Il carcere più inutile è quello dove si “marcisce fino all’ultimo giorno della pena” Il Mattino di Padova, 4 febbraio 2013 La notizia era di quelle che fanno rabbrividire: “Appena uscito dal carcere per omicidio, tenta di uccidere la sorella”. Ma la realtà è sempre più complicata della cronaca nera. È certamente una notizia drammatica, ma non c’è un mostro, c’è una persona uscita dal carcere qualche tempo fa, e c’è una sorella che il giorno dopo dichiara “Io amo mio fratello e lo rivoglio a casa. Il mostro è l’alcol”. Noi vorremmo che l’informazione uscisse dalla logica, per cui quando si cerca di spiegare una storia complessa come questa, lo si fa per giustificare chi commette reati, e non piuttosto per aiutare a capire, per andare a indagare perché è successo. E invece, si preferisce spesso semplificare: creare il mostro, seminare la paura, immaginare un carcere dove “si marcisca fino all’ultimo giorno della pena”, a dispetto del fatto che un carcere così ci mette tutti più a rischio. Seminare paura fa (doppiamente) male alla democrazia Stampa e politica in questi ultimi anni si sono avvicendate in un compito comune, perché utile a entrambe: alimentare la paura. Ai media i fatti di cronaca nera garantiscono tiratura e indici d’ascolto. E più sono efferati e diffusi, più alto è il picco raggiunto dalle inserzioni pubblicitarie e nelle vendite di copie in edicola. Quanto alla politica, il potere può fare due differenti usi della paura. Facendo paura esso stesso, come accade nei regimi totalitari. Ovviamente di nascosto, occultando la realtà delle cose. Lo ripete spesso Marco Pannella: fateci caso, i paesi totalitari hanno le “vetrine” sempre in ordine, non si vedono esposte porcherie. In un paese democratico è diverso: vai per le strade e vedi di tutto, il paese non nasconde niente. E la sua stampa è lì a garantire questa visibilità. L’uso della paura da parte di molti paesi democratici è, invece, più subdolo. Fanno leva sulla paura, alimentandola ed enfatizzandola oltre il reale, al fine di acquisire e conservare il consenso. Perché un popolo impaurito (e disinformato) si comanda meglio. A ciò si prestano ottimamente i nuovi “esclusi in carne ed ossa” [Zigmund Bauman]: il migrante, clandestino o irregolare. Ma anche il rom di cui si schedano le impronte digitali e si bruciano i campi. Ma anche il detenuto recluso in un carcere sovraffollato, duro e punitivo, esclusivamente retributivo e non solo privativo della libertà personale (come dovrebbe essere), alieno alla sua finalità costituzionale di risocializzazione. Questi nuovi paria rappresentano lo scolo per il risentimento e l’insicurezza collettiva, convogliata da mirate campagne di informazione e dall’approvazione di leggi-manifesto. Una tenaglia micidiale, capace di trasformare il verosimile in struttura del reale, sostituendo così la percezione soggettiva alla realtà oggettiva delle cose. Volete una cartina di tornasole? Le statistiche sui reati di omicidio in Italia. Nel decennio 1930-1940 il numero complessivo degli omicidi commessi risulta pari a 2.500. Nel decennio 1970-1980 scende a 1.500. L’ultimo decennio registra un ulteriore calo: 600 omicidi in tutto. Un analogo trend negativo si registra anche per altre forme di reato: dalle violenze sessuali alle lesioni, dai furti agli scippi (queste ultime due fattispecie penali sono addirittura dimezzate) (…) Analizziamo per esempio la parola “sicurezza”. Un tempo, in anni di welfare state, il sostantivo si accompagnava all’aggettivo sociale, oppure faceva coppia con la parola lavoro. Sicurezza sociale (come garanzia di reti di protezione collettiva), sicurezza del lavoro (inteso come diritto) e sicurezza sul lavoro (con riferimento alle condizioni in cui il lavoratore è chiamato a prestare la sua opera). Oggi è tutto un altro parlare: sicurezza è esclusivamente sinonimo di protezione di vittime potenziali contro potenziali aggressori (tutti contro tutti), è parola abusata nei discorsi sul contrasto alla criminalità (benché, come visto, in diminuzione). Eppure quella parola nasce con ben altro significato. Nel suo Lo spirito delle leggi, Montesquieu così scrive: “La libertà politica, in un cittadino, consiste in quella tranquillità di spirito che proviene dalla convinzione, che ciascuno ha, della propria sicurezza e, perché questa libertà esista, bisogna che il governo sia organizzato in modo da impedire che un cittadino possa temere un altro cittadino” (Libro XI). Ma ciò non si ottiene con l’aggravante di clandestinità o inasprendo le pene edittali dei reati di strada. Semmai rispettando la legalità costituzionale e facendo della legge non un ostacolo alla libertà, bensì una sua condizione di esistenza. Quella sicurezza si “mette in sicurezza” sottoponendo il potere a regole ed a controlli. Perché la Costituzione a questo serve: a domare il potere ed a garantire i diritti attraverso gli strumenti del diritto. A questo compito di controllo è chiamata anche la stampa, quando si occupa di reati, di carcere, di scelte legislative penali. Quando se lo dimentica - scegliendo di andare al traino della doxa dominante e seminando paura - fa male alla democrazia. Andrea Pugiotto Ordinario di Diritto costituzionale, Università degli studi di Ferrara (Dall’Intervento al Seminario “Reati, persone, sicurezza sociale”) Io sono “figlio” di chi ha deciso di “buttare via le chiavi” Io sono entrato in carcere che avevo 16 anni, la mia prima esperienza carceraria, da allora ne sono passati quasi altrettanti e ho superato oltre i 12 anni di galera, entrando, uscendo, entrando, uscendo avendo solo un tipo di esperienza detentiva, quella per cui sui giornali si scrive “chiudeteli in galera e buttate via la chiave! Metteteli stipati in celle come sardine, trattateli male, non meritano niente”. Allora io posso dire che sono entrato, che frequentavo la prima superiore, per un reato di droga, gli altri reati li ho fatti imparando qui, e questo per spiegare quanto il carcere non per forza “faccia bene”, perché il carcere diventa in molti casi una scuola di crimine. Per tutto il resto sono stato condannato per reati commessi in galera, almeno in quel tipo di galera che reprime, che ti fa vivere 22 ore in cella con altri 8 o 9 detenuti, dove pensi solo al male che ti sta facendo l’istituzione, e le addossi la responsabilità di tutto quello che ti sta accadendo… Ecco questo tipo di esperienza, poi cosa ti fa maturare? Il disprezzo verso le istituzioni e tu non provi a progettarti il tuo futuro, pensando a come fare per non tornare più qui dentro, ma i tuoi pensieri sono rivolti magari a come riuscire a fare il colpo che ti “risolve la vita”, quello è l’argomento all’ordine del giorno nella maggior parte delle carceri italiane. Io dopo aver girato 11 istituti carcerari per mia fortuna sono approdato nella Casa di reclusione di Padova, che non è un’isola felice, è un carcere in parte decente, dico così pensando a tanti miei compagni su in sezione che non hanno la possibilità di svolgere attività alcuna, anche volendo. Il sovraffollamento non permette a tutti di avere possibilità di impegnarsi in un cambiamento vero, e devo dire che per la prima volta io invece ho sperimentato l’idea della rieducazione, anzi per la verità il direttore mi ha chiamato perché ha visto già che mi stavo un po’ mettendo nei guai, e ha detto “Guida che intenzioni hai?”, si vede che ha letto il mio fascicolo, il primo direttore che finalmente si è letto il mio fascicolo. Mi ha detto anche “Cosa vuoi fare, possibile che a 29 anni (quando sono arrivato a Padova, ora ne ho 31), con tre figli non riesci a trovare un equilibrio e metterti su un binario positivo?”, e abbiamo discusso in merito al fatto, se avevo voglia di darmi la possibilità di fare qualcosa d’altro. Ed io ho accettato, e ho detto: se andiamo in quel senso molto probabilmente qualcosa lo si ottiene da me, se lei mi reprime e mi chiude per 23 ore al giorno, continuerò a fare quello che ho fatto in altre carceri fino a quando non troverò un istituto che mi possa offrire qualcosa di radicalmente diverso. Dico questo, perché come fai tu ad imparare a rispettare le regole, quando negli istituti, dove vieni rinchiuso proprio perché le regole non le hai rispettato, non sei detenuto in modo “umano”? Ma il carcere di Padova è una delle poche realtà dove si fa qualcosa, almeno per un certo numero di detenuti, quelli che dovrebbero esserci davvero, il resto è come descrivevo poc’anzi. Io sono entrato spacciatore e sono uscito rapinatore. Io non lo so se dia “senso di sicurezza” reprimermi, buttarmi nei peggiori carceri, anche se ci ho messo del mio, mi sono fatto male da solo e non sto giustificandomi. Io sono “figlio” di chi