Giustizia: Bruti Liberati ha ragione, occorre fare ricorso più moderato a misure detentive di Ciro Sbailò (Docente di Diritto pubblico comparato e Giustizia internazionale) Il Velino, 16 gennaio 2013 “La nota del Procuratore Edmondo Bruti Liberati sul ricorso alle pene alternative è l’ennesima conferma dell’esistenza di un ‘caso italianò in materia di giustizia penale. Il Procuratore dice cose vere: occorre fare un ricorso più moderato alle misure detentive, sia quando si tratti di misure detentive sia quando si tratti di pene nel senso tecnico. Egli cita una recente sentenza di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia e una Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 1999. C’è un particolare: ad essere chiamati in causa su tali temi sono, di solito, i governi, non i magistrati. In particolare, nella Raccomandazione si invitano gli Stati a “prendere tutte le misure appropriate” sul piano della legislazione e della prassi per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario. Il punto è che in Italia la “politica criminale” è sottratta al controllo democratico ed è totalmente nelle mani dei pubblici ministeri, che operano nella più ampia discrezionalità (e, tecnicamente parlando, irresponsabilità), al riparo del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Si tratta di un caso unico nel panorama delle grandi democrazie. Ricordo altre due circolari di due illustri colleghi del dott. Bruti Liberati, il dottor Zagrebelski (1990) e il dott. Maddalena (2006). Le due circolari, pur molto diverse tra loro, avevano lo scopo quello di porre rimedio alla “ineffettività concreta” del principio di obbligatorietà dell’azione penale, consentendo al Pubblico Ministero di operare in maniera selettiva. Analogamente, il Procuratore Bruti Liberati invita i pm “a riorientare la loro politica penale”, peraltro dando a intendere che, come del resto si sa, le misure restrittive, pur se formalmente attribuite al giudice “terzo”, di fatto vengono, il più delle volte, decise dal rappresentante dell’accusa. Il sovraffollamento è frutto della micidiale combinazione tra il furioso panpenalismo del legislatore italiano (che cerca forse, così, di compensare la propria impotenza in materia di politica criminale) e il controllo esercitato dai pubblici ministeri sull’intero ciclo dell’azione repressiva dello Stato, il che ha imposto una forte torsione inquisitoria alla giustizia italiana, che si è andata via via accentuando, in particolare dai primi anni Novanta. L’attuale regime del Pm fu voluta dai Padri costituenti soprattutto per evitare gli abusi governativi. Ma direi che a quasi settant’anni dalla caduta del fascismo, sarebbe ora di liberarci di questi tabù e raccogliere le tante le sollecitazioni che ci vengono dai nostri partner internazionali, a garantire il controllo democratico della “politica criminale”, anche per ragioni coordinamento e di efficienza nella lotta internazionale alle varie forme di criminalità. Peraltro, era questa la tesi, come è noto, di Giovanni Falcone”. Giustizia: Bruti Liberati; ricorrere alle misure alternative in fase di esecuzione della pena di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 16 gennaio 2013 “Fate meno intercettazioni” il capo della Procura di Milano l’aveva già raccomandato ai suoi pubblici ministeri nel 2010, e il risultato è stato che nell’anno giudiziario 2011 - 2012 si sono quasi dimezzate (meno 42%), scendendo a 8.246 “bersagli” dai 14.125 del 2009 - 2010. Adesso Edmondo Bruti Liberati con una circolare manda a dire anche “meno custodia cautelare” durante le indagini e “più misure alternative al carcere” in fase di esecuzione della pena dopo le condanne. Perché, parafrasando un refrain degli ultimi mesi, “ce lo chiede l’Europa”. Stavolta è un po’ vero. Nel senso che la settimana scorsa la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, nel condannare l’Italia a risarcire con 100.000 euro sette persone detenute nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza in condizioni di sovraffollamento ritenute contrarie alla Convenzione perché “inumane e degradanti”, ha anche dato un ultimatum all’Italia, visto che, “malgrado gli sforzi sia legislativi che logistici intrapresi nel 2010, il tasso nazionale di sovrappopolazione rimane elevato essendo passato dal 151 per cento del 2010 al 148 per cento dell’aprile 2012”: un anno di tempo per mettersi in regola. Che significa non soltanto “introdurre un ricorso o un insieme di ricorsi interni idonei ad offrire un ristoro adeguato e sufficiente per i casi di sovraffollamento carcerario, in conformità ai principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte”. C’è anche dell’altro, ed è quanto Bruti Liberati ha sottolineato ieri ai suoi pubblici ministeri inviando loro di buon mattino la sentenza nella parte che l’8 gennaio ha destato più interesse negli addetti ai lavori, laddove i giudici di Strasburgo osservano: “Non spetta alla Corte indicare agli Stati le disposizioni che concernono la politica penale e l’organizzazione del sistema penitenziario. Queste scelte sollevano un certo numero di complesse questioni di ordine giuridico e pratico che, in linea di principio, vanno al di là della funzione giudiziaria della Corte. Tuttavia la Corte desidera ricordare in questo contesto le raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa che invitano gli Stati a sollecitare i procuratori e i giudici a ricorrere nella misura più larga possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro politica penale verso un minore ricorso alla carcerazione nella finalità, tra l’altro, di risolvere il problema della crescita della popolazione carceraria”. E qui Bruti Liberati aggiunge soltanto tre righe: “Sono certo che tutti i magistrati della Procura della Repubblica di Milano terranno nel massimo conto, sia in tema di misure cautelari che in fase di esecuzione, gli auspici della Corte europea dei diritti dell’uomo”. Già in dicembre, del resto, sull’onda del caso - Sallusti il procuratore aveva diramato una direttiva per estendere la possibilità del ricorso alla doppia sospensione dell’esecuzione di pene fino a diciotto mesi in base a una norma della legge (prima Alfano e poi Severino). E stando ai dati del Bilancio Sociale della Procura - presentato in dicembre - il ricorso alla custodia cautelare in carcere è stato ridotto già del 4% nell’anno giudiziario 2011 - 12 rispetto al 2010 - 2011. Giustizia: Maccora (Anm); nessun rischio di lassismo, il carcere è già l’extrema ratio La Repubblica, 16 gennaio 2013 Prima di mettere una persona in cella bisogna esperire le altre strade. La ricetta Bruti è possibile. Lo dice Ezia Maccora, gip a Bergamo, nel parlamentino Anm per Md ed ex Csm. Il procuratore di Milano ha ragione? “La sollecitazione è corretta. Il carcere è già l’extrema ratio per la misura cautelare e sono molteplici le misure alternative a cui ricorrere in fase esecutiva soprattutto per le pene brevi”. Non si rischia un atteggiamento lassista con gli indagati? “Direi di no perché ogni misura cautelare deve rispondere ai principi di adeguatezza, gradualità e proporzionalità. La legge prevede molteplici misure, occorre scegliere quella proporzionata ai fatti commessi, alla pena che si ritiene di irrogare, alle esigenze cautelari da soddisfare. È un giudizio che va espresso di volta in volta e il giudice deve disporre la custodia in carcere solo quando ogni altra misura risulti inadeguata”. Il Guardasigilli Severino si è battuta per un ddl per rendere obbligatorio valutare i domiciliari prima del carcere, ma la destra lo ha bloccato. Sarebbe stato utile? “Sicuramente sarebbe stato un primo passo per una maggiore razionalizzazione delle pene detentive, ma la situazione penitenziaria dell’Italia richiederebbe interventi molto più ampi e incisivi. Il carcere, come pena principale, va ripensato”. E se un rapinatore ai domiciliari commette un nuovo furto? “I cittadini si aspettano processi rapidi per un accertamento definitivo della responsabilità penale. Un sistema efficiente restituirebbe fiducia nella giustizia e farebbe anche comprendere che il gravissimo sovraffollamento delle carceri richiede risposte immediate. Comunque, nei casi gravi, il carcere in sede cautelare e in sede esecutiva è un passo obbligato”. Giustizia: Giostra (Csm) chiede un plenum col Capo dello Stato sui problemi delle carceri Agi, 16 gennaio 2013 Un plenum straordinario, alla presenza del capo dello Stato, per discutere del “drammatico problema” delle carceri e indicare “possibili soluzioni”. A chiederlo, durante il plenum di questa mattina, è stato il laico di centrosinistra, Glauco Giostra, sottoponendo la questione al vicepresidente del Csm, Michele Vietti, il quale ha detto che “tale proposta verrà portata in comitato di presidenza: si potrebbe ipotizzare di invitare anche il ministro della Giustizia”. Alla richiesta di Giostra, che è tornato sulla questione carceri ricordando la recente sentenza della Corte di Strasburgo e la nota diffusa ieri dal procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, si sono associati anche altri esponenti laici e togati di Palazzo dei marescialli. “Mi auguro si possa