Giustizia: carceri, in gioco prestigio dell’Italia di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 7 febbraio 2013 Lanciare il tema del carcere nel pieno della campagna elettorale, come ha fatto Giorgio Napolitano, è una bella sfida per misurare la volontà politica di non cavalcare l’imperante demagogia e di assumersi la responsabilità di scelte riformatrici strutturali, anche se impopolari. Il presidente della Repubblica, in visita al carcere milanese di San Vittore, ricorda che “sono in gioco il prestigio e l’onore dell’Italia” e ciò impone un “impegno inderogabile delle forze politiche” ma anche dei “cittadini elettori” proprio nel momento in cui si andrà ad eleggere il nuovo Parlamento. L’amnistia? Se ci fosse stato il consenso parlamentare necessario “avrei firmato non una, ma dieci volte” confessa il Capo dello Stato, promettendo che quando tornerà ad essere un semplice senatore il suo impegno continuerà, “nei limiti delle mie forze, finché avrò un po’ di energia”. Intanto, però, “nessuno può negare - ha detto - la gravità e l’urgenza dell’attuale realtà carceraria” e, senza voler interferire sulle future linee di politica penale e penitenziaria, ha ricordato che già esistono importanti proposte di misure strutturali, come quelle contenute nella relazione dello scorso novembre della Commissione mista Csm - Ministero - Magistratura di sorveglianza. Con l’eccezione della Lega, l’ipotesi di un’amnistia non viene esclusa da quasi nessuna delle coalizioni in campo (ferme restando le differenze sull’ampiezza del provvedimento di clemenza) per decongestionare le patrie galere (e i Tribunali). Il rischio, però, è che l’amnistia metta in secondo piano le riforme “strutturali” necessarie a voltare pagina, che ci ha chiesto anche la Corte europea dei diritti dell’uomo con la recente sentenza di condanna dell’Italia per trattamenti inumani e degradanti. Di qui l’importanza dell’indicazione - di metodo e di merito - di Napolitano. Se il futuro governo volesse, potrebbe anche adottare un decreto legge perché i presupposti di necessità e di urgenza ci sono, e potrebbe avvalersi subito del contributo del Csm - Ministero. Non è la prima volta che il presidente della Repubblica denuncia l’insostenibilità delle condizioni in cui vivono i detenuti, peraltro non da oggi visto già nel 2008, con l’allora governo Berlusconi, il carcere fu formalmente definito “un’emergenza nazionale”. Appelli rimasti inascoltati, anche quando ha sollecitato scelte più marcate nella direzione delle misure alternative alla detenzione. Il ddl del governo, infatti, dopo il voto della Camera si è arenato al Senato: non avrebbe risolto il problema del sovraffollamento (al Dap hanno calcolato che sarebbero uscite 350 - 400 persone) ma avrebbe comunque indicato una strada da continuare a seguire. Cominciano invece a farsi sentire gli effetti della legge salva - carceri (che però è una legge a tempo perché scade a fine 2013) visto che in due anni 9.386 detenuti hanno finito di scontare la pena ai domiciliari (di questi, 2.627 sono stranieri). La stessa legge ha contribuito a ridurre sensibilmente gli ingressi in carcere di brevissima durata, limitando il cosiddetto fenomeno delle “porte girevoli”. I numeri, però, restano drammatici. I detenuti sono circa 66mila, 22mila in più rispetto ai posti disponibili e il tasso di affollamento dell’Italia resta il più alto d’Europa. Secondo i dati del Dap, al 31 gennaio 2013 c’erano 25.520 persone in custodia cautelare: il 19% in attesa di primo giudizio, e circa il 20% in attesa della sentenza della Corte d’appello e della Cassazione. Gli stranieri erano 23.473 (il 50% dei quali in custodia cautelare) mentre il 37% della popolazione carceraria ha violato la legge sulle droghe. Nelle patrie galere, il 60% dei presenti è pluri - recidivo e il 50% (268.459) ha tra una e quattro carcerazioni precedenti a quella per cui è attualmente in cella. Ben 350 detenuti hanno più di 15 carcerazioni alle spalle, 1.394 tra 10 e Un decreto legge che “salvi” le carceri È in gioco “l’onore dell’Italia” ammonisce Giorgio Napolitano in visita al carcere milanese di San Vittore. Sotto il peso della sua responsabilità, il presidente della Repubblica torna a chiedere un cambio di passo nella politica penale e penitenziaria per superare la violazione dei diritti fondamentali che si consuma nelle patrie galere. Il filosofo Ronald Dworkin ricordava che “la violazione dei diritti umani produce un danno incalcolabile” perché “mortifica l’orgoglio, l’onore di una nazione”. Tanto dovrebbe bastare a non farci girare la faccia dall’altra parte quando si parla delle “insostenibili condizioni” in cui vivono oggi 66mila detenuti. Il danno è alla credibilità del nostro Paese (quanti punti di spread vale?) ma anche alla sua tenuta democratica, perché è solo colmando lo scarto purtroppo esistente tra i valori fondanti dello Stato e il “sentire comune” che cresce e si rafforza una democrazia. Bisogna tornare alla Costituzione, alla costruzione di un carcere sensato, fabbrica di libertà e non di delinquenti (il carcere chiuso produce il 70% dei recidivi, le misure alternative il 30%), dove i detenuti, nel rispetto della loro dignità, espiano la pena in funzione del reinserimento sociale. L’amnistia non è un tabù ma può essere una toppa senza riforme come depenalizzazione, decarcerizzazione, misure alternative, che ci chiede anche la Corte dei diritti dell’uomo. Piuttosto, poiché “nessuno può negare la gravità e l’urgenza dell’attuale realtà carceraria”, il futuro governo metta subito in agenda un decreto legge. Non siamo all’anno zero: ci sono fior di progetti “strutturali” sul carcere, che aspettano solo un governo disposto a riscattare l’onore dell’Italia. Giustizia: la pena, i princìpi, la realtà… crudele e basta di Giuseppe Anzani Avvenire, 7 febbraio 2013 Forse è stato un azzardo impossibile, quello dei padri della Costituzione, aver scritto che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Nel pensiero giuridico dell’Italia premoderna, fra pena ed emenda c’era un abisso. Scriveva Francesco Carrara, nel suo “Programma del corso di diritto criminale” che la pena dev’essere afflittiva per il reo, esemplare, irredimibile, senza cessare se il reo si emendi, perché “punire vuol dire recare un male”. L’emenda, pur lodata, era per quel pensiero altra cosa: “emendare, istruire, educare vuol dire recare un bene grandissimo”, ma fuori dalla pena. Appartiene ad altra iniziativa umana, lascia la pena dentro il suo necessario dolore. Una linea dura, inflessibile. La Costituzione ha varcato questa linea di separazione, ha inserito la funzione rieducativa nel seno stesso della pena. Vale a dire che la tensione rieducativa intrinseca è condizione di ammissibilità d’ogni pena. Non c’è scritto in Costituzione: multa, carcere, frustate, o chissà. C’è scritto rieducazione; e se una pena, ereditata dal passato o escogitata di fresco, non ha la tensione educativa, è una pena non ammessa, è una pena fuorilegge. Nella febbrile attenzione che negli ultimi anni (anni, vi rendete conto?) ha chiesto a noi tutti la situazione carceraria italiana, di singolare disumanità nel mondo, il suo aspetto crudele, umiliante, di tortura di Stato ci può dare solo il primo urto. Ma non basterebbe toglierci di dosso questa macchia turpe per dar conto ai padri costituenti d’aver adempiuto oppure tradito la loro ulteriore promessa. Dunque è il carcere in sé, è questo carcere in sé, è la filosofia della cella che va ripensata. E ora questo nobile vecchio presidente della nostra Repubblica, che passa una mattinata a San Vittore, storico carcere emblematico della sofferenza cementata dietro le sbarre di ferro, e visita i detenuti e parla con parole di uomo ad altri uomini, mentre il tempo fattosi breve lo incammina al congedo dalla sua carica, non fa una visita di cortesia, o un gesto di protocollo. Fa un atto politico e penitenziale; porta l’Italia, di cui impersona l’unità, e la classe dirigente che se ne dice rappresentante, a una voglia di emendare se stessa per non aver saputo, o voluto, fare giustizia in ordine alla pena. Una pena fatta così è l’epilogo nel quale la giustizia s’illude di celebrare la vittoria sul male mediante un male che offende la dignità dell’uomo, la ferisce al pari del delitto con i suoi riti di umiliazione. La vergogna di fronte al mondo va di pari passo con il rimorso della coscienza civile e morale. A far da contrappunto alle parole del presidente Napolitano, le parole di una donna straniera (proprio sulla tensione rieducativa, come “elemento che ci permette di dare senso al nostro percorso di cambiamento”) e di un uomo italiano (sulla concreta urgenza di soluzione già ora praticabile, per 20mila detenuti almeno, con misure alternative). La méta e il cammino, insieme. Il monito e la supplica. La ragione e la passione. Che questa giornata resti impressa nella memoria della classe politica che sta per rinnovarsi, in cima alle agende. Che scuota anche i magistrati, ai quali la legge dà le chiavi per chiudere e per aprire, nei margini possibili. Giustizia è parola tagliente, sei mesi di carcere senza condizionale a una giovane donna romena con tre bambini, per un fatto di mendicità del 2006, sono l’ultimo esempio della sferza sui poveri. Rieducativa? No, crudele e basta. Giustizia: misure alternative, l’unica cura efficace di Cinzia Arena Avvenire, 7 febbraio 2013 Le carceri italiane scoppiano, le condizioni di vita sono spesso disumane e sull’Italia pesa la condanna della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che ha accusato il nostro paese di violare i diritti dei detenuti tenendoli in celle dove hanno a disposizione meno di 3 metri quadrati a testa. Il sovraffollamento degli istituti di pena, 22mila detenuti in più rispetto alla capacità reale, il dato peggiore in Europa, è una situazione che sulla carta potrebbe venire risolta semplicemente applicando le misure alternative o la detenzione domiciliare. Sono 24mila i detenuti che ne avrebbero diritto, perché hanno da scontare una pena residua inferiore ai tre anni, ma sono