Giustizia: che vergogna... quelle carceri inumane e degradanti di Antonino Papa Corriere Alto Adige, 18 gennaio 2013 Di carceri, pene, detenuti si parla solo in situazioni emergenziali, anche se ogni anno muoiono in carcere circa 180 detenuti e un terzo di questi sono suicidi. La nostra Costituzione sancisce che la pena sia strumento di riabilitazione sociale, prima che sanzione punitiva. In questi giorni l’attenzione dell’opinione pubblica e degli Organi Istituzionali è concentrata sulla sentenza della Corte europea dei diritti umani con la quale il nostro paese è stato condannato per lo stato “disumano” delle strutture carcerarie. I giudici di Strasburgo hanno stabilito che sette detenuti - tre nel carcere di Piacenza e quattro in quello di Busto Arsizio - sono state vittime di trattamento degradante ossia costretti a vivere in celle troppo anguste (3 metri quadri), e quindi saranno risarciti - a titolo di danno morale - per un ammontare complessivo di 100 mila euro. In altri termini si contesta all’Italia la violazione del principio “naturale” del primato della persona umana che deve essere rispettata anche nella posizione di carcerato. C’è di più: la decisione va oltre i casi singoli e afferma che nelle carceri italiane da anni esiste un degradante e generale sovraffollamento. Che vergogna per noi tutti, anche se colpevoli. Non è forse questo uno stato di cose - che definirei di illegalità costituzionale - con cui lo Stato pensa di rispondere all’illegalità criminale? Intanto si continua a morire: nel nuovo anno 2013 si registrano già due suicidi tra i detenuti e dal mondo libero ... tanto silenzio. Chiediamoci allora quanto può incidere il sovraffollamento ossia Il degrado delle condizioni umane dirette e indirette che riducono gli spazi di vita, di socialità, di colloqui. Come si concilia il numero di suicidi, o le migliaia di atti di autolesionismo o gli scioperi della fame oppure i decessi in carcere dovuti a mancanza o insufficienza di cure sanitarie col dettato costituzionale che cita espressamente il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità e le finalità rieducative della pena? Ci si può tranquillizzare la coscienza e la legalità quando si sente dire... “sono delinquenti, hanno commesso dei crimini... oppure:.... abbiamo già tanti problemi, e tante persone oneste e perbene che fanno una fatica enorme a tirare avanti! Invece poco si dice delle attuali condizioni di vita dei detenuti le quali non sono degne di un paese civile e le strutture non idonee alla “crescita individuale” dei reclusi. Dovrà continuare a essere così? E le istituzioni? Nel passato il dibattito tra politica e addetti ai lavori è sempre stato un fuoco di paglia durato pochi giorni e poi tutto... come prima. Ne fa fede la statistica delle morti tra i reclusi unitamente a quelle tra gli agenti della polizia penitenziaria. Il Parlamento che verrà dovrà farsi carico di una profonda riforma legislativa che intervenga non tanto nel programmare e costruire nuove strutture carcerarie quanto nel modificare il codice penale e nel preferire le cosiddette misure alternative. Perché non escludere la reclusione carceraria per reati “leggeri” ossia per quei reati puniti con detenzioni brevi? Perché non graduare gli illeciti con sanzioni pecuniarie, poi interdittive o prescrittive e infine - solo quando tali pene appaiono inadeguate - prevedere quelle detentive? Ed ancora : perché non personalizzare (meglio) la pena, tenendo conto del delitto, della persona e delle sue modificazioni in melius o in pejus? Come e che cosa rispondere attivamente alla sentenza “epocale” di Strasburgo? A mio parere se anche i ripetuti ammonimenti del Capo dello Stato non hanno scalfito l’indifferenza generale e sono stati inidonei a risolvere il problema delle carceri, può, invece, il Presidente Napolitano dare la prima e immediata risposta politica se ascolta le richieste in atto. Mi spiego. Circa un anno fa il Presidente Napolitano - ai sensi dell’articolo 59 della Costituzione - ha nominato Senatore a vita il Professor Monti per meriti speciali (invero poco conosciuti dai cittadini). Ebbene da anni Marco Pannella ha messo in gioco e a rischio la sua vita per salvare quella delle persone in carcere: la sua nomina a senatore premia la sua passione civile ed esalta il senso profondo di questo impegno il cui obiettivo è quello di rendere la dignità e lo status delle persone uguali davanti allo Stato e alle sue leggi. Di questo oggi nessuna classe politica può fare a meno. Giustizia: carceri affollate, non è possibile attendere oltre di Paola Balducci Gazzetta del Mezzogiorno, 18 gennaio 2013 Il Procuratore della Repubblica di Milano indica la strada delle misure alternative a causa del sovraffollamento, invitando i Pm milanesi a ricorrere il meno possibile al carcere e ad usare, invece, in maniera più larga possibile misure alternative. A pochi giorni dalla notizia dell’ennesimo suicidio nel carcere pugliese di Borgo San Nicola, giunge inesorabile per il nostro Paese la censura dell’Europa. La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha infatti condannato nuovamente l’Italia per il trattamento inumano e degradante cui sono costretti i detenuti che si trovano nelle nostre carceri. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha invitato gli Stati a sollecitare i procuratori e i giudici a ricorrere nella misura più larga possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro politica penale verso un minore ricorso alla carcerazione. I richiami sono sempre più forti. Il nostro sistema carcerario è ormai da tempo al collasso e i numeri dell’amministrazione penitenziaria non lasciano spazio a dubbi sulla necessità di un intervento imponente in materia. La popolazione carceraria ha raggiunto negli ultimi anni i livelli più alti dal secondo dopoguerra e ciò mentre le condizioni strutturali degli istituti di pena, assenti dall’agenda politica degli ultimi governi, sono inesorabilmente andati al declino. Al sovraffollamento, pertanto, si aggiungono le drammatiche condizioni igienico-sanitarie in cui sono costretti a vivere i detenuti, nonché la situazione di enorme disagio in cui la polizia penitenziaria è costretta a lavorare e che aumenta il numero delle morti legate all’ambiente carcerario. I principi costituzionali impongono un modello di esecuzione penale fondato sulla presunzione di non colpevolezza, sulla umanizzazione delle pene e sul finalismo rieducativo delle stesse eppure la situazione reale è ben lontana da siffatti parametri, tale da rappresentare un’urgenza che non può essere rimandata. Il provvedimento del Ministro della Giustizia Paola Severino, cd. decreto “svuota-carceri”, seppur dettato dalla necessità e dall’urgenza, ha aperto il varco alla via delle riforme. Il decreto, intervenendo sul fenomeno delle porte girevoli e innalzando la soglia della pena detentiva che può essere scontata presso il domicilio, ha limitato la permanenza negli istituti di pena, ma la gravità della situazione richiede un intervento strutturale di ben più ampia portata. La drammatica questione carceraria, affonda le proprie radici più lontano, alla base della situazione attuale non vi sono solo le gravi carenze dell’edilizia carceraria, ma l’inadeguatezza di un sistema penale sostanziale e processuale che risente della vetustà delle fonti normative a fronte di ben più moderne esigenze. In tale contesto è assolutamente necessaria una riforma di ampia portata che affronti in maniera sinergica ed organica la questione della giustizia del nostro Paese migliorando il sistema carcerario, limitando il flusso in entrata e al contempo favorendone, nei limiti di legge, il deflusso. Un intervento articolato che parta dalla depenalizzazione dei reati “bagatellari” previsti attualmente dal sistema penale italiano, giungendo fino all’ampliamento delle ipotesi di reato perseguibili a querela di parte, passando attraverso l’introduzione di forme di anticipazione della definizione del processo, come la messa alla prova e la definizione per irrilevanza del fatto. Una adeguata valorizzazione della “politica del non ingresso” può consentire infatti di evitare il carcere per quei soggetti per i quali l’esperienza carceraria sarebbe più criminogena che rieducativa, ripristinando quella funzione essenziale della pena tanto voluta dal legislatore costituente. E tutto ciò senza che vengano meno le garanzie per i cittadini in termini di sicurezza e di certezza della pena. Alla riforma dell’apparato sanzionatorio deve necessariamente accompagnarsi un ripensamento dell’istituto della carcerazione preventiva, misura cautelare pensata dal legislatore come extrema ratio e divenuta invece prassi costante. Della popolazione carceraria ben il 40 % è rappresentato da detenuti in attesa di giudizio, oltre 26mila persone per le quali la colpevolezza, ricordiamo, deve ancora essere accertata. In conclusione la triste considerazione che ad un Paese in cui si parla troppo di garanzie, nei fatti, basta pensare al sistema carcerario e alla irragionevole durata dei processi, viene conferita a pieno titolo l’ennesima maglia nera. Giustizia: ex Presidente Consulta Flick; presto giudici avvertiranno Stato che compie reato Tm News, 18 gennaio 2013 “La pena, dice la Costituzione, deve tendere alla rieducazione e rispettare dignità e l’umanità. Le condizioni di fatto in cui si svolge la pena non sono assolutamente queste”. Lo ha detto l’ex ministro della Giustizia ed ex presidente della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick, oggi candidato con il Centro Democratico di Tabacci e Donadi, ospite di un filodiretto a Radio Radicale. “Lo hanno detto tutti, dal Papa in giù, che non si può continuare così - ha spiegato Flick. L’Europa ci ha minacciato: se non facciamo qualcosa di strutturale e di serio, rischiamo veramente”. “Adesso lo dicono anche i giudici. Mi aspetto che prima o poi - ha aggiunto Flick - un giudice, quando condannerà una persona alla pena del carcere, dica allo Stato: stai ben attento a mettere dentro questo che condanno, perché mettendolo dentro in queste condizioni commetti a tua volta un reato. È quel che hanno già detto, seppure usando parole diverse, la Corte Suprema degli Stati Uniti e la Corte federale tedesca”, ha concluso Flick. Sulla proposta di amnistia dei radicali, Flick ha detto che “l’amnistia è una cosa abbastanza difficile richiede una maggioranza qualificata, la vedo difficile di questi tempi. Ma non posso dimenticare che l’ultimo atto fatto dal Parlamento è stata l’approvazione di una legge che riguarda gli avvocati. E non ha approvato una legge - che pure era poca cosa, non avrebbe fatto granché - che riguardava i detenuti”, ha concluso. Giustizia: Di Pietro (Idv); sono contrario all’amnistia, occorre depenalizzare reati minori Adnkronos, 18 gennaio 2013 “L’ultima cosa da fare sono i condoni e le amnistie, che tirano dentro tutti, buoni e cattivi”. Ma Antonio Di Pietro, ospite oggi di “Adnkronos Confronti”, è favorevole a un restyling del codice, per “la depenalizzazione dei reati minori”. L’ex magistrato punta il dito contro la “crudeltà del sistema carcerario” e ricorda la candidatura, nelle file di “Rivoluzione Civile”, di Ilaria Cucchi. “Non voglio fare né il manettaro né il barbaro - sottolinea - ma se c’è un problema di sovraffollamento lo si risolve con la matematica, aumentando e migliorando il sistema di accoglimento”. Giustizia; Mencacci (Sip); 1.500 pazienti ex Opg sono una bomba a orologeria per il Paese Adnkronos, 18 gennaio 2013 “Se in America si punta a potenziare i servizi di salute mentale e a migliorare il monitoraggio dei soggetti potenzialmente pericolosi, l’Italia resta al palo e, anzi, si trova a fare i conti con una vera e propria bomba a orologeria: la chiusura degli ex Opg (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) e il destino dei 1.500 internati, persone che hanno bisogno di cure e che devono trovare nuove forme di assistenza. Possibilmente, a quanto pare, a costo zero”. A sollevare il problema con l’Adnkronos Salute è Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria (Sip), che spiega: “Il rischio reale è quello di non tutelare i diritti di cura di questi pazienti, ma anche il resto dei cittadini da quanti fra loro hanno commesso dei reati”. Secondo Mencacci è stata fatta una legge “bellissima ma totalmente ideologica e astratta, senza fondi, senza risorse e senza il contributo degli addetti ai lavori, cioè le persone che curano questi pazienti. È stato promesso - ricorda - il potenziamento dei servizi di salute mentale interni al carcere, ma invece ci troviamo di fronte a una vergogna nazionale. E la domanda vera è: che fine faranno fra qualche mese le persone che erano chiuse negli ex Opg?”