Giustizia: vergogna carceri… abbiamo preso un ceffone disonorevole di Monica Mosca Gente, 15 gennaio 2013 Immaginate di dover lavorare otto ore in un ufficio di tre metri quadri. Con una finestrella piccola, e in alto nel muro. Scomodi, vero? Non lo accettereste. Allora immaginate che sia la vostra casa di tre metri quadri, e che lì, in quella specie di cuccia per cani, voi dobbiate dormire, leggere, trascorrere la giornata, insomma viverci. Eppure questo è lo spazio vitale riservato alla maggior parte dei carcerati nel nostro Paese, tenuti ammassati dentro prigioni che stanno per esplodere tanto sono affollate. Quel “matto” di Marco Pannella, il leader radicale, in dicembre ha fatto dieci giorni di sciopero della fame e della sete per protestare contro questa condizione da lager: povero vecchio, stravagante, ridicolo hanno pensato in molti, quasi ci lasciava la pelle stavolta con le sue buffonate. Chi rideva di lui è servito: ora la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato l’Italia per i trattamenti disumani e degradanti cui vengono sottoposti 7 detenuti di Busto Arsizio e Piacenza, che a questo organismo si sono rivolti, e ci ha appioppato una simbolica (ma neanche tanto) multa di 100mila euro per “indecenza carceraria”. E c’è di più: i signori di Strasburgo ci hanno concesso un solo anno di tempo per metterci in regola e risolvere il disastroso e impellente problema del sovraffollamento. Il presidente Napolitano si è detto “mortificato per l’incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi”, e il ministro della Giustizia Paola Severino ha dichiarato di essere avvilita “ma non stupita. C’era da aspettarselo, servono misure strutturali”. Ha parlato anche l’Associazione nazionale magistrati: “La situazione carceraria è un’assoluta priorità che il nuovo Parlamento dovrà affrontare”. E questo, e i precedenti Parlamenti no? Non intendo essere retorica nemmeno per una riga, ma viene un ribollir di sangue a leggere che tutti ora si indignano e, di più, che tutti sono d’accordo con la Corte Europea, che qualche domanda bisogna pur porsela. Abbiamo preso, come Paese, un “ceffone” molto disonorevole. Uno smacco morale che sì, dice il Guardasigilli, c’era da aspettarselo, perché la disumana e selvaggia situazione delle nostre prigioni è nota a tutti i politici ormai da anni, eppure peggiora mese dopo mese. Lo so che i meccanismi del sistema parlamentare possono essere letali, che un decreto legge votato alla Camera magari poi si ingarbuglia al Senato o viene rimandato in favore di altri provvedimenti, ma credo che le più alte cariche dello Stato abbiano il dovere, e il potere, di intervenire il più duramente possibile, e con ogni sforzo, e con molti minuti del loro tempo, per occuparsi in modo risolutivo, senza titubanze o scaricabarili, di disastri umanitari di tale portata. In alcune galere si dorme in letti a castello di quattro piani: se lo raccontassero a me, come io sto facendo con voi, non ci crederei tanto è mostruoso. La promiscuità favorisce lo scambio di malattie, mancano i denari per le cure, scarseggia il personale medico, dietro le sbarre aumentano in modo esponenziale i suicidi. Dopo i 7 detenuti per cui siamo stati puniti, circa altri 500 si sono già rivolti alla Corte Europea per far valere la propria umana dignità: se non ci diamo una mossa e prendiamo altre sanzioni equivalenti a quella già portata a casa, finiamo in bancarotta. Non c’è differenza, in questo ragionamento, tra delinquenti assassini e delinquentelli, non c’è diversa pietà o differente trattamento: l’articolo 27 della nostra Costituzione recita che la funzione della pena è di carattere rieducativo. Come, dove, in tre metri ciascuno? Giustizia: chi mal comincia… di Valentina Ascione Gli Altri, 15 gennaio 2013 Non si può dire che il 2013 delle carceri si sia aperto sotto i migliori auspici. Nell’istituto di Contrada Capodimonte a Benevento, ad esempio, è scoppiato l’allarme tubercolosi quando quattro poliziotti penitenziari sono risultati positivi al test. Gli accertamenti sugli agenti erano stati disposti dopo che i sanitari avevano diagnosticato l’infezione a un detenuto: peraltro lavorante e dunque con maggiori possibilità di incontro e contatto con il personale di polizia e gli altri operatori penitenziari. Come ha ricordato il sindacato di polizia penitenziaria Sappe, il tasso di diffusione della tubercolosi tra i detenuti rispetto alla popolazione comune è 23 volte più alto per quanto riguarda la forma conclamata e 26,4 volte maggiore per quella latente. E anche 1’8,5 per cento dei casi di contagio esterni sarebbero da attribuire a contatti con la popolazione carceraria. Ecco perché da tempo le organizzazioni sanitarie pongono l’accento sulla necessità di arrestare il contagio in questa fascia di persone particolarmente a rischio. Ma non è tutto. A sole 48 ore dall’inizio dell’anno si è anche registrato il primo suicidio in cella, quello all’Ucciardone di un operaio edile imputato per omicidio e in attesa di essere giudicato con rito abbreviato. Un recente dossier dell’Osservatorio permanente sulle morti in carcere di Ristretti Orizzonti spiega che nel nostro Paese la frequenza dei suicidi nella popolazione reclusa è di 20 volte superiore alla media. Certo, in moltissimi casi alla base di questi gesti estremi ci sono ragioni personali, problemi familiari o comunque legati alla vita privata di chi li compie. Tuttavia, fa sapere Ristretti Orizzonti, un semplice studio comparativo farebbe ritenere che almeno i due terzi dei suicidi siano correlati al “fattore ambientale”. Intendendo, con ciò, non tanto l’ambiente carcerario in sé, quanto la condizione detentiva “al di fuori della legalità” dovuta al grave stato di sovraffollamento, a fronte di una carenza cronica di personale e di risorse per il lavoro e il trattamento dei detenuti. E sebbene il suicidio non sia una malattia infettiva, sembra aver “contagiato” anche i poliziotti penitenziari che si tolgono la vita con una frequenza tre volte maggiore rispetto alla norma e anche rispetto agli altri corpi di polizia. E se ogni anno si uccidono in cella circa 60 detenuti, sono quasi 100 i baschi blu suicidi negli ultimi 10 anni, sì legge ancora nel dossier. Ad eccezione dei radicali, che promuovono la lista di scopo Amnistia, Giustizia, Libertà, nel dibattito elettorale però non vi è quasi traccia della drammatica situazione delle carceri italiane. Dopo tutte le belle parole degli ultimi mesi, quindi, non solo non sono arrivati i fatti, ma neppure i tradizionali buoni propositi per il nuovo anno. Giustizia: la legge ex Cirielli… quell’idea brutale di carcere di Don Gino Rigoldi (Cappellano dell’Ipm di Milano) Corriere della Sera, 15 gennaio 2013 Se si fa eccezione per il presidente Napolitano, i Radicali e pochi altri, il tema delle carceri sembra sollecitare al massimo un sentimento di pietà, ma più sovente fastidio e qualche proposito di costruzione di nuove carceri che tutti sanno essere faccenda di anni. E rischia di essere dimenticato. Il tema dell’amnistia non è popolare né politicamente favorevole e perciò il sovraffollamento delle carceri continua a essere motivo di grandi sofferenze nonostante la Costituzione e la condanna dell’Europa impongano il cambiamento della condizione umana nelle carceri. La proposta di amnistia è giusta e forte ma insieme - e da subito - si potrebbe pensare ad almeno due modifiche di leggi che eviterebbero l’ingresso di detenuti, o, almeno, limiterebbero di molto il tempo della detenzione. Alcuni anni fa, molto gagliardamente ma anche in maniera molto incompetente, si fece una legge che si chiama ex Cirielli che, imitando la legislazione americana, ha riempito le carceri di poveri cristi sulla base della moltiplicazione della pena per la recidiva. Il (modesto) pensiero dei legislatori americani era ed è tuttora che a punire molto si sconfigge la criminalità e che la recidiva, in particolare la terza recidiva di un reato, deve produrre una pena simile all’ergastolo. Questi criteri hanno fatto degli Stati Uniti il Paese con il più grande numero relativo di detenuti senza per questo diminuire la criminalità e aumentare la sicurezza. I muscolari legislatori italiani hanno imitato D criterio con il risultato che le carceri italiani hanno oggi una grande maggioranza di poveri cristi che hanno rubato in sequenza magari due o tre cose (anche modeste) e vengono comunque condannati a tre o quattro anni di reclusione. Se penso ai ragazzi che escono dall’istituto Beccaria di Milano, per i quali per mesi tentiamo di trovare un lavoro senza successo, e che poi restano a fare i disoccupati in famiglie già povere, la preoccupazione si fa grande. Perché, come si sa, la recidiva è tipica di persone poco provvedute e molto frequentemente si crea in condizioni o in tempi in cui la difficoltà economica e le povertà sono più grandi. Non sto chiedendo l’annullamento della pena per chi ruba, ma, come minimo, si deve eliminare la moltiplicazione della pena. E ancora meglio sarebbe la possibilità di alternativa alla detenzione attraverso lavori socialmente utili come le pulizie, le manutenzioni, o il giardinaggio. Abolendo la legge ex Cirielli ritengo che potrebbero non entrare o uscire dalle carceri diverse migliaia di persone ogni anno. Un’altra utile modifica di legge è quella di ridimensionare le pene per lo spaccio di droghe leggere che sono assimilate, per quello che riguarda la pena, allo spaccio delle cosiddette droghe pesanti. I diversi tribunali adottano misure diverse, ma talvolta per quantità molto minori ai cento grammi scattano pene di diversi anni. Anche qui la grande partita è l’alternativa dei lavori socialmente utili e, in misura minore, delle comunità alle quali non si avviano consumatori di cannabis. Si tratta insomma di avere cura delle persone e della giustizia e di saper esprimere, insieme, un po’ di competenza e umanità. Giustizia: alla Camera previsto esame Dpcm su attività lavorativa dei detenuti Asca, 15 gennaio 2013 Le competenti Commissioni parlamentari sono in attesa dell’invio del Dpcm che destina 16 milioni di euro, previsti nel Fondo Legge di Stabilità, all’attività lavorativa dei detenuti. L’invio alle Camere del provvedimento è stato annunciato venerdì scorso dal Premier, su proposta dei Ministri Severino e Grilli, sottolineando che “il sovraffollamento carcerario, oggetto della recente condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo”, necessita di “soluzioni strutturali, da subito ricercate dal Governo attraverso il decreto salva-carceri - approvato un anno fa - e il disegno di legge sulle misure alternative che purtroppo non è stato convertito in legge”. “Nel frattempo, va data una prospettiva di speranza - ha aggiunto Monti - a chi è recluso perché, come dimostrato da numerosi studi, il tasso di recidiva di coloro che hanno potuto accedere a misure alternative o che sono state ammesse al lavoro è estremamente basso”. Giustizia: Bernardini (Radicali); quesiti su esercizio diritto di voto da parte dei detenuti Agenparl, 15 gennaio 2013 “Questa mattina ho riparlato con il Prefetto Alessandro Pansa del Ministero degli Interni in merito ai due quesiti che non erano stati risolti dalla circolare che il Ministero ha diramato tramite i Prefetti in tutte le carceri. Il quesito risolto è questo: in che modo i detenuti