Giustizia: dopo la condanna della Corte di Strasburgo servono riforme vere… e non slogan di Mitja Gialuz (Docente di Procedura penale Università di Trieste) Il Piccolo, 13 gennaio 2013 Nei giorni scorsi la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia a risarcire complessivamente circa centomila euro a sette detenuti per aver inflitto loro un trattamento inumano e degradante. Costoro erano stati costretti a condividere celle di nove metri quadrati prive di adeguata illuminazione con altri due detenuti, per un lungo periodo di tempo e senza la disponibilità di acqua calda. La condanna non è una novità. Già nel 2009 la Corte di Strasburgo aveva censurato il nostro Paese per aver leso la dignità di un detenuto, costretto a vivere in uno spazio inferiore a quello stabilito come minimo vitale dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura, ossia quattro metri quadrati. A seguito di quella sentenza e dei richiami del Presidente Napolitano, il Governo Berlusconi aveva varato un piano straordinario (il c.d. Piano carceri) basato fondamentalmente sulla costruzione di nuovi istituti e sull’ampliamento della detenzione nel domicilio. Il Governo Monti l’ha accompagnato con un “piano svuota carceri”, che ha esteso ulteriormente la reclusione domiciliare e ha previsto dei correttivi per evitare le detenzioni di breve durata. Il risultato è stato abbastanza deludente: sono usciti dal carcere circa 3.000 detenuti su 68.000, ma il tasso di sovraffollamento si è ridotto soltanto di tre punti, dal 151% del 2010 al 148% del 2012. Ebbene, la nuova pronuncia della Corte segna una sonora bocciatura, non solo di queste manovre, caratterizzate dalla logica emergenziale e da un approccio poco più che burocratico, ma dell’intera politica penale italiana degli ultimi lustri. Per la prima volta, i giudici europei hanno rilevato che vi è un problema strutturale derivante dal malfunzionamento cronico del sistema penale e ha assegnato all’Italia un termine di un anno per porre definitivamente rimedio a questa situazione. Nel frattempo, ha sospeso la decisione dei più di 500 ulteriori ricorsi presentati da detenuti in Italia. A questo punto, è auspicabile che il tema entri nel dibattito pubblico in vista delle elezioni politiche del febbraio prossimo. Nelle ultime campagne elettorali, la materia penale era stata al centro della discussione. Ma in un senso diametralmente opposto: si era strumentalizzata l’insicurezza dei cittadini, proponendo a più riprese una politica di “tolleranza zero”, poi puntualmente realizzata. Con il risultato che si sono riempite le carceri soprattutto di piccoli delinquenti recidivi, di stranieri e di tossicodipendenti. Questa volta il panorama è radicalmente mutato. Le forze politiche dovranno spiegare come intendono risolvere il problema strutturale del sovraffollamento, che hanno contribuito a generare con le politiche securitarie dell’ultimo decennio. Non potranno più nascondersi dietro agli slogan. Non sarà sufficiente dire “costruiremo nuove carceri”, perché i tempi dell’emergenza non lo consentono, né lo permettono le decrescenti risorse pubbliche. Per altro verso, credo sarebbe semplicistico limitarsi a proporre l’adozione di un provvedimento clemenziale (amnistia e indulto). Da solo, esso servirebbe certo a svuotare le carceri, ma sarebbe una misura provvisoria e inadeguata, com’è stato l’indulto del 2006. L’auspicio allora è che i partiti sappiano rispondere alla chiamata dell’Europa proponendo una riforma del sistema penale basata su tre pilastri. Anzitutto, la riduzione consistente del numero di reati, per alleggerire il sistema penale. In secondo luogo, la semplificazione della giustizia penale: con un processo più rapido i giudici non sarebbero più portati a ricorrere massicciamente alla custodia preventiva. Infine, il superamento della centralità della pena detentiva. La Costituzione italiana stabilisce che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato e rieducazione significa anzitutto responsabilizzazione. Oggi il carcere non responsabilizza, ma umilia e incattivisce la persona che ha violato le regole basilari della convivenza. Per rieducarlo, più che sulla reclusione (in carcere o nel domicilio) sembra preferibile puntare - salvi i reati più gravi - sulle prestazioni di pubblica utilità e su attività di riparazione del danno in funzione di reintegrazione sociale. Grazie all’Europa, anche in materia di politiche penali, è finito il tempo degli slogan. Speriamo si possa finalmente aprire una fase di riforme. Giustizia: molte carceri italiane dovrebbero essere chiuse d’imperio dalle autorità sanitarie di Franca Puggioni* e Marina Casu** La Nuova Sardegna, 13 gennaio 2013 “Sono profondamente avvilita ma purtroppo l’odierna condanna della Corte europea dei Diritti dell’uomo non mi stupisce”. Così il Ministro della Giustizia Severino ha commentato la condanna dell’Italia “per trattamento inumano e degradante” a seguito del ricorso presentato da 7 persone detenute nel carcere di Busto Arsizio e di Piacenza. Per l’Italia si tratta della seconda condanna: la prima risaliva al luglio del 2009 e riguardava il ricorso di un detenuto nel carcere di Rebibbia. Se le parole avessero ancora un significato molte delle carceri italiane dovrebbero essere chiuse d’imperio dalle autorità sanitarie: per fare qualche esempio nel carcere di Messina la media del sovraffollamento è del 269%, a Brescia del 255% a Busto Arsizio (dove si trovano alcuni dei detenuti che hanno fatto il ricorso a Bruxelles) del 251%. La Corte ha inoltre avvisato l’Italia che sono centinaia i ricorsi in attesa di essere esaminati e che la loro trattazione sarà sospesa per un anno in attesa dei provvedimenti che si dovranno adottare, in particolare in relazione a due aspetti particolarmente gravi: il sovraffollamento appunto e il numero abnorme di detenuti in attesa di giudizio, dunque potenzialmente innocenti che rappresentano il 40% della popolazione carceraria. Il 38% è rappresentato da persone con problemi di tossicodipendenza e alcolismo e circa il 40% sono stranieri. L’art. 27 della Costituzione afferma che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”: in questi ultimi anni i termini pena e condannato sono stati declinati quasi esclusivamente in carcere, prima, durante e dopo la condanna. Il ricorso alle misure alternative alla detenzione è applicato poco, nonostante i dati forniti dal Ministero della Giustizia dimostrino che 80% di coloro che scontano la pena in forme alternative al carcere non compia più reati. Per questo oggi il carcere è popolato indistintamente da persone in attesa di giudizio e definitivi, reclusi in carceri sovraffollate e senza possibilità di studio o di lavoro. Le carceri sarde per esempio, non sono in grado di svolgere il compito rieducativo che la Costituzione assegna alla pena sia per mancanza di spazi che per carenza di personale. Il nuovo Parlamento che scaturirà dalle elezioni di febbraio dovrà pertanto necessariamente affrontare l’emergenza carcere con soluzioni strutturali che comportano però una visione della giustizia e della pena molto diverse da quelle che il governo Berlusconi ha dimostrato di avere: i potenti protetti fino all’impunità e i “dannati della terra” abbandonati a se stessi. Oltre all’uso sistematico delle misure alternative al carcere ogni volta che sia possibile adottarle, è necessario depenalizzare alcuni reati di scarsa pericolosità sociale e abolire alcune leggi in particolare la Fini Giovanardi sulle dipendenze, quella Bossi Fini sulla immigrazione e la cosiddetta ex Cirielli sulla recidiva; la prima criminalizza l’uso e la detenzione di modiche quantità di stupefacenti e assimila una patologia, la dipendenza, a una attitudine delinquenziale; la seconda criminalizza la povertà e la migrazione irregolare e riempie le carceri di cittadini stranieri spesso abbandonati al loro destino senza una mediazione linguistica e culturale adeguata; la ex Cirielli infine inasprisce le norme sulle recidive. Tre leggi demagogiche e punitive che costano allo Stato una enorme quantità di risorse e non risolvono né il dramma dei giovani che abusano di droghe e peggiorano di molto le condizioni di vita degli stranieri in Italia. * Presidente Arci Sassari **Responsabile Carcere e Giustizia Arci Sassari Giustizia: Monti a Pannella; l’amnistia non risolve, per le carceri serve risposta strutturale Ansa, 13 gennaio 2013 Dopo la condanna europea per le condizioni delle nostre carceri, varato un decreto del presidente del Consiglio con nuovi fondi per il lavoro dei detenuti. Soddisfatta il ministro della Giustizia Severino. Un passo avanti secondo Monti, che però in una lettera a Pannella ha ricordato che “servono misure strutturali”. Intanto il PD risponde a Monti, che aveva accusato i partiti di voler affossare il decreto, di aver sempre sostenuto il provvedimento. La situazione delle carceri è “ai limiti della paralisi” ma “sono convinto che ridurre alla questione dell’amnistia la soluzione di un problema così complesso non sarebbe un’impostazione realistica e costruttiva, tenuto conto che un’amnistia, non aggredendo le cause più strutturali della grava piaga delle carceri, non eviterebbe il ripresentarsi del problema in tempi successivi ed in modo forse peggiorato”. Lo scrive Mario Monti in una lettera inviata a Marco Pannella. Il tema “dell’amministrazione della giustizia nel nostro Paese” lo “considero tra quelli più meritevoli di attenzione”, premette il presidente del Consiglio secondo il quale è “necessaria una più larga e seria sperimentazione di misure penali alternative al carcere, una depenalizzazione di illeciti per i quali il carcere non costituisce una risposta appropriata, nuovi investimenti nell’edilizia carceraria ma soprattutto una profonda riorganizzazione del lavoro giudiziario e responsabilizzazione dei magistrati riguardo ai tempi di trattazione dei procedimenti”. Monti sottolinea che “una parte di queste misure era contenuta nel disegno di legge che il governo ha presentato mai i partiti in Senato hanno preferito che un così importante provvedimento non vedesse mai luce”. “Il finanziamento del lavoro carcerario è finalmente una bella notizia, un passo in avanti nel cammino delle riforme strutturali che la recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo chiede all’Italia di percorrere per affrontare il sovraffollamento penitenziario”. Il ministro della Giustizia Paola Severino commenta con soddisfazione la decisione del presidente del Consiglio Mario Monti il quale, su sua proposta, ha deliberato di destinare 16 milioni di euro, facenti parte del fondo Legge di Stabilità per il finanziamento di esigenze indifferibili, all’attività lavorativa dei detenuti. “Confido fermamente che le Commissioni parlamentari competenti aderiranno favorevolmente alla decisione del governo. Ho già avuto modo di esprimere la mia grande amarezza per il mancato via libera definitivo, al Senato, del provvedimento del governo sulle misure alternative, e anche per lo svuotamento, alla Camera, nel disegno di legge Stabilità, di fondi da destinare al settore giustizia. Finanziarie il lavoro dei detenuti - sottolinea il Guardasigilli - significa dare loro una chance, ma anche investire in sicurezza sociale. Studi scientifici su questo punto sono incontrovertibili: il rischio di tornare a delinquere tra coloro che restano chiusi tutto il tempo in una cella è tre volte superiore se paragonato alla recidiva di detenuti che lavorano