Italia: Stato canaglia Ristretti Orizzonti, 6 febbraio 2013 Voglio dare voce a chi necessita di una voce. A chi non ha potere (Yuen Ying Chan Daily News reporter). Ornella Favero, il direttore di Ristretti Orizzonti, oggi ha portato in redazione la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dell’8 gennaio 2013 (appena tradotta in italiano) che condanna lo Stato italiano per la violazione dell’articolo 3 della convenzione che stabilisce: - Divieto della tortura. Nessuno può essere sottoposto a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti. Ornella nelle riunioni in Redazione mi ricorda spesso: - Non voglio fare un giornale di denuncia, voglio fare un giornale di informazione. Per cui cerco di capire come sono andate le cose e cerco di usare sempre toni sobri. Io credo che la verità si impone per la forza della sobrietà della notizia, non di quanto urli in più. Ornella ha ragione, ma se lo dice la Corte europea che l’Italia è uno Stato canaglia, lo voglio dire anch’io, anche se sono stato un fuorilegge. E lo voglio fare urlando dalle sbarre della mia finestra, affinché qualcuno aldilà del muro di cinta mi senta che nelle carceri italiane, spesso, il detenuto subisce un carico di sofferenza superiore a quella prevista dalla sentenza della sua condanna. Subisce una sofferenza non solo fisica, ma soprattutto mentale perché il prigioniero italiano oltre a perdere la libertà, molte volte getta via dalle sbarre della sua finestra anche il suo cuore. Spesso nelle nostre patrie galere il detenuto perde anche i propri pensieri perché ti spogliano della tua identità. E per sopravvivere non ti rimane altro che esprimere la tua libertà e amore con la rabbia verso tutte le istituzioni colpevoli di averti fatto diventare un fantasma. Per questo molti di noi a volte si dimenticano del male che hanno commesso e si ricordano solo del male che adesso ricevono. Allora per questo grido che nelle nostre Patrie galere non esistono diritti all’integrità fisica, alla salute mentale, sessuale, familiare, diritti sociali, morali e culturali. E se lo dice la Corte europea lo posso affermare anch’io che l’Italia è uno Stato canaglia e mi auguro che il resto d’Europa, in una guerra umanitaria, ci venga presto a bombardare di legalità. Carmelo Musumeci della Redazione di Ristretti Orizzonti Carcere Padova febbraio 2013. Giustizia: il presidente Napolitano a San Vittore “Lo Stato non rispetta la Costituzione” La Repubblica, 6 febbraio 2013 La visita in uno dei luoghi simbolo del sovraffollamento delle carceri italiane: 1.600 detenuti in una struttura progettata per ospitarne al massimo la metà. “Più volte ho denunciato l’insostenibilità di queste condizioni, ma i miei appelli sono purtroppo caduti nel vuoto”. E la prima volta di un capo dello Stato nella struttura milanese. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha visitato il carcere milanese di San Vittore, dove ha denunciato una “situazione insostenibile” che “mette in gioco l’onore dell’Italia”. È la prima volta che un capo dello Stato arriva nel penitenziario milanese. Le ragioni della visita sono legate alla grave situazione delle carceri italiane, il cui sovraffollamento è uno degli aspetti più critici. San Vittore rappresenta una sorta di caso simbolo del sovraffollamento: nel penitenziario milanese sono detenute 1.600 persone, per un carcere che potrebbe ospitarne solamente la metà, e per il 60 per cento arrivano da Paesi extracomunitari. Il presidente è stato accolto da un gruppo di esponenti radicali che hanno gridato “amnistia, amnistia”. I radicali hanno esposto uno striscione con la scritta “Amnistia per la Repubblica”. “Ho più volte e anche molto di recente colto ogni occasione per denunciare l’insostenibilità delle condizioni delle carceri e di coloro che vi sono rinchiusi”, ha detto Napolitano nel suo saluto ai detenuti ricordando che i suoi appelli sulla situazione delle carceri “sono caduti nel vuoto”, com’è avvenuto anche su altre materie. “Ho pensato tuttavia di dovere, accogliendo l’invito rivoltomi a visitare San Vittore, levare nuovamente la mia voce dopo che sul tema è intervenuta ancora la Corte europea per i diritti dell’uomo con una condanna - mortificante, come l’ho definita - per l’Italia”. Per il capo dello Stato è ora necessario “dare esecuzione” alla condanna venuta dall’Europa perché “è in gioco una delle condizioni essenziali dello Stato di diritto. Sono in gioco il prestigio e l’onore dell’Italia e l’impegno che ne discende deve essere presente a tutte le forze politiche e ai cittadini elettori anche nel momento in cui è chiamato a eleggere il nuovo parlamento”. E ancora: “La mancata attuazione delle regole penitenziarie europee conferma la perdurante incapacità del nostro Stato a realizzare un sistema rispettoso del dettato dell’artico 27 della Costituzione sulla funzione rieducativa della pena e sul senso di umanità”. “Nessuna parte vorrà, anche in questo momento, negare la gravità e l’urgenza dell’attuale realtà carceraria nel nostro Paese”, è l’appello che Napolitano, alla fine del suo mandato, rivolge alle forze politiche affinché prendano un impegno per risolvere drasticamente la situazione carceraria. A giudizio di Napolitano questo “è già da considerarsi importante per le decisioni da prendere liberamente nel futuro”. Sia chiaro: “Sulle strade da scegliere, sugli indirizzi da perseguire in materia di legislazione penale e di politica penitenziaria esistono posizioni diverse tra uno schieramento e l’altro, fra un partito e l’altro. E io oggi - ha aggiunto - non intendo dire nulla che possa anche solo aprire un’interferenza nel dibattito in corso, destinato poi a riaprirsi nelle nuove assemblee parlamentari”. “Il confronto - ha concluso Napolitano - non potrà non tenere conto di tutti i punti di vista e le proposte, comprese quelle contenute nella relazione presentata nello scorso novembre dalla speciale commissione istituita dal Csm sui problemi della magistratura di sorveglianza”. Poi, prima di congedarsi: “Confido che la mia testimonianza e le mie parole di oggi possano essere raccolte da chi mi succederà nelle funzioni di Capo dello Stato e da tutte le istituzioni rappresentative”. “Con questo gesto Giorgio Napolitano dimostra ancora una volta di essere attento al tema della giustizia e quindi anche delle condizioni delle carceri”, si legge nel messaggio di benvenuto del sindaco di Milano, Giuliano Pisapia. “L’Italia, anche recentemente, è stata più volte sanzionata dalla Corte europea di Strasburgo per le condizioni delle nostre carceri non degne di un Paese civile. San Vittore, purtroppo, si trova nella medesima situazione. È un problema che non riguarda solo i detenuti, ma anche chi lavora e opera all’interno degli istituti penitenziari. Per questo il Comune di Milano, per la prima volta, ha tenuto una seduta ufficiale del consiglio comunale carcere. Abbiamo voluto ricordare che San Vittore è parte integrante della città e la sua presenza, con i suoi problemi, non può e non deve essere rimossa”. E per il presidente di Antigone, l’associazione che si batte per i diritti nelle carceri, Patrizio Gonnella, “il presidente Napolitano è riuscito a dare luce a una realtà opaca come quella del carcere. E per questo lo ringraziamo”. Giustizia: Napolitano; avrei firmato l’amnistia, ma in Parlamento non c’è stato consenso Adnkronos, 6 febbraio 2013 “Se mi fosse toccato veramente mettere una firma su un provvedimento di amnistia l’avrei messa non una ma ben dieci volte”. È quanto ha affermato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, incontrando un gruppo di radicali all’uscita dal carcere di San Vittore, che chiedevano a gran voce l’introduzione dell’amnistia per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario. “La cosa però a cui non mi posso arrendere - ha proseguito Napolitano conversando con i radicali - è che o si fa l’amnistia o non si fa nulla. Bisogna fare tutto quello che è possibile tenendo fermo questo obiettivo, cercando di avere consensi in Parlamento. Non è come il provvedimento di grazia, che posso fare qualunque cosa ne pensi il Parlamento”. Secondo il Presidente sul provvedimento di amnistia ci sono stati problemi “per una mancata di consensi in Parlamento. Qui occorre modificare la legislazione penale e la politica penitenziaria e quando tornerò in Parlamento, nel limite delle mie modeste forze e fino a quando avrò un po’ di energia, potete stare tranquilli - ha concluso - che mi batterò per questo. Posso fare ancora molte cose”. Giustizia: Napolitano; magistrati dovrebbero fare stage in carcere… a vedere la situazione Tm News, 6 febbraio 2013 “Mi sono complimentato con il presidente Onida (Valerio, presidente del comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura, ndr) per la decisione della Scuola di far venire i nuovi magistrati a fare un periodo in carcere, lo stage penitenziario. Sarebbe bene che entrassero nelle celle anche un po’ di magistrati giudicanti, ci vorrebbe uno stage penitenziario per i giovani giudici. Mi è stato risposto che questo, che in Francia esiste da 20 anni, è stato introdotto adesso, per la prima volta, anche in Italia, che prima di cominciare a fare il magistrato in servizio si venga a vedere qual è la situazione e si pensi bene...”