ha deciso di “buttare via le chiavi”, di chi intende la galera solo come punizione, deterrente a tutte le devianze, senza dare la possibilità di ripensare a ciò che si è stati o si è fatto da un altro punto di vista, diverso da quello consueto dell’autore di reato. In questo carcere invece per la prima volta mi sono stati dati degli “strumenti diversi”. Luigi Guida Giustizia: l’emergenza carceri e… l’urgenza del fare di Rosa Ana De Santis www.altrenotizie.org, 4 febbraio 2013 La vita nelle carceri, oggetto di numerose denunce da parte delle associazioni impegnate e al massimo delle interrogazioni di qualche parlamentare, rimane ancora dietro i riflettori delle agguerrite competizioni elettorali. Se ne è parlato nei giorni del digiuno ad oltranza di Marco Pannella e se ne parla in questi giorni per la vicenda Corona, a seguito delle sue parole di timore alla sola idea di trascorrere qualche anno nelle prigioni italiane, tanto da meritare una super puntata in tempo di elezioni del Porta a Porta di Vespa. Molti i sostenitori delle tre leggi di iniziativa popolare presentate per affrontare i nodi più problematici del sistema penitenziario italiano. Tra i tanti “A buon diritto”, “Antigone”, Arci e numerosi altri. I tre testi sono arrivati in Cassazione e riguardano: l’introduzione del reato di tortura, il problema del sovraffollamento dei detenuti e dei loro diritti e, infine, la modifica della legge che regolamenta la questione delle droghe a firma Fini-Giovanardi, responsabile numero uno di una gestione poco ragionevole ed efficace dei flussi d’ingresso nelle carceri. Il piano carceri varato dal governo Berlusconi nel giugno del 2010 è stato nei fatti completamente disatteso anche a causa di un progressivo impoverimento dei fondi destinati, anche se la gestione dei detenuti in termini di sole opere edili non risolve alla radice una disfunzione che nasce dalla legge e dalla sua attuazione. Le proposte vanno dalla rivisitazione della legge Cirielli sulla recidiva, all’attuazione della misura cautelare solo in casi di extrema ratio, fino all’abrogazione del reato di clandestinità tanto per citare alcuni esempi, scempio dell’ultima politica, fino all’investitura di un Garante nazionale per i detenuti. Il 37% dei detenuti ha violato la legge sulle droghe a firma Giovanardi-Fini ed è soprattutto questa norma ad aver generato un fiume di carcerati non solo aggravando le condizioni delle carceri, ma vanificando quell’aspetto di recupero e di rieducazione che è fondamentale e che va garantito nell’idea di pena prevista dalla legge italiana. Peraltro i “drogati” non sono tutti uguali e oggi la legge è strutturata in modo tale che un fumatore di spinello non ha la chance di non finire in carcere con l’accusa di spaccio per pochi grammi in più, solo grazie al buon senso dei giudici. L’idea che la detenzione sia uno strumento utile a recuperare i tossicodipendenti mostra clamorosamente nella cronaca tutti i suoi fallimenti. Occorre che torni alla centralità dei servizi sociali la funzione di sostegno e recupero delle persone affette da tossicodipendenza. Bisogna raggiungere almeno 50 mila firme e l’urgenza di portare avanti una legge in materia nasce anche dal prossimo appuntamento del gennaio 2014 in cui l’Italia dovrà rispondere alla Corte Europea sulla situazione carceraria con numeri che ad oggi disegnano un quadro sconfortante in cui le uniche speranze sono spesso affidate al lavoro delle cooperative sociali. Sono 66.000 i detenuti in Italia e accedono al lavoro regolare in carcere solo 800. La recidiva per chi non lavora è del 90 per cento e va da sé che il carcere che rappresenta esso stesso una ferita del Paese per le condizioni in cui vivono i detenuti, non risolve uno dei problemi che la società ha con chi ha infranto la legge dello stato. Le misure alternative relativamente alla diversificazione dei reati servono non soltanto a salvaguardare i diritti umani di chi è in prigione, ma a consentire con concretezza la reintroduzione nel contesto sociale e il recupero di tante vite per le quali il carcere diventa l’unica condanna senza appello. Non c’è nemmeno più il sapore di vecchie e superate contestazioni di ordine ideologico dal momento che è la polizia penitenziaria in prima fila a definire “disumane” le condizioni delle carceri italiane. Luoghi in cui sembra non esser mai arrivata l’Europa delle convenzioni e dei grandi trattati. Quella che la politica nazionale invoca come un bollino di garanzia senza interrogare sul serio la più antica tradizione dei diritti che all’Europa ha dato l’unica dignità che resta dietro alle algebre della finanza. Giustizia: Md ricorda l’emergenza carcere e chiede “numero chiuso” e rinvio detenzione Il Sole 24 Ore, 4 febbraio 2013 Carceri a “numero chiuso”, con rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena detentiva se questa “si svolgerebbe in condizioni tali da non garantire il rispetto della dignità dei condannati”. Si chiude con questa proposta, che ripropone l’allarme sull’emergenza carceri, tra i temi più in evidenza dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario, il 19° congresso di Magistratura democratica. Dalla corrente “di sinistra” delle toghe, anche l’invito ai magistrati perché evitino di candidarsi in politica nelle stesse zone dove sino al giorno prima hanno svolto indagini. Liste di attesa e ingressi scaglionati La scelta di far propria la proposta avanzata qualche giorno fa da un cartello di organizzazioni che operano a sostegno dei detenuti segue alla recente condanna del Consiglio d’Europa che ha censurato l’Italia per la situazione di grave sovraffollamento dei nostri istituti carcerari. La mozione approvata nella giornata conclusiva del congresso propone, in particolare, l’introduzione del numero chiuso nelle carceri, dilazionando gli ingressi dei condannati che siano liberi al momento del passaggio in giudicato della sentenza “tutte le volte che l’esecuzione debba avvenire in istituti nei quali la capienza regolamentare sia già esaurita”. In rinvio darebbe vita ad una sorta di “lista d’attesa” degli ingressi “da scaglionarsi in concomitanza con il recupero di posti disponibili”, e dovrebbe essere accompagnata dall’obbligo di immediata detenzione domiciliare. Garantire la “cesura” fra attività giudiziaria e territorio Dopo le polemiche dei giorni scorsi, che hanno diviso la stessa Md, sull’opportunità delle candidature dei magistrati per le prossime Politiche, il documento finale del congresso evita di fare riferimenti espliciti a candidati eccellenti come Antonio Ingroia (Pm a Palermo, oggi leader di “Rivoluzione civile”) e Pietro Grasso (già procuratore nazionale Antimafia, in corsa al Senato per il Pd) ma auspica che “il passaggio ad un impegno diretto nel mondo politico non costituisca condizionamento effettivo o potenziale dell’attività professionale”. Per questo, richiamando il codice deontologico Anm (in assenza di una norma di legge in questo senso) invita a “garantire la cesura fra attività giudiziaria e territorio nel quale il magistrato sceglie di operare quale candidato ad elezione o quale amministratore pubblico”. No, quindi, alla candidatura nelle località dove il magistrato ha svolto la sua attività di giudice o pm. Giustizia: digitalizzare gli atti giudiziari dei processi per terrorismo… di Agnese Moro La Stampa, 4 febbraio 2013 Gli atti giudiziari sono un’importante fonte per coloro che studiano gli avvenimenti italiani della seconda metà del 900. Sono fonti fragili (pensate a come sbiancano rapidamente le fotocopie o i fax di quegli anni), poco accessibili, voluminose, difficili da consultare. Per questo è così importante che quelle carte possano essere digitalizzate. Va in questa direzione l’attività del laboratorio di digitalizzazione degli atti dei procedimenti giudiziari per terrorismo del Veneto, presentato due giorni fa a Padova, alla presenza del Direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tamburino, e della coordinatrice delle Rete degli archivi per non dimenticare, Ilaria Moroni. Il progetto, finanziato dalla Cassa delle Ammende del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, è stato promosso dall’Associazione Casa della Memoria del Veneto, presidente Silvia Giralucci, dalla rivista Ristretti Orizzonti, direttore Ornella Favero, e dalla Casa di Reclusione di Padova, direttore Salvatore Pirruccio, presso la quale è inserito il laboratorio. A realizzarlo è la Cooperativa sociale AltraCittà, presieduta da Rossella Favero, che dal 2003 promuove progetti che servano a creare sbocchi occupazionali per persone detenute, ex detenute o in misura alternativa alla detenzione. “La valenza del progetto - dicono gli