaria, relegata ad un servizio di vigilanza dinamica, che vuol dire porre in capo ad un solo poliziotto quello che oggi lo fanno quattro o più agenti, a tutto discapito della sicurezza e mantenendo il reato penale della “colpa del custode”. Ebbene, tutto questo è fumo negli occhi”. “La realtà penitenziaria è che nelle carceri ci sono 45mila posti letto e nelle celle sono invece stipate 67mila persone; che la Polizia penitenziaria ha settemila agenti in meno, che i Baschi Azzurri non fanno formazione ed aggiornamento professionale. Come anche per le conseguenze di quell’effetto burn out dei poliziotti determinato dall’invivibilità di lavorare in sezioni detentive sistematicamente caratterizzate da eventi critici - suicidi, tentati suicidi, aggressioni, risse, atti di autolesionismo, colluttazioni”. “La circolare del Dap - prosegue Capece - è incredibilmente anacronistica, perché si rivolge ai detenuti con pene brevi da scontare che in tutta Europa scontano la pena fuori dal carcere. Dovrebbe essere così anche in Italia, e per questo dovrebbe lavorare l’amministrazione penitenziaria piuttosto che delegittimare la polizia penitenziaria e consegnare le carceri all’autogestione dei detenuti. Ci dicano come si fa il servizio dinamico nelle grandi carceri, ad esempio Napoli Poggioreale dove ci sono 2.800 persone in celle idonee ad ospitarne poco più di 1.500 e dove andrò questa mattina a portare la mia solidarietà e la mia vicinanza agli agenti del carcere, a Milano San Vittore che vede più di 1.600 detenuti stivati in celle per 700 posti o a Roma Regina Coeli, più di 1.000 presenze per 700 posti letto!”. Fin qui le affermazioni di Capace sulla situazione del carcere. Il segretario generale non si è limitato nel dire che il penitenziario di Avellino è in grande sofferenza con celle due metri per due e con un numero di agenti esiguo. Pensare che per quanto riguarda le emergenze igieniche sanitarie c’è al momento un solo agente che si occupa della gestione manutenzione dei locali. E per la sorveglianza notturna esterna un solo agente che con l’auto impiega una mezzora per fare il giro completo della struttura. Civitavecchia (Rm): servizi Inps ai detenuti, per domande previdenza e disoccupazione Dire, 22 gennaio 2013 Si è costituito, a Civitavecchia, il tavolo welfare penitenziario per l’attuazione, nei due istituti cittadini, del progetto “Welfare in carcere: Inps - Con te”. Il progetto - promosso dal garante dei detenuti del Lazio, dalla Direzione Regionale dell’Inps e dal Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria - prevede l’utilizzo della nuova piattaforma telematica dell’Inps per consentire agli oltre 745 detenuti delle due carceri locali (il Passerini e il Nuovo Complesso), l’accesso ai servizi previdenziali, alle prestazioni a sostegno del reddito e ad ogni altro servizio erogato dall’Istituto nazionale di previdenza sociale. Nei mesi scorsi, sempre a Civitavecchia, era stato approvato un altro importante documento volto a tutelare i diritti dei reclusi: Carta dei servizi sanitari per i detenuti. Il documento - primo del genere nel Lazio ed uno dei pochi già in vigore in Italia - intende garantire, a tutti i detenuti, l’erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi e cura sulla base degli obiettivi generali di salute, dei progetti specifici e dei livelli essenziali di assistenza garantiti dalla regione. Del tavolo welfare penitenziario fanno parte, oltre al garante, la direzione del carcere, la direzione provinciale dell’Inps e i patronati che hanno aderito all’iniziativa (Inca Cgil ed Epasa Cna). Questi ultimi saranno chiamati a svolgere un ruolo delicato e prezioso visto che, con i propri operatori, dovranno occuparsi sia di sensibilizzare i detenuti che di gestire le procedure. Nelle prossime settimane il servizio prenderà ufficialmente il via con una campagna informativa all’interno del carcere, con la diffusione del manifesto dei servizi Welfare in carcere, specificamente pensato per illustrare ai detenuti presenti le opportunità del progetto. “Il progetto “Welfare in carcere: Inps-Con te” - ha detto il garante dei detenuti, Angiolo Marroni - è un tassello fondamentale del sistema che abbiamo costruito coinvolgendo istituzioni, enti pubblici, associazioni, Centri per l’impiego, Agenzia delle entrate, organizzazioni sindacali e di volontariato. Attraverso questo progetto abbiamo dato vita ad un sistema che consentirà ai reclusi del carcere di Viterbo di poter finalmente accedere, sulla base di percorsi specificamente mappati e con tempi certi, alle prestazioni economiche, sociali e previdenziali cui hanno diritto”. Il progetto ‘Welfare in carcere: Inps - Con tè è frutto di un protocollo d’intesa firmato nei mesi scorsi, tra il garante