. È quanto ha spiegato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, conversando con alcuni esponenti Radicali che invocavano un provvedimento di amnistia fuori dal carcere di San Vittore a Milano, visitato questa mattina dal capo dello Stato. Giustizia: Napolitano; valorizzare il ruolo del volontariato in carcere Vita, 6 febbraio 2013 “Ho più volte, e anche molto di recente, colto ogni occasione per denunciare l’insostenibilità della condizione delle carceri e di coloro che vi sono rinchiusi. E naturalmente avrei auspicato che i miei appelli fossero raccolti in misura maggiore di quanto non sia accaduto, ma vi posso assicurare che questo è accaduto per vari appelli del Presidente della Repubblica riguardanti anche altre questioni. Ho pensato tuttavia di dovere - raccogliendo l’invito rivoltomi a visitare San Vittore - levare nuovamente la mia voce dopo che sul tema è intervenuta ancora la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo con una condanna, mortificante come l’ho definita, per l’Italia”. Così il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha iniziato il suo discordo nella rotonda del carcere di San Vittore, a Milano, dove ha incontrato i detenuti, il personale e i volontari. È in gioco il prestigio e l’onore dell’Italia “Il Presidente Tamburino - ha aggiunto il Capo dello Stato - ha analizzato attentamente in un suo scritto la sentenza della Cedu, considerando dovere indefettibile e indifferibile, da parte nostra, darvi esecuzione. È in giuoco, come egli ha giustamente rilevato, una delle condizioni essenziali dello Stato di diritto. Sono in giuoco - debbo dire nella mia responsabilità di Presidente della Repubblica - il prestigio e l’onore dell’Italia”. Sulle strade da scegliere e sugli indirizzi da perseguire in materia di legislazione penale e di politica penitenziaria, ha sottolineato Napolitano, esistono posizioni diverse tra uno schieramento e l’altro “e io oggi non intendo dire nulla che possa anche solo apparire un’interferenza nel dibattito in corso”, tuttavia “di certo nessuna parte vorrà, anche in questo momento, negare la gravità dell’attuale realtà carceraria nel nostro paese, negare la gravità e l’urgenza della questione carceraria. Ed è già da considerarsi importante, per le decisioni da prendere liberamente nel futuro, questo comune riconoscimento obbiettivo della gravità e urgenza estrema della questione carceraria”. Valorizzare il volontariato “Questa visita - ha rilevato il Capo dello Stato - è un’occasione importante per rivolgere il giusto riconoscimento anche al lavoro diuturno svolto dagli uomini e dalla donne della polizia penitenziaria, che esercitano i loro compiti di custodia nella complessa realtà inframuraria con sensibilità, abnegazione e professionalità e desidero associarmi all’omaggio che ha tributato il Presidente Tamburino alla memoria dei due caduti i cui figli sono oggi qui con noi. Analogo riconoscimento e apprezzamento va tributato a tutti quegli altri operatori, dai dirigenti degli istituti, agli assistenti sociali, agli educatori, agli psicologi, agli operatori dell’area sanitaria che profondono il loro impegno nel progettare e assecondare il percorso di rieducazione. Né possono essere trascurate le risorse e le disponibilità del volontariato e del terzo settore, particolarmente attivi in ambiente carcerario, il cui ruolo merita dunque di essere valorizzato”. Lavoro: appello alle imprese e alla cooperazione sociale “L’apertura del carcere alla istruzione, al lavoro, ai rapporti quotidiani con la comunità esterna, sono - ha sottolineato il Presidente Napolitano - un inizio di giustizia, un passo indispensabile per consentire al condannato di raggiungere una più alta coscienza di sé, di generare la spinta morale verso la inclusione nella realtà esterna: solo in tal modo, l’aspirazione al reinserimento può non essere una utopia e al reo viene offerta la opportunità del recupero sociale. Occorre peraltro prendere coscienza che la responsabilità del trattamento e della risocializzazione non può essere affidata esclusivamente al personale dell’Amministrazione, ma deve estendersi e coinvolgere tutte le articolazioni sociali: dalla famiglia alla scuola, alle istituzioni religiose, alle associazioni di volontariato, al mondo del lavoro. Al mondo imprenditoriale e alla cooperazione sociale - pur nell’attuale momento di crisi economica - va chiesto un adeguato supporto per i profili della formazione, dell’orientamento e dell’inserimento lavorativo”. Un pensiero per le mamme detenute Ed ecco la chiusura del discorso di Napolitano: “a brevissima distanza dalla conclusione del mio mandato di Presidente, ho voluto essere tra voi con sentimenti di sincera e meditata condivisione di problemi e di umane sofferenze di cui lo Stato repubblicano deve farsi carico con quella determinazione, coerenza e continuità che finora purtroppo non ha mostrato. Sofferenze di uomini e donne qui reclusi e, direi poi in modo particolarissimo, di donne che sono mamme e per di più sono anche straniere. Confido che la mia testimonianza e le mie parole di oggi possano essere raccolte da chi mi succederà nelle funzioni di Capo dello Stato e da tutte le istituzioni rappresentative, a cominciare dal Parlamento che sta per essere eletto”. Giustizia: Monti; problema delle carceri è uno dei più gravi, servono misure straordinarie Agi, 6 febbraio 2013 “Il problema delle carceri è uno dei più gravi dell’Italia e per affrontarlo servono “misure straordinarie”. A spiegarlo, da Padova, il premier dimissionario Mario Monti. “Penso che il tema della carceri sia uno dei problemi più gravi dell’Italia. Del resto proprio oggi il presidente Napolitano visiterà il cacere di San Vittore. Bisogna che la coscienza degli italiani si renda conto che ci vogliono misure straordinarie per affrontare il tema delle carceri e della dignità della vita nelle carceri”, ha detto. “Il governo - ha rivendicato Monti - ha proposto una serie di misure alternative alla detenzione, ma purtroppo non ha fatto a tempo ad approvare queste misure che avrebbero dato un contributo notevole a risolvere anche il problema di un incivile affollamento degli istituti di pena. Bisognerà riprendere questo tema al più presto nella nuova legislatura”. Giustizia: Severino; emergenza delle carceri sia una priorità per il prossimo parlamento Agenparl, 6 febbraio 2013 “Con saggezza e fermezza il Capo dello Stato ci ha richiamato l’insegnamento di Pietro Calamandrei: il grado di civiltà di una Nazione si giudica dal suo sistema penitenziario. Condivido in pieno le parole del presidente Napolitano e ritengo di assoluta necessità che la questione carceraria sia posta in cima alle priorità della prossima attività parlamentare”. Lo afferma in una nota il Ministro della Giustizia Paola Severino. “Il primo provvedimento varato da questo governo in materia di giustizia ha riguardato proprio le carceri, ma purtroppo il cammino si è interrotto a metà strada: da un lato, infatti, la conversione in legge del decreto salva carceri ha consentito di incidere sul fenomeno delle cosiddette porte girevoli (gli ingressi per soli due - tre giorni) e sull’allungamento da 12 a 18 mesi della durata della detenzione domiciliare; dall’altro, invece, il disegno di legge sulle misure alternative al carcere non è arrivato al termine del suo iter parlamentare prima della fine della legislatura. Quel provvedimento avrebbe tracciato un importante solco nella direzione delle misure strutturali che ci ha recentemente suggerito la Corte europea dei diritti dell’uomo. Purtroppo il Senato, nel corso della sua ultima seduta, ha ritenuto che non ci fossero le condizioni per approvare in via definitiva il disegno di legge, seppure su di esso la Camera si fosse espressa con larghissima maggioranza”. “Rispetto a 15 mesi fa, quando ho giurato come Ministro della Giustizia, il numero dei detenuti è lievemente calato grazie al decreto salva carceri (65.892 oggi, a fronte di 68.047 a novembre 2011), ma la situazione resta intollerabile. Ha pienamente ragione il presidente Napolitano: sono in gioco l’onore e il prestigio del nostro Paese. Non ci si può voltare dall’altra parte di fronte a un’umanità sofferente e ad una pena che, se così scontata, non rieduca e non offre la speranza di un futuro diverso e migliore. Da parte mia, torno a ribadirlo, continuerò a lavorare sul tema carceri fino all’ultimo giorno di mia permanenza in Via Arenula. Quel disegno di legge sulle misure alternative è tutt’oggi oggetto di ampliamento da parte degli uffici tecnici del ministero, grazie anche agli spunti offerti dallo studio della Commissione del Csm. E ancora: sempre presso il ministero stanno ultimando i lavori le Commissioni di studio sulla prescrizione e sulla depenalizzazione. Non posso che augurarmi fortemente - conclude il ministro Severino - che tali lavori possano essere ritenuti utili dal prossimo governo e Parlamento”. Giustizia: commenti dei rappresentanti politici a dichiarazioni di Napolitano sulle carceri Ristretti Orizzonti, 6 febbraio 2013 Favi (Pd): nel nostro programma proposte per uscire da emergenza L’eredità morale e civile che ci consegna il presidente Napolitano affinché la situazione insostenibile delle carceri sia rapidamente superata e venga restituito il prestigio e l’onore all’Italia, macchiato dalla censura dalla Corte europea per i diritti umani, avrà nel centrosinistra un sicuro custode. Nel programma del Pd abbiamo