aventi diritto al voto si procurano la tessera elettorale? La risposta del Ministero: i detenuti devono fare una dichiarazione di impossibilità a reperirla o, laddove corrispondesse al vero, una dichiarazione di smarrimento. Così il Comune dovrà inviare al Carcere il certificato sostitutivo. Il quesito non risolto riguarda invece le elezioni regionali di Lazio, Lombardia e Molise: in che modo i detenuti elettori di tali regioni, assegnati però in istituti penitenziari di altre regioni, possono esercitare il loro diritto di voto? Il Prefetto Pansa mi ha riferito che la competenza è del Ministero della Giustizia e che aveva investito della questione il Capo del Dap Giuseppe Tamburino, al quale ho immediatamente scritto chiedendo lumi anche perché, a quel che a me risulta, sono migliaia i detenuti elettori di Lazio, Lombardia e Molise che sono stati assegnati in Istituti penitenziari di altre regioni, peraltro in violazione dell’Ordinamento Penitenziario che sancisce la territorializzazione della pena. L’email che ho inviato è delle ore 13.18. Attendo risposta augurandomi che non arrivi a babbo morto, visto che si tratta dell’esercizio di un diritto costituzionalmente protetto”. Lo afferma in una nota Rita Bernardini, deputata radicale. Giustizia: Schifani (Pdl); sulle carceri dialogo indispensabile, Parlamento ascolti operatori Prima Pagina News, 15 gennaio 2013 “Il Parlamento che verrà eletto il 24 e 25 febbraio prossimi dovrà immediatamente porre all’ordine del giorno il problema delle carceri. In tal senso mi sono già impegnato ad agire, se rieletto parlamentare, e mi adopererò con forza per portare a soluzione la questione del sovraffollamento delle strutture penitenziarie che mortifica il nostro Paese. Per questo la invito a desistere dall’iniziativa che sta conducendo, con giustificata e meritoria passione ma anche con gravi rischi per la sua salute. Il nostro Paese è stato di recente condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per il gravissimo sovraffollamento degli istituti penitenziari. Sono convinto che occorra uno scatto di orgoglio, con un approccio di coesione nazionale. Ritengo indispensabile che venga aperto un dialogo e che il Parlamento ascolti tutti gli operatori delle carceri - in primo luogo proprio gli agenti di polizia penitenziaria come lei - che tutti i giorni si confrontano con questa durissima realtà”. Lo dichiara il Presidente del Senato, Renato Schifani, rivolgendosi direttamente ad Aldo Di Giacomo, esponente del Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria) in sciopero della fame da oltre un mese e dal 9 gennaio anche in sciopero della sete per richiamare l’attenzione del mondo politico sulla situazione delle carceri. “Assicuro la mia sincera vicinanza ad Aldo Di Giacomo ma vorrei anche rivolgere un appello, come ho già fatto incontrando Marco Pannella, affinché lo sciopero della fame e della sete venga sospeso in attesa che il nuovo Parlamento sia in grado di riunirsi e operare, dando modo alle persone di buona volontà di agire e di rimediare alle insufficienze della Legislatura che si sta chiudendo”. Papa (Pdl): disponibilità per battaglia su carcere “Ho dato la mia disponibilità al Presidente Berlusconi per portare avanti la battaglia che sto facendo sul carcere. Una battaglia che vede assente un pò tutta la classe politica. Sto portando avanti quella che considero una missione di vita”. È quanto dichiara a Sky Tg24 Mattina il deputato Pdl Alfonso Papa, su una sua eventuale candidatura in Parlamento. “Il problema non è se io sarò ricandidato o meno: questo tipo di battaglia è diventato molto difficile perché solo i parlamentari possono entrare all’interno delle carceri: certamente una posizione in Parlamento potrebbe aiutarmi a portare avanti questa battaglia”. Giustizia: Finocchiaro (Pd); la battaglia dei Radicali per l’amnistia è stata lunga e corretta Ansa, 15 gennaio 2013 “L’iniziativa radicale sull’amnistia? Una battaglia lunga, appassionata, corretta, che non è riuscita a smuovere il Senato neppure nella approvazione del disegno di legge di ispirazione governativa sulle misure alternative, perché diventino la regola piuttosto che l’eccezione”. Lo ha detto la presidente del gruppo Pd al Senato, Anna Finocchiaro, interpellata da Radio Radicale sulla battaglia dei Radicali per l’amnistia, e sui rapporti tra il suo gruppo e la componente radicale in Senato. “Io ho avuto una esperienza molto buona, qui al Senato, con i Radicali. Un bel confronto, con grande senso di responsabilità nei momenti più difficili, con una dirigente di primissimo livello come Emma Bonino”. Sulle elezioni e sulla correttezza del procedimento elettorale, la capogruppo del Pd ha detto: “Avremmo dovuto lavorare per garantire la correttezza del procedimento elettorale. Ma c’è stata la concitazione della chiusura della legislatura, e questo non ha giovato al fatto che Il ministero dell’Interno fosse messo nelle condizioni di svolgere il proprio ruolo. Ci sono state perturbazioni politiche non prevedibili, sicuramente, ma altrettanto sicuramente questo è un Paese in cui il procedimento elettorale va disciplinato con ogni chiarezza: è vero, c’è una esigenza di nettezza di regole di procedimento”, ha concluso Finocchiaro. Giustizia: Marino (Pd); rivedere la Fini-Giovanardi sulle droghe, riempie le carceri Ansa, 15 gennaio 2013 Oltre 68mila detenuti in Italia vivono in condizioni disumane, Servono soluzioni concrete per la riduzione della popolazione carceraria. Penso ad esempio alla cancellazione di alcune leggi come la Fini - Giovanardi: su 30mila persone attualmente in carcere per reati legati alla droga, il 70% è stato privato