Marroni, il provveditore alle carceri del Lazio, Di Paolo, e la direttrice regionale dell’Inps, Di Michele, che prevede l’attivazione, nelle 14 carceri della regione, di un nuovo servizio ai detenuti destinato all’implementazione di un modello per facilitare l’accesso ai servizi previdenziali ed assistenziali. Inoltre, si semplificherà il lavoro da parte delle direzioni delle carceri e tempi certi nelle risposte e nell’erogazione delle prestazioni dovute. Grazie al servizio, i detenuti di Civitavecchia che ne hanno diritto potranno presentare domande in materia di previdenza sociale e di invalidità, presentare la documentazione di disoccupazione con requisiti ridotti e riscuotere la relativa indennità, riscuotere gli assegni di invalidità e trovare soluzioni per altre specifiche prestazioni a sostegno del reddito. Oltre a questi servizi, l’implementazione del Progetto prevede la certezza nell’erogazione della prestazione richiesta. Fino ad oggi, infatti, il beneficio economico veniva erogato dall’Inps con assegni postali che il recluso era impossibilitato a riscuotere. Grazie al progetto, invece, la somma sarà accreditata sul conto corrente del carcere e da qui versata sui conti personali dei detenuti. Alghero: medici del carcere denunciano “subiamo perquisizioni corporali, come i detenuti” di Chiaramaria Pinna La Nuova Sardegna, 22 gennaio 2013 Il metal detector del carcere non funziona? Pazienza, un ordine del giorno non scritto, et voilà, nel carcere di Alghero viene ripristinata la perquisizione corporale, mani che frugano nel petto delle signore e che sfiorano l’inguine. Ma non dei detenuti; dei medici e delle infermiere. Il nuovo corso è cominciato cinque giorni dopo il tentativo di fuga di tre albanesi del 14 gennaio scorso. “Veniamo sottoposti a perquisizioni corporali e trattati alla stregua dei carcerati in semi libertà, come gli art.21 e quelli che ritornano dopo un permesso”, così hanno sottoscritto in un esposto inviato alla Asl numero 1, al responsabile del presidio per la tutela della salute in carcere, all’Ordine dei medici e al collegio degli infermieri, i dieci medici (cinque donne e cinque uomini) e le sei infermiere per i quali quel piccolo carcere è diventato la loro Cajenna. “Una cosa mai vista - dicono - che nessuno di noi prima aveva subito, nemmeno chi ha lavorato all’Asinara ai tempi di Riina e dei brigatisti rossi”. Ma secondo i vertici del carcere non ci sarebbe nulla di vero “perché quanto i medici sostengono non è stato registrato dalle telecamere”. Evidentemente nemmeno la reazione di una delle dottoresse che con forza ha rifiutato di sottoporsi all’umiliazione di uno dei controlli ai quali nessuno può esimersi all’entrata e all’uscita dal grande portone, come lei stessa ha denunciato. In ogni caso, la procura starebbe già indagando sul caso e la Asl ha chiesto chiarimenti sollecitando un incontro urgente con la direttrice che nel frattempo avrebbe scritto una lettera in cui lamenta che della struttura sanitaria farebbero parte “elementi non graditi”. Sta di fatto che compatti, medici e infermiere, con raccomandata, hanno sollecitato l’intervento delle istituzioni “per accertare - dice il documento - la legittimità del provvedimento relativo alle perquisizioni corporali, sia da parte di chilo ha deciso sia da parte di chi lo esegue, che noi riteniamo gravemente lesivo della nostra dignità personale e professionale e dei nostri diritti di cittadini liberi e incensurati quali siamo”, pur riconoscendo che le perquisizioni sono una prassi consolidata e che in momenti di particolare tensione possono essere utilizzati, ma solo “se non sono lesivi della dignità personale”, come ha spiegato uno dei legali contattati dai medici. A restare basito, appena ricevuto la lettera, è stato il dottor Bachisio Sanna dirigente della Asl responsabile per il servizio sanitario carcerario che fino a ieri era completamente all’oscuro del nuovo corso, mentre buona parte del personale (non tutti) della polizia appare visibilmente a disagio durante le perquisizioni”. Forse la direzione sospetta che uno di noi sia stato complice degli albanesi - dicono i medici - ma in carcere entrano anche altri operatori, il prete, i docenti della scuola e naturalmente durante i colloqui i parenti dei detenuti che potrebbero portare pezzetto per pezzetto un cellulare che poi loro ricostruiscono abilmente. Comunque sia, noi esigiamo una spiegazione”. Verona: garantire il diritto di voto ai detenuti, invito della Garante Margherita Forestan Ristretti Orizzonti, 22 gennaio 2013 In vista del voto del 24 e 25 febbraio, Margherita Forestan, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale - ha invitato la Direzione del Carcere di Montorio a fare tutto il possibile “affinché possa essere pienamente garantito il diritto di voto delle persone detenute in possesso dei requisiti di legge per esercitarlo”. La brevità dei tempi disponibili richiede, infatti, una sollecita e capillare informazione sui documenti da presentare al seggio, con particolare riferimento alla tessera elettorale. La Garante suggerisce di procedere attraverso l’affissione di appositi cartelli, per consentire a chi può il diritto di voto di attivarsi in tempo utile. “Va reso esigibile l’esercizio di un diritto fondamentale per la partecipazione alla vita politica del nostro Paese di persone che hanno bisogno di sentire riconosciuto il loro diritto di cittadinanza. Lo sancisce la Legge 136/1976 (articoli 8 e 9) : le persone detenute al momento della consultazione elettorale possono esercitare il diritto di voto nel luogo di reclusione, dove va installato un seggio elettorale speciale previa consegna della necessaria documentazione” chiarisce la Garante. Ortona (Ch): reinserimento ex detenuti, ad da Unicredit fondi con raccolta Carta E Il Centro, 22 gennaio 2013 Grazie ai contributi raccolti con Carta E - la Carta del Gruppo che, senza alcun costo aggiuntivo per il titolare, destina il 2 per mille di ogni spesa effettuata a un fondo per iniziative e progetti di solidarietà - sarà finanziato un progetto dedicato all’inserimento lavorativo di ex detenuti e giovani in comunità. Il programma, promosso dall’Associazione Onlus “Soggiorno Proposta” di Ortona favorirà l’inclusione lavorativa di giovani provenienti da contesti di disagio sociale ed esperienze di vita difficili. I fondi destinati al programma sono pari a 40 mila euro e serviranno alla formazione di professionalità legate alla coltivazione di ortaggi. I ragazzi lavoreranno per aziende precedentemente individuate dall’associazione. Un aiuto concreto - si legge in una nota - che consentirà loro di porre le basi per il loro futuro e impostare un nuovo progetto di vita. Una nuova possibilità per la riabilitazione e il reinserimento di giovani che hanno vissuto l’esperienza dell’emarginazione fisica, psichica, sociale, della tossicodipendenza e dell’alcolismo. “Questo progetto - ha dichiarato Frederik Geertman, Regional Manager del Centro Italia di UniCredit - mira ad offrire una seconda occasione a giovani che hanno vissuto esperienze particolarmente difficili. Il contributo che oggi riusciamo ad offrire grazie ai titolari di Carta E e alla passione dei nostri colleghi rappresenta un ulteriore segno tangibile della volontà del nostro Gruppo di svolgere un ruolo sociale nei territori in cui opera”. Soggiorno Proposta è un’associazione onlus, fondata e presieduta dal Salesiano Don Luigi Giovannoni, che si rivolge ai giovani tossicodipendenti, alcolisti, con difficoltà psicologiche e relazionali e con problemi giudiziari. Opera nei settori della prevenzione, cura, riabilitazione e reinserimento sociale dei giovani, perseguendo finalità istituzionali negli ambiti psicosociali, assistenziali, umanitari, culturali e scolastico - professionali. Si impegna per una nuova qualità della vita nel rispetto dei diritti delle persone. Mantova: spacciava droghe tra i degenti dell’Opg, arrestata infermiera con suo convivente di Daniela Marchi Gazzetta di Mantova, 22 gennaio 2013 I carabinieri hanno arrestato un pregiudicato e la sua convivente, infermiera, per spaccio di anfetamina, cocaina e hashish ai detenuti e a degenti dell’Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Castiglione, colpevoli di reati gravissimi come omicidi, violenze e infanticidi. Anfetamina, coca, hashish, marijuana. Si poteva trovare un po’ di tutto a casa di Sergio Pedrazzoli, 46 anni, pluripregiudicato di Castel Goffredo e della sua convivente, Francoise Ferrarelli, dipendente dell’Opg di Castiglione. Era il magazzino dei piccoli spacciatori, roba per tutti i gusti e tutte le tasche. Roba persino per i degenti - detenuti dell’ospedale psichiatrico giudiziario, al cui approvvigionamento provvedeva proprio Francoise Ferrarelli, in qualità di operatrice socio assistenziale. L’anfetamina, in particolare, era diretta ai pazienti ricoverati nella struttura di cura e detenzione, sia a uomini che donne, persone che devono scontare pene per crimini gravissimi, omicidi, violenze, infanticidi (come le mamme ospitate nel reparto Arcobaleno in cui lavorava proprio l’infermiera). Al termine di una complicata indagine, partita proprio dalla soffiata di un paziente dell’Opg, i carabinieri della Compagnia di Castiglione sono arrivati a individuare la coppia dello spaccio e altri due giovani pusher e a sequestrare quasi tre chili di stupefacenti: due di anfetamina, il resto in dosi pronte per la vendita di cocaina, hashish, marijuana, semi di canapa; oltre