o di chi sconta la condanna con misure alternative. Il Parlamento, come ci ha saggiamente ricordato anche il Capo dello Stato in occasione della condanna della Corte di Strasburgo, ha già perso un’importante occasione per invertire la rotta del sovraffollamento. Il parziale rifinanziamento del lavoro carcerario è un segnale. Ma pur sempre importante”. Ferranti (Pd): Monti ritrovi sobrietà, noi per pene alternative “Almeno nelle sue comunicazioni istituzionali il presidente Monti ritrovi quella sobrietà e terzietà che ha perso dalla sua scesa in campo: la smetta di fare di tutta l’erba un fascio. In Senato il Pdl e la Lega hanno deciso di affossare le norme sulle pene alternative al carcere. Il Pd, che ha fortemente contribuito a scrivere quel provvedimento, l’ha sempre sostenuto come ha sempre riconosciuto anche il ministro Severino”. Così la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, capolista in Lazio 2, commenta le dichiarazioni del presidente del Consiglio, Mario Monti che oggi, in riferimento alla legge sulle misure alternative al carcere ha detto “i partiti in Senato hanno preferito che un così importante provvedimento non vedesse mai la luce”. Fini (Fli): urgenti misure alternative a detenzione Non si può più rimandare il problema delle carceri e del loro sovraffollamento pensando anche a misure alternative di detenzione. A sottolinearlo è il presidente della Camera, Gianfranco Fini, parlando a Napoli alla cerimonia della consegna delle toghe d’onore dell’Ordine degli avvocati partenopei. “Non si può tergiversare ulteriormente” sulla questione e “servono urgenti misure strutturali, così come servono misure alternative alla detenzione negli istituti penitenziari che tengano, ovviamente, nel dovuto conto - ha proseguito Fini nel corso del suo intervento - le esigenze connesse al delicato problema della sicurezza sociale”. Ricordando poi la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che “richiama ancora una volta l’Italia perché viola in modo grave i diritti dei detenuti tenendoli in celle dove hanno a disposizione meno di tre metri quadrati”, il presidente della Camera ha commentato positivamente le parole del capo dello Stato Giorgio Napolitano che ha parlato di “un nuovo grande richiamo, di mortificante conferma dell’incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione della pena”. Per Fini, dunque, la politica “se vuole dimostrare di saper contrastare quel germe di sfiducia che, da troppo tempo, mina gravemente la credibilità delle istituzioni democratiche, ha - ha concluso - il dovere di agire”. L’augurio di Fini è che si possa “realizzare in tempi rapidi” una riforma che risolva i problemi che affliggono il sistema carcerario. Si dovrà “avviare a definitiva soluzione anche la questione del sovraffollamento carcerario, con tutte le drammatiche conseguenze che esso comporta, in termini di mortificazione della dignità - ha concluso il presidente della Camera - dei detenuti”. Di Giovan Paolo (Pd): troppi detenuti, colpa anche di leggi sbagliate “Se vi sono troppi detenuti è anche il frutto di leggi sbagliate, da cancellare, come la Bossi - Fini e la Fini - Giovanardi”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la sanità penitenziaria. “Mi auguro che le misure alternative nella prossima legislatura abbiano una corsia preferenziale in Parlamento È davvero incredibile come la destra, il Pdl, di fronte al fallimento delle politiche securitarie continuino a puntare solo sulla reclusione in carcere. È ora di rispondere - conclude Di Giovan Paolo - con i fatti alle obiezioni dell’Europa” Ingroia (Rivoluzione civile); sì amnistia e via leggi ad personam “Sono favorevole ad un provvedimento di clemenza che dia una soluzione all’emergenza delle carceri purché non abbia lo stesso scopo delle amnistie fatte da Berlusconi per salvare gli impuniti e i potenti”. Lo dice Antonio Ingroia, leader di “Rivoluzione civile” durante una conferenza stampa alla Camera. Ingroia, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha aggiunto che se diventasse ministro della Giustizia, come primo atto abrogherebbe “per prima cosa tutte le leggi ad personam, ripristinerei il falso in bilancio, interverrei sull’auto-riciclaggio e renderei finalmente funzionale il reato di scambio politico-mafioso. Giustizia: Monti; 16mln per il lavoro dei detenuti. Severino: bene, ma Camere non frenino di Eva Bosco Ansa, 13 gennaio 2013 Sedici milioni di euro per il lavoro dei detenuti. A pochi giorni dalla sentenza della Corte dei diritti umani di Strasburgo che ha condannato l’Italia per la situazione delle carceri, il premier Mario Monti ha varato uno schema di decreto del Presidente del Consiglio che destina la cifra, facente parte del fondo Legge di Stabilità, all’attività lavorativa dei reclusi. Monti è convinto che per le carceri servano misure coordinate e strutturali, non misure una tantum. Una posizione che, tra l’altro, ha chiaramente manifestato anche a Marco Pannella, in una lettera inviata oggi in cui rispondendo alla richiesta di amnistia avanzata dal leader storico dei Radicali, afferma che la strada da preferire è un’altra e passa attraverso la “depenalizzazione” per alcuni illeciti, nuovi investimenti per la costruzione di carceri ma soprattutto una “profonda riorganizzazione del lavoro giudiziario” e la “responsabilizzazione dei magistrati riguardo ai tempi di trattazione dei procedimenti”. Il finanziamento per il lavoro dei detenuti è un’iniziativa promossa su proposta del ministro della Giustizia Paola Severino. “Finalmente una buona notizia, un passo avanti”, commenta il Guardasigilli. Ma ora la palla passa al Parlamento. Il Dpcm, infatti, è stato trasmesso alle commissione competenti per l’esame del testo. Non a caso, il ministro Severino, reduce dallo stop inferto al Senato al suo ddl sul misure alternative dopo l’ampia maggioranza alla Camera, lancia un appello: “Confido fermamente che le Commissioni parlamentari competenti aderiranno favorevolmente alla decisione del governo”, “il Parlamento, come ci ha saggiamente ricordato anche il Capo dello Stato in occasione della condanna della Corte di Strasburgo ha già perso un’importante occasione per invertire la rotta del sovraffollamento”. Lo stanziamento di questi fondi consentirebbe di rifinanziare la legge Smuraglia, varata nel 2000 e dal 2011 non più rifinanziata. Si tratta di “un rifinanziamento parziale” come spiega lo stesso ministro, per il quale si è attinto al fondo residuo Legge di Stabilità per esigenze indifferibili. Una manovra in extremis, dopo che nelle scorse settimane si erano previsti complessivamente 50 milioni in entrata nel ddl Stabilità da destinare metà al lavoro dei detenuti, metà al settore giustizia. Poi la battaglia in commissione alla Camera sui fondi ha provocato uno “svuotamento”, dice Severino, nel ddl Stabilità e ha cambiato la destinazione di queste somme. Quello che si è ottenuto ora è comunque “un segnale”, apprezzato anche dall’associazione per i diritti dei detenuti Antigone, che però giudica bassa la cifra e avrebbe preferito che si attingesse “ai fondi del piano di edilizia penitenziaria che destina 450 milioni alla realizzazione di nuovi istituti di pena i cui lavori non sono iniziati”. Quel che conta, avverte Severino, è che il parlamento non freni. La cornice temporale che ora le commissioni hanno di fronte è definita e piuttosto stretta, trattandosi di un Dpcm: 20 giorni per i pareri. Dai dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, aggiornati al giugno 2012, sono circa 13mila i detenuti che lavorano, su un totale di oltre 65mila. Circa 11mila, sono impegnati all’interno dell’amministrazione penitenziaria, nelle cucine o nelle attività di pulizie. Una minoranza, il 16%, poco più di 2.200, operano a tempo pieno e part time in imprese o cooperative sociali. Il lavoro rappresenta un deterrente alla recidiva, “significa investire in sicurezza sociale - osserva il ministro. Studi scientifici su questo punto sono incontrovertibili: il rischio di tornare a delinquere tra coloro che restano chiusi tutto il tempo in una cella è tre volte superiore se paragonato alla recidiva di detenuti che lavorano o di chi sconta la condanna con misure alternative”. Severino: 16 mln per lavoro detenuti è bella notizia Il ministro della Giustizia: “Andare avanti nel cammino riforme strutturali” “Il finanziamento del lavoro carcerario è finalmente una bella notizia, un passo in avanti nel cammino delle riforme strutturali che la recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo chiede all’Italia di percorrere per affrontare il sovraffollamento penitenziario”. Il ministro della Giustizia Paola Severino commenta con soddisfazione la decisione del presidente del Consiglio Mario Monti il quale, su sua proposta, ha deliberato di destinare 16 milioni di euro, facenti parte del fondo Legge di Stabilità per il finanziamento di esigenze indifferibili, all’attività lavorativa dei detenuti. “Confido fermamente che le Commissioni parlamentari competenti aderiranno favorevolmente alla decisione del governo. Ho già avuto modo di esprimere la mia grande amarezza per il mancato via libera definitivo, al Senato, del provvedimento del governo sulle misure alternative, e anche per lo svuotamento, alla Camera, nel disegno di legge Stabilità, di fondi da destinare al settore giustizia. Finanziare il lavoro dei detenuti - sottolinea il Guardasigilli - significa dare loro una chance, ma anche investire in sicurezza sociale. Studi scientifici su questo punto sono incontrovertibili: il rischio di tornare a delinquere tra coloro che restano chiusi tutto il tempo in una cella è tre volte superiore se paragonato alla recidiva di detenuti che lavorano o di chi sconta la condanna con misure alternative. Il Parlamento, come ci ha saggiamente ricordato anche il Capo dello Stato in occasione della condanna della Corte di Strasburgo, ha già perso un’importante occasione per invertire la rotta del sovraffollamento. Il parziale rifinanziamento del lavoro carcerario è un segnale. Ma pur sempre importante”. Gonnella (Antigone): lavoro detenuti utile a recupero “La decisione del Governo che destina 16 mln di euro per ripristinare i fondi cancellati nella legge di Stabilità per il lavoro carcerario è sicuramente utile anche se si tratta solo di un provvedimento tampone”. Lo dichiara Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone che si batte per i diritti nelle carceri. “L’aver rifinanziato la cosiddetta legge Smuraglia - rileva Gonnella - è importante ai fini del recupero sociale del detenuto e anche per le cooperative impegnate nel reinserimento sociale dei reclusi”. Secondo Gonnella la cifra destinata dal Governo è però molto bassa, dunque aggiunge “meglio sarebbe stato utilizzare per il lavoro dei detenuti, anche come misura deflattiva, i fondi del piano di edilizia penitenziaria che destina 450 milioni alla realizzazione di nuovi istituti di pena i cui lavori non sono iniziati e al momento non inizieranno”. Sappe: Governo ha tagliato 95% fondi attività lavorativa detenuti “È notizia di ieri che il premier Mario Monti ha varato uno schema di decreto del Presidente del Consiglio che destina sedici milioni di euro per il lavoro dei detenuti. Mi auguro che non si tratti di una mossa elettorale del neo - leader di una lista politica in vista delle prossime elezioni. Certo è che a noi sembra più un goffo tentativo del Governo tecnico di salvare la faccia dopo avere varato una legge di stabilità