della libertà per detenzione o spaccio di cannabis, in ossequio alla legge voluta nel 2005”. Lo scrive nel suo blog sull’Espresso Ignazio Marino, capolista Pd in Piemonte al Senato, oggi in visita nel carcere romano di Regina Coeli. Giustizia: Piredda (Idv); da prossimo Governo impegno sulla tutela dei figli delle detenute Ansa, 15 gennaio 2013 “È necessario che riparta in tempi brevi l’iter in Conferenza unificata sull’istituzione degli Icam, gli istituti di custodia attenuata per madri con figli”. Così Maruska Piredda, capogruppo di Italia dei Valori in Regione, che questa mattina ha presentato un’interrogazione all’assessore alle Politiche sociali Rambaudi per conoscere le intenzioni della Regione in merito “all’istituzione di strutture extracarcerarie, simili alle case - famiglia, dove, secondo la legge 21 aprile 2011, n.62, dovrebbero essere ospitate le madri con figli fino ai dieci anni”. “Individuare queste strutture significherebbe garantire ai figli di mamme detenute una permanenza meno traumatica negli istituti di custodia - spiega Piredda - purtroppo gli ultimi governi hanno fatto molto poco, se non addirittura niente, per l’universo carcerario italiano che, come emerge dalle recenti statistiche divulgate, verte in una situazione da Terzo o Quarto mondo. Dal prossimo governo ci aspettiamo, inoltre, un’adeguata copertura economica di supporto a iniziative di accoglienza di minori che ne tutelino l’adeguato sviluppo educativo, riducendo al minimo i traumi causati dalla detenzione insieme alla propria madre. Ritengo comunque necessario che, all’impegno del governo centrale, si affianchi un progetto mirato da parte della Regione Liguria per l’accoglienza in case - famiglia di madri detenute con minori, sull’esempio di quanto già fatto dalla Lombardia, Toscana e Veneto. La “maglia nera” d’Europa conquistata dalla Liguria per condizioni di sovraffollamento carcerario ci fa riflettere su quanto ancora si debba fare per i nostri istituti penitenziari”. Giustizia: Sappe; applicare misure alternative per i detenuti tossicodipendenti Asca, 15 gennaio 2013 La notizia che il tribunale di Firenze ha condannato il ministero della Giustizia a risarcire con un milione e 600mila euro un detenuto aretino rimasto a lungo in coma dopo aver ingerito del metadone in cella rafforza il convincimento del sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe di incrementare l’utilizzo del ricorso alle misure alternative al carcere delle persone tossicodipendenti recluse. Ci auguriamo che a questa grave e triste vicenda seguano fatti concreti. È quanto dichiara, in una nota, Donato Capece, segretario del Sappe. Capece rileva che nelle carceri italiane più del 25% circa dei detenuti è tossicodipendente ed anche il 20% degli stranieri ha problemi di droga e che nonostante l’Italia sia un Paese il cui ordinamento è caratterizzato da una legislazione all’avanguardia per quanto riguarda la possibilità che i tossicodipendenti possano scontare la pena all’esterno, i drogati detenuti in carcere sono tantissimi. Noi - spiega - riteniamo sia preferibile che i detenuti tossicodipendenti, spesso condannati per spaccio di lieve entità, scontino la pena fuori dal carcere, nelle comunità di recupero, per porre in essere ogni sforzo concreto necessario ad aiutarli ad uscire definitivamente dal tragico tunnel della droga e, quindi, a non tornare a delinquere. I detenuti tossicodipendenti sono persone che commetto reati in relazione allo stato di malattia e quindi hanno bisogno di cure piuttosto che di reclusione. Giustizia: è morto l’ex Br Gallinari; l’incontro di due percorsi… il pacifista e il terrorista di Giovanni Russo Spena Corriere della Sera, 15 gennaio 2013 Con Prospero Gallinari ho avuto, dall’inizio degli anni 90, un rapporto intenso. Le scelte politiche ed il vissuto di Prospero erano, certo, molto differenti dalle mie scelte. Prospero fondatore e dirigente delle Brigate Rosse; io, comunista pacifista e libertario, che ho sempre pensato il conflitto, anche il più radicale, come totalmente “altro” rispetto alla lotta armata. Eppure ho imparato a comprendere la dignità di Prospero, a maturare rispetto nei suoi confronti. Lo conobbi all’inizio degli anni 90, in una delle frequenti visite in carcere. Soffriva molto ai patologia cardiaca, ma rifuggiva da autocommiserazioni e vittimismi. Nacquero settimanali discussioni, tra due percorsi di vita differenti. Da un lato un pacifista che riteneva il cortocircuito della lotta armata una espropriazione dei movimenti, la prospettazione implicita (nel raccordo tra mezzi e fini) di una società comunista autoritaria. Dall’altro una persona che aveva sacrificato la vita propria ed altrui scegliendo la lotta armata, convinto che fosse l’unico mezzo per il fine rivoluzionario. Una scelta di cui non si pentiva (aborriva benefici giudiziari e penali), da cui non si dissociava strategicamente. Ma riteneva la lotta armata sconfitta, finita; diceva spesso: “è una storia che non c’è più; quella di oggi è un’altra storia”. Ricordo quei colloqui, a volte aspri, con umana tenerezza. In essi si articolava la complessa grammatica di “quell’album di famiglia” di cui parlò Rossana. Avvertivo che, comunque, Prospero faceva parte della mia storia, pur nei diversi vissuti comunisti. Io giovane universitario che andava a scuola di lotta di classe dai delegati di fabbrica dell’Italsider di Bagnoli e dell’Alfa Sud; Prospero, giovane comunista proletario cresciuto in una sezione reggina del Pei emiliano. Mi preme qui ricordare che la cosa che lo faceva incazzare (l’unica, che io ricordi) era la dietrologia (nata intorno al processo Moro) che descriveva la lotta