a denaro, cellulari e diversa attrezzatura per il confezionamento della droga. In tutto un valore commerciale di circa trentacinquemila euro. Come ha spiegato il capitano Giovanni Pillitteri, comandante della Compagnia di Castiglione, le indagini sono partite nel giugno dell’anno scorso con la rivelazione di un paziente dell’Opg. Di sua spontanea volontà, il degente ha raccontato che all’interno della struttura girava anfetamina. Qualcuno la spacciava. I militari hanno subito informato la Procura e dato il via alle indagini: appostamenti, pedinamenti, intercettazioni telefoniche e riprese video. Rapidamente il Nucleo operativo ha capito che la droga (chiaramente a insaputa di personale e direzione) entrava tramite una dipendente, un’operatrice che aveva accesso a tutti i reparti quindi veniva in contatto con molti pazienti, sia del reparto maschile che femminile. Spacciava in particolare anfetamina, una sostanza nata con scopi terapeutici, anche in psichiatria, ma che a dosaggi maggiori è uno stupefacente che produce effetti di benessere, di potenza e può essere acquistato a modico prezzo, sui quindici euro al grammo. Se qualcuno non era in grado di pagare, la donna si rivolgeva direttamente ai famigliari per ottenere il saldo. Ma il vero artefice dell’ingresso della droga in Opg probabilmente era il convivente di Francoise, Sergio Pedrazzoli, pregiudicato, uscito di carcere proprio nella primavera 2012 dopo aver scontato cinque anni per spaccio. La donna, che lavorava all’ospedale psichiatrico giudiziario da vent’anni, ed era stimata e benvoluta, come spesso accade ha commesso l’errore di mettersi con l’uomo sbagliato. Alla fine sono finiti in manette entrambi. Il blitz dei carabinieri è scattato ieri notte. I due sono stati raggiunti nella loro abitazione, a Castel Goffredo. I militari dell’Arma, anche grazie al fiuto dei cani, hanno trovato oltre due chili di anfetamina, 250 grammi di hashish, un migliaio di euro, nonché una sorta di registro di cassa con tutti i conti dello spaccio. Pisa: tenta di portare hascisc al familiare detenuto, denunciato Agi, 22 gennaio 2013 “È costato caro il colloquio nel carcere di Pisa per il familiare di un detenuto che sabato ha tentato di introdurre dell’hascisc. Lo stesso è stato infatti trovato in possesso di alcuni grammi di fumo che occultava negli slip ed è stato denunciato all’Autorità giudiziaria”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. “Nelle carceri italiane il 25% circa dei detenuti è tossicodipendente. Se per un verso è opportuno agire sul piano del recupero sociale, è altrettanto necessario disporre di adeguate risorse per far fronte alla possibilità che all’interno del carcere entri la droga. Alcuni recenti fatti di cronaca, come avvenuto sabato nel carcere di Pisa, hanno dimostrato e dimostrano che è sempre più frequente il tentativo, anche da parte dei detenuti appena arrestati o di familiari e amici di ristretti ammessi a colloquio, di introdurre sostanze stupefacenti all’interno degli istituti penitenziari. Spesso, come a Pisa, la professionalità della Polizia Penitenziaria consente di individuare i responsabili e di denunciarli all’autorità giudiziaria, ma ciò non è sufficiente. Noi riteniamo si possa e si debba fare un ulteriore sforzo per contrastare con forza queste possibilità. Il nostro Contratto di Lavoro del 1995 prevede, tra le specializzazioni del Corpo di Polizia Penitenziaria, i conduttori di unità cinofili; tale servizio è già attivo in molte regioni d’Italia ma non in Toscana, nonostante le nostre reiterate sollecitazioni. Torneremo dunque a sollecitare al Provveditore della Toscana affinché si attivi urgentemente presso il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria al fine di avviare l’iter per l’istituzione di un irrinunciabile distaccamento di unità cinofile del Corpo anche nella nostra Regione”. Capece ritiene che si debbano trovare soluzioni concrete per far scontare la pena ai detenuti tossicodipendenti fuori dal carcere, presso le comunità di recupero o in istituti a custodia attenuta: “Vi è la necessità di riformare il sistema di giustizia criminale nei confronti delle persone tossicodipendenti (e cioè affetti da una vera e propria malattia quale è la dipendenza da sostanze stupefacenti) che abbiamo commesso reati in relazione al loro stato di malattia. Questo per evitare la carcerazione attraverso interventi alternativi, da attivare già durante la fase del processo per direttissima, di cura e riabilitazione “controllate e gestite” in regime extracarcerario con l’ausilio dei servizi pubblici e delle comunità terapeutiche”. Immigrazione: malati di Cie… tra i detenuti, senza cure di Flore Murard-Yovanovitch L’Unità, 22 gennaio 2013 Nei Centri di espulsione