Giustizia: ministro Severino; il prossimo governo dovrà affrontare il dramma delle carceri La Sicilia, 28 febbraio 2013 Luci ed ombre nelle carceri siciliane. Lo ammette lo stesso ministro della Giustizia Paola Severino, ieri nell’Isola per un tour “in diretta” negli istituti penitenziari. “Il sovraffollamento - spiega, incontrando i giornalisti nella casa circondariale Pagliarelli di Palermo - è una delle ombre in Sicilia come nel resto d’Italia. Per questo motivo confido che il nuovo Parlamento, che sarà composto da molti giovani e molte donne, dimostri sensibilità nei confronti del mondo carcerario e dei problemi dei detenuti, affrontando, ad esempio, l’argomento delle misure alternative alla detenzione. L’obiettivo è la deflazione carceraria. Ma ho trovato anche tante luci come qui al Pagliarelli, dove ho visto detenuti al lavoro grazie a progetti regionali finanziati con fondi Ue. Quanto all’Ucciardone non è l’inferno dipinto da molti. È un carcere vecchio ma in un buono stato di manutenzione svolta dai detenuti stessi. Nelle biblioteche ci sono volontari che mi hanno riferito cose straordinarie. Ad esempio, che i libri più richiesti e letti dai detenuti sono quelli di poesie”. Altro tema delicato è il lavoro e la formazione dei detenuti. “Su questo fronte - dice il ministro - bisogna continuare a lavorare. Faticosamente siamo riusciti a farci finanziare 16 milioni di euro. Quindi la formazione ed il lavoro dei detenuti sono sovvenzionati. Occorre però che le imprese e le cooperative lo sappiano. Finora in Sicilia nessuna impresa ha fatto richiesta. Bisogna comprendere che occorre dare per ricevere, se vogliamo abbattere la barriera che c’è tra carceri e società”. Ecco perché “ho chiesto al sindaco di Palermo di incrementare l’uso dei detenuti per i lavori socialmente utili al servizio della città. Ho trovato grande disponibilità in Orlando. È un’esperienza che ha avuto ottimi risultati in molti Comuni”. In ogni caso, il sovraffollamento “resta la grande ombra di tutte le carceri italiane. Le misure alternative alla detenzione e la depenalizzazione - insiste il Guardasigilli - sono le strade principali per risolvere il problema. Durante la mia esperienza ministeriale, ho istituito una commissione di studio che ha elaborato un progetto di misure alternative che metto a disposizione del mondo politico. Il sovraffollamento è un profilo che nessun carcere in Italia potrà reggere, perché se c’è un 10% - 20% in più di detenuti rispetto alla capienza, ogni carcere sarà una realtà emergenziale, intollerabile dal punto di vista sociale. Il primo obiettivo - aggiunge - è ottenere nuovi posti con l’edilizia carceraria ed in secondo luogo comprendere che il carcere è l’”estrema ratio”, l’ultima spiaggia e che tutti i mezzi alternativi alla detenzione devono essere percorsi. Il nuovo Parlamento si dovrà far carico del completamento del progetti di misure alternative alla detenzione e di deflazione carceraria attraverso interventi strutturali che ci chiede l’Europa. Noi abbiamo iniziato con il decreto “Salva carceri” e con alcune misure per l’edilizia carceraria. Avremmo voluto continuare ma confidiamo lo faccia il nuovo Parlamento. Intanto, con il decreto del 5 dicembre scorso, abbiamo varato la Carta dei diritti doveri dei detenuti e degli internati. Un volumetto che sarà tradotto nelle lingue di tutti i detenuti delle carceri italiane”. Carceri ed elezioni. Appena il 5% dei detenuti ha votato. “Gli italiani - sostiene il Guardasigilli - nel voto hanno espresso la loro scarsa fiducia nella politica tradizionale e la stessa cosa è avvenuta col voto nelle carceri, tenendo conto il 50% dei detenuti sono stranieri e quindi non hanno votato. Comunque, questo voto è significativo. I cittadini hanno protestato e manifestato il loro dissenso attraverso forme di democrazia parlamentare. I risultati delle elezioni sono come le sentenze: vanno rispettati. Ora mi auguro che si passi dalla protesta