armata come eterodiretta, proiezione di apparati dello Stato italiani o stranieri. E l’uccisione di Aldo Moro come azione voluta dalla Trilaterale, all’interno della quale i brigatisti erano stati solo manovalanza incolta ed inconsapevole. Mi ripeteva spesso: “Abbiamo fatto certo molti errori, anche di incomprensioni ed ingenuità, come il non aver compreso fino in fondo l’importanza delle accuse di Moro prigioniero ai poteri istituzionali, ma sempre fummo autonomi, non eterodiretti”. Intorno a Gallinari (e Ricciardi) nacque un’ampia e difficile iniziativa garantista che vide Rossana Rossanda, il manifesto, molti intellettuali battersi perché la pena carceraria venisse sospesa per la grave malattia, che rendeva insopportabile la condizione di detenzione. Ponemmo un tema rilevante dello Stato di diritto, l’habeas corpus, la fedeltà alla concezione costituzionale della pena: risocializzazione, non vendetta di Stato. Alla fine Prospero uscì dal carcere. Ebbe un primo infarto qualche anno fa. Quando ero, per assemblee a Reggio o dintorni, veniva a trovarmi. Ma ora parlavamo di politica, di conflitti, di sindacato, di organizzazione dei movimenti. I rancori, le demonizzazioni personali sono pessima politica, che non va confusa con giudizi storici e politici pur molto differenti. Anche per questo Prospero mi manca. Terrorismo: aperto fascicolo su morte gallinari, disposta autopsia Gli agenti della Digos della Questura di Reggio Emilia hanno riferito l’esito degli accertamenti sulla morte dell’ex br Prospero Gallinari al pubblico ministero Valentina Salvi che ha disposto l’esame autoptico. Il pubblico ministero ha aperto un fascicolo modello 45, ovvero senza indagati e senza ipotesi di reato. Gallinari, che fu uno dei carcerieri di Aldo Moro, era stato trovato morto ieri a Reggio Emilia. Giustizia: Prospero Gallinari dopo 33 anni non aveva ancora ottenuto la libertà condizionale di Sandro Padula Ristretti Orizzonti, 15 gennaio 2013 Quattordici gennaio 2013. Cielo grigio e piovoso. “Stamattina è morto Prospero”, leggo in una mail. “La brutta notizia, - precisa qualche minuto dopo un amico al telefono - è confermata da Sante che vive a Bologna”. Sante Notarnicola, l’autore del libro “L’evasione impossibile”, conosceva bene Prospero Gallinari, colui che si definì “un contadino nella metropoli” nell’omonimo testo di memorie. Ex brigatista rosso, 62 anni, in sospensione della pena carceraria per motivi di salute dal 1996, Prospero abitava a Reggio Emilia e, pur essendo stato arrestato l’ultima volta nel 1979, non aveva nemmeno ottenuto la libertà condizionale, la cui istanza fu da lui indirizzata qualche anno fa al tribunale di sorveglianza di Bologna e mai discussa. Sì, mai discussa. Della libertà condizionale, il beneficio che funge da ultimo tunnel penale prima della libertà, non ha visto nemmeno l’ombra. La sospensione della sua pena carceraria in senso stretto corrispondeva ad una misura ibrida fra gli arresti domiciliari e la semilibertà: Prospero poteva uscire di casa, in alcuni orari prestabiliti della giornata lavorativa, ma non di notte. Agli amanti dei misteri non fa scandalo la realtà italiana per cui dopo 3 decenni ci sono ancora dei detenuti politici. Fa scandalo se da ragazzino Prospero era un marxista - leninista ortodosso o se, nei primissimi anni ‘70 e per breve tempo, ebbe dei rapporti con Corrado Simioni, il teorico della “superclandestinità” abbandonato al suo destino da tutti i militanti delle Br - nessuno escluso - perché ritenuto megalomane, maldestro e inaffidabile. Prospero ha maturato le proprie idee a Reggio Emilia in un determinato periodo storico e le ha sviluppate nelle metropoli operaie del Nord Italia, nell’esperienza carceraria fra il 1974 e il 1976 e poi, dopo un’evasione, a Roma. Fu sempre fedele alle persone amiche, condividendo con loro la propria vita e dimostrandosi particolarmente sensibile anche nei momenti più difficili, ad esempio dopo la seconda carcerazione quando, assieme a Linda Santilli, scrisse il primo libro italiano sull’effetto estensivo della pena detentiva ai parenti dei detenuti: “Dall’altra parte: l’odissea quotidiana delle donne dei detenuti politici” (Feltrinelli, 1995). Prospero sapeva che in una organizzazione politica come le Br le responsabilità erano collettive e rimase coerente rispetto a tale consapevolezza fino all’ultimo giorno della sua vita. Nel 2009 ha elaborato la postfazione di “Andate e ritorni. Conversazioni tra passato presente e futuro” (Colibrì editore), un libro dell’ex br Loris Tonino Paroli a cura di Giovanna Panigadi e Romano Giuffrida e con prefazione di Renato Curcio. Nel 2011 ha partecipato a “Ils étaient les Brigades rouges”, un documentario trasmesso a puntate in una televisione francese. Prospero resta quindi una figura limpida, una specie di libro multimediale aperto, per tutte le persone che, all’interno e all’esterno delle carceri, ne hanno conosciuto il coraggio, l’umiltà e l’altruismo. Milano: il Procuratore Capo Bruti Liberati; meno carcere… e più misure alternative Agi, 15 gennaio 2013 Meno carcere e più misure alternative per i condannati. A “suggerirlo” è il procuratore Edmondo Bruti Liberati il quale, in una nota, si dice “certo che tutti i magistrati della Procura della Repubblica di Milano terranno nel massimo conto, sia in tema di misure cautelari che in fase di esecuzione, gli auspici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo”. Il riferimento del magistrato è a una sentenza di condanna per l’Italia dell’otto gennaio scorso nella quale vengono richiamate “le raccomandazioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa che invitano gli Stati a sollecitare