organizzatori - è culturale e sociale. Il lavoro viene svolto da detenuti del carcere di Padova formati in modo specifico nell’ambito del progetto stesso per offrire al territorio servizi di digitalizzazione sia per il pubblico che per il privato”. La Cooperativa, grazie alla collaborazione del Tribunale di Padova, ha cominciato la digitalizzazione dei processi per gli omicidi di Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola (1974) e quello dell’agente di polizia stradale Antonio Niedda (1975) ad opera delle Brigate Rosse; e di quello dei carabinieri Enea Codotto e Luigi Maronese da parte dei Nar nel 1981. Ora si cercano le risorse per poter procedere con la digitalizzazione degli atti degli altri procedimenti giudiziari per terrorismo avvenuti nel Veneto, a partire degli omicidi del commissario di polizia Antonio Albanese, e dei dirigenti della Montedison Sergio Gori e Giuseppe Taliercio avvenuti a Mestre. Gli atti dell’omicidio di Lino Sabbadin, invece, sono già stati digitalizzati a Milano dove si è svolto il processo ai Pac di Cesare Battisti. Giustizia: il padre di Stefano Cucchi; sfruttano nostre giuste polemiche con Pm Roma Ansa, 4 febbraio 2013 “Qualcuno sta cercando di sfruttare le nostre polemiche, peraltro sacrosante, contro i pm Barba e Loy per fare, a proprio ma non esclusivo uso e consumo, campagna di disinformazione sul processo in corso per la morte di mio figlio Stefano”. Lo sostiene, in una nota, Giovanni Cucchi, padre di Stefano. “A questo qualcuno - aggiunge - ricordo che i tre agenti di polizia penitenziaria imputati in quel processo sono accusati dalla Procura di Roma di aver tutti insieme spinto e colpito con calci mio figlio nelle aule di sicurezza di piazzale Clodio, provocandogli un politraumatismo su tutto il corpo e la frattura della 4 vertebra sacrale. Sono accusati inoltre di abuso dei mezzi di correzione per aver fatto tutto questo per indurre Stefano a smettere di lamentarsi e di chiedere farmaci. Chiedo ai quei politici di facile ed evidentemente interessato giudizio, non basta tutto questo?”. “Io sono grato a quei politici - aggiunge - per essere usciti allo scoperto, perché in tal modo essi vogliono continuare a rendere legittima la tortura opponendosi alla approvazione di ogni legge che la punisca. Sono grato, perché, ben sapendo che Stefano ne è stato vittima, ora ne è divenuto, suo malgrado, un simbolo di civile denuncia. E non solo per quanto sta facendo mia figlia, ma anche tutti coloro di ogni parte e colore, che ora vogliono farsene carico”. Giustizia: appello di don Colmegna; romena arrestata per la sua ex povertà… liberatela di Paolo Foschini Corriere della Sera, 4 febbraio 2013 Denunciata sei anni fa per accattonaggio, processata e condannata senza saperlo: ora è in cella, via alla battaglia legale. Denunciata senza capirlo, processata senza saperlo, condannata senza mai difendersi, ricercata senza mai nascondersi. Mentre lei, ignara di tutto, in quegli stessi anni si costruiva pian piano una vita: dalla miseria in metropolitana ai primi lavori in regola, e poi la prima residenza regolare, e i contributi Inps, e le tre figlie a scuola, e un lavoro sempre migliore, e una nuova casa in affitto. Sette anni così, raccontando ogni volta ad amici e parenti che è vero, che se ci si crede si può: anche una che parte da zero, anche “una romena come me”. Finché invece la burocrazia giudiziaria l’ha trovata, e ha deciso di no: tre settimane fa i carabinieri si sono presentati a casa sua e l’hanno portata in galera. Perché rubava di nascosto? Perché aveva fregato qualcuno? Macché: perché il Tribunale di Milano, l’anno scorso, l’ha condannata a sei mesi di reclusione per un’asserita accusa di “accattonaggio con minore” risalente proprio a quella vita precedente da cui, ormai sette anni fa, era riuscita faticosamente a sollevarsi. Condanna senza attenuanti e senza neppure sospensione condizionale, che per sei mesi si dà a chiunque, malgrado lei fosse totalmente incensurata. Della serie “torna indietro e va” in prigione senza neanche ripassare dal Via”. Lei oggi ha 29 anni. Diciamo che si chiama Anna, anche se non è vero, visto che le sue tre figlie in età ancora elementare stanno già pagando abbastanza senza bisogno che i compagni di scuola sappiano troppo. Ma la storia ricostruita dal suo avvocato Fabrizio Busignani è documentata fino alle virgole e il suo prologo si svolge, appunto, intorno al 2006: quando una bambina viene notata da sola nella stazione metro di San Babila. L’accusa di averla mandata a chiedere la carità verrà contestata, in un secondo momento, a una donna identificata a piede libero che si qualifica con le generalità di Anna. A questa donna viene assegnato un difensore d’ufficio, di cui Anna non saprà mai nulla anche se sarà l’unico a essere via via informato. L’indagine parte e si chiude, comincia un processo. Ma Anna non saprà mai niente neppure di questo: anzi i giudici, lette le attestazioni di “vane ricerche” prodotte dai carabinieri, prima la dichiarano contumace e poi la condannano. Siamo nel marzo del 2012. I carabinieri continuano a dichiararla “irreperibile” per mesi pur affermando di averla cercata “nel luogo di nascita, dell’ultima residenza anagrafica, dell’ultima dimora, in quello dove abitualmente lavora” e persino “presso l’Amministrazione carceraria centrale”. Quando il 9 gennaio di quest’anno la trovano, nella casa in cui regolarmente vive da tempo, è per arrestarla. Ed è solo a questo punto che lei nomina un avvocato di sua fiducia. In realtà Anna sarebbe sempre stata reperibilissima: “Inizialmente - dice don Virginio Colmegna - è stata residente per diverso tempo qui da noi in Casa della Carità”. Dove l’anagrafe ne certifica la presenza almeno “dal 5 ottobre 2010”, sottolinea l’avvocato Busignani, e dove nessuno l’ha mai cercata: né lì, appunto, né nell’appartamento fuori Milano sua residenza attuale. Così come nessuno - prosegue il legale - ha mai chiesto di lei ai datori di lavoro succedutisi in questi anni e risultanti dalla copiosa documentazione Inps: il tutto prodotto ora in copia al tribunale per chiedere di restituire alla povera Anna la sua vita. Lo stesso appello, in questo senso, che anche don Colmegna indirizzerà al procuratore Edmondo Bruti Liberati e al presidente del tribunale Livia Pomodoro. Molise: penitenziari strapieni, privi di assistenza sanitaria adeguata e carenti di personale Il Tempo, 4 febbraio 2013 Una situazione abbastanza drammatica se si considera che in Molise, a fronte di una capienza di 401 posti disponibili, si contano 505 reclusi di cui 67 stranieri. A Campobasso ce ne sono 128, a Larino 294 e a Isernia 83. A denunciare la situazione è Angelo Romano, medico di guardia nel carcere del capoluogo. “I locali dell’infermeria - scrive in una lettera inviata al commissario Basso - sono per circa il novanta per cento dei giorni in condizioni igieniche pessime e di totale abbandono. Per moltissimi giorni al mese non è possibile effettuare alcuna attività sanitaria, visite mediche programmate, eventuali visite specialistiche, attività degli assistenti sociali e degli operatori del Sert a causa di un’eccessiva e cronica carenza di personale di polizia penitenziaria”. Non soltanto. “Il gabinetto odontoiatrico interno - aggiunge il medico - è fuori uso da diversi anni, con aggravio di spesa per il trasporto dei detenuti in ospedale, considerando l’elevato tasso di patologie odontoiatriche nella popolazione detenuta con tempi di attesa lunghi”. A farsi portavoce della denuncia del medico è il consigliere regionale uscente del Pd Petraroia. Teramo: detenuto di 51 anni trovato morto in cella, forse stroncato da un infarto Il Centro, 4 febbraio 2013 Dramma a Castrogno: l’operaio Tommaso De Angelis forse ucciso da un infarto doveva scontare 24 anni per il delitto di Martinsicuro, sarebbe uscito nel 2019. Doveva scontare 24 anni di carcere ma la sua pena è finita ieri, alle 15,30, su una branda del carcere di Castrogno. Tommaso De Angelis, 51 anni, originario dell’Ascolano, ex operaio della Barilla condannato per l’omicidio di una prostituta a Martinsicuro, forse è stato ucciso da un infarto. La Corte d’Assise di Teramo gli aveva inflitto 24 anni di carcere, confermati in appello, per aver ucciso la 20enne Svetlana Alexeenko in una palazzina di Martinsicuro. L’omicidio avvenne il 5 febbraio del 2002. De Angelis sarebbe tornato in libertà nel 2019, ma ieri è morto in circostanze che non sembrano essere misteriose anche se l’autopsia sarà necessaria per fugare ogni dubbio. Facciamo un salto indietro nel tempo: nel 2003 il giudice riconobbe l’operaio ascolano colpevole del reato di omicidio volontario, ma non premeditato; da qui la pena