alla governabilità”. Sul piano personale, “non immagino un mio impegno futuro in politica. Infatti - conclude il ministro - non mi sono candidata”. Giustizia: quante volte abbiamo scritto dell’inciviltà delle carceri… troppe volte di Maurizio Costanzo Il Messaggero, 28 febbraio 2013 L’Unione Europea ha fatto più di un intervento in tal senso, ma lo Stato italiano sembra refrattario all’argomento. Lo Stato italiano non affronta il problema del sovraffollamento delle carceri. Lo stanno affrontando, sempre più frequentemente, i carcerati che stanno infatti evadendo. Gli ultimi tre da Varese, ma nei giorni passati ne sono evasi anche altri. Il nuovo governo si dovrà far carico della inciviltà di carceri sovraffollate e invivibili, lo abbiamo scritto molte volte. Anche troppe, a dir la verità. Giustizia: la vista a Rebibbia con Papa Benedetto XVI e quella luce sul volto dei detenuti di Paola Severino Il Messaggero, 28 febbraio 2013 Ho avuto la fortuna di incontrare Papa Benedetto XVI all’inizio del mio mandato di Ministro della Giustizia e quell’incontro ha segnato profondamente il cammino che ho percorso nei mesi successivi e che continuerò a percorrere fino al termine del mio incarico. Tutti coloro che erano a Rebibbia quel giorno di dicembre non potranno mai dimenticare le profonde sensazioni che hanno accompagnato quella visita, e tutti coloro che hanno seguito l’evento attraverso i media ancora mi chiedono: ma se ci siamo tanto commossi vedendo e ascoltando ciò che accadeva nella chiesa del carcere, cosa avete provato voi che eravate immersi in quella folla di persone sofferenti, ma al tempo stesso fiduciose? Non è facile dare una risposta che non appaia retorica, ma credo sia doveroso farlo - proprio nel giorno della rinuncia - per sottolineare il profilo di un Papa che a molti è apparso più nella sua veste di teologo che in quella di Pastore di anime. Eravamo circondati da persone imputate o condannate per gravi delitti, ma non ce ne accorgevamo; eravamo insieme a delinquenti a volte pericolosi, ma non ci siamo mai sentiti in pericolo; eravamo tra persone semplici, ma che hanno saputo esprimere il loro dolore e le loro speranze con la maturità di chi ha costruito la propria cultura all’interno di una cella; eravamo con un Professore di teologia che ha saputo rispondere, senza alcuna regìa predisposta in anticipo, alle domande dei detenuti, con un linguaggio comprensibile a tutti e capace di dare sollievo ai tanti che gli chiedevano il perché di infinite sofferenze ed ingiustizie nel carcere e non solo. Difficile trattenere una commozione ed un trasporto umano che ci legava con un vincolo profondo, che per me non si è più spezzato, a quell’umanità dolente. Impossibile non percepire in un Papa che spesso è stato considerato un freddo intellettuale, il calore di un uomo che ha ben presente la necessità e la capacità di tradurre il messaggio evangelico in messaggio alla gente comune. Difficile non comprendere che quegli uomini e quelle donne che la società ha dovuto allontanare e privare della libertà non aspettavano e non aspettano altro che un segnale, un cenno, una via per essere accolti nuovamente nella società, dopo aver espiato la pena. Evidente che in quell’incontro si tracciavano due strade diverse, ma parallele: quella dell’autorità religiosa, che porta il conforto della fede; quella dell’autorità laica, che porta il conforto della legalità. In entrambe, il forte convincimento che redenzione da una parte e risocializzazione dall’altra rappresentano l’unica strada per allontanare le possibilità di ricaduta nel reato e per ridurla a quelle percentuali minime che gli studi più recenti hanno evidenziato. Più volte, dopo quell’incontro, ho pensato al singolare parallelismo tra ciò che ho visto in quel luogo fremente di emozioni e sentimenti e ciò che è raffigurato sulle pareti della fredda e rigorosa stanza di via Arenula, destinata ad ufficio del Ministro della Giustizia. L’incontro