molti tentativi di suicidio. Non è garantito il diritto alla salute. Le testimonianze dei migranti. Al di là di quelle sbarre, le cure sono minime. Nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie), come da capitolato d’appalto del ministero dell’Interno, l’assistenza sanitaria è di primo soccorso. Un approccio emergenziale che risale all’istituzione dei primi Cpt nel 1998, che però non è più adeguato ad un trattenimento dilatato fino a 18 mesi negli odierni Cie, perché interrompe de facto i percorsi terapeutici e le cure di medio - lungo periodo. Nel 2011, secondo i dati del ministero dell’Interno, sono stati 7.735 (6.832 uomini e 903 donne) i migranti trattenuti nei 13 Cie operativi in Italia. 7.735 persone, per le quali un diritto fondamentale come quello della salute, come emerge dal monitoraggio sistematico effettuato dall’Ong Medici per i diritti umani (Medu), non è stato sempre garantito. All’ingresso in quell’istituzione chiusa, il check-up iniziale è superficiale. Il personale sanitario delle Asl non ha accesso. I medici che ci operano sono privati, “chiamati” dall’ente gestore che gestisce il centro per conto dello Stato, e mancano spesso delle competenze specialistiche in ambiti come ginecologia e psichiatria. Inoltre scarseggiano i servizi di mediazione culturali e gli interpreti qualificati per le consultazioni medicali, come esige invece il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt Standards). Se l’ente gestore assicura spesso di avere stabilito un buon collegamento con i servizi delle Aziende sanitarie locali (Asl), in realtà la maggior parte dei centri non ha stipulato protocolli. Cioè, non esiste alcun regolamento per l’invio dei pazienti a visite specialistiche o analisi di laboratorio, per la diagnosi e il trattamento di patologie infettive come Tbc, Hiv o epatiti. Per una visita medica fuori dal Cie è obbligatoria la scorta di polizia. Ma la paura che il detenuto simuli o usi il trasferimento in strutture esterne per allontanarsi, porta spesso a sottovalutare la sua richiesta o sottostimare i sintomi denunciati. I pazienti lamentano la persistente disattenzione dei sanitari nei confronti delle loro patologie, e loro il timore delle simulazioni. All’interno di una struttura del tutto simile al carcere ma che non ne possiede i requisiti né le garanzie, viene quindi meno il normale rapporto di fiducia tra medico e paziente: sostituito da una relazione carceriere - sorvegliato. Detenzione peggiore del carcere Se ti senti male, quindi, devi chiamare la guardia, che chiama l’ente gestore, che chiama il medico, e vieni inserito in una lunga lista d’attesa... Dall’indagine dell’International University College sul Cie di Torino emerge che i casi di gravi ritardi nella prestazione delle cure sarebbero numerosi. I detenuti hanno raccontato di un ragazzo che aveva ingerito un oggetto e che è rimasto per ore disteso a terra vicino al cancello, senza soccorso. Un altro, soggetto a crisi epilettiche, avrebbe dovuto essere ricoverato in ambito ospedaliero visto i gravi pericoli insiti nella patologia. A Omar, caso reso pubblico dall’Ong Medu e raccontato qui a fianco, i ritardi nella corretta diagnosi, sono stati devastanti, quasi fatali. Ma nei carceri per solo migranti, i casi di negazione delle cure potrebbero essere ancora per lo più sconosciuti e più numerosi. Quando non è il corpo, in quelle “gabbie”, è la psiche ad ammalarsi. La promiscuità totale. I percorsi di vita anche. Tra migranti appena giunti, persone che vivono e lavorano da anni in Italia, ex carcerati, richiedenti asilo, persino cittadini dell’Ue (romeni), e categorie particolarmente vulnerabili come tossicodipendenti e vittime della tratta. Persone quindi che hanno esigenze diverse. La prospettiva di 18 mesi separati dai propri figli spesso nati in Italia e senza visite dei famigliari, è un incubo. Mesi vuoti, obbligati in uno stato di ozio coatto, dove non è consentito ai cosiddetti “ospiti”, per motivi di sicurezza, il possesso di un giornale, di una penna, di un pettine. Nemmeno di un libro. Un nulla spazio - temporale che il Rapporto della commissione diritti umani del Senato non esitava a definire “peggiore del carcere”, per l’assenza delle garanzie offerte dal sistema penale. Una detenzione arbitraria e inutile, visto che meno della metà dei trattenuti viene rimpatriata, ma che ha invece pesanti conseguenze sulla loro vita. Il profondo e diffuso malessere è testimoniato dai continui tentativi di suicidio e dalle numerose autolesioni inferte sui corpi. Viti, tubi, batterie, tutto va ingoiato o le vene tagliuzzate pur di essere trasferiti all’ospedale. Nel solo 2011, nel Cie di Torino, sono stati riscontrati 156 episodi di autolesionismo (100 dei quali