Giustizia: a Palermo assolto dopo tre anni di carcere… a Napoli assolto dopo diciotto mesi di Valter Vecellio Notizie Radicali, 8 febbraio 2013 Tu chiamala, se vuoi, Giustizia. Primo episodio: Palermo. Un extra - comunitario, originario del Ghana, viene accusato di un reato orribile: aver violentato la figlia undicenne della sua convivente. Arrestato, l’uomo viene condannato a otto anni. Già qui la prima anomalia: otto anni appena per questo abominio? Comunque è così che decide la corte in primo grado. Viene anche condannata la mamma della ragazzina: cinque anni e sei mesi, colpevole di non aver denunciato i fatti, divenendo così complice della violenza consumata. Si arriva all’Appello. La terza sezione assolve entrambi. Innocente lui, innocente lei. Cos’è accaduto? È accaduto che la bambina aveva parlato di abusi sessuali commessi anche su una sua amichetta. Che, pazientemente ascoltata, nega invece tutto. Gli avvocati del ghanese sono poi riusciti a convincere i giudici che il suo assistito era stato accusato ingiustamente; e gli argomenti devono essere stati convincenti, dal momento che è arrivato il verdetto di assoluzione. C’è solo un problema, anzi due. Che tra il momento della denuncia, il primo e il secondo grado di giudizio, sono trascorsi “solo” tre anni; che i due ghanesi hanno trascorso in carcere. Non solo. Lui, ora non ha più il permesso di soggiorno, scaduto mentre era in carcere, e non è stato rinnovato per motivi che sono intuibili. Verrà rispedito in Ghana? E la mamma della piccola? Quest’ultima, dichiarata “adottabile” è stata affidata a una comunità, in attesa di essere adottata. Tornerà dalla madre? Insomma, anche solo dal punto di vista burocratico, un bel pasticcio. Per non dire dei costi umani, quelli sono irrisarcibili. Una vicenda forse inevitabile, ma certamente erano evitabili i “tempi”: quei tre anni trascorsi prima di arrivare a un verdetto (sempre che non ci si appelli alla Cassazione); che i due ghanesi hanno trascorso in carcere. Ora andiamo a Napoli, qui ci soccorre Leandro Del Gaudio del “Mattino”. Il suo articolo comincia così: “Non erano larve, ma uova di mosca sul corpo di due anziani coniugi massacrati di botte. Sembra una differenza da poco - sottigliezze per cultori di biologia - ma è stato probabilmente uno dei punti decisivi di un processo che si è chiuso in Corte d’Assise. Due coniugi uccisi, il figlio imputato mandato assolto, un caso che si riapre. E le indagini che devono fare i conti con uno o più assassini in libertà, in una storia familiare che si tinge di nero, anzi di giallo, oggi più che mai destinata ad essere riletta…”. Il caso è quello della morte del novantatreenne Filiberto Sorrentino e della moglie Vincenza Marciano. I fatti risalgono al 2009. I due coniugi vivevano a Torre del Greco. Un giorno di agosto di quattro anni fa, i due vengono trovati morti nella loro abitazione. Del duplice delitto viene accusato il figlio, che nel settembre del 2011 viene arrestato. In carcere trascorre diciotto mesi. Lui protesta la sua innocenza. Gli investigatori non gli hanno creduto, hanno individuato il possibile movente (l’eredità); sul figlio degli assassinati pesa poi, come un macigno, un passato di componente della colonna romana delle Brigate Rosse. A quanto pare, l’assassino però non è lui. Così stabiliscono i giudici, e l’altro giorno Maurizio Sorrentino ha lasciato il carcere di Poggioreale. Cos’è accaduto? Ritorniamo allora alla cronaca di Del Gaudio: “È il 10 agosto del 2009, quando è lo stesso Maurizio Sorrentino a trovare i genitori trucidati di botte e ad avvertire le forze dell’ordine. Viveva in provincia di Viterbo, da qualche giorno aveva provato a contattare padre e madre, ma il telefono in casa squillava senza risposte. Poche ore dopo, sul corpo dei coniugi viene fatta l’autopsia, che rileva la presenza di uova di mosche su uno dei due cadaveri, all’altezza del volto. Strana storia, hanno pensato i difensori, che si affidano a un consulente di parte e che accertano che le uova hanno una vita che può spaziare al massimo tra i due e i tre giorni. Se è vero che le mosche si sono fiondate sul corpo sanguinante e caldo delle vittime sin dai primi minuti del decesso, conviene provare a riavvolgere il nastro del tempo: dal 10 agosto, girando a ritroso la clessidra, si può arrivare al massimo al 7 agosto, quando l’imputato è certamente lontano da Torre del Greco. Graziato dalle uova di mosca fotografate il 10 agosto sul corpo della vittima: sono in uno stato antecedente alle larve, quindi avevano una vita più giovane, quanto basta a spostare la data della morte di un giorno rispetto alla valutazione degli inquirenti”. Viene meno anche il movente della rapina. Il figlio non ha problemi economici, può dimostrare facilmente di non aver debiti o pendenze, paga con regolarità e puntualità affitto e altre scadenze, non ha scoperti bancari, e anzi, il suo conto corrente è florido. E lui? “Giustizia non è stata fatta, gli assassini dei miei genitori sono ancora liberi, forse resteranno impuniti per sempre”, dice uscito dal carcere. “Si è indagato in una sola direzione, cioè contro di me. Fino in fondo, nonostante le contraddizioni che erano emerse al dibattimento”. Racconta poi un episodio che fa pensare. In cella Sorrentino ha trascorso il tempo leggendo: “Mi sono attaccato ai libri, prima di ogni altra cosa. Cosa ho letto? La “Divina Commedia”, come posso non pensare che hanno provato a tirare in ballo anche il rapporto che ho con mia figlia, per via di quel “Papé satàn”, uscito nel corso delle indagini, grazie ad alcune intercettazioni telefoniche?”. È un’invocazione a Satana, nel settimo canto dell’Inferno di Dante, qualcosa che ha spinto gli inquirenti a parlare di sette diaboliche, e ipotizzare codici linguistici per eludere le indagini in corso. “Nulla di tutto ciò, era solo un modo di scherzare, nessun mistero, nessuna cosa strana…”, dice Maurizio Sorrentino. E qui, come non pensare a quella pagina di “Una storia semplice” di Leonardo Sciascia, a quel “Dio mio!” del questore, a quel “Terrificante!” del colonnello dei carabinieri, di fronte alla conclusione cui è giunto il magistrato inquirente a proposito dell’uomo della Volvo”? I due ghanesi, prima di essere scagionati in Appello hanno trascorso tre anni in carcere; Maurizio Sorrentino un anno e mezzo. Magari, vedi mai, fossero state più sgombre, le scrivanie dei magistrati, i due casi si sarebbero risolti molto prima… Quando dicono che l’amnistia no, che servono riforme strutturali, e tutto l’armamentario delle banali obiezioni che ripetono a pappagallo, ricordiamoci di vicende come queste di Palermo e di Napoli. Giustizia: un piano per le carceri, riqualificando le città di Emanuele Fiano (Deputato Pd) L’Unità, 8 febbraio 2013 La storica visita del presidente Napolitano avvenuta a Milano mi ha toccato il cuore e fatto molto pensare: e se il primo intervento di riqualificazione urbana delle nostre città metropolitane partisse dalle carceri? Si porrebbe così fine alla vergognosa condizione in cui vivono ì detenuti nel nostro Paese, e si valorizzerebbero alcuni fra i complessi immobiliari più grandi e centrali dei nostri centri urbani trasformando enormi sezioni di alcune fra le nostre più belle città. Oggi in