che ha tagliato il 95% dei fondi destinati all’attività lavorativa dei reclusi”. A dichiararlo è Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. “Anche il Governo tecnico guidato da Mario Monti ha fallito sul tema del lavoro dei detenuti, un argomento sul quale c’è profonda ipocrisia. Tutti, politici in testa, sostengono che i detenuti devono lavorare: ma poi, di fatto, a lavorare nelle carceri oggi è una percentuale davvero irrisoria di detenuti (meno del 20% dei 66mila presenti, peraltro poche ore al giorno e prevalentemente in lavori interni alla struttura come addetti alle pulizie, cuochi, cucinieri e simili). Eppure - afferma ancora Capece - i dati ci dicono che il condannato che espia la pena in carcere ha un tasso di recidiva del 68,4% contro il 19% di chi ha fruito misure alternative e addirittura l’1% di chi è inserito nel circuito produttivo”. Giustizia: i fondi di Monti per i detenuti? attenti ad un nuovo “scippo” nelle Commissioni Intervista a Nicola Boscoletto (Consorzio Rebus), a cura di Pietro Vernizzi Il Sussidiario, 13 gennaio 2013 Il premier Mario Monti “ha autorizzato l’invio alle competenti commissioni parlamentari di uno schema di decreto del presidente del Consiglio che destina 16 milioni di euro, facenti parte del fondo della Legge di Stabilità, all’attività lavorativa dei detenuti”. È quanto si legge in un comunicato di Palazzo Chigi. Ilsussidiario.net ha intervistato Nicola Boscoletto, presidente del consorzio sociale Rebus, che da oltre vent’anni si pone come obiettivo il recupero e la valorizzazione della persona detenuta in carcere. Boscoletto, che cosa ne pensa dei fondi destinati da Monti ai carcerati? È sicuramente un gesto coraggioso, positivo, dovuto, non solo perché l’Europa ha richiamato l’Italia per una situazione indecorosa. Tutti sapevano che siamo completamente fuorilegge, ma qui c’è stata la tenacia e la volontà del ministro della Giustizia, Paola Severino, grazie alla cui proposta il presidente Monti e il Consiglio dei ministri hanno approvato la destinazione dei 16 milioni di euro. Come affermato però nel comunicato della cooperativa Rebus, dal titolo “Promessa mantenuta: non bisogna abbassare la guardia”, tutto il mondo delle cooperative, delle associazioni, degli operatori penitenziari è contemporaneamente contento ma preoccupato. Il decreto del presidente del Consiglio dei ministri sarà infatti consegnato alle due commissioni di Camera e Senato per la ratifica che deve avvenire entro 20 giorni. Perché questo la preoccupa? Come è già avvenuto nella notte tra il 20 e il 21 dicembre, quando furono scippati i soldi del lavoro penitenziario, ancora una volta queste commissioni parlamentari hanno la facoltà di cambiare destinazione ai 16 milioni di euro. Un “furto” è già avvenuto, siamo di fronte al richiamo europeo sulla situazione delle carceri italiane, e speriamo quindi che non si ripeta ciò cui abbiamo già assistito. Sappiamo però che ci stiamo avvicinando alle elezioni, e temiamo il pericolo di qualche ulteriore colpo di spugna. Qual è quindi l’auspicio delle cooperative che operano in carcere? Chiediamo quindi a tutti gli italiani di sorvegliare su questa situazione, in modo tale che qualsiasi cosa non regolare succeda sia fin da subito sotto gli occhi di tutti. Ci appelliamo ai due presidenti della commissione Bilancio del Senato e della Camera, Antonio Azzolini e Giancarlo Giorgetti, affinché siano i garanti del fatto che non entrino in gioco principi e spartizioni che non hanno niente a che vedere con un bene per tutti. La situazione nelle carceri italiane è davvero così grave come sostiene la Corte europea dei Diritti umani di Strasburgo? Le carceri italiane sono peggiori di quanto ha dichiarato la corte di Strasburgo. Quest’ultima si è limitata all’aspetto del sovraffollamento, inteso come metri quadrati a disposizione. Ma la qualità della vita non è data dai soli metri quadri. Uno può vivere in cento metri quadri, ma avere una qualità della vita scarsa. Nelle nostre carceri infatti la sanità penitenziaria non funziona, l’aspetto rieducativo non è presente, il personale non è a disposizione per svolgere attività formative o scolastiche, mancano educatori, psicologi e psichiatri. Quali sono le conseguenze di tutto ciò? La conseguenza è che la situazione è veramente grave, e non è solo una questione di metri quadri, ma anche di qualità della vita. Una qualità che in carcere non è assolutamente garantita a livelli dignitosi. Non basta quindi rispondere al richiamo europeo in termini di edilizia penitenziaria, pensando che in questo modo si risolva il problema. È come pensare di guarire un malato solo per il fatto di ricoverarlo in una stanza più grande. Mentre occorrono dottori, attrezzature, medicine, cioè tutti quegli aspetti che possono farlo guarire. La stanza è il contenitore, ma poi c’è il contenuto. Perché in un momento di crisi come quello attuale vale la pena investire milioni di euro per rieducare delle persone che hanno commesso dei reati? Vale la pena perché economicamente conviene. Per ogni milione di euro investito nella rieducazione dei carcerati, se ne risparmiano nove. Scommettere sui detenuti è un modo quindi per avere maggiori risorse disponibili anche per gli esodati, la sanità, il sociale e le scuole. Dire “hanno sbagliato, che paghino loro”, è un punto di vista che non tiene conto del fatto che alla fine paghiamo noi. Tra costi diretti e indiretti, la collettività spende 250 euro al giorno per ciascun carcerato, cioè poco meno di 100mila euro l’anno per ciascuno. E siccome a lavorare sono solo 850 detenuti su 66mila, e la recidiva reale è tra il 69 e il 90%, significa che noi ogni anno spendiamo miliardi di euro per creare l’università del crimine che sforna delinquenti peggiori di come lo erano prima. Giustizia: Radicali in sciopero fame e sete per diritto all’informazione su problemi carceri Ansa, 13 gennaio 2013 Secondo giorno di sciopero della fame e della sete di un nutrito gruppo di Radicali guidati da Marco Pannella: Sergio Augusto Stanzani Ghedini, Marco Beltrandi, Rita Bernardini, Maurizio Bolognetti, Marco Cappato, Gianmarco Ciccarelli, Sergio D’Elia, Filomena Gallo, Alessandro Massari, Giorgio Pagano, Marco Perduca, Mario Staderini, Antonio Stango, Irene Testa, Maurizio Turco, Elisabetta Zamparutti, Donatella Corleo, Federico Tantillo, Carlo Loi, Valter Vecellio, Lucio Bertè. “Il digiuno di dialogo - si legge in una nota - è rivolto ai rappresentanti delle massime istituzioni italiane - a partire dal Presidente della Repubblica - e ai mezzi di informazione affinché sia garantito agli italiani il diritto costituzionale alla conoscenza fin qui negata sui temi connessi alla giustizia e alla carceri”. “Sebbene l’Autorità abbia ripetutamente ordinato alla Rai - da ultimo nell’agosto 2012 - di assicurare l’approfondimento su temi definiti di ‘rilevante interesse politico e sociale’, sino ad oggi agli italiani è stato impedito di conoscere le ragioni e le soluzioni di quella condizione criminale che fa della Repubblica un sorvegliato speciale in Europa per la sistematica violazione dei diritti umani”, prosegue la nota. “Tutto ciò - si legge ancora nel comunicato - accade nonostante già nel 1976 centinaia di personalità, sottoscrivendo un appello a prima firma Pietro Nenni ed un secondo appello a prima firma Giuseppe Saragat a sostegno dell’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella, chiedevano di porre fine alla negazione del principio democratico ‘conoscere per deliberare”. Marco Beltrandi, si comunica nella nota, “sabato ha avuto un malessere per il quale è stato trasportato in uno dei grandi ospedali romani, dove ha atteso per ore il ricovero essendo il nosocomio affollatissimo come Regina Coeli”. Giustizia: Lista “Amnistia, giustizia, libertà” non coalizzata. Radicali “corteggiati” dal Pdl Ansa, 13 gennaio 2013 Marco Pannella ha depositato al Viminale il simbolo “Amnistia, giustizia, libertà”, il cui contrassegno si richiama ai precedenti simboli della lista Pannella. Il simbolo al momento non è coalizzato con altri partiti. Il programma è di scopo, incentrato sulle carceri e sulla giustizia. Ora tutti li cercano; una volta eletti tutti li evitano. È il destino dei radicali, corteggiati prima del voto, temuti quando sono parlamentari: un cliché che si ripete elezione dopo elezione. Loro, i radicali, un po’ ci giocano: una volta si alleano con il centrodestra, l’altra con il centrosinistra. Poi, alla fine, fanno come vogliono loro. Così in campagna elettorale prima c’è la gara - il cui starter è stato l’ex presidente della Camera Bertinotti - per chiedere al capo dello Stato di nominare il “vecchio” Marco Pannella a senatore a vita. Poi quella per offrire apparentamenti e raccolta firme. Corte dal Centrodestra. Rapporto con il Pd interrotto Stavolta, a dir il vero, la corte arriva più da destra che da sinistra: il Partito democratico è rimasto bruciato dalla convivenza dell’ultima legislatura con i parlamentari radicali eletti nelle proprie liste che hanno votato spesso in dissenso con il partito democratico. Questioni sulle quali il leader radicale ha sorvolato, continuando gli scioperi della fame e della sete per portare l’attenzione sull’emergenza carceri. Pannella si lascia tentare, ma non accetta la corte di nessuno, ben sapendo che, in una campagna elettorale così breve, i vari protagonisti non lasciano nulla di intentato per raccogliere voti, anche accogliendo le più svariate istanze della società civile. Berlusconi, che con i radicali ha flirtato fin dall’alleanza del 1994 e malgrado il tradimento del 2008, è tornato a lanciare segnali d’amore a Pannella: “Sulla situazione delle carceri c’è completa condivisione”, ha detto. La conferma del rinnovato amore (ma non ancora ricambiato) è arrivata da Vittorio Sgarbi: “Berlusconi mi ha dato il mandato di dire a Pannella che lui è disponibile ad accoglierlo e a indicarlo come futuro ministro della Giustizia. Ora tocca a lui decidere”, ha avuto modo di dire presentando Intesa popolare, la sua lista apparentata con il Pdl. “Pannella e i radicali” - ha aggiunto Sgarbi - “sanno benissimo che Bersani non li caga, che Emma Bonino ha già un accordo con Monti e quindi dica cosa vuole fare”. Il rapporto tra i radicali ed il Pd si è interrotto nel corso dell’ultima legislatura, durante la quale i parlamentari Radicali spesso hanno votato in aperto dissenso con il gruppo dirigente democrat. Addirittura, nelle votazioni alla Camera per le autorizzazioni a procedere hanno salvato il governo Berlusconi sul voto di fiducia, appellandosi a libertà di coscienza e garantismo giuridico. La concorrenza per la caccia al voto è agguerrita. Lo si capisce quando, in nome della democrazia e del pio desiderio che tutti siano rappresentati, anche la destra ha offerto il proprio sostegno a Pannella. Nella fattispecie, proprio La Destra. Storace e compagni, almeno sui temi etici, sono sempre stati il nemico storico dei radicali ma stavolta tendono la mano ai rivali: “Se davvero i radicali non si apparenteranno con una delle coalizioni in campo, ho detto a Pannella che possiamo mettere a disposizione militanti e autenticatori, dove li abbiamo, per consentire loro il diritto di contarsi alle elezioni, sulla cui regolarità comunque hanno già adesso dubbi che proprio infondati potrebbero non essere. Attenderemo la loro modulistica e verificheremo il da farsi”, ha annunciato Francesco Storace. Giustizia: Osapp; capienza carceri è solo teorica, ci sono