per ingestione di medicinali e corpi estranei, 56 per ferite da arma da taglio). L’indicibile è poi denunciato dalle dirompenti perdite di peso, dall’insonnia, dalla depressione, dalle patologie ansiose e mentali. Ma nei Cie non sempre è prevista la presenza di un servizio di sostegno psicologico, o è minimo e reattivo. Solo dopo i ripetuti atti Violenti nel centro di via Brunelleschi a Torino sono stati introdotti degli psicologi, ma in altre strutture non ce ne sono sempre. Pur non essendo disponibili dati ufficiali, molti professionisti e volontari riferiscono di un ampio ricorso ai psicotropi a base di benzodiazepine. Ritrovil, Tavor, Talofen, ecc.. Il problema: si somministrerebbe senza prescrizione o supervisione di un medico psichiatra specialista. “Mi danno 40 gocce di Minias e 30 di Tavor ogni sera”, confessa una detenuta nel Cie di Torino. 0 come racconta un ragazzo diciottenne al 26 giorno di trattenimento: “Certo che prendo psicofarmaci, se non lo fai, vai fuori di testa qua”. Difficile, poi in caso di sovraffollamento gestire tutti i casi. Angoli bui, opachi, inquietanti della salute pubblica. Lasciati alla discrezionalità totale dalla parte degli enti gestori. Nei Cie, presidi sanitari, livelli igienici e di vivibilità degli ambienti e condizioni sanitarie degli stranieri detenuti non sono monitorati dalle autorità sanitarie pubbliche. I dati sanitari sono gravemente carenti - per assente raccolta e sistematizzazione - e non ci sono linee guida a livello centrale. I continui dinieghi del ministero dell’Interno di rendere disponibili a Medu o a Msf, a parte singoli casi, le convenzioni stipulate tra i singoli enti gestori e le Prefetture locali testimoniano di questa mancata trasparenza. Oltre quelle mura, le veridicità delle condizioni di detenzione è raccontata, in silenzio, dai ripetuti scioperi della fame, incendi dolosi e atti di vandalismo, dalle continue rivolte e fughe - raddoppiate rispetto all’anno precedente in quasi tutti centri visitati da Medu. Senza nominare le denunce di abuso - punizioni, manganellate, quotidiane imposizioni, insulti verbali - che costituiscono potenziali casi di trattamento inumano e degradante della persona umana. “Qui è peggio di un carcere” è la frase che si capita sempre di sentire con più frequenza quando si ha accesso ad un Cie. “Vorrei che questo centro scomparisse e basta”, dice un’altra trattenuta a Torino; altri si vedono come “corpi a disposizione totale della struttura”. In 18 mesi, la mente e il corpo hanno tempo di ammalarsi e da quel luogo si esce in generale con condizioni peggiori di salute. Immigrazione: Cie di Modena, ancora troppi problemi, sia per detenuti sia per lavoratori Dire, 22 gennaio 2013 Sono 38 le persone detenute nel Centro di identificazione ed espulsione di via Lamarmora. In media hanno un tempo di permanenza di 25 giorni. Provengono in prevalenza da Marocco e Tunisia. Almeno cinque quelli con problemi di tossicodipendenza. “Un dato che indica alcune criticità in tema di diritto alla salute, garanzia di cure adeguate e compatibilità con il trattenimento. Sarebbero anche da perfezionare gli accordi fra Ausl e Consorzio Oasi per garantire le prestazioni in tempi più celeri”, ha detto Cecile Kyenge, portavoce nazionale della Rete Primo Marzo in occasione della visita di questa mattina all’interno del Cie di Modena. Oltre a Kyenge erano presenti alla visita anche le parlamentari del Pd, Manuela Ghizzoni e Mariangela Bastico, Paola Manzini di Sel, Fiorella Prodi di Cgil e Fatima Hasani di Cls-Cgil. Quest’ultima ha fatto un appello ai Consolati per il disbrigo delle pratiche: è infatti molto elevato il numero di coloro che arrivano al Cie dal carcere e, ha sottolineato Hasani, “non si comprende perché non siano rimpatriate persone già in possesso dei documenti identificativi”. Come ha ricordato Manuela Ghizzoni, “non tutti i trattenuti al Cie vengono direttamente rimpatriati: alcuni sono indirizzati ad altri Cie, qualcuno a Trapani per i colloqui con il console di riferimento. Riteniamo importante l’intensificazione dei rapporti diplomatici con i Paesi d’origine in modo da rendere più tempestivi i tempi d’identificazione ed eventuale rimpatrio”. Spagna: Corte Appello Roma accoglie richiesta di estradizione per detenuto basco Tm News, 22 gennaio 2013 Deve tornare in Spagna, Lander Arrinda Fernandez accusato di aver partecipato nel 2002 a Bilbao ad un corteo di protesta in appoggio dell’Eta. I giudici della IV sezione penale della Corte d’appello di Roma hanno accolto la richiesta di estradizione presentata dalla magistratura iberica. “La decisione non sarà comunque eseguita sino a quando la Cassazione non si sarà pronunciata sul caso”, hanno spiegato i legali di Fernandez. Nel corso