i procuratori e i giudici a ricorrere nella misura più larga possibile alle misure alternative alla detenzione”. “E a riorientare la loro politica penale verso un ricorso alla carcerazione nelle finalità, tra l’altro, di risolvere il problema della crescita della popolazione carceraria”. La sentenza di condanna dell’Italia pronunciata dalla Corte Europea aveva accertato un danno - ricorda Bruti nel comunicato - ai danni di sette ricorrenti e aveva ingiunto allo Stato italiano “di introdurre, entro il termine di un anno da quando la sentenza sarà divenuta definitiva, un ricorso o un insieme di ricorsi interni idonei a offrire un ristoro adeguato e sufficiente per i casi di sovraffollamento carcerario, in conformità ai principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte”. Bruti Liberati nei mesi scorsi con una decisione molto discussa anche all’interno della Procura milanese aveva evitato il carcere al giornalista Alessandro Sallusti (poi graziato) attraverso l’applicazione della legge svuota - carceri. Siracusa: Osapp; il carcere di Brucoli è in condizioni di assoluta invivibilità La Sicilia, 15 gennaio 2013 Le carenze strutturali della Casa di reclusione di Augusta sono messe in risalto da Mimmo Nicotra, vice segretario generale Osapp. “La struttura dell’istituto penitenziario continua il suo inesorabile e continuo declino verso una condizione di vetustà dalla quale, con il perdurare del disinteressamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, non vi potrà essere più ritorno se non con l’investimento di ingenti somme di denaro pubblico”, sottolinea il sindacalista, che coglie l’occasione del cedimento di parte dell’edificio, per esternare perplessità in ordine al totale abbandono dell’Amministrazione centrale, delle condizioni in cui versa il carcere. “Cedimento - dice - che fortunatamente ha procurato solo danni materiali, senza coinvolgere il personale o anche la popolazione detenuta. Oltre al danno del cedimento del cornicione è stata interessata l’autovettura del direttore dell’istituto”. Nicotra ricorda che, dagli inizi degli anni 90, in seguito al sisma che già allora procurò le prime lesioni alla struttura, la casa di reclusione di contrada Piano Ippolito ha intrapreso la strada del declino strutturale e ciò mentre al Dipartimento di amministrazione penitenziaria nel recente passato sono stati investiti non pochi soldi per assicurare la recinzione alla struttura di Casal Del Marmo sede delle fiamme azzurre. Se questo trend non verrà interrotto - conclude Nicotra - e il Dap non troverà nel più breve tempo possibili sufficienti risorse economiche per garantire il minimo degli interventi strutturali necessari il carcere di Augusta è destinato a continuare ad essere al centro della cronaca per il suo inarrestabile decadimento; e si spera sempre che questo non pregiudichi mai l’incolumità fisica degli operatori perché poi la questione creerebbe sicuramente degli sviluppi diversi”. Campobasso: sei detenuti diventano pizzaioli professionisti dopo corso di quattro mesi Ansa, 15 gennaio 2013 Sei detenuti del carcere di Campobasso divenuti pizzaioli professionisti al termine di un corso di quattro mesi. Tra loro anche un marocchino: ha intenzione di aprire una pizzeria nella sua terra, a conclusione del periodo di detenzione, perché la “pizza è un alimento universale”. Stamani la consegna dei diplomi, al termine di un corso organizzato dall’Unione europea, pizzaioli tradizionali e ristoratori (Ueptr) con 300 ore di attività didattica, di cui 200 di pratica, con tanto farina, lievito, pomodoro e mozzarella. Studio e pratica sono state fatte nella struttura carceraria; coinvolto anche il personale della casa circondariale. Ora alcuni tra i sei neo pizzaioli potranno intraprendere anche un’attività esterna in applicazione dell’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario che consente l’affidamento in prova con la possibilità di lavorare per alcune ore all’esterno della casa circondariale per il reinserimento sociale della popolazione carceraria. La prova d’esame è stata superata realizzando una pizza margherita alla presenza della commissione d’esame presieduta dal presidente nazionale della Ueptr, Alfredo Folliero. Livorno: il vino dei detenuti sull’isola della Gorgona piace all’azienda Frescobaldi La Nazione, 15 gennaio 2013 La grande casa toscana che produce vini dal 1700, è interessata a mettere il proprio marchio sul frutto dei vitigni di Gorgona, lavorati ormai da anni dai detenuti rimasti sull’isola “Una famiglia fiorentina dedita da trenta generazioni alla produzione di grandi vini toscani. Con l’obiettivo di essere il più prestigioso produttore toscano di vino, Frescobaldi crede nel rispetto del territorio, punta sull’eccellenza delle proprie uve”. Si presenta così sul sito www.frescobaldi.it uno dei più blasonati marchi italiani di vini. I Marchesi dè Frescobaldi hanno tenute in tutta la Toscana: da Castel Giocondo all’Ammiraglia, da Castiglioni a Nipozzano. Ed ora hanno messo gli occhi sul mare, ed in particolare su quello scoglio, “eremita” dell’Arcipelago toscano. L’isola di Gorgona ospita un carcere dove sono recluse 70 - 80 persone ed è off - limit a chi non è parente dei detenuti. Nessun turista può approdare su questo fazzoletto di terra dove vivono ancora pochi isolani. Negli ultimi tempi il carcere di Gorgona ha vissuto nello stallo, segnato dalle spese proibitive per il suo mantenimento. Ecco che l’interesse dei Frescobaldi per la produzione del vino frutto delle uve di Gorgona ha riacceso le speranze di rilanciare un’esperienza che, negli anni, aveva forgiato un carcere - modello. I detenuti lavorando i