parlare presto in questa sede di nuove misure organizzative” per il carcere, ha detto il togato di Area, Vittorio Borraccetti, secondo il quale “questo tema chiama in causa il legislatore, ma sono i magistrati che chiedono e applicano la sanzione detentiva. Non si può essere indifferenti rispetto all’applicazione del carcere, quando i nostri penitenziari sono in condizioni così degradanti”. Il laico Giostra ha ricordato di aver chiesto anche l’apertura di una pratica in Settima Commissione, inerente il recepimento delle indicazioni contenute nel rapporto che la Commissione mista, da lui presieduta, lo scorso novembre, ha presentato. “Già ieri - ha reso noto il vicepresidente Vietti - il Comitato di presidenza ha autorizzato l’avvio di questa pratica”. Giustizia: oggi il 60% dei detenuti è plurirecidivo, dubbi sulla reale capienza delle carceri di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone) Italia Oggi, 16 gennaio 2013 Circa il 60% dei detenuti è plurirecidivo; 28.459 detenuti, ovvero poco meno del 50% della popolazione detenuta, ha tra una e quattro carcerazioni precedenti a quella per cui è attualmente in galera. La metà circa di queste carcerazioni è il frutto di condanne definitive; 6.890 detenuti hanno tra 5 e 9 carcerazioni già scontate in passato, 1.394 addirittura tra 10 e 14. Ben 350 detenuti hanno più di 15 carcerazioni sulle spalle; 28.608 detenuti sono quelli invece alla prima carcerazione. La recidiva è il grande tema irrisolto della questione penale in Italia. Sono questi alcuni dei dati forniti dall’amministrazione penitenziaria sui detenuti al 1° gennaio 2013. Essi sono 65.701. Il 4,27% della popolazione reclusa è femminile. La capienza regolamentare è oggi cresciuta sino a 47.040 posti. Questo dato è però poco chiaro. Infatti i posti letto erano 44mila qualche mese fa e le carceri da allora sono sempre le stesse 206, anzi vari reparti sono stati nel frattempo chiusi in considerazione delle drammatiche condizioni di degrado. In ogni caso il dato raccolto il 31 dicembre è necessariamente un dato approssimato per difetto rispetto ai numeri reali della detenzione in Italia in quanto sono molti i detenuti che durante il periodo natalizio usufruiscono di permessi premio e che pertanto non sono conteggiati tra quelli presenti. Circa 15 mila hanno meno di 30 anni. Una popolazione, quindi, molto giovane. 587 detenuti hanno invece più di 70 anni. Oltre il 40% della popolazione ristretta è celibe o nubile. I laureati sono 604, di cui 176 stranieri, ovvero meno dell’1% del totale. Sono finanche in numero inferiore agli analfabeti totali. La rilevazione per gli stranieri è spesso non attendibile in quanto molti di essi hanno percorsi anomali di studio. Meno di un terzo del totale sono i detenuti che dichiarano di avere un lavoro fuori. Circa 1.800 sono quelli che si definiscono imprenditori o liberi professionisti. Il 19% dei detenuti è in attesa del primo giudizio, ovvero non ha subito neanche la condanna in primo grado. Circa il 20% è in attesa della decisione della Corte d’appello o della sentenza definitiva della Corte di cassazione dopo avere subito una condanna iniziale. La percentuale degli stranieri in custodia cautelare sfiora il 50% del totale degli stranieri reclusi, un 10% superiore rispetto al dato corrispondente degli italiani. L’1,93% sta scontando una misura di sicurezza detentiva. Poco più di 10 mila persone sono state condannate a pena inferiore ai 3 anni. Diventano 24 mila se si considerano tutti coloro che hanno una pena residua da scontare inferiore ai 3 anni. Eppure molti di costoro non accedono ugualmente alle misure alternative o alla detenzione domiciliare a causa degli ostacoli normativi o delle ritrosie della magistratura di sorveglianza. Gli ergastolani sono 1.581. Gli stranieri sono 24.179. La nazionalità più rappresentata è quella marocchina con 4.480 detenuti. Una buona parte degli stranieri è reclusa in Lombardia, Piemonte e Lazio. Guardando alla regione di nascita degli italiani, al primo posto c’è la Campania con 11.831 detenuti, seguita dalla Sicilia con 7.915. Al terzo posto di questa non lusinghiera classifica vi è la Puglia con 4.557 detenuti. Al quarto la Calabria e al quinto, prima tra le regioni non meridionali, vi è la Lombardia con 3.287 detenuti. Sono solo 18 i detenuti valdostani. A partire dal dicembre del 2010, mese della sua entrata in vigore, sono circa 9 mila i detenuti usciti con la legge definita enfaticamente prima svuota e poi salva carceri. Giustizia: i Radicali in sciopero della fame e sete per le carceri, malore di Rita Bernardini Ansa, 16 gennaio 2013 Prosegue l’iniziativa nonviolenta di militanti e dirigenti radicali per le carceri iniziata la mezzanotte dell’11 gennaio. Nella serata di ieri la deputata radicale Rita Bernardini dopo molti giorni di sciopero della fame e due della sete si è dovuta sottoporre, a causa di un improvviso malore, ad immediati accertamenti sanitari nel corso dei quali le è stato riscontrato un aneurisma della carotide; ulteriori verifiche, in particolare neurologiche, sono previste nella giornata di domani. Intanto, il deputato radicale Marco Beltrandi rimane ancora ricoverato al Policlinico Umberto I. “Il digiuno di dialogo - si legge in una nota dei radicali - è rivolto ai rappresentanti delle massime istituzioni italiane a partire dal Presidente della Repubblica - e ai mezzi di informazione affinché sia garantito agli italiani il diritto costituzionale alla conoscenza fin qui negata sui temi connessi alla giustizia e alla carceri. Da anni, infatti, la Rai impedisce di conoscere le ragioni e le soluzioni di quella condizione criminale che fa della Repubblica un sorvegliato speciale in Europa per la sistematica violazione dei diritti umani. E ciò avviene nonostante gli ordini impartiti ripetutamente dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni”. I partecipanti all’iniziativa nonviolenta sono: Marco Pannella, Sergio Stanzani, Maurizio Bolognetti, Alessandro Massari, Antonio Stango, Valter Vecellio, Donatella Corleo, Federico Tantillo, Paola Di Folco, Michele Capano, Giuseppe Scaldaferri e Manuela Zambrano, ai quali si sono aggiunti allo sciopero della fame decine di militanti. Giustizia: Rossomando (Pd); nuova politica penitenziaria, pensare a misure alternative Adnkronos, 16 gennaio 2013 “La condizione dei detenuti e delle carceri è drammatica ormai da molto tempo, in primo luogo a causa del sovraffollamento dei detenuti negli istituti”. Lo dichiara Anna Rossomando, deputata piemontese del Partito Democratico componente della Commissione Giustizia e della Giunta per le Autorizzazioni alla Camera dei Deputati secondo la quale “è urgente abolire la legge ex Cirielli che vieta ai recidivi le misure alternative alla detenzione e modificare la legge Fini Giovanardi sulle tossicodipendenze. Queste leggi hanno contribuito a determinare quel drammatico sovraffollamento penitenziario che rende le nostre strutture ormai prossime al collasso. Esperienze all’avanguardia come quella della Casa Circondariale Lorusso Cotugno non possono essere isolate, da sole non bastano e necessitano di sostegno con politiche nazionali”. Secondo la deputata del Pd “occorre una nuova politica penitenziaria imperniata su misure alternative alla detenzione. Il cambiamento di rotta iniziato in questo ultimo anno con il significativo contributo del Partito Democratico ha visto l’approvazione alla Camera di una proposta di legge che prevede la detenzione domiciliare come pena principale alternativa alla reclusione per i reati di non particolare allarme sociale e la sospensione del processo per la messa alla prova dell’imputato; purtroppo questo provvedimento non è arrivato a compimento a causa dello scioglimento anticipato delle Camere. Lo consideriamo uno dei primi impegni da portare a termine nella prima fase della prossima legislatura, così come per una seria politica di interventi per il personale penitenziario con riferimento ad assunzioni, riqualificazioni delle professionalità del trattamento penitenziario, di servizio sociale e di assistenza e di cura alle persone detenute o in misura alternativa alla detenzione”. “Per i tempi più immediatamente prossimi riteniamo positivo il recente provvedimento assunto dal governo di destinare una cifra pari a 16 milioni di euro per il lavoro dei detenuti; il nostro impegno sarà massimo affinché questa cifra possa realmente e concretamente essere impiegata per un’attività fondamentale per la funzione riabilitativa della pena. Questo è anche un modo per attuare politiche per la sicurezza dei cittadini, perché non è mai superfluo sottolineare come misure alternative al carcere e impegno sul trattamento durante la pena diminuiscano sensibilmente il numero dei recidivi”. Saravalle (Fare contro declino): affollamento carceri male incancrenito Carceri che scoppiano. A pochi giorni dalla condanna della Corte europea e nella civilissima Lombardia. “Cosa traiamo dall’allarme lanciato dal procuratore generale di Milano Edmondo Bruti Liberati? Che se il male è così incancrenito è perché mai nessuno ha voluto vederne la causa per curarla”. È la reazione di Alberto Saravalle, candidato alla Camera con “Fare contro il declino” di Oscar Giannino. “Avere nelle carceri lombarde 9.307 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 6.051 posti ci dice che è il momento di agire per modificare la carcerazione preventiva considerandola per quello che deve essere: una misura estrema e non la prassi, distinguendo tra gli indagati realmente pericolosi per la società e quelli che non lo sono. Perché non usare ad esempio i braccialetti elettronici diffusi in alcuni Paesi esteri?”