della manifestazione a cui partecipò l’indagato, venne bloccato un autobus che fu poi incendiato dopo aver fatto scendere i passeggeri. Fernandez è stato arrestato a Roma nel giugno scorso in forza di un mandato di cattura internazionale. In occasione della udienza davanti alla corte d’appello si è tenuto un presidio in sostegno del “compagno arrestato”. In un volantino si sottolineava che la “misura a cui e sottoposto attualmente a Fernandez è ingiusta e immotivata”. E poi “Fernandez è un militante politico che conduce da sempre la lotta per la dignità e la libertà del paese Basco”. Iran: rapinatori impiccati in “Casa della cultura”; protesta artisti, commozione sul web Ansa, 22 gennaio 2013 L’impiccagione di due rapinatori eseguita ieri a Teheran ha innescato una sommessa protesta di artisti e commozione tra utenti di social network censurati in Iran. Come riferiscono siti di opposizione, l’esecuzione degli autori di una rapina che aveva destato scalpore nel paese dato che era stata condotta usando un machete è stata seguita dal raduno silenzioso di un numero imprecisato di artisti. La protesta si è indirizzata contro la pena di morte giudicata inutile per la prevenzione dei crimini. L’assembramento ha voluto però protestare contro la scelta del luogo dell’impiccagione: il parco della “Casa della cultura” un luogo idilliaco a Teheran dove è possibile andare a teatro, visitare mostre, sedersi al caffè a mangiare anche all’aperto in genere in un clima di grande serenità. Sui social network si notavano stamattina molti commenti commossi sull’esecuzione di ieri: ad alimentare la commozione sono state le foto che mostrano i volti dei condannati, entrambi ventenni, prima dell’impiccagione ad alte braccia meccaniche eseguita quando era ancora notte. A colpire è stata soprattutto una in cui un condannato dal cranio rasato si dispera addirittura appoggiando la testa sulla spalla di uno dei boia con passamontagna. In quella ed in almeno un’altra immagine in circolazione su internet si vede l’alto uomo addetto alle esecuzioni appoggiare una mano sulla spalla del condannato. Il segno di umanità ha accresciuto l’impatto emotivo del caso di impiccagione che peraltro è solo uno delle centinaia eseguite ogni anno in Iran, paese fra quelli che più spesso fanno ricorso alla pena di morte. Ad alimentare l’interesse erano state le immagini video della rapina diffuse sulla tv pubblica dopo la censura su Youtube. A causa dell’uso del lungo coltello simile ad un machete c’era stato scalpore sui media e le autorità giudiziarie avevano promesso di punire i rapinatori con la pena capitale che scatta per i colpevoli di “Moharebeh” (guerra contro Dio). I due complici dei rapinatori impiccati sono stati condannati a dieci anni di carcere e 74 frustate. Iraq: governo annuncia rilascio 888 detenuti per placare proteste dei sunniti Agi, 22 gennaio 2013 Il governo iracheno ha annunciato di aver liberato 888 detenuti nelle ultime due settimane, in risposta alle proteste delle zone a maggioranza sunnita contro il premier sciita Nouri al - Maliki. Il vice primo ministro, Hussein al-Shahristani, ha spiegato in una conferenza stampa che altri 1.041 prigionieri sono stati scarcerati su cauzione e ha promesso che i rilasci proseguiranno su base quotidiana, dando priorità alle donne. Gli oppositori di Maliki denunciano che le leggi antiterrorismo sono state utilizzate per liberarsi di esponenti della minoranza sunnita nel nord e nell’ovest del Paese e dal 23 dicembre manifestano regolarmente. Una protesta blocca da settimane l’autostrada che collega la capitale alla Giordania e alla Siria. Intanto è di almeno 17 morti e 54 feriti il bilancio di una nuova ondata di attentati dinamitardi avvenuti in pieno giorno alle porte di Baghdad. Secondo quanto riferito da fonti della polizia irachena, un kamikaze a bordo di un’autobomba si è lanciato a tutta velocità contro un posto di blocco dell’esercito a al - Mahmoudiyah, 25 chilometri a sud della capitale, e si è fatto saltare in aria: cinque le persone uccise, compresi due soldati, e 15 i feriti. Indonesia: donna inglese di 56 anni condannata a morte per narcotraffico Agi, 22 gennaio 2013 Clamorosa e inattesa sentenza capitale in Indonesia contro una cittadina britannica di 56 anni, madre e nonna: la donna, Lindsay Sandiford, è stata condannata a morte per narcotraffico dalla Corte Distrettuale di Denpasar, sull’isola di Bali. Lo scorso maggio era stata arrestata all’aeroporto internazionale Ngurah Rai, il più importante dell’arcipelago, con 4,79 chilogrammi di cocaina nascosti nella valigia. Un verdetto così pesante è stato una sorpresa: la stessa accusa aveva chiesto per lei solo quindici anni di carcere, definendola meritevole di clemenza perché aveva