Italia la gran parte degli istituti di pena è molto lontana dal garantire ai reclusi standard minimi di dignità: le carceri italiane sono per sovraffollamento, funzionalità e offerta rieducativa le peggiori dell’Unione europea. Pensiamo solo alle nostre prime quattro città metropolitane per popolazione (Roma, Milano, Napoli e Palermo) e agli istituti di pena che sono inseriti nel cuore del loro tessuto cittadino: Regina Coeli, San Vittore, Poggio Reale e l’Ucciardone. Sono edifici con anche di 4 secoli di storia alle loro spalle, che a causa dell’aumento della popolazione, dell’ingrandimento delle città che li ospitano e della scarsità di risorse che lo Stato può destinare alla loro manutenzione finiscono per essere assolutamente inadatti alla finalità cui sono preposti oltre che chiaramente non valorizzati! Conosciamo e comprendiamo bene le motivazioni che si potrebbero addurre per osteggiare un loro spostamento: il posizionamento all’esterno delle città degli istituti penitenziari avrebbe quasi una valenza ghettizzante. Ma la mia obiezione credo possa essere altrettanto valida: oggi quegli spazi non consentono più una vita dignitosa ai loro occupanti e impediscono loro di poter usufruire delle strutture necessarie a trasformare l’espiazione della pena in un tempo utile e fruttuoso per il detenuto e per la sua vita “fuori le mura”. Un Paese normale avrebbe già proceduto a costituire una società ad hoc (finanziando ad esempio questa operazione attraverso il conferimento degli “immobili di pregio” a Cdp o a Fintecna che per altro già possiede un portafoglio immobiliare la cui valorizzazione porterebbe in molte nostre città una vera rivoluzione urbanistica) per trovare degli spazi adeguati, esterni alle centralità cittadine, in cui costruire istituti più dignitosi, grandi, moderni, dalla manutenzione meno onerosa nei quali spostare i detenuti rendendo così possibile la valorizzazione di immobili che una volta trasformati potrebbero diventare per la loro centralità complessi alberghieri con cui dare lavoro o unità commerciali e residenziali convenzionate con cui sostenere lo sviluppo dei servizi e i giovani. Ed è uno schema replicabile anche pensando ad alcuni comandi generali (pensiamo all’Arma dei Carabinieri a Roma o alla Guardia di Finanza o ancora ai comandi regionali di molti capoluoghi del Paese) che potrebbero essere trasferiti nelle zone periferiche delle stesse metropoli (acquisendo così anche un valore di tipo securitario nell’ambito della loro nuova collocazione). Questo modesto progetto di umanità e buon senso economico - che in un conto spicciolo potrebbe portare alle esangui casse dello Stato circa 2 mld di euro - sembra essere impossibile da attuare in un Paese che fino adesso non considerava la rieducazione come finalità della detenzione e che era paralizzato dalla paura di sperimentare nuove strade. Per questo ho deciso di impegnarmi nella prossima legislatura a proporre alle commissioni competenti di valutare uno studio di fattibilità da allegare a quel “piano carceri” che il precedente governo ha disatteso: aiutare i detenuti e migliorare allo stesso tempo i conti pubblici è una missione possibile e doverosa. Giustizia: Scandurra (Antigone); troppi detenuti, eccessivo ricorso alla custodia cautelare di Vincenza Foceri www.clandestinoweb.com, 8 febbraio 2013 L’associazione Antigone, impegnata nel settore carceri e giustizia, ha presentato i dati dell’Osservatorio Europeo sulle condizioni di detenzione. In quanto movimento capofila per l’Italia ha reso noti i numeri della situazione penitenziaria del nostro paese mettendoli a raffronto con quelli del resto dell’Unione. La situazione non è, di certo, delle più rosee: al Belpaese rimane il primato in termini di sovraffollamento e ricorso alla custodia cautelare in carcere di indagati in attesa di un processo. Ci siamo fatti spiegare da Alessio Scandurra, membro dell’associazione Antigone e curatore dei dati dell’Osservatorio la situazione nel dettaglio. Alessio Scandurra, dopo la presentazione dei dati raccolti nell’ambito dell’Osservatorio europeo può spiegarci l’Italia, in termini di carceri e condizioni di vita dei detenuti, come si colloca? Quello che emerge dal confronto tra l’Italia e gli altri paesi europei è un dato fuori misura sulla custodia cautelare. Nessun altro paese, infatti, ha i nostri numeri in termini di ricorso preventivo alla carcerazione. Un problema che ci appartiene da anni. In passato abbiamo superato la soglia del 50% adesso siamo sopra il 40%. Questo naturalmente influisce sul tasso di sovraffollamento che rimane il più alto d’Europa. Questo vuol dire che c’è un ricorso alla custodia cautelare esorbitante. Altri particolari emersi è l’elevata percentuale di detenuti stranieri e di quelli che stanno dentro per via della legge sulle droghe. Passando nello specifico alle condizioni di vita dei detenuti, qual è il quadro emerso? Un po’ in tutta Europa c’è stato un abbassamento delle condizioni materiali di vita nei penitenziari per colpa della crisi. Quando si deve scegliere cosa tagliare le prime risorse che vengono meno sono proprio quelle delle carceri. Inevitabile la ricaduta sulle condizioni di vita dei detenuti. Si tratta di un fenomeno molto forte nei Paesi dove la crisi si è fatta sentire di più come Grecia, Spagna e Italia. Qui i riscaldamenti vengono accesi meno spesso, c’è meno acqua calda, strutture fatiscenti e mancano le risorse per qualsiasi attività. A livello di numero di agenti o altro personale penitenziario, invece, qual è la situazione italiana? L’Italia tradizionalmente è tra i paesi che ha il più alto numero di agenti penitenziari rispetto al numero di detenuti. È un dato che caratterizza da sempre tutte le forze di polizia italiane. Quello di cui avremmo, invece, bisogno sono assunzioni in termini di personale non di polizia, penso ad esempio a direttori, assistenti sociali, educatori. Dopo la legge Gozzini si attendeva un cambiamento per il mondo delle carceri, tuttavia le strutture e il personale, anche a livello di ruoli e formazione sono rimaste le stesse. A questa riforma, insomma, sono mancate le gambe su cui camminare. Eppure la polizia penitenziaria lamenta carenza di organico. Come si conciliano i due dati? È vero che, parlando di polizia penitenziaria, gli organici rispetto alla legge sono in carenza. Però sono in carenza di organico peggiore gli educatori, gli assistenti sociali e anche i direttori dei penitenziari. Non avere un direttore per un carcere è drammatico, la gestione della struttura è una cosa delicata. Insomma, quello che mi sento di dire è che di certo il problema delle carceri italiane non è la carenza di polizia. L’Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione, di cui Antigone è capofila, a cosa serve? Il tema dei penitenziari è il tema su cui ci si confronta meno. A lungo si pensava al carcere avendo come riferimento solo i film americani su Alcatraz. Adesso l’opinione pubblica italiana si è fatta un’idea più chiara di come funzionano le cose eppure rimane un buco da colmare nel raffronto con gli altri paesi europei, che spesso hanno problemi simili ai nostri. Solo guardandoci attorno possiamo scoprire possibili soluzioni. Il confronto è utile e necessario. Giusto per farmi