tra Stato e Chiesa che fu dipinto in occasione dei Patti Lateranensi, con i toni epici e celebrativi tipici di quell’epoca, comparato al nostro incontro nel carcere, che si sviluppava con i toni semplici e sinceri di chi sta parlando anche con il cuore. In entrambe le rappresentazioni, pur così diverse, si intravedeva però un percorso molto convergente, tra lo Stato che si prende cura dei bisogni del detenuto, cercando di rieducarlo, e la Chiesa che ne supporta lo spirito cercando di allontanarlo dalla strada del peccato. Non a caso, nel discorso del Papa, si è fatto più volte riferimento al nostro Governo e si sono fusi in un unico contesto concetti laici e religiosi, come quelli di “aiutare a ritrovare se stessi, nella riconciliazione con se stessi, con gli altri, con Dio, per rientrare di nuovo nella società e aiutare nei progresso della società”. In questo contesto, non c’era spazio per interventi aulici o celebrativi. La scelta, da parte mia, di non pronunciare un discorso ufficiale, ma di leggere la lettera del “mio primo detenuto”, ritrovata in una tasca proprio nel giorno in cui mi accingevo a scrivere il testo, mi è sembrata così naturale ed è stata così profondamente compresa e condivisa, da farmi pensare che si trattasse dell’unica strada per comunicare in maniera diretta i sentimenti e le emozioni che accomunavano noi tutti. Ancor più diretta ed inattesa, ila scelta di Benedetto XVI di rispondere alle domande dei detenuti con concetti semplici, comprensibili a tutti, ma non per questo meno profondi, meno meditati e meno ispirati a profondi valori teologici e filosofici. Quando un detenuto del Benin gli ha chiesto “perché nel mio Paese, tra i più poveri al mondo, nonostante la fede e la passione in Gesù le persone muoiono tra povertà e violenze? Forse Dio ascolta solo i ricchi e i potenti che non hanno fede?”, mi sono chiesta a mia volta “ma c’è una risposta adeguata ad una domanda così difficile?”. E la risposta è arrivata forte, chiara, convincente, dritta al cuore e alla mente, nonostante la sua complessità teologica: in un i paese sofferente come l’Africa “ho visto gioia e allegrezza più che nei Paesi ricchi come l’Europa, dove la massa delle cose che abbiamo sempre più ci allontana dal vero senso della vita”. Oggi che questo Papa rinuncia al suo mandato, lasciandoci, come è stato scritto in un bellissimo editoriale, il ricordo di una “fragile grandezza”, mi scorrono davanti agli occhi i volti delle migliaia di detenuti che ho incontrato nei mesi successivi e la luce di speranza che compariva in tutti loro quando ricordavano la visita di Rebibbia. È per questo che proprio oggi, mentre si intensificano le polemiche e gli interrogativi sul senso della sua scelta, ho voluto ricordarlo per le sue grandi doti spirituali ed umane e per il grande conforto che ha dato ad una parte debole e sofferente dell’umanità. Giustizia: mille internati senza un tetto; Ospedali psichiatrici giudiziari, chiusura nel buio di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 28 febbraio 2013 Tra poco più di un mese dovranno chiudere gli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) ma ancora non è chiaro quale sarà il destino degli oltre mille internati ancora lì reclusi. Con la legge n. 9 del 17 febbraio del 2012 il legislatore ha previsto quale dead line per il definitivo superamento degli attuali Opg il prossimo 31 marzo 2013. La legge sommariamente prevede che gli internati siano inviati nelle loro regioni di residenza nelle quali dovrebbero essere allestite comunità a prevalente funzione medica. La sicurezza dovrebbe essere assicurata solo all’esterno. Da quando è entrata in vigore la legge è trascorso circa un anno senza che però molto accadesse. In extremis la Conferenza unificata stato - regioni nella seduta del 7 febbraio scorso ha trovato una intesa nel riparto delle risorse di parte corrente per l’anno 2013 in attuazione dell’articolo 3, comma 7, della legge