Giustizia: Tamburino (Dap); situazione insostenibile, ci vuole una “valvola di sicurezza” di Claudio Perlini www.ilsussidiario.net, 9 febbraio 2013 “Quella del 6 febbraio è una data che non sarà facilmente dimenticata, per il carcere di San Vittore e per tutto il sistema penitenziario italiano”. Insieme a Giovanni Tamburino, responsabile del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), commentiamo le recenti dichiarazioni rilasciate dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano durante la sua visita presso il carcere di San Vittore a Milano, la prima di un Capo dello Stato in una struttura penitenziaria italiana. Sono giudizi duri e taglienti quelli espressi da Napolitano, il quale non nega la grave “situazione d’emergenza” e la fondatezza della “mortificante” sentenza della Corte europea che ha condannato l’Italia per il degrado delle carceri. “Le dichiarazioni di mercoledì - continua Tamburino - sono perfettamente in linea con quelle che il presidente della Repubblica ha già reso più volte durante il settennato, legate in particolare all’importanza che ha un carcere civile e a “misura d’uomo” per la dignità di un Paese. Lo stesso Napolitano ha infatti posto l’accento più volte proprio su questo termine, “dignità”, una parola forte e importante attraverso cui ha poi voluto ricordare la condanna dell’Italia da parte della Corte europea a causa della violazione dell’articolo 3 della Convenzione”. Come giudica l’attuale sistema penitenziario italiano? Ci troviamo di fronte a una situazione triste e drammatica, in cui un Paese di altissime tradizioni e civiltà come l’Italia, che nei secoli è stato anche all’avanguardia nella risoluzione della questione criminale, oggi si trova addirittura condannato per violazione di una norma tra quelle più fondamentali e più gravi della Convenzione europea. Cosa comporta la violazione dell’articolo 3? L’articolo in questione, oltre a essere ritenuto violato dalla Corte europea per il trattamento inumano o degradante dei detenuti, è anche lo stesso che prevede la tortura. Questo dovrebbe dunque far capire la gravità della situazione in cui oggi si trova il sistema carcerario italiano. Il presidente Napolitano ha citato anche l’articolo 27 sulla funzione rieducativa della pena e sul senso di umanità... Anche l’articolo 27 è in linea con l’articolo 3 che citavamo in precedenza. Anzi, la Costituzione italiana, entrata in vigore il primo gennaio del 1948, precede addirittura la Convenzione europea che invece è del 1950. Quindi? Quindi l’Italia ha di fatto preceduto la Convenzione europea, aprendo una strada che successivamente è stata accolta e seguita da tutto il resto d’Europa. Verso la fine degli anni Quaranta il nostro era un Paese ancora all’avanguardia sotto questo profilo, quanto meno sul piano delle indicazioni di carattere normativo, capace di scrivere un articolo che non solo vieta tutti quei trattamenti che vanno contro il senso di umanità, ma che impegna anche lo Stato in tutte le sue articolazioni a operare per la rieducazione del condannato, andando quindi persino oltre gli stretti limiti della Convenzione europea. Vorrei poi sottolineare che la rieducazione si attua soprattutto attraverso il lavoro, aspetto a mio giudizio fondamentale che non deve essere mai dimenticato. Il Capo dello Stato si è detto favorevole anche all’amnistia. Cosa ne pensa? Quello riguardante l’amnistia è un dibattito strettamente politico che non attiene alla mia competenza, quindi preferirei non esprimere un particolare giudizio in merito. Posso solo dire che anche il Capo dello Stato, quando afferma che avrebbe firmato “non una ma dieci volte”, intende dire che se a riguardo ci fosse stata una proposta del Parlamento, certamente non si sarebbe opposto. Nonostante questo, il presidente della Repubblica ha comunque più volte ricordato che l’iniziativa non può che essere parlamentare, quindi deve necessariamente esserci un’ampia condivisione che rappresenti almeno i due terzi del Parlamento. Quali sono a suo giudizio le attuali maggiori criticità delle carceri italiane? Quella del sovraffollamento è certamente una delle maggiori difficoltà e rappresenta un ostacolo talmente grande che complica notevolmente gran parte delle iniziative positive che possono essere pensate. Un’altra criticità da sottolineare è senza dubbio quella del lavoro che, a differenza di altri Paesi, in Italia è assicurato a circa il 20% dei detenuti, con la conseguenza che l’80% di coloro che si trovano in carcere è in una condizione di apatia e disoccupazione, spesso involontaria. Vi sono poi gli aspetti dell’igiene e della salute che, pur essendo basilari, spesso non sono adeguati come dovrebbero. Cosa fare quindi? Sono dell’idea che nel sistema penitenziario italiano bisognerebbe introdurre quella che ho già avuto modo di definire “valvola di sicurezza”, da utilizzare nel momento in cui il sistema supera determinate soglie di difficoltà e crisi. Cosa intende? In altri sistemi, sia pure in casi estremi, si è fatto ricorso al differimento dell’esecuzione delle sentenze, una sorta di “lista di attesa”. Credo però che si tratti di un sistema molto più complicato che può dar luogo a delle forti disparità di trattamento, mentre vedrei bene un sistema penitenziario che, come dicevo, in qualche modo aprisse questa valvola di sicurezza e quindi aumentasse, ad esempio, la liberazione anticipata, seppur se per periodi determinati, in modo da abbreviare la durata della pena, ovviamente per chi lo merita. Possiamo immaginare altre soluzioni? Senza dubbio vi sono le misure alternative al carcere, di cui abbiamo visto qualche tempo fa una proposta governativa del ministro Severino poi approvata in larga maggioranza alla Camera ma non votata al Senato. Anche le misure alternative servono e possono rappresentare uno strumento efficace, in una logica che però non deve fermarsi alla mera deflazione carceraria ma che deve appunto immaginare sanzioni differenti dal carcere. Vorrei però sottolineare ancora una volta l’importanza del lavoro per i detenuti, che deve essere serio, effettivo, sociale e soprattutto produttivo, non solo di carattere assistenzialistico. Giustizia: Ass. Giovanni XXII; disposti ad accogliere i 55 bimbi reclusi con le loro mamme Ansa, 9 febbraio 2013 “C’è la vita da salvare di tante persone con storie precise e spesso vissuti drammatici. In particolare si pensi ai 55 bambini chiusi nelle carceri con le loro madri. Abbiamo parlato con le alte cariche del ministero della Giustizia dichiarando la nostra disponibilità piena ad accogliere tutte le mamme con i loro figli. Perché non si va avanti?”