. Su 9.307 detenuti presenti nei 19 istituti di pena della Lombardia, circa 3.998 sono stranieri e solo 84 persone sono in semilibertà. In attesa di giudizio risultano 3.746 detenuti mentre sono 5.270 i condannati definitivi. E il dato nazionale è ancora più inquietante: delle 66.685 persone detenute a fine ottobre il 40,1% non sconta una pena definitiva (la media nei Paesi del Consiglio d’Europa è del 28,5%). “Troppi sono i detenuti in attesa di giudizio, spesso per periodi troppo lunghi, a causa delle lentezze della nostra macchina giudiziaria. Non si può continuare così. L’argomento è scomodo, ma va detto che spesso ad affollare le carceri sono i detenuti per piccoli reati, mentre i grandi crimini - finanziari e non - spesso sfuggono alla giustizia. La colpa? L’abbassamento dei termini di prescrizione e l’abolizione di reati come il falso in bilancio sono soltanto un esempio”, conclude. Donadi (Cd): ascoltare protesta di giacomo “Sosteniamo le ragioni della protesta di Aldo Di Giacomo, agente di polizia penitenziaria e consigliere del Sappe, a cui rivolgiamo l’invito ad interrompere lo sciopero della fame e della sete. Non è accettabile che in un Paese dell’Europa del 2013 si debba arrivare a compiere questi gesti estremi per richiamare l’attenzione sul rispetto dei più elementari diritti umani. Per questo, noi di Centro Democratico metteremo ai primi posti fra i provvedimenti del prossimo governo di centrosinistra una seria riforma delle carceri. E confidiamo che il prezioso apporto di Giovanni Maria Flick, candidato nelle nostre liste per le elezioni politiche, possa rappresentare un elemento strategico di questa riforma”. Così in una nota Massimo Donadi, cofondatore di Centro Democratico. Giustizia: ministro Severino; le misure “salva-carceri” stanno cominciando a funzionare Adnkronos, 16 gennaio 2013 Le misure contenute nel decreto ‘Salva carcerì approvate dal governo lo scorso febbraio “stanno cominciando a funzionare e dimostrano che è la strada giusta. Certo l’ultimo provvedimento che non è stato approvato (la messa alla prova per pene non superiori ai 4 anni e la reclusione domiciliare, ndr) sarebbe stato un ulteriore passo in avanti, tuttavia si è avviato un processo che può portare a migliorare il problema del sovraffollamento delle carceri”. Lo ha sottolineato il ministro della Giustizia, Paola Severino, al termine di una visita compiuta nel carcere torinese delle Vallette, insieme al capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, dove ha incontrato anche il detenuto che ieri ha tentato il suicidio per timore di essere trasferito in un’altra struttura e quindi di essere allontanato dalla famiglia che risiede nel capoluogo piemontese ed è stato salvato dall’intervento degli agenti di polizia penitenziaria. “Il carcere è sempre una realtà sfaccettata in cui si trovano picchi di eccellenza e abissi di sofferenza soprattutto quella dei nuovi giunti che devono superare il trauma dell’ingresso in un istituto di pena”, ha sottolineato il Guardasigilli affiancata dal direttore del penitenziario torinese, Giuseppe Forte e dal Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Enrico Sbriglio. “Tuttavia questa struttura carceraria seppure molto estesa ha una dimensione umana, ed ho visto una proficua volontà di cooperazione e di dialogo con il territorio testimoniato dalle diverse attività che si svolgono al suo interno, dalla scuola di ebanisteria ai corsi universitari”. Richiamando, quindi, gli effetti dell’entrata in vigore delle nuove norme sulle carceri, il ministro ha sottolineato che alle Vallette gli ingressi sono passati dai 4811 del 2011 ai 3335 del 2012, circa 1500 in meno “di cui - ha precisato - il 30% grazie all’eliminazione delle cosiddette ‘porte girevolì. Avere un calo del 33% di persone che entrano in carcere per poi essere rilasciate dopo l’udienza di convalida è certamente un risultato significativo”. Inoltre, le direttissime nel 2011 sono state 1.339 con 971 scarcerazioni, nel 2012 invece sono state 353 con 136 scarcerazioni. “Questi dati non solo ci permettono di dire che si è ottenuto un risparmio notevolissimo di traduzioni di detenuti per gli interrogatori, ma soprattutto ci confermano che le misure stanno funzionando come pure funzionano i lavori di pubblica utilità che ammontano a 1.712 e quelle di esecuzione penale esterna che sono 5.695”. “Continuare a sfollare le carceri - ha proseguito il ministro - vuol dire attestare il principio del carcere come estrema ratio. Basti pensare che se avessimo strutture come la Gran Bretagna o la Francia il 75% godrebbe di misure alternative mentre oggi in Italia l’82% dei detenuti sconta la propria condanna in carcere. Se alle misure intraprese si accompagna il miglioramento e l’ampliamento dell’edilizia carceraria come prevede il piano carcere che entro i 2015 consentirà di avere 11.700 posti in più per una spesa di 400 mln questo non potrà che portare significativi miglioramenti”, ha concluso. Polizia Penitenziaria qualificata e motivata “Nonostante il sovraffollamento carcerario, la situazione è controllata e governata, grazie alla capacità dei nostri agenti di polizia penitenziaria. Non è con la forza, che si governano fenomeni come il sovraffollamento ma con la professionalità che i nostri agenti dimostrano di avere”. Lo ha detto il ministro Paola Severino, al termine della visita al carcere di Torino. Il Guardasigilli ha poi ricordato che “il ministero della Giustizia è l’unico che è riuscito a fare nuove assunzioni, nel campo della polizia penitenziaria. Sta terminando il corso di formazione per il primo gruppo di assunti”. Il Guardasigilli ha, infine, detto: “i nostri agenti sono preparati e motivati e vengono riconosciuti come tra i più qualificati al mondo”. Giustizia: Sappe; bene Severino sulla Polizia penitenziaria, ora serve Capo Dap motivato Il Velino, 16 gennaio 2013 “La ministro della Giustizia Paola Severino ha detto oggi a Torino che la Polizia Penitenziaria è tra le più qualificate del mondo, e questa testimonianza ci fa piacere e valorizza l’importante funzione sociale ed istituzionale dei Baschi Azzurri. Quello che vorremo è un Capo della Polizia Penitenziaria consapevole di questa specificità istituzionale, impegnato in prima linea al fianco dei suoi uomini e delle sue donne, motivato ed ambizioso a rendere sempre più coinvolto il Corpo al servizio del Paese. Cosa che oggi non abbiamo”. Commenta così Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo di Categoria, le parole della ministro Guardasigilli in visita al carcere di Torino. “Nella situazione in cui versa attualmente il pianeta carcere gli eventi critici potranno solo che aumentare in modo esponenziale e l’operato del personale di Polizia Penitenziaria risulterà vano se non si troverà una celere soluzione a tutte quelle criticità legate alla maggior parte degli istituti penitenziari italiani”, prosegue Capece. “Se la già e critica situazione penitenziaria del Paese non si aggrava ulteriormente è proprio grazie alle donne e agli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria, che tra il 2011 ed il 2012 sono intervenuti tempestivamente in carcere salvando la vita a più di 2.000 detenuti che hanno tentato di suicidarsi ed impedendo che gli oltre diecimila atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. Poliziotti, è bene ricordarlo, i cui organici sono carenti di oltre 6mila e 500 unità e che mantengono l’ordine e la sicurezza negli oltre duecento Istituti penitenziari a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato, lavorando ogni giorno, ogni ora, nel difficile contesto penitenziario con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità. Quello che di certo non serve è la delegittimazione del ruolo di sicurezza affidato alla Polizia Penitenziaria, come invece previsto da una nota del Capo Dap Tamburino che il Vice Capo Pagano definisce rivoluzionaria (!) che vorrebbe consegnare le carceri all’autogestione dei detenuti attraverso fantomatici patti di responsabilità”. Giustizia: Legge Smuraglia; cooperative sociali in pressing per fondi al lavoro dei detenuti Avvenire, 16 gennaio 2013 L’inserimento dei detenuti nelle cooperative sociali abbatte il tasso di recidiva dal 70% al 10%. Basta questo dato a comprendere l’importanza dei 16 milioni di euro che, salvo sorprese, verranno destinati al lavoro nelle carceri. Ma “non bisogna abbassare la guardia”, avverte il consorzio di cooperative sociali Rebus, perché già a dicembre si era assistito allo “scippo” dei “pochissimi euro previsti nel decreto stabilità per rifinanziare la Legge Smuraglia”, riguardante appunto il lavoro penitenziario. Ora che il Governo ha fatto dietrofront, proprio