. Insomma, “l’assenza di alternative concrete e il mancato potenziamento dei servizi di salute mentale rischiano di creare grossissimi problemi ai pazienti finora internati, alle loro famiglie e al Paese”. Giustizia: Di Giacomo (Sappe); da ministro Severino spiragli su depenalizzazione reati Ansa, 18 gennaio 2013 In una lunga telefonata “il ministro Paola Severino mi ha promesso che sta andando avanti con le norme sulla depenalizzazione”. Lo dichiara all’Ansa Aldo Di Giacomo, il consigliere nazionale del Sappe, Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria, al 39/o giorno dello sciopero della fame e al decimo della sete per sensibilizzare la politica sulla “disastrosa situazione della giustizia e delle carceri in Italia”. Il sindacalista viene alimentato con le flebo. “La telefonata del ministro della Giustizia - spiega Di Giacomo - mi ha fatto piacere ed è un segno di attenzione particolare. Ci siamo riservati di vederci mercoledì prossimo. Mi ha anche detto di aver predisposto un Ddl nel quale sono previste alcune norme sulla depenalizzazione e un maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione”. Intanto Di Giacomo resta in attesa di impegni seri da parte della politica che si limita a condividere, ma, dice, non interviene concretamente e per questo proseguirà nella protesta, nonostante il parere negativo del suo medico. “Interrompere adesso, quando si vede uno spiraglio, sarebbe una grave sconfitta per me”. Lettere: la campagna elettorale dei detenuti Il Mattino di Padova, 18 gennaio 2013 Più che mai dato persistente di inciviltà da sradicare in Italia rimane la realtà angosciosa delle carceri. (Giorgio Napolitano: messaggio di fine anno, 31 dicembre 2012). Ormai ci siamo. Il 24 febbraio si voterà. Per gli uomini ombra queste saranno le votazioni più importanti della loro vita. Soprattutto per quelli che hanno 20, 30 o più anni di carcere sulle spalle. Oggi al colloquio mia figlia mi ha detto che è indecisa per chi votare e mi ha chiesto consiglio. Ed ho pensato che se anche i detenuti e gli uomini ombra non possono votare, lo potranno però fare i parenti e gli amici. Subito dopo mi è venuta l’idea di fare campagna elettorale alla luce del sole nelle carceri. Molti nostri familiari, amici e conoscenti di norma non vanno a votare, ma lo potrebbero fare per quei partiti, che per le imminenti elezioni, nel loro programma sulla giustizia metteranno questi tre punti: 1) Legalità in carcere. 2) Applicazione della funzione rieducativa della pena prevista dall’articolo 27 della Costituzione. 3) Abolizione dell’ergastolo. In questi giorni mi sto chiedendo: molte persone perbene (e forse non perbene) sono “scese in campo”, perché non farlo anche noi? In Italia molti cittadini hanno a che fare con la giustizia, molti di questi sono ristretti in carcere e alcuni in pene alternative. E tutti insieme, con le nostre famiglie, parenti e amici, possono essere un serbatoio di voti per qualsiasi partito politico che abbia il coraggio e sia d’accordo a migliorare la giustizia e a riconoscere ai detenuti il diritto a relazioni affettive intime, diritto al lavoro (anche ricompensato esclusivamente con sconti di pena), allo studio e il diritto a un fine pena per gli ergastolani. Dopo ventidue anni di carcere sono molto convinto che se lo Stato saprà custodire i suoi prigionieri con più attenzione e in condizioni di legalità, questi usciranno persone migliori. Molti uomini politici hanno sempre affermato che il garantismo per i poveracci e l’impegno per i detenuti fanno perdere i voti. Ora i detenuti e soprattutto gli uomini ombra desiderano dimostrare che quel partito o lista civica che s’interesserà di carcere li guadagnerà. Il voto dei nostri familiari è l’unico mezzo per trasformare la debolezza del singolo detenuto nella forza di tutti i detenuti. Ignazio Bonaccorsi Carmelo Musumeci Gaetano Fiandaca Lettere: carceri sarde fatiscenti, per i detenuti un’espiazione disumana di Giuseppina Di Salvatore (Avvocato) L’Unione Sarda, 18 gennaio 2013 Secondo i giudici di Strasburgo l’Italia è colpevole di violare i diritti dei carcerati tenendoli in celle dove hanno a disposizione meno di 3 metri quadrati a testa: trattamento inumano e degradante. La sentenza pone il Paese di fronte allo stato compiuto, con grave rischio che ad essa ne succedano tante altre dello stesso tenore; c’è solo da sperare che questo non si traduca in concessione di amnistia al fine di aggirare il problema. La clemenza va bene, ma quando da strumento di opportunità politica degenera in mezzuccio di sfoltimento delle cause e sovraffollamento carcerario allora la giustizia cessa di essere tale perdendo la sua funzione di garante dell’ordine sociale. Nella nostra Isola probabilmente non sussiste il problema numerario, o perlomeno non ci troviamo ai limiti: a rilevare è piuttosto sempre stata la fatiscenza di talune, anche importanti, strutture, come Buon Cammino e San Sebastiano, nonché la carenza di organici della polizia penitenziaria. L’ideale sarebbe creare delle cittadelle carcerarie dislocate alle periferie delle città in cui riprodurre condizioni di vita dignitose ispirate alla riabilitazione e rieducazione dei soggetti detenuti secondo un programma di vita votato al lavoro, al sacrificio, al rispetto del prossimo. Chi sbaglia deve pagare, ma non nella logica dell’inflizione di un male, quanto piuttosto in quella, più complessa e senz’altro più