meglio comprendere riporto qualche esempio. Uno su tutti il tema affettività in carcere, dei rapporti familiari. In tante carceri italiane c’è ancora il bancone divisorio nella sala colloqui e dovrebbe non esserci più. Nella maggior parte dei paesi europei, invece, esiste la possibilità di colloqui intimi tra coniugi e ci sono spazi dove far incontrare i detenuti con i figli minori meno traumatizzanti. Questo è un tema su cui si potrebbero fare passi avanti senza spendere un soldo se solo volessimo. Un’altra diversità che potremmo adottare è quella che ci arriva dal Portogallo. Qui gli agenti penitenziari hanno nome e cognome scritto sulle divise, per essere riconosciuti subito in caso di eventi critici. Giustizia; Berlusconi apre all’amnistia “se vinco la propongo nei primi cento giorni” Asca, 8 febbraio 2013 Anche Silvio Berlusconi apre all’amnistia: “Io sono convinto che sarebbe una cosa buona”, ma “per farla servono i due terzi dei voti del Parlamento e non so se si possono raggiungere”. È accaduto durante la trasmissione Coffee break, trasmissione di La7, dove il conduttore ha chiesto al Cavaliere se, in caso di vittoria alle elezioni, è intenzionato a proporre il provvedimento. “Bisogna vedere concretamente e realisticamente se si possono trovare i voti in Parlamento”, ha replicato il Cavaliere che ha quindi aggiunto: “Se gli italiani daranno al Pdl la maggioranza “potrei proporla nei primi cento giorni”. Sulla proposta ha fatto eco al Cavaliere anche Nicolò Ghedini: “Certamente l’amnistia e l’indulto possono risolvere il problema immediato del disastro carcerario”. “Ma se vengono fatti ogni 2 - 3 anni, come una volta, non serve a nulla perché dopo un anno e mezzo le carceri ritornano piene”. Ghedini (Pdl): amnistia può risolvere problema carceri “Certamente l’amnistia e l’indulto possono risolvere il problema immediato del disastro carcerario”. Così l’avvocato di Berlusconi, Nicolò Ghedini (Pdl), in una trasmissione di “Rete veneta”, questa mattina. “Ma se vengono fatti ogni 2-3 anni, come una volta, non serve a nulla perché dopo un anno e mezzo le carceri ritornano piene”. Ci sono strumenti alternativi, secondo Ghedini, diversi dalla detenzione, “che sono ancora più forti come deterrente rispetto alle porte girevoli”. “Noi siamo convintissimi che deve esserci una pena certa che va scontata e che le persone che destano allarme sociale vadano severamente repressi e mantenuti in detenzione. Ma ci sono situazioni, invece, in cui la gente rimane 10-20 giorni in attesa di giudizio e intasa il sistema carcerario, devasta queste persone e le mette a contatto con un mondo che le induce poi a delinquere”. Ancora il candidato del Pdl: “questo è un sistema perverso, quindi dovrebbe esserci una drastica riduzione della carcerazione preventiva da utilizzare solo in caso veramente gravi e questo dimezzerebbe la popolazione carceraria perché noi abbiamo il 50% di persone in attesa di giudizio”. E poi, secondo Ghedini, “dovrebbe essere utilizzata la cosiddetta messa alla prova già utilizzata con successo nei minorenni perché viene sospeso temporaneamente il processo e nell’ipotesi in cui la persona si comporti bene, il processo si ferma e non si fa più nulla, mentre se delinque nuovamente si ha il processo vecchio aggravato, più il processo nuovo”. Quindi, secondo Ghedini, “ci sono dei meccanismi e delle possibilità di operare davvero e bene. Con un sistema rinnovato lo si può fare nel giro di un paio di mesi. Un’amnistia o un indulto diventano doverosi per coloro che non hanno potuto fruire di un sistema migliorato”. Giustizia: Salvini (Lega) contro Berlusconi; adesso vuole l’amnistia? se la scordi… Affari Italiani, 8 febbraio 2013 Il Cavaliere prova a strizzare l’occhio all’elettorato radicale: “Fare l’amnistia potrebbe essere un problema a causa degli alleati ma se gli italiani mi daranno la maggioranza assoluta in Parlamento la proporrò”. Ma scatena la reazione della Lega e spacca il Centrodestra a quindici giorni dal voto. Matteo Salvini sceglie Affaritaliani.it per bocciare Berlusconi: “Liberare i delinquenti non è né utile né intelligente. Non è nel programma che abbiamo sottoscritto. Se quindi proporrà l’amnistia per noi se la può tranquillamente scordare”. Quello delle carceri e del sovraffollamento dei penitenziari è un tema delicatissimo. Soprattutto per il Centrodestra. Se a sinistra e al centro infatti sono tutti d’accordo, nello schieramento di Silvio Berlusconi non è così. E lo stesso Cavaliere ha provato a lanciare il sasso nello stagno, probabilmente per strizzare l’occhio all’elettorato radicale di Pannello e Bonino: “Fare l’amnistia potrebbe essere un problema a causa degli alleati ma se gli italiani mi daranno la maggioranza assoluta in Parlamento la proporrò”. Apriti cielo. Matteo Salvini, leader della Lega Lombarda e braccio destro di Roberto Maroni, insorge e attacca direttamente il presidente del Popolo della Libertà. “Proprio stamattina ho visitato il carcere di Busto. Aprire le celle e le liberare i delinquenti non è né utile né intelligente”, afferma l’esponente del Carroccio ad Affaritaliani.it. “Semmai bisognerebbe far scontare la pena nei loro paesi agli stranieri. Noi abbiamo presentato un documento in tal senso al Parlamento europeo e quindi il prossimo premier dovrà andare a Bruxelles a ribaltare i tavoli. Poi si devono finire le nuove carceri e assumere altri agenti di polizia penitenziaria, adeguando il loro stipendio attualmente vergognoso. Un voto alla Lega alle elezioni è un voto contro l’amnistia e l’indulto. Sono tutti d’accordo, da Bersani a Berlusconi, tutti tranne la Lega. Ricordo al leader del Pdl che non è nel programma che abbiamo sottoscritto. Facciamo solo quello su cui c’è un accordo e se quindi proporrà l’amnistia per noi se la può tranquillamente scordare”. Meloni (Fdi): voti a favore amnistia non arriveranno da noi “I voti a favore dell’amnistia non arriveranno di certo da Fratelli d’Italia. Non è rimettendo in libertà i delinquenti che si risolve il problema delle carceri, ma applicando pene alternative per i reati minori e risolvendo l’annosa questione dell’abuso della carcerazione preventiva da parte dei magistrati”. È quanto dichiara Giorgia Meloni, fondatore di Fratelli d’Italia. Giustizia: Bersani (Pd): carcere per reati gravi di evasione fiscale, ci vuole deterrenza Agi, 8 febbraio 2013 “Rafforzare le pene per combattere l’evasione. Ci vuole deterrenza, non escludo che per reati gravi ci possa essere anche il carcere. Ma il problema è talmente endemico che quante carceri vogliamo fare?”