indicato una serie di puntuali interventi, da adottare con l’urgenza dei primi 100 giorni, per abrogare e correggere le leggi che più concorrono agli alti indici di incarcerazione, agli ingiustificati inasprimenti delle pene e alle preclusioni all’accesso alle misure alternative che in Europa sono indicate come le più efficaci soluzioni per la riduzione dell’area dell’illegalità e della recidiva di reato. Misure ed interventi che nella scorsa legislatura sono stati fortemente contrastati fino all’ultimo dal Pdl, dalla Lega e anche dall’Idv di Di Pietro, come dimostra la vicenda dell’ultimo pacchetto proposto dal ministro Severino. Il Pd metterà in campo un’azione di sistema perché si realizzino le condizioni strutturali per restituire alle carceri e alle pene non detentive il senso di umanità, le condizioni di legalità e la costante tensione al recupero delle persone alla convivenza civile, nello spirito e nella lettera dell’articolo 27 della Costituzione. Cucchi (Rc): amnistia ed eliminare leggi criminali “Le nostre carceri sono delle vere e proprie discariche sociali. Sono stracolme di derelitti che, spesso, non hanno nessuna pericolosità sociale. Sono diventati luoghi dove la cultura del rispetto dei diritti umani non è affatto contemplata”. È quanto scrive in una nota Ilaria Cucchi, candidata per la lista Rivoluzione civile. “Mentre continuiamo a fare proclami, promesse e inutili chiacchiere - attacca Cucchi - la gente continua a morire. Anche per questo serve una legge sulla tortura. Subito! Occorre l’amnistia. Appena entrerò in Parlamento, se i cittadini mi concederanno la loro fiducia, presenterò un disegno di legge per l’eliminazione di leggi criminali come la Fini-Giovanardi e la Bossi-Fini”. Per Cucchi “è grave, ed è un problema culturale il fatto che, queste problematiche, siano sempre state considerate tra le ultime in ordine di importanza o priorità. Non possiamo più permetterlo. Queste sono le vere emergenze a cui deve guardare il nostro Paese se vuol definirsi civile”, conclude. Grasso (Pd): da veti parlamentari blocco norme su sovraffollamento “Il Parlamento uscente è stato ostaggio di veti che non hanno consentito il varo di norme contro il sovraffollamento delle carceri: tutti ricordiamo quel venerdì nero, lo scorso dicembre, quando un’inversione dell’ordine del giorno dell’Aula portò all’accantonamento della legge sulle pene alternative e alla approvazione della riforma della professione forense”. Così Pietro Grasso, candidato del Pd al Senato. “Le nuove Camere, perciò, dovranno intervenire con urgenza. Occorrono provvedimenti efficaci - aggiunge, cioè in grado di affrontare davvero il problema: si può prendere in considerazione anche l’eventualità di una amnistia che però non basta perchè riguarderebbe pochi casi. Non si faccia l’errore di invocare leggi - bandiera. Io torno a dire che interventi sulla legge Bossi - Fini, sulla Giovanardi e sulla ex Cirielli potrebbero davvero andare incontro alle esigenze della popolazione carceraria. I governi Berlusconi e Monti - conclude Grasso - hanno dato prova di una gestione del problema carcerario assolutamente inadeguata ed è comprensibile che di fronte a questo immobilismo il capo dello Stato esprima rammarico ed esorti il legislatore a fare il suo dovere”. Ingroia (Rc): sì all’amnistia per reati minori “Sono totalmente d’accordo con il Presidente Napolitano sulla situazione critica delle carceri italiane. C’è una situazione di affollamento carcerario che non può più andare avanti”. Così Antonio Ingroia, leader di Rivoluzione Civile, in una intervista ad Affaritaliani.it commenta le parole di Giorgio Napolitano in visita al carcere di San Vittore a Milano. “La situazione è così scandalosamente insostenibile che bisogna intervenire con urgenza con provvedimenti volti a svuotare le carceri e riformare il sistema. Personalmente sono favorevole ad una amnistia che svuoti le carceri da coloro che sono in prigione per reati minori”. Ma Ingroia precisa: “Certo non mi riferisco ai condannati per fatti di sangue, per atti contro la Pubblica Amministrazione, o legati alla mafia. Le carceri sono piene prevalentemente di persone arrestate per spaccio, ma che sono soprattutto consumatori. Oppure da migranti clandestini che vengono incarcerati a causa di queste leggi assurde che rendono arduo avere un permesso di soggiorno. Nel contempo bisogna lavorare sul sistema nel suo complesso”. E il leader di Rivoluzione Civile fa la sua proposta: “Bisogna anzitutto intervenire sulla legge sugli stupefacenti, perchè va nettamente ridimensionato il trattamento sanzionatorio. In secondo luogo va radicalmente riformata la legge sull’immigrazione clandestina. E poi serve una riforma del sistema penale che consenta di avere sentenze in tempi brevi, perchè - conclude Ingroia - ricordiamo che in carcere ci sono soprattutto persone in attesa di una sentenza di terzo grado”. Testa (Radicali): presa d’atto di Napolitano tardiva “Napolitano, oggi in visita al carcere di San Vittore, dice quanto noi Radicali stiamo denunciando da anni, ossia denuncia uno Stato criminale che non rispetta le sue leggi e quelle europee, e tortura e condanna troppo spesso a morte chi deve scontare una pena. Perchè solo ora il monito del Presidente? Ha avuto tutto il tempo necessario per inviare un messaggio impegnativo e formale alle Camere ma non l’ha fatto”. Lo dichiara in una nota Irene Testa, candidata per la Camera dei Deputati nella Lista Amnistia Giustizia Libertà, Segretaria dell’associazione il Detenuto Ignoto. “Il suo atto di consapevolezza giunge tardivo - prosegue Testa - oggi, e con tutta probabilità destinato al medesimo destino dei suoi appelli precedenti, ignorati, pare, dal Presidente medesimo. C’è da auspicare, invece, che, come lui stesso ha detto, il prossimo Parlamento riesca a risolvere l’urgenza di giustizia oramai improcrastinabile. Per questo scopo la lista Amnistia Giustizia Libertà si candida alle prossime elezioni, sostenendo l’urgenza di occuparsi di questi nodi e proponendo le soluzioni necessarie. Mosca (Pd): reinserimento lavorativo dei detenuti per abbattere recidiva “Le parole del Presidente Napolitano sulla mancata attuazione dell’articolo 27 della Costituzione e le sue ripetute denunce sulla drammatica situazione delle carceri dovranno essere raccolte seriamente dal prossimo Governo e costituire una responsabilità tra le più urgenti fin dall’inizio della legislatura” dichiara Alessia Mosca, deputato uscente e candidata Pd in Lombardia. “Io mi impegno, fin da ora, a portare avanti la proposta di legge sul reinserimento lavorativo dei detenuti, arrivata nella fase conclusiva del suo iter ma non approvata definitivamente a causa della fine della legislatura. Il lavoro, oltre a essere elemento ineliminabile di un progetto di riabilitazione di chi ha sbagliato, è lo strumento più efficace per l’abbattimento del tasso di recidiva: la risoluzione del grave problema di sovraffollamento delle carceri italiane deve necessariamente passare di qui”. Maroni (Lega): in Lombardia gestiamo noi le carceri non utilizzate Per il candidato alla presidenza della Regione Lombardia Roberto Maroni per affrontare il problema del sovraffollamento nelle carceri “bisogna fare accordi bilaterali e costruirne di nuove” e, almeno in Lombardia, recuperare le carceri non utilizzate. Secondo Maroni, che ha citato alcuni accordi con siglati durante il governo Berlusconi con la Romania e i Paesi del Maghreb, “la strada è segnata. Bisogna fare in modo che i detenuti degli altri paesi vadano nelle carceri di provenienza”. Anche perché, ha sostenuto, “non è giusto che ci sia sovraffollamento, ma non è neanche giusto che chi ha commesso un reato venga messo in libertà”. In particolare, in Lombardia “Stiamo facendo una mappa di tutte le strutture carcerarie in Lombardia che non sono utilizzate perché costa troppo”. La proposta d Maroni è: “facciamo un progetto, le utilizziamo e le gestiamo noi con l’accordo del ministero della Giustizia e forse gli risolviamo un problema”. Rosa (Fare): carcere San Vittore è follia urbanistica Gianbattista Rosa, coordinatore regionale e candidato di Fare per Fermare il declino nella circoscrizione di Milano, in occasione della visita del Presidente Napolitano al carcere di San Vittore ha dichiarato: “Il carcere di San Vittore è una follia politico - urbanistica. A 500 metri da Sant’Ambrogio e Santa Maria delle Grazie, dove le case valgono 9.000 euro al metro quadro, 1.600 disgraziati vivono in condizioni inaccettabili di disagio e sovraffollamento, occupando uno spazio che può essere invece una clamorosa risorsa per Milano. Occorre agire con il Ministero della Giustizia per conferire il carcere ad un fondo immobiliare, che si impegni a costruire in 4 anni un carcere modello in un’area della campagna milanese, e riqualificare il complesso in una “cittadella delle arti e dei mestieri”, dove troveranno sede laboratori, centri di ricerca, botteghe del design, della moda, dell’arredamento e delle altre eccellenze lombarde. San Vittore deve diventare, insieme al Duomo e al Castello, il simbolo di una Milano che rinasce, e che attrae intelligenze e investimenti, non un lugubre luogo di pena nel cuore pulsante della città”. Torrealta: (Rc): nelle carceri protocollo segreto, è anticostituzionale “La Corte europea per i diritti umani di Strasburgo ha