pochi giorni dopo la sentenza della Corte dei diritti umani di Strasburgo - che ha condannato l’Italia per la situazione nelle carceri - si deve vigilare “affinché nulla di strano e inaspettato avvenga”. L’attenzione è rivolta alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, che dovranno esaminare il nuovo decreto: la speranza è che non si faccia “melina” fino alla scadenza della legislatura. “Siamo abbastanza fiduciosi”, commenta Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà e portavoce dell’Alleanza delle cooperative italiane sociali (una realtà che conta 9mila aderenti, oltre 350mila soci e circa 330mila occupati) perché “un nuovo ripensamento sarebbe controproducente e frutto di un approccio propagandistico alla materia, da affrontare invece con ragionevolezza, attenzione e sobrietà”. Investire in rieducazione e recupero dei detenuti “fa risparmiare una valanga di soldi e porta sicurezza sociale”, scrivevano a dicembre le cooperative sociali, deluse per il mancato rifinanziamento della Legge Smuraglia: “Si è decretata la morte dell’articolo 27 della Costituzione o perlomeno del suo terzo comma: quello che recita “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Bene, questa rieducazione è destinata a rimanere lì, sulla carta: Costituzionale, ma pur sempre carta”. Da allora, qualcosa è cambiato, su iniziativa del ministro della Giustizia Paola Severino: “Quei fondi sono indispensabili per dare continuità al lavoro in carcere e promuovere anche nuovi progetti - riprende Guerini. Certo, oltre alla cifra in sé, bisognerà capire anche come verranno ripartite le risorse”. Utile per il reinserimento dei detenuti nella società, il lavoro nelle carceri è però al minimo storico, stando ai dati pubblicati dal Ministero della Giustizia: “Questo - precisa il portavoce dell’Aci sociale - è effetto anche della crisi economica, specie per il settore manifatturiero”. Ora, spiega in un appello il consorzio “Rebus”, le commissioni hanno ancora due settimane di tempo per ratificare il decreto “ma hanno anche la facoltà, ancora una volta, di modificare nuovamente la destinazione dei fondi”. Dopo quanto avvenuto a dicembre, la fiducia nella politica non è illimitata. Giustizia: caso Cucchi, è battaglia tra periti, il nuovo esame ha riscontrato fratture recenti di Cristiana Mangani Il Messaggero, 16 gennaio 2013 “Fratture recenti, acute e traumatiche”. Il parere arriva da tre super specialisti della Radiologia, ed è stato richiesto dalla famiglia di Stefano Cucchi dopo il deposito dell’ultima perizia richiesta dalla Corte d’Assise e depositata a dicembre scorso. I familiari della vittima non erano rimasti soddisfatti né convinti fino in fondo del risultato in base al quale Stefano era morto principalmente per malnutrizione. E così hanno deciso di rivolgersi a nuovi tecnici. In particolare, è stato il professor Giuseppe Guglielmi, componente del collegio di periti della famiglia, ad aver richiesto una “second opinion” a tre dei massimi conoscitori di radiologia muscolo - scheletrica: il presidente della Società Europea di radiologia muscolo - scheletrica e il direttore della sezione di radiologia muscolo - scheletrica dell’università di Creta. Inoltre, ha fornito un parere scritto e motivato anche uno statunitense direttore della radiologia muscolo - scheletrica della Boston University. E questi hanno confermato la presenza di fratture acute, oltre che del sacro, di L3 e di L5. Tutte fratture, secondo la relazione, recenti e traumatiche. In contrasto, dunque, con quanto dichiarato dai periti della Corte, secondo i quali potevano essere avvenute anche in fase post mortem. “Si tratta di un particolare importante - sottolinea l’avvocato Fabio Anselmo che assiste la parte civile - perché anche la commissione Marino, che ha partecipato alla consulenza tecnica con medici appositamente nominati, aveva fin da subito riconosciuto L3 come frattura acuta e recente”. Questa mattina si svolgerà una nuova udienza nell’aula bunker di Rebibbia. L’obiettivo dell’avvocato della famiglia Cucchi è di riuscire a far entrare nelle consulenze tecniche questo nuovo parere, anche se probabilmente, il deposito avverrà solo alla fine dell’esposizione. Nel frattempo si continuerà ad analizzare la condotta degli imputati. L’accertamento degli esperti della Corte ha concluso che “i medici del reparto di medicina protetta dell’ospedale Pertini, dove Stefano Cucchi era ricoverato, non si sono mai resi conto di essere di fronte a un caso di malnutrizione importante, quindi non si sono curati di monitorare il paziente sotto questo profilo, né hanno chiesto l’intervento di nutrizionisti e, non trattando il paziente in maniera adeguata, ne hanno determinato il decesso”. Stefano è morto - hanno sottolineato - perché “nel punto di non ritorno, e cioè quando le scorte corporee di grassi si sono esaurite, nessuno è intervenuto”. Riguardo alle lesioni sulle vertebre - l’elemento che più preme alla famiglia - viene evidenziato che non si può stabilire se “siano state prodotte da un evento accidentale o da terzi”. Nell’accertamento viene rilevata anche una frattura nel quarto segmento sacrale, ma - è scritto - “non è una frattura che giustificherebbe un ricovero tantomeno la morte. Pertanto le uniche sedi mostranti lesioni certamente attribuibili a un evento contusivo violento, avvenuto tra l’arresto e il ricovero, sono il capo e il sacro”. Periti: cura non adeguata. morte prevedibile “I medici del Pertini non trattando il paziente in maniera adeguata ne hanno determinato il decesso”, dunque “l’evento morte era prevedibile”. Lo ha sostenuto il professore Luigi Barana, uno dei periti incaricati dalla III Corte d’assise di Roma di stabilire le cause della morte di Stefano Cucchi. Stefano Cucchi, arrestato il 15 ottobre 2009 per droga, morì una settimana dopo all’ospedale Sandro Pertini di Roma. Oggi in aula la conclusione dell’esame dei periti (sei medici dell’istituto Labanof di Milano) e dal controesame dei legali della famiglia e delle difese. “I medici - ha detto Marco Grandi, a capo del pool di esperti - non hanno saputo individuare il quadro patologico. Hanno avuto una condotta colposa a titolo di imperizia o negligenza, quando non di mancata osservanza delle disposizioni codificate”. Non fu avvisato che era a rischio vita Stefano Cucchi non fu avvisato dai medici che se continuava a digiunare era a rischio vita. È la conclusione della perizia disposta dai giudici. “Non fu informato sul suo stato di salute, sulla prognosi a breve infausta nel caso lui avesse persistito nel rifiutare cibo e liquidì, ha detto in aula il perito Marco Grandi. I tecnici milanesi si sono soffermati anche sul tema della regolarità della documentazione sanitaria redatta e tenuta in ospedale (“Ci sono carenze nella cartella clinica. Non c’è registrazione del peso, della temperatura corporea, della frequenza cardiaca e anche una confusa registrazione della diuresi”), ma anche sul quesito a loro posto riferito alla correttezza della terapia effettuata e delle informazioni date al paziente. “Secondo noi - ha detto il professore Grandi - i medici del Pertini mai si sono resi conto di essere di fronte a un caso d’importante malnutrizione; non hanno monitorato il paziente sotto questo profilo né hanno chiesto l’intervento di specialisti. In secondo luogo, poi, hanno dato scarsa attenzione all’esame obiettivo del paziente, e non lo hanno informato sul suo stato di salute”. All’ingresso al Pertini il giovane “aveva uno stato di denutrizione importante che, visto la sua volontà di digiunare e di astenersi dall’ingerire liquidi, doveva immediatamente allertare i medici. Anche pochi giorni di ulteriore astensione da alimenti e liquidi costituiva rischio concreto di un irreversibile aggravamento delle sue condizioni”. Cosa diversa per gli infermieri ai quali “nessuno dei sanitari diede indicazioni sul da farsi”. Sotto processo ci sono sei medici, tre infermieri e tre agenti penitenziari, a vario titolo e a seconda delle posizioni accusati di favoreggiamento, abbandono d’incapace, abuso d’ufficio, falsità ideologica, lesioni ed abuso di autorità. Padre: pretendo scuse dal ministro giustizia “Pretendo le scuse dal ministro della Giustizia. Ho consegnato mio figlio allo Stato sano. È stato ucciso e io sono costretto a subire affronti in aula”. È l’amaro sfogo di Giovanni Cucchi, padre di Stefano, a margine dell’udienza di oggi del processo per la morte del figlio, dopo che il pm si è opposto in aula al fatto che i consulenti della famiglia ponessero ai periti del collegio le domande in luogo dei legali della famiglia per “comodità tecnica”. “Ho ipotecato casa, oggi erano in aula i miei consulenti venuti da varie parti d’Italia e da me pagati - ha aggiunto Giovanni Cucchi. Il pm però si è opposto a far sì che fossero loro a porre le domande ai periti della Corte. Voglio capire perché e voglio delle scuse; anche perché ritengo necessario un confronto approfondito che solo tra periti è possibile esplicare in modo completo. A tale confronto ritengo che lo Stato non dovrebbe rinunciare per nessun motivo”. “Stefano è solo la punta di un iceberg che evidenzia come sia il sistema