. Lo dice Pierluigi Bersani intervistato in mattinata a radio Capital. “Se arrivassimo a una media europea i problemi sarebbero risolti, Berlusconi è inutile che dica che io voglio impedire... sì Bersani vuole impedire l’eccessiva circolazione del contante perché in tutta Europa ne gira meno e c’è meno evasione - ha aggiunto il leader del Pd - Poi si devono tracciare tutti movimenti finanziari, nel rispetto della privacy e nella disponibilità del Fisco. E basta chiamare elusione quella che è evasione, si deve chiudere la storiella dei caroselli Italia estero Italia”. Giustizia: don Colmegna ha vinto, scarcerata romena condannata per accattonaggio Famiglia Cristiana, 8 febbraio 2013 Dopo un mese di carcere è stata scarcerata dal penitenziario di Como la romena che doveva scontare 6 mesi per accattonaggio con minore. Don Virginio Colmegna smette lo sciopero fame. Dopo un mese di carcere è stata scarcerata dal penitenziario di Como una romena di 27 anni, madre di tre figlie, che doveva scontare una condanna a 6 mesi per accattonaggio con minore ma che nel frattempo ha radicalmente cambiato vita. Lo ha reso noto don Virginio Colmegna, già direttore della Caritas ambrosiana e ora responsabile della Casa della carità di Milano: il sacerdote ha interrotto lo sciopero della fame, cominciato nei giorni scorsi proprio per segnalare questo caso di malagiustizia. “Piccola, minuta, gli occhi che sprizzano felicità - si legge sul sito della Casa della carità, Anna (la donna è stata chiamata così, con un nome di fantasia a tutela della sua privacy, ndr.) ha finalmente potuto riabbracciare le figlie e solo in quel momento ha capito che l’incubo è finito. Il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Milano ha dichiarato la non esecutività della sentenza e ha disposto l’immediata scarcerazione dopo trenta giorni di carcere. Per una contravvenzione del 2006, Anna era stata condannata con sentenza di primo grado nel maggio del 2010 al termine di un processo celebrato senza che potesse difendersi, perché nessuno le aveva mai notificato nessun atto”. “Storia surreale, quella di Anna, caso emblematico tra i tanti che purtroppo non emergono e non trovano spazio su giornali e televisioni”, prosegue la note della Casa della carità. “Anna, giovane donna di 27 anni, vive da tempo con le figlie, ha una casa e un lavoro fisso e retribuito, conduce una vita esemplare (come testimoniano tutti quelli che l’hanno conosciuta e frequentata in questi anni, a cominciare dalle maestre delle figlie e dal suo datore di lavoro) ma dal maggio del 2010 al gennaio di quest’anno non riceve alcuna notifica né dell’inizio del processo né della condanna. Viene dichiarata irreperibile senza che sia mai cercata. A gennaio scattano le manette: i Carabinieri che l’arrestano sono i primi a restare sorpresi di fronte a una persona normale che la mattina presto sta aiutando le figlie a vestirsi, le danno il tempo di portarle a scuola e di trovare qualcuno cui affidarle”. Anna era stata ospite della Casa della carità di Milano, dove era stata seguita e aiutata a rompere con il passato e a trovare una sua autonomia. La notizia del suo arresto trova don Virginio Colmegna, presidente della Casa, impegnato - insieme ai rappresentanti di associazioni e istituzioni - nella campagna “Carcere, diritti e dignità” che prevede, tra l’altro, un digiuno a staffetta contro la grave situazione esistente nelle carceri. Subito decide di prolungare il suo digiuno a oltranza: “Fino a quando - dice - Anna non sarà liberata”. Don Virginio è stato il primo ad abbracciarla all’uscita dal carcere di Como. Dopo giorni di tristezza, finalmente sorride anche lui: “È un gran risultato che, però, fa intravvedere quanto ancora ci si debba impegnare per difendere i diritti e quanto il carcere non serva”. L’abbraccio che mi ha dato, confessa, “è il segno di una grande gioia interiore”. Poi aggiunge: “L’appello di “Carcere, diritti e dignità” resta e continua per tutte le Anna che non hanno parola, contro il sovraffollamento carcerario, per la dignità e i diritti di tutti i detenuti”. Anna è libera, don Colmegna smette il digiuno (Avvenire) Anna è libera. Dopo trenta giorni di carcere, la donna rom con un passato già dimenticato e una nuova vita avviata ha potuto lasciarsi le sbarre alle spalle. La notizia arriva da don Virginio Colmegna, il presidente della fondazione Casa della Carità di Milano che ha così interrotto lo sciopero della fame (per lui solo un “digiuno”) iniziato alcuni giorni fa proprio per lei. Il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Milano ha dichiarato la non esecutività della sentenza e ha così disposto l’immediata scarcerazione. “È un gran risultato - esulta il fondatore della casa d’accoglienza milanese voluta dal cardinale Carlo Maria Martini - che, però, fa intravedere quanto ancora ci si debba impegnare per difendere i diritti e quanto il carcere non serva”. Per una vicenda del 2006 e, forse anche un errore burocratico, la donna, 27 anni e due figli in età scolare, si è vista improvvisamente chiamata a dover rispondere del reato di accattonaggio con minore. Anna ha una casa, un lavoro fisso retribuito e versa anche i contributi all’Inps. Una nuova vita che la donna si è costruita dopo anni di sofferenze e disagi e gli aiuti, in parte di Casa della Carità e in parte anche di una signora milanese che si era presa a cuore la sua storia di donna sola con due bambine piccole e senza futuro. Mentre cercava di ricostruirsi una vita, a sua insaputa, Anna era però finita anche nel mirino della giustizia. Denunciata, indagata e processata senza neanche saperlo, per lei, una mattina del gennaio scorso, sono scattate le manette. I carabinieri hanno bussato alla sua porta proprio mentre stava aiutando le figlie a vestirsi. Solo il tempo di accompagnarle a scuola e poi l’inizio di un nuovo incubo. La cella e il carcere. “Anna era stata condannata con sentenza di primo grado nel maggio del 2010 - racconta don Colmegna - al termine di un processo celebrato senza che potesse difendersi perché nessuno le aveva mai notificato nessun atto”. Anna era stata ospite della Casa della Carità di Milano, dove era stata seguita e aiutata a rompere con il passato e a trovare una sua autonomia. La notizia del suo arresto aveva colto di sorpresa e riempito di dolore il sacerdote, impegnato insieme ai rappresentanti di associazioni e istituzioni nella campagna “Carcere, diritti e dignità” che prevede, tra l’altro, un digiuno a staffetta contro la grave situazione esistente nelle carceri. Da lì subito la decisione di prolungare il suo digiuno a oltranza “fino a quando Anna non sarà liberata”. Ora Anna è libera. Ma l’appello resta, spiega don Colmegna. Un richiamo, rinnovato anche dalla visita del presidente della Repubblica, mercoledì, al carcere milanese di San Vittore, che il sacerdote fa a tutti i politici impegnati in campagna elettorale sui diritti dei detenuti e sulla situazione delle carceri italiane. “L’appello di “Carcere, diritti e dignità” (www.carceredirittiedignita.wordpress.it) resta e continua per tutte le Anna che non hanno parola - conclude don Colmegna - contro il sovraffollamento carcerario, per la dignità e i diritti dei detenuti”. Calabria: Caridi (Regione); bene riattivazione carcere sperimentale Laureana di Borrello Asca, 8 febbraio 2013 L’assessore alle attività produttive della Regione Calabria, Antonio Caridi - informa una nota dell’ufficio stampa della Giunta - coglie positivamente la notizia della prossima riattivazione del carcere sperimentale di Laureana di Borrello, ritenendo “che si tratti di un risultato importante colto dal territorio, grazie alla mobilitazione ed all’impegno della popolazione locale supportata dalle istituzioni e dagli attori sociali e politici della provincia reggina”. “La riapertura dell’istituto penitenziario Luigi Daga - sottolinea Caridi - pone riparo ad una evidente ingiustizia che era stata perpetrata ai danni