minore rispetto a quella all’epoca richiesta dal pubblico ministero Davide Rosati, l’ergastolo. De Angelis era stato invece assolto dall’accusa di aver rapinato prostitute nel corso del 2000 lungo la strada provinciale Bonifica del Tronto. Allora il magistrato aveva chiesto la pena massima sostenendo che si trattò di un omicidio volontario con quattro aggravanti: premeditazione, abbietti e futili motivi, uso di sostanze venefiche, crudeltà e violenza. De Angelis, invece, aveva confessato di essersi recato dalla giovane per rapinarla e di averla poi aggredita, ma senza volerla uccidere e che quando si allontanò dall’abitazione Svetlana era ancora viva. Ma l’accusa non ci stava: sosteneva che l’uomo avesse anche prelevato il cloroformio dall’azienda dove lavorava. De Angelis, diceva il pm, avrebbe preparato tutto dopo aver capito che la donna nascondeva in casa molti soldi. Nella perquisizione della sua abitazione i carabinieri del reparto operativo di Teramo rinvennero anche parte del bottino (1.000 euroecirca 900 rubli che l’arrestato aveva cercato di cambiare inutilmente in banca) , oltre al cellulare della vittima e un giubbotto dal quale si era staccato un bottone, trovato dagli investigatori sul luogo del delitto. Ma questa è ormai storia passata, cancellata dalla morte dell’ex operaio. È l’ennesimo dramma a Castrogno. Appena tre giorni fa, i giornali si sono occupati di un altro episodio: quello di un detenuto salvato dai rumore dello sgabello che cadeva. Una guardia lo ha sentito, ha aperto la cella e ha visto penzolare il carcerato che tentava il suicidio per impiccagione, afferrandolo appena in tempo. È accaduto nella notte di mercoledì scorso nel carcere di Teramo, protagonista un giuliese di 33 anni condannato per spaccio di stupefacenti che, durante la detenzione, è caduto in depressione. Dopo aver tentato una prima volta il suicidio ha chiesto il differimento della pena, ma a dicembre il tribunale di sorveglianza ha rigettato la sua istanza. La sua storia è stata presa a simbolo dai Radicali abruzzesi e in particolare dai candidati teramani al parlamento nella lista Amnistia Giustizia e Libertà, che hanno tenuto una conferenza stampa. Proprio oggi è atteso a Teramo il leader dei Radicali, Marco Pannella. E la fine di De Angelis, morto da solo in una cella, può diventare un’altra storia simbolo. Parma: continuano le polemiche dopo l’evasione dal carcere di due detenuti albanesi Gazzetta di Parma, 4 febbraio 2013 “L’evasione di due detenuti dal carcere di massima sicurezza di Parma, non può e non deve far dimenticare quale sia la vera e propria emergenza carceri: le condizioni disumane di vita dei detenuti, a causa di un sovraffollamento che non ha riscontro in tutto il resto dell’Europa: 142,5% per quanto riguarda l’Italia contro il 99,6% della media europea”. A dirlo è Rivoluzione Civile di Parma in un comunicato”. “A questo triste primato - continua la nota - non si sottrae neppure la Regione Emilia Romagna e il carcere di massima sicurezza di Parma. A ciò si aggiunge la carenza sempre più grave del personale di custodia che dunque è costretto a sostenere carichi di lavoro intollerabili. L’ultimo rapporto dell’Associazione Antigone documenta come il numero di detenuti che al 31.12.2009 era di 64.791, al 31.10.2012 era addirittura cresciuto a 66.685, malgrado l’entrata in vigore, nel 2010, della così detta legge svuota-carceri. Le conseguenze di questo stato di cose sono drammatiche: 93 detenuti morti in carcere nei primi 11 mesi del 2012, di cui 50 suicidi. Ma nel 2012 si contano anche 8 suicidi di appartenenti al corpo di Polizia Penitenziaria. E proprio a causa del sovraffollamento, in un clima generale di violenza, vanno collegate le proteste all’interno delle strutture, scioperi della fame, 6.628 nel 2011, rifiuto del vitto (1.179), danneggiamenti di oggetti (529), atti di autolesionismo, 6 casi a Parma proprio all’inizio del 2013. E si tenga conto che oltre il 40% dei detenuti è in custodia cautelare, in attesa di giudizio”. “Occorrono - prosegue Rivoluzione civile - dunque non misure occasionali di svuotamento-carceri , ma misure radicali e strutturali di depenalizzazione, decarcerizzazione, umanizzazione della pena con misure alternative alla detenzione (inutile ricordare che Parma su questo piano vanta una tradizione che andrebbe rivalorizzata al massimo). Rivoluzione civile, anche per voce del candidato premier Antonio Ingroia, sostiene e si batterà per questi obiettivi”. A testimoniare questa volontà domenica prossima 10 febbraio sarà a Parma Ilaria Cucchi, candidata alla Camera nelle liste di Rivoluzione Civile. Evasi ancora in fuga. Frrokaj? Un detenuto da marcare a uomo Ancora nessuna traccia dei due detenuti albanesi evasi all’alba di sabato dal carcere di via Burla, dopo aver segato le sbarre della propria cella con le lamette di alcuni tagliaunghie ed essersi calati con delle lenzuola, per poi scavalcare il muro di cinta e la recinzione esterna. Nonostante fin dalle prime ore dopo la fuga le ricerche siano state estese a tutto il territorio nazionale, Valentin Frrokaj e Taulant Toma, rispettivamente di 35 e 29 anni, sono letteralmente svaniti nel nulla. L’unico avvistamento è quello nell’area di servizio di Cortile San Martino, sull’A1, verso le 6.30 di sabato mattina: proprio nell’autogrill i due avrebbero anche fatto colazione, forse in attesa di un complice che potrebbe averli caricati e portati verso chissà quale destinazione, di sicuro molto lontano da Parma e dal suo carcere. A dare la caccia alla coppia di albanesi sono arrivati da Roma anche gli uomini del Nic, il Nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria, uno speciale corpo istituito nel 2007 dal ministero della Giustizia, che sotto la direzione dell’autorità giudiziaria si occupa in modo particolare di dare la caccia ai detenuti evasi. L’articolo completo sulla Gazzetta di Parma in edicola Maggiori particolari anche sui due evasi: Frrokaj, un ergastolo per omicidio, era un detenuto da marcare a uomo, una sorta di ras della sezione penitenziaria. Ferri (Mi): ok ministro, ma basta sovraffollamento “Giusta” l’iniziativa del Ministro della Giustizia di inviare gli ispettori nel carcere di Parma dove sono evasi due condannati, ma il nodo della sicurezza “sarà sempre all’ordine del giorno finché non si risolverà definitivamente il problema del sovraffollamento carcerario e non si investirà nelle strutture e nella qualità dei sistemi di controllo”. A sostenerlo è Cosimo Ferri, segretario di Magistratura Indipendente, la corrente più moderata delle toghe. “La politica deve dare una risposta urgente: intervenire ex post non è sufficiente. Da troppo tempo se ne parla senza adottare misure idonee ed incisive e si è preferito destinare 84 milioni di euro nel braccialetto elettronico che non viene di fatto utilizzato”, lamenta il leader di Mi, che chiede di “voltare pagina con proposte concrete”. “La pena deve essere rieducativa e devono essere quindi agevolati l’istituto della messa in prova, le attività di osservazione, di risocializzazione all’interno degli istituti penitenziari, le attività di intrattenimento)”, conclude Ferri. Nuoro: Sdr; chiusura del carcere-modello di Macomer conferma logica punitiva ministero Agenparl, 4 febbraio 2013 “La chiusura delle carceri a misura d’uomo a vantaggio di quelle improntate alla spersonalizzazione dei cittadini privati della libertà conferma la logica punitiva che anima il sistema detentivo italiano. L’idea di chiudere Macomer e Iglesias è l’ennesimo chiaro segnale di come si voglia trasformare un’istituzione finalizzata al recupero e alla reintegrazione sociale in una fabbrica di disadattati”. Lo ha detto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, con riferimento alla decisione del Ministero della Giustizia di chiudere gli Istituti di Macomer e Iglesias. “Abbiamo potuto verificare in occasione di una recente visita nel mega Istituto di Massama-Oristano che concentrare molte persone in strutture di grandi dimensioni, isolandole, significa - ha aggiunto - negare la possibilità di realizzare programmi di recupero. Finora al concentramento dei reclusi non è corrisposto un rafforzamento degli operatori culturali e neppure degli agenti penitenziari. Anzi gli uni e gli altri sono sottodimensionati da sempre”. “Il principio dettato dalla Costituzione in materia di detenzione - sostiene Caligaris - è quello di perseguire la rieducazione del condannato. Il buon senso suggerisce che, a parte alcune eccezioni di cittadini che hanno commesso reati per i quali può essere necessario un più lungo periodo di riflessione personale, il recupero sociale deve avvenire con progetti individuali