che non va - ha concluso il padre di Stefano. Un sistema che presenta aspetti negativi che non si vogliono fare emergere. Speriamo che la sua morte serva almeno a fare emergere questi aspetti negativi per correggerli”. Emilia Romagna: formazione dei detenuti con 18 Centri provinciali di istruzione per adulti Redattore Sociale, 16 gennaio 2013 Lo ha detto Patrizio Bianchi, assessore alla Scuola, rispondendo a un’interrogazione di Liana Barbati (Idv) sulle strategie predisposte per gli interventi formativi in carcere. “Sono 18 i Centri provinciali di istruzione per adulti (Cpia) che assicurano in tutte le province la continuità dei percorsi di istruzione nelle carceri, fino a quando non sarà completata la riorganizzazione”. Lo ha precisato Patrizio Bianchi, assessore alla Scuola, rispondendo in aula a un’interrogazione con risposta immediata della consigliera Liana Barbati (Idv) sulle azioni e le strategie di coordinamento regionale predisposte per la programmazione di interventi formativi nelle carceri. Per la scuola prima sono 7 i Centri territoriali permanenti (Ctp) che operano all’interno delle carceri con percorsi di alfabetizzazione, 4 le scuole impegnate per la scuola secondaria di primo grado, e 7 gli istituti che erogano percorsi per permettere ai detenuti di conseguire il diploma di scuola secondaria di secondo grado. ‘In diverse carceri vengono, inoltre, attivati da parte dei Ctp e con ricorso a docenti della scuola di secondo grado, percorsi personalizzati di preparazione all’acquisizione del titolo conclusivo del secondo grado di istruzione - ha specificato Bianchi. Per quanto riguarda gli interventi finalizzati alla diffusione della lingua italiana e dell’educazione civica rivolta ai cittadini extracomunitari, la Regione, con delibera 880 del 2012, ha previsto alcuni interventi per adulti, regolarmente presenti, in regime di detenzione carceraria”. Infine, ha concluso Bianchi, “sul versante universitario occorre ricordare che il polo universitario di Bologna si è impegnato su percorsi formativi ed è in corso un’istruttoria che ha l’obiettivo di estendere l’esperienza di Bologna alle altre Università e carceri della regione. Piemonte: Boni (Radicali); situazione carceri è drammatica, la politica non se ne occupa Ansa, 16 gennaio 2013 “In Piemonte la situazione nelle carceri è drammatica come nel resto d’Italia”. È la denuncia di Igor Boni, presidente dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta, il giorno dopo la visita del ministro della Giustizia, Paola Severino, al carcere di Torino. Questi i numeri forniti dai Radicali: 4.971 detenuti in Piemonte a fronte di una capienza regolamentare degli istituti di pena di 3.679 unità; a Torino se ne contano 1.428 contro 1.048 posti del carcere del capoluogo. “È un affollamento enorme, ma la politica fa finta di non guardare - ha aggiunto Boni. Il fatto che i partiti non si occupano del problema è un segnale dello stato della politica italiana”. Cagliari: nuovo carcere pronto a fine mese, slitta di 30 giorni consegna dell’istituto di pena L’Unione Sarda, 16 gennaio 2013 Il termine per la conclusione dei lavori per il carcere era fissato per il 31 dicembre. Il provveditore del ministero delle Infrastrutture: “Zona detentiva pronta entro gennaio”. Com’era facile prevedere, il termine di consegna del carcere di Uta è slittato. L’accordo tra ministero delle Infrastrutture (che sta curando la realizzazione) e ministero della Giustizia (che prenderà in carico l’istituto) prevedeva come data di conclusione dei lavori il 31 dicembre 2012. Il termine non è stato rispettato: operai, camion e ruspe sono ancora in movimento nel cantiere di Santa Lucia. Ma quando sarà conclusa l’opera, quando verrà consegnata e come andrà a finire la questione delle penali con l’associazione di imprese (la Opere pubbliche e la Ciotola) impegnata nella fabbricazione degli edifici? Gli intoppi. Donato Carlea è il provveditore del ministero delle Infrastrutture responsabile del procedimento. “È vero, non siamo riusciti a rispettare il termine prestabilito, ma non per colpa nostra. Gli ostacoli tecnici e burocratici incontrati durante la realizzazione sono stati difficili da superare”. Lo scoglio più impegnativo, oltre alle modifiche del progetto in corso d’opera, è stato sicuramente il problema relativo alla società capofila, la Opere Pubbliche. Più di una volta gli operai hanno incrociato le braccia per protestare contro il mancato pagamento di stipendi e Cassa edile. Stesso discorso per i fornitori che sono arrivati a bloccare con le betoniere l’ingresso del cantiere per reclamare il pagamento delle fatture arretrate. Le nuove scadenze. Ritardi, intoppi, stop improvvisi. A sentire il provveditore Carlea sono ormai una pagina chiusa. “I lavori sono ormai al rush finale. La situazione è delicata, ma le due imprese stanno accelerando per portare a termine l’appalto”. Quando si concluderanno i lavori per l’istituto di pena? “Abbiamo stilato un nuovo programma. La parte detentiva è praticamente conclusa e, eventi imprevisti a parte, la consegneremo al ministero della Giustizia entro il 31 gennaio”. Una volta effettuata la transazione sarà compito del dicastero guidato da Paola Severino procedere all’acquisto dell’arredamento, alla predisposizione dei sistemi d’allarme e di tutte le dotazioni necessarie per il funzionamento di un carcere. Il 41 bis. Più complicata la questione relativa all’edificio che ospiterà i detenuti con il regime 41 bis (in cella per reati di criminalità organizzata, mafia, terrorismo, eversione). “Nel reparto per i reclusi con il regime di carcere duro mancano i prefabbricati. Li stiamo aspettando e, secondo stime ragionevoli, ci sarà bisogno di un paio di mesi per completare anche quella struttura”. Tradotto? “Per fine marzo contiamo di metterlo a disposizione del ministero della Giustizia, che dovrà provvedere agli arredi e ai sistemi di sicurezza”. Il contenzioso. Il regolamento dell’appalto prevede penali in caso di ritardo nella consegna. “Stiamo preparano - conclude Carlea - un atto di transazione”. Reggio Calabria: carcere di Arghillà dell’agenda del ministro Severino, presto inaugurato di Anna Foti www.reggiotv.it, 16 gennaio 2013 C’è l’inaugurazione del carcere di Arghillà a Reggio Calabria negli ultimi fogli dell’agenda da ministro della Giustizia di Paola Severino, prima donna guardasigilli della storia repubblicana italiana. Lo ha annunciato in un’intervista rilasciata alcuni giorni fa al quotidiano di ispirazione cattolica l’Avvenire in occasione della quale ha tracciato un bilancio della sua attività aprendo anche uno spiraglio per l’istituto penitenziario “Luigi Daga” di Laureana di Borrello, in provincia di Reggio Calabria, chiuso lo scorso anno perché sottoutilizzato. 65 mila detenuti a fronte di 47 mila posti disponibili ed una condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo per trattamenti inumani e degradanti inflitti a sette persone (ricorrenti) detenute costrette a stare in celle troppo piccole. L’Italia dunque affetta da un sovraffollamento strutturale delle sue carceri. Criticità che il ministro non rinnega e rispetto alle quali il tempo per operare non è stato sufficiente ed altre sono state le priorità del Parlamento. Ma intanto assicura che prima di lasciare via Arenula manterrà due impegni l’apertura del penitenziario di Arghillà, di competenza dell’Ufficio dell’Edilizia penitenziaria facente capo alla Presidente del Consiglio dei Ministri, e sul quale qualcosa in questi giorni si sta muovendo, ed il vincolo dei 16 milioni di euro sopravvissuti al taglio dei fondi ai lavori dei detenuti affinché siano destinati a questo scopo. Il ministro poi torna in Calabria al momento di rispondere sugli istituto minori tra cui annovera quello di Laureana con una capienza di ottanta posti e dove erano detenute solo venti persone con costi, a dire del ministro, sproporzionati. Se ne deduce che l’istituto sperimentale “Luigi Daga” di Laureana di Borrello, se utilizzato al meglio, potrebbe tornare a funzionale a pieno regime e tornare a rappresentare un’eccellenza nel sofferente panorama italiano. Il dato del sovraffollamento è sceso di circa due mila e cinque persone detenute dal 2010 con interventi di edilizia penitenziaria che entro il prossimo giugno, nonostante il taglio di 228 milioni di euro, aggiungeranno ai tremila consegnati nel 2012 altri 3200 nuovi posti. Il nuovo piano prevede che la capienza aumenti di 11 mila posti entro il dicembre del 2014. Piano carceri in cui è contemplato anche il carcere di Arghillà per il cui completamento e la cui rifunzionalizzazione è stato disposto uno stanziamento di 21,5 milioni di Euro che agli attuali 150 posti detentivi ne aggiungeranno altri 208, intervenendo anche sul sovraffollamento che si registra nel reggino. La Casa Circondariale di Reggio Calabria ospita al momento 371 detenuti con una capienza consigliata di 160 ed una capienza massima di 260 con una notevole percentuale di sovraffollamento. Il tutto in una regione, quale la Calabria, ancora senza un provveditore regionale e che dopo la drammatica scomparsa del compianto Paolo Quattrone è stata affidata al facente funzione