migliaia di posti-letto inutilizzabili Agi, 13 gennaio 2013 “Nei 3 giorni appena trascorsi dalla condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo mentre i detenuti sono aumentati di 90 unità e la capienza è diminuita di 80 posti letto”. Lo sottolinea Leo Beneduci, segretario del sindacato di Polizia penitenziaria, Osapp. I detenuti presenti ieri, 11 gennaio, “negli istituti di pena per adulti - spiega il sindacalista - erano 65.590 per 47.040 posti - letto teorici (da cui andrebbero tolti gli isolamenti e i letti nelle infermerie per almeno 4.000 posti, solo in parte utilizzabili) mentre lo scorso 8 gennaio in carcere si contavano 65.510 ristretti per 47.120 posti”. Nelle 9 regioni italiane (Campania, Emilia Romagna, Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Valle d Aosta) in cui i detenuti sono quasi il doppio dei posti disponibili “si registra - continua il leader dell’Osapp - anche il 30% in meno del personale necessario, con una capacità di intervento e di prevenzione degli eventi più critici, quali aggressioni e tentativi di suicidio, oramai ridotta al lumicino”. “Nell’assistere alla foga - commenta Beneduci - con cui gli schieramenti in lizza si apprestano a presentare simboli e liste per le prossime elezioni, come operatori penitenziari e come cittadini ci domandiamo quale futuro possano aspettarsi, dal 26 febbraio in poi, gli oltre 100mila donne e uomini che negli istituti di pena vivono e lavorano e quell’utenza di altri 400mila individui che attorno al carcere gravita e che - conclude - nelle condizioni di crescenti povertà e disagio, prima o poi in carcere finirà per tornarci”. Giustizia: il Paese dei detenuti “speciali” e… l’acqua all’arsenico nel carcere di Viterbo di Samanta Di Persio www.cadoinpiedi.it, 13 gennaio 2013 La stampa italiana in merito alle questioni riguardanti la detenzione si comporta in maniera diversa a seconda delle persone coinvolte. Chissà cosa succederebbe se Lusi, Fiorito, Dell’Utri & co. fossero detenuti nel carcere di Viterbo. “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”. Così recita la nostra Costituzione, ma in realtà in Italia ci sono spesso due pesi e due misure. Ho citato nel titolo alcuni nomi di politici che hanno presumibilmente investito soldi pubblici per fare la bella vita. Lusi trascorre i domiciliari in un convento, del resto è solo accusato di associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita. Fiorito è accusato di peculato, scomparso oltre un milione di euro, dopo tre mesi di carcerazione preventiva torna a casa ai domiciliari. Il 28 marzo di quest’anno arriverà la decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio per gli indagati della P3: Marcello Dell’Utri, Denis Verdini e Flavio Carboni. L’accusa è di aver creato una loggia in grado di influenzare gli affari dell’eolico e le decisioni di Consulta, Csm e Cassazione. Sono solo accusati di aver violato la legge Anselmi, associazione a delinquere, corruzione e abuso d’ufficio. I tre della P3 sono tutti a casa, anzi qualcuno potrebbe essere candidato alle prossime politiche. Ma perché dovrebbero essere tradotti tutti nel carcere di Viterbo? Il 6 settembre del 2011 il garante dei detenuti Marroni fece una disamina sulle condizioni del carcere Mammagialla, oltre ai soliti problemi di sovraffollamento e di carenza di personale, segnalò un’altra criticità: altissimo contenuto di arsenico nell’acqua. Con 10 microgrammi di arsenico l’acqua è considerata non potabile e addirittura non ci si può assolutamente cucinare, né lavare. A Viterbo sono stati riscontrati oltre 50 mg/litro di arsenico. Il 12 settembre del 2011 il partito dei Radicali aveva presentato un’interrogazione parlamentare al Ministro della giustizia, al Ministro della salute, ma non c’è stata nessuna risposta, nessuna inchiesta. L’Organizzazione mondiale della sanità e perfino l’Unione europea hanno dato indicazioni di ridurre al più presto la soglia massima di arsenico nelle acque erogate per il consumo umano atteso che l’arsenico è classificato dall’Agenzia internazionale di ricerca sul cancro come elemento cancerogeno certo di classe 1 e posto in diretta correlazione con molte patologie. A distanza di oltre un anno la situazione non è cambiata, forse, per far rispettare la Costituzione bisognerebbe avere nel carcere di Viterbo (e non solo) detenuti del calibro di Lusi, Fiorito & co. quando loro finiscono in carcere la stampa ha la massima attenzione sulla loro detenzione. Liguria: Piredda (Idv) propone Garante diritti dei detenuti. Sappe: proposta demagogica www.cittadellaspezia.com, 13 gennaio 2013 “È indispensabile sbloccare l’iter della proposta di legge sull’istituzione del Garante dei diritti, ferma dall’aprile 2012 in commissione Affari istituzionali in Regione”. Maruska Piredda, capogruppo di Italia dei Valori in Regione e presidente della commissione Pari opportunità, richiama l’attenzione sull’emergenza carceri in Liguria. “Dopo la sentenza della Corte europea che invita l’Italia a prendere provvedimenti contro l’attuale condizione carceraria - spiega Piredda - sono emersi dati ancor più allarmanti sul sovraffollamento nelle prigioni della Liguria che conquista la “maglia nera” d’Europa con un tasso del 176,8%”. La legge, il cui esame è in stand by in Regione, propone l’istituzione del “Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale”, il cui compito è vigilare e promuovere il rispetto dei diritti fondamentali delle persone recluse o in condizione di limitazione della libertà personale. Già dieci altre regioni si sono attivate su percorsi analoghi. La finalità è costituire un sistema di controlli adeguato per quanto riguarda i diritti e gli interessi di rilevanza regionale, come sanità, lavoro e formazione dei detenuti, il regolare ed efficiente svolgimento dell’azione amministrativa regionale. Altro scopo è quello di favorire la conoscenza, la prevenzione e l’immediata cessazione di eventuali situazioni di abuso, violazione di diritti o irregolarità. Il Garante verrebbe istituito presso il Consiglio regionale come organismo di garanzia e avrebbe il compito di lavorare in sinergia con le autorità giurisdizionali e amministrative segnalando loro eventuali criticità. La sua figura sarebbe in pratica analoga a quella già esistente del difensore civico, scelto per le qualifiche personali e svincolato dalla politica. Il Garante dei diritti dovrebbe quindi svolgere periodiche visite agli istituti detentivi del territorio regionale, vigilando sulle condizioni di vita nelle carceri, accertando la conformità con quanto previsto dagli ordinamenti statali e internazionali. “Siamo consapevoli che l’istituzione del Garante non sarà la soluzione definitiva all’annoso problema delle nostre carceri che potrà essere risolto solo con un intervento deciso da parte del Governo attraverso misure efficaci e non semplici palliativi come amnistie, indulti e svuota carceri, magari mutuando esperienze di altri Paesi europei come la Germania, dove i detenuti abitualmente lavorano. Le nostre carceri, dove solo il 10% dei detenuti ha un’occupazione, si sono trasformate negli anni in autentici gironi dell’inferno non solo per i detenuti, ma anche per gli agenti penitenziari che spesso sono costretti ad affrontare tentativi di suicidio, atti di autolesionismo, ferimenti e colluttazioni tra i reclusi, conseguenza diretta dell’invivibilità delle nostre prigioni”. L’emergenza del sovraffollamento in Liguria tocca il proprio apice a Marassi dove per 456 posti letto ci sono 750 reclusi, ma anche le cifra spezzine sono impressionanti: 144 i posti letto e 272 gli ospiti di Villa Andreino. “E proprio per porre fine alla barbarie che oggi vede genitori dietro alle sbarre insieme ai propri figli, ho presentato un’interrogazione, che martedì sarà discussa in Consiglio, affinché la Liguria si doti al più presto di un Icam, Istituto di custodia attenuata per mamme, cioè una casa famiglia protetta. Garante dei diritti e Icam sono interventi che la Regione può attuare dando un concreto segnale di impegno nella battaglia di civiltà per trasformare le nostre carceri da istituti di pena a luoghi di rieducazione”. Sappe: demagogica proposta per Garante dei detenuti “Le priorità penitenziarie della Liguria sono ben altre che istituire il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, come è tornata a sollecitare oggi la consigliera Piredda dell’IdV. Servono lavoro e formazione. La prima fondamentale e imprescindibile considerazione che il Sappe intende fare è che ai detenuti delle carceri italiane - ed a quelli delle sette Case circondariali della Liguria (La Spezia, Chiavari, Genova Marassi e Pontedecimo, Savona, Imperia e Sanremo) - sono assicurate e garantite ogni tipo di tutela, a cominciare dai diritti relati all’integrità fisica, alla salute mentale, alla tutela dei rapporti familiari e sociali, all’integrità morale e culturale. Diritti per l’esercizio dei quali sono impegnati tutti gli operatori penitenziari, la Magistratura ed in particolare quella di Sorveglianza, l’Avvocatura, le Associazioni di volontariato, i parlamentari ed i consiglieri regionali (che hanno libero accesso alle carceri), le cooperative, le comunità e tutte le realtà, che operano nel e sul territorio, legate alle marginalità. Particolarmente preziosa, in questo contesto, è anche l’opera svolta quotidianamente dalle donne e dagli uomini della Polizia Penitenziaria. Donne e uomini in divisa che rappresentano ogni giorno lo Stato nel difficile contesto penitenziario, nella prima linea delle sezioni detentive, con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità.” È quanto dichiara Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, a proposito delle dichiarazioni odierne della consigliera IdV Maruska Piredda che oggi ha sollecitato il prosieguo dell’iter della proposta di legge sull’istituzione del Garante dei diritti, ferma dall’aprile 2012 in commissione Affari istituzionali in Regione Liguria. “Un importante passo in avanti su quel perimetro deliberatamente dimenticato qual è il carcere è certamente quello di renderlo trasparente, di considerarlo parte integrante (e non, spesso, dimenticata) delle città e della società. Per questo il Sappe per primo, come Sindacato più rappresentativo della Polizia penitenziaria, è da sempre impegnato in prima linea affinché il carcere sia davvero una “casa di vetro”, vale a dire un luogo trasparente dove la società civile possa e debba vederci “chiaro”. Abbiamo però partecipato tutte le nostre perplessità sulla necessità di istituire questa nuova figura - anche in relazione ai costi per la spesa pubblica che si dovrebbero sostenere, considerata l’attuale particolare situazione di congiuntura economica - quando la Regione Liguria ha già una qualificata ed autorevole figura istituzionale di garanzia quale è quella del Difensore civico regionale che bene può assolvere alle finalità del garante. È quanto, ad esempio, già avviene in Lombardia e nelle Marche, regioni nelle quali vi sono appunto Difensori civici che hanno anche funzioni di garante dei detenuti. Quel che è certo è che la eventuale figura da istituire in Liguria non può essere appannaggio dei giochetti politici, non può essere insomma una “poltrona” sulla quale sistemare qualche politico trombato, qualche amico degli amici senza nessuna concreta competenza penitenziaria.” Lazio: Maruccio (Idv) liberato da Regina Coeli “detenuti in condizioni peggiori dei maiali” Agi, 13 gennaio 2013 “Ora comincia