. Lo dice un comunicato dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, che è anche “un appello alle forze politiche che andranno a governare. La Comunità Papa Giovanni XXIII - sottolinea il comunicato - da anni sta portando avanti il progetto Cec (Comunità Educante con i Carcerati): oltre 300 detenuti ed ex detenuti svolgono percorsi educativi in cui la recidiva si abbassa dal 70% al 10%. Tale progetto potrebbe in poco tempo con il coinvolgimento della comunità esterna estendersi a 20 - 30.000 detenuti. Anche i costi si potrebbero abbassare. Tale proposta l’abbiamo portata anche in sede europea. Eppure assistiamo all’immobilità della politica Italiana incapace di dare risposte”. “Anche i 1.400 detenuti - viene aggiunto - con il fine pena mai del cosiddetto ergastolo ostativo aspettano risposte concrete, oggi. Con i tanti proclami fatti, abbiamo illuso detenuti, famigliari e il mondo dell’associazionismo. Il nostro fondatore don Oreste Benzi ci ha educato a non limitarci a dare risposte possibili, ma quelle che davvero rispondono al bisogno profondo dell’uomo. Certamente ad oggi l’amnistia che anche il presidente Napolitano auspica è necessaria, ma è una risposta che non risponde né al bene della società, né al bene delle persone ristrette. È necessario alzare lo sguardo. È finito il tempo dei proclami. Chiediamo che i politici del prossimo governo si mettano in dialogo con le forze vive della società e mettano fine alle tante ingiustizie fatte in nome della giustizia. È il tempo di passare davvero da una giustizia vendicativa ad una giustizia educativa”. Per l’Associazione “Comunità” Papa Giovanni XXIII Il Responsabile Generale, Giovanni Paolo Ramonda Giustizia: Bernardini (Ri); servitori Stato costretti complicità in violazioni diritti detenuti Adnkronos, 9 febbraio 2013 Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dopo aver visitato il carcere milanese di San Vittore, ha ribadito che le carceri italiane sono fuori della Costituzione, cioè contrarie alla nostra legge suprema. Non molto tempo fa l’attuale provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria in Piemonte, Enrico Sbriglia (all’epoca direttore del Carcere di Trieste e presidente del Si.di.pe), ebbe a dire “io voglio essere un servitore dello Stato, non un complice”. È quanto ricorda in una nota Rita Bernardini, deputata radicale, candidata della Lista Amnistia giustizia libertà. “Mi chiedo se il supremo garante della Costituzione abbia consapevolezza del fatto che servitori dello Stato (direttori, agenti, educatori, psicologi, sanitari ecc.) siano di fatto costretti a essere complici nella violazione di diritti umani fondamentali, - sottolinea Bernardini - considerato che da anni non vengono rimosse le cause di quei trattamenti inumani e degradanti (violazione dell’art. 3 della Convenzione) definite strutturali dalla recente sentenza pilota della Corte di Strasburgo”. Giustizia: Ilaria Cucchi (Rc); carceri discariche sociali per colpa di leggi criminali Dire, 9 febbraio 2013 “Io strumentalizzo il mio dolore, la mia vicenda drammatica per riportare in politica l’attenzione a temi spesso dimenticati. La politica ha fallito perchè troppo lontana dalle esigenze dei cittadini”. Da Bologna, Ilaria Cucchi torna a rispondere al berlusconiano Carlo Giovanardi, che l’ha accusata di costruire una battaglia politica sulla morte del fratello Stefano, ma abbassando i toni dopo lo scontro aspro dei giorni scorsi. Cucchi però, che questa mattina era alla conferenza stampa di Rivoluzione civile sotto le Due torri, tira dritto sui punti forti del suo impegno. “Le nostre carceri - attacca - sono discariche sociali stracolme di derelitti senza nessuna pericolosità sociale, buttati lì da leggi criminali”. E ancora: “Non è vero che la legge è uguale per tutti. La nostra giustizia è forte coi deboli e debole coi forti”. Con lei c’era un altro candidato della lista Ingroia, il giornalista Arcangelo Ferri, ex Rainews. “L’orrendo Porcellum mi ha paracadutato qui, ringrazio Bologna”, ha premesso. Ferri ha illustrato la proposta di Rivoluzione civile per entrare in possesso dei 180 miliardi di euro che corrispondono al fatturato annuo di mafie, evasione fiscale e corruzione secondo il calcolo della lista Ingroia. Il progetto prevede la creazione di un alto commissariato per l’acquisizione dei beni di provenienza criminale e costerebbe in tutto 149 milioni di euro. Insomma, “costerebbe allo Stato 10 milioni di euro in meno di un cacciabombardiere”. Queste cose, lamenta pero’ Ferri, “non ce le fanno raccontare”. Giustizia: Papa (Pdl); su amnistia Berlusconi non faccia cabaret e non speculi sui detenuti Adnkronos, 9 febbraio 2013 “Apprendo dai giornali che il presidente Berlusconi si sarebbe schierato a favore dell’amnistia. La cosa mi stupisce dal momento che a me il Cavaliere oppose ragioni di vario tipo contro l’amnistia, che a suo dire allontanava i consensi, al pari della candidatura degli impresentabili. È per questo che l’accordo con i Radicali non è andato in porto. Pur di prendere voti però Berlusconi specula sui sogni e sulle speranze di migliaia di poveri cristi che egli stesso ha contribuito a mandare in galera con la legge Fini-Giovanardi”. Lo afferma il deputato del Pdl Alfonso Papa. “Si dovrebbe avere più rispetto - aggiunge - perché il carcere, a differenza di Sanremo, non è tema con cui fare cabaret. E Berlusconi, che ripone grandi sforzi per evitare la galera, dovrebbe esserne ben consapevole”. Giustizia: Cesa (Udc); situazione carceri intollerabile, sia priorità di prossimo Parlamento Asca, 9 febbraio 2013 “La situazione del nostro sistema carcerario è intollerabile, una democrazia come la nostra non può accettarla. Mi auguro che le parole del presidente Napolitano scuotano la politica: il sovraffollamento, le condizioni fatiscenti delle strutture, la spaventosa carenza di personale, mezzi e risorse che si vede nelle carceri italiane impongono un intervento immediato e risoluto del prossimo Parlamento”. Così Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc, a margine di una visita alla casa circondariale di Latina. “Anche norme come