ammesso le proprie responsabilità, e inoltre perché durante il processo si era comportata impeccabilmente. D’altronde la stessa polizia indonesiana le aveva riconosciuto il merito di aver collaborato a sgominare una banda di spacciatori composta da tre suoi connazionali e da un loro complice di nazionalità indiana. Nulla da fare: uno dei giudici ha escluso la sussistenza di circostanze attenuanti, enfatizzando invece il cumulo delle prove a carico dell’imputata; il presidente del collegio a sua volta ha definito la pronuncia di colpevolezza nei confronti della matura trafficante “convincente e legittima”. Probabile ora il ricorso in secondo grado, che potrebbe condurre magari a un ergastolo. Siria: ribelli chiedono scarcerazione mille detenuti per scambio con nove libanesi rapiti Nova, 22 gennaio 2013 I ribelli siriani stanno trattando con il regime di Bashar al Assad per la liberazione di nove libanesi, rapiti lungo il confine con la Turchia lo scorso maggio. Secondo quanto riferiscono fonti dell’opposizione siriana, sono in corso trattative in stato avanzato per uno scambio e i ribelli chiedono per la liberazione degli ostaggi la scarcerazione di mille detenuti siriani dell’opposizione. Il 10 gennaio scorso un gruppo di familiari dei libanesi rapiti in Siria dall’Esercito libero ha inscenato una manifestazione di protesta davanti alla sede dell’ambasciata del Qatar a Beirut, per poi assaltarla. I libanesi sciiti sono sati rapiti lo scorso maggio nella zona di al Azzaz, situata lungo il confine con la Turchia, mentre erano di ritorno da un pellegrinaggio in Iran. I manifestanti davanti all’ambasciata hanno chiesto al Qatar di esercitare pressioni sui ribelli siriani per ottenere la liberazione dei loro congiunti. La protesta stata inscenata il giorno dopo la liberazione dei 48 ostaggi iraniani rapiti dalle forze ribelli a Damasco, scambiati con 2.130 detenuti siriani. Marocco: verrà abolita legge che evita il carcere a stupratori che sposano vittima Asca, 22 gennaio 2013 Il Marocco potrebbe abolire una legge sullo stupro che favorisce i colpevoli, evitando loro il carcere nel caso in cui sposino la vittima. Lo reso noto il Ministero della Giustizia del paese nordafricano, che ha dichiarato il proprio sostegno a una modifica dell’articolo 475 del codice penale, in base al quale lo stupro è punibile con diversi anni di prigione a meno che la vittima e l’aggressore non si sposino. Le legge era finita nel mirino dell’opinione pubblica dopo il suicidio avvenuto nel marzo del 2012 di Amina Filali, una 16enne che era stata costretta a sposare l’uomo che l’aveva violentata. La proposta del governo, che dovrà ricevere l’approvazione di entrambe le Camere, dovrebbe innalzare le pene per lo stupro ai danni dei minorenni, con condanne fino a 30 anni di carcere contro gli attuali cinque. Sbai (Pdl): carcere obbligatorio per stupro è notizia straordinaria “È una notizia straordinaria per un Paese come il Marocco che dopo la Moudawana ha dimostrato ancora una volta di essere sempre un passo avanti nella tutela dei diritti delle donne. Speriamo che anche l’Italia possa comprendere che lo stupro non può essere soggetto, come reato infamante per chi lo compie oltre che devastante per chi lo subisce, ad alcuna amnistia né attenuante. Chi stupra deve fare tutti gli anni di galera che il codice prevede, non un giorno di meno”. Così Souad Sbai (Pdl), presidente di Acmid Donna, commenta il prossimo cambiamento della legge sullo stupro in Marocco, che eliminerà il matrimonio riparatore, che aveva indotto al suicidio la sedicenne Amina Filali. Afghanistan: presidente Karzai ordina inchiesta su torture in carcere denunciate da Onu Aki, 22 gennaio 2013 Il presidente afghano Hamid Karzai ha ordinato un’inchiesta sulla denuncia di torture in carcere contenuta in un rapporto della Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan pubblicato domenica scorsa. Secondo il rapporto, il 43% dei detenuti afghani ha denunciato maltrattamenti in carcere. “Il presidente Karzai - si legge in una nota diffusa dal suo ufficio - ha designato una delegazione incaricata di indagare sui dati e le denunce contenute in un rapporto Onu su torture, abusi e maltrattamenti nelle strutture detentive gestite dal ministero degli Interni e dalla Direzione nazionale per la sicurezza”. Obiettivo dell’indagine è anche individuare eventuali responsabili e portarli di fronte ai giudici. Ieri il contenuto del rapporto, che parla anche di numerose violenze sessuali, è stato negato categoricamente dal vice ministro degli Interni, il generale Abdul Rahman Rahman. “Respingiamo ogni tipo di tortura a cui fa riferimento il rapporto - ha detto il generale - e siamo pronti a condurre una verifica congiunta con l’Onu”.