una nuova vita”: queste le parole di Vincenzo Maruccio, l’ex capogruppo dell’Italia dei Valori alla Regione Lazio all’uscita dal carcere di Regina Coeli dopo un mese di detenzione con l’accusa di essersi appropriato di circa un milione di euro dei soldi destinati al suo gruppo consiliare. Visibilmente provato ma soddisfatto per la decisione del gip che ha deciso di non prorogare la misura cautelare così come era stato richiesto dalla procura, Vincenzo Maruccio si è detto pronto ad “affrontare il processo avendo fiducia nella magistratura”. “Sono stati due mesi - ha aggiunto Maruccio, all’uscita dal carcere, incontrando gli avvocati Luca Petrucci e Maria Raffaella Talotta - che ho passato con dignità. Le condizioni carcerarie non sono delle migliori. Dodici metri quadrati per tre persone calpestano la dignità umana. Ieri sera facevo un paragone: se un allevamento di maiali avesse gli stessi spazi i Nas lo avrebbero chiuso invece questi posti rimangono aperti”. Lecce: Osapp; impossibile garantire la sicurezza dei detenuti di Borgo San Nicola di Alessandro Chizzini www.leccesette.it, 13 gennaio 2013 L’ennesimo suicidio nel carcere di Lecce ha acceso di nuovo i riflettori sul sovraffollamento delle carceri e la scarsità del numero di agenti di Polizia penitenziaria. La denuncia del commissario Domenico Mastrulli (Osapp). Forse la depressione, forse lo spettro del rimpatrio; non sono ancora chiarissime le cause che hanno portato il 38enne somalo Moahmed Abdi ha togliersi la vita la scorsa domenica all’interno del penitenziario di Borgo San Nicola, dove era detenuto per reati contro il patrimonio da maggio 2012 e dove avrebbe dovuto scontare ancora solo tre mesi. L’episodio è solo l’ultimo di un drammatico fenomeno che fa della struttura carceraria della periferia di Lecce la primatista nazionale per numero di suicidi. L’estremo gesto compiuto da Abdi ha riportato l’attenzione sule condizioni di vita in cui versano i detenuti delle carceri, non solo pugliesi e salentini. In particolare, l’Organizzazione Sindacale degli Agenti di Polizia Penitenziaria (Osapp) ha puntato il dito sul sovraffollamento delle strutture italiane; un allarme giunto tra l’altro poche ore prima della sentenza della Corte Europea di Strasburgo che ha dichiarato colpevole l’Italia di aver violato i diritti umani di sette detenuti nelle prigioni di Piacenza e Busto Arstizio. Proprio da questa condanna, parte la denuncia di Domenico Mastrulli (nella foto), sostituto commissario di Polizia penitenziaria e segretario nazionale Osapp: “Dopo la sentenza di Strasburgo, il Ministero della Giustizia deve intervenire immediatamente per mettere un freno a questa situazione. La Puglia presenta infatti un tasso di sovraffollamento che sfiora il 196% e tra le regioni sovraffollate è quella che dispone di meno strutture penitenziarie. Il Triveneto e la Liguria sono al secondo e al terzo posto, ma le loro carceri sono il doppio di quelle pugliesi. Sulla questione è intervenuto anche il Vescovo di Lecce e il suo monito su ciò che accade all’interno degli edifici carcerari è stato apprezzato, condiviso e sostenuto dall’area cristiana dell’Osapp Polizia Penitenziaria”. Mastrulli denuncia poi come al sovraffollamento delle carceri corrisponda un organico di agenti sottopotenziato: “Il suicidio è un atto che risponde alla libera scelta dei detenuti, ma il compito del Corpo di Polizia Penitenziaria è quello di garantire la sicurezza all’interno delle strutture e quindi impedire il verificarsi anche di questi episodi. Il numero degli agenti in servizio non è però sufficiente ed è anzi inferiore a quello previsto dalla legge; ad aggravare poi questo quadro, la scelta del Provveditore di mantenere 55 unità in distacco presso i propri uffici con compiti amministrativi e amministrativi contabili e al servizio di 40 unità civili tutti promossi al grado di capo - area. Io non vado contro nessuno ma è necessaria una maggiore vigilanza nei reparti difensivi e una maggiore sicurezza custodiale verso chi abbiamo l’onere di sorvegliare e vigilare; un compito che consiste anche di evitare che le vite dei detenuti vengano bruciate dietro le sbarre”. Siracusa: crolla cornicione della Casa circondariale di Augusta, nessun ferito Adnkronos, 13 gennaio 2013 Crollo nel carcere di Augusta, in provincia di Siracusa. Una parte del cornicione della casa circondariale è venuto giù, senza causare feriti, ma sono danni materiali. A renderlo noto è il vice segretario generale dell’Osapp, Mimmo Nicotra, che punta il dito contro “l’inesorabile e continuo declino verso una condizione di vetustà dalla quale, con il perdurare del disinteressamento del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, non vi potrà essere più ritorno se non con l’investimento di ingenti somme di denaro pubblico”. “È dagli inizi degli anni 90, a seguito del sisma che già allora ha procurato le prime lesioni alla struttura - spiega Nicotra - che l’istituto di Augusta ha intrapreso la strada del declino strutturale. Se questo trend non verrà perentoriamente interrotto - conclude - e il Dap non troverà nel più breve tempo possibile sufficienti risorse economiche per garantire il minimo degli interventi strutturali necessari la casa di reclusione di Augusta è destinata sicuramente a continuare ad essere al centro della cronaca per il suo inarrestabile decadimento”. Avellino: Uil Penitenziari; ecco l’inferno del carcere Bellizzi. Detenuti protestano per foto www.ottopagine.net, 13 gennaio 2013 Calcinacci, sedie rotte, crepe nelle pareti e bagni trasformati in depositi. La realtà interna del carcere di Bellizzi rispecchia perfettamente la sua triste struttura architettonica esterna. A “fotografare” le condizioni del penitenziario di contrada Sant’Oronzo, ieri mattina, è stata una delegazione della Uil penitenziari, composta dal segretario generale Eugenio Sarno e Massimo Spieza, componente della Direzione Nazionale. Una visita eccezionale, perché per la prima volta sono state autorizzate dal Dap le riprese video fotografiche. E proprio quelle immagini raccontano lo stato in cui versa la casa circondariale. Un carcere invivibile sotto il profilo igienico sanitario e una giustizia che rende ancor più complicata la gestione. Certo è, che solo chi lo vive dall’interno riesce a cogliere la vera realtà, a interrogarsi sul senso della pena e sulla funzione della reclusione. Spesso le porte del carcere si sono aperte a politici in visita che hanno avviato battaglie per rendere la struttura più vivibile. Ma quello che realmente manca sono le risorse economiche. Ieri mattina, per la prima volta un sindacato ha fatto ingresso nel carcere con telecamere e macchine fotografiche. “Riteniamo che ciò rappresenti una nuova e grande conquista sindacale non solo per la Uil ma per tutte le organizzazioni sindacali rappresentative - ha detto Sarno - Questa decisione del Dap rappresenta indubbiamente un passo importante e decisivo verso la trasparenza ed uno strumento atto ad alimentare la coscienza sociale sulle nostre condizioni di lavoro e sulle condizioni della detenzione”. “Un plauso convinto al capo del Dap che ha consentito tutto ciò - dichiara Sarno - Oggi non abbiamo potuto fotografare le celle perché l’autorizzazione è stata ritenuta generica ed il comandante di Avellino ci ha chiesto di soprassedere a fotografare ambienti detentivi. Pur non condividendo tale impostazione abbiamo voluto seguire le sue indicazioni anche se ciò ci ha privato della possibilità di documentare come, celle sovraffollate con letti a castello a tre piani non consentano al personale di effettuare quei controlli di sicurezza, come la battitura delle inferriate, che a volte sono determinanti per evitare evasioni eclatanti come è avvenuto recentemente a Busto Arsizio”. Il Segretario Generale della Uil Penitenziari ha voluto omettere qualsiasi giudizio su quanto fotografato. “Credo che di polemiche sugli ultimi accadimenti e sulle pulizie del carcere ce ne siano già state abbastanza. Mi limito a rimettere al giudizio di chi guarda le foto ogni commento sulla pulizia, sulla dignità e sulla salubrità dei posti di lavoro che abbiamo potuto documentare. Per il resto ognuno faccia il suo. Noi facciamo sindacato - sottolinea il leader della Uil Penitenziari - non i censori o i giudici, pertanto riguardo alle responsabilità ci rimettiamo alle valutazioni di chi ha competenza”. “Oggi ad Avellino - informa Sarno - erano presenti 592 detenuti (561 uomini e 31 donne e due bimbi). Settantasette i detenuti stranieri, 7 le donne non italiane. I detenuti con sentenza definitiva sono 388, 92 invece in attesa di primo giudizio, 74 gli appellanti e 38 i ricorrenti. I detenuti (tutti uomini) classificati ad Alta Sicurezza sono 139. Il contingente di polizia penitenziaria consta di 241 unità (di cui 25 distaccati da altre sedi) a fronte di un organico previsto in 323 unità. Di contro al Nucleo Operativo Provinciale Traduzioni e Piantonamenti (che svolge i servizi per Bellizzi, Ariano Irpino, Lauro e Sant’Angelo dei Lombardi) sono impiegate 65 unità (provenienti da vari istituti della provincia) a fronte di un organico necessario di 110 unità. Il bilancio delle attività del Nucleo Optp nell’anno 2012 si sostanzia in 2249 traduzioni effettuate, 5196 detenuti tradotti con l’impiego di 10.171 unità di polizia penitenziaria. I chilometri effettuati dai mezzi del Nucleo nell’anno 2012 ammontano a 803059 per un costo carburante pari a 176.262 euro”. Sappe: violata la privacy dei detenuti Tensioni ieri nel carcere di Bellizzi Irpino (Avellino) per la visita di una delegazione sindacale della Uil - Penitenziari autorizzata dal Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria (Dap) a scattare foto e girare video alle celle e alle sezioni detentive. Una visita sgradita per i detenuti sottoposti al 41 bis (carcere duro), che non volevano essere ritratti: i carcerati, secondo quanto reso noto dal Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) hanno manifestato il proprio dissenso dando vita alla battitura, cioè picchiando le sbarre con oggetti di metallo. L’ok dell’amministrazione penitenziaria a fare entrare macchine fotografiche e cineprese nella casa circondariale è stata definita come “una decisione importante verso la trasparenzs”, dai due componenti la delegazione, Eugenio Sarno e Massimo Spiezia, rispettivamente segretario generale e componente della Direzione Nazionale della Uil Penitenziari. “Oggi non abbiamo potuto fotografare le celle perché l’autorizzazione è stata ritenuta generica e il comandante di Avellino ci ha chiesto di soprassedere a fotografare ambienti detentivi”, ha detto Sarno. “Pur non condividendo tale impostazione abbiamo voluto seguire le sue indicazioni anche se ciò ci ha privato della possibilità di documentare come celle sovraffollate con letti a castello a tre piani non consentano al personale di effettuare quei controlli di sicurezza, come la battitura delle inferriate, che a volte sono determinanti per evitare evasioni eclatanti come è avvenuto recentemente a Busto Arsizio”, ha concluso il segretario generale della Uil Penitenziari. Il parere della Uil non è condiviso, invece, da Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), che ha stigmatizzato la decisione dell’Amministrazione di concedere il nullaosta e chiesto le dimissioni di chi l’ha adottata: “il carcere deve essere una casa di vetro, ma se non si rispetta il diritto alla privacy delle persone detenute è ovvio che queste si lamentano