onerosa per lo Stato, dell’attribuzione di un “luogo di clausura”, di espiazione e meditazione, che gli consenta di percorrere il difficile cammino verso il reinserimento sociale. La funzione rieducativa della pena, tanto declamata, si fonda pure sulla disponibilità di strutture idonee perché la cattività e la brutalità delle condizioni di vita contribuiscono a degradare lo spirito umano non a migliorarlo. Emilia-Romagna: 42 le associazioni impegnate in programmi di volontariato con i detenuti Sesto Potere, 18 gennaio 2013 “In Emilia-Romagna si può migliorare la situazione carceraria, il momento è quello giusto. È davvero importante il percorso messo in atto dal Provveditorato regionale per il riordino del sistema che, nella piena collaborazione interistituzionale, potrà dare potenzialità e sviluppo a tutto il sistema. Il grandissimo apporto del volontariato di giustizia cosi presente ed attivo nella nostra regione, in modo particolare a tutela dei diritti ed al miglioramento delle condizioni di vita delle persone ristrette, sarà finalmente accolto, coordinato e sostenuto così come merita per modalità di lavoro e contenuti”. L’assessore alle politiche sociali Teresa Marzocchi ha concluso il convegno che si è tenuto ieri a Bologna presso la sala Polivalente dell’ Assemblea legislativa, iniziativa realizzata nell’ambito del progetto “Cittadini sempre” promosso da Regione, Provincia di Bologna e Conferenza Regionale Volontariato di Giustizia. Il convegno si è rivolto ai volontari e agli operatori dei servizi che nella nostra regione operano nell’area dell’esecuzione penale. Il report sul volontariato di giustizia in Emilia-Romagna, presentato da Lisa Di Paolo che ne ha curato la stesura, è frutto di un monitoraggio condotto con l’ obiettivo di censire la varietà di realtà e di attività che associazioni di volontariato, gruppi di liberi cittadini o volontari in supporto di enti del Terzo Settore mettono in campo nel mondo dell’esecuzione penale in Emilia-Romagna. La mappatura ha rilevato le associazioni e le realtà in cui collaborano volontari. Pur muovendosi all’interno di un progetto che pone al centro il volontariato, i ricercatori hanno ritenuto di presentare anche realtà diverse dalle Onlus, quali Cooperative sociali, centri di formazione giuridica, associazioni di promozione sportiva, associazioni. Sul totale di 26 associazioni di volontariato, 13 sono “laiche”. A queste si aggiungono 4 associazioni di promozione sociale, 2 associazioni sportive dilettantistiche e 4 gruppi di liberi cittadini, 5 cooperative sociali, un’associazione studentesca e un centro di formazione giuridica, per un totale di 42 realtà nelle quali operano complessivamente circa 443 volontari. Al convegno sono intervenuti anche la Garante regionale delle persone private della libertà personale Desi Bruno, la referente per la Conferenza regionale Volontariato e Giustizia della Emilia-Romagna Paola Cigarini e il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna Francesco Maisto. Sicilia: il Garante Fleres sul diritto di voto dei detenuti, eliminare tutti i possibili ostacoli Comunicato stampa, 18 gennaio 2013 “Non sono molti i detenuti che possono esercitare il diritto di voto, ma è necessario eliminare tutti i possibili ostacoli per coloro che, invece, possono esercitarlo”. “Con riferimento ai dati delle scorse competizioni elettorali che hanno registrato un numero di detenuti votanti particolarmente basso, ho inoltrato una nota a tutti i Direttori delle strutture penitenziarie aventi sede in Sicilia, affinché, possano essere attivate, per tempo, tutte le procedure per la realizzazione dei seggi all’interno delle carceri. In tal senso, ha proseguito il Sen. Fleres, si è già mosso anche il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria emanando la Circolare “urgentissima” n. 6/2013. Tale Circolare prende spunto da una risoluzione votata dalle Commissioni riunite (I e II) di Camera e Senato, votata l’11 dicembre 2012”. Calabria: Uil-Pa; senza assegnazione di nuovo personale è impensabile aprire altre carceri 9Colonne, 18 gennaio 2013 “Solo tre mesi addietro il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha proceduto, senza alcun preavviso e con un vero e proprio blitz condotto da uomini del reparto speciale del Corpo di polizia penitenziaria, allo sgombero e alla chiusura della Casa di Reclusione di Laureana di Borrello per far fronte alla grave carenza di personale. In questi giorni pervengono indiscrezioni su manovre condotte in gran segreto e che porterebbero all’imminente apertura di almeno un lotto del nuovo istituto penitenziario a Reggio Calabria-Arghillà (150 posti detentivi) e, poco dopo, all’apertura di un Centro diagnostico terapeutico e di un nuovo padiglione presso la casa circondariale di Catanzaro (oltre 300 posti). Il tutto senza alcuna informazione agli operatori e alle organizzazioni sindacali che li rappresentano, nonostante la formale richiesta che ho personalmente prodotto in tal senso già venerdì scorso”. A dichiararlo è Gennarino De Fazio, segretario nazionale della Uil-Pa Penitenziari, che aggiunge: “Senza l’assegnazione (che appare improbabile, per essere eufemistici) di un cospicuo numero di operatori del corpo di polizia penitenziaria e del comparto ministeri, magari sottraendolo ai palazzi del potere, è impensabile aprire nuove strutture carcerarie in Calabria. D’altro canto, non si comprende come l’amministrazione penitenziaria potrebbe spiegarlo e sostenerlo, atteso che solo tre mesi fa ha chiuso un carcere all’avanguardia proprio per penuria di personale”. Molise: trasformare il nuovo ospedale di Agnone in un carcere minorile? Il Tempo, 18 gennaio 2013 Tagli alla sanità e penitenziari sovraffollati: allora perché non trasformare il nuovo ospedale di Agnone in un carcere minorile? Una proposta più che mai attuale, già formulata qualche anno fa, ma lasciata cadere nel vuoto. A rilanciarla è il responsabile dell’Università delle Generazioni di Agnone Domenico Lanciano. Nella città altomolisana da anni si attende il completamento