l’amnistia - ha aggiunto Cesa - rischiano di essere vanificate senza una riforma strutturale del sistema, che affronti il tema delle pene alternative, della depenalizzazione dei reati minori, dell’edilizia carceraria, della riqualificazione delle strutture e dell’adeguamento degli organici di chi lavora con i detenuti. C’è un deficit democratico che va colmato”. Giustizia: Storace (La Destra); no all’amnistia, soluzione è mandare via detenuti stranieri Dire, 9 febbraio 2013 “La Destra quando sente parlare di amnistia ricorda che nel programma del centrodestra c’è scritto molto chiaramente che, visto che il 50% dei detenuti è straniero, questi devono scontare la pena nei loro Paesi attraverso accordi bilaterali con i Paesi d’origine. Non c’è bisogno dell’amnistia e manterremo fede al programma”. Così il candidato alla presidenza della Regione Lazio per il centrodestra e leader nazionale de La Destra, Francesco Storace, nel corso di un incontro elettorale dell’Anisap Lazio. Giustizia: Pirillo (Pd); intervenire con tempestività per evitare collasso carceri del sud Ansa, 9 febbraio 2013 “L’Italia deve intervenire con tempestività per evitare il collasso delle carceri, in particolare al Sud e in Calabria”. È quanto ha affermato l’eurodeputato del Pd Mario Pirillo, che chiede di trovare la giusta sintesi tra le esigenze della giustizia e il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti. “Il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha sollevato nuovamente il problema del sovraffollamento nelle carceri italiane. Ritengo che in un paese civile e democratico siano inaccettabili le condizioni che emergono dai nostri penitenziari”, ha sottolineato Pirillo. “Si tratta di una situazione vergognosa che, insieme ad altri colleghi tra cui il vicepresidente del Parlamento Ue Gianni Pittella, abbiamo già sottoposto con un’interrogazione alla Commissione europea”, ha aggiunto l’eurodeputato. Lettere: il coraggio e la potenza della verità di Sergio Cusani e Sergio Segio Il Giorno, 9 febbraio 2013 La visita del Presidente Giorgio Napolitano nel carcere milanese di San Vittore e le parole che ha pronunciato nell’occasione suggeriscono un’immagine di potenza e di impotenza al tempo stesso. Potente, e coraggiosa, è la considerazione che la drammaticità della condizione carceraria “mette in gioco il prestigio e l’onore dell’Italia”, poiché “la mancata attuazione delle regole penitenziarie europee conferma la perdurante incapacità del nostro Stato a realizzare un sistema rispettoso del dettato dell’artico 27 della Costituzione sulla funzione rieducativa della pena e sul senso di umanità”. Non è tanto la visita di un Capo dello Stato a San Vittore dunque a essere un fatto inedito e importante. Sono queste parole pronunciate dal massimo garante della Carta costituzionale, che denunciano l’illegalità della situazione in cui versano le carceri, a essere gravi e vere. Gravi perché vere. E la verità è e rimane un fatto potente; perché troppo spesso trascurata o addirittura ridicolizzata dalla politica; specialmente in momenti storici come l’attuale, nel quale spesso istituzioni e politica sembrano perdere progressivamente di autorevolezza e di credibilità agli occhi dei cittadini. Impotente è stata invece la sottolineatura di Napolitano allorché ha ricordato di aver “colto ogni occasione per denunciare l’insostenibilità della condizione delle carceri” e l’amara affermazione: “Avrei auspicato che quegli appelli fossero stati accolti in maniera maggiore”. Ci torna alla memoria una stessa immagine in un’occasione simile: quando il Papa Giovanni Paolo II si recò nel carcere romano di Regina Coeli, nella ricorrenza del Giubileo, un anno in cui, ancora e di nuovo, il Parlamento e i partiti politici non seppero e non vollero dare un risposta di clemenza e di umanità alle intollerabili condizioni di vita dei detenuti. Un’occasione storica perduta, come lo stesso pontefice non esitò a rimproverare alle Camere due anni dopo, il 14 novembre 2002. Immagini simili, parole simili, rimpianti analoghi cui il Parlamento di ieri e quello di oggi sembrano rimanere del tutto indifferenti e inerti. Ecco che allora rischia di cadere nel vuoto l’alto riferimento fatto da Napolitano a una figura come quella di Piero Calamandrei. Un Parlamento che in tempi relativamente recenti ha visto suoi membri sventolare cappi in aula e forze politiche che ormai da vent’anni sono prigioniere del meccanismo infernale da loro stesse creato di un uso enfatizzato e strumentale delle problematiche della sicurezza, che produce sempre più carcere e sempre maggiore irrigidimento del sistema penale e penitenziario, oltre che un incattivimento e una disinformazione della pubblica opinione, non sono forse davvero in grado di comprendere quel riferimento e quell’invito. Ma questo rende ancora più importanti le sofferte parole pronunciate dal Capo dello Stato e per le quali tutti lo dobbiamo ringraziare. Lettere: le nostre carceri sono indegne, serve una risposta di Marco Brembilla (Consigliere comunale Pd Bergamo) L’Eco di Bergamo, 9 febbraio 2013 Egregio direttore, dopo il Consiglio comunale straordinario di lunedì scorso e il monito del presidente Napolitano, ritengo opportuno esporre alcune riflessioni sui temi del sovraffolamento delle carceri e delle misure alternative alla detenzione. I numeri sono devastanti, direi disumanizzanti; recentemente la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia al pagamento di 100.000 euro per trattamento degradante verso sette detenuti delle nostre carceri: avevano a disposizione meno di tre metri quadrati a testa, un primato che l’Italia condivide con la Serbia. Abbiamo, nella media, 148 detenuti per 100 posti contro i 99 della media europea. Il problema del sovraffollamento (al 31 dicembre 66.685 detenuti per una capienza di 46.795), non si risolve solo con la costruzione di nuove carceri. Purtroppo non è diventata legge la proposta di detenzione domiciliare alternativa alla reclusione per i reati di non particolare allarme sociale; inoltre i dati ci dicono che troppi sono i detenuti in attesa di sentenza. Oltre al sovraffollamento c’è tutto il capitolo delle misure alternative al carcere scarsamente utilizzate in Italia rispetto alla media dei Paesi dell’Unione europea; eppure la recidiva per chi espia la pena in carcere è del 68%, che si riduce al 19% per chi usufruisce