campi, i vigneti e accudendo gli animali confezionavano prodotti enogastronomici la cui vendita portava qualche soldo anche nelle loro tasche. “L’esperienza di Gorgona - dice Marco Solimano garante dei diritti dei detenuti - deve ritrovare la sua identità. È molto importante il “Progetto Granducato” approvato dal Ministero di Giustizia che permette di esternalizzare certi prodotti a società terze”. Tradotto: il vino prodotto dai detenuti che lavorano i vitigni dell’isola, l’attività casearia e l’acquacoltura che era stata abbandonata si rigenerano richiamando investitori. È il caso, appunto, dell’interessamento dei Frascobaldi per la produzione del vino. “Questa nuova economia - spiega Solimano - allevierà le spese proibitive di mantenimento della struttura carceraria dove i detenuti lavorano tutto il giorno e poi, la sera, rientrano nelle loro celle”. Mentre per Gorgona ci sono speranze, all’Elba la situazione è drammatica. “Le notizie che ho da Porto Azzurro sono molto poco rassicuranti - dice Solimano - c’è un sovraffollamento storico con 500 unità a fronte delle 180 - 200 a regime. Sono stati aperti luoghi chiusi da anni di questa antica fortezza. Anche per il personale di polizia la situazione è molto pesante ed è chiaro che questa casa panale deve essere decongestionata, al più presto”. Nelle prossime settimane il garante dei diritti dei detenuti accompagnerà alcuni consiglieri regionali a fare un sopralluogo nel carcere di Porto Azzurro dove, negli ultimi tempi, si è registrata la promiscuità anche con i tossicodipendenti. “La situazione dei detenuti elbani deve essere tenuta sotto stretta sorveglianza - chiude Solimano - perché le condizioni in cui vivono questi detenuti è davvero al limite della sopportazione”. Un pugno di detenuti da Porto Azzurro è partito alla volta di Pianosa dove fanno i lavoretti per garantire alcuni presidi sull’isola che, in inverno ad esempio, ospita per brevi periodi, esperti naturalisti che studiano e censiscono le specie animali presenti sull’isola. Trieste: al carcere del Coroneo lezione di giornalismo per i detenuti Il Piccolo, 15 gennaio 2013 Un incontro che è presto diventato un aperto e costruttivo confronto tra il cronista e i carcerati. Dall’altra parte. Una ventina di ospiti del carcere del Coroneo hanno partecipato ieri alla prima lezione di un corso che si ripromette di sviscerare le tecniche del giornalismo scritto e parlato. Gli “alunni” seduti nei banchi, il giornalista davanti a loro, per spiegare e rispondere alle loro domande. Il primo tema affrontato è stato quello della cronaca giudiziaria e delle sue implicazioni. Non sfugge a nessuno che l’incontro ha messo forse per la prima volta di fronte all’interno di un carcere un giornalista che ha raccontato ai cittadini molte vicende tragiche, trasgressive della legge e talvolta violente accadute in città con i protagonisti delle stesse. L’esperimento promosso dalla Caritas diocesana, dal settimanale “Vita Nuova” in accordo con la Direzione del Coroneo ha lo scopo di fare chiarezza sui meccanismi con cui una notizia di nera o di giudiziaria nasce, cresce, viene prodotta e pubblicata. Più volte infatti chi è entrato in carcere ha ritenuto che la sua storia fosse stata riferita sulle pagine dei giornali in modo distorto o parziale, lasciando spazio almeno in un primo momento solo all’accusa. “Le tesi della difesa sono state completamente ignorate e nel momento dell’arresto, quando molto deve essere ancora chiarito, i giornalisti più che proporre una notizia, scrivono una sentenza che nessuno al momento ha ancora pronunciato e che potrebbe non essere mai pronunciata”, ha sostenuto uno dei partecipanti all’iniziativa. “In qualche modo questa tesi va accolta - ha affermato Claudio Ernè, già responsabile della cronaca giudiziaria del Piccolo” e primo ad entrare al Coroneo tra i dieci relatori che hanno assicurato la loro partecipazione all’iniziativa. “La tesi va accolta perché è vero che i difensori conoscono i dettagli della storia che ha portato in cella il loro cliente solo parecchio tempo più tardi. In sintesi sanno poco o nulla e difficilmente riescono confutare o a mettere in dubbio l’apparato accusatorio. Qualcuno potrebbe obiettare che il cronista dovrebbe attendere il momento in cui il difensore conoscere gli atti, ma nessun giornalista e nessun direttore di giornale oggi è disponibile di fronte ad un arresto a rinviare la pubblicazione della notizia. Solo nei regimi illiberali, la privazione della libertà a un cittadino può passare sotto silenzio”. L’interesse dei partecipanti all’incontro si è poi concentrato sulle fonti delle notizie di nera e giudiziaria, sulla loro difficile verifica in tempi brevi, sulle eventuali correzioni rotta e sulle responsabilità del cronista. È emersa così la solitudine di chi opera in questo settore, tra i silenzi imposti dalla legge, i veti pronunciati delle famiglie dolorosamente coinvolte e la necessità di riferire ai lettori una notizia completa in tempi strettissimi, spesso di qualche sola ora. Nelle due ore di “lezione” i partecipanti non hanno risparmiato domande sui rapporti dei giornalisti con i magistrati e gli avvocati, ma anche con la struttura gerarchica del giornale in cui lavorano. Torino: il ministro Severino in visita alla Casa Circondariale Agi, 15 gennaio 2013 Proseguono le visite di Paola Severino negli istituti penitenziari italiani. Oggi è la volta della casa circondariale di Torino Lorusso e Cutugno, dove la Guardasigilli si reca nel pomeriggio accompagnata dal capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino. Lo riferisce una nota del ministero della Giustizia spiegando che nel corso