disponendo quindi di agenti, educatori, psicologi, insegnanti. I detenuti devono poter effettuare corsi di formazione, attività di aggiornamento e svolgere impegni lavorativi e di volontariato. Includendo in questo percorso i familiari. Questa organizzazione “riparatrice” del danno è più efficiente in una struttura piccola dove i componenti della comunità si conoscono vicendevolmente e possono interagire affinando le reciproche caratteristiche”. “Azzerare l’identità personale e la storia individuale barattandola con una cella che ha un bagno e una doccia equivale - rileva la presidente di SdR - a chiudere qualunque reale ripristino del patto sociale infranto e promuovere il disadattamento dell’individuo. Conclusa la pena, dopo 10 anni di vita trascorsi dentro una struttura dove il lavoro è quello del porta vitto o dello scopino è impossibile riabbracciare positivamente la comunità di provenienza”. “Lo Stato deve smettere di investire ingenti somme su grandi strutture dispendiose non solo per l’allestimento ma ancor di più per il mantenimento. Deve invece fare uno sforzo per trasformare gli Istituti Penitenziari esistenti in luoghi dove davvero è possibile recuperare chi ha sbagliato. Il carcere di Macomer e quello di Iglesias quindi non devono chiudere ma diventare Istituti destinati a detenuti - conclude Caligaris - con specifiche esigenze. La diversificazione permetterebbe anche di gestire la devianza con livelli differenti di sicurezza evitando di concentrare detenuti che hanno commesso diversi generi di reati nella stesso ambiente”. Parma: Calisto Tanzi ancora in ospedale, giudice deciderà per domiciliari il 5 marzo Tm News, 4 febbraio 2013 Calisto Tanzi è ancora ricoverato all’ospedale Maggiore di Parma dopo la caduta in carcere del 25 gennaio che gli ha procurato una ferita alla testa. I medici hanno deciso di prolungare il ricovero per effettuare nuove analisi. Le condizioni di salute dell’ex patron di Parmalat, già in cura da un cardiologo per il bypass, sono infatti peggiorate a causa della perdita di molto sangue dopo l’incidente di dieci giorni fa. È fissata intanto per il 5 marzo l’udienza al tribunale di sorveglianza di Bologna durante la quale il giudice si dovrà esprimere per l’eventuale concessione dei domiciliari. Lo ha confermato il legale di Tanzi Franco Magnani, che ha sostituito gli avvocati Biancolella, Sgubbi e Belloni che lo hanno difeso per uno dei filoni più importanti del crack della multinazionale del latte. La nuova richiesta dei domiciliari, dopo la bocciatura delle precedenti, è stata avanzata a partire da quanto disciplinato nell’ex art. 47 dell’ordinamento penitenziario che individua tre condizioni per ottenere la detenzione fuori dal carcere: a Tanzi rimane da patire una pena poco inferiore ai 4 anni; ha più di 60 anni, 74 per la precisione; e le sue condizioni di salute sono precarie. “Gli esami che stanno svolgendo in ospedale - ha spiegato Magnani - sono le stesse che abbiamo chiesto noi per certificare l’impossibilità di scontare la pena dentro il carcere. Aspettiamo i risultati”. Roma: le aree verdi di via dei Prati Fiscali bonificate da disabili e detenuti www.romatoday.it, 4 febbraio 2013 Sabato mattina iniziativa di Anagramma Onlus, Gruppo Idee e Municipio IV: detenuti e disabili hanno restituito decoro all’arteria della Quarta. Ceccato: “Nostri ragazzi orgogliosi e soddisfatti di lavorare per il bene comune”. Mattinata di lavoro sabato per detenuti, ragazzi in carrozzella e volontari che hanno tagliato e bonificato il verde presente lungo un tratto di Via dei Prati Fiscali, un’iniziativa promossa da Anagramma Onlus, Gruppo Idee e IV Municipio. “Si tratta di un modo che permette ai nostri ragazzi di essere utili al bene comune. Questa bonifica, oltre a ridare decoro in questo tratto di strada, riempirà di orgoglio e soddisfazione i ragazzi dell’associazione tutte le volte che transiteranno da qui. Con il IV Municipio, ormai da anni, abbiamo instaurato un rapporto diretto che ci ha consentito di crescere e di dare dignità ai nostri ragazzi” - ha detto Cristiano Ceccato, responsabile di Anagramma, associazione che tutela i diversamente abili e svolge attività nel territorio della Quarta. Presente durante l’intervento anche il minisindaco, Cristiano Bonelli, che si è destreggiato insieme ai ragazzi di Anagramma Onlus tra decespugliatori, rastrelli e sacchi in cui raccogliere i rifiuti: “Un’iniziativa che merita il plauso dell’istituzione locale - ha dichiarato a margine - dal significato profondo e concreto di ciò che troppo spesso viene utilizzato impropriamente. Oggi - ha concluso Bonelli - è solo la prima di una serie di iniziative che saranno organizzate nel nostro Municipio. Ringrazio le associazioni Gruppo Idee e Anagramma per aver restituito decoro in un tratto di Via Prati Fiscali”. Roma: Sappe; tentata evasione da Rebibbia, la sorveglianza dinamica è un flop pericoloso Ansa, 4 febbraio 2013 Tentata evasione dal carcere di Roma Rebibbia. Agenti di Polizia Penitenziaria sventano l’evasione dopo accurata indagine. Avevano preparato minuziosamente un piano di fuga realizzando, in diversi mesi di lavoro, un foro di 50 centimetri dal quale poi calare un lenzuolo ed evadere da Rebibbia. L’episodio, reso noto dal sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria Sappe, ha per protagonisti due detenuti romeni condannati per omicidio e la cui pena scadrà nel 2031. Grazie ad un lavoro di mesi, i due erano riusciti a realizzare il foro ed erano pronti a fuggire se non fossero stati fermati nella tarda serata del primo febbraio da un’ispezione dei poliziotti, al termine di una attenta attività investigativa. In sostanza un’evasione che avrebbe preceduto di poche ore quella clamorosa avvenuta a Parma. “La vigilanza dinamica dei penitenziari voluta per alleggerire l’emergenza carceraria è un vero flop - commenta il segretario generale del Sappe, Donato Capece -. Pensare a un regime penitenziario aperto, a sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità, favorendo un depotenziamento del ruolo di vigilanza della Polizia Penitenziaria, relegata ad un servizio di vigilanza dinamica, che vuol dire porre in capo ad un solo poliziotto quello che oggi lo fanno quattro o più agenti, a tutto discapito della sicurezza e mantenendo il reato penale della colpa del custode. Ebbene, tutto questo è fumo negli occhi e chi l’ha pensata (il Capo Dap Giovanni Tamburino ed il vice Capo Luigi Pagano) dovrebbe essere subito avvicendato dalla guida del Dap. Altro che l’aumento di 10mila euro in busta paga dato qualche giorno fa”. Milano: Napolitano in visita a San Vittore, incontrerà operatori, volontari e gruppo reclusi Corriere della Sera, 4 febbraio 2013 Vedere da vicino quella “realtà angosciosa” di cui ha parlato nel messaggio di fine anno. Quella situazione di oramai perenne emergenza più volte censurata dall’Europa, che “non fa onore al nostro Paese ma, anzi, ne ferisce la credibilità internazionale e il rapporto con le istituzioni europee”. Mercoledì il presidente della Repubblica sarà a Milano. L’occasione è il convegno per l’avvio delle celebrazioni degli ottant’anni dell’Istituto per gli studi di politica internazionale. Lì, a Palazzo Clerici, parlerà di Europa, Giorgio Napolitano, con un intervento sulla politica estera italiana. Prima, in mattinata, andrà in visita nel carcere di San Vittore. L’istituto di piazza Filangieri come simbolo del dramma degli istituti di pena nel nostro Paese. Dell’ingiustificabile stato di cose” testimoniato dai numeri: più di 66 mila reclusi a fronte di 45 mila posti disponibili. “Sovraffollamento”, il nome della patologia che colpisce molti istituti. Anche San Vittore. Penitenziario in centro città, spesso protagonista del dibattito locale - tra chi vorrebbe trasferirlo in periferia e chi ne difende la posizione nel cuore dì Milano, da tempo costretto a fare i conti con celle che esplodono e una struttura che denuncia tutti i suoi anni. “Il Presidente farà una visita in tarda mattinata”, spiega la direttrice del carcere, Gloria Manzelli. Il Dipartimento di amministrazione penitenziaria sta ultimando i preparativi, dice il vicecapo Luigi Pagano, ex provveditore delle carceri lombarde e in passato (per 16 anni) direttore di San Vittore. Un paio d’ore, la visita, durante il quale il capo dello Stato dovrebbe intrattenersi a colloquio con gli operatori dell’istituto di pena, con esponenti del volontariato e con una rappresentanza dei detenuti. L’intento è approfondire i termini di un problema che gli sta a cuore e sul quale è intervenuto più volte. L’ultima poche settimane fa, dopo la condanna all’Italia della Corte europea dei diritti dell’uomo per il trattamento