condannato recentemente il nostro Paese a risarcire, con centomila euro a testa, 7 carcerati che sono stati detenuti in cella mentre avevano a disposizione meno di 3 metri quadrati a persona. Ci sono altri 550 ricorsi di detenuti italiani presso la corte di Strasburgo che attendono giustizia”. È quanto scrive in una nota Maurizio Torrealta, candidato per la lista Rivoluzione civile. “Per la corte di Strasburgo le carceri Italiane, con le attuali condizioni di detenzione, praticano la tortura nei confronti dei detenuti - aggiunge Torrealta - le statistiche parlano da sole: dal 2000 al 2010 sono morte in carcere 1000 persone, di queste morti il 56 per cento sono stati suicidi, il 20 per cento sono decessi per i quali non è stata ancora individuata una causa. Nelle carceri italiane viene applicato un protocollo segreto che obbliga la polizia penitenziaria a mantenere il segreto su qualsiasi evento accada all’interno e a riferirlo esclusivamente all’Aisi. L’autorità giudiziaria, finché rimarrà in funzione questo protocollo - conclude Torrealta - sarà esclusa dal controllo delle carceri, violando così i dettami della Costituzione che prevedono che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Gonnella (Antigone): Napolitano ha dato luce a realtà opaca “Il presidente Napolitano è riuscito a dare luce ad una realtà opaca come quella del carcere, e per questo lo ringraziamo”. Così Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone che si batte per i diritti nelle carceri commenta le parole del presidente della Repubblica in visita a San Vittore. Il sistema carcerario italiano è fuori dalla legalità interna e internazionale - dice Gonnella - e dopo la sentenza della Corte di Strasburgo l’Italia ha un anno di tempo per porre rimedio alla drammatica situazione di sovraffollamento che produce violazione sistematica della dignità umana e dei diritti fondamentali della persona. Presso la corte di Strasburgo - prosegue - ci sono centinaia di ricorsi pendenti perchè in cella nel nostro Paese non è garantito lo spazio vitale che corrisponde a tre metri quadri. Insieme ad altre associazioni abbiamo appena presentato tre proposte di legge d’iniziativa popolare - ricorda Gonnella - per intervenire sulle norme che creano carcerazione senza sicurezza. Oltre al provvedimento che introduce nel nostro codice il reato di tortura, c’è quello che abroga la legge Fini - Giovanardi sulla droga e la terza legge che, per contenere il sovraffollamento, introduce il numero chiuso nelle carceri. I partiti in campagna elettorale e il prossimo parlamento - conclude Gonnella - hanno una piattaforma da cui partire per riportare il sistema carcerario nella legalità. Manzelli (direttrice di San Vittore): da presidente Napolitano grande sensibilità “Il presidente della Repubblica ha dimostrato ancora una volta la sua sensibilità verso i detenuti e le condizioni in cui sono costretti a vivere”: è il commento di Gloria Manzelli, direttore di San Vittore, al termine della visita di Giorgio Napolitano nel carcere milanese. “Ha visitato in particolare il VI raggio per rendersi conto di persona della situazione”, aggiunge la Manzelli. Il VI raggio è uno dei più affollati, con detenuti in prevalenza stranieri, ed è l’unico raggio che non è stato ristrutturato. “Prima ha incontrato anche gli agenti di polizia penitenziaria - racconta il direttore di San Vittore - e gli è stato offerto un caffè e alcuni biscotti preparati dalle donne dell’Icam (l’istituto a custodia attenuata per detenute madri con figli fino a tre anni, ndr)”. I detenuti hanno donato a Giorgio Napolitano due Tour Eiffel realizzate con gli stuzzicadenti. “Alcuni hanno anche consegnato una lettera personale al Presidente della Repubblica di cui non conosciamo il contenuto”, conclude Gloria Manzelli. Naldi (Garante detenuti): Napolitano a San Vittore passaggio importantissimo “La visita di Napolitano a San Vittore è un passaggio importantissimo perchè l’opinione pubblica si renda conto delle condizioni delle carceri italiane”, commenta a caldo Alessandra Naldi, da pochi giorni garanti dei detenuti di Milano. Proprio oggi sta partecipando al digiuno a staffetta proposto dalla Casa della carità insieme ad altre associazioni per denunciare il sovraffollamento delle celle. “Nell’appello lanciato nei giorni scorsi abbiamo chiesto che di questo problema si facciano carico tutti - ricorda Alessandra Naldi. E idealmente l’appello è stato subito colto da Giorgio Napolitano”. “È molto importante che di fronte ai detenuti il Presidente della Repubblica si sia impegnato a riproporre la questione carcere al Parlamento che si insedierà dopo le elezioni”, aggiunge il Garante di Milano. Capece (Sappe): sacrosante le parole del Capo dello Stato “Il Capo dello Stato Giorgio Napolitano è tornato ancora una volta a denunciare, autorevolmente, l’insostenibile situazione delle carceri italiane. Ed ha detto parole sacrosante sulla mancata volontà politica di risolvere concretamente questa emergenza che ricade in prima persona sulle gravi criticità operative con le quali quotidianamente si confrontano le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. Ci auguriamo che le sue sacrosante parole possano dare una “scossa salutare” alla classe politica del Paese per affrontare e risolvere le problematiche del carcere”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, in relazione alla visita del Presidente della Repubblica nel carcere milanese di S. Vittore. “Il sovraffollamento degli istituti di pena è una realtà che umilia l’Italia rispetto al resto dell’Europa e costringe i poliziotti penitenziari a gravose condizioni di lavoro. Già in altre occasioni il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ebbe a sottolineare con forza come l’emergenza carceri era dovuta al peso gravemente negativo di oscillanti e incerte scelte politiche e legislative, tra tendenziali depenalizzazione e depeninteziarizzazione e ciclica ripenalizzazione, con un crescente ricorso alla custodia cautelare, abnorme estensione della carcerazione preventiva. Certo che quel che non serve per risolvere questa umiliante situazione è la delegittimazione del ruolo di sicurezza affidato alla Polizia Penitenziaria, come invece previsto dal Capo Dap Giovanni Tamburino che vorrebbe consegnare le carceri all’autogestione dei detenuti attraverso fantomatici patti di responsabilità. Una scelta (che il Vice Capo Luigi Pagano cerca di presentare in giro come una positiva rivoluzione normale delle carceri, forse perché pensa che i penitenziari italiani siano tutti come quello di Milano Bollate, una struttura così tanto “a trattamento avanzato” che una ristretta rimase incinta durante la detenzione… ) favoleggia di un regime penitenziario aperto, di sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità favorendo un depotenziamento del ruolo di vigilanza della Polizia Penitenziaria mantenendo però in capo ai Baschi Azzurri il reato penale della colpa del custode (articolo 387 del Codice penale). Di fatto, da quando è operativa questa disposizione del Dap, abbiamo constatato un aumento di aggressioni, di suicidi, dei tentati suicidi sventati per fortuna sventati dai poliziotti penitenziari, delle evasioni e di quelle tentate, delle risse e degli atti di autolesionismo. Se gli agenti non possono controllare stabilmente le celle le responsabilità non possono essere le loro ma di chi quella nota circolare ha firmato, il Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino, e di chi la spaccia per rivoluzione normale delle carceri, il Vice Capo Luigi Pagano, che il Ministro Guardasigilli non può ulteriormente lasciare alla guida del Dap”. Giustizia: al grido di “amnistia” un presidio Radicale accoglie Napolitano a San Vittore Agenparl, 6 febbraio 2013 In occasione della visita del Presidente della Repubblica al carcere milanese di San Vittore I candidati della lista Amnistia Giustizia e Libertà e I militanti Radicali milanesi hanno organizzato un presidio davanti all’istituto di pena. Tra I presenti Marco Cappato, Maurizio Turco, Marco Perduca, Marco Beltrandi ed Emiliano Silvestri che hanno accolto l’arrivo di Napolitano, del Sindaco Pisapia del capo del Dap Tamburino e del coordinatore dei garanti dei detenuti Corleone al grido di “Amnistia”. Di buon mattino I Parlamentari Radicali si erano presentati per una visita ispettiva, ma la direttrice ha gentilmente spiegato che per motivi logistici e di organizzazione della visita tale opportunità sarebbe stata possibile alla partenza del Presidente. Fin dall’entrata comunque si nota un incredibile dispiegamento di Polizia di Stato e Carabinieri nonché un altrettanto mai visto numero di agenti di Polizia penitenziaria. Da quanto raccolto dai presenti la “visita” si dovrebbe limitare all’ispezione di alcune celle in uno dei raggi restaurati e un incontro coi detenuti e gli agenti nella rotondo all’ingresso anch’essa totalmente rimessa a nuovo. Secondo quanto dichiarato dai Radicali in una conferenza stampa davanti al carcere, il Presidente vedrà quindi tutt’altro che il patente stato di illegalità costituzionale che caratterizza l’amministrazione penitenziaria. San Vittore ha oltre 1600 detenuti stipati in una vecchia struttura che ne dovrebbe tenere una metà. Maurizio Turco ha ricordato come ancora recentemente “la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per