determinando tensione che solamente i poliziotti penitenziari devono poi fronteggiare”. Novara: arriva la “Cella in piazza”.. per dire no al sovraffollamento nelle carceri di Nicoletta Bertoni www.novara.com, 13 gennaio 2013 Cardinali (Camera Penale): “Speriamo che Novara possa rispondere positivamente a questa iniziativa e capire che il carcere fa parte della società e come tale deve garantire delle condizioni di vita umane”. Pochi metri quadri in cui si passano fino a ventidue ore al giorno, un letto, un tavolo, qualche scaffale, il tutto da dividere con altre tre-cinque persone, tanto che lo spazio per muoversi è quasi inesistente. È questa la realtà in cui vivono centinaia di migliaia di detenuti delle carcere italiane costretti a dividere una cella di circa otto metri quadri con altri compagni di “sventura”. Ed è per focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica, ma anche e soprattutto per far toccare con mano quanto sia angusto e soffocante lo spazio a disposizione dei carcerati per la stragrande maggioranza della loro permanenza in carcere che gli avvocati della Camera penale di Novara, in collaborazione col Comune e l’associazione “La Fraternità” di Verona hanno allestito in piazza delle Erbe a Novara una vera e propria riproduzione fedele di una cella. Fino a domenica 13 gennaio 2013 i cittadini novaresi potranno entrare all’interno e vedere vivere con gli occhi di un detenuto. “Con “Celle in piazza” speriamo di poter sensibilizzare l’opinione pubblica su una situazione delle carceri italiane che, come ha sottolineato il Presidente Napolitano, non è più sostenibile e per la quale siamo già stati condannati dalla Corte di Giustizia europea a risarcire i detenuti per le condizioni intollerabili in cui vivono. È un azzerare i diritti fondamentali che tutti, anche i detenuti pur essendo tali, devono continuare a conservare. Speriamo che Novara possa rispondere positivamente a questa iniziativa e capire che il carcere fa parte della società e come tale deve garantire delle condizioni di vita umane, come peraltro sancito dalla nostra Costituzione” ha dichiarato Fabrizio Cardinali, presidente della Camera penale di Novara. Cella in Piazza delle Erbe sino a domenica alle 14 (www.oknovara.it) Sarà visitabile sino alle 14 di domenica 13 gennaio la cella di un carcere realizzata in piazza delle Erbe grazie a un’iniziativa degli avvocati della Camera Penale di Novara, dell’associazione La Fraternità di Verona e dell’Amministrazione comunale di Palazzo Cabrino. Si tratta di una cella sotto ogni profilo: con le dimensioni naturali di una normale cella, con la porta e le finestre inferriate, i letti a castello e arredi tipici di un carcere. Da venerdì è ospitata nella centralissima piazza novarese e sta riscuotendo un importante successo. Molti, infatti, i novaresi che hanno voluto capire più da vicino cosa significhi vivere in 6 o 7 in una cella di pochi metri quadrati, entrando direttamente nello stanzino. Una manifestazione, come hanno spiegato sabato pomeriggio, in un’apposita conferenza stampa, gli avvocati e l’assessore comunale Paola Turchelli, per evidenziare le condizioni di grande sofferenza in cui vivono, quotidianamente, i 70mila detenuti italiani, il 40% dei quali è ancora in attesa di giudizio. Sopra alla cella anche un grande schermo con un video dell’Osservatorio italiano carcere, che evidenzia numeri e situazioni, molto gravi, delle carceri in Italia. Domenica mattina la proiezione del filmato prenderà il via alle 11. Il Comune ha concesso il patrocinio e fornito il personale per il montaggio della cella, ottenuta dalla cooperativa La fraternità. “A Novara - ha evidenziato Fabrizio Cardinali, presidente della Camera Penale - sono 70 i posti disponibili nel carcere, ma all’interno ci sono 138 detenuti. E la situazione di sovraffollamento non è migliore nel resto d’Italia. È sufficiente considerare che, in tutte le strutture carcerarie del Paese, si possono disporre globalmente di 45mila posti: ma i detenuti qui compresi sono 75mila. Una situazione intollerabile e che genera ulteriori problemi. Occorrono diversi interventi, da più investimenti per la rieducazione e le pene alternative a una diminuzione del ricorso alla custodia cautelare; perché la maggior parte dei detenuti è in attesa di giudizio. È un provvedimento che occorre regolamentare o non si rispettano i diritti. Servirebbe, alla situazione attuale, il ricorso all’indulto e poi una riforma organica della giustizia”. Presenti sia venerdì pomeriggio sia sabato anche altri rappresentanti di associazioni vicine alla tematica, come Daniela Sironi, responsabile della Comunità di S. Egidio. Tra gli altri legali presenti, Renzo Inghilleri, Stefano Allegra, Claudio Bossi, Antonella Lobino. Lucca: Stefano Gori, atleta paralimpico, incontra i detenuti della Casa Circondariale diu Massimiliano Andreoni Ristretti Orizzonti, 13 gennaio 2013 Si è tenuto ieri mattina, Sabato 12 gennaio, l’atteso incontro tra Stefano Gori, l’atleta paralimpico e la popolazione detenuta all’interno della Casa Circondariale di Lucca in collaborazione con il territorio segnaliamo che Sabato 12 gennaio si svolgerà, a partire dalle ore 10. L’incontro, che ha visto la partecipazione di una nutrita rappresentanza di detenuti, oltre al direttore, Francesco Ruello, al comandante, Rosa Ciraci, e al personale della polizia penitenziaria e dell’area educativa, è stato molto sentito da tutti i partecipanti. Stefano ha voluto sottolineare l’importanza della voglia di riscatto, paragonando la sua vicenda umana e sportiva, con la perdita completa della vista e la conseguente rinuncia ad una promettente carriera sportiva, a quella delle persone che lo stavano ascoltando. “Anch’io, come voi, anche se per ragioni e attraverso strade differenti, ho toccato il fondo, ho vissuto momenti, anni di angoscia e di sofferenza, ma sono stato in grado, ed è questa una possibilità che è concessa ad ognuno di noi, di riscattarmi da questo destino che appariva contro di me, trovando un nuovo senso alla mia esperienza di uomo e di atleta!”. Interessante anche il passaggio del racconto dell’atleta sull’importanza delle regole e del loro rispetto. “Il fatto che io mi trovi in una situazione di svantaggio non deve farmi credere che allora si possa chiudere un occhio su un’eventuale infrazione di corsia sui 100 metri piani o su un nullo nel salto in lungo, non sarebbe giusto” così come, quando qualcuno glielo ha chiesto, ha anche raccontato della presenza del doping anche in ambito paralimpico. “Quindi”, ha concluso Stefano, “ricordatevi che tutti abbiamo il dovere di rispettare le regole dello sport piuttosto che del vivere civile”. Parole queste che hanno realmente entusiasmato i presenti che non hanno mancato di manifestare con applausi, congratulazioni e strette di mano, la loro vicinanza alla storia di Stefano. L’incontro si è poi concluso con la visione di un breve documentario ricco di spezzoni di gare e di interviste dell’atleta, che al termine dell’incontro ha voluto far dono del suo ultimo libro, in attesa che esca a breve la sua nuova “fatica” editoriale. Il direttore del carcere dal canto suo ha salutato Stefano dicendogli che da stamani si può considerare tra “gli amici del carcere di Lucca” e che sarà lieto di averlo come ospite anche in previsione di futuri incontri e manifestazioni. Roma: Ispettore Polizia Penitenziaria accusato di corruzione, avrebbe agevolato detenuto di Michela Allegri Il Messaggero, 13 gennaio 2013 Si aggrava la posizione dell’ispettore di Polizia Penitenziaria Fabio Tomei, già rinviato a giudizio nel maggio del 2011 con l’accusa di istigazione alla corruzione per aver favorito un detenuto in cambio di una gentilezza chiesta a mezza voce. Il tribunale di Roma, accogliendo la richiesta del pubblico ministero Mario Palazzi: ha infatti deciso di contestare al pubblico ufficiale un reato più grave, la “corruzione consumata”. Secondo l’accusa, infatti, le agevolazioni ci sarebbero state: non si sarebbe trattato di promesse campate per aria. E il giudice ha deciso di rispedire l’intero fascicolo in procura e ripartire da zero. Si torna all’agosto del 2010, e a quel piccolo favore che l’ispettore, in servizio a Regina Coeli, avrebbe chiesto a un detenuto in cambio di un trattamento di riguardo tra le mura del carcere. Tomei avrebbe pregato Gianluca Piarulli, che scontava la sua pena nella terza sezione della casa circondariale, di aiutarlo a trovare un lavoro per suo fratello che all’epoca era disoccupato. I familiari di Piarulli erano infatti titolari di un’impresa edile, e per comprare la simpatia del detenuto e farsi aiutare, l’ispettore avrebbe messo sul piatto un paio di piccole gentilezze. Come quella di trasferire Piarulli, il 27 agosto, dalla terza alla seconda sezione del carcere, meno affollata e con celle decisamente più spaziose e confortevoli, con tre posti letto invece dei sei a cui il detenuto era abituato. Gli avrebbe anche trovato un lavoretto come idraulico, in attesa di uscire di prigione. Ad inchiodare Tomei, secondo l’accusa, ci sarebbe una telefonata effettuata da Piarulli, datata 28 agosto 2010: era il giorno dopo il trasferimento e il detenuto, felicissimo per lo spostamento di cella, aveva raccontato tutto alla moglie. A quanto sembra, però, il fratello di Tomei non si sarebbe mai presentato al colloquio per ottenere il posto all’impresa edile. E il trasferimento di Piarul - li sarebbe durato davvero poco: revocato dopo qualche mese. “Eravamo convinti dell’innocenza del nostro assistito rispetto alla contestazione a lui mossa - hanno dichiarato gli avvocati Domenico Naccari e Ettore Iacobone, difensori dell’ispettore - E ora i giudici ci dicono che in effetti la contestazione non è risultata ben formulata dalla procura, rimandando indietro il fascicolo. Affronteremo fiduciosi il nuovo processo”. Milano: assolto Ispettore Polizia accusato di violenza sessuale, trascorse 18 mesi in carcere Ansa, 13 gennaio 2013 L’ispettore della Polizia di Stato Mauro Tavelli, 49 anni, è stato assolto oggi con formula piena da tutte le imputazioni al processo d’appello bis celebrato a Milano, dopo l’annullamento della condanna a 5 anni e sette mesi stabilita lo scorso maggio dalla Cassazione. “L’ispettore - spiega l’avvocato Fabrizio Consoloni del Foro di Lecco, affiancato dalla collega Nicoletta Manca - fu rinchiuso in carcere, a San Vittore, per 18 mesi, e poi trascorse dodici mesi agli arresti domiciliari nella sua abitazione di Chiuro, in Valtellina”. Oggi i giudici, nel processo bis d’Appello dopo l’annullamento con rinvio disposto dalla Suprema Corte, lo hanno assolto dalle imputazioni di violenza sessuale, concussione sessuale, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, oltre al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di trans. L’inchiesta della Procura di Milano partì dalle dichiarazioni rese da trans ospiti del Cie di via Corelli a Milano. L’ispettore fu arrestato nell’aprile 2009 dagli ex colleghi della questura di Sondrio. “Ora chiederemo i danni allo Stato per ingiusta detenzione. Ci sono voluti 4 anni per restituire all’onorabilità una persona e un poliziotto che aveva alle spalle 25 anni di onorato e impeccabile servizio”, chiosa l’avvocato Consoloni. Immigrazione: visite a Cie Bologna di Garante dei detenuti, politici e amministratori locali Redattore Sociale, 13 gennaio 2013 Desi Bruno: “Situazione degradante, ravvisati tre casi di scabbia. Perché l’Ausl non è ancora venuta?”