dei detenuti: “Inumano e degradante”, il giudizio senz’appello di Strasburgo. “Un nuovo grave richiamo all’insostenibilità della condizione in cui vive gran parte dei detenuti nelle carceri italiane - le parole del presidente della Repubblica -. Una mortificante conferma della perdurante incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena”. Quindi il richiamo: “La questione deve ora poter trovare primaria attenzione anche nel confronto programmatico tra le formazioni politiche che concorreranno alle elezioni del nuovo Parlamento”. Dap: mercoledì 6 febbraio il Presidente Napolitano in visita al carcere di Milano Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha accolto l’invito a visitare il carcere di San Vittore di Milano, nella mattinata del 6 febbraio. Il carcere milanese, tra i più grandi e i più affollati del Paese, si prepara ad accogliere il Capo dello Stato che ha così voluto, ancora una volta, richiamare l’attenzione sulla prepotente urgenza rappresentata dai problemi delle carceri italiane e anzitutto del sovraffollamento. In particolare, San Vittore, con una capienza di 900 posti, ha una presenza media di 1.600 detenuti, di cui il 63 percento stranieri e 140 sono donne. E da San Vittore dipende anche la prima casa a custodia attenuata per le detenute madri, una struttura collocata fuori dal carcere, senza sbarre, dove il servizio è prestato dal personale di Polizia Penitenziaria in borghese. Il Presidente Napolitano, accolto dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino e dal direttore dell’Istituto Gloria Manzelli, incontrerà i detenuti, il personale e i volontari nella storica rotonda di San Vittore e, nell’occasione, visiterà un raggio dell’Istituto. Nel corso dell’incontro al Capo dello Stato si rivolgeranno un uomo e una donna, in rappresentanza dei detenuti di San Vittore, con le loro riflessioni sulle condizione di vita detentiva. Antigone: visita Napolitano a San Vittore è messaggio a politica “Un gesto simbolico forte ma anche un preciso messaggio alla politica, impegnata in questa campagna elettorale, affinché il tema delle carceri resti al centro dell’attenzione. Dopo le parole del Capo dello Stato, i leader delle coalizioni dicano come intendono risolvere l’emergenza”. Lo dice all’Adnkronos Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, in merito alla visita che mercoledì il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, terrà al carcere di San Vittore, a Milano. “I politici - ribadisce Antigone - dicano come intendono affrontare la situazione, abbiamo un anno di tempo per farlo, dopo la condanna della Corte di Strasburgo. Come Antigone, insieme a quasi 20 organizzazioni - ricorda Gonnella - nei giorni scorsi abbiamo presentato in Cassazione tre proposte di legge di iniziativa popolare. Vogliamo raccogliere 50.00 firme - conclude - e porre all’attenzione del Parlamento il ripristino della legalità nelle carceri, l’introduzione del reato di tortura e un cambio radicale di politica sulle droghe, attraverso una forte riduzione dell’impatto penale”. Papa (Pdl): finora appelli Napolitano rimasti inascoltati “Ad oggi le parole di Napolitano sono rimaste inascoltate da una classe politica che sembra preoccupata esclusivamente dalle logiche spartitorie in una corsa elettorale senza contenuti. Eppure la situazione nelle nostre carceri rimane incandescente, la dignità dei detenuti è quotidianamente vilipesa al punto da non contare più le condanne provenienti dagli organismi internazionali”. È quanto afferma il deputato del Pdl, Alfonso Papa. “Mi auguro -prosegue- che il nuovo Parlamento dia soluzioni concrete a un dramma che mina la sussistenza del diritto punitivo dello Stato e la legittimità delle stesse istituzioni”. “Mercoledì -conclude- mentre il Presidente della Repubblica visiterà il carcere di San Vittore, io mi recherò in visita ispettiva al Buoncammino di Cagliari. Sarà per me una delle ultime occasioni per ispezionare gli istituti detentivi in qualità di parlamentare”. Milano: la Garante Alessandra Naldi; mi batterò per effettivo diritto a voto dei detenuti Redattore Sociale, 4 febbraio 2013 L’annuncio di Alessandra Naldi che ha presentato oggi alla sottocommissione carcere del consiglio comunale il suo programma di lavoro per i prossimi anni. “Mi batterò perché il diritto al voto dei detenuti sia effettivo”: l’annuncio è di Alessandra Naldi, da pochi giorni nuovo garante dei detenuti del Comune di Milano, che ha presentato oggi alla sottocommissione carcere del consiglio comunale il suo programma di lavoro per i prossimi anni. “Gli imputati cittadini italiani e quelli che non hanno subito la condanna all’interdizione dai pubblici uffici possono votare - ricorda. Di solito i seggi vengono istituiti nelle carceri milanesi. Il problema è che non tutti i detenuti lo sanno e, soprattutto, devono avere il tempo di farsi mandare dal loro comune di residenza un sostitutivo del certificato elettorale”. Per questo il nuovo garante chiede alle istituzioni penitenziarie che informino per tempo i reclusi, con materiale che spieghi come fare per ottenere il certificato elettorale. Lucca: dal Pdl un’interrogazione sui tagli ai servizi sanitari al carcere San Giorgio Il Velino, 4 febbraio 2013 “Spiegazioni urgenti” sul sovraffollamento delle carceri toscane e sui tagli ai servizi di medicina penitenziaria. È quanto chiede il Pdl annunciando in merito una interrogazione in consiglio regionale. In particolare “il ridimensionamento dei servizi medici a Porto Azzurro e Gorgona, quelli specialistici a Livorno, Porto Azzurro, Gorgona, Massa e Lucca e i servizi infermieristici a Grossseto e Massa sono in contrasto con le norme nazionali e regionali, oltre a essere un disservizio” scrivono i consiglieri regionali Marco Taradash, Stefano Mugnai e Nicola Nascosti. “Tutto questo in una situazione di gravissimo sovraffollamento: al 31 dicembre 2012 erano presenti 4.179 detenuti, 1100 in più di quanto previsto”. “Gli stanziamenti statali dedicati sono aumentati, ma la Regione ha comunque ridotto i servizi di medicina penitenziaria: così nelle carceri toscane si verifica una situazione intollerabile che richiede spiegazioni urgenti”. I fondi di bilancio della medicina penitenziaria non sono stati ridimensionati, anzi risulta che a livello nazionale siano stati aumentati di 5 milioni di euro”. Secondo i consiglieri Pdl “la situazione è esplosiva tanto che i medici di guardia del presidio sanitario di Porto Azzurro hanno preannunciato le dimissioni in blocco se entro breve tempo non verrà risolto il gravissimo problema del carcere”. Bologna: in media cinque detenuti l’anno si laureano dietro le sbarre Adnkronos, 4 febbraio 2013 Circa 5 detenuti all’anno nel carcere di Bologna diventano dottori dietro le sbarre. Sono in tutto una ventina finora i carcerati che si laureati, di questi 6 hanno scelto il corso di studi in Giurisprudenza, 5 in Scienze politiche, un paio si è laureato in Lettere ma qualcuno ha anche intrapreso e concluso studi scientifici. I dati sono stati forniti oggi sotto le Due Torri in occasione della presentazione dell’accordo siglato tra il Garante regionale dei detenuti dell’Emilia Romagna Desi Bruno e la facoltà di Giurisprudenza. Per i detenuti che vogliono laurearsi, l’Ateneo di Bologna ha concesso da tempo la gratuità delle spese universitarie, ma non mancano i problemi. “È difficile fornire i libri e mancano gli spazi per lo studio” ha spiegato il docente di Diritto Penale Massimo Pavarini. Tuttavia c’è chi riesce a concludere il corso. A laurearsi in cella sono soprattutto gli italiani e i condannati con pene definitive lunghe. L’intesa, siglata mira proprio ad approfondire queste tematiche e a guardare da vicino, se non da dentro, il mondo del carcere. L’accordo, firmato nel settembre 2012 e che ha una durata di 3 anni, “fa leva sul concetto di dignità della persona da un lato, e sulla vocazione sociale dell’Università dall’altro” ha precisato l’avvocato Bruno. Nell’ambito del protocollo, infatti, sono previste attività di studio e confronto sul carcere, finalizzate anche alla realizzazione di proposte di riforma dell’ordinamento penitenziario. In quest’ottica è già stato assegnato un assegno di ricerca annuale (per 1.400 euro al mese) ad un ricercatore che lavori su questi temi, ma l’obiettivo è anche trovare giovani studiosi dell’ateneo che facciano da tutor ai detenuti laureandi, agevolando gli studi dei loro coetanei, ma anche la fornitura di libri e il dialogo sui percorsi didattici che si avvalgono anche dell’e-learnig. Sullo sfondo resta il nodo del sovraffollamento, sebbene, ha ricordato l’avvocato Bruno in Emilia Romagna “i detenuti sono calati di circa 1.000 