pochi quelli che vi accedono per colpa di ostacoli normativi. Luigi Pagano, per 16 anni direttore di San Vittore e attualmente vicepresidente del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è convinto che la soluzione sia a portata di mano. Basterebbe applicare con maggiore incisività le norme che già esistono ma che sono sinora rimaste lettera morta. “Diecimila detenuti hanno pene inferiori ad un anno, già intervenendo su questi, si farebbe un grande passo avanti” spiega. E non si tratta solo di una questione di numeri. “Le misure alternative sono l’unica soluzione efficace contro il sovraffollamento, sono quelle che abbattono la recidiva del 70 - 80%, nel tempo che si passa in carcere al massimo si può peggiorare” aggiunge Pagano. Un investimento dal punto di vista sociale, quindi, perché favorisce un pieno reinserimento. I margini di manovra ci sono per trasformare le pene minori in un’opportunità, attraverso soprattutto l’affidamento ai servizi sociali. “Penso ad esempio ai lavori socialmente utili per reati legati al codice della strada” aggiunge Pagano. Altra strada da percorrere per quei detenuti con pene più lunghe, quella del lavoro in carcere, sino ad oggi un “lusso” riservato a pochi. Un modello da seguire è quello di Bollate dove la stragrande maggioranza di carcerati lavora (dentro e fuori dal carcere) e rientra in cella solo per dormire. “Il risultato è che la recidiva per chi esce da quella struttura è solo del 10% a fronte di percentuali del 90% di chi trascorre la detenzione in completa inattività come purtroppo avviene a San Vittore che essendo una struttura vecchia offre poche possibilità su questo fronte”. I numeri parlano chiaro: il 60% dei detenuti è recidivo, il 50% ha tra una a quattro carcerazioni precedenti, che in pochi casi (350 in tutto) salgono sino a 15. I dati forniti dal Dap scattano una fotografia dei detenuti presenti nelle carceri italiane: 24mila sono stranieri, 15mila sono giovani al di sotto dei 30 anni, 1581 gli ergastolani. Sulla questione delle misure alternative è intervenuta anche Paola Severino, ministro della Giustizia che ha ricordato come il ddl predisposto dal governo Monti su questa materia non sia arrivato al termine del suo iter parlamentare per un soffio. “Avrebbe tracciato un importante solco nella direzione delle misure strutturali che ci chiede la corte europea dei diritti dell’uomo”. Giustizia: le lacrime di coccodrillo e le occasioni perse… di Maurizio Bolognetti Notizie Radicali, 7 febbraio 2013 Signor Presidente Napolitano, perdoni se questa mia potrà apparirle irriguardosa, ma le scrivo da cittadino che ha a cuore quel dettato costituzionale di cui lei dovrebbe essere garante e custode. C’è in queste ore, signor Presidente, un coro di “anime belle” che si affretta a rilasciare dichiarazioni sulle patrie galere di questo Paese, che da tempo con Marco Pannella abbiamo definito luoghi di tortura senza torturatori, “un consistente e allarmante nucleo di nuova shoah”. Sono gli stessi, signor Presidente della Repubblica, che hanno contribuito ad espellere dal dibattito politico un tema di grande rilevanza per la vita sociale ed economica di questo Paese: la Giustizia. Sono gli stessi che di fronte a chi ha ripetutamente invocato un provvedimento di amnistia e indulto, utile a sanare la flagranza di reato contro i diritti umani e la Costituzione, hanno preferito non intervenire. Sono gli stessi che di fronte alle morti che si susseguono in carceri indegne del paese che diede i natali a Cesare Beccaria, visitano Poggioreale per dirci “pensavo peggio”. Le parole pronunciate in queste ore, a ridosso dell’ennesima condanna inflitta al nostro paese per la violazione della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, hanno il sapore della presa di posizione da parte di chi in cinque anni nulla ha fatto per sanare la ferita inferta alla Costituzione, allo Stato di diritto. Gli stessi farisei che non hanno prestato ascolto al grido di dolore proveniente da quegli inferni danteschi che chiamiamo carceri, adesso tentano di tacitare la loro cattiva coscienza con qualche visita spot e un pò di lacrime di coccodrillo. Ovviamente, nel farlo si guardano bene dall’entrare nel merito di una questione di enorme portata, che è quella delle condizioni in cui versa l’amministrazione della giustizia in questo paese. Una volta di più si evita di affrontare il tema della bancarotta della giustizia, di cui le carceri sono il putrido percolato. Non una parola sul sovraffollamento dei nostri tribunali e su una situazione che da 30 anni ci vede condannati per la non ragionevole durata dei processi e quindi per la violazione della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo. Signor Presidente, spero vorrà perdonarmi, ma le confesso che anche le sue parole suonano al mio orecchio come lacrime di coccodrillo. Un bel coccodrillo presidenziale, magari uno di quei coccodrilli che qualcuno aveva preparato per commemorare il fu Giacinto detto Marco, che per sua e nostra fortuna è ancora sulla breccia a combattere e lottare. Nel luglio del 2011, signor Presidente, lei ebbe a pronunciare parole importanti nel corso di un convegno tenutosi presso la sala Zuccari di Palazzo Giustiniani. Parole che per un attimo hanno alimentato la speranza di noi tutti. Lei forse le ricorderà meglio di me: “Una prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Peccato, signor Presidente, che Lei quelle parole forti, sagge, pesanti come pietra non le abbia nutrite come poteva e come doveva. Anzi, per amore di verità va detto che ben presto, troppo presto, quella prepotente urgenza si è trasformata in altro. Circa un anno dopo, signor Presidente, oltre 120 docenti universitari le hanno rivolto un appello promosso dal Partito Radicale. L’incipit di quell’appello, gioverà ricordarlo, recitava: “Ci rivolgiamo a Lei quale primo garante della legalità costituzionale del nostro ordinamento, con la massima fiducia in un Suo immediato ricorso al potere di messaggio alle Camere, affinché il Parlamento eserciti finalmente le proprie prerogative per dare una contestuale risposta, concreta e non più dilazionabile, sia alla crisi della giustizia italiana che al suo più drammatico punto di ricaduta, le carceri”. Il ricorso al messaggio alle Camere, signor Presidente, per come la vediamo noi altri, di fronte alla patente violazione da parte del nostro Stato del dettato costituzionale e di Convenzioni internazionali a tutela dei diritti umani che abbiamo recepito e ratificato, era suo preciso dovere. Atto dovuto e non concessione da parte di chi è, o dovrebbe essere, il garante e il custode della Costituzione. Lei, signor Presidente, quel dovere non ha inteso esercitarlo, così come ha rapidamente rimosso la prepotente urgenza. Peggio nella risposta al professor Pugiotto, Lei ha tracimato il suo ruolo scrivendo dell’assenza di “condizioni”. Da cittadino di questo Stato criminale, dove da troppo tempo la Costituzione scritta è stata sostituita dalla costituzione materiale, ritengo che con quella risposta Lei non abbia voluto e saputo onorare il suo ruolo, che contrariamente a quanto crede un noto editorialista è quello di garante e non di arbitro tra le bande in lotta, ahimè incapaci di guardare nell’abisso nel quale siamo precipitati. Lei, che pure in questi mesi non ha esitato ad intervenire costantemente nel dibattito politico, tracimando il suo ruolo, ha dichiarato di non voler interferire “nel dibattito in corso”. E infatti, “l’interferenza” che le avevamo chiesto, che abbiamo invocato era una “interferenza” non nel dibattito, che tra l’altro è da tempo negato e che non c’è, ma una “interferenza” costituzionalmente prevista e che lei avrebbe dovuto sentirsi in dovere di esercitare. Sicché, signor Presidente, non me ne voglia se le dico che questa sua uscita di fronte alla patente omissione di un suo dovere ha il sapore dell’ipocrisia e del fariseismo partitocratico. L’onore dell’Italia, Presidente, ce lo siamo giocato anche grazie a questa omissione e oggi è davvero difficile non percepire come sfilata di “Anime belle” la fila di coloro che si affrettano a visitare le patrie galere convenientemente dimenticando la questione giustizia. Verrebbe voglia, Presidente, osservando quanto sta accadendo in queste ore, di citare una volta di più il vangelo di Matteo: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!” Ma forse sarebbe più appropriato citare il premio Nobel Gunnar Myrdal, che affermava che quando la violazione della legalità da fenomeno marginale diventa “l’in sé” del sistema, la struttura dello Stato di diritto ne resta sconvolta. O meglio ancora, verrebbe da citare Marco Pannella che poche ore fa ha affermato: “Il diritto di fatto contro la lettera del diritto”. Spero, Presidente, che tra qualche mese, nelle sua nuova veste di Senatore a vita, Lei possa dar corpo con noi e per davvero a questa lotta volta a rimettere sui binari della legalità questo nostro Stato assurto al ruolo di delinquente professionale. Spero che Lei, Presidente, possa aver compreso cosa chiedevamo al Garante, al nostro Presidente, e il perché di quella richiesta che è stata dialogo e dialogo nonviolento portato avanti innanzitutto da Marco Pannella, ma anche da quella Comunità penitenziaria che lei ha visitato. Giustizia: oltre San Vittore. Napolitano… i miei appelli messaggi in bottiglia di Mariantonietta Colimberti Europa, 7 febbraio 2013 “In gioco c’è l’onore dell’Italia: nessuno deve negare l’emergenza”. Le parole inequivocabili di Giorgio Napolitano sono risuonate severe nel carcere di San Vittore a Milano, dove il presidente ha incontrato detenuti e agenti della polizia penitenziaria e ricevuto doni realizzati dagli stessi ospiti. A tutti il capo dello stato ha ricordato di aver più volte “denunciato l’insostenibilità della condizione delle carceri e di coloro che vi sono rinchiusi”. Ma anche ad altri appelli del presidente della repubblica, ha sottolineato, è accaduto di non essere raccolti. Una stoccata precisa, rivolta evidentemente al parlamento e ai partiti, che non hanno cambiato il