provveditore lucano Salvatore Acerra. A dire del ministro Severino, inoltre, gli interventi di edilizia penitenziaria non possono ritenersi risolutivi dell’annosa questione su cui il governo è intervenuto anche con il decreto Salva Carceri, per incidere sulle cosiddette “porte girevoli” (gli ingressi per soli due - tre giorni) e sulla durata della pena in detenzione domiciliare aumentata da 12 a 18 mesi, e ha lavorato sul fronte delle misure alternative. Intanto domani mattina prevista all’interno della Casa circondariale di Reggio Calabria la proiezione del cortometraggio “Hakuna Matata”, girato tra le sue mura dal regista Aldo Iuliano nell’ottobre scorso, nell’ambito del progetto “Cinema dentro le mura”, promosso dalla Provincia di Reggio Calabria guidata da Giuseppe Raffa e dall’associazione E20 presieduta da Michele Geria, con la collaborazione della vice consigliera nazionale di Parità Daniela De Blasio. L’anteprima è stata proiettata nella prestigiosa cornice della sede del parlamento Europeo di Strasburgo. Milano: Alessandra Naldi nuovo Garante comunale dei detenuti, resterà in carica tre anni Redattore Sociale, 16 gennaio 2013 Rimarrà in carica per tre anni. Le difficoltà non spaventano la nuova Garante: “Spero di dare a questo ruolo un significato positivo e soprattutto operativo. Intendo lavorare non farlo diventare un ruolo di semplice rappresentanza”. Il Comune di Milano ha un nuovo garante per i detenuti: è Alessandra Naldi, dottore di ricerca in Sociologia dei Fenomeni culturali e dei processi normativi e presidente della sezione regionale della Lombardia dell’Associazione Antigone (Associazione “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”). Rimarrà in carica per tre anni. “Spero di dare a questo ruolo un significato positivo e soprattutto operativo. Intendo lavorare non farlo diventare un ruolo di semplice rappresentanza”, dichiara Naldi. C’è ancora un punto interrogativo però riguardo al compenso: inizialmente il Comune aveva previsto uno stipendio, poi sostituito da un gettone di presenza, ancora da quantificare. Da stabilire poi se il Garante avrà un ufficio e uno staff oppure no: “Colpa dei tagli”, ammette Naldi, che definisce l’aver accettato l’incarico “un salto nel buio”. Le difficoltà non spaventano la nuova Garante: “Le mie competenze riguardano tutte le persone private della libertà, che in Comune sono 4.500”. Non solo le carceri, quindi, ma anche i migranti detenuti nel Centro d’identificazione ed espulsione di via Corelli: “Qui la situazione è particolarmente difficile. Finora sono riuscita a entrarci solo una volta”. Promette di continuare a fare rete con associazioni del terzo settore e con le istituzioni. Spronando anche chi finora non ha fatto quanto nei suoi potere: “Intendo fare pressioni sul Difensore civico regionale” spiega Naldi. La nuova Garante dei detenuti del Comune di Milano considera la scelta Regionale di accorpare Difensore civico e Garante per i detenuti “non particolarmente illuminante”. “Si poteva in ogni caso fare di più: il Pirellone ha importanti competenze in materia di sanità e lavoro nelle carceri”, nota. Su tutti, il tema più urgente è quello di garantire a tutti il diritto alla tutela della salute. Nel corso della sua attività accademica e professionale, Alessandra Naldi ha fatto diverse esperienze di ricerca sociale nel campo della penalità e del carcere, dei fenomeni migratori e della sicurezza urbana. Da sempre attenta a queste tematiche, ha collaborato con Agesol (Agenzia di Solidarietà per il Lavoro per studi sui problemi dell’inserimento lavorativo delle persone provenienti dal carcere e sulle risorse occupazionali attivabili sul territorio milanese). Per conto di Caritas Ambrosiana, ha condotto ricerche sulle condizioni sociali, economiche e abitative della popolazione detenuta nelle carceri milanesi e delle loro famiglie e si è occupata del tema dell’housing sociale alla fine della pena; per Asl “Città di Milano” si è occupata di diritto alla genitorialità delle persone recluse. Con l’Università degli Studi di Milano Bicocca ha analizzato il tema della criminalizzazione dei migranti e della presenza straniera nelle carceri italiane. Milano: l’Assessore al Sociale Majorino visita San Vittore; condizioni di vita inaccettabili Ansa, 16 gennaio 2013 “È ora di affrontare seriamente e con azioni certe la situazione delle carceri milanesi e italiane ponendo fine alle disumane condizioni di vita in cui si trovano migliaia di detenuti costretti a vivere in celle sovraffollate”. Queste le parole dell’assessore alle Politiche sociali e Cultura della Salute Pierfrancesco Majorino, che questa mattina ha partecipato all’incontro con detenuti delle carceri di San Vittore, Opera e Bollate, organizzato dal Presidente della Sottocommissione Carceri, Lamberto Bertolè, nell’ambito del secondo Forum delle Politiche sociali in corso in questi giorni. “Le istituzioni, a tutti i livelli, devono muoversi per individuare soluzioni che restituiscano alla pena il ruolo previsto dalla Costituzione e il carcere sia inteso ed applicato come ultima soluzione. Non esistono altre strade in un Paese come il nostro, nel quale le carceri sono prive di spazi e di risorse per sviluppare progetti di reinserimento. Noi siamo pronti a fare la nostra parte, convinti che per i detenuti ci sia un prima, un dopo e un durante e che il periodo della pena debba essere usato come fase di accompagnamento verso una nuova vita, un passaggio dal dentro al fuori che si deve svolgere nel rispetto della dignità della persona, attraverso un sostegno concreto, un ascolto attento, una presenza certa e costante”. “Come primo atto concreto, annunciato ai detenuti questa mattina - aggiunge Majorino - è avvenuta oggi la nomina del Garante delle persone private della libertà personale, Alessandra Naldi, una figura di sicuro valore e passione che ha dedicato parte della propria vita, studi e formazione proprio al tema della detenzione e che saprà tenere alta l’attenzione sulle condizioni di vita e sui percorsi di reinserimento dei detenuti delle carceri milanesi”. Bologna: soldi finiti… la Caritas sospende il servizio di trasporto dell’ortofrutta alla Dozza Dire, 16 gennaio 2013 Niente più frutta e verdura per i carcerati della Dozza: la Caritas ha infatti sospeso il servizio di trasporto dell’ortofrutta che svolgeva a proprie spese. Lo ha denunciato questa mattina in Consiglio regionale la casiniana Silvia Noè, a cui non sono bastati i chiarimenti dell’assessore all’Agricoltura Tiberio Rabboni. “Stiamo dicendo il nulla, di fatto da oggi il servizio è sospeso”, ha detto Noè nella replica. Rabboni aveva ricordato che il regolamento europeo “esclude la possibilità di contributi per il trasporto presso la destinazione finale dei prodotti”, mentre sono coperti i costi del trasporto dal produttore alla piattaforma (in questo caso da villa Pallavicini). “È evidente che per il trasporto verso il consumatore finale, che non è giusto gravi sulle associazioni di solidarietà, occorrono ulteriori risorse da reperire presso istituzioni pubbliche e fondazioni”. Rabboni acuisca a questo punto una “revisione regolamento europeo” ma “nell’attesa di queste decisioni rinnoviamo l’invito alla collaborazione rivolto a tutti gli enti pubblici locali, con finalità sociale, alle fondazioni e ad altri soggetti, per sostenere i costi di trasporto, pur sapendo che coi tagli alla spesa le possibilità di intervento si sono drammaticamente ridotte”. Ed ecco che Noè si fa “portavoce” al Comune di Bologna o ad enti che intendano coprire la spesa del trasporto: appena 160 euro a settimana. “Manca l’ultimo chilometro - spiega Noè - e questo rischia di vanificare tutti gli sforzi fatti”. La Caritas infatti, che aveva sostenuto pro tempore le spese, ha alzato bandiera bianca, anche perché contava sul fatto che se ne sarebbe fatto carico un ente pubblico. “L’ente pubblico non è saltato fuori e allora hanno detto basta”. Noè lamenta anche il fatto che la risposta al question time di viale Aldo Moro non sia stata assegnata all’assessorato alle Politiche sociali. “Piuttosto che finanziare gli emiliano - romagnoli nel mondo o dare contributi a fondo perduto alle eco - feste - sottolinea - sarebbe meglio salvare questo servizio”. Cagliari: Sdr; algerino detenuto al Buoncammino ingoia forchetta per ritornare a Genova Agenparl, 16 gennaio 2013 “Un algerino di 32 anni M.K. che sta scontando una pena a 1 anno e 5 mesi di carcere, ha ingoiato una forchetta per protestare contro il mancato trasferimento a Genova. L’uomo che finirà di scontare la pena tra meno di un anno, si trova a Buoncammino da 7 mesi essendo stato sfollato dal carcere ligure di Marassi”. Lo rende noto l’associazione “Socialismo Diritti Riforme” in seguito a un colloquio effettuato con il detenuto dai volontari. Nel corso dell’incontro con il cittadino algerino è emerso che il grave gesto autolesionistico non è stato l’unico. L’uomo infatti ha ingoiato un’altra forchetta che però è riuscito ad espellere. “Si tratta - sottolinea Maria Grazia Caligaris, presidente di SdR - di una persona privata della libertà che soffre particolarmente la distanza dai familiari. Sostiene