di misure alternative e addirittura arriva al’1% per coloro che sono inseriti nel circuito produttivo; quindi anche con costi enormi per la collettività. Ho letto dati indegni per un Paese civile in termini di sovraffollamento e commenti tipo “non è obbligatorio andare in carcere, si può starne fuori” oppure che le carceri non sono alberghi. Viene così liquidato un problema che invece tocca la dignità delle persone, alle quali va data comunque la possibilità di riscatto e nessuno di noi pensa ad alberghi ma certamente a luoghi vivibili. Sul tema sovraffollamento molti puntano il dito contro gli immigrati: la percentuale è alta, inutile nasconderlo. Poi bisognerebbe sviluppare tutti i ragionamenti che non si riescono mai a fare in modo compiuto sulla cooperazione e l’aiuto allo sviluppo, azioni che ridurrebbero le masse di disperati facili prede della delinquenza organizzata, sul crinale sottile tra legalità e illegalità quando non vi sono certezze ma vi sono bisogni, senza per questo scadere nel buonismo o nel lasciar correre, ci mancherebbe! Una delle proposte è la possibilità di far scontare la pena nei Paesi d’origine, ma è un metodo tutto da studiare in termini di collaborazione e ricadute sociali perché se la famiglia è in Italia si rischia di accentuare il danno e moltiplicare il disagio. Queste parole per dire quanto il problema sia complesso ma, proprio per questo richiede di non procrastinare oltre le possibili soluzioni, anche per il disagio del personale che deve gestire non un’emergenza, ma un’emergenza che si è fatta normalità. Come ha scritto in un recente articolo il magistrato Adriano Sansa: “La giustizia è accettabile se si muove nell’ambito delle leggi, in ogni sua fase. Il carcere, misura estrema, non può essere fuori dalla legge. Se lo è, fa perdere legittimità all’intero sistema penale, anzi allo statuto della cittadinanza e dei diritti”. Dobbiamo tener alta l’attenzione verso quell’edificio che non è altro rispetto alla società, ma è un luogo di grandi fragilità che, pur con tutte le difficoltà che è inutile sottacere, non può essere né dimenticato né lasciato “solo” a chi vi opera. Qualcosa è stato fatto con la recente legge 9/2012, soprattutto per i casi di detenuti per periodi brevissimi; con maggior collaborazione tra le forze politiche si poteva fare di più. Certamente dovrà essere uno dei compiti urgenti del nuovo governo. Qualcuno dirà che sono altre le priorità, io credo che i diritti delle persone siano sempre una priorità, anche se hanno compiuto errori, altrimenti è l’intero impianto della convivenza civile che salta; ovviamente il cammino deve essere reciproco, ma diventa difficile se le situazioni di detenzione diventano lesive dei diritti stessi. Taranto: Sappe; detenuto straniero di 29 anni tenta il suicidio, è in condizioni disperate Adnkronos, 9 febbraio 2013 È in condizioni gravissime il detenuto straniero, di 29 anni, proveniente dai paesi dell’Est, che questa mattina ha tentato il suicidio nel bagno di una cella del carcere di Taranto. Lo riferisce all’Adnkronos Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) che si trova sul posto. L’uomo, giudicabile per reati contro il patrimonio, è stato trasportato poco fa all’ospedale civile Santissima Annunziata. Secondo le prime informazioni potrebbe aver utilizzato una corda rudimentale ricavata da un lenzuolo, legandola alla finestra del bagno e annodandosela al collo. Per mettere in atto l’insano gesto ha atteso che tutti i compagni di cella uscissero per recarsi al passeggio. Inoltre ha bloccato la porta di ingresso al bagno interno alla cella per impedire che qualcuno intervenisse per salvarlo. “Nonostante ciò - sottolinea Pilagatti - l’agente di servizio nella sezione, durante il giro di controllo, si è insospettito per il silenzio del detenuto e quindi è entrato nella stanza dando contemporaneamente l’allarme ai colleghi”. Quindi con una spallata ha aperto la porta del bagno prestando soccorso al detenuto al quale, unitamente ai sanitari, ha fornito le prime cure. Subito dopo il detenuto è stato portato dal 118 in ambulanza in ospedale. Le sue condizioni sarebbero disperate. “Il Sappe - evidenzia Pialagatti - deve prendere atto della grave situazione in cui versa il carcere d Taranto dovuta al sovraffollamento di detenuti a cui si contrappone una grave carenza di personale. Mentre la situazione precipita, il vice capo della Direzione dell’amministrazione penitenziaria (Dap ndr) continua a giocare con la vigilanza dinamica che nei fatti ha l’effetto di sguarnire le sezioni detentive. Negli ultimi tempi - conclude Pilagatti - decine, se non centinaia, sono stati gli interventi dei poliziotti penitenziari che hanno evitato suicidi. Con la vigilanza dinamica sarebbero tutti morti”. Verona: sovraffollamento in carcere, il Tribunale apre un’inchiesta di Fabiana Marcolini L’Arena di Verona, 9 febbraio 2013 Si dovrà accertare se vengono rispettati i sette metri quadrati di spazio minimo per persona. Dopo i reclami di sei detenuti i magistrati di sorveglianza stanno valutando se le condizioni di vita non violino i diritti dell’uomo. Detenuti, sovraffollamento, carenze strutturali e condizioni di vita che superano il limite di accettabilità: chi dovrà decidere sull’esistenza del diritto al risarcimento e quantificare i danni sarà il giudice civile. Il magistrato di Sorveglianza deve invece verificare che siano rispettati i criteri stabiliti dalla Commissione europea dei diritti dell’uomo, dalle norme nazionali e internazionali che disciplinano il trattamento penitenziario. E può emettere disposizioni per adeguare la condizione del detenuto alle norme, che cioè non sia degradante, e conseguenti provvedimenti. Ma sul danno decide un altro giudice. Sei i reclami presentati da altrettante persone che stanno scontando la pena nel carcere di Montorio al magistrato di sorveglianza di Verona: per uno di loro è stato dichiarato il non luogo a deliberare per entrambe le questioni poste, ovvero la richiesta di condannare l’amministrazione penitenziaria a risarcirlo per le condizioni patite (e questo perché dovrà farlo il giudice civile) e l’accertamento della lesione dei diritti perché il detenuto, tra la presentazione del reclamo e la decisione, è stato scarcerato. Per gli altri reclami, invece, il tribunale di Sorveglianza sta valutando se le condizioni di vita all’interno delle