di una struttura che avrebbe dovuto ospitare un presidio ospedaliero. Ma è chiaro che alla luce dei tagli imposti, sarebbe opportuno trovare una destinazione diversa per l’edificio. “L’Università delle Generazioni - ribadisce Lanciano - è sempre stata sensibile al dramma dei carcerati, spesso costretti a sopravvivere in strutture inadatte a garantirne i diritti costituzionali essenziali. La stessa Europa periodicamente tira le orecchie ai vari governi nostrani che non riescono a migliorare e rendere accettabili le condizioni dei cittadini detenuti, specialmente per coloro i quali, in attesa di giudizio, risultano poi innocenti. L’associazione agnonese è pure attenta al destino della struttura che avrebbe dovuto ospitare il nuovo ospedale e che, non ancora completata, rischia di diventare inutilizzata e addirittura fatiscente se non autentico rudere e monumento alla cattiva amministrazione pubblica”. Adesso che il dramma delle carceri è diventato più allarmante, l’Università delle Generazioni rilancia la proposta, già avanzata da altri tempo fa, di trasformare la grande struttura in carcere minorile. Infatti Aldo Di Giacomo consigliere nazionale del sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria, aveva sollecitato in tal senso l’interessamento dell’allora ministro della Giustizia, Angelino Alfano, del Capo dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e del presidente della Regione Molise. “Finora sembra che questo appello sia caduto nel vuoto. Tuttavia, i responsabili più diretti della struttura (che diventa sempre più simbolo degli sprechi più visibili ed eclatanti della nostra classe politica) - ribadisce quindi Lanciano - dovrebbero loro stessi per prima vagliare proposte e darsi da fare perché un “bene comune” così prezioso per l’Alto Molise e dintorni venga valorizzato meglio che sia possibile e non lasciarlo decadere. Chi paga per questo suo depreziarsi anche edilizio?... Possibile che non esiste alcuna possibilità di utilizzo?”. Emilia Romagna: il Sappe scrive a Provveditore su rischio contagio tubercolosi per agenti Ansa, 18 gennaio 2013 Quali provvedimenti sono stati assunti o si intendono assumere per tutelare il personale delle carceri dell’Emilia-Romagna riguardo al rischio contagio malattie infettive per il personale di polizia penitenziaria? È quello che chiede Giovanni Battista Durante, Segretario Generale Aggiunto Sappe (sindacato autonomo polizia penitenziaria), in una lettera inviata al Provveditore dell’amministrazione penitenziaria per l’Emilia-Romagna, Pietro Buffa. Durante ricorda che il Sappe “nei giorni scorsi ha sollevato, anche pubblicamente, la questione riguardante il rischio di contagio di patologie infettive all’interno delle Carceri, dopo che due agenti della polizia penitenziaria, in servizio nella Casa Circondariale di Bologna, sono risultati positivi al test Mantoux 5 UT, riguardante la Tbc”. “Inutile dirle - scrive Durante - che sono e siamo fortemente preoccupati per la situazione sanitaria all’interno delle carceri dell’Emilia-Romagna, come lo siamo per quella generale di tutta l’Italia, considerato che episodi simili si verificano in tutto il nostro Paese: ma di questo parleremo con i vertici del Dipartimento. Siamo preoccupati soprattutto perché ci è stato riferito che il personale di polizia penitenziaria continua a lavorare in assenza di ogni elementare protezione”. Firenze: giovani detenuti dell’Ipm lavoreranno in una scuola elementare Redattore Sociale, 18 gennaio 2013 Trenta ragazzi seguiti dal Centro di Giustizia Minorile saranno impegnati nella manutenzione della scuola elementare La Pira e nella coltivazione dei campi attigui all’istituto. Trenta giovani seguiti dal Centro di Giustizia Minorile di Firenze saranno impegnati nella manutenzione della scuola elementare La Pira e nella coltivazione dei campi attigui all’istituto di via dei Bruni. È quanto prevede il progetto Crei, supportato dalla Provincia e dal Comune di Firenze, e che nasce dalla collaborazione tra il Centro di Giustizia Minorile e l’agenzia di formazione Apab. I giovani impegnati nei lavori, che hanno un’età compresa tra i 16 e i 18 anni, scopriranno così la possibilità concreta di un loro re-inserimento sociale tramite il lavoro. Il progetto prevede 3 moduli di 300 ore ciascuno e formerà i ragazzi in agricoltura biodinamica, giardinaggio e piccole manutenzioni. Alla fine del percorso, a coloro che avranno terminato il corso, verrà rilasciata una dichiarazione degli apprendimenti come previsto dal sistema europeo delle competenze. Dalla collaborazione tra Apab e Centro di Giustizia Minorile è nato anche l’allestimento inagricoltura biodinamica delle aiuole in piazza Beccaria. “Si tratta di un’iniziativa molto importante - ha detto l’assessore comunale all’istruzione Rosa Maria Di Giorgi - che permetterà a molti ragazzi detenuti o seguiti dal Centro di Giustizia Minorile di uscire dalla marginalità in cui si trovano. Il progetto è altrettanto importante perché coinvolge la scuola elementare La Pira, un istituto che versa in condizioni d criticità“. Una criticità “che riguarda anche altre scuole fiorentine e italiane e che è dovuto alla mancanza di erogazione di fondi da parte del Governo, che sta facendo degradare lentamente tutto il patrimonio scolastico”. Bologna: domiciliari per boss Alberti, il Csm difende Presidente della Sorveglianza Maisto La Repubblica, 18 gennaio 2013 Il Consiglio Superiore della Magistratura interviene per dare merito al Tribunale di sorveglianza di Bologna, che era stato investito due anni fa da dure accuse rivolte dall’avvocato di Graziella Campagna, uccisa a Messina dal boss Gerlando Alberti, nel giorno in cui quest’ultimo venne messo agli arresti domiciliari da questo stesso Tribunale. Sono stati il presidente Francesco Maisto e il giudice Manuela Mirandola a denunciare che il legale aveva parlato del Tribunale di Bologna “costellato da un numero di provvedimenti sospetti” al quale “tutti i detenuti d’Italia cercano di accorrere”. Ora Il Csm con una delibera afferma che quelle