di una struttura che si è rivelata un’esperienza dall’altissimo valore umano e sociale, un patrimonio per l’intera Calabria, un modello positivo, unico nel suo genere in tutta Italia, capace di restituire umanità e speranza ai detenuti e alle loro famiglie. Analogo impegno - secondo l’esponente regionale - dovrà ora essere speso per mantenere alto il livello di attenzione rispetto al reale utilizzo del Daga che rappresenta uno dei pochi istituti carcerari italiani all’avanguardia e di livello europeo, grazie alla sperimentazione di innovativi progetti di rieducazione e reinserimento. La struttura di Laureana di Borrello - evidenzia ancora Caridi - costituisce un esempio di buona amministrazione penitenziaria che garantisce il diritto costituzionale all’umanizzazione della pena e riesce a promuovere, in un’ottica di prevenzione e di inclusione sociale, percorsi di recupero e riabilitazione. Sono tutte ragioni che inducono a recepire con soddisfazione la vittoria di questa autentica battaglia di civiltà che la Calabria ha saputo portare avanti per non interrompere un circuito virtuoso per un’esperienza di assoluta eccellenza nel panorama italiano che permette allo Stato di mostrare solo gli aspetti repressivi della sua presenza sul territorio. Il Luigi Daga - ribadisce, in fine, l’assessore Caridi - ha infatti dimostrato di riuscire a valorizzare l’attività di custodia dei detenuti attraverso percorsi rieducativi e di recupero che hanno riflessi importanti anche sul reinserimento dei detenuti nell’ambito della società civile”. Catanzaro: Sindaco Lamezia chiede al Ministro chiarimenti su ventilata chiusura carcere Ansa, 8 febbraio 2013 Il sindaco di Lamezia Terme, Gianni Speranza, ha scritto al Ministro della Giustizia, Paola Severino, ed a tutti i parlamentari calabresi in merito alla ventilata chiusura del carcere della città. “Nonostante le rassicurazioni avute nei mesi scorsi - è scritto in una nota del Comune - è nuovamente ritornata la notizia della chiusura della casa circondariale di Lamezia Terme. Per questa ragione il sindaco Gianni Speranza ha incontrato i rappresentanti delle organizzazioni sindacali”. Nella lettera inviata al Guardasigilli Speranza chiede di “avere notizie certe e precise sul futuro della casa circondariale e dichiara la propria disponibilità e quella dell’Amministrazione comunale nell’individuare tutte le eventuali alternative possibili”. Cagliari: agenti e sindaci del territorio protestano a contro chiusura del carcere di Iglesias Agi, 8 febbraio 2013 Agenti della polizia penitenziaria e alcuni sindaci del territorio hanno manifestato stamane davanti al carcere di Iglesias contro il rischio che venga chiuso e il personale, una cinquantina di dipendenti, sia trasferito in altri istituti, così come i detenuti, un centinaio. La prospettiva avrà un impatto anche sugli altri operatori del carcere, oltre che sulle famiglie dei reclusi. “Dietro i numeri dell’amministrazione ci sono donne e uomini in divisa”, hanno scritto i sindacati della polizia penitenziaria (Cgil, Cisl, Sinappe, Uil, Sappe, e Osapp) in un volantino. “Dietro i numeri del governo ci sono famiglie che hanno una storia radicata in un territorio che non vogliono lasciare”. Secondo i manifestanti, “il governo, così facendo, incentiva la delinquenza e disincentiva la sicurezza”. Il senatore uscente del Pd Francesco Sanna ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia, Paola Severino, sulla paventata chiusura in Sardegna delle carceri di Iglesias e Macomer, atto “inopportuno - sostiene il parlamentare - a due settimane dalle elezioni per un governo che deve occuparsi solo degli affari correnti”. Nel documento Sanna chiede al ministro di sospendere gli atti di programmazione. “Chiudere le strutture di Iglesias e Macomer significa far fare un altro passo indietro allo Stato che in questo modo continua ad abbandonare le periferie”, sostengono il segretario provinciale del Pd Emanuele Cani, candidato alla Camera, e quello cittadino di Iglesias, Carla Cicilloni. “Il carcere di Iglesias è tra i meno inospitali dell’isola e solo recentemente e stata ultimata la costruzione della struttura esterna collegata al carcere”. Milano: dal Comune 5 corsi per la formazione professionale dei detenuti di Bollate Dire, 8 febbraio 2013 Elettricisti, panettieri, pasticceri, sarti e giardinieri: le opportunità per un nuovo percorso di vita e di reinserimento sociale. La Giunta comunale ha approvato la delibera per la partecipazione dei detenuti della Seconda casa di Reclusione di Milano Bollate ai percorsi formativi e professionali presso il Centro di Formazione di via Fleming 15. È la conferma dell’attenzione di Palazzo Marino al tema del reinserimento sociale e lavorativo delle persone recluse nella settimana di mobilitazione e sensibilizzazione sulla condizione delle carceri italiane, in cui la visita del Presidente Napolitano a San Vittore ha riacceso i riflettori sui problemi dell’intero sistema penitenziario. Cinque i corsi cui potranno accedere i detenuti: da quelli per elettricisti, operatori del verde e di sartoria a quelli sulla ristorazione e l’arte bianca per diventare panettieri o pasticceri. “Grazie a questi corsi intendiamo porre il lavoro e la formazione al centro del percorso di reinserimento sociale della persona”, spiega l’assessore alle Politiche per il Lavoro Cristina Tajani. “L’acquisizione di nuove competenze e professionalità - prosegue l’assessore - costituiscono concrete opportunità di sviluppo individuale che possono contribuire ad affrontare un nuovo percorso di vita al momento della scarcerazione in piena autonomia”. “Sono contenta - conclude Cristina Tajani - che l’approvazione di questa delibera avvenga subito dopo la visita del Presidente Napolitano a San Vittore e a conclusione delle giornate di mobilitazione e sensibilizzazione verso la condizione dei detenuti e dell’intero sistema penitenziario italiano”. Tutti i corsi saranno organizzati in moduli da 100 o 200 ore, a seconda del grado di preparazione e conoscenza della materia da parte degli iscritti. Al termine dei percorsi formativi, i frequentanti potranno avvalersi delle modalità di avvicinamento previste al mondo del lavoro, attraverso gli enti convenzionati con la casa circondariale di Bollate. Inoltre, a tutti coloro che avranno frequentato almeno il 75% dei moduli previsti in ogni singolo corso sarà rilasciato un attestato di frequenza. Il progetto si pone in continuità con le iniziative già avviate e poste in essere dalla collaborazione tra l’assessorato al Lavoro, Sviluppo economico, Università e Ricerca del Comune di Milano e il carcere di Bollate a cominciare dall’acceleratore d’impresa per le realtà imprenditoriali nate all’interno della casa circondariale. La scelta del Centro di Formazione di via Fleming del Settore Lavoro e Formazione del Comune di Milano è motivata dal fatto che la struttura - da anni in rete con le realtà e gli operatori attivi sul territorio - si occupa di formazione e avviamento al lavoro per soggetti svantaggiati. Inoltre pone al centro della propria attività didattica l’attenzione all’orientamento, alla formazione e alle politiche attive per la ricerca di opportunità lavorative, creando una spirale di valore che genera