unità, di cui 400 dovuti ai trasferimenti post-sisma”. Solo a Bologna si è passati da un sorvolamento che dal triplo della capienza e sceso al doppio. Il problema, insomma, va migliorando ma non è ancora risolto. Poco in Emilia Romagna sembra aver aiutato il provvedimento svuota-carceri del ministro della Giustizia Paola Severino. “L’Emilia Romagna è una delle regioni che meno ha usufruito del regime di arresti domiciliari per i detenuti con pene inferiori ai 18 mesi” ha riferito il Garante regionale, precisando che questo istituto che “è stato usato solo per 300 detenuti”. Ma il dato, ha concluso il Garante, “va ovviamente interpretato, ci sono state molte dichiarazioni di innammissibilità perché mancava il luogo in cui il detenuto avrebbe dovuto scontare la pena, c’è in sostanza una scarsità di strutture di accoglienza e domiciliazione” per questi condannati che potrebbero espiare la condanna fuori dai penitenziari. Ad ogni modo, secondo Bruno, serve “un cambio di mentalità: oggi si pensa ancora che il carcere sia la soluzione ad ogni problema o pulsione, mentre serve una concezione per cui il carcere deve essere l’estrema ratio”. Venezia: Ispettrice Polizia Penitenziaria della Giudecca indagata per minacce e molestie La Nuova Venezia, 4 febbraio 2013 Minaccia aggravata e molestie telefoniche. C’era stata una vera e propria guerra nel 2011 tra le due ispettrici della Polizia penitenziaria in servizio nel carcere femminile della Giudecca, una guerra che aveva coinvolto anche altre dipendenti del corpo tanto che in otto avevano firmato un esposto al Provveditorato regionale per il Veneto contro l’ispettrice comandante, che ora si trova anche indagata per quei due reati. A condurre le indagini è il pubblico ministero di Venezia Massimo Michelozzi, che ha disposto anche il sequestro della scheda telefonica Sim del cellulare dell’ispettrice capo per appurare se le telefonate alla collega siano davvero partite dal suo apparecchio. Nell’esposto firmato da otto agenti, tra cui la vice del capo, si sostiene che la responsabile avrebbe tenuto atteggiamenti vessatori verso il personale. Non solo, la vice comandante ha denunciato anche di aver ricevuto pesanti minacce e numerose telefonate al suo cellulare. I carabinieri della Polizia giudiziaria avrebbero stabilito, grazie alla scheda sequestrata, l’esistenza delle telefonate dal cellulare dell’una, l’indagata, a quella dell’altra, la parte offesa. Queste le date: il 21 dicembre 2011 e il 22 gennaio dell’anno immediatamente successivo. L’avvocato romano Ernesto Trimarco, difensore dell’indagata, ha presentato ricorso al Tribunale di Venezia del riesame per riavere la scheda telefonica, ma i giudici veneziani hanno respinto la richiesta. Nelle motivazioni scrivono che “il sospetto che sia stato commesso il reato è sussistente e a questo non osta la comprovata reciproca ostilità da tempo caratterizzante i rapporti tra le due ispettrici”. In realtà, inizialmente le due ispettrici andavano d’amore e d’accordo tanto da aver avuto anche una relazione, rapporto poi di cui era venuto a conoscenza il marito di una delle due che aveva chiesto l’intervento del cappellano del carcere. Poi, però, con l’arrivo di una nuovo comandante il loro rapporto si era guastato. Comunque, il Provveditorato, in seguito all’arrivo dell’esposto e ad una veloce istruttoria, aveva disposto il trasferimento “per incompatibilità ambientale” delle protagoniste della vicenda e non solo delle due ispettrici. L’avvocato Trimarco, però, ha presentato ricorso al Tar e l’ha anche vinto, ottenendo il rientro di una delle due. Mentre l’altra è andata in pensione, ma resta in piedi l’indagine penale. Benevento: proiezione in carcere del docu-film “Bartolo Longo… il Rosario e la Carità” www.ilquaderno.it, 4 febbraio 2013 L’associazione “La Mansarda” ha organizzato la proiezione del film “Bartolo Longo: Il Rosario e la Carità” per martedì 5 febbraio alle 15.30 presso la Casa Circondariale di Benevento. Parteciperanno alla proiezione del docu-film, oltre ad alcuni volontari, lo sceneggiatore Maurizio Tieri e l’attrice Alessandra Ranucci che ha interpretato il ruolo della contessa Marianna Farnararo De Fusco in Longo. Antonella Grassia, figlia del regista Ninì Grassia, ha realizzato il film, su idea del medico di Maiori, che ne è il produttore, Raffaele Vitagliano, ex alunno delle Opere Sociali realizzate da Bartolo Longo. Il film racconta la storia di Bartolo Longo, la sua dedizione, in particolare rivolta ai giovani più sfortunati, figli dei carcerati. La possibilità di far realizzare un film o sulla vita e le opere del Beato Bartolo Longo è un’idea nata negli ambienti ecclesiastici a cui hanno cercato di dare vigore alcuni ex-alunni dell’Istituto Bartolo Longo. Samuele Ciambriello, presidente de la “Mansarda”, è convinto dell’impatto sociale del film. “C’è un problema di sovraffollamento che riguarda i carcerati quanto gli agenti penitenziari, i suicidi, le pessime condizioni in cui versano le nostre carceri. Ma il vero problema è l’insensibilità verso un tema, una emergenza che riguarda tutti. C’è bisogno di pene alternative, di interventi immediati e diretti. Con la mia associazione ci occupiamo da anni di carcere. Ai carcerati bisogna togliere il diritto alla libertà ma non la dignità”. Entusiasmo per Raffaele Vitagliano che “dopo la prima presentazione del film, sono arrivate tante lettere. Lettere di ammalati, sofferenti, commossi alla visione del film. Ma, soprattutto, che si sono riconosciuti nelle scene della storia di Bartolo Longo”. Immigrazione: la Garante dei detenuti Desi Bruno; il Sindaco ha poteri per chiudere il Cie Redattore Sociale, 4 febbraio 2013 Chiudere i Cie? È possibile, anche nell’immediato. A sostenerlo è Desi Bruno, garante regionale delle persone private della libertà personale. “Sono 2 le autorità che possono farlo - spiega Bruno a margine di una conferenza - C’è il ministero dell’Interno, da cui i Cie dipendono, e c’è il sindaco, che ha il potere e il dovere di tutelare la saluta pubblica”. Bruno ricorda il recente rapporto dell’Ausl di Bologna, che ha certificato lo stato di estremo degrado igienico-sanitario del centro di identificazione e espulsione, e il rischio definito “gravissimo” di diffusione di patologie infettive. “Ci sono sicuramente molte valutazioni di fare - aggiunge Bruno - e so che i dubbi sono giustamente tanti. Dico però che a mio avviso il sindaco avrebbe tutti i poteri necessari per chiudere un centro che ormai è un pericolo per gli ospiti e che per chi ci lavora”. La garante regionale per i diritti dei detenuti ha anche messo l’accento sullo stato di “sottoutilizzo” dei Cie in regione. “A Bologna su 90 posti ne sono utilizzati sono una quarantina, a Modena 30 su 60. C’è il tema della dignità umana che questi centri non garantiscono, ma anche quello dei costi. Tenere aperte delle strutture del genere per lasciarle poi semivuote non ha senso”. Immigrazione: “Vol spécial”, il mio documentario contro i Cie di Flore Murard-Yovanovitch L’Unità, 4 febbraio 2013 Il regista Fernand Melgar ne ha filmato uno in Svizzera. “Vol spécial” è un duro atto d’accusa alle politiche discriminatorie europee nei confronti degli extracomunitari. Una forma di “fascismo soft” spiega l’autore figlio di migranti Com’è nato il progetto di “Vol Spécial”, primo film in Europa ad essere girato in un centro di detenzione amministrativa per migranti? “Il mio film precedente, La Forteresse (2008), trattava delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in Svizzera. Vol spécial ne è il seguito logico. Attraverso la conoscenza di un traduttore iracheno a cui era stato negato l’asilo, brutalmente arrestato senza aver commesso alcun reato, ho scoperto l’universo della detenzione amministrativa. Io stesso sono figlio di migranti spagnoli irregolari, arrivati in Svizzera negli anni 60 e da sempre interessato alla tematica dell’illegalità. Nella terra natale del diritto umanitario e delle convenzioni sui diritti umani, esistono 28 centri di espulsioni per “sans papiers”. Il centro di detenzione di Frambois, a due passi del Palazzo delle Nazioni a Ginevra e dove è stato girato Vol Spécial, ha la particolarità di essere il risultato di un “approccio sociale alla detenzione”; per questo motivo abbiamo avuto l’accesso: per la prima volta in Europa, una troupe è entrata al suo interno. Prima quei luoghi censurati erano stati filmati solo da cellulari o sotto stretto controllo delle autorità. Noi abbiamo potuto girare il quotidiano della detenzione per 3 mesi, dopo aver fatto 6 mesi di sopralluoghi. Lei sceglie di appoggiare la cinepresa, a distanza quasi “neutra”, tra detenuti e guardiani. È il risultato di una