celle violino il principio fissato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Ovvero se sia rispettata, prima tra tutti, la superficie “cristallizzata” dalla Corte Europea nella sentenza con la quale ha riconosciuto a Izet Sulejmanovic il diritto ad essere risarcito dallo Stato perché detenuto alcuni mesi in un carcere sovraffollato. Le condizioni minime, ovvero i 7 metri quadrati che sono lo spazio minimo per detenuto, non erano state garantite, e ciò - per la Corte - rappresentò una situazione lesiva della dignità e del decoro di un essere umano. I reclami si fondano su alcune sentenze della Suprema Corte che individuano nel magistrato di Sorveglianza l’organo in grado di assicurare che l’esecuzione della pena sia attuata in conformità di quanto prevede la legge e l’ordinamento penitenziario. “Può ritenersi pacifica la competenza di questo giudice a conoscere i reclami presentati dai detenuti in relazione alla violazione dei diritti”, si legge nell’ordinanza, “e rivolti all’emissione di disposizioni nei riguardi dell’amministrazione penitenziaria al fine di adeguare la condizione detentiva alle norme che disciplinano la tutela dei diritti. Non sussiste la competenza in ordine alla domanda di condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni derivanti dalla lesione (per detenzione inumana e degradante o violazione delle norme sul trattamento penitenziario)”. In pratica il magistrato di sorveglianza ha funzione di “garante dei diritti soggettivi ma solo nell’ottica di assicurare un intervento rapido, diretto ad eliminare o correggere i comportamenti dell’amministrazione penitenziaria causa della lesione”. Si tratta, però, di un intervento per il futuro (per far cessare le condotte) e non per il passato (cioè per il riconoscimento del danno). E sono state disposte le verifiche. Livorno: la morte in carcere di Yuri Attinà resta senza colpevole di Federico Lazzotti Il Tirreno, 9 febbraio 2013 Assolto l’agente di polizia penitenziaria dall’accusa di omicidio colposo Secondo l’accusa non doveva permettere che Yuri Attinà usasse il gas. Nicola Citi, 43 anni, ispettore di polizia penitenziaria abbraccia il suo avvocato quando il giudice Gioacchino Trovato finisce di leggere, dopo mezzora di camera di consiglio, la sentenza la quale lo assolve con formula piena per la morte di Yuri Attinà, il detenuto scomparso il 5 gennaio 2011 nel carcere delle Sughere dopo aver inalato da un fornellino da campo una grossa quantità di gas butano. Una decisione che “rende giustizia a un agente che ha sempre cercato di fare bene il proprio lavoro”, come spiega l’avvocato Luciano Picchi che ha difeso Citi con il collega piombinese Giovanni Marconi. Ma che dall’altra parte fa restare senza colpevole una morte che scosse l’opinione pubblica. “Si vive di ingiustizie e si muore in carcere”, recitava uno striscione che alcuni amici della vittima esposero fuori dal carcere dopo la scomparsa di Attinà. L’agente di polizia penitenziaria era accusato di omicidio colposo. Secondo il pubblico ministero Massimo Mannucci - si legge nel capo d’imputazione - “in qualità di ispettore in servizio nella casa circondariale di Livorno, per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e nell’aver revocato momentaneamente una disposizione da egli stesso adottata l’11 dicembre 2010 che vietava l’uso del fornellino da camping consentendo poi al detenuto di utilizzarlo”. Al centro delle indagini, in particolare, sono finiti due documenti: uno risaliva, appunto, all’11 dicembre, il secondo al 28. Nel primo, visti i precedenti del detenuto, viene vietato l’uso del fornellino in cella. Diciassette giorni più tardi, Citi, avrebbe firmato - sosteneva anche la parte civile - un documento nel quale autorizza ad usarlo o comunque a dividere la cella con detenuti che lo hanno a disposizione. Yuri Attinà alle Sughere, era al settimo padiglione, in cella con due compagni. Pare che alcuni giorni prima avesse rassicurato l’agente dicendo che non avrebbe fatto uso del gas e forse per questo l’ispettore gli avrebbe dato fiducia. Ma il pomeriggio del 5 gennaio ha inalato il gas e non si è più svegliato. Nel procedimento si erano costituite parte ci vile la sorella e la nipote del ventottenne. “La responsabilità di questa storia è di Yuri - diceva la nipote all’indomani della tragedia - che l’ha pagata anche cara. Ma se c’è qualcuno che ha sbagliato è giusto che paghi”. A distanza di due anni dalla tragedia e dopo diversi rinvii il giudice ha deciso che non ci sono altri colpevoli. Iglesias (Ca): “Il carcere non deve chiudere”, ieri un sit-in davanti al penitenziario di Francesco Pintore L’Unione Sarda, 9 febbraio 2013 Grande mobilitazione contro la chiusura del carcere. Sindacalisti, sindaci, rappresentanti dei partiti politici e Caritas pronti a dare battaglia. Protestano anche i detenuti e le volontarie della Caritas. Protestano tutti contro la chiusura del carcere di Igle - sias: gli agenti della polizia penitenziaria e i loro sindacati, gli impiegati, il cappellano, i sindaci e i candidati alle elezioni politiche. Il Sulcis disperato delle industrie in crisi, dei cassintegrati e disoccupati si mobilita per salvare una delle ultime “fabbriche” rimaste nella zona di Sa Stoia. Una stabilimento anomalo che “produce” sicurezza, una cinquantina di buste paga e un piccolo indotto. Cose che rischiano di venire meno in seguito alla decisione dell’amministrazione penitenziaria di chiudere la casa circondariale iglesiente. La protesta. Ieri mattina più di cento persone hanno sfidato il freddo e si sono presentate davanti ai cancelli del carcere con bandiere di tutte le sigle sindacali e striscioni. Ugl, Sinappe, Cisl, Uil, Sappe, Cgil e Osapp hanno diffuso un documento per ribadire la loro contrarietà alla chiusura del penitenziario. Giusto poche righe che riassumono i punti della vertenza e il pessimo stato d’animo dei lavoratori. “Il Governo tecnico - scrivono i sindacati - ha messo in ginocchio la Sardegna e in particolare il Sulcis Iglesiente. La spending review è un’arma affilata che taglia senza tener conto del contesto sociale dei territori dove i nostri Comuni sono repressi dalla legge di stabilità. Il Governo così facendo incentiva la delinquenza e disincentiva la sicurezza. No alla continua desertificazione del nostro territorio, no alla continua perdita di posti di lavoro, no agli sprechi dei