Porcellum, contro il quale Napolitano si è battuto invano con tutti i mezzi di cui disponeva, pubblici e non. Ma anche su altre importanti riforme non c’è stato niente da fare. Il presidente non nasconde l’amarezza e impegna il suo successore e il prossimo parlamento a raccogliere le sue parole, in una sorta di passaggio preventivo del testimone, decisamente anticipato rispetto ai compiti che ancora lo attendono. Un monito sul futuro, ma anche i puntini sulle “i” sul passato. “Se il parlamento avesse varato un provvedimento di amnistia, la mia firma l’avrei messa non una ma dieci volte” risponde ai radicali che lo aspettano all’uscita da San Vittore. E ancora: “Quando faccio un appello, un richiamo, è come se mandassi un messaggio in bottiglia che non so dove arriverà”. Ma la giornata del capo dello stato non si è esaurita ieri con la visita, pure molto importante e sentita, all’istituto penitenziario. In una lettera al presidente del Csm, resa nota al mattino, Napolitano ha messo nel mirino un problema che da sempre affligge l’organo di autogoverno della magistratura: i ritardi nelle nomine, connessi ai dosaggi dei complicati equilibri fra correnti. “I prolungati ritardi nelle decisioni di nomina di incarichi direttivi in magistratura hanno una pesante ricaduta sul prestigio dell’istituzione” ha scritto il presidente. Infine, l’Europa e la politica internazionale. Intervenendo all’Ispi, che celebrava l’80esimo anniversario e che gli ha conferito il premio Boris Biancheri, Napolitano ha detto tra l’altro che il vero nodo del dissenso tra l’Italia e la Gran Bretagna sta nel fatto che “non possiamo accettare una concezione mercantilistica dell’Europa unita”. Una giornata a 360 gradi per un presidente che ha ancora molto da dire. E da fare. Giustizia: se il Presidente della Repubblica si vergogna delle carceri italiane di Luca Fazio Il Manifesto, 7 febbraio 2013 Giorgio Napolitano è entrato al Due, come si dice a Milano, per una visita non rituale. Si deve essere commosso, e come minimo deve essere rimasto scioccato, se è vero che ha visitato il raggio dei detenuti stranieri. Le sue parole di sdegno - “qui sono in gioco il prestigio e l’onore dell’Italia” - sono state salutate da quasi tutta la classe politica con un coro unanime di plauso e di condivisione: “Parole sacrosante”. Tanto quanto l’ipocrisia di chi siede in parlamento, o al governo, e poi ha anche il coraggio di dirsi d’accordo con le considerazioni del presidente. Il quale, ha affermato ieri con parole poco rituali e dunque tanto più sincere, avrebbe firmato “l’amnistia non una ma dieci volte”. Solo che il quadro politico, né oggi né (quasi) mai, potrà permettere di svuotare le carceri che si riempiono per un disegno perverso da cui nessuno riesce a prendere le distanze. È la degenerazione di una cultura diffusa che ha fatto della “legalità” un totem inviolabile. Allora sperano tutti nel prossimo Parlamento, come dicono in coro le forze politiche senza crederci più di tanto. Il Due è il numero civico di piazza Filangeri dove si spalancano le porte del carcere di San Vittore. Un inferno, sempre, nonostante più direzioni, nel tempo, si siano distinte per una gestione saggia e, per quanto possibile, non priva di una certa umanità. Laddove però, per dirla sempre con il primo presidente della Repubblica che ha visitato il carcere simbolo di Milano e non solo, “la situazione è insostenibile”. Per via del sovraffollamento, come in tutti gli altri istituti di pena italiani, con 1.600 detenuti a fronte di una capienza massima di circa la metà, e soprattutto insostenibile perché in carcere ci finiscono sempre le stesse persone: il 60% della popolazione carceraria è di nazionalità straniera. Gli altri sono poveri. Ci sono altri numeri a fotografare il dramma. Negli ultimi venti anni nelle carceri italiane sono morte 3 mila persone, significa che ogni anno muoiono circa 150 detenuti di cui un terzo per suicidio (nel 2013 sono già morti 18 detenuti, 6 di loro si sono tolti la vita). Ogni situazione catastrofica e disumana su larga scala, e questa lo è, ha bisogno di una storia esemplare per essere raccontata. Come quella di Anna, rumena, 27 anni, incensurata, regolare, con tre figli: pochi giorni fa è finita nel carcere di Como dopo un processo e una condannata in contumacia (nemmeno lo sapeva) per aver chiesto l’elemosina sei anni prima. Si era rifatta una vita grazie alla comunità di don Virginio Colmegna, che ieri per protesta digiunava davanti a San Vittore: “Questa è la dimostrazione che in carcere ci sono persone che non ci dovrebbero stare”. Deve averlo pensato anche Napolitano dopo la visita a San Vittore. “Ho pensato di dovere levare nuovamente la mia voce - ha detto - dopo che sul tema è intervenuta ancora la Corte europea per i diritti dell’uomo con una condanna, mortificante, come l’ho definita, per l’Italia”. Il presidente ha voluto esprimere anche “condivisione” per le “sofferenze di uomini e donne qui detenuti e direi in modo particolarissimo di donne che sono mamme e per di più anche straniere”. I suoi appelli, si è rammaricato il presidente Napolitano, però, sono sempre caduti nel vuoto. E nulla fa sperare che questa sia la volta buona, anche se “sono in gioco il prestigio e l’onore dell’Italia e l’impegno che ne discende deve essere presente a tutte le forze politiche e ai cittadini elettori anche nel momento in cui sono chiamati ad eleggere il nuovo parlamento”. E ancora: “Nessuna parte vorrà, anche in questo momento, negare la gravità e l’urgenza dell’attuale realtà carceraria nel nostro paese”, ha ammonito il presidente della Repubblica. Con Giorgio Napolitano c’era anche il sindaco di Milano Giuliano Pisapia: “C’è l’assoluta necessità di dare vita a soluzioni efficienti che già esistono, ma sono ferme al Parlamento. Una maggiore prevenzione e pene alternative al carcere che contribuiscono al reinserimento dei detenuti sono strumenti attraverso i quali è possibile ridurre il problema del sovraffollamento, diminuire in maniera rilevante la recidiva, e quindi il numero dei reati, e garantire una maggiore sicurezza a tutti i cittadini”. Ma la domanda semplice è una, e vale per tutti: fra tre settimane quanti sono quelli che voterebbero un partito che chiede l’amnistia? Giustizia: intervista a Pannella; oggi il Presidente parla… ma è stato zitto per sette anni di Alberto Di Majo Il Tempo, 7 febbraio 2013 La visita del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al carcere di San Vittore non è piaciuta a Marco Pannella. La condanna inflitta all’Italia dall’Ue per l’irragionevole durata dei processi e la condizione delle carceri è l’ultima testimonianza di un dramma che tanti detenuti (la metà dei quali innocenti) portano sulla loro pelle. Il leader radicale non perdona il silenzio “istituzionale” del Capo dello Stato: “Oggi si è messo a parlare di cose su cui, in sette anni, non ha mai voluto inviare un messaggio al Parlamento”. L’Europa condanna la nostra giustizia. Che succederà adesso? “Secondo la sentenza l’Italia si trova in una situazione “sistemica” e “strutturale” di violazione delle norme stesse della giurisdizione europea. Il provvedimento richiama soprattutto gli articoli 3 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. È una battaglia che lei e i Radicali portate avanti da sempre. “Chiediamo da 30 anni che l’Italia interrompa questa flagranza di reato. Ora l’Europa ha dato al nostro Paese un ultimatum di un anno per adeguarsi, per fare tutto ciò che non ha fatto, appunto, negli ultimi trent’anni”. Una situazione grave. Ma non crede che le parole di Napolitano siano comunque rilevanti? “Ho la convinzione che il presidente della Repubblica in modo patente, indiscutibile e indiscusso, attenti alla Costituzione. Lo accuso di tradirla, lui che ne sarebbe il massimo custode”. In questo caso non vale il proverbio “meglio tardi che mai”? “Le parole di Napolitano sono state un monologo, come quello dei monarchi assoluti. Lui parla al popolo, alla gente. Si comporta come un dominus degli anni Trenta. Non è un caso che abbia chiesto al Parlamento italiano di cambiare la legge elettorale benché l’avessimo avvisato più volte che per la legislazione europea non si può modificare nell’ultimo anno di legislatura. Napolitano “governa” le istituzioni, svuotando, tra l’altro, il Parlamento anche delle sue funzioni di controllo. Non dicendo una parola alle Camere, non inviando messaggi, le ha ferite gravemente”. Cosa accadrebbe se l’Italia non riuscisse a rispettare la sentenza europea, cioè ad avere processi e carceri umani? “Potrebbe esserci l’espulsione del nostro Paese dall’Ue o quanto meno dal Consiglio d’Europa”. Mi scusi Pannella, ma quanto tempo ci vorrà a cambiare la nostra giustizia? “Nel medio e lungo termine ho la ragionevole certezza che succederà”. Quant’è il medio e lungo termine? “Anni. Alcuni lustri, forse vent’anni”. Torniamo a Napolitano. Parlando proprio con i Radicali fuori da San Vittore s’è detto favorevole all’amnistia. “Anche nel 2005 Napolitano era a favore, tanto da partecipare alla marcia organizzata da noi, poi nel 2011 disse che c’era una “prepotente urgenza” di risolvere la questione giustizia e carceri. Anche la Cei ha sostenuto l’amnistia, sia il segretario generale Monsignor Crociata sia il portavoce Monsignor Pompili si sono espressi chiaramente. Ma non c’è stato niente da fare. Non c’è mai stato un dibattito. Eppure l’amnistia servirebbe a ridurre i 5 milioni di processi”. E le carceri sarebbero meno sovraffollate. Oggi i detenuti sono 66 mila a fronte di 47 mila posti disponibili... “Le carceri sono nuclei di shoah”. Ma la battaglia dei Radicali continua. Vi presentate alle elezioni con il simbolo amnistia Giustizia e Libertà. Che risultato vi aspettate? “Nulla, o quasi, ameno di miracoli. Nel Paese, del resto, non c’è dibattito sulla giustizia. E nelle prossime settimane scoppierà un’altra bomba, ancora dall’Europa. Vedrete”. Giustizia: il grido del Colle e la muta politica di Mauro Palma (già presidente del Comitato europeo contro la tortura) Il Manifesto, 7 febbraio 2013 L’abnormità