riflessione teorica su cos’è il documentario? “Il mio cinema è di osservazione in presa diretta della realtà. Prima di girare mi sono immerso sei mesi nel centro per cogliere e capire la macchina amministrativa. Solo dopo aver capito che entrambi, guardiani e detenuti, sono presi nella trappola di un folle sistema burocratico, che schiaccia entrambi, ho iniziato a girare. Ma soprattutto, dopo aver capito che i guardiani potrebbero essere Lei e io. Mi sono avvicinato al cuore della contraddizione di Frambois, del tentativo di applicare in modo più “umano” una legge disumana: di “migliorare” un luogo disumanizzato”. Prima sensazione quando siete penetrati per la prima volta in un centro di detenzione? “La banalità del male di Hannah Arendt. Ogni funzionario fa solo il suo lavoro e partecipa del sistema, con timbri, dossier e ordini. La deresponsabilizzazione individuale però non ti sottrae dalla responsabilità collettiva, perché questa detenzione dei migranti, nata prima come misura eccezionale, è stata votata da una vasta maggioranza di cittadini svizzeri nel 1984 (la Loi fédérale sur les mesures de contraintes). Negli anni, la durata della detenzione è stata estesa fino a 24 mesi poi ridotta a 18 mesi, la norma in tutti stati membri dell’Ue”. Alla sua uscita il film è stato accolto da violente polemiche, il presidente della giuria del festival di Locarno, Paulo Branco, non ha esitato a bollare il film come “fascista”. “Vol spécial” non lascia indifferenti... “Alla sua uscita ha creato un vero e proprio “malessere” a causa della sua carica di denuncia nei confronti del ruolo che ha avuto la Svizzera sotto il nazismo e della sua politica xenofoba. Ognuno si è sentito “messo in causa”. Io non faccio documentari “militanti” perché non spiego cosa pensare allo spettatore ma cerco di risvegliare le coscienze. Posso dire che il mio è un cinema “engagé”. Vol Spécial è un film di guerra, su un odierno “campo di concentramento” (anche se nessun paragone storico è lecito) che sembra “normale”. La prassi della detenzione amministrativa, senza processi né giudici né controllo della società civile, è il risultato di un potere amministrativo discrezionale, una forma di fascismo “soft”. Ma cosa succede all’Europa nel suo rapporto con i migranti, quali sono le fratture e i processi storici in corso? “Le muraglie della Fortezza sono sempre meno fisiche ma legali. In realtà, oggi, una vera guerra è in corso contro i migranti, con suoi fronti, i suoi campi, le sue deportazioni. Ma con la politica di esternalizzazione delle frontiere, quei maltrattamenti sono allontanati dallo sguardo dei cittadini europei. L’Occidente ha reso l’emigrazione, una prassi dagli albori dell’umanità, un crimine: rinchiude su base discriminatoria richiedenti asilo e migranti per necessità economiche, dentro centri chiusi, isolati dal resto della società”. Dopo quest’esperienza diretta della disumanizzazione che il suo film racconta, pensa come scriveva Michel Bounan nel “La vie innommable”, che stiamo assistendo in modo passivo all’olocausto prossimo? “È molto difficile interpretare il presente quando si vive nell’occhio del ciclone. Non credo che l’Europa di oggi sia capace di riprodurre l’eliminazione sistematica messa in opera dal nazismo con la Shoah. Non credo nemmeno sia lecito e non mi avventurerei in nessun paragone storico in materia. Mi limito, però, a cogliere che la rappresentazione attuale della popolazione migrante in Europa, per certi versi, testimoni di una meccanica intrinsecamente similare. In Svizzera, malgrado il tasso di disoccupazione sia bassissimo, il partito di destra dell’Udc che raccoglie il più grande numero di voti nei suffragi popolari, svolge una propaganda anti-migranti nello stesso stile di quella antisemita degli anni Trenta. Basta guardare i manifesti dove gli stranieri sono rappresentati come animali (corvi, pecore e ratti). Credo quindi che la questione non sia se esiste il rischio oggi di una politica eliminazionista, ma di interrogarsi sul fatto che rinchiudere queste persone, senza che abbiano commesso alcun reato, evidenzi già una discriminazione su base razziale. Senza contare le decine di sparizioni nei campi esternalizzati dell’Europa, di cui non si sa pressoché nulla”. India: italiani condannati all’ergastolo, la Corte Suprema ammette ricorso contro sentenza Ansa, 4 febbraio 2013 La Corte Suprema indiana ha giudicato oggi “ammissibile” il ricorso contro la condanna all’ergastolo presentato dai famigliari di Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni, rinchiusi da tre anni nel carcere indiano di Varanasi con l’accusa di aver ucciso un loro compagno di viaggio, Francesco Montis. Lo ha appreso oggi l’Ansa da fonte diplomatica a New Delhi. Il massimo tribunale indiano ha fissato l’esame del merito per il tre settembre 2013. Il ricorso contro la condanna confermata in secondo grado dall’Alta Corte di Allahabad contro Bruno (di Albenga) e Boncompagni (di Torino) era stato presentato il tre gennaio scorso dall’avvocato Mukul Rohatgi, considerato uno dei 10 avvocati più esperti dell’India per questo tipo di procedure. I genitori dei due giovani, che da tempo si stanno adoperando per trovare una via d’uscita alla vicenda credendo fermamente nell’innocenza dei loro figli, hanno visitato più volte il carcere di Varanasi ed avuto contatto con l’ambasciata d’Italia che li assiste in questo loro sforzo. Gran Bretagna: cibo con tracce di maiale ai detenuti islamici, scoppia scandalo Ansa, 4 febbraio 2013 Trovate tracce di maiale nella carne proposta ai detenuti islamici: scoppia lo scandalo in Inghilterra. scoprine di più su Sapori e Ricette. In Inghilterra sembra non esserci pace per i consumatori: se qualche giorno fa avevamo parlato degli hamburger di manzo che avevano al proprio interno la carne di cavallo, ecco che oggi scoppia un'altra bomba che ha sconvolto l'opinione pubblica internazionale. In alcuni cibi destinati ad alcuni detenuti dei carceri inglesi, infatti, sono state trovate delle tracce della carne di maiale anche all'interno dei cibi destinati appositamente agli ospiti degli istituti di detenzione di religione musulmana. Così come la carne di cavallo negli hamburger di manzo non comprometteva in alcun modo la salute dei consumatori, anche questi cibi non possono essere considerati come un'affronto al benessere di chi li mangia. Diventa, quindi, una questione di principio: se, infatti, i musulmani non mangiano per scelta la carne di maiale per un fattore religioso, non è comunque giusto che siano costretti a mangiarla a causa di "distrazioni" da parte di chi produce questi alimenti. A diffondere questa notizia è stato il sito della Bbc, che ha messo in luce come l'Islam proibisca ai propri fedeli il consumo di carne di maiale e derivati: è per questo che, generalmente, ai musulmani viene proposto un menù con cibi halal creato ad hoc. A esprimere tutto il proprio rammarico è stata Juliet Lyon, la direttrice del Prison Reform Trust Charity che ha commentato così l'accaduto: "Per i detenuti questo errore ha offeso e messo sotto pressione un alto numero di prigionieri islamici e le loro famiglie: così, chiedere scusa, fermare il fornitore e compiere un'indagine sono i passi più corretti da seguire". Un fatto piuttosto increscioso che, attualmente, sta facendo perdere moltissimi punti ai produttori di alimenti a base di carne in Inghilterra. Non si tratta tanto di una questione di salute, visto che è stato accertato come questa non venga assolutamente compromessa, quanto piuttosto il significato che una persona dà al cibo: è un po' come essere vegetariani perché si è contro la violenza sugli animali e poi scoprire che nel cous cous cruelty free sono presenti tracce di carne. Kuwait: insultò emiro su twitter, condannato a 5 anni carcere Aki, 4 febbraio 2013 Un tribunale kuwaitiano ha condannato un uomo a cinque anni di carcere per avere insultato l’emiro Sheikh Sabah al-Ahmad al-Sabah su Twitter. Lo hanno riferito i siti d’informazione ‘al-Raì e ‘alaan.com’, secondo cui quella comminata a Mohammad Eid al-Ajmi è la pena massima prevista dalla legge. In Kuwait già nei mesi scorsi erano stati puniti con il carcere diversi altri utenti di Twitter per i loro commenti sull’emiro, definito dalla costituzione figura “immune e inviolabile”. Poche settimane fa, avevano suscitato scalpore le condanne inflitte ad altri due giovani cittadini kuwaitiani, Ayyad al-Harbi e Rashed al-Enezi. Diverse organizzazioni per i diritti umani hanno criticato le autorità del paese del Golfo per la stretta su internet. La stessa Amnesty International a novembre ha denunciato l’aumento delle restrizioni alla libertà di espressione nell’emirato.