infatti di avere un fratello a Genova ma le condizioni sanitarie, la conoscenza di un italiano approssimativo e la difficoltà a dare indicazioni precise sulla parentela rendono la sua situazione particolarmente difficile. Nei giorni scorsi, in seguito alla nuova ingestione della forchetta, è stato ricoverato in Ospedale per provvedere alla rimozione della pericolosa posata. Giunto a destinazione però, forse perché non aveva compreso il motivo del ricovero, ha firmato il foglio di dimissioni ed è tornato a Buoncammino. Una dimostrazione palese del disagio in cui si trova”. “La vicenda - evidenzia Caligaris - presenta tuttavia dei tratti che qualificano negativamente l’iniziativa del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. È evidente che l’algerino è stato trasferito in Sardegna per alleggerire il numero di ristretti nella struttura di Genova ma la motivazione appare piuttosto punitiva anziché razionale. Una persona che mostra evidenti segnali di malessere non può essere considerata una patata bollente di cui disfarsi allontanandola laddove invece avrebbe potuto accedere a una pena alternativa tenendo conto della svuota carceri e della pena non particolarmente gravosa”. “Purtroppo - conclude la presidente di SdR - l’amministrazione sembra dimenticare che spesso i cittadini extracomunitari in stato detentivo sono poveri diavoli che hanno bisogno soltanto di essere reinseriti in società attraverso iniziative rieducative e promuovendo azioni per consentire loro di avere un lavoro almeno per il sostentamento. Restando così la situazione, nonostante la buona volontà del Direttore, degli Agenti e dei Medici, non è possibile contenere la disperazione di queste persone. La speranza almeno per M.K. è che possa tornare a Genova e ritrovare i parenti per concludere positivamente la sua triste esperienza”. Torino: ministro Severino in visita al carcere; qui picchi di eccellenza e abissi di dolore www.torinotoday.it, 16 gennaio 2013 Nella giornata di ieri il ministro della Giustizia Paola Severino è stata in visita alla casa circondariale “Lorusso e Cotugno”. Nella sua visita è stata accompagnata dal capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino. “Ho trovato, come altrove, picchi di eccellenza e abissi di dolore”, ha detto al termine della visita il ministro. Tra le eccellenze trovate all’interno del carcere l’esponente del Governo Monti ha apprezzato la scuola interna di erboristeria e il lavoro che sette cooperative esterne svolgono impiegando una sessantina di detenuti. “Ho visto alcuni dei prodotti che vengono realizzati, mobili con degli intarsi meravigliosi. Qui i detenuti imparano un’arte che in Italia sta scomparendo. E questo, una volta scontata la pena, incrementa le loro possibilità di trovare un’occupazione”. Il ministro Severino ha avuto anche un colloquio definito “toccante”. Ha incontrato un detenuto che solo due giorni fa aveva tentato il suicidio ma fortunatamente la polizia penitenziaria era riuscita ad intervenire in tempo. “Lui ha motivato il gesto con il timore di non poter vedere i familiari, e questo, in effetti, è un problema molto sentito fra la popolazione carceraria”. A proposito di un punto così importante, il ministro della Giustizia ha aggiunto che si sta pensando di regionalizzare la detenzione, in modo che il detenuto possa essere rinchiuso in un carcere non troppo distante da dove risiedono i parenti”. Soddisfatta della visita anche per quanto riguarda la Polizia penitenziaria che ci lavora all’interno, definita come una “tra le più qualificate al mondo”. All’orizzonte si prospetta una nuova costruzione. Sorgerà una struttura penitenziaria da 450 posti che dovrebbe sorgere nella stessa zona in cui si trova il carcere delle Vallette. “Ho incontrato il sindaco di Torino due volte per parlare della questione e il piano che è stato messo a punto mi sembra valido”. Il Guardasigilli ha spiegato che l’idea è di operare in regime di permuta di alcuni edifici del centro cittadino (per esempio una caserma dismessa) in accordo con il Demanio e con le varie amministrazioni coinvolte. Il nuovo istituto di pena verrà realizzato nell’ambito del piano carceri. Si prevede un costo di trenta milioni di euro”. Bergamo: carcere sovraffollato, ma sfuma l’ipotesi dell’apertura di un nuovo padiglione di Laura Arnoldi L’Eco di Bergamo, 16 gennaio 2013 La sentenza della Corte europea dei diritti umani, che ha condannato l’Italia per le condizioni delle proprie strutture carcerarie, ha riaperto il dibattito sul sovraffollamento dei penitenziari. “Non è una novità - dichiara Antonino Porcino, direttore della Casa Circondariale di Bergamo - è un problema noto a tutti. Sulla sentenza non mi è possibile esprimere un commento perché non ho elementi sufficienti per inquadrare la questione in un panorama europeo”. “La sanzione della Corte europea è pesante, ma giusta - commenta Valentina Lanfranchi presidente di “Carcere e Territorio”. È un’occasione per mantenere alta l’attenzione sul tema carcere e sovraffollamento”. Un problema che per Bergamo, che ospita oltre 500 detenuti, è meno critico che in altre realtà e fino a poche settimane fa sembrava poter essere alleggerito con la realizzazione di una nuova ala in via Gleno. Nessuna nuova ala La costruzione, più volte annunciata e data per certa, avrebbe portato ad un incremento di circa 200 posti. Il condizionale è d’obbligo perché “è arrivata la notizia che il progetto è stato stralciato dal Piano carceri. Il nuovo padiglione non si farà”, conferma Porcino. All’ampliamento del carcere di Bergamo sono stati privilegiati interventi in altre strutture e l’edificazione del nuovo istituto a Brescia, che dovrebbe avere una ricaduta positiva anche sulla situazione di Bergamo visto che “si punta alla regionalizzazione delle detenzioni”. In effetti, su 9.500 detenuti lombardi 2.500 arrivano da fuori regione. Del no al nuovo padiglione Porcino non ne fa un problema: “È una questione di razionalizzazione delle risorse. L’amministrazione centrale ha ripensato all’ampliamento favorendo una nuova struttura certamente moderna e funzionale”. Celle aperte Il direttore però richiama l’attenzione sul vero nodo del problema: “Per parlare di sovraffollamento non ci si deve riferire solo al conto dei posti letto: lo spazio non è limitato a quello della cella. Al sovraffollamento non si risponde solo con nuove strutture. A Bergamo verrà proposta una soluzione diversa”. A breve, infatti, nella sezione penale sarà attuato il progetto di apertura delle celle, che significa più spazio a disposizione dei detenuti. “Due sono le esigenze a cui si deve rispondere: rendere più vivibile la detenzione e garantire la sicurezza anche per i detenuti. È necessario che si attui una pacifica coesistenza e che, quindi, siano coinvolti quei detenuti che si impegnano a vivere responsabilmente il momento della carcerazione”. Un carcere più vivibile L’impegno maggiore per la Casa circondariale di via Gleno va nella direzione di rendere più vivibile il carcere: “A Bergamo si sta facendo molto per offrire opportunità ai detenuti in merito a scuola, formazione professionale, percorsi a sostegno della genitorialità”. Questi ultimi hanno portato alla realizzazione di momenti di incontro tra famiglie e detenuti, molto apprezzati ed ormai consolidati; è accaduto anche in occasione della recente festa per l’Epifania. Pene alternative al carcere Una risposta reale ai problemi del mondo carcerario arriverebbe, per il direttore Porcino, da scelte politiche importanti: “Il recupero del detenuto passa attraverso le misure alternative al carcere, che permettono di sanzionare comportamenti illeciti non con la detenzione, ma, per esempio, con lavori socialmente utili, percorsi di messa in prova, detenzioni domiciliari. Non si tratta di depenalizzare o di non sanzionare, ma di trovare forme più efficaci per il recupero delle persone detenute”. I dati in effetti dimostrano che la recidiva, cioè la probabilità di tornare a delinquere, per chi ha seguito percorsi alternativi alla detenzione è pari circa al 15%, percentuale che tocca il 70 - 80% per chi sconta la pena interamente in cella. “Questo - commenta Valentina Lanfranchi - è ciò che dovrebbe essere compreso anche a livello politico. Il ministro della Giustizia Paola Severino ci ha provato, ma non è riuscita a far passare l’idea si potenziare le pene alternative. Speriamo che il prossimo governo affronti il tema. È una questione non solo giuridica, ma anche sociale ed economica. Ritengo che i 48 mila posti delle carceri italiane in cui si trovano 67 mila detenuti, siano più che sufficienti per chi deve essere realmente detenuto. In realtà in cella ci sono persone che dovrebbero stare altrove; per esempio chi ha problemi di tossicodipendenza dovrebbe stare in comunità”. Lanfranchi ricorda che anche a Bergamo una situazione di sovraffollamento c’è: “I posti sono circa 380, il numero superiore rende più difficoltoso il lavoro all’interno. A Bergamo molte sono le realtà che cercano di rendere più vivibili le condizioni, dai volontari, all’università, alla Caritas”. Padova: bando per dare lavoro ai detenuti; nessuna coop partecipa e il Comune fa