della visita il ministro incontrerà gli agenti di polizia penitenziaria, gli operatori e i detenuti presenti nella struttura. Al termine, intorno alle 16:45, ci sarà un breve incontro stampa in una sala interna al carcere. Turchia: nuova apertura Ankara verso Pkk, Ocalan avrà tv in carcere Asca, 15 gennaio 2013 Nuova apertura di Ankara verso il Pkk: per la prima volta in 14 anni di detenzione il leader Abdullah Ocalan potrà vedere la televisione nella sua cella, nella prigione-isola di Imrali nei pressi di Istanbul. Lo ha fatto sapere il ministro della Giustizia turco Sadullah Ergin. Al leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan era già stato accordato il permesso di ascoltare la radio nonostante il regime di isolamento a cui era stato sottoposto. Nel noto istituto penitenziario di massima sicurezza Abdullah Ocalan ha vissuto infatti in totale isolamento fino al 2011, anno in cui il governo di Erdogan ha deciso di ampliare la prigione cautelare anche ad altri detenuti. Ad Ocalan è stato impedito per più di un anno di consultarsi con gli avvocati: in questo senso il privilegio della tv arriva in un momento di possibile riapertura dei negoziati tra il leader del Pkk e l’intelligence turca, in cerca di una leva utile per un eventuale disarmo del partito separatista. Anche se nessuna delle parti ha confermato la notizia, da circa una settimana i media turchi parlano inoltre della realizzazione di una possibile ‘roadmap’ per mettere fine al trentennale conflitto che ha già provocato la morte di 45.000 persone in prevalenza di etnia curda, prepotentemente tornato sotto i riflettori dopo i fatti di Parigi del 10 gennaio scorso, quando tre attiviste del Pkk sono state uccise. Tra le vittime dell’esecuzione era presente una fondatrice del movimento clandestino armato. Arabia Saudita: 100 imam firmano petizione per scarcerare detenuti in attesa processo Nova, 15 gennaio 2013 Un gruppo di 100 imam ed esponenti religiosi yemeniti ha sottoscritto una petizione indirizzata alla casa reale di Riad per chiedere la scarcerazione dei numerosi detenuti che si trovano in carcere senza che abbiano subito alcun processo. Nell’appello, pubblicato dal quotidiano arabo “al Quds al Arabi”, si denuncia la presenza nelle carceri del paese di detenuti che da anni attendono di essere giudicati, e si avverte che le manifestazioni organizzate nei giorni scorsi dai loro parenti potrebbero sfociare in violenze. “La questione dei detenuti divenuta una questione sociale - si legge nell’appello - considerato che alcuni sono in carcere da anni e non hanno mai visto un giudice mentre altri hanno ottenuto l’ordine di scarcerazione che per non viene eseguito”. Arabia Saudita: condannato a 5 anni carcere e 300 frustate per detenzione farmaci Asca, 15 gennaio 2013 Un avvocato egiziano e attivista per i diritti umani è stato condannato a 5 anni di prigione e 300 frustate dalla giustizia saudita con l’accusa di traffico di stupefacenti, riaprendo la tensione tra il Cairo e Riyadh sulla questione. Ahmed al-Gizawi era stato infatti arrestato lo scorso Aprile presso l’aereoporto di Jeddah. All’epoca del suo arresto la procura saudita aveva chiesto la pena capitale, sostenedo che l’attivista avrebbe contrabbandato oltre 21.380 capsule del farmaco antidepressivo Xanax. Le proteste che seguirono all’arresto di al-Gizawi avevano provocato la chiusura dell’ambasciata saudita. L’Arabic Network for Human Rights Information non ha mai smesso di sottolineare i risvolti politici di questo caso: l’avvocato era già stato condannato in contumacia ad un anno di reclusione e 20 frustate per aver criticato il governo dell’Arabia Saudita; sarebbe un perseguitato delle autorità saudite per il suo attivismo nei confronti di molti egiziani detenuti nel paese. Egitto: famiglia musulmana falsifica documenti dopo conversione, 15 anni di carcere Nova, 15 gennaio 2013 Il tribunale di Beni Suef, cittadina egiziana sulla riva del Nilo, ha condannato a 15 anni di carcere duro gli otto membri di una famiglia musulmana che avevano falsificato i loro documenti dopo aver deciso di convertirsi al cristianesimo. Secondo quanto riporta il sito d’informazione arabo “Elaph”, i membri di questo nucleo familiare erano riusciti, corrompendo alcuni funzionari pubblici, a cambiare il loro status religioso da musulmano a cristiano sullo stato di famiglia e sui loro documenti. In particolare il capofamiglia aveva provveduto a modificare le note dei suoi documenti e dei suoi figli. La stessa corte ha emesso una sentenza pari a cinque anni di detenzione per i sette impiegati pubblici riconosciuti colpevoli di aver falsificato i documenti ai membri della famiglia. Nell’udienza che si tenuta domenica scorsa, presieduta dal giudice Ashraf Abdel Nabi Shahin, stata emessa la sentenza di condanna per i membri della famiglia che dovranno scontare i prossimi 15 anni di carcere duro. Secondo il sito arabo “la prima volta che si legge una sentenza di questo tipo nella quale si manda al carcere duro una famiglia intera colpevole di essere diventata cristiana”. A protestare stato l’avvocato copto, Najib Jibrail, il quale ha spiegato che “la madre e i suoi figli hanno falsificato dei documenti pubblici per cambiare i loro nomi da musulmani a cristiani e per modificare la loro residenza con la complicità di alcuni impiegati. La donna stata spinta a falsificare i suoi documenti per poter ottenere un’eredità da alcuni suoi parenti cristiano copti”. Il fatto risale a un periodo che va dal 2004 al 2006, quando la donna riuscita a modificare tutti i suoi certificati e quelli dei suoi figli per rendere il suo nucleo familiare da musulmano a cristiano copto