. Intanto Sel attacca: “Questa forma di carcerazione deve cessare”. Donata Lenzi (Pd) va alla Dozza: “Lì le cose stanno migliorando lentamente”. “La situazione a Cie è vistosamente degradante e abbiamo riscontrato almeno tre casi di scabbia. Non è più rinviabile una visita ispettiva dell’Azienda Usl”. Questa volta è la garante regionale per i detenuti, Desi Bruno, a rincarare la dose sulle polemiche riguardanti la gestione del Centro di identificazione ed espulsione per i migranti di via Mattei a Bologna. Dopo le dichiarazioni di ieri dell’assessore comunale al Welfare, Amelia Frascaroli, e delle deputate del Pd, Sandra Zampa, Donata Lenzi e Rita Ghedini, Desi Bruno ha visitato questa mattina il Centro ed ha trovato una situazione dove “è a rischio la salute pubblica”. Secondo la garante all’interno della struttura “appaiono necessari vari interventi strutturali di natura idraulica, muraria, elettrica e igienico - sanitaria”. Inoltre, “è inaccettabile l’insufficienza di beni di prima necessità”. Quella di oggi era la prima visita della garante dopo l’avvio della nuova gestione del Centro, dove attualmente sono trattenute 51 persone, 21 donne e 30 uomini. Già dopo le visite precedenti di settembre e novembre 2012, Desi Bruno si era rivolta “alle autorità sanitarie, alla Prefettura, al sindaco di Bologna e all’assessorato della Regione, chiedendo un’ispezione finalizzata a verificare le condizioni di vivibilità”, racconta. In passato, “l’Azienda Usl non ha mai effettuato visite ispettive perché il luogo veniva considerato alla stregua di una zona militare, dunque sottratto ai poteri di controllo del servizio pubblico”. Ma, prosegue, “il 21 novembre scorso, la Prefettura di Bologna ha scritto al Direttore del Dipartimento di Sanità pubblica dell’Azienda Usl di Bologna, ravvisando l’utilità della visita anche ai fini delle verifiche di competenza della Prefettura”. Eppure “sono passati 50 giorni e la visita non è ancora stata effettuata”. Inoltre, gli stessi ‘trattenuti’ oggi hanno consegnato alla garante una lettera indirizzata alla Guardia di Finanza, dove sono elencate le “condizioni disumane” a cui sono sottoposti: “Non abbiamo i nostri minimi diritti di base, per esempio, dentifricio, spazzolino, un cambio di indumenti puliti, un pasto decente, materassi igienici, un cambio di lenzuola, riscaldamento nelle camere e finestre rotte. Mancano medicinali importanti per la nostra salute e non ci sentiamo seguiti bene dal personale medico”. Anche Cathy La Torre, consigliere comunale di Sel a Bologna, attacca: “Questa forma di carcerazione parallela, a mio avviso illegittima e intollerabile per un paese civile, gestita da privati, dove la pena viene scontata in assenza di reato e condanna, deve cessare di esistere”. Dello stesso parere la deputata del Pd Donata Lenzi, che oggi ha invece visitato il carcere bolognese della Dozza. “Lì la situazione è paradossalmente migliore: i detenuti sono diminuiti (da un massimo di 1.200 a circa 800), soprattutto per quanto riguarda quelli di passaggio”, spiega la deputata oggi accompagnata da Sergio Lo Giudice, capogruppo del Pd in Consiglio comunale nel capoluogo emiliano e candidato alle prossime elezioni, ha tuttavia constatato che le condizioni della struttura restano “problematiche, la situazione dell’edificio è nota e i lavori da fare sono molti”. Lenzi fa visita alla Dozza più o meno ogni sei mesi e assicura che continuerà a vigilare sulla situazione. “Il fatto che ci siano meno detenuti di passaggio e più definitivi ci porta a pensare che sia ancor più necessario investire sull’educazione e sulle attività lavorative”. Come? “Assumendo educatori che insegnino didattica e lingua - prosegue Lenzi - e creando sinergie con le aziende del territorio, affinché i detenuti possano svolgere attività lavorative”. Questi sono i due punti su cui la deputata vuole concentrarsi. “Resta che al ministro della Giustizia, Paola Severino, va un plauso perché è riuscita a tagliare meno del previsto i fondi da destinare alle carceri e i risultati si notano”. Il problema maggiore ora è “ritarare l’offerta in base alla situazione in cui ci si trova, con un aumento dei detenuti negli ultimi anni”. L’assessore Frascaroli visita il Cie: “Qui è peggio di un carcere” (La Repubblica) “Il Cie sembra un manicomio giudiziario, un lager. Al confronto, il carcere è un paradiso”. Qualche ora dopo la visita in via Mattei l’ assessore Amelia Frascaroli è ancora turbata da ciò che ha visto. “Oggi più che mai - spiega - il peggioramento della vita è evidente. Tutte le persone che incontri soffrono di un disagio grave, maturato in un ambiente di totale assenza di diritti”. Con lei, ieri mattina, le parlamentari del Pd Sandra Zampa, Donata Lenzi, Rita Ghedini e il garante comunale per i detenuti Elisabetta Laganà. Nella ex caserma “Chiarini” di via Mattei, l’anno passato sono stati rinchiusi circa 600 migranti. E il racconto dell’assessore al Welfare conferma il senso delle denunce presentate contro la struttura da avvocati ed ex ospiti. “Le finestre degli alloggi sono tutte rotte, le persone dormono su letti di cemento - spiega Frascaroli - e nonostante il lavoro degli operatori, regna un’atmosfera di squallore. Il Comune purtroppo è impotente, ma stiamo cercando di attivare un “osservatorio interno dei diritti”, con personale volontario, per dare un segno d’umanità a questa gente”. Oggi la struttura di via Mattei ospita 51 migranti e a dieci giorni dal tormentato cambio di gestione, che ha visto il consorzio Oasi sostituire la Misericordia, la situazione di chi è costretto a passare anche fino a 18 mesi nell’ex Cpt è ancora più drammatica. “È stato superato il limite della vergogna - rincara Sandra Zampa - la struttura va risanata e per questo abbiamo chiesto un incontro urgente con il prefetto e il questore. Il ministro Cancellieri aveva preso precisi impegni con noi, ma stiamo ancora aspettando il rapporto sui Cie. Lì dentro vivono ammalati che sembrano sedati e ho incontrato una donna con l’Hiv, madre di tre bambini, trattenuta da nove mesi”. La necessità di un’ispezione sanitaria al Cie è stata più volte sollevata da Desi Bruno, garante regionale per le persone private della libertà, che stamattina entrerà nuovamente in via Mattei. L’Ausl di fronte agli appelli della garante ha risposto che non era compito suo occuparsene. Un mese fa, però, sulla questione ha preso posizione la prefettura, invitando l’Ausl a intervenire. Si muove anche Sel. “I tempi sono maturi per chiudere i Cie e per il superamento della legge Bossi-Fini - dice la consigliera comunale Chaty La Torre. La proposta dell’osservatorio permanente è fondamentale”. Stati Uniti: Amnesty chiede ad Obama di rimediare ai fallimenti sui diritti umani La Perfetta Letizia, 13 gennaio 2013 Alla vigilia dell'undicesimo anniversario del primo trasferimento di un detenuto nella base navale di Guantánamo Bay e dell'inaugurazione del suo secondo mandato presidenziale, Amnesty International ha chiesto al presidente degli Stati Uniti Barack Obama di riprendere in considerazione la promessa, fatta nel 2009, di chiudere il centro di detenzione e, questa volta, di impegnarsi a rilasciare i detenuti o a sottoporli a processi equi. Oggi a Guantánamo vi sono ancora 166 detenuti. Dal 2002, il centro di detenzione ne ha ospitati 779, la maggior parte dei quali vi ha trascorso diversi anni senza accusa né processo. Sette detenuti sono stati condannati dalle commissioni militari, cinque dei quali a seguito di accordi precedenti il processo sulla base dei quali hanno ammesso la colpevolezza in cambio della possibilità di essere rilasciati. Sei detenuti sono attualmente sotto processo e rischiano di essere condannati a morte dalle commissioni militari, organismi le cui procedure non sono in linea con gli standard internazionali sui processi equi. I sei imputati sono stati sottoposti a sparizione forzata prima del trasferimento a Guantánamo. Due di loro hanno subito la tortura del "waterboarding" (semi-annegamento). "La pretesa degli Usa di essere paladini dei diritti umani non è compatibile con l'apertura di Guantánamo, le commissioni militari, l'assenza di assunzione di responsabilità e la mancanza di rimedi per le violazioni dei diritti umani commesse da funzionari statunitensi, tra cui la tortura e le sparizioni forzate, che costituiscono crimini di diritto internazionale" - ha dichiarato Rob Freer, ricercatore di Amnesty International sugli Usa. Dopo il suo primo insediamento, nel gennaio 2009, il presidente Obama aveva promesso di risolvere la questione dei detenuti di Guantánamo e di chiudere il centro di detenzione entro un anno. Aveva anche ordinato la fine dell'uso delle tecniche "rinforzate" d'interrogatorio da parte della Cia e la chiusura dei cosiddetti "siti neri", centri segreti di detenzione diretti dall'intelligence statunitense. Tuttavia, il presidente Obama ha adottato il paradigma, unilaterale e viziato, della "guerra globale" accettandone la conseguenza delle detenzioni a tempo indeterminato. Nel 2010, inoltre, l'amministrazione Usa ha annunciato che 48 detenuti di Guantánamo non avrebbero potuto essere né processati né rilasciati ma dovevano rimanere in detenzione militare senza limiti di tempo, senza accusa né processo. L'amministrazione Usa ha inoltre sospeso i rimpatri dei detenuti yemeniti, trattenendo a Guantánamo 30 di essi, a causa di preoccupazioni legate alle "condizioni di sicurezza" nel paese mediorientale. L'amministrazione Obama ha attribuito la mancata chiusura di Guantánamo al Congresso, che ha ripetutamente impedito il rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritti umani applicabili in questo contesto. Il 2 gennaio 2013 il presidente Obama ha nondimeno firmato l'Atto di autorizzazione alla difesa nazionale, pur criticandone alcuni aspetti che di nuovo pongono ostacoli alla soluzione del problema di Guantánamo. "Il diritto internazionale non autorizza le diverse branche del governo ad aggirare le previsioni del diritto internazionale attraverso questa sorta di gioco delle parti. Quando un paese viene meno ai suoi obblighi internazionali sui diritti umani non può giustificarsi aggrappandosi alle leggi o alle politiche nazionali" - ha commentato Freer. In ogni caso, senza un reale cambiamento delle politiche, l'adozione del modello della "guerra globale" da parte dell'amministrazione Obama significherebbe che, anche nel caso in cui Guantánamo venisse chiuso, le detenzioni illegali anziché cessare verrebbero semplicemente trasferite altrove. L'ampia condivisione del paradigma della "guerra globale" da parte dei tre settori del governo federale, la protezione concessa ai suoi funzionari tramite l'immunità e il continuo ricorso al segreto di stato, hanno facilitato la mancata assunzione di responsabilità e l'assenza di rimedi per le violazioni dei diritti umani commesse a Guantánamo, nei centri segreti di detenzione della Cia, nei programmi di rendition e in ulteriori contesti. "Ciò di cui c'è ora bisogno è il riconoscimento e l'applicazione, da parte delle autorità statunitensi, dei principi internazionali sui diritti umani. Ciò significa abbandonare le commissioni militari in favore di processi equi in tribunali ordinari e civili, rilasciare i detenuti che gli Usa non hanno intenzione di processare, accertare pienamente le responsabilità e fornire accesso a forme di rimedio giudiziario per tutte le violazioni dei diritti umani" - ha precisato Freer. Cinque uomini accusati di aver preso parte agli