da solo Il Mattino di Padova, 16 gennaio 2013 Nessuna coop ha preso in gestione il loro progetto. Pertanto saranno coordinati “a tempo” dal settore Risorse umane del Comune. L’inserimento lavorativo per i detenuti proposto dal Comune a dicembre non ha riscontrato il favore delle cooperative di servizi che, di solito, si occupano di questi progetti. Ecco l’idea originale della giunta, che aveva votato un’apposita delibera: con un investimento di 108mila 800 euro, si dava la possibilità a 16 detenuti nella Casa di reclusione di eseguire lavori di manutenzione e gestione del verde pubblico. Il progetto ha una durata di 10 mesi e prevede il pagamento di 450 euro mensili per ogni persona e 230 euro forfettarie (Iva inclusa) al mese da destinarsi alla coop vincitrice. A conti fatti, 18 mila 400 euro di spesa per gli interventi nel settore Manutenzioni e altrettanti nel Verde. Una cifra che non è stata giudicata congrua. “Nessuna coop ha aderito perché i costi non consentivano un adeguato margine di guadagno”, spiega l’assessore Marco Carrai, “e il bando è andato deserto”. Il Comune gestirà direttamente il progetto. La spesa scende così a 96 mila euro. Catanzaro: Sappe; lite tra detenuti minorenni, agenti intervengono per sedarla, due feriti Adnkronos, 16 gennaio 2013 “Nel carcere minorile di Catanzaro, all’ora di pranzo, è scoppiata una lite tra detenuti minori, all’interno del refettorio; lite che non è degenerata in una vera e propria rissa, da quanto ci riferiscono, solo grazie al pronto intervento degli agenti di polizia penitenziaria, due dei quali hanno riportato ferite, anche alla testa, giudicate guaribili in dieci giorni”. È quanto rendono noto Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, e Damiano Bellucci, segretario regionale. “Da quanto abbiamo appreso uno dei minori coinvolti nell’episodio si era già reso responsabile di episodi analoghi - ricordano - ciò testimonia la difficile realtà operativa, anche negli istituti per minori, proprio a causa del comportamento di molti giovani riottosi al rispetto delle regole e spesso aggressivi e violenti. Riteniamo sia necessario intervenire con misure di rigore - concludono i due sindacalisti - procedendo, se del caso, anche al trasferimento di coloro che si rendono responsabili di episodi di violenza”. Immigrazione: lettera aperta del “Coordinamento anti tratta” ai giornalisti e domani sit-in Redattore Sociale, 16 gennaio 2013 Domani il sit-in davanti alla sede del quotidiano “La repubblica” per sensibilizzare i media sul tema dell’anti tratta a partire dal linguaggio. In occasione della consegna simbolica della lettera, il coordinamento chiede l’adesione delle donne giornaliste. Sensibilizzare i giornalisti al tema dell’anti tratta a partire dal giusto utilizzo della terminologia con cui vengono identificate le ragazze schiavizzate, costrette a prostituirsi per alimentare il mercato del sesso e non “prostitute”. Questo è l’obiettivo del sit-in, organizzato dal coordinamento anti tratta di Palermo Favour e Loveth, che si terrà domani 17 gennaio in via Principe Di Belmonte alle ore 17 davanti alla redazione locale de “La repubblica”. In occasione della consegna simbolica della lettera aperta ai giornalisti, il coordinamento chiede l’ufficiale adesione delle donne - giornaliste di tutte le redazioni cittadine al sit-in . “Auspichiamo così che si facciano esse stesse garanti - scrive il coordinamento di un uso del linguaggio giornalistico rispettoso della dignità della donna, chiunque essa sia”. Il coordinamento fa appello anche all’articolo 9 del codice deontologico dei giornalisti che recita: “Nell’esercitare il diritto - dovere di cronaca, la giornalista o il giornalista è tenuta/o a rispettare il diritto della persona alla non discriminazione per razza, religione, opinioni politiche, sesso, condizioni personali, fisiche o mentali”. “L’auspicio è che, almeno nella nostra città, il contrasto alla tratta delle schiave diventi una priorità nell’agenda delle istituzioni - scrive nella lettera il coordinamento, della politica e del giornalismo d’inchiesta. Non è una città civile quella in cui a pochi interessa approfondire i legami tra la criminalità nigeriana, ed extracomunitaria in genere, che organizza la tratta e lo sfruttamento delle giovani donne, e le organizzazioni criminali locali che vi lucrano. Non è una città civile quella in cui le principali testate giornalistiche hanno reso noto il brutale omicidio di Favour con uno striminzito trafiletto”. “Non è una città civile quella in cui, dopo tutto questo, in occasione del suicidio in carcere dell’uomo che ha ucciso e bruciato il corpo di Favour - incalza ancora il coordinamento nella lettera, campeggiavano nei giornali titoli del tipo “suicida l’assassino di una prostituta”. Mentre alcun cenno si faceva alla storia della ragazza né al suo stato di schiavitù, sortendo un effetto indubbiamente depistante rispetto al messaggio che sarebbe stato importante lanciare ai cittadini”. “Non è una città civile quella in cui regna l’indifferenza anche di fronte all’attentato alla vita di Vivian Wiwoloku, pastore della Chiesa metodista, avvenuto nei giorni scorsi in Nigeria e alle reiterate minacce di morte susseguitesi a Palermo - si legge ancora nella lettera. Vivian da anni si batte nella nostra città contro la tratta delle schiave del sesso con l’obiettivo, indubbiamente scomodo per tanti, di sottrarre queste donne al destino che la criminalità organizzata impone loro. La lotta contro lo sfruttamento, la violenza e la tratta non va demandata solo alle associazioni di settore e alle forze dell’ordine. È importante diffondere la consapevolezza che questa battaglia di civiltà coinvolge tutte e tutti, non ultimi voi giornalisti”. “Nel 2012 Palermo è stata teatro di efferati femminicidi. In particolare, l’uccisione delle due ragazze nigeriane, Favour e Loveth, è assurta a simbolo dell’indifferenza delle istituzioni e dei media nei confronti della piaga sociale della tratta delle donne - sottolinea ancora il coordinamento. Sì, perché non si tratta solo di prostituzione, ma di schiavitù. È certo che le due donne vivevano in quella zona d’ombra ignorata dai più, dove la criminalità del loro paese d’origine trova sponda nella nostra; dove certa mentalità maschilista, che considera lo sfruttamento del corpo femminile una straordinaria risorsa economica (più di 10 milioni di euro l’anno solo a Palermo!), incontra i retaggi di un erotismo che si alimenta del gusto della sottomissione”. Iran: giustiziati 4 detenuti, condannati a morte per omicidio e stupro Aki, 16 gennaio 2013 Quattro detenuti accusati di omicidio e stupro sono stati giustiziati in Iran. Secondo l’agenzia d’informazione Mehr, due prigionieri, uno dei quali definito “un ragazzo”, sono stati impiccati nella prigione Rajai Shahr di Karaj, a ovest di Teheran. La ‘Mehr’ non ha precisato tuttavia se il “ragazzo”, accusato dell’omicidio di un’anziana avvenuto nel 2008, fosse minorenne. Secondo il sito d’informazione Hrdai, che si batte per i diritti umani in Iran, il giovane giustiziato si chiamava Kianoosh Naderi e aveva 22 anni. Altri due prigionieri sono stati impiccati nella provincia del Khorasan, nel nordest della Repubblica Islamica. Uno di loro è stato giustiziato stamani in pubblico nella piazza di Sabzevar, l’altro nella prigione di Mashad. Entrambi i prigionieri erano accusati di stupro. Arabia Saudita: decapitato pakistano condannato a morte per traffico di droga Aki, 16 gennaio 2013 Un cittadino pakistano è stato decapitato in Arabia Saudita dopo essere stato condannato a morte con l’accusa di traffico di droga. La condanna è stata eseguita nella provincia di Khubar, nell’est del regno, come ha fatto sapere il ministero dell’Interno di Riad tramite l’agenzia di stampa ufficiale Spa. Arshad Mohammed, questo il nome del pakistano decapitato, era stato arrestato con l’accusa di spaccio di eroina e hashish. L’agenzia non chiarisce da quanto tempo l’uomo fosse detenuto. Da inizio anno sono almeno quattro le condanne a morte che sono state eseguite in Arabia Saudita, dove nel 2012 - secondo Human Rights Watch - sono state messi a morte 69 detenuti. Omicidio, stupro, apostasia, rapina a mano armata, oltre al traffico di droga, sono i reati che nel regno vengono puniti con la pena di morte. Iraq: 400 prigionieri scarcerati da avvio proteste sunniti, presto altri in libertà Aki, 16 gennaio 2013 Sono circa 400 i detenuti scarcerati dalle autorità irachene da quando sono iniziate le proteste della comunità sunnita contro il governo sciita di Nouri al-Maliki il 23 dicembre e altri saranno rilasciati nei prossimi giorni. Lo ha annunciato il vice premier Hussein al-Shahristani, spiegando che è stata formata una commissione per accelerare il processo di revisione dei casi dei detenuti e che provvederà all’immediato rilascio di coloro che saranno riconosciuti innocenti. “Il rilascio dei detenuti continuerà giornalmente, non solo per diffondere la notizia sui media”, ha detto Shahristani in conferenza stampa a Baghdad. Solo oggi le autorità hanno aperto le porte delle carceri per 70 detenuti, portando così a oltre 400 quelli liberati nelle ultime settimane.