in Italia è diventata consuetudine: il nuovo grido di sdegno del presidente della Repubblica rispetto al carcere, alla sua materialità, al modello di sanzione penale che in essa s’invera, al di là di ogni posizione teorica da determina sbrigativi consensi, qualche dichiarazione d’intenti e scarsa azione conseguente. Eppure non è usuale nel resto d’Europa che la denuncia di una situazione in contrasto con i valori costituzionali venga da chi rappresenta il riconoscersi del paese nella sua Carta e che di essa è il garante. Le parole di Napolitano sono venute dopo una visita al carcere di San Vittore: gesto emblematico per la chiusura di un settennato che verso tale tema ha più volte mostrato attenzione e sensibilità. San Vittore è del resto un luogo ove la criticità del sistema assume una concretezza plastica, sintesi dei problemi dovuti alle condizioni materiali, alla confusa allocazione di soggetti con profili personali e giuridici molto differenti, alla babele dei linguaggi, dei bisogni e delle relative risposte, alla frammentarietà della possibile progettazione in un continuo flusso di ingressi e uscite, al di là del visibile sforzo degli operatori per garantire forme di vivibilità e non di sopravvivenza. Ma, proprio l’estrema autorevolezza della denuncia rischia di retroagire come senso d’impotenza: chi altro potrà mai alzare la voce una volta che anche questa voce massima non troverà risposta? È questa domanda a racchiudere il senso di abbandono che si avverte nelle celle di tutta Italia e che sfocia spesso in gesti disperati, anche estremi. Non solo, ma rischia di essere catalogata come espressione di una situazione dove non ci sono responsabili, come un’imprevedibile catastrofe naturale. Contro queste due percezioni deve appunto muoversi una nuova stagione politica. Partendo dal rimuovere le cause - leggi, consuetudini, trascuratezza, burocrazia; per poi proseguire ripensando radicalmente perché, cosa e come punire e rielaborando un nuovo modello su cui costruire lo spazio della sanzione penale e, al suo interno, quello da assegnare a quella particolare sanzione che è la privazione della libertà. Sul primo di questi due passi si sono mosse le organizzazioni della società, attraverso la raccolta di firme per tre leggi d’iniziativa popolare: contro l’attuale legislazione sulle droghe, responsabile in larga parte dell’alto numero d’ingressi; contro la legge che rende difficili i percorsi alternativi a larghi settori della popolazione detenuta e per l’introduzione di una figura di garanzia e monitoraggio del processo di riconduzione del carcere nel solco costituzionale; infine, per l’introduzione del reato di tortura. Proposte che dovranno trovare una interlocuzione urgente nel nuovo Parlamento, anche in considerazione dell’anno di tempo che la Corte dei diritti umani ha dato all’Italia dopo la condanna per trattamenti degradanti prima di considerare le altre numerose denunce dello stesso tipo che la Corte ha già ricevuto. Queste proposte tuttavia costituiscono solo un primo punto dell’agenda necessaria: perché altrettanto urgente è il secondo passo, sia verso una revisione del nostro sistema penale, dei reati e delle relative sanzioni, che riduca la centralità del carcere sia, al contempo, verso la riconduzione della custodia cautelare alle finalità proprie, fuori dall’attuale situazione che di fatto la configura come “quel pò” di pena scontata, seppure in termini anticipati. Temi, questi, in cui le revisioni normative necessarie incontrano il ruolo di elaborazione culturale che la politica deve ri - assumere. E che si associano a quello della progettazione e gestione dell’amministrazione del carcere, su cui anche il governo uscente è stato del tutto inadeguato. Giustizia: Antigone presenta monitoraggio Osservatorio europeo su condizioni detenzione Redattore Sociale, 7 febbraio 2013 Presentato a Roma da Antigone l’Osservatorio europeo. Otto i Paesi coinvolti: Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito. In Italia oltre il 40 per cento della popolazione detenuta si trova in custodia cautelare. È nato il primo Osservatorio Europeo indipendente sulle condizioni di detenzione. A presentarlo oggi a Roma, presso la Sala Convegni della Casa circondariale Regina Coeli, è l’associazione Antigone. L’Osservatorio è sostenuto dalla Ue e coordinato dalla stessa Antigone, che avrà il compito di monitorare il sistema penitenziario su scala europea. I paesi coinvolti sono otto: Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito. Durante la conferenza stampa sono stati forniti dati e numeri inediti sulla situazione carceraria in Europa. L’Osservatorio, che mira ad ampliare ulteriormente la propria rete, ha l’ambizione di fungere da organismo di monitoraggio delle condizioni di detenzione di circa 600 mila persone. Tanti sono infatti i detenuti attualmente presenti nelle carceri dell’Unione Europea. “Lo scambio di buone prassi che il network costruito dall’Osservatorio permette - è stato sottolineato in sede di presentazione - è una risorsa fondamentale per la soluzione degli specifici problemi di ciascun sistema penitenziario nazionale”. La fotografia dell’Europa. In Italia la recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha evidenziato i problemi principali delle prigioni italiane, primo tra tutti un tasso di affollamento pari al 146 per cento. Oltre il 40 per cento della popolazione detenuta si trova in custodia cautelare, “una totale anomalia rispetto alla media europea che si assesta attorno al 25 per cento”. I detenuti stranieri nelle carceri italiane sono il 37 per cento del totale mentre circa il 30 per cento della popolazione detenuta è composta da tossicodipendenti. “L’intero sistema continua a essere caratterizzato da un elevato turn over. Sfortunatamente le misure alternative alla detenzione non sono sufficientemente utilizzate”. Non sta bene nemmeno la Francia, che ha assistito negli scorsi anni a una crescita drammatica della popolazione detenuta. I detenuti sono oggi il 36 per cento in più rispetto al 2001. “Grandi progetti di edilizia carceraria non sono stati in grado di ridurre il sovraffollamento e - data la natura delle costruzioni - hanno invece creato altri problemi, quali un maggiore isolamento dei detenuti e comportamenti più violenti”. Il tasso di suicidi continua a essere molto elevato e le politiche securitarie impongono misure di sicurezza estremamente rigide all’intera popolazione carceraria, compresi i detenuti caratterizzati da una bassa pericolosità sociale. “Queste condizioni si sono dimostrate controproducenti in termini di sicurezza pubblica, comportando piuttosto un alto tasso di recidiva”. In Grecia il sistema penitenziario è caratterizzato da un grave sovraffollamento e da condizioni di vita estremamente degradate. Si aggiungono a questi problemi quelli della carenza di personale, dell’abuso della custodia cautelare, di una massiccia presenza di detenuti stranieri e di persone accusate o condannate per crimini legati alla droga. La lunghezza delle pene inflitte è andata aumentando e con essa anche la lunghezza del periodo tempo effettivamente trascorso in prigione. “La retorica governativa legata all’umanizzazione del sistema penitenziario, alla promozione delle alternative alla detenzione e alla riduzione della popolazione detenuta si scontra con una prassi che vede un mero ammassare le persone nelle carceri senza alcuna prospettiva”. La Lettonia, con i suoi 300 detenuti ogni 100 mila abitanti, presenta il tasso più alto di carcerazione tra i paesi dell’Osservatorio, nonché uno dei più alti nell’intera Ue. Quasi il 30 per cento dei detenuti è in custodia cautelare. Il numero di stranieri in carcere è molto contenuto. Anche in Polonia, oltre venti anni dopo la trasformazione politica, il sistema penitenziario sta ancora affrontando seri problemi. “C’è la necessità di una riforma più radicale. Sono ancora gravissime le questioni del sovraffollamento, delle condizioni degradate di detenzione, della mancanza di lavoro e di cure mediche adeguate per i detenuti”. Con l’ingresso nell’Unione Europea, la Polonia si è trovata di fronte nuove sfide, tra cui il crescente numero di detenuti stranieri e la necessità di adeguare le proprie carceri agli standard europei. Nonostante il Portogallo abbia un tasso di criminalità relativamente basso rispetto ad altri Paesi europei, la popolazione detenuta non è inferiore a quella che si aveva negli anni ‘90, quando si crearono drammatiche condizioni di sovraffollamento. Dopo qualche anno in cui era andato diminuendo, infatti, il numero dei detenuti sta nuovamente crescendo in fretta. La nuova ondata di sovraffollamento si è abbattuta sul Paese a partire dal 2012, e non si vedono per ora prospettive di miglioramento. Vari sono stati inoltre gli episodi di morte in carcere i quali non hanno trovato una spiegazione ufficiale. In Spagna, tra i principali problemi delle carceri c’è sicuramente quello del sovraffollamento, che impedisce di scontare la pena in condizioni dignitose. Gravissima anche la situazione relativa all’assistenza sanitaria. “A seguito della crisi economica, l’amministrazione penitenziaria spagnola è andata riducendo le prestazioni mediche. La popolazione detenuta è soggetta a un alto tasso di malattia e la carenza di cure specialistiche, in particolare rispetto alla salute mentale e alle specificità di donne e bambini, si fa dunque sentire in carcere con più forza che altrove”. La crisi economica ha indebolito anche il diritto alla difesa, mentre paradossalmente vanno aumentando i servizi privati all’interno delle carceri. Infine il Regno Unito, che lungo gli ultimi due decenni ha assistito, anno dopo anno, a una crescita della popolazione detenuta. Insieme a ciò si è avuta un’esplosione nell’uso di misure non detentive e di altre forme di pena. Più detenuti in Gb, in Italia maggior sovraffollamento I dati del monitoraggio dell’Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione. In Italia 139,7 detenuti ogni 100 posti. La percentuale di donne detenute è compresa tra il 3 per cento della