ed altre frasi, riprese anche da organi di stampa, “costituiscono gravissime indimostrabili accuse che coinvolgono nel discredito non solo le persone dei giudici ma la stessa funzione da essi svolta”. E comunque quelle frasi non hanno costituito “né un condizionamento, né un turbamento al regolare svolgimento e alla credibilità della funzione giudiziaria” e “si deve escludere che si sia creato un generale clima di sfiducia da parte dei cittadini nei confronti del Tribunale di sorveglianza di Bologna”. Milano: detenuto suicida a San Vittore, psicologa e psichiatra accusate di omicidio colposo di Sandro De Riccardis La Repubblica, 18 gennaio 2013 Per mancanza di letti dimisero un ragazzo che aveva già tentato 8 volte il suicidio senza disporne la vigilanza a vista. Si era impiccato a San Vittore, nell’agosto del 2009, dopo essere stato dimesso dal centro osservazione malattie psichiche del carcere. E nonostante almeno otto tentativi di suicidio, Luca Campanale, 28 anni, fu rinchiuso in una cella a medio rischio, senza sorveglianza a vista. Ora, per quel suicidio il giudice dell’udienza preliminare Elisabetta Meyer ha disposto il giudizio per omicidio colposo per una psicologa e una psichiatra in servizio a San Vittore. Dopo la tragedia la procura ha aperto d’ufficio un fascicolo, e nell’indagine del pubblico ministero Silvia Perrucci sono emerse le lacune dei due medici che “con violazione delle regole dell’arte medica e dei doveri inerenti la loro qualifica pubblica, cagionavano la morte del detenuto per asfissia meccanica da impiccagione”. Per le due donne, la procura aveva formulato una prima imputazione di abbandono di incapace aggravato dalla morte, poi i giudici della prima corte d’Assise di fronte a cui si era aperto il processo, a giugno, hanno riqualificato il fatto come omicidio colposo. Luca Campanale entrò nel carcere di San Vittore il 30 luglio 2009, e pochi giorni dopo, il 12 agosto, si impiccò. Ricoverato al centro di osservazione malattie psichiche del carcere, venne dimesso “per mancanza di posti letto”. Nel processo che dovrà chiarire le responsabilità delle due indagate - l’udienza è fissata per il 12 aprile - compariranno come parte offesa i genitori e il fratello della vittima, assistiti dall’avvocato Andrea Del Corno. La richiesta di rinvio a giudizio del pm Perrucci ricostruisce l’intera storia clinica del giovane, i reiterati tentativi di suicidio, le presunte violazioni del personale medico. “In particolare - scrive il pm - erravano nel valutare il rischio suicidiario malgrado fosse incapace di provvedere a se stesso a causa di disturbi psichici dai quali era affetto e del quale dovevano avere cura, trattandosi di detenuto presso il carcere dove le indagate svolgevano la loro attività professionale psicologica e psichiatrica”. E, ancora, lasciavano il ragazzo “senza sorveglianza a vista, sull’erroneo presupposto che il soggetto apparisse “pretenzioso e immaturo”, non considerando i numerosi precedenti gesti autolesionistici”, ben otto tentativi dal maggio del 2009 fino a quello che lo ha ucciso. Roma: chiusa la biblioteca-modello di Ponte di Nona, creata e gestita da ex detenuti di Ambra Murè Corriere della Sera, 18 gennaio 2013 La struttura, arricchita dalle donazioni, abbandonata per “disinteresse istituzionale”. Un ex brigatista: “Com’è possibile lasciar morire un’idea come questa?” Avevano un sogno: “Portare la cultura in periferia”. E non appena ne hanno avuto l’occasione è esattamente quello che hanno fatto. La biblioteca del casale di Ponte di Nona è un simbolo, la prova che il reinserimento professionale e sociale all’uscita dal carcere è possibile. Oggi però questa struttura, l’unica in Europa creata e gestita da detenuti ed ex detenuti, una delle poche fuori dai confini del Gra, è chiusa. Uccisa dal “disinteresse istituzionale”. Sugli scaffali i libri, raccolti negli anni tramite donazioni dei cittadini, accumulano polvere. La scrivania, dove un tempo si alternavano una bibliotecaria professionista e un aiuto-bibliotecario, è abbandonata. Spento il computer. Alla parete è appeso un calendario fermo al luglio del 2011. Vittorio Antonini, un passato da brigatista e un presente da ergastolano in semi-libertà, non si rassegna: “Com’è possibile lasciar morire una cosa così?”. Non si spiega perché un’idea socialmente avanzata come questa debba esser messa da parte. Ogni pietra, ogni filo d’erba, ogni angolo di questo casale è frutto del lavoro suo e di altri ex detenuti conosciuti “in galera” e poi confluiti nell’associazione “Papillon Rebibbia”. Lui, unico condannato per reati politici in un gruppo di detenuti comuni, ricorda con orgoglio che “la biblioteca centrale di Rebibbia Nuovo Complesso l’abbiamo realizzata noi”. La prova generale di un progetto quasi rivoluzionario: “Aprire un polo socio-culturale che fungesse da stimolo per lo sviluppo dell’estrema periferia romana”. Nei tempi d’oro qui si organizzavano anche spettacoli teatrali, rassegne cinematografiche, mercatini, pomeriggi di animazione per i bambini ed eventi culturali per i grandi. Con l’obiettivo di “offrire spazi e occasioni di aggregazione” in un territorio che ne è del tutto privo. I locali li ha forniti, dopo una lunga trattativa, il Comune di Roma, affidando in concessione all’associazione “il Casale” di via Raoul Chiodelli 103. “Per il primo anno - riconosce Antonini - la Provincia, allora guidata da Enrico Gasbarra, ci ha dato una mano”. Poi più nulla. “I massimi esponenti delle istituzioni comunali e regionali sono venuti a vedere il nostro lavoro. La stessa presidente Polverini, appena eletta, ci ha promesso un aiuto”. Ma progetti e appelli non hanno finora portato a niente. Nell’aprile del 2012 il consigliere regionale di Rifondazione Comunista Ivano Peduzzi riuscì a far approvare in Consiglio una mozione per sostenere l’attività della biblioteca. All’unanimità l’Aula impegnò “il Presidente della Giunta regionale e l’Assessore al bilancio ad intervenire urgentemente per evitare la morte per disinteresse istituzionale” di questa preziosa