la sua sistematica violazione della Convenzione europea dei diritti umani sia per l’irragionevole durata dei processi che per le inumane condizioni detentive. L’amnistia” ha aggiunto Turco “è la prima riforma necessaria per poter recuperare lo Stato di Diritto in Italia. Qui dentro la metà dei presenti non ha una sentenza definitiva e di questa metà una metà verrà trovata innocente. L’amnistia impatterebbe sul sovraffollamento ma andrebbe anche a liberare scrivanie e scaffali dei magistrati liberando energie per amministrare la giustizia secondo la legge”. Giustizia: Garanti detenuti a Napolitano “tre leggi per ripristinare condizioni umane” di Luigi Franco Il Fatto Quotidiano, 6 febbraio 2013 Le proposte di iniziativa popolare sono state depositate in Cassazione da una ventina di associazioni. “La situazione non è degna di un Paese civile”, denuncia il coordinamento dei garanti dei detenuti. Domani la consegna al presidente della Repubblica, durante la sua visita al carcere di San Vittore Abolizione della legge Fini-Giovanardi che ha equiparato droghe leggere e droghe pesanti. E ancora: carceri a numero chiuso, abolizione del reato di immigrazione clandestina e introduzione del reato di tortura. È questo il succo di tre proposte di legge di iniziativa popolare depositate una settimana fa in Cassazione da una ventina di associazioni, con il fine di intervenire sulle condizioni disumane in cui vivono i detenuti degli istituti di pena italiani. Problemi da risolvere sono il sovraffollamento, le carenze di carattere sanitario, i casi di disagio psichico e i troppi decessi: 154 nel 2012, di cui 60 suicidi. “La situazione non è degna di un Paese civile”, denuncia il coordinamento dei garanti dei diritti dei detenuti, ovvero quelle figure di cui si sono dotate diverse amministrazioni comunali e regionali per dare un contributo al miglioramento della vita dietro alle sbarre. I garanti domani consegneranno le tre proposte di legge al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, durante la sua visita al carcere milanese di San Vittore. Tra i promotori dell’iniziativa ci sono l’associazione Antigone, Forum droghe, Cgil, Unione Camere Penali, Società della Ragione, Cnca e Cnvg. Nelle prossime settimane inizierà la raccolta delle 50mila firme necessarie per fare approdare le norme in Parlamento. In testa la modifica della legge sulle droghe Fini-Giovanardi, che secondo i promotori ha la colpa di produrre carcerazioni inutili. “Nel 2011 ben 28mila persone sono finite dietro le sbarre per detenzione di stupefacenti”, spiega Franco Corleone, garante dei detenuti del comune di Firenze. Il rischio è che siano colpiti semplici consumatori, che vengono considerati spacciatori perché trovati in possesso di quantità di sostanze che superano i limiti previsti nella norma. Il principio della proposta è di non punire il consumo di droghe e di evitare che i tossicodipendenti finiscano in cella e, salvo casi eccezionali, vengano indirizzati a percorsi di recupero nelle comunità. La Fini-Giovanardi invece finisce per dare il contributo più rilevante al sovraffollamento delle carceri italiane, dove sono detenute 66mila persone a fronte degli appena 47mila posti disponibili. Una situazione di emergenza: il nostro Paese ha un anno di tempo per rimediare, adeguandosi alle richieste della Corte europea dei diritti dell’uomo, che un mese fa ha condannato l’Italia per il trattamento “disumano e degradante” riservato a sette persone rinchiuse negli istituti di Busto Arsizio e Piacenza. Una sentenza che proprio Napolitano ha commentato come “una mortificante conferma della perdurante incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi”. Anche la seconda proposta di legge ha lo scopo di risolvere il problema del sovraffollamento, attraverso l’abolizione del reato di immigrazione clandestina, la limitazione del ricorso alla custodia cautelare, la riforma delle pene alternative, che dovrebbero essere applicate per “tutti i reati puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a sei anni”. È prevista anche la modifica della Cirielli, per ripristinare anche nei casi di recidiva la possibilità di accesso ai benefici penitenziari. Tra gli altri punti, c’è l’istituzione del garante nazionale delle persone private della libertà personale e l’introduzione del numero chiuso nelle carceri: “Nessuno può essere detenuto per esecuzione di una sentenza in un istituto che non abbia un posto letto regolare disponibile - sostiene Corleone. È un sistema adottato in altri Paesi del mondo: funziona ed evita situazioni di inciviltà”. La terza proposta di legge, infine, riguarda l’introduzione del reato di tortura, che ancora manca nel nostro codice penale. Una lacuna dell’ordinamento: “Nelle carceri ci sono casi di torture fisiche e psichiche - accusa Adriana Tocco, garante dei diritti dei detenuti della Campania - e ci sono maltrattamenti che non vengono denunciati per paura di conseguenze ancora più gravi”. Giustizia: Napolitano in visita al carcere di San Vittore, la prima volta di un presidente di Paolo Foschini Corriere della Sera, 6 febbraio 2013 Una “lieve e improvvisa indisposizione influenzale”, secondo il lessico delle fonti interpellate al Quirinale, gli ha consigliato prudenza ieri ma non dovrebbe fermarlo oggi. La previsione quindi è che il presidente Giorgio Napolitano, costretto appunto ieri a rinunciare all’inaugurazione dell’Anno giudiziario della Corte dei Conti, farà di tutto per rispettare al cento per cento il programma della sua trasferta di oggi a Milano: visita in tarda mattinata al carcere di San Vittore, intervento pomeridiano all’Istituto di politica internazionale, rientro a Roma domattina. L’atterraggio di Napolitano a Milano è atteso per le 11 e il presidente si dirigerà direttamente a San Vittore dove arriverà mezz’ora dopo. Le ragioni della visita - naturalmente legate alla grave situazione delle carceri italiane il cui sovraffollamento (quasi 66 mila detenuti per 47 mila posti) è solo uno degli aspetti critici - rappresentano anche una testimonianza in sé: di qui la scelta di un istituto - simbolo come quello di Piazza Filangieri. E infatti il capo dello Stato troverà ad aspettarlo, fuori dal portone, numerosi rappresentanti di gruppi e associazioni che contano sulla sua presenza per moltiplicare la visibilità dei loro appelli. Tra loro don Virginio Colmegna, da due giorni in digiuno accanto ai promotori della campagna “Carcere diritti e dignità”. Ci saranno inoltre Sergio Segio e Sergio Cusani, che a Napolitano hanno scritto una lunga lettera aperta invocando “un soprassalto di iniziativa a livello sociale e politico prima che il disagio sfoci in tragedia”. L’ex leader di Prima linea e l’ex imputato - simbolo di Tangentopoli, oggi impegnati entrambi nel sociale, ricordano come in soli vent’anni il numero dei detenuti sia passato da 53 a 113 per ogni 100 mila abitanti: “Bisogna far qualcosa presto - scrivono - perché il tempo sta per scadere”. L’europarlamentare leghista Matteo Salvini ne butta lì una: “Cogliamo l’occasione della presenza di Napolitano a Milano per rilanciare a tutte le forze politiche la proposta che gli stranieri vadano a scontare le condanne nei loro Paesi d’origine”. Salvini riprende anche, a proposito di San Vittore, un vecchio tema che non si sentiva da tempo: “Spostiamolo fuori città”. Al termine della visita, durante la quale incontrerà detenuti, personale e volontari, il presidente si ritirerà in Prefettura sino alle cinque del pomeriggio, quando andrà all’Ispi per tenere una prolusione su “L’Italia e la politica internazionale”. In questa occasione saranno ricordati gli ottanta anni di attività dell’Istituto fondato nel 1934 da Leopoldo Pirelli. La giornata si concluderà con una cena riservata. Il presidente, come si è detto, rientrerà a Roma domattina. Giustizia: intervista a Luigi Pagano “il Dap è pronto per la Rivoluzione normale” di Daniele Biella Vita, 6 febbraio 2013 Intervista al vicecapo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che entra nel cuore dei problemi del carcere e indica i passi da compiere: “Bisogna far uscire i detenuti dalle celle, società e istituzioni facciano la loro parte”. È ora di una vera rivoluzione carceraria. Ma attenzione: a dirlo non sono i detenuti, ma chi li detiene: il Dap, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che nel comunicare le nuove linee guida per il 2013 non bada a mezzi termini: “I dati statistici descrivono un quadro nazionale di circa 66mila detenuti, dei quali 39mila definitivi e tra questi oltre 10mila con un residuo pena di un anno, 4mila un fine pena entro 18 mesi, e per oltre 8mila il fine pena è stabilito nei tre anni. Ventimila persone, quindi, che potrebbero usufruire di misure alternative a vario titolo, dall’affidamento in prova alla semilibertà alla detenzione domiciliare. Questi dati danno contezza della necessità di dover procedere alla razionalizzazione del sistema se si intende migliorarne l’efficienza e l’efficacia”. Far scontare la pena fuori dalla cella (e abbattere il sovraffollamento), e farlo presto: questo l’impegno del Dap? “Sì, ma non solo”, risponde a Vita.it Luigi Pagano, da 33 anni nell’amministrazione penitenziaria e oggi vicecapo del Dap. “Siamo pronti a quella che chiamiamo Rivoluzione normale. Vogliamo riformare i circuiti penitenziari per tipologie