attacchi dell'11 settembre 2001 rischiano la pena di morte se giudicati colpevoli dalle commissioni militari. Stessa pena rischia un sesto detenuto di Guantánamo, imputato in un processo a parte. Dove questi imputati siano stati tenuti in custodia della Cia e quali trattamenti siano stati loro inflitti sono informazioni classificate al livello più alto di segretezza. Nel dicembre 2012, il giudice militare che presiede il processo per gli attacchi dell'11 settembre 2001 ha firmato un ordine di protezione per impedire la divulgazione di tali informazioni, adducendo motivi di sicurezza nazionale. Secondo Amnesty International, le informazioni riguardanti gravi violazioni dei diritti umani o del diritto internazionale umanitario non dovrebbero mai essere tenute segrete per motivi di sicurezza nazionale. I procedimenti nei confronti dei sei imputati proseguiranno nel corso del mese. Stati Uniti: Bradley Manning, storia di un soldato torturato e detenuto illegalmente di Stefano Bellotta www.mondoraro.org, 13 gennaio 2013 Il processo a Bradley Manning è stato rimandato 3 giugno 2013. Il rinvio, secondo il giudice, il colonnello Denise Lind, si è reso necessario, al fine di poter esaminare prove e documenti segreti presentati sia da parte dell’accusa che da parte di difesa. Manning è accusato della consegna di materiale segreto del Ministero della Difesa degli Usa al portale WikiLeaks e al suo fondatore Julian Assange. A maggio del 2010 l’hacker Adrian Lamo denuncia Bradley Manning alle autorità militari, affermando che Manning, gli confidò di aver passato a Julian Assange una serie di documenti confidenziali tra cui il video Collateral Murder, nel quale due Apache americani uccidendo 12 civili disarmati). Bradley viene arrestato e tenuto in custodia in Kuwait per due mesi. Il 29 luglio viene trasferito nella prigione militare di Quantico, in Virginia. L’avvocato e opinionista Glenn Greenwald, in un articolo del 15 dicembre, denuncia le condizioni inumane e di tortura alle quali è sottoposto il soldato Mannig, sottolineando che il soldato non è stato condannato per alcun reato. David House, informatico e ricercatore, che visita Bradley due volte al mese, riferisce che Manning viene tenuto in isolamento per 23 ore al giorno, dorme con le luci accese e viene controllato ogni cinque minuti. Inoltre è costretto a dormire indossando soltanto un paio di pantaloncini, esponendo la pelle a diretto contatto con una coperta molto simile a un tappeto. Durante la notte viene svegliato dalle guardie se non completamente visibile. L’unica forma di esercizio consentitagli consiste nel camminare in circolo in una stanza per un’ora al giorno, inoltre viene incatenato durante le rare occasioni in cui può ricevere visite. David House riferisce anche che le sue condizioni di salute psicofisica sono in peggioramento e che Bradley è catatonico. Il 19 gennaio 2011 Amnesty International scrive una lettera al segretario della difesa Robert Gates, esprimendo forte preoccupazione per le condizioni di detenzione di Manning, ritenute inutilmente severe e punitive a tal punto da apparire in violazione della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici. Nella lettera si ricordano inoltre le Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners delle Nazioni Unite, che garantiscono a tutti i prigionieri non sottoposti a processo il diritto di svolgere attività lavorative. Quella di Bradley Manning è una vicenda emblematica. Il ragazzo è detenuto illegalmente in quella che viene definita la più grande democrazia del Mondo. Internet, cerca di lottare, ma la verità è che Internet vive ancora di una sua “marginalità”. A me piace pensare che internet, possa essere un mezzo, ma non il solo mezzo, che permette alle persone di essere collegate fra loro, ed operando poi concretamente per rendere questo pianeta un luogo migliore e dove la giustizia sia realmente applicata e migliore. Manning è in carcere da quasi 3 anni senza che sia stato ancora processato. Un rapporto delle Nazioni Unite, scritto dopo un’indagine durata 14 mesi, ha dichiarato che la carcerazione del soldato a Quantico, è un atto di crudeltà. Quali sono state le reazioni della stampa statunitense sul caso Manning? Quasi il silenzio e intanto Manning rischia la pena di morte. Noi di MondoRaro, sebbene in gradissimo ritardo, “adottiamo” la storia di Manning e da oggi partiamo con la nostra persona campagna a favore del ragazzo, nella speranza che la sua sorte possa cambiare. A volte non rimane che la speranza. In tutta questa sporca storia, anche il Presidente Barack Obama, spesso citato come simbolo di una nuova politica trasparente, equa, che passa anche per i social media, e che vede la partecipazione del basso, anche lui ha “condannato” il soldato Manning. Obama su Manning ha dichiarato in un’affermazione di qualche tempo fa la colpevolezza del ragazzo, ben prima che il processo avesse inizio. Il fatto è che viviamo in un Mondo finto, dove nulla cambia mai. Nessun “popolo internettiano” ha riempito le piazze per difendere il soldato Manning. In internet tutto si svolge nello spazio di un click e poi? E poi si torna a scaricare un film illegalmente, difendendo il diritto di essere dei “pirati”. Ma difendere la vita e la dignità di Manning, è un’altra cosa… bisogna alzare il culo dalla sedia e togliere lo sguardo dal monitor, confrontarsi con il Mondo, quello reale. Mozambico: Progetto “Vita Dentro”, contro la malnutrizione della popolazione carceraria ProgettoMondo Mlal, 13 gennaio 2013 Polli, mais, manioca, ortaggi vari, una dieta variata ed equilibrata, una produzione sostenibile e il più possibile basata sull’auto-sostentamento. Queste sono le parole d’ordine con cui ProgettoMondo Mlal lavora allo sviluppo del progetto Vita Dentro. Parole che nel momento stesso in cui le abbiamo pronunciate la prima volta, hanno cessato di essere tali per diventare azioni vere e proprie. Come la campagna “Io non mangio da solo” ha più volte messo in evidenza, il progetto Vita Dentro ha portato avanti attività volte alla riduzione della malnutrizione della popolazione carceraria di Nampula e provincia. La produzione avicola della Sezione Femminile della Rex di Nampula ha per esempio portato alla produzione di 2.300 polli, dei quali circa 400 hanno costituito il pasto sulle tavole di 30 detenute. Una o due volte alla settimana, quindi, 10 polli fanno parte dell’alimentazione quotidiana, con risultati ottimi a livello di miglioramento della salute delle detenute. I medici, che una volta al mese vanno a visitarle, mi hanno riportato come negli ultimi 3 mesi lo stato sanitario della Rex sia decisamente migliorato. Per quel che riguarda la produzione agricola, il miglioramento della dieta dei detenuti della Penitenciaria Industrial di Nampula è legato a un nostro investimento nella produzione locale, sostenibile e variata. Le tre parole d’ordine del Progetto hanno cioè dato come risultato tangibile 2 pasti al giorno per circa 2.000 detenuti, alimenti diversificati in base alla stagione, e un cambiamento di punto di vista da parte delle istituzioni nei confronti della popolazione carceraria, di fatto oggi in grado di autoprodurre il proprio sostentamento. Risultati tangibili, quindi, che ogni giorno ci portano ad apprezzamenti da più parti: l’ente finanziatore in primis, i beneficiari, i direttori delle carceri con cui lavoriamo e la gente comune che ci chiede conto di quanto stiamo facendo. È per questo motivo che, anche voi nostri sostenitori in questi 4 mesi di campagna, potete stare certi del nostro impegno nel continuare le nostre attività, e con la stessa voglia e la stessa attenzione di sempre. Anzi, se possibile, sarà ancora maggiore, perché vogliamo sempre di più da noi stessi e per i nostri beneficiari: persone in carne ed ossa, a rischio malnutrizione come migliaia di loro simili. Con o senza “catene”, perché davanti alla fame dobbiamo essere tutti “liberi”. Unione Europea: contrabbandiere di… aglio cinese condannato a 10 anni di carcere in Gb Ansa, 13 gennaio 2013 Meno affascinante della Via della Seta, meno odorosa di quella dell’Ambra, la rotta dell’aglio di contrabbando va dalla Cina all’Europa e ogni tanto viene scoperta e interrotta dalle autorità. L’ultima operazione contro i trafficanti di aglio fresco è avvenuta in Svezia dove due cittadini britannici sono stati accusati di aver importato illegalmente aglio per un valore di 300 milioni di dollari dalla Cina attraverso la Norvegia. La rotta del sulfureo bulbo - tra i cui detrattori si annoverano persone di tutti i ceti sociali, fino ad ex presidenti del consiglio - parte dai vasti campi coltivati della Cina dove è prodotto intensivamente e a bassissimo costo e attraverso la Norvegia - che non è uno stato Ue e dunque non impone dazi su quel prodotto - passando per la vicina Svezia invade l’Europa. Il percorso, secondo quanto ricostruisce il britannico Independent, è fatto in nave fino alla Norvegia e poi con camion che dichiarano di trasportare altro - per lo più cipolle - dalla Svezia nel resto d’Europa. Poco elegante, ridicolo e maleodorante, il traffico di aglio è tuttavia estremamente lucroso se l’Ufficio europeo antifrode (Olaf), la Commissione europea e le polizie dei vari paesi sono impegnati da anni nello stroncarne il contrabbando. I trafficanti hanno tutto l’interesse a proseguire l’importazione illegale perché si inseriscono tra le maglie di legislazioni diverse e giocano sul fatto che la Norvegia non è un paese Ue e quindi non adotta lo stesso sistema impositivo sulle importazioni. Ecco quindi i grandi guadagni. Dal 2001 la Ue impone infatti il 9,6 per cento di dazio sul commercio di aglio dai paesi extracomunitari per evitare l’invasione di prodotti non certificati e a costi troppo bassi, e chiede un sovrappiù di 1200 euro la tonnellata. Ma anziché ridurre il problema la decisione sembra aver incrementato il commercio illegale e più volte le autorità dei vari paesi Ue hanno scoperto carichi di aglio giunti per nave a Oslo e passati inosservati alle frontiere con la Svezia con la quale la Norvegia ha in piedi un accordo Shenghen. Fonti dell’Olaf riferiscono che dal 2009 almeno 1.200 tonnellate di aglio siano state introdotte fraudolentemente in Europa dove le polizie di Gran Bretagna, Irlanda, Austria e Polonia hanno in periodi diversi arrestato numerosi trafficanti; solo lo scorso anno sono riusciti a introdurre aglio per un valore di 3 milioni di euro. Eppure le autorità hanno più volte mostrato la mano pesante: il mese scorso, ricorda l’Independent, un commerciante con sede a Londra è stato condannato a dieci anni di carcere per aver contrabbandato quintali di aglio cinese in Gran Bretagna eludendo il pagamento di due milioni di sterline di dazi. L’uomo aveva tentato di beffare i doganieri affermando di trasportare zenzero ma questi, più preparati di Alain Ducasse, hanno sentenziato che il container frigo era troppo freddo per ospitare zenzero, mentre era a temperatura perfetta per l’aglio. Che infatti è stato scoperto. In marzo in Irlanda il capo della principale azienda di importazione di ortaggi e frutta è stato condannato a sei anni di carcere per aver introdotto tonnellate di aglio cinese, sotto le mentite spoglie di mele. Si profilano quindi tempi duri per gli amanti di questa bulbosa dalla imbarazzante fama ma dalle proprietà curative eccezionali anche se il consumatore, pur occhiuto, difficilmente potrà riconoscere un aglio nostrano tra i milioni di made in China.