esperienza. Oggi Peduzzi denuncia: “Sono trascorsi sei mesi dall’approvazione di quella mozione. E nessun provvedimento è stato assunto per scongiurarne il rischio chiusura”. Tutto questo mentre, anche “in questa fase di gestione straordinaria”, “la stessa Giunta non ha remore nel deliberare impegni per altri progetti e iniziative”. Nonostante le delusioni, Vittorio Antonini non ha ancora perso la speranza. “Per tenere aperto questo posto - spiega - basterebbero appena 40 mila euro l’anno. Una cifra ridicola per un’amministrazione locale. Per questo rinnovo l’appello a tutte le istituzioni, in particolare al sindaco Alemanno e la presidente Polverini, affinché si impegnino a trovare rapidamente i fondi necessari”. Alla vigilia di Natale, recandosi in visita a Rebibbia, il primo cittadino della Capitale ha dichiarato: “Noi abbiamo una sfida: moltiplicare le iniziative che colleghino le carceri con il tessuto sociale della città. E individuare tutti quegli strumenti necessari per un pieno inserimento dentro la società, una volta scontata la pena”. La biblioteca del Casale di Ponte di Nona potrebbe essere uno di questi. Oristano: visita a Massama del parlamentare Pd Caterina Pes; questo carcere non è lager L’Unione Sarda, 18 gennaio 2013 “Ci sono ancora tanti aspetti da migliorare, ma il nuovo carcere di Oristano non è un lager. È semplicemente un carcere”. Lo sostiene la deputata oristanese del Partito democratico Caterina Pes che, allarmata dalla recente lettera di denuncia da parte dei detenuti, ieri mattina ha fatto tappa nelle celle di Massama. “Una struttura adeguata e moderna, con un bagno, un televisore, una cucina e due letti in ogni cella. Tutt’altra cosa rispetto a piazza Manno, dove c’erano 5 detenuti per cella e per servizi igienici si intendevano i bagni turchi. Ma ben vengano le lettere di denuncia: hanno come intento il richiamo al controllo”. Non mancano però alcune carenze che non possono essere ignorate. Un esempio? Una palestra senza attrezzi o due infermerie senza medici. L’organico penitenziario è invece per il momento adeguato: 162 agenti per 160 detenuti. “Ma c’è da tenere conto che sono in arrivo altri 40 carcerati”. Caterina Pes ha avuto inoltre la possibilità di intrattenersi con alcuni detenuti. Uno di questi, recluso da 33 anni, ha avuto modo di girare le prigioni isolane in lungo e in largo. E ha definito quello di Mas-sama “un carcere di primini”, fatto di persone alla prima esperienza di reclusione, “il migliore nel quale finora sia stato”, svela la parlamentare. Che poi precisa: “Anche l’amministrazione carceraria è ben disposta e impegnata a provare a interrompere certe dinamiche insite nel mondo della detenzione. Attraverso progetti d’istituto e regole ben precise si tenta in tutti i modi di tutelare i detenuti più indifesi da quelli che detengono il potere”. Padova: Sappe; detenuti aggrediscono poliziotto, per poter picchiare un altro ristretto Adnkronos, 18 gennaio 2013 “A poche settimane dalle violente colluttazioni contro poliziotti nelle carceri di Spoleto, Bologna, Siracusa e Saluzzo, un’altra aggressione a un poliziotto in un carcere italiano. Ieri nel tardo pomeriggio, nella Casa di Reclusione di Padova, due detenuti hanno immobilizzato un agente di polizia penitenziaria di servizio per poter picchiare un altro ristretto: il risultato è stato che il poliziotto è stato inviato al Pronto soccorso per la sospetta frattura del polso e il detenuto per diverse ferite alla testa”. È quanto rende noto Donato Capece, segretario generale del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria. “Questa ennesima aggressione ci preoccupa. La carenza di personale di Polizia Penitenziaria e di educatori, di psicologi e di Personale medico specializzato, il pesante sovraffollamento delle carceri italiane sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi - denuncia Capece - Spesso, come a Padova, il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è lasciato da solo a gestire moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno”. “La situazione è ben oltre il limite della tolleranza. Lo dimostra chiaramente l’inquietante regolarità con cui avvengono episodi di tensione ed eventi critici, a tutto discapito dell’operatività e della sicurezza dei Baschi Azzurri”, sottolinea Capece che rivolge poi il suo apprezzamento all’agente ferito, “che ha impedito che la situazione potesse ulteriormente degenerare”. Reggio Calabria: detenuto crea il caos in carcere e ferisce quattro agenti penitenziari StrettoWeb, 18 gennaio 2013 Momenti di forte tensione, quelli che si sono vissuti ieri mattina presso la Casa Circondariale di Reggio Calabria, a causa delle ire di un detenuto, il quale, per protestare contro alcune decisioni circa la sua collocazione all’ interno della struttura, ha scaricato tutta la propria collera contro quattro agenti della Polizia Penitenziaria, i quali hanno anche riportato lievi ferite. A dire il vero, già dalla sera prima il galeotto aveva dato alcune avvisaglie della sua inquietudine, assumendo comportamenti autolesionisti e minacciosi anche verso un altro agente della Polizia Penitenziaria. Per fortuna, i quattro malcapitati agenti dopo essere stati sottoposti alle cure mediche presso gli ospedali Riuniti, non versano in condizioni da destare particolari preoccupazioni. Quello di ieri mattina è solo l’ultima di una lunga serie di aggressioni avvenute a danno di agenti della Polizia Penitenziaria presso le carceri italiane. Proprio in questi giorni si parla tanto di sovraffollamento degli istituti di pena, di una miglior condizione di vita per i detenuti, ma a nostro avviso è molto importante che vi sia la massima sicurezza per chi lavora in carcere. Sono innumerevoli, infatti, le richieste di attenzione da parte delle varie sigle sindacali di categoria, le quali chiedono, in maniera del tutto onesta, di poter operare in un clima sereno e sicuro. India: i marò italiani detenuti verranno processati da un tribunale speciale a New Delhi Corriere della Sera, 18 gennaio 2013 Presto i due soldati