crescita, occupazione e inclusione sociale. Ferrara: Uil-Pa; sono 100 agenti su pianta di 250, così impossibile aprire la nuova sezione Dire, 8 febbraio 2013 “Aprire una nuova sezione alla Casa circondariale di Ferrara senza aumentare il personale non va bene, in quanto gli organici della Polizia Penitenziaria sono già carenti così”. Domenico Maldarizzi, del coordinamento regionale della Uil Penitenziari, non ha dubbi: “La sezione interessata è l’ex sezione femminile dove dovrebbero essere ubicati detenuti ad alto indice di vigilanza. Se pensiamo al fatto che Ferrara è un istituto in cui sono ristretti anche detenuti collaboratori di giustizia e che la pianta organica è assolutamente inadeguata anche solo per la situazione attuale, non possiamo esimerci dal manifestare la nostra contrarietà rispetto al progetto, almeno per come si parla”. “Non siamo disposti a subire arretramenti rispetto ai diritti, alla sicurezza del personale ed alle condizioni di civiltà all’interno della struttura”, chiosa il coordinatore della Uil Penitenziari. A Ferrara, rispetto a una pianta organica di 250 agenti di polizia penitenziaria ve ne sono solamente 189 e se si considera il personale impegnato in compiti non istituzionali, il personale in turno non arriva alle 100 unità. “Non si può pretendere di aprire un reparto a costo zero”, conclude Maldarizzi. Bologna: incontro tra Magistrati di Sorveglianza, Garante dei detenuti e Volontari Ristretti Orizzonti, 8 febbraio 2013 Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna, nella persona del Presidente Dott. Francesco Maisto, i magistrati Dott.ssa Bosi e Dott.ssa Napolitano, in collaborazione con l’Ufficio del Garante dei diritti delle persone private della Libertà personale Dott.ssa Laganà, hanno incontrato i volontari dell’Associazione L’Altro Diritto di Bologna al fine di collaborare e coordinarsi in un progetto che renda più fluida, efficace e intensa, l’attività di informazione legale extragiudiziale presso la Casa Circondariale “Dozza” di Bologna, già svolta da alcuni anni dai soci volontari dell’associazione. L’Altro Diritto è un’associazione di volontariato, un Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità che svolge un’attività di riflessione teorica e ricerca sociale sui temi dell’emarginazione sociale, della devianza, delle immigrazioni, dell’esecuzione penale e del carcere. Da anni, i soci volontari entrano in carcere in Toscana ed Emilia Romagna, dando vita ad un centro di informazione giuridica il cui scopo è soprattutto quello di informare le persone detenute dei loro diritti ed eventualmente di aiutarli ad accedervi, in tutte le circostanze in cui non è indispensabile la mediazione di un avvocato. I ragazzi, tutti volontari, sono studenti di Giurisprudenza e di Medicina, sono neolaureati, tirocinanti, avvocati e medici. Sono soprattutto giovani, passionari e impegnati, seri e competenti, di quelli che credono che un altro mondo sia ancora possibile, o almeno una fetta di mondo, e che ancora lottano con umiltà, forza e dedizione. È in questa cornice che si inserisce l’attività di collaborazione voluta dalla Magistratura di Sorveglianza con il Comune nell’espressione della Garante e L’Altro Diritto, per garantire la conoscenza di diritti troppo spesso nascosti, offuscati, impolverati e fare in modo che alla prossima apertura dell’anno giudiziario non rimbombi più la scioccante frase di Ernesto Lupo “più della metà della popolazione carceraria è indecorosamente ristretta”. Lucca: Sappe; detenuto al San Giorgio tenta il suicidio impiccandosi, salvato dagli agenti Ansa, 8 febbraio 2013 Ha cercato di uccidersi nella sua cella. Un detenuto italiano - in carcere per rapina e con pena a fine 2016 - ha tentato di impiccarsi nel carcere di San Giorgio usando un lenzuolo annodato. Per fortuna, però, alcuni agenti della polizia penitenziaria se ne sono accorti e lo hanno salvato in extremis. Purtroppo non è il primo caso di tentato suicidio in carcere: la situazione del San Giorgio è letteralmente esplosiva. Da tempo seguono denunce a tutti i livelli sul sovraffollamento del carcere. “Esprimo il sincero e convinto apprezzamento del primo sindacato della polizia penitenziaria, il Sappe, ai colleghi del carcere di Lucca che con il loro tempestivo intervento hanno salvato la vita a un detenuto italiano condannato per rapina con fine pena 2016 che ha tentato il suicidio in cella impiccandosi alle sbarre della finestra con il lenzuolo. L’uomo è stato accompagnato al reparto infermeria del carcere ma è ancora una volta solo grazie alla professionalità, al tempestivo intervento, alle capacità, all’umanità ed all’attenzione del personale di polizia penitenziaria che un detenuto è stato salvato da un tentativo di suicidio. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei baschi azzurri. Un gesto particolarmente importante e da mettere in evidenza, tanto che il Sappe chiederà all’Amministrazione penitenziaria di Roma una adeguata ricompensa (lode o encomio) al Personale di Polizia che è intervenuto per salvare la vita al detenuto. Un gesto eroico e da valorizzare che nelle carceri italiane accade con drammatica periodicità: si pensi che nel 2011 e 2012 la Polizia Penitenziaria ha sventato oltre 2.000 tentativi di suicidio di detenuti e impedito che più di 10mila atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. Trapani: un appello della Caritas per i detenuti nelle carceri della provincia a.marsala.it, 8 febbraio 2013 “L’ennesimo, solenne monito del Capo dello Stato sulle condizioni delle carceri conferma autorevolmente una preoccupazione che ci sta molto a cuore e che riguarda i detenuti in “astratto” ma per i volontari e per coloro che ci lavorano quasi quotidianamente hanno nomi e volti ben precisi - afferma il direttore della Caritas diocesana di Trapani mons. Sergio Librizzi. Vogliamo ribadire all’opinione pubblica locale le condizioni del carcere di Trapani dove a causa del sovraffollamento e alle precarie condizioni relative anche ai bisogni primari di cui i detenuti sono privi, la situazione è molto preoccupante. La realtà è grave e va ripresa alle radici considerando che non basta giustificare questa condizione umanamente degradante affermando che siamo in un momento di crisi: ci sono diritti fondamentali della persona che riguardano la dignità prima ancora della moralità, che vanno affermati come valori assoluti anche dietro le sbarre. I grandi facciano quello che vogliono noi continuiamo, come chiesa, come possiamo, a stare accanto a quanti soffrono senza ricercare le soluzioni globali ma nel limite del possibile, rendendo una credibile testimonianza cristiana attraverso gesti concreti anche se piccoli e spesso nascosti. Già nel 2000 la Diocesi con il progetto “adotta un detenuto” ha promosso una campagna in tutte le parrocchie per assicurare mensilmente a quei detenuti che non ricevono “visite” o quei ladri di polli che non hanno alle spalle alcuna “organizzazione” né familiare né di altra natura capaci di assisterli, un contributo mensile per potersi dotare di materiali igienico - sanitario e beni indispensabili per vivere da reclusi. Accanto alle attività a favore dei detenuti c’è da segnalare l’impegno di tutte le parrocchie dei detenuti domiciliari: gente