di detenzione, ma soprattutto far capire alla società, ai politici, che sono loro i primi a non dovere abbandonare il detenuto a sé stesso”. In cosa consiste la “Rivoluzione normale” del Dap? È un’operazione che vuole mettere mano alle norme e cambiarle. Iniziando a creare circuiti penitenziari più omogenei, differenziando i ristretti in base alla loro ‘pericolosità’, alla durata della pena e alla territorializzazione, per agevolare il potenziamento delle attività tratta mentali e favorire il miglioramento delle condizioni di detenuti e, di riflesso, del personale. Siamo a corto di fondi e, quindi, di operatori carcerari? Concentriamoli dove serve, ovvero in strutture pensate ad hoc per chi sconta lunghe pene: chi ha un anno di carcere da fare non si mette a scalare muri, a tagliare sbarre come invece è successo pochi giorni fa nel carcere di Avellino. Nello stesso tempo, con una maggiore omogeneità si migliorano anche i programmi di reinserimento, perché chi ha poca pena residua è già pronto, ad esempio, per l’esecuzione penale esterna, mentre con chi deve rimanere a lungo si possono attuare altre iniziative. Fino ad ora, per molti versi, non ha funzionato così. Questo cambio di marcia parte dall’autocritica, quindi? Certo. Negli ultimi mesi ci siamo guardati indietro, abbiamo visto che negli ultimi 20 anni si sono avvicendati 15 capi del Dipartimento ma non si è mai fissato un programma normativo da cui partire, oltre naturalmente alle leggi in vigore. Oggi, nell’attuale situazione di crisi, è il momento di rimboccarsi le maniche e provare nuove strade, oppure di mettere nero su bianco quelle che sono state ipotizzate in passato ma mai realizzate, come i circuiti penitenziari su base territoriale. Il Dap, quindi, si assume le proprie responsabilità. Ma la società deve fare lo stesso, altrimenti non si va da nessuna parte, perché essa è responsabile almeno all’80% del successo del reinserimento di un detenuto alla fine della pena: la formazione professionale, il lavoro extra murario, le relazioni quotidiane, sono tutti aspetti che sono a carico degli enti locali, delle Regioni, dell’imprenditoria. Bisogna che tutti assieme creiamo le condizioni per rendere positivo il passaggio dalla reclusione alla libertà. Il carcere è di tutti, e tutti dobbiamo contribuirci. A ben vedere, è una questione culturale. In che senso è una questione culturale? Alla base di ogni ragionamento deve esserci un punto fermo: è assolutamente essenziale “portare fuori” il detenuto dal carcere, dargli la possibilità di pene alternative. Lo dice la logica: la recidiva si abbatte del 70% quando una persona durante la reclusione sperimenta strade diverse dallo stare tutto il giorno in cella senza fare niente. Per non parlare poi dei casi specifici, uno su tutti: i tossicodipendenti. Persone finite in carcere ma che spesso non ci dovrebbero stare, o meglio dovrebbe essere in cura altrove, e che quindi necessitano di percorsi differenziati da quelli di ristretti per altra natura. In questo senso, è il momento in cui noi del Dap, le istituzioni, il mondo del lavoro, il volontariato, fondamentale ma che spesso suo malgrado agisce da supplente delle mancanze del settore pubblico, concorriamo a ribaltare la percezione che buona parte della società ha del carcere. Attenzione, non è un problema di risorse. O meglio, le risorse oggi sono poche, ma queste, se investite bene, possono portare a una vera rivoluzione: noi vogliamo utilizzarle per motivare la persona, non per renderla ancora più delinquente... Giustizia: don Colmegna e le “vite di scarto” calpestate dalla giustizia in ritardo Giangiacomo Schiavi Corriere della Sera, 6 febbraio 2013 Non ci vorrebbe uno sciopero della lame per restituire la vita rubata a una giovane mamma arrestata perla sua ex povertà: ogni persona in un Paese civile dovrebbe avere una dignità da rispettare, curare, difendere. Una dignità che la giustizia dovrebbe riconoscere e non calpestare, magari involontariamente, come nel caso della donna per la quale digiuna da lunedì don Virginio Colmegna, responsabile della Casa della Carità di Milano. Sei anni fa era una mendicante nelle strade lombarde, una vita di scarto finita nei verbali dei carabinieri con l’accusa di accattonaggio con minore: l’impegno e la solidarietà di un prete e dei suoi volontari hanno cambiato una storia di miseria e abbandono in reinserimento, e così sono arrivati una casa e un lavoro. Ma quando il percorso sembrava avviato sul giusto sentiero per la mamma romena è arrivata la sentenza del Tribunale di Milano, con la vecchia accusa e l’aggravante dell’irreperibilità: forse l’avevano cercata nel posto sbagliato. Condanna a sei mesi, dunque, in quanto contumace. “Processata senza saperlo, condannata senza mai difendersi, ricercata senza mai nascondersi”, ha scritto Paolo Foschini (Corriere del 3 febbraio) riassumendo il paradosso di una macchina giudiziaria che tra eccessi burocratici e girandola di pm non offre vie d’uscita a chi non ha i mezzi 0 gli strumenti per potersi difendere al meglio. Il digiuno di don Colmegna non è il pretesto per un ricatto o un atto d’accusa contro magistrati e operatori carcerari: è il gesto di un uomo che ha a cuore i diritti delle persone, soprattutto gli umili, i bisognosi, i poveri che si trovano nella desolazione di non appartenere a nessun luogo, per mettere in evidenza le contraddizioni di una macchina che una volta in moto non si ferma più. Ci sono storie orfane di difesa e questo caso uscito dal silenzio può servire a smuovere qualche coscienza e forse anche a correggere certe assurdità. La giustizia che si muove in modo cieco è una di queste. Lettere: nel carcere di Pordenone, stipati come sardelle Il Piccolo, 6 febbraio 2013 Giannella, detenuto a Pordenone, accusa di subire estorsioni. Il direttore: mai visto denunce. “Sono detenuto nella casa circondariale di Pordenone, voglio che tutti i cittadini sappiano in che condizioni ci troviamo qui”. Inizia così la lettera arrivata in redazione, scritta da Cosimo Damiano Giannella, 48 anni originario di Foggia ma residente a Trieste da anni. È in carcere da oltre un anno per reati che vanno dalla ricettazione, all’aggressione e allo stalking. Giannella dice di scrivere anche a nome di altri detenuti. “Abbiamo alla mattina due ore e mezza di aria, al pomeriggio invece solo due. Siamo in cinque in una cella da cinque metri quadrati e non abbiamo neanche lo spazio per girarci”. Socializzare in prigione? Gli agenti non ce lo consentono, afferma Giannella. E poi ancora: “Le celle mancano di servizi igienici idonei, come ad esempio il bidet. L’acqua calda non è a norma. Non ci sono i rilevatori di fumo, gli idranti e il riscaldamento non funziona quasi mai. Facciamo il turno per fare la doccia nelle quattro presenti. I pacchi con il cibo che ci portano i nostri cari vanno a finire in magazzino e quando poi ce li consegnano il cibo è da buttare, con un danno anche monetario”. La denuncia del 48enne triestino non si ferma qui e si fa più grave quando scrive che la sezione protetti viene a contatto con altri detenuti non protetti. E poi che il carcere ha una capienza di 50 detenuti “ma ne siamo 96 stipati come sardelle”. E conclude: “Ci troviamo a stare qui dentro e a subire estorsioni”. Accuse pesanti, soprattutto quest’ultima, che il direttore del carcere pordenonese, Alberto Quagliotto respinge senza mezzi termini: “Se uno afferma di essere vittima di estorsione, deve recarsi dal giudice di sorveglianza e denunciare l’estorsore con nome e cognome. A me nessuno ne ha mai parlato e tanto meno ho visto denunce. L’estorsione è un reato grave e va subito denunciata”. Per gli altri problemi sollevati da Giannella, Quagliotto dice che “sì, il sovraffollamento c’è come in quasi tutte le carceri italiane, e questo è decisamente grave per le persone che devono vivere in pochi metri quadrati”. A questo proposito l’Italia nei giorni scorsi è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti umani proprio per la generale situazione di sovraffollamento delle carceri. “Non è vero però - aggiunge il direttore Quagliotto - che manchi l’acqua calda e che il riscaldamento funzioni male e nemmeno che venga impedita qualsiasi forma di socialità tra i detenuti. Nel carcere di Pordenone non si sono mai verificati casi gravi di violenza, solo qualche episodio come può capitare in qualsiasi altro ambiente”. Liguria: Pellerano (Lista Biasotti); regione latitante sulla situazione sanitaria delle carceri www.sevenpress.com, 6 febbraio 2013 “Nonostante la condanna da parte della Corte di Strasburgo e la maglia nera “conquistata” dalla Liguria per il sovraffollamento delle proprie carceri, ancora aspettiamo una risposta concreta da parte della Regione in merito alla situazione sanitaria degli istituti di pena”. Così Lorenzo Pellerano, consigliere regionale della Lista Biasotti, che denuncia ancora una volta la “latitanza” dell’ente di via Fieschi in merito alle condizioni di salute dei detenuti liguri. “Ricordo che - prosegue Pellerano - la competenza sui servizi sociosanitari all’interno delle carceri è dal 2008 è stata trasferita alle Regioni, a cui spetta la programmazione, la distribuzione delle risorse economiche ai vari istituti di pena e la gestione delle attività. Dal 2011 a oggi ho chiesto più volte spiegazioni all’assessore Montaldo su quale sia lo stato