verranno trasferiti da Kochi alla capitale indiana. Soddisfatti i legali che difendono i nostri militari: “i giudici hanno infatti escluso la competenza dello stato del Kerala”. Dal cilindro della Corte Suprema di Nuova Delhi è uscita la sorpresa che non ti aspetti: il giudizio sui due marò italiani sarà trasferito ad un tribunale speciale che verrà costituito ad hoc in collaborazione con il governo centrale . Sarà quindi la politica indiana al suo massimo livello a dire una parola conclusiva sul caso dei due fucilieri. Eccoli i giudici guidati dall’onorevole Altamas Kabir, capo del collegio chiamato a scrivere il destino di Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, da quasi un anno detenuti in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori mentre svolgevano il servizio di vigilanza a bordo della nave Enrica Lexie a largo delle coste del Kerala. Il capo del Collegio di difesa Harish Salve ha detto di essere molto soddisfatto per la sentenza, in primo luogo perché è stato escluso il tribunale del Kerala dal processo e ora la questione verrà esaminata nella capitale Delhi dove saranno trasferiti anche Girone e Latorre che si trovano in queste ore nell’Hotel di Kochi in Kerala dove vivono dal maggio scorso in libertà vigilata. L’odissea dei due marò continua ma è arrivata comunque a un punto di svolta. La corte suprema di New Delhi, escludendo dal giudizio la corte del Kerala ha messo da parte anche le forti pressioni politiche che in quello stato spingevano verso una condanna dei due marò. Ma non è stata comunque accolta la richiesta del governo italiano e dei legali dei due militari che hanno sempre sostenuto durante tutto l’iter processuale che non è la giustizia indiana a doversi occupare del caso ma quella italiana poiché avvenuto in acque internazionali. In India è stato giudicato in modo molto positivo il ritorno di Girone e Latorre dopo il breve soggiorno in Italia per le vacanze natalizie. Si erano levate più voci contro questo permesso che avrebbe potuto consentire la fuga ai due marò . Il fatto che abbiano tenuto fede alla parola data ha suscitato simpatie nei loro confronti. Ora l’attesa ricomincia per sapere come e in quali tempi si formerà il tribunale speciale e cosa significhi quel riferimento alla collaborazione con il governo fatto dalla stessa corte. L’angoscia e l’attesa non è solo dell’Italia e dei due fucilieri coinvolti perché a Delhi comunque si scriverà un precedente importante per il diritto internazionale nel quadro della lotta contro la pirateria e per la protezione delle rotte di navigazione. Sudafrica: è morto il detenuto pestato dalle guardie davanti agli occhi dei giornalisti Ansa, 18 gennaio 2013 Il detenuto pestato a sangue dai secondini di un carcere di Groenpunt à Deneysville, in Sudafrica, davanti agli occhi dei giornalisti che accompagnavano una delegazione parlamentare è morto. Lo scrive oggi il quotidiano The Star. Nel carcere aveva avuto una rivolta la settimana passata. La vice responsabile dei servizi penitenziari del paese, Grace Molatedi, raggiunta dal quotidiano ha confermato il decesso del detenuto spiegando che aveva cercato di uccidere una delle guardie. Altri due detenuti sono stati seriamente feriti. Francia: nato primo giornale dal carcere tutto femminile, lo scrivono le detenute di Rennes Ansa, 18 gennaio 2013 Si chiamano Catherine, Laurence e Argi, hanno tra i 20 e i 60 anni, e stanno tutte scontando lunghe condanne nel più grande penitenziario per donne d’Europa, a Rennes, in Francia. È qui che una ventina di detenute si sono improvvisate giornaliste e hanno realizzato il primo periodico femminile francese nato dietro le sbarre. Il primo numero di Citad’elles sarà diffuso domani tra le detenute della prigione: 36 pagine di consigli di bellezza, di salute, cucina, interviste, articoli di attualità e di approfondimento. “Le abbiamo messe di fronte alle pagine bianche che bisognava riempire. Sono loro ad aver concepito il giornale, dall’inizio alla fine, sono loro ad aver avuto le idee di articoli e a scriverli”, ha raccontato all’Ansa Alain Faure, che ha coordinato il progetto per l’associazione Etablissement Bollec, un collettivo di disegnatori, autori, grafici fondato nel 2005 e molto attivo nelle prigioni. La redazione del giornale è iniziata il 12 settembre scorso. Una o due volte a settimana le detenute hanno potuto incontrare dei professionisti del settore per essere formate alla scrittura giornalistica, alla grafica e al disegno. ‘Hanno imparato come si crea un giornale, dalla A alla Z’ ha spiegato Alain Faure. In un secondo tempo, saranno loro stesse a trasmettere quanto hanno imparato alle nuove redattrici che vorranno unirsi al progetto. Tre mesi dopo il primo numero è stampato. Come restare belle in prigione?, si chiedono in una rubrica, proponendo le astuzie di un relooking con i consigli di un’esperta. O ancora consigli per smettere di fumare e ricette di cucina. Sono trattati anche temi seri: un’inchiesta affronta i problemi del reinserimento nel mondo del lavoro una volta scontata la pena e ritrovata la libertà. A febbraio le donne della prigione di Rennes cominceranno a lavorare al numero 2, previsto per aprile. Un terzo numero uscirà a giugno. Il primo numero sarà distribuito domani tra le circa 300 donne della prigione: “c’è una grande attesa - ha aggiunto Alain Faure - il passaparola ha funzionato”. Stati Uniti: ricerca University of Pennsylvania; disordini mentali molto diffusi fra carcerati Agi, 18 gennaio 2013 I disordini psichiatrici sono molto diffusi fra i carcerati e alcuni trattamenti di salute mentale potrebbero essere utili per reintegrarli nella società al termine del loro periodo detentivo. Gli studiosi della University of Pennsylvania hanno utilizzato dati provenienti dal National Comorbidity Survey Replication relativi al periodo 2001-2003 scoprendo che la maggior parte dei comuni disordini psichiatrici sono diffusi fra gli ex-detenuti, inclusi i disordini del controllo degli impulsi, che emergono nella adolescenza e dunque prima dell’arresto.