che spesso commette reati per sopravvivere e che una volta agli arresti domiciliari, ha bisogno del sostegno della Caritas per continuare a vivere. In carcere sono poi presenti diversi operatori pastorali a sostegno delle attività del cappellano mons. Gaspare Gruppuso che operano attraverso colloqui, formazione catechistica, sostegno umano e spirituale. Nella parrocchia Cristo Re ordinariamente sede del cappellano, inoltre è da sempre attiva una piccola struttura di accoglienza per “permessanti” o dimessi in attesa di lasciare il territorio trapanese. Inoltre anche presso Badia Grande recentemente è stato riattivato il dormitorio che è messo anche a loro disposizione. Un altro strumento importante attivato con la collaborazione della Caritas riguarda i progetti di “borsa lavoro” per i detenuti in cui la rete Caritas è fondamentale per garantire le aziende che ospitano i detenuti in regime di borsa lavoro (in questi progetti sono stati inseriti già 60 soggetti del circuito penale). Una nota particolare riguarda il carcere di Favignana che è “casa di reclusione”: qui ci sarebbero molte opportunità di garantire una condizione di vita migliore ai detenuti in quanto, se vi fossero strutture di accoglienza idonee, tanti potrebbero uscire dal carcere. A Trapani invece il problema più grosso è rappresentato dalla presenza di molti extracomunitari che vivono dimenticati, in totale abbandono per i quali gli interventi risultano purtroppo sempre insufficienti. Il sovraffollamento inoltre impedisce il successo di molte attività che in un contesto normale avrebbero una funzione rieducativa di maggiore efficacia. Sono in corso di progettazione nuove iniziative che possano offrire ai detenuti maggiori occasioni lavorative anche in carcere e in collegamento con gli enti di formazione già presenti in carcere, proporre nuove attività che possano dare alla formazione un risvolto lavorativo più immediato. L’invito è rivolto a tutti: non dimentichiamo i detenuti, lottiamo per evitare la disumanizzazione delle strutture carcerarie e della nostra società”. La Casa Circondariale di Trapani ospita attualmente oltre 500 detenuti ospitati nelle quattro sezioni detentive. Un terzo circa dei detenuti sono extracomunitari e molti italiani provengono da situazioni economiche veramente precarie. Chi non ha il sostegno della famiglia vive in una condizione di povertà assoluta: umana e relazionale ma anche economica. “Ad alcuni detenuti, soprattutto agli immigrati, manca tutto: le ciabatte per fare le doccia e le scarpe per uscire per l’ora d’aria, i francobolli e i soldi per telefonare e comunicare con la famiglia, ad alcuni finanche la carta igienica - spiega mons. Gruppuso. La totalità degli extra - comunitari e molti italiani sono sprovvisti di biancheria intima, scarpe, asciugamani, calze, tute, pigiami e vestiti in genere, così come di prodotti per l’igiene personale. Molti detenuti chiedono oggetti religiosi quali rosari, medaglie, ecc. Altri desiderano leggere la Bibbia o avere dei sussidi per pregare e diventa sempre più difficile venire incontro alle esigenze di tutti”. Aosta: il Garante dei detenuti a Roma per la riunione del Coordinamento nazionale Aosta Sera, 8 febbraio 2013 Si è discusso del problema ormai strutturale del sovraffollamento delle carceri italiane nella riunione del Coordinamento nazionale dei Garanti dei diritti dei detenuti che si è svolta lo scorso martedì a Milano. Al Parlamento che si formerà dopo le imminenti elezioni verrà chiesta una sessione straordinaria e sarà proposta una riforma dell’ordinamento penitenziario che non ponga il carcere al centro degli strumenti di “rieducazione” di chi infrange la legge. A Milano per la Valle d’Aosta era presente Enrico Formento Dojot, Difensore civico della Regione al quale è stato recentemente affidato anche l’incarico di Garante dei diritti dei detenuti. “Il Coordinamento ha colto l’occasione della visita del presidente della Repubblica Napolitano al carcere di San Vittore per ribadire le iniziative assunte - spiega Formento Dojot. Si tratta, in primo luogo, di proposte concrete volte a risolvere il problema ormai strutturale del sovraffollamento delle carceri, quali l’individuazione di misure alternative alla detenzione, soprattutto per i detenuti a fine pena, nonché la depenalizzazione di reati minori: queste misure comporterebbero, nell’immediato, ad una riduzione di circa il 30% della popolazione carceraria”. Il Coordinamento ha intenzione anche di partecipare alla predisposizione dei bandi per il sopravvitto, cioè i beni eccedenti a quelli essenziali. “Infine - dice Formento Dojot, sarà posta particolare attenzione al diritto all’effettività dei ristretti, per renderlo concreto e solido”. “Non bisogna dimenticare - conclude il Garante - che la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha concesso allo Stato italiano un anno per eliminare le criticità del sistema - carcere nel nostro Paese”. Fossombrone (Pu): dal carcere la nuova rubrica a cura dei detenuti Il Menestrello, 8 febbraio 2013 In una visita recente alla casa di reclusione dì Fossombrone, propiziata dal curatore della biblioteca carceraria, Lorenzo Sabbatini, ho chiesto ai solerti lettori di quella piccola ed ingombra biblioteca se fossero interessati a curare una rubrica su un settimanale locale. Ho trovato curiosità ed attenzione verso la proposta che ho voluto girare all'amico Roberto Giungi, che da anni pubblica questo foglio settimanale. A Fossombrone non esiste infatti quartiere più vorace di letture della casa di reclusione. Contrariamente a quello che si possa pensare, chi vi vive legge, studia e scrive più di molte altre persone. Gli utenti di quella piccola biblioteca, che stiamo cercando di collegare a quella comunale, sono lettori attenti, a volte colti, appassionati. Parlano dei libri che hanno letto come di esperienze vissute, perché, si sa, chi legge vive molto di più. Vive molte vite, si immedesima, viaggia, si emoziona. E soprattutto riflette. Questa rubrica, curata dai lettori della casa di reclusione, è dedicata a loro. È una finestra che si apre non tanto su un mondo a parte, su ciò che ci divide, ma su ciò che ci unisce e che ci accomuna. La passione inviolabile per la cultura, che vive chiunque apra un libro, che stia dietro le sbarre o seduto sul sofà di casa sua. Un libro è un libro. È una porzione di libertà che l'anima guadagna ogni volta che si appresta alla lettura. Paride Prussiani, Assessore alla Cultura Il gruppo di lettura Ripartire da zero, questo è il filo che lega il nostro gruppo di lettura, composto da uomini coscienti degli errori commessi e alla ricerca dei valori condivisi dalla società civile. Tutto è cominciato a seguito dell'iniziativa dì Lorenzo che di mestiere fa il bibliotecario e che con tenacia ha perseguito l'idea di portare fra queste mura l'amore per la parola scritta. Trovando con sorpresa che molti detenuti erano già lettori incalliti. Così è nato questo gruppo dì lettura che nel tempo ha perso qualcuno dei suoi componenti: uno ha terminato la pena e qualche altro è stato trasferito, perché qui dentro siamo tutti provvisori. Siamo quindi rimasti in quattro: 'Salvatore, il nostro filosofo che ama scavare nelle parole; Ciccio, appassionato lettore che con la sua sensibilità riesce sempre a trovare significati originali e profondi a ciò che legge; Antonio, colui che volontariamente e con notevole impegno personale si occupa della nostra piccola biblioteca interna e infine io, Biagio, il brontolone del gruppo che ha sempre qualcosa da dire su tutto. Ecco questo è il gruppo dì lettura di Fossombrone che amerebbe conoscervi e farsi conoscere, condividendo con i lettori del giornale le gioie, le tristezze, le riflessioni e anche il dolore che scaturiscono dalle pagine dei libri. Sensazioni diverse che si miscelano con la nostra condizione di reclusi che ci "dona" un'estrema sensibilità. L'universo carcerario rispecchia esattamente la composizione sociale esterna. Tra dì noi vi sono persone provenienti da tutti gli ambienti. Platone diceva: "Se uno, con la parte migliore del suo occhio, che noi chiamiamo pupilla, guarda la parte migliore dell'occhio dell'altro, vede se stesso". Quindi state tranquilli che non siamo così diversi da voi. Svizzera: detenuti appiccano incendio in carcere Bois-Mermet per tentativo suicidio Apcom, 8 febbraio 2013 Due detenuti nel carcere di Bois-Mermet, a Losanna, sono stati tratti in salvo giovedì sera dopo aver appiccato il fuoco alla loro cella. I due giovani avrebbero tentato di suicidarsi. Entrambi ventenni, i prigionieri hanno appiccato il fuoco a diversi oggetti verso le 22, dopo aver fumato una sigaretta insieme, riferisce oggi la polizia. Intervenuto rapidamente, il personale penitenziario ha trovato uno dei detenuti privo di sensi, mentre il secondo lamentava dolori e difficoltà respiratorie. Secondo la polizia, i due giovani - un brasiliano e uno svizzero - avrebbero voluto togliersi la vita. Una lettera in questo senso è stata rinvenuta nella tasca del detenuto privo di sensi, mentre il secondo ne ha consegnato una identica ai soccorritori. Nel marzo 2010 il detenuto Skander Vogt era deceduto in condizioni analoghe a Bochuz (Vd). In seguito alla sua morte, il Cantone ha varato diverse misure, fra le quali la revoca della responsabile del Servizio penitenziario vodese. Somalia: donna messa in carcere dopo denuncia contro militari che l’hanno violentata Redattore Sociale, 8 febbraio 2013 La storia di Halima. Insieme a lei sono finiti in carcere alcuni giornalisti. Un caso non isolato: gli stupri sono commessi da poliziotti e funzionari di governo e i media vengono messi a tacere. Insorgono le associazioni per i diritti. Qualsiasi donna vittima di stupro conferma il trauma che si subisce dopo una tale traversia. Ma è ancora più demoralizzante quando c’è un complotto fra i colpevoli e la macchina dello stato per insabbiare quanto avvenuto e lasciare le vittime emotivamente ferite per sempre. Questa è la dura realtà a cui è andata incontro una donna che ha subito uno stupro di gruppo a Mogadiscio nel gennaio di quest’anno da parte di un gruppo di soldati che lavorano nelle forze armate somale. Nella suo tentativo di cercare giustizia, Halima (nome fittizio), ha denunciato l’accaduto a un poliziotto dopo essere stata assistita da un’amica ed alcuni giornalisti. Ma con suo grande sgomento, lei, la sua amica e due giornalisti sono stati trattenuti dalla polizia. L’arresto e la detenzione dei quattro hanno attirato l’ira dei garanti per i diritti umani, inclusi Amnesty International, Human Rights Watch (Hrw) e il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj). “Il nuovo governo della Somalia dice di credere nello stato di diritto e nella stampa libera ma sta facendo esattamente l’opposto, trattenendo giornalisti e altre persone che hanno denunciato casi di stupro. Le autorità dovrebbero immediatamente rilasciare i quattro detenuti ed avviare delle indagini sul presunto reato sessuale”, ha affermato Daniel Bekele, direttore di Human Rights Watch per l’Africa. Mentre la donna è stata rilasciata dopo due giorni, suo marito è stato successivamente arrestato il 12 gennaio ed è tuttora detenuto, insieme ai giornalisti. I media in Somalia in particolare hanno dovuto subire attacchi per aver riportato casi di stupro in una nazione devastata dalla guerra. Paradossalmente la maggior parte di questi casi di stupro sono commessi dalla polizia, dai militari o da altri funzionari di governo, talvolta in campi profughi nella capitale del paese, Mogadiscio. Ma quello di Halima non è un caso isolato. Gruppi per i diritti umani denunciano che a causa dello stigma sociale connesso allo stupro e della mancanza di supporto da parte del governo, molti casi di stupro non vengono denunciati perché ragazze e donne nelle comunità di campi profughi temono ulteriori attacchi da parte degli agenti di sicurezza. Non semplifica le cose il fatto che servizi di assistenza psicologica ed altri tipi di servizi per le vittime non sono facili da trovare. I giornalisti che lavorano in Somalia temono continuamente per la propria vita poiché molti di loro sono stati uccisi nell’adempimento del proprio dovere. Secondo Tom Rhodes, consulente per l’Africa Orientale nel Comitato per la protezione dei giornalisti, “la Somalia è uno dei posti più pericolosi nel mondo in cui essere giornalista”. “Intervistare una persona, a prescindere dalla veridicità della storia, non è mai stato un crimine. Le autorità dovrebbero passare più tempo ed investire più risorse nel condurre indagini su crimini, non l’inverso”. Nella maggior parte dei casi, i giornalisti vengono accusati di inventare storie. In questo particolare caso di stupro, nessuno ha osato fare tali affermazioni, ad eccezione del ministro degli Interni. Sia le vittime che i giornalisti non hanno alcuna risorsa e continuano a soffrire per mano di autorità dittatoriali. Questo accade nonostante il fatto che il presidente della Somalia Hassan Sheikh Mohamud abbia giurato di punire le forze di sicurezza accusate di violazione di diritti umani, incluso lo stupro. Con il crescente numero di casi di molestie da parte della polizia, resta da vedere se questa promessa verrà mantenuta. Cina: indennizzo a donna detenuta illegalmente dopo denuncia ingiustizie subite da marito Ansa, 8 febbraio 2013 Il governo cinese pagherà un indennizzo alla donna che è stata illegalmente detenuta per tre anni in una baracca che si trova all’interno di un cimitero. Il caso della donna, Chen Qingxia, è emerso in dicembre, in seguito alle denunce di cittadini che erano venuti a conoscenza dei fatti. La donna era stata arrestata dalla polizia della sua provincia, l’Heilongjiang, nel nordest della Cina, per impedirle di recarsi a Pechino a denunciare il caso del marito, Song Lisheng, che era stato condannato a 18 mesi di “rieducazione attraverso il lavorò - ingiustamente, secondo la donna. Sei poliziotti sono stati licenziati e il governo locale ha promesso che farà di tutto per ritrovare il figlio della coppia, sparito dopo l’arresto della madre. È la seconda volta in pochi giorni che le autorità cinesi intervengono a favore dei petitioners (postulanti), che si recano a Pechino dalle province per denunciare le ingiustizie subite dalle autorità locali. All’inizio di questa settimane tribunale di Pechino ha condannato dieci persone che avevano illegalmente arrestato alcuni petitioners e averli rinchiusi in una delle cosiddette “prigioni nere”, cioè illegali.