Polonia e l’8 per cento della Spagna. Stranieri, Grecia al top La presentazione dell’Osservatorio europeo sulle condizioni di detenzione da parte di Antigone è stata supportata dai dati resi noti dallo stesso Osservatorio sulle principali differenze tra gli 8 sistemi penitenziari nazionali monitorati (Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito). “I dati riportati, e le tendenze degli ultimi anni - affermano i promotori - , possono essere usati come indicatori di politiche nazionali più o meno virtuose che verranno studiate e confrontate tra loro nei prossimi mesi”. Popolazione detenuta 2012. Degli otto Paesi dove opera l’Osservatorio, è il Regno Unito ad avere il maggior numero di detenuti: 95.161 (in costante crescita: erano 82.572 nel 2008 e 84.725 nel 2010). Seguono Polonia (85.419, quasi 5 mila in più del 2010), Spagna (69.037, quasi 5 mila in meno del 2010) e Italia (65.701, erano 68.345 nel 2010 e 55.831 nel 2008). I sistemi penitenziari monitorati ospitano complessivamente una popolazione detenuta di quasi 400 mila detenuti, circa due terzi del totale dei detenuti in Europa. “Anche se in molti paesi il numero dei detenuti è in questi anni cresciuto, questa tendenza non è univoca o necessitata. In Italia o in Spagna ad esempio la popolazione detenuta è calata negli ultimi due anni”, si afferma. Tassi di detenzione. I tassi di detenzione indicano il numero di persone detenute per ogni 100 mila cittadini e rappresentano la misura del ricorso al carcere in ciascun paese. I tassi di detenzione più alti si registrano in Lettonia (297) e in Polonia, due nuove membri dell’Unione che in passato hanno fatto parte del blocco sovietico. In Europa meridionale, invece, i tassi di detenzione più alti si registrano in Spagna (148,7). In Italia il tasso è al 107,7. Sovraffollamento. Il sovraffollamento è rappresentato dal numero di detenuti effettivamente stipati in 100 posti e, come mostrato dall’Osservatorio, è un problema molto serio per l’Europa mediterranea. “D’altro canto - si afferma - la capienza dei sistemi penitenziari è misurata in modo molto diverso nei vari paesi, e ad esempio per la legislazione italiana ogni detenuto dovrebbe avere a disposizione 9 mq, in Lettonia solo 2,5 mq. Si tratta inoltre di un valore medio. In ogni paese ci sono istituti che sono molto più affollati della media, ed altri che lo sono molto”. Ciò premesso, i dati dicono che è l’Italia il Paese con il maggiore indice di sovraffollamento (139,7 detenuti ogni 100 posti, erano 153, 2 nel 2010 e 129,9 nel 2008). Alta anche la Grecia (136,5) e la Francia (113,2). Donne detenute. La percentuale di donne detenute in Europa è compresa tra il 3 per cento della Polonia ed quasi l’8 per cento della Spagna. In molti paesi questa percentuale è andata calando negli ultimi anni (come in Grecia, in Spagna e nel Regno Unito), mentre è andata crescendo in Lettonia ed in Polonia. Come detto, della Spagna la percentuale più alta (7,6 per cento), mentre l’Italia rimane sostanzialmente stabile con il 4,3 per cento (era il 4,4 per cento nel 2010 e nel 2008). Detenuti stranieri. “La percentuale di detenuti stranieri è uno dei temi sui quali i paesi monitorati differiscono maggiormente”. Estremamente alta, e decisamente in crescita, in Grecia (63,2 per cento della popolazione carceraria, contro il 55,5 per cento del 2010 e il 48,3 del 2008), è generalmente molto alta nell’Europa mediterranea, in particolar modo in Italia (35,8 per cento, comunque in calo rispetto al 36,6 per cento del 2010 e al 37,4 per cento del 2008) e in Spagna (33,3 per cento, ugualmente in calo). Il fenomeno è sostanzialmente inesistente in Lettonia (1,3 per cento) e in Polonia (0,7 per cento). Condanne definitive. In Italia la percentuale di detenuti che scontano una condanna definitiva è del 58,8 per cento (era il 54,2 nel 2010 e il 43,6 nel 2008). La percentuale più alta si registra nel Regno Unito (94,1 per cento), seguita da Polonia (89 per cento) e Francia (88,8 per cento). Alte anche le percentuali di Spagna (81,9) e Portogallo (80,5). In generale la percentuale di detenuti in custodia cautelare è ampiamente sotto il 30 per cento, con l’evidente eccezione dell’Italia, dove questa percentuale è stata a lungo sopra il 50 per cento ed è attualmente sopra il 40 per cento. Morti in carcere. La frequenza delle morti in carcere è determinata dividendo il numero di detenuti presenti in un anno per il numero dei detenuti morti in carcere quell’anno, ed è certamente un possibile indicatore del livello di criticità delle condizioni di detenzione in un certo paese. I dati cambiano molto: da una morte ogni 600 detenuti in Polonia ad una morte ogni 200 detenuti in Portogallo. In Italia l’indice è di 357, in diminuzione rispetto al 2010 (433) e al 2008 (461). Misure alternative. “Le misure alternative, la probation ed altre misure non custodiali sono un aspetto chiave delle politiche penali di ogni paese e, secondo il consiglio d’Europa, la migliore soluzione contro il sovraffollamento, da preferirsi alla costruzione di nuove carceri”, si afferma. Come mostrato dai dati dell’Osservatorio, il numero di persone che sconta una pena non detentiva per ogni 100 mila abitanti varia enormemente. Dai numero molto alti di Francia (265) e Regno Unito (252) e, più di recente, della Spagna 306,7), alla Polonia (1,1 nel 2010) o al Portogallo (2,2), dove queste misure sono pressoché inesistenti. L’Italia presenta un tasso di 32,8, comunque in crescita rispetto al 2010 (26,2) e al 2008 (8,4). Anomalia Italia è custodia cautelare, 40% detenuti contro 25% media europea Con 146 detenuti ogni 100 posti letto, l’Italia è il paese dove il tasso di sovraffollamento è il più alto d’Europa; di contro il tasso di detenzione è in linea con gli altri paesi: con 107 detenuti ogni 100 mila cittadini, contro i 135 della Gran Bretagna, i 149 della Francia, i 99 della Francia. Mettendo a confronto la situazione italiana con quella del resto degli stati dell’Unione Europea emergono invece due differenze sostanziali: l’elevata percentuale di detenuti in custodia cautelare e lo scarso ricorso alle misure alternative, dieci volte in meno che in Spagna o in Francia. I dati diffusi dall’associazione per i diritti dei detenuti Antigone, che sarà capofila dell’Osservatorio Europeo indipendente sulle condizioni di detenzione, mettono in rilievo come oltre il 40% della popolazione detenuta si trova in custodia cautelare, ‘una totale anomalia rispetto alla media europea che si assesta attorno al 25%’. Qui l’intero sistema continua a essere caratterizzato da un elevato turn over e ‘le misure alternative alla detenzione non sono sufficientemente utilizzatè. Infatti, il ricorso alla cosiddetta probation riguarda, rapportato alla popolazione, 33 persone su 100 mila abitanti, mentre in Francia sono 265, nel Regno Unito quasi altrettanti, in Spagna 306,7. Come il resto dei paesi del Mediterraneo è estremamente alta, la percentuale di detenuti stranieri: in Italia il 35,8%, in Spagna il 33,3% in Grecia addirittura il 63%. L’Osservatorio, presentato oggi, è coordinato dall’associazione Antigone e finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del Criminal Justice Programme. L’obiettivo è ‘una omogeneizzazione delle condizioni di detenzione che risponda a quanto imposto dagli standard europeì. Monitora i sistemi penitenziari di otto paesi (Francia, Regno Unito, Grecia, Italia, Lettonia, Polonia, Portogallo, Spagna) che ospitano complessivamente una popolazione detenuta di quasi 400.000 detenuti, circa due terzi del totale dei detenuti in Europa. E mira ad ampliare ulteriormente la propria rete, fungendo da organismo di monitoraggio delle condizioni di detenzione di circa 600.000 persone. Tanti sono infatti i detenuti attualmente presenti nelle carceri dell’Unione Europea. Giustizia: Ferri (Mi); basta parole occorrono i fatti per ridare onore al Paese e Agi, 7 febbraio 2013 “Basta parole occorrono i fatti”. Lo afferma Cosimo Ferri, segretario di Magistratura indipendente, ringraziando il presidente della Repubblica per “l’importante gesto che ha compiuto nel visitare l’istituto di San Vittore”. La politica, secondo Ferri, “deve affrontare questo problema per ridare “onore al Paese e dignità ai detenuti”, deve essere una priorità nell’agenda del prossimo governo”. La magistratura, ricorda il leader di Mi, ha lanciato proposte costruttive ed efficaci: “certamente va rivisto il sistema sanzionatorio, vanno rimodulate le pene edittali a seconda della gravità dei reati, ed intensificate le misure alternative”. Anche il concetto di ‘carcerè, continua Ferri, “deve avere un’evoluzione e deve essere riservato ai soggetti più pericolosi per i quali sono necessari controlli più pregnanti: non è vero, come sostengono alcuni, che il problema del sovraffollamento carcerario non sia legato anche alla questione ‘evasionè perché è inevitabile che laddove il numero dei detenuti aumenti sia più difficile porre in essere controlli di sicurezza efficaci e di qualità”. Inoltre, secondo il segretario della corrente più moderata delle toghe, è “sconcertante constatare che si parli di questo problema da anni, che nel passato sia stata dichiarata un’emergenza carceri e che non sia ancora arrivata da parte della politica una risposta idonea e concreta. La scelta dell’indulto (non accompagnato da amnistia) non ha risolto niente, le norme introdotte prima da Alfano e poi dalla Severino in tema di detenzione domiciliare hanno portato qualche beneficio ma hanno avuto l’effetto di un’aspirina. Anche la magistratura - conclude - può e deve fare la propria parte e laddove è possibile esercitare al massimo la propria discrezionalità”. Giustizia: Di Rosa (Csm) sollecita plenum straordinario sulle carceri con Napolitano Agi, 7 febbraio 2013 Una sollecitazione affinché “venga fissata al più presto la convocazione” del Plenum straordinario, già richiesto nelle scorse settimane, alla presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dedicato all’emergenza carceri. È quella espressa oggi dal togato di Unicos, Giovanna Di Rosa, durante la riunione del Plenum del Csm. Di Rosa, ieri, era a San Vittore assieme al Capo dello Stato: è stata proprio lei a chiedere che Napolitano visitasse il penitenziario milanese. “Quella struttura risale al 1879 - ha spiegato Di Rosa - ha una capienza regolamentare, con i sei raggi tutti aperti, di 600 detenuti, ed una capienza effettiva, con due raggi chiusi di 1.700 detenuti. Il reparto visitato dal Presidente contiene celle piccolissime (4 mq per 2 mq) dove vivono sei detenuti. I letti impediscono che si aprano finestre”. Secondo il togato il Csm deve “approfittare di tutte le occasioni possibili perché questo drammatico tema, che grava sulla responsabilità e sulle spalle di tutti i magistrati, sia costantemente attenzionato e condiviso in tutte le pratiche di nostra competenza, non solo con parole, ma con fatti e decisioni”. Alla sollecitazione avanzata da Di Rosa, si è associato il laico di centrosinistra Gluauco Giostra, che ha presieduto una Commissione mista dedicata proprio alle carceri. “Ho già rappresentato al Capo dello Stato la richiesta - ha replicato il vice presidente del Csm, Michele Vietti - mi è stato risposto che la decisione sul Plenum ci sarebbe stata dopo la visita a San Vittore. Sono in contatto con il Quirinale per definire tempi e modi del Plenum straordinario”. Giustizia: Ilaria Cucchi; se sarò eletta mia prima battaglia per introduzione reato tortura Ansa, 7 febbraio 2013 “Se sarò eletta in Parlamento nella lista Ingroia mi dedicherò in particolare ai problemi del carcere che è diventato una discarica sociale e nel quale si può morire e soprattutto della legalità”. Lo ha detto Ilaria Cucchi, sorella di Stefano. “La mia prima battaglia - ha aggiunto Cucchi - sarà per l’approvazione di una legge per l’introduzione del reato di tortura, visto che i parlamentari finora si sono occupati sono di se stessi e non della grave situazione della legalità carceraria. Dopo la morte di Stefano, tre anni fa, mi sono state offerte alcune candidature in politica per sostenere la mia causa. Ma ero troppo impegnata nelle vicende giudiziarie. Poi mi sono fidata di Antonio Ingroia - ha proseguito - che è un magistrato pulito e coraggioso che non fa sconti a nessuno” Giovanardi legga atti processuali, basta omertà per poche mele marce “Dopo la morte di mio fratello Stefano sono stati massacrati degli agenti innocenti? Carlo Giovanardi dovrebbe sapere che in sede processuale ci sono capi di accusa precisi, con tanto di perizie”. Così Ilaria Cucchi, candidata alla Camera per la lista Ingroia replica al parlamentare del Pdl in un’intervista a Repubblica Tv. “Non ho mai fatto attacchi generici a tutta la polizia penitenziaria, ma il meccanismo che ho constatato da parte dei sindacati - ha aggiunto Ilaria Cucchi - è quello della difesa a prescindere dei suoi iscritti. Chiedo a tutti che questo spirito di protezione e di omertà venga superato: stiamo parlando di poche mele marce, e farebbe bene a tutta la categoria puntare il dito su chi ha sbagliato, altrimenti diventeranno tutti uguali”. Giustizia: Chiti (Pd); l’amnistia sarebbe possibile… non diciamo che mancano i numeri Dire, 7 febbraio 2013 “Ha compiuto un atto molto forte, da un punto di vista simbolico. Il Presidente tante volte si era espresso sulla insostenibilità della situazione carceraria. Oggi ci dice che se un Paese ha un carcere che non rispetta i diritti umani fa un passo indietro nella sua civiltà. E questo dobbiamo sapere che esiste, non avere paura di dirlo”. Lo ha detto il vicepresidente del Senato e senatore del Pd Vannino Chiti, commentando le parole del Presidente Napolitano ieri dopo la sua visita a San Vittore. “Si tratta - ha aggiunto - di fare un insieme di provvedimenti: alcuni il governo li ha portati in porto, alcuni sono stati bloccati dalla Lega e dalla destra. Nel nuovo Parlamento dobbiamo avere una serie di risposte, che vanno dalla depenalizzazione, a misure per decongestionare le carceri, da norme sulla carcerazione preventiva, alle nuove carceri. E poi occorre che si valuti nel quadro di questi provvedimenti se ci sono i numeri per una amnistia. Quelli che oggi dicono no all’amnistia si barricano dietro il fatto che da sola non dà frutti. Io dico: sì, forse da sola. Ma nel quadro di questi provvedimenti, ci si deve pensare”. “Si dice: non ci sono i numeri. Ma non si può continuare a limitarsi a dire che non ci sono i numeri per fare l’amnistia. Occore prendere dei provvedimenti, perché quando è in ballo la situazione dei diritti umani si deve agire. Altrimenti dovremmo solo tacere, un pò vergognandoci, quando parliamo di diritti umani”, ha concluso Chiti. Buttiglione (Udc): amnistia non è la soluzione giusta “Condivido le preoccupazioni e persino lo sdegno del presidente Napolitano per la condizione disumana delle carceri italiane. Mi chiedo se la siamo sicuri se il percorso giusto sia l’amnistia. Noi proponiamo un cammino alternativo che ha tre pilastri”. È quanto dichiara il presidente dell’Udc Rocco Buttiglione. “Primo: agire sulla carcerazione preventiva, che - spiega - riguarda la metà dei detenuti, la gran parte dei quali sarà dichiarato innocente. Si può sgonfiare la carcerazione preventiva senza inficiare il lavoro di indagine nei casi in cui essa è necessaria”. “Secondo: il tema della recidiva. Abbiamo tassi di recidiva altissimi - sottolinea il presidente Udc - ma essi si possono abbassare, rendendo effettivo il reinserimento degli ex detenuti nella società e nel mondo del lavoro. Questo è possibile con il contributo del il terzo settore. Bisogna passare dagli esperimenti locali ad una iniziativa organica nazionale, abbiamo un grande progetto che coinvolga i movimenti e il volontariato ma anche l’associazionismo economico e sociale. Terzo: bisogna insistere con più decisione sul cammino delle pene alternative”, conclude Buttiglione. Papa (Pdl) a Napolitano: onore Italia già perso da tempo “Il presidente Giorgio Napolitano ha torto su un punto: l’Italia non rischia di perdere l’onore per le condizioni delle sue carceri. L’onore l’ha già perduto”. È quanto dichiara in una nota il deputato del Pdl Alfonso Papa a proposito della visita effettuata dal Capo dello Stato al carcere di San Vittore a Milano nella giornata di ieri. “Nelle stesse ore - prosegue - io mi trovavo al Buoncammino di Cagliari, dove il 40 percento dei reclusi sono tossicodipendenti bisognosi di cure specifiche e verso i quali la reclusione non ha alcun fine rieducativo, ma esacerba soltanto i disturbi psicofisici legati alla dipendenza. “Le decine di condanne contro l’Italia da parte di organismi internazionali, unitamente ai suicidi che proseguono al ritmo di uno ogni sei giorni - conclude Papa - confermano la flagranza di reato in cui si trova lo Stato guidato da Napolitano. Ormai, come denunciato da Marco Pannella, l’attentato alla Costituzione da parte del suo supremo custode è patente e manifesto”. Giustizia: Palma (Ordine Nazionale Psicologi); detenuti senza diritto alla salute Ansa, 7 febbraio 2013 Il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine ha lanciato un allarme sulle condizione “esplosiva” degli istituti penitenziari chiedendo di “riqualificare” in questi contesti la figura dello psicologo, svilita dal precariato e dalla continua riduzione delle ore dedicate al rapporto con i detenuti. “Nelle carceri italiane siamo di fronte ad una vera e propria violazione, tra gli altri, dell’articolo 32 della Costituzione italiana, che tutela la salute come diritto fondamentale di tutti i cittadini; l’allarme lanciato dal Presidente della Repubblica ha alzato un velo su una situazione sempre più insostenibile ed esplosiva che genera, a causa dell’affollamento e delle precarie condizioni, malesseri, tensioni, aggressività ed un preoccupante aumento dei suicidi”. Così Luigi Giuseppe Palma, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi, ha fotografato l’attuale situazione degli istituti penitenziari italiani. “Può sembrare un paradosso - ha proseguito - ma mentre è chiara la fondamentale importanza della figura professionale dello psicologo, per la complessità e la qualità del lavoro svolto nel percorso riabilitativo, proprio questa figura viene, invece, sempre più svilita da precariato, dalla continua riduzione delle ore dedicate al rapporto con i detenuti, dalla carenza, se non da una vera e propria mancanza, di qualsiasi strutturazione del servizio di psicologia. In queste condizioni - ha concluso Palma - si sprecano risorse e non viene garantito il diritto alla salute della popolazione carceraria. Riqualificare, invece, la figura dello psicologo nelle carceri, metterla nelle condizioni di ben operare rappresenterebbe - proprio in questa situazione di crisi - un investimento a beneficio della società che ci metterebbe in linea con l’Europa”. Giustizia: cooperazione sociale chiede revisione norme inserimento lavorativo detenuti Ansa, 7 febbraio 2013 Il portavoce dell’Alleanza Cooperative Sociali: “La cooperazione sociale è pronta a raccogliere l’appello del Presidente della Repubblica. Occorre valorizzare la funzione rieducativi della pena attraverso la formazione e il lavoro”. “La cooperazione sociale è pronta a raccogliere l’appello del Presidente della Repubblica”. Questo il commento di Giuseppe Guerini, portavoce dell’Alleanza Cooperative Sociali e presidente di Federsolidarietà - Confcooperative, all’indomani della visita del Capo dello Stato al carcere di San Vittore a Milano. “La soluzione sembra complessa mentre in realtà è a portata di mano. Valorizzare, pienamente, la funzione rieducativa della pena attraverso la formazione e il lavoro - aggiunge Guerini - eviterà all’Italia di essere condannata definitivamente dalla Corte Europea di Strasburgo da qui ad un anno. I numeri dimostrano che investire nell’inserimento lavorativo abbatte la recidiva dal 70 per cento al 10 per cento. Si evita che coloro che sono stati condannati, una volta scontata la pena, tornino a delinquere e a intasare il sistema giudiziario e gli istituti di pena”. “Un detenuto costa in media allo Stato circa 200 euro al giorno. L’abbattimento della recidiva, con l’inserimento lavorativo, ripaga più che abbondantemente quanto investito per gli incentivi alle assunzioni. Per la cooperazione sociale e per il paese è prioritario - conclude Guerini - che il nuovo Parlamento ed il nuovo Governo mettano mano immediatamente alla revisione delle norme sull’inserimento lavorativo, sbloccando la proposta di legge che è ferma da oltre un anno per mancanza di copertura economica”. Milano: Ambrosoli (Pd); carceri dimenticate. Pisapia: mai più condanne di Corte Europea La Repubblica, 7 febbraio 2013 Tra gli applausi dei detenuti e le strette di mano tra le sbarre, la visita del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la prima di un capo dello Stato a San Vittore, assomiglia anche a un rammarico e a un rimpianto: “Ho più volte, anche molto di recente, colto ogni occasione per denunciare l’insostenibilità della condizione delle carceri - ha confidato il Presidente - Avrei auspicato che quegli appelli fossero stati accolti in maniera maggiore”. Una denuncia che è anche un auspicio per chi arriverà al suo posto: “Confido che la mia testimonianza e le mie parole possano essere raccolte da chi mi succederà e da tutte le istituzioni rappresentative, a cominciare dal nuovo Parlamento”. L’appello viene subito raccolto da Umberto Ambrosoli, candidato per il centrosinistra alla presidenza della Regione Lombardia: “Napolitano ha acceso un faro su una realtà troppo spesso dimenticata come quella delle nostre carceri - dice Ambrosoli - Occorre al più presto eliminare le leggi che portano in cella migliaia di persone per reati minori, con costi oramai insostenibili per la comunità”. Parole condivise anche dal sindaco Giuliano Pisapia che vede nelle parole del Presidente “un messaggio al futuro parlamento e al futuro governo perché si intervenga al più presto per attuare l’articolo 27 della Costituzione. Non possiamo più avere condanne continue dalla Corte Europea”. Sergio Segio e Sergio Cusani, l’ex leader di Prima Linea e l’ex manager condannato per Tangentopoli, da tempo impegnati nel recupero dei detenuti, paragonano le “coraggiose e importanti” parole di Napolitano a quelle di papa Giovanni Paolo II. “Il pontefice si recò nel carcere romano di Regina Coeli nella ricorrenza del Giubileo, un anno in cui il Parlamento e i partiti non seppero e non vollero dare un risposta di clemenza e di umanità alle intollerabili condizioni di vita dei detenuti”. Milano: la Garante Naldi; apriamo le porte delle celle, misura tampone da adottare subito La Repubblica, 7 febbraio 2013 Non è ammissibile che a San Vittore ci siano quasi mille persone oltre la capienza regolare. Il problema del sovraffollamento va risolto ma alla radice”. Alessandra Naldi è il garante dei detenuti per il Comune e da tre giorni è in sciopero della fame per chiedere più dignità per i detenuti. Naldi, cosa si può fare a livello locale contro le celle strapiene? “Portare fuori dal carcere chi ha commesso reati minori. Ma è sempre più frequente che per indigenti in attesa di processo, di cui molti italiani, si decida per la detenzione perché non hanno un domicilio certo o le loro condizioni economiche sono troppo precarie. È la regola, ma non dovrebbe esserlo. Così, con il Comune, stiamo ragionando su interventi di hou - sing sociale per ospitare queste persone che, intanto, potrebbero anche accedere a percorsi alternativi. Ma anche la cella aperta è un’opzione”. Una misura tampone? “Sì, ma intanto i detenuti starebbero meno tempo chiusi in sei in celle da tre metri per quattro. Bisogna agire con cambiamenti nella gestione degli istituti. A Bollate la cella aperta è già praticata da anni, ora ad Opera si sta via via attivando, e anche a San Vittore potrebbe aiutare”. Ma non risolvere. E un carcere nuovo, come propone anche la Lega? “Ci vogliono decenni e risorse molto ingenti. Senza contare che l’edilizia penitenziaria non è mai una risposta: un nuovo istituto è destinato nel tempo solo a sostituire quelli vecchi. È importante che, se una città ha un carcere, questo sia in centro, ben visibile, per ricordare a tutti che esiste”. Quali interventi chiede a livello nazionale? “La depenalizzazione dei reati minori, promuovere un sistema di pene alternative al carcere come i lavori socialmente utili e la messa alla prova che, stando alle statistiche, abbattono al 20 per cento, dal 60 - 70 di media, il tasso di recidiva. E poi abolire o almeno modificare tre leggi che stanno concorrendo al sovraffollamento: la disciplina sugli stupefacenti, la Bossi - Fini sull’immigrazione e la ex Cirielli: quest’ultima impedisce ai recidivi di accedere di fatto a pene diverse dalla detenzione”. Verona: il ricorso dei detenuti; celle strette e invivibili, lo Stato ci risarcisca L’Arena di Verona, 7 febbraio 2013 A Montorio in 200 pronti a inviare il ricorso a Strasburgo. Contestate dai detenuti anche la scarsa areazione e la forte carenza di servizi igienici tra le sbarre. Hanno già aderito in venti detenuti ma, nel giro di poco tempo, potrebbero arrivare a duecento. Il ricorso, preparato dall’avvocato Maurizio Milan, è già pronto per essere inviato alla corte d’Europaa Strasburgo. Nell’istanza, vengono descritte le condizioni di vita dei detenuti a Montorio. Ogni carcerato scriverà quanti metri quadri ha a disposizione nella sua cella, l’altezza della sua stanza a sbarre, le misure delle finestre, le ore trascorse all’aria e in cella. Tutto ciò per provare che si è fuori dai binari delle normative europee sui diritti dell’uomo. È questa la prontissima risposta dei detenuti della casa circondariale di Verona alle parole pronunciate ieri dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il Capo dello Stato ha visitato il carcere di San Vittore a Milano e ha fatto considerazioni durissime nei confronti del sistema carcerario. “Avrei firmato l’amnistia dieci volte”, ha detto ieri Napolitano. E ha insistito: “Sul trattamento di chi sconta la propria pena nei penitenziari, è in gioco l’onore dell’Italia”. Proprio quella dignità che anche i detenuti di Verona chiedono che venga rispettata nel ricorso che presto invieranno autonomamente da Montorio, indirizzandolo alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo. In quella istanza, chiedono la condanna dello Stato italiano a risarcirli con 1500 euro. È una cifra simbolica che, in realtà, potrà essere aumentata da ogni singolo carcerato in base anche alla durata della sua pena. “Va tenuto presente anche la disposizione del Comitato europeo per la prevenzione della tortura o delle pene inumani”, riporta il ricorso, “che ha fissato a sette metri quadri per persona la superficie minima suggerita per una cella di detenzione”. C’è poi l’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo che obbliga le amministrazioni dei penitenziari a considerare diversi aspetti ad iniziare dalla possibilità di utilizzare i servizi igienici privatamente. Occorre tenere conto anche dell’areazione disponibile ai detenuti, l’accesso alla luce naturale e all’aria aperta, la qualità del riscaldamento e il rispetto delle non meglio specificate esigenze sanitarie di base. La richiesta dei detenuti arriva in un contesto particolarmente complesso nel carcere di Montorio. Anche i sindacati degli agenti della polizia penitenziaria veronese lamentano da anni le forti carenze nella loro pianta organica. Ci vorranno poi tempi lunghi perché arrivi una risposta dalla Corte europea. Parma: la Garante regionale Bruno; troppi “circuiti” penitenziari nello stesso carcere Ristretti Orizzonti, 7 febbraio 2013 La recente evasione di due detenuti dal carcere di Parma, “è un fatto grave”, da non “minimizzare”. Lo afferma la Garante regionale per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. “Né ha senso - prosegue - collegare l’evasione al tema del sovraffollamento e ripetere, in questo caso, che ci vogliono più pene alternative o la depenalizzazione, che non ha nulla a che vedere con l’eccesso di presenze in carcere, né può incidere su questa emergenza ormai cronica, salvo il periodo post-indulto”. Anche nel carcere di Parma - sottolinea Bruno - c’è sovraffollamento: “All’ultima visita erano presenti 617 persone su una capienza regolamentare di 429, ma la situazione è maggiormente sotto controllo che altrove. Anche qui - segnala la Garante - troppi stranieri, troppe persone in custodia cautelare, troppe con problemi di tossicodipendenza. Ma ci sono anche molti ergastolani, alcuni che hanno davvero il fine pena mai. Ci sono poi decine di detenuti in alta sicurezza, decine di persone sottoposte al regime del 41 bis, c’è una sezione per detenuti paraplegici ed è presente il centro diagnostico terapeutico sempre pieno di malati gravi, a volte gravissimi, anche provenienti da altre parti del paese, spesso con situazioni giuridiche di estrema complessità”. Tutti questi dati fanno del carcere di Parma “una realtà di complessità inaudita”, che pone “molti interrogativi - spiega Bruno - sul senso dell’ergastolo o comunque sull’abisso di sofferenza che porta con sé”, che conduce al “non avere più nulla da perdere anche con una evasione”. Di qui, la sollecitazione della Garante ad “aprire una riflessione su questa complessità senza demagogia, ma con rispetto per tutte le ragioni in campo”. “Attualmente, - conclude - in Emilia - Romagna l’amministrazione penitenziaria sta pensando a riorganizzare in modo omogeneo i circuiti penitenziari: senza dubbio l’ottimo provveditore alle carceri guarderà anche a Parma”. Desi Bruno Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale Regione Emilia Romagna Tempio Pausania: il carcere di Nuchis e diventato un istituto penitenziario per soli boss La Nuova Sardegna, 7 febbraio 2013 Le ultime “informative riservate” sul carcere di Nuchis parlano dell’imminente cambio di destinazione d’uso della struttura penitenziaria gallurese, da casa circondariale a istituto di reclusione. La differenza tra le due strutture non è soltanto formale, ma sostanziale: nel primo possono essere accolti anche detenuti comuni, mentre nel secondo sono ospitati soltanto i “definitivi” cioè coloro che debbono scontare pene superiori ai dieci anni di carcere, e in regime di massima sicurezza. Il problema, già sollevato dopo l’arrivo nel carcere gallurese di personaggi di spicco della criminalità organizzata e affiliati alle maggiori organizzazioni criminali italiane e internazionali, ha preso una preoccupante piega quando è stato deciso, dal dipartimento della amministrazione penitenziaria, di trasferire i detenuti comuni nelle carceri di Sassari e Oristano. “Una prospettiva, questa – ha scritto il sindaco di Tempio al capo del Dap e al ministro guardasigilli, Paola Severino – che rappresenta per me, in qualità di primo cittadino e rappresentante del territorio gallurese, un forte timore a fronte di una situazione che non voglio sottovalutare ma rispetto alla quale vorrei fosse fatta chiarezza. Ben lungi dall’entrare nel merito delle decisioni che vengono assunte dalle autorità preposte – scrive Romeo Frediani – si ritiene che le diverse esigenze (alta sicurezza e detenuti comuni) possano coesistere senza snaturare le funzioni della casa circondariale di Nuchis, strettamente collegata al tribunale di Tempio e della Gallura”. Il motivo di tanta preoccupazione e semplice da descrivere. Nel carcere di Nuchis possono ora accedere soltanto gli arrestati in attesa di udienza di convalida essendo state destinate soltanto quattro celle per tale incombenza dal Dap. Il dipartimento, infatti, ha valutato meno dispendiosi trasferire i detenuti in attesa di giudizio (tali sono infatti coloro che, una volta superata l’udienza di convalida, restano in cella in attesa d’essere giudicati) in altre carcere più che ospitarli a Nuchis, dove le strutture modulari non consentono di destinare un’ala a detenuti comuni. Un problema che ha già fatto insorgere la camera penale, che ha dichiarato dieci giorni di astensione dalle udienze penali a partire dal 10 di questo mese. “In questo modo si stanno limitando i diritti della difesa, si penalizza il territorio e si va contro l’amministrazione della giustizia”, dicono gli avvocati penalisti, che mettono sul piatto della bilancia anche le difficoltà e le ulteriori spese che incontrano i familiari dei detenuti comuni nel dover viaggiare tra Sassari e Oristano per incontrare i loro parenti. Un problema, questo, analizzato dagli esperti del Dap che, dati statistici alla mano, hanno quantificato in poche unità al mese i nuovi arrivi nel carcere gallurese. Da qui la decisione, che pare sia ormai irrevocabile, di trasferire i “comuni” in altre carceri. A Nuchis restano soltanto mafiosi, camorristi e affiliati alla ‘ndrangheta. Busto Arsizio: Sappe; detenuto a tenta di impiccarsi, salvato dalla Polizia penitenziaria Adnkronos, 7 febbraio 2013 Ha tentato di impiccarsi alle sbarre della cella, usando un cappio ricavato dalla coperta, ed è stato salvato dall’intervento degli agenti della Polizia Penitenziaria. È successo venerdì scorso nel carcere di Busto Arsizio, nel Varesotto, informa Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria Sappe. Il detenuto, uno straniero imputato per rapina, era rinchiuso in isolamento. La sovrintendente con l’aiuto di due assistenti, richiamati dalle urla di un agente in servizio nel reparto isolamento, è entrata all’interno della cella e ha trovato il detenuto che si era già lasciato cadere nel vuoto, spingendo la branda con i piedi. Solamente l’intervento del personale di Polizia Penitenziaria ha fatto sì che il detenuto potesse essere liberato dal cappio e salvato. “Nonostante il forte sovraffollamento dell’istituto di Busto Arsizio e la carenza di personale - afferma Capece - ancora una volta, grazie alla professionalità della Polizia Penitenziaria si riesce ad intervenire su eventi critici sempre più all’ordine del giorno. Sarebbe auspicabile un riconoscimento, da parte dell’Amministrazione Penitenziaria, al personale di Polizia Penitenziaria della casa circondariale di Busto intervenuto sulla gestione dell’evento critico”. Larino (Cb); perquisizioni in carcere, sommossa dei detenuti, agenti minacciati e insultati www.primonumero.it, 7 febbraio 2013 La protesta da parte di alcuni detenuti è esplosa dopo una perquisizione generale effettuata lunedì 4 febbraio nel carcere di Larino. Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria afferma in una nota che “pesantissimi insulti e minacce di morte rivolti al Comandante di Reparto” sono volati nel corso dei controllo. L’episodio è stato segnalato il 6 febbraio dal sindacato Sappe al segretario nazionale, per evidenziare le difficoltà in cui operano gli agenti della Polizia penitenziaria. La situazione è poi tornata alla normalità dopo l’intervento del personale e del direttore Rosa La Ginestra. Larino. Attimi di tensione nel carcere di Larino a causa di una ribellione che ha visto coinvolti i detenuti. La protesta è scoppiata in seguito a una perquisizione generale effettuata nei reparti e all’interno delle celle. La vicenda, che si è verificata lunedì 4 febbraio, è stata segnalata al segretario nazionale del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia penitenziaria) Donato Capece dal vice regionale Carmine Maglione. Nella nota viene spiegato che sono volati “insulti pesanti e minacce di morte rivolte al Comandante di Reparto”. I detenuti, che attualmente sono circa 290 in tutta la struttura, a detta del sindacato, si sarebbero ribellati in particolare proprio contro il comandante che, al momento della perquisizione, si trovava in uno dei piani coinvolti. Gli agenti erano impegnati nel verificare l’eventuale presenza di oggetti o sostanze vietate. “La protesta - si apprende ancora dalla nota - si è protratta con il rifiuto in massa di rientrare dai passeggi e con il quasi sfondamento di una delle porte d’ingresso di un passeggio per i ripetuti calci subiti dai detenuti in preda alla rabbia”. La direttrice della casa circondariale, Rosa La Ginestra, ha spiegato, in merito all’episodio che si tratta di “perquisizioni di routine alle quali qualche detenuto ha reagito con uno scambio di battute un pò più vivaci, in particolare in una sezione del carcere. Il tutto però si è risolto grazie alla polizia penitenziaria che ha gestito la situazione in modo professionale”. La vicenda si è quindi conclusa in tarda serata come racconta il sindacato dopo che “il Direttore in primis e poi il personale di Polizia Penitenziaria, attraverso continui e ripetuti interventi persuasivi, hanno riportato la situazione all’apparente normalità, con il rientro dei detenuti nelle rispettive sezioni e stanze”. Quindi puntualizzano: “Solo la professionalità del Personale di Polizia Penitenziaria, coordinati dal Direttore e dal Comandante di reparto, hanno evitato ulteriori degenerazioni aggressive, contenendo la situazione al limite e senza alcun ferito”. Il rappresentante dell’organizzazione di categoria Carmine Maglione ha sottolineato “l’inesauribile impegno profuso dagli uomini e dalle donne della Polizia penitenziaria in un contesto di notevole ed evidenti difficoltà operative e altissimo se non totale senso di abbandono istituzionale”. A seguito dell’episodio sono stati presi provvedimenti disciplinari nei confronti di 4 detenuti. Alcuni di loro sono stati messi in isolamento. Droghe; precisazioni della Cassazione; consumo ancora sanzionato, in via amministrativa di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 7 febbraio 2013 “La Cassazione precisa: l’acquisto o la detenzione di droga per uso personale o collettivo resta illecito. E soggetto a sanzioni di natura amministrativa. A venire meno, semmai, è la rilevanza penale. La puntualizzazione della Corte si è resa necessaria per circoscrivere le conseguenze della pronuncia delle Sezioni annunciate da un’informazione provvisoria, poi ripresa ampiamente dai media, diffusa la scorsa settimana. La Cassazione avverte ora che la sentenza, le cui motivazioni saranno depositate tra qualche tempo, ha confermato l’interpretazione già diffusa dalle stesse Sezioni unite nel 1997 con la pronuncia n. 4. Allora la Corte ritenne non punibili penalmente, facendole invece rientrare nell’area dell’illecito amministrativo, l’acquisto e la detenzione di sostanze stupefacenti destinate esclusivamente all’uso personale che avvengano per conto e nell’interesse anche di soggetti diversi dall’agente. A patto che l’identità di questi ultimi sia certa sin dall’inizio oltre che evidente la loro volontà di procurarsi droga destinata al proprio consumo. Con la decisione annunciata la scorsa settimana, d’altra parte, le Sezioni unite hanno ritenuto che le modifiche introdotte con la legge di conversione del decreto legge n. 272 del 2005 non hanno rilevanza per procedere all’incriminazione delle condotte di acquisto e possesso finalizzate al consumo personale. Tuttavia, tiene a sottolineare adesso la Corte, l’irrilevanza penale nei termini precisati non deve condurre all’affermazione di liceità delle condotte in questione. Infatti il trasgressore rimane comunque assoggettato a sanzione amministrativa. Nel dettaglio le sanzioni sono quelle disciplinate dagli articoli 75 e 75 bis del Dpr n. 309 del 1990. Tra l’altro, in caso di illecito di minore gravità, alla persona interessata può essere inflitta per la durata minima di un mese e massima di un anno, la sospensione della patente, del passaporto o del permesso di soggiorno; inoltre, può essere “invitato” a seguire un percorso terapeutico - riabilitativo. Nei casi più gravi, quando esistono forti rischi per la sicurezza pubblica, le sanzioni diventano più pesanti e prolungate nel tempo potendo toccare i 2 anni di durata. Tra le misure che possono essere inflitte in questo caso ci sono l’obbligo di presentazione almeno 2 volte alla settimana presso gli uffici delle Forze dell’Ordine, il divieto di frequentare locali pubblici oppure di allontanarsi dal comune di residenza, l’obbligo di rientrare nella propria abitazione entro una determinata ora. Insomma il ventaglio di misure a disposizione sembra sufficientemente ampio da non far ritenere compromessa la forza deterrente a causa dell’orientamento delle Sezioni unite.