della sanità carceraria in Liguria che, da quanto ho appreso dagli operatori e durante alcuni sopralluoghi effettuati personalmente, sembra presentare molte criticità. Su richiesta dell’assessore alla Salute ho anche proposto alcune modifiche migliorative della deliberazione regionale 364/2012. In particolare avevo proposto di migliorare la gestione delle cartelle cliniche dei detenuti, di aumentare la collaborazione con realtà di volontariato operanti nelle carceri e di prevedere una valutazione periodica dell’appropriatezza della spesa sanitaria e farmaceutica. Nessuna delle proposte di buon senso è stata accolta. Fino a oggi, l’assessore Montaldo ha risposto solo parzialmente alle mie sollecitazioni: circa un anno fa mi aveva presentato il conto delle risorse stanziate in quattro delle Asl liguri, ma non aveva fornito i dati di quella genovese, la più importante se si considera che comprende le carceri di Marassi e Pontedecimo”. Per avere risposte precise, Pellerano ha presentato un’ulteriore interrogazione in consiglio regionale. “Chiederò - spiega - se è stata istituita la Commissione regionale per la salute in carcere e delle persone inserite nel circuito penale, così come è stabilito nella delibera di giunta 364/2012. Chiederò anche se ha avuto seguito l’ordine del giorno che il Consiglio regionale ha approvato all’unanimità il 6 dicembre 2011. Il documento impegnava la Giunta a disporre ispezioni, ogni sei mesi, nelle carceri per monitorare le condizioni sanitarie dei detenuti, la situazione igienico - sanitaria e la vivibilità delle celle, visto anche l’attuale sovraffollamento che in Liguria raggiunge il 176,8 di capienza, contro la media europea del 99,6%. Sottolineo che a questa situazione di assoluta gravità rende esplosiva la presenza nelle carceri di una percentuale altissima di detenuti tossicodipendenti, circa uno ogni quattro, spesso con Aids (circa il 2% dei detenuti è sieropositivo), epatite C e disturbi mentali. Inoltre, da un rapporto sullo stato della sanità all’interno degli istituti penitenziari predisposto dalla Commissione Giustizia del Senato, emerge che appena il 20% dei detenuti risulta sano, mentre il 38% di essi si trova in condizione di salute mediocre, il 37% in condizioni scadenti e il 4% in condizioni gravi e con alto indice di co - morbosità”. Nuoro: a Badu ‘e Carros arriva un altro boss detenuto col 41bis La Nuova Sardegna, 6 febbraio 2013 Il boss dei casalesi Antonio Iovine non è più solo nel bunker di Badu ‘e Carros, a Nuoro, riservato ai detenuti con il durissimo regime 41bis. Da qualche giorno, infatti, il carcere nuorese ha un nuovo ospite di riguardo: Salvatore Rinella, 52 anni, boss mafioso di Termini Imerese, “padrino” indiscusso della località balneare di Trabia e, soprattutto, fino alla sua cattura, vice del boss dei boss della Mafia, Bernardo Provenzano. Rinella è arrivato a Badu ‘e Carros quasi alla chetichella, anche se il suo trasferimento a Nuoro è stata una scelta obbligata del Dap (Dipartimento di amministrazione penitenziaria) in ottemperanza di una disposizione ministeriale sollecitata, in maniera discreta ma altrettanto perentoria, dalla Corte di giustizia europea. Il ministero della Giustizia sarebbe infatti stato invitato al rispetto del detenuto - uomo e quindi a trovare una soluzione per Antonio Iovine, che ha trascorso un periodo molto lungo di detenzione con il regime durissimo del 41bis. Un isolamento totale che non avrebbe dovuto protrarsi ancora per troppo tempo, a meno che non venisse trovata una soluzione tra la decadenza del 41bis (scelta impossibile per un boss come Iovine) e l’affiancamento di un altro detenuto nello stesso braccio. E così è stato. Nonostante a Nuoro fosse previsto soltanto un detenuto con il 41bis. Mentre per tanti altri boss, sicuramente meno pericolosi di Iovine e Rinella, il ministero è stato costretto a trasformare il loro regime carcerario in “AS1” (alta sicurezza massima) e, come estrema ratio legata a motivi di sicurezza, non ha trovato niente di meglio che “deportarli” in grande numero in Sardegna. E infatti nei giorni scorsi, una cinquantina di detenuti comuni (quasi tutti sardi) del nuovo carcere di Nuchis (Tempio) sono stati trasferiti in tutta fretta verso altri penitenziari e colonie penali dell’isola. Per fare posto a un nugolo di mafiosi, camorristi ed esponenti di spicco della Sacra corona e della criminalità organizzata. “Così la Sardegna diventa la Cajenna della mafia”, ha sostenuto il deputato Mauro Pili, che nonostante sia impegnato nella campagna elettorale, sta continuando la sua personale battaglia con il ministero per quanto riguarda la situazione delle carceri sardi e, in particolare, il futuro dei quattro nuovi penitenziari dove, soltanto in due (Sassari e Uta) sono state predisposte le celle per i detenuti con il 41bis, mentre gli altri (in particolare quello di Massama - Oristano) avrebbero dovuto ospitare, almeno secondo quanto comunicato dal Provveditore regionale, soltanto detenuti di media sicurezza. Le decisioni del ministero della Giustizia e del Dap stanno anche continuando a penalizzare i detenuti e gli agenti penitenziari sardi che speravano di fare ritorno nell’isola. “In Sardegna stanno arrivando “pezzi da novanta” delle organizzazioni mafiose e camorriste - ha aggiunto Pili. Anche se il ministero sta mantenendo il massimo riserbo sui nomi, mi chiedo se boss come Matteo Tamburello, esponente di spicco della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo e legatissimo al capo dei capi, il finora imprendibile Matteo Messina Denaro, Angelo Mineo capo mandamento di San Lorenzo e dello Zen a Palermo, il suo braccio destro Gabriele Viviano, Salvatore Parisi campo mandamento di Porta Nuova, Salvatore Starace killer camorrista, Giacomo “Schumy” Stelitano calabrese di Melito Porto Salvo, possano essere ritenuti detenuti non pericolosi. L’obiettivo è quello di portare 150 mafiosi a Tempio trasformandolo così in un carcere di alta sicurezza: un atto di arroganza senza precedenti quello del ministero e del Dap. Un’aggressione alla Sardegna. E una simile concentrazione di detenuti di questo tipo ha concluso Mauro Pili - potrebbe generare quei fenomeni di infiltrazione mafiosa che finora il ministero ha sempre smentito. Come ha più volte sostenuto Pino Arlacchi, lo studioso massimo esperto al mondo sulle questioni di mafia, concentrare in Sardegna un così elevato numero di mafiosi significa favorire il contagio e le infiltrazioni esterne al carcere”. Nuoro: rinviata la chiusura del carcere di Macomer, venerdì incontro decisivo al Dap La Nuova Sardegna, 6 febbraio 2013 L’indicazione è quella di chiudere il carcere, ma per ora rimane aperto. L’incontro convocato per venerdì a Roma presso il Dipartimento degli istituti di pena consentirà di saperne di più. L’orientamento, comunque, non sembra sia quello di smantellare la struttura svuotando e abbandonando l’immobile. Il ministero della Giustizia sarebbe orientato a realizzare a Macomer un centro per l’addestramento delle unità cinofile della polizia penitenziaria. Una parte del personale (si parla della metà) rimarrebbe a Macomer, l’altra metà verrebbe ripartito fra le strutture carcerarie di Massama e di Nuoro. Si tratta, naturalmente, solo di voci colte in ambienti ministeriali, che però in parte trovano conferma negli interventi dei politici locali presso i loro referenti a livello di ministero. “È vero - dice Paolo Trogu dell’Upc - che l’orientamento è quello di dismettere Macomer come istituto di pena, questo però non significa che si smantella la struttura. Anche il carcere di Lanusei è in chiusura del 1996, ma è ancora aperto. Mi è stato assicurato che anche a Macomer per ora rimane tutto com’è. Poi si vedrà. Si parla di un centro di addestramento per le unità cinofile, che già ci sono. Questo non vuol dire chiudere e cancellare tutto. In ogni caso e con i tempi che corrono, è bene vigilare per evitare colpi di mano e sorprese. Macomer e il territorio devono svegliarsi e intraprendere una battaglia che fermi i tagli e la desertificazione dei servizi”. Sul rischio di chiusura del carcere di Macomer interviene anche la presidente dell’associazione “Socialismo diritti Riforme”, Maria Grazia Caligaris, con una nota nella quale spiega che “La chiusura delle carceri a misura d’uomo a vantaggio di quelle improntate alla spersonalizzazione dei cittadini privati della libertà conferma la logica punitiva che anima il sistema detentivo italiano”, e prosegue spiegando che l’intenzione di chiudere Macomer e Iglesias dimostra la volontà di trasformare le carceri in una fabbrica di disadattati. Lucca: Sappe; botte tra detenuti, due casi in altrettanti giorni, carcere invivibile Comunicato stampa, 6 febbraio 2013 Il segretario Donato Capece: “Ci sono 154 detenuti nei due reparti detentivi, esattamente il doppio della capienza, ed un altro è chiuso per ristrutturazione”. Un detenuto nuovo, giunto da poco nel carcere di Lucca, è stato picchiato ieri da altri ristretti ed oggi un detenuto italiano ed uno straniero sono venuti alle mani. Lo rende noto il Sappe, il Sindacato autonomo polizia penitenziaria. Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe torna a denunciare l’invivibilità del carcere di Lucca e chiede ai vertici dell’Amministrazione Penitenziaria interventi urgenti. Dichiara infatti Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. “La situazione che si registra nel carcere di Lucca è di alta tensione e crea molti problemi all’operatività della Polizia Penitenziaria. Ci sono 154 detenuti nei due reparti detentivi, esattamente il doppio della capienza, ed un altro è chiuso per ristrutturazione. Non ci sono più brande per i detenuti e la stessa caserma della Polizia è in condizioni strutturali fatiscenti. La tensione resta alta: ieri un detenuto extracomunitario nuovo giunto in carcere è stato picchiato da altri ristretti ed oggi un detenuto italiano ed uno straniero si sono presi a botte. Chiediamo all’Amministrazione Penitenziaria di adottare ogni necessaria iniziativa per riportare nel carcere di Lucca condizioni minime di vivibilità per i detenuti ed idonee garanzie di sicurezza per i poliziotti che ci lavorano”. Taranto: nel carcere sarà istituita una classe dell’istituto alberghiero Mediterraneo Gazzeta del Sud, 6 febbraio 2013 I ruoli sono diversi ma l’obiettivo è comune: favorire il recupero ed il reinserimento sociale dei detenuti. E così la Provincia, la direzione della casa circondariale di Taranto e l’istituto alberghiero Mediterraneo di Pulsano hanno pensato bene di offrire alla popolazione carceraria un’opportunità formativa in più. Dal prossimo anno scolastico, infatti, all’interno della struttura penitenziaria tarantina sarà istituita una classe dell’alberghiero. Il corso di studi sarà di durata quinquennale ma per i detenuti si profila anche la possibilità di acquisire la qualifica professionale che si consegue dopo tre anni. Per diventare cuochi, appunto, o comunque esperti della ristorazione. A Palazzo del governo,la mattina del sei febbraio scorso, l’iniziativa è stata presentata dall’assessore provinciale alla Pubblica istruzione Francesco Massaro, dalla direttrice del carcere ionico Stefania Baldassari e dal dirigente scolastico dell’istituto alberghiero di Pulsano Francesco Terzulli. “Siamo orgogliosi di annunciare – ha detto Massaro – che lo scorso 29 gennaio la Regione Puglia ha approvato la nostra proposta contenuta nel piano provinciale di riordino della rete scolastica. Tra i nuovi indirizzi che mettiamo a disposizione degli studenti ionici, figura anche questa opportunità che offriamo ai detenuti in un’ottica di formazione finalizzata al loro recupero e reinserimento sociale”. Concetto espresso anche dalla direttrice Stefania Baldassari: “Ringrazio la Provincia e l’istituto alberghiero per la preziosa collaborazione. Peraltro, questo corso di studi ben corrisponde alle esigenze della popolazione carceraria costituita in gran parte da persone che dimostrano di possedere maggiore dimestichezza proprio con le attività pratiche”. E imparare un mestiere, è stato sottolineato, consente ai detenuti, una volta riacquistata la libertà, di giocarsi una chance occupazionale; l’alternativa, infatti, è tornare a delinquere, come insegnano le casistiche del caso. Ecco perché il tema del reinserimento sociale non è questione che tocca solo l’Amministrazione carceraria ma investe, a vario titolo, quasi tutte le istituzioni pubbliche. “Gli spazi disponibili all’interno del carcere di Taranto sono ampi – ha ricordato il dirigente scolastico Francesco Terzulli – e anche i laboratori della cucina sono ben attrezzati”. Del resto, nella struttura penitenziaria tarantina vengono preparati ogni giorno circa 700 pasti per tre volte al giorno. La popolazione carceraria conta attualmente 637 persone. “Con il passaggio della sede da Leporano a Pulsano – ha aggiunto Terzulli – abbiamo rinnovato e ampliato la nostra offerta formativa, come dimostra appunto l’istituzione del corso di studi presso il carcere di Taranto”. Si partirà dunque a settembre con una classe che sarà composta verosimilmente da una ventina di studenti-detenuti. Trapani: gli studenti incontrano i detenuti… storie toccanti e tante aspettative di Luigi Todaro Giornale di Sicilia, 6 febbraio 2013 Progetto “Ci sono anch’io. A me la parola”, realizzato dall’associazione “Contro tutte le violenze”. Le sue parole commuovono, toccano il cuore, fanno riflettere, ma soprattutto fanno apprezzare, agli studenti che pendolo dalle sue labbra, il valore della libertà. Quella che Ben Mohamed 42 anni, tunisino - brasiliano, ha perso. Detenuto nelle carceri di San Giuliano, deve ancora scontare due anni. Ben Mohamed ha capito di aver sbagliato. “Qui - dice - mi manca tutto. Mi manca la famiglia, mi manca la libertà, quella libertà di cui io non ho avuto rispetto quando ero fuori”. Il tunisino - brasiliano, però, vuole cambiare vita e una volta chiuso il conto con la giustizia per lui si prospetterà un futuro migliore che ha già iniziato a costruire, poco alla volta, passo dopo passo, in cella. In carcere ha anche trovato “Dio”. “Sono molto religioso - afferma - e la religione mi ha aiutato a superare momenti difficili”. Assieme ad altri detenuti, questa mattina, Ben Mohamed, alle carceri di San Giuliano, ha incontrato gli studenti coinvolti nel progetto “Ci sono anch’io. A me la parola”, realizzato dall’associazione “Contro tutte le violenze”. E a parlare sono stati i detenuti, raccontando le loro storie, parlando dei loro progetti. Toni, 30 anni, una figlia di 14 anni, deve scontare ancora otto anni. “Il carcere - dice agli studenti - non è quello che voi state vedendo oggi. Il carcere è un’altra cosa. Il carcere sono 20 ore dentro una stanza, dove ti manca tutto”. Sull’importanza di questi incontri, tra studenti e detenuti, si è soffermato il direttore della casa di reclusione, Renato Persico. All’incontro ha presenziato anche il questore Carmine Esposito. Roma: telefono cellulare scoperto nel carcere di Cassino dalla Polizia penitenziaria www.ilpuntoamezzogiorno.it, 6 febbraio 2013 Cellulare telefonico trovato dalla Polizia Penitenziaria nel carcere di Cassino. Una circostanza certamente non normale che è stata riscontrata nel penitenziario di via Sferracavallo. Un uomo di circa 40 anni, di nazionalità rumena, detenuto per reati vari, impegnato spesso in lavori interni al carcere, è stato trovato in possesso, durante i controlli, di un telefono cellulare. Una circostanza sospetta e preoccupante che ha portato le autorità carcerarie a intensificare i controlli tra i detenuti i quali, ovviamente, non debbono e non possono avere alcuno contatto con la società esterna se non con opportuni filtri. Ci si interroga su l’uso che l’uomo facesse dell’apparecchi telefonico. Non si esclude che, in realtà, potesse essere lui nasconderlo e che al momento opportuno lo facesse utilizzare da altri, come ad esempio, a qualche detenuto a capo di qualche organizzazione. Ripetiamo, però, questa resta un’ipotesi su cui gli agenti della penitenziaria, stanno indagando, così come, ovviamente, si indaga sul canale che ha permesso di far entrare nella struttura detentiva un telefono cellulare. Droghe: non è un reato il consumo di gruppo di Umberto Veronesi Oggi, 6 febbraio 2013 La cassazione giudica “penalmente irrilevante” sia il consumo di droga in compagnia, sia l’acquisto di stupefacenti in comune. Che ne dice? Maria T., Pistoia Era immaginabile che si scatenasse la polemica, come se la Cassazione avesse liberalizzato la droga... Non è così, e mi sembra che i giudici abbiano dato prova di realismo, riconoscendo quello che è stato chiamato un uso “ricreativo” della droga. Come tutti sanno, io sono contro ogni proibizionismo, e penso che una legge come quella attualmente in vigore, la Giovanardi - Fini (che equipara droghe leggere e droghe pesanti), non abbia sortito alcun effetto nel distogliere i giovani dal consumo di stupefacenti, mentre ne ha avuto uno pessimo nel riempire le prigioni, e nell’intasare la già tanto lenta macchina della giustizia con una miriade di procedimenti. A mio giudizio, le leggi devono essere pratiche e concrete, e non ispirarsi a un’astratta ideologia repressiva, che ha potere deterrente zero e crea più danni che soluzioni dei problemi, In questo caso, è stato fatto osservare che depenalizzare l’acquisto di droga ma non il fenomeno speculare della vendita (lo spaccio resta reato) è una contraddizione. Sia pure. Bisognerà attendere la motivazione della sentenza per capire meglio, ma forse è utile che incomincino a emergere i problemi e le contraddizioni (che sono specchio della vita reale), affinché si riprenda in mano l’intero problema, e si riformi la legge, con un occhio più attento e consapevole. Per farlo, bisogna penetrare più a fondo nel mondo dei giovani, con apertura mentale e senza rigidità pregiudiziali. Non si tratta di essere permissivi in modo acritico, ma di riconoscere che non si può arginare il fenomeno dei consumo di droghe con proibizioni e con sanzioni penali. Forse non sarebbe male ricordare anche che a seminare i maggiori danni, tra i giovani, non sono le droghe ma l’alcol. Ma vogliamo chiederci perché un giovane fa abuso di alcol o di droghe? Secondo me, si tratta di ridisegnare la presenza giovanile nella società, offrendo interessi e stimoli che per ora sono del tutto assenti dai programmi delle politiche sociali. In tempi in cui l’istruzione era privilegio di pochi, Victor Hugo scrisse che “per ogni scuola che si apre, si chiude un carcere”. Una generosa utopia ottocentesca, che però oggi potremmo tradurre cosi: apriamo impianti sportivi e centri di aggregazione. Droghe e alcol diminuiranno.