soldi pubblici”. Gli agenti. Fuori dal carcere gli agenti della polizia penitenziaria parlano con i cronisti. Sono preoccupati e arrabbiati. “Siamo una cinquantina - raccontano - la maggior parte di noi vive nel territorio. Abbiamo famiglie e mutui da pagare. Chiudere il carcere significa creare nuovi lavoratori pendolari e uccidere il piccolo indotto che questa struttura riesce a creare. Noi non vogliamo la chiusura, ma un ampliamento. Questa è una struttura nuova. Da poco è stato speso un milione di euro per costruire la caserma e altri soldi sono stati utilizzati per rifare l’impianto fognario”. Ieri mattina i detenuti hanno consegnato una lettera al cappellano del carcere, don Giorgio Cuccu. L’hanno scritta e firmata quasi tutti gli ospiti: centodieci persone condannate per reati sessuali e collaboratori di giustizia. Il sacerdote insieme alle volontarie della Caritas ha consegnato il documento al vescovo di Iglesias. Nei prossimi giorni sono in programma nuove manifestazioni di protesta a Iglesias e Cagliari. I sindacalisti lanciano appelli al mondo politico e auspicano un ripensamento da parte del Governo. Il senatore Francesco Sanna ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia. “Chiedo di sospendere gli atti di programmazione in attesa della costituzione del Governo che uscirà dalle elezioni”. Il Pd del Sulcis Iglesiente ha espresso preoccupazione in un documento firmato da Emanuele Cani e Carla Cicilloni. “Chiudere le strutture di Iglesias e Macomer significa far fare un altro passo indietro allo Stato che in questo modo continua ad abbandonare le periferie. Contrari alla chiusura del carcere anche i sindaci di Domusnovas, Villamassargia e Musei. La Regione. Il presidente del Consiglio regionale Claudia Lombardo ha espresso solidarietà a sindacati e lavoratori del carcere di Iglesias. “Il provvedimento - si legge in una nota - viene a cadere nella provincia più povera d’Italia che si trova ad attraversare una terribile crisi socioeconomica e produttiva a causa del collasso del sistema industriale e del suo indotto. Il territorio non si aspettava certamente questi “regali” dallo Stato, ma ben altra attenzione e solidarietà”. Latina: carcere sovraffollato, l’intervento di Cesa e Aldo Forte (Udc) Latina Today, 9 febbraio 2013 A commentare, dopo la visita alla Casa circondariale pontina, il segretario nazionale dell’Udc Cesa. Con lui Aldo Forte: “Il sovraffollamento è un problema anche del carcere di Latina”. “La situazione del nostro sistema carcerario è intollerabile, una democrazia come la nostra non può accettarla. Mi auguro che le parole del presidente Napolitano scuotano la politica: il sovraffollamento, le condizioni fatiscenti delle strutture, la spaventosa carenza di personale che si vede nelle carceri italiane impongono un intervento risoluto del prossimo Parlamento”. Questo è il commento del segretario nazionale dell’Udc, Lorenzo Cesa, a margine di una visita alla casa circondariale di Latina, a cui hanno partecipato anche l’assessore regionale alle politiche sociali Aldo Forte e Antonio Saccone, commissario regionale Udc. “Anche norme come l’amnistia - ha aggiunto Cesa - rischiano di essere vanificate senza una riforma strutturale del sistema, che affronti il tema delle pene alternative, della depenalizzazione dei reati minori, dell’edilizia carceraria, della riqualificazione delle strutture e dell’adeguamento degli organici. C’é un deficit democratico che va colmato”. “Da assessore regionale alle Politiche sociali della Regione Lazio - ha poi dichiarato Aldo Forte, ora candidato dell’Udc alla Camera - mi sono occupato di tutte le questioni che riguardano i più deboli. Tra queste, anche quelle dei detenuti e del loro reinserimento sociale e lavorativo. Bene ha fatto il presidente Napolitano in questi giorni ad accendere la luce sul sovraffollamento delle carceri italiane. Un problema che interessa anche il carcere di Latina, non adeguato alla popolazione carceraria che ospita. Per questo abbiamo voluto visitarlo, per toccare con mano i problemi e impegnarci. Perché è obbligo di un Paese civile garantire condizioni dignitose ai detenuti”. Bologna: “L’Altro Diritto”; alla Dozza medici e giuristi volontari per aiutare i detenuti Dire, 9 febbraio 2013 Danno assistenza legale e medica ai detenuti. Sono i volontari dell’associazione “L’Altro Diritto” che da 6 anni entrano alla Dozza e aiutano i reclusi “a leggere una cartella clinica o nelle pratiche legali extragiudiziali”. Entrano in carcere per dare assistenza legale e medica ai detenuti, chiariscono i punti oscuri di una sentenza o di un documento, compilano le richieste di permesso di soggiorno e aiutano i reclusi a presentare le domande per ottenere misure alternative e permessi premio. Sono i ragazzi e le ragazze dell’associazione L’Altro Diritto. Un’attività di volontariato che ormai va avanti da 6 anni, tanto che sia il presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, Francesco Maisto, sia la garante comunale dei detenuti, Elisabetta Laganà, hanno incontrato recentemente l’associazione per rendere più fluida e efficace la collaborazione. “Siamo tutti studenti di giurisprudenza o medicina, neolaureati, tirocinanti, avvocati e medici - spiega Silvia Furfaro di L’Altro Diritto Bologna. Nel carcere della Dozza entriamo una volta a settimana, di solito in coppia, un giurista e se possibile un medico. In questo modo riusciamo ad assistere i detenuti in tutte le pratiche legali extragiudiziali, ma anche fornire loro consulenza su diritti che spesso sono nascosti o poco conosciuti, o ancora aiutarli a leggere una cartella clinica o il risultato di un esame”. L’Altro Diritto Bologna può contare su 60 volontari, più della metà dei quali cosiddetti articolo 17, e cioè persone autorizzate a entrare alla Dozza dal Tribunale e dal direttore del carcere. L’associazione, presente anche in Toscana, ha anche attivato un centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità. Bologna: anche 2 detenuti alla “Maratona della Bibbia”… e altri vorrebbero aggregarsi Dire, 9 febbraio 2013 Ci saranno anche due detenuti della Dozza tra i lettori che si alterneranno sul palco dell’Archiginnasio fino a mercoledì 3 febbraio nella lettura delle Sacre Scritture. L’idea della maratona è di don Giovanni Nicolini, il parroco della Casa circondariale, che considera l’evento “un dono alla città”. Quella di coinvolgere i detenuti, invece, è di Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, che parteciperà alla lettura l’11 febbraio alle 14. “Nel 2011 l’iniziativa si era svolta nella parrocchia della Dozza ed ero andato a vederla - racconta Maisto - quest’anno mi sono iscritto e mi è stato assegnato un giorno. E poi ho pensato, perché io sì e i detenuti no?”. Così ha lanciato l’idea tra i colleghi, il volontariato e gli operatori penitenziari. “Per il momento sono due i detenuti, in regime ordinario, che leggeranno alcuni passi della Bibbia - continua - ma è un risultato provvisorio, perché ce ne sono altri, tra quelli che partecipano al gruppo di lettura del Vangelo organizzato dal Poggeschi e a quello sull’autobiografia, che hanno manifestato la voglia di partecipare. Tra di loro ci sono anche alcuni convertiti”. Detenuti che avevano un’altra fede monoteista e che si sono convertiti al Cristianesimo in carcere, “senza avere benefici”, ci tiene a sottolineare Maisto. Il problema è che molti di coloro che vorrebbero leggere “si vergognano” ed è per questo, continua Maisto, “che stiamo lavorando per superare questa vergogna, laddove ci sia un autentico interesse”. La “sette giorni” di lettura della Bibbia terminerà il 13 febbraio nel giorno del compleanno di don Giuseppe Dossetti con l’intervento del cardinale Carlo Caffarra che leggerà l’ultimo capitolo dell’Apocalisse. Cagliari: Polizia penitenziaria; all’Ipm doppi turni da 12 ore, nessun rispetto dei diritti Sardegna Oggi, 9 febbraio 2013 Proteste dei sindacati dei lavoratori del carcere minorile di Quartucciu. Guardie costrette a doppi turni, rinunce a ferie e riposi: “La situazione di grave disagio che vivono i Poliziotti Penitenziari che prestano servizio nell’Istituto Penale per i Minorenni di Quartucciu necessita di un intervento incisivo e della presenza costante della Dirigente del Centro per la Giustizia Minorile della Sardegna”. La situazione di grave disagio che vivono i Poliziotti Penitenziari che prestano servizio nell’Istituto Penale per i Minorenni di Quartucciu necessita di un intervento incisivo e della presenza costante della Dirigente del Centro per la Giustizia Minorile della Sardegna. Questo il parere dei sindacati dei lavoratori che rivendicano “condizioni dignitose di lavoro e il rispetto dei loro diritti Costituzionali e Contrattuali, costretti a sopportare doppi turni con orari anche di 12 ore, a rinunciare alle ferie e ai riposi, oltre che all’attività di formazione e ai quali viene negato anche il diritto alle attività minime per sopperire all’emergenza quotidiana”. In una nota si afferma: “Si invita, inoltre, la Dirigente, e il Superiore Dipartimento, a non considerare la Sardegna e i suoi lavoratori una discarica dove parcheggiare i c.d. “casi problematici degli altri Istituti”. Radio: domani la trasmissione “Jailhouse Rock” di Radio Popolare con Franco Maisto Ristretti Orizzonti, 9 febbraio 2013 Domenica dalle ore 21 sulle frequenze di Radio Popolare, nell’ambito della trasmissione “Jailhouse Rock”, interviene Franco Maisto, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna. Con lui si parla di violenza, diritti, legalità costituzionale. La puntata è dedicata alla Allman Brothers Band, gruppo rock nato negli anni sessanta, arrestato in blocco per motivi di droga. Immigrazione: Palmizio (Pdl); no alla chiusura dei Cie… ma non siano carceri di serie B Dire, 9 febbraio 2013 “Dico no alla chiusura tout court dei centri di identificazione ed espulsione. Tuttavia, in quei luoghi ci vorrebbe un maggiore rispetto della dignità umana. Di recente ho visitato dall’esterno la struttura di Bologna e ho raccolto alcune testimonianze di chi è entrato: le condizioni di vita delle persone presenti nei Cie non sono certo eccezionali, per usare un eufemismo. I Cie non devono essere carceri di serie B”. Elio Massimo Palmizio, senatore uscente del Pdl bolognese ed ora ricandidato in quinta posizione nella lista regionale della Camera, è stato membro della commissione Affari esteri e Emigrazione al Senato e commenta la vicenda dei Cie di Bologna e Modena, al centro di polemiche continue. Se nel Pd è stata chiesta la chiusura dei centri emiliani per le condizioni di vita dei suoi ospiti, Palmizio frena ma non vuol sfuggire alla questione: “La legge Turco-Napolitano in base alla quale sono stati istituiti i centri di espulsione è stata votata non solo dal centrodestra. Certo, per la legge Bossi-Fini, altra legge sull’immigrazione (che ha sostituito la Turco-Napolitano, ndr), la clandestinità è un reato, ma un reato molto contestato e particolare. La Bossi-Fini nel suo impianto può ancora reggere, ma qualche modifica sarebbe opportuna. Gli stranieri trattenuti nei Cie, lo ricordo, devono essere sottoposti a procedure di accertamento sulla loro identità in vista di una possibile espulsione, non devono- rimarca il candidato Pdl- sentirsi in carcere”. L’ultima polemica è quella degli stipendi non pagati ai lavoratori dei Cie al consorzio L’Oasi, che gestisce in appalto le strutture di Modena e Bologna. L’Oasi non paga da novembre, dopo le proteste dei sindacati la Prefettura di Modena si è detta pronta a coprire parte degli emolumenti: “Se non si pagano gli stipendi si perdono gli appalti, di solito. Comunque, la questione mi sembra più sindacale che politica e spero si risolva presto”, osserva Palmizio. Immigrazione: Cie Bologna; presidio medico a intermittenza, causa problemi organizzativi Redattore Sociale, 9 febbraio 2013 Per il direttore del Centro, “la colpa è dei problemi organizzativi e un presidio minimo è sempre stato garantito”. Il nuovo bando riduce però la presenza dei medici a 8 ore al giorno per 6 giorni a settimana. Prima c’erano giorno e notte. In almeno un caso il presidio medico obbligatorio del Cie di Bologna sarebbe rimasto scoperto, senza nessuno in grado di fornire assistenza medica ai migranti trattenuti nella struttura di via Mattei. Una situazione di certo non ottimale visto le condizioni di salute degli “ospiti”, tra i quali vi è anche una 35enne con Hiv e sifilide. È accaduto nei primissimi giorni di febbraio. “So che per una mattinata il servizio è rimasto senza copertura - conferma la garante dei detenuti dell’Emilia - Romagna Desi Bruno - poi però la situazione è tornata alla normalità”. Ancora non è chiaro il motivo dell’accaduto, ma tutto lascia pensare che la situazione sia collegata al pagamento irregolare degli stipendi. Fonti interne al Cie raccontano come anche il presidio infermieristico sia rimasto più volte scoperto da gennaio a oggi. L’accusa è però respinta dalla direzione del centro. “Abbiamo problemi organizzativi dovuti al cambio di appalto - spiega Alberto Meneghini, direttore del centro. Nei giorni scorsi c’è stato il cambio dell’equipe di infermieri e probabilmente anche i medici si avvicenderanno. Ci possono essere stati dei buchi nella presenza o dei medici o degli infermieri, ma un presidio minimo è sempre stato garantito”. Con il cambio di appalto e il passaggio della gestione al consorzio L’Oasi (dai 70 euro per migrante della gestione precedente si passa agli attuali 28), il centro di via Mattei si adeguerà agli standard nazionali in fatto di assistenza sanitaria nei Cie: presenza medica 8 ore al giorno per 6 giorni a settimana e infermieristica h24. La vecchia gestione invece garantiva una presenza medica giorno e notte, senza interruzioni, e una infermieristica per 12 ore al giorno. Altro problema il fatto che i medici di turno sono tutti pagati dal gestore della struttura. Un potenziale conflitto di interessi visto che i medici sono gli unici a poter “dimettere” dal centro i migranti in caso di condizioni sanitarie incompatibili con la permanenza nel centro. L’Oasi però è rimborsata dal ministero in base al numero di migranti trattenuti, e eventuali uscite comporterebbero per il gestore un’evidente perdita economica. “Che questo sia un problema - commento Bruno - è un dato di fatto. Non si sta accusando nessuno, ma è evidente che una gestione corretta dovrebbe prevedere un controllo sanitario pubblico, esattamente come succede in carcere dove i medici sono quelli dell’Ausl, e assicurano così professionalità e trasparenza”. Che nel Cie la situazione sia complicata è confermato anche dalla difficoltà dell’ufficio del garante nell’ottenere i dati delle presenze dei migranti. “Ci dicono che non hanno più il programma di elaborazione e che rimedieranno a breve”, spiega Bruno, aggiungendo poi che i rapporti tra gli operatori e i migranti sono ormai difficilissimi. Quello che si sa è che in data 4 febbraio in via Mattei c’erano 29 uomini e 22 donne. India: impiccato fiancheggiatore attacchi al parlamento del 2001 Agi, 9 febbraio 2013 In India è stato impiccato un miliziano separatista originario del Kashimir, condannato a morte per aver partecipato all’organizzazione dell’attacco al Parlamento di New Delhi nel 2001. Mohamed Afzal Guru, un fruttivendolo che si era detto sempre innocente, era stato condannato nel 2004, ma la sua esecuzione era stata rimandata più volte per gli appelli presentati dalla difesa. Dopo l’esecuzione, sono state aumentate le misure si sicurezza in Kashmir, la regione del nord - indiano in cui ha la base il gruppo indipendentista, Jaish - e - Mohammed, a cui è stato attribuito l’attentato e che, secondo l’India, è appoggiato dell’intelligence pakistana. Il 13 dicembre del 2001, un gruppo terroristico tentò di assaltare la Camera bassa del Parlamento indiano, in cui erano riuniti un centinaio di parlamentari: i cinque estremisti riuscirono a uccidere 8 poliziotti e un giardiniere prima di essere uccisi. L’esecuzione è la prima in India dal 21 novembre scorso, quando fu impiccato Ajmal Amir Kasab, unico sopravvissuto del gruppo terroristico che, nel 2008, mise a ferro e fuoco Mumbai, causando la morte di 186 persone (le due sono state le due uniche impiccagioni avvenute in India in quasi un decennio). L’India accusò di quell’azione un altro gruppo terroristico, Lashkar e Taiba, anch’esso probabilmente sostenuto dal Pakistan, la potenza nucleare che contende all’India la sovranità sul Kashmir da quando, nel 1947, i due Paesi hanno ottenuto l’indipendenza. Angola: in video detenuti picchiati in carcere, sospeso direttore Agi, 9 febbraio 2013 Il direttore del carcere di Viana, sobborgo alla periferia sud est della capitale è stato sospeso nell’ambito di un’inchiesta aperta in seguito alla diffusione di un video pubblicato su you tube che mostra alcuni agenti prendere a schiaffi e cinghiate un detenuto mentre molti altri sono seduti e guardano la scena. La notizia della sospensione del funzionario è stata data dalla stampa locale che cita una nota del ministero dell’Interno. “È stato un atto isolato - spiega la nota del ministero - che non può mettere in discussione la dedizione dei dipendenti del ministero dell’Interno. “È stato un atto isolato - spiega la nota del ministero - che non può mettere in discussione la dedizione dei dipendenti del ministero che ogni giorno lavorano per il loro miglioramento”. Secondo quanto riferito dal ministero il video risale al 15 settembre del 2012 e fu girato il giorno dopo una rivolta. “La sera del 14 settembre - spiega la nota - intorno alle 22 una lite tra due detenuti degenerò in una rivolta costringendo la polizia a intervenire con la forza. La mattina dopo, quando gli agenti stavano verificando le ragioni della rivolta, in un clima di elevata tensione, gli agenti in servizio abusarono del loro potere così come ha registrato il documento che circola su internet”. In attesa che la Procura generale faccia luce sulla vicenda, il ministero ha annunciato di aver avviato un’inchiesta interna che ha già portato alla sospensione del direttore. “Vista la gravità delle immagini - ha spiegato la nota - non potevamo non prendere misure urgenti”. Venezuela: centinaia di armi sequestrate ai detenuti, dopo rivolta nel carcere di Uribana Apcom, 9 febbraio 2013 Centinaia di armi a disposizione dei detenuti dove è scoppiata la sanguinosa rivolta nel carcere nel gennaio scorso in Venezuela. Le autorità del Venezuela hanno scoperto centinaia di armi da fuoco, inclusi fucili e mitra, nel carcere Uribana nella città di Barquisimeto nel nord - est del Paese, dove lo scorso gennaio nel corso della rivolta dei detenuti sono state uccise 58 persone, comunicano giovedì i mass media locali. La ministra per gli affari delle carceri del Paese Iris Varela ha dichiarato che la rivolta è iniziata dopo che i gruppi dei detenuti armati hanno iniziato a sparare contro i soldati della guardia nazionale, giunti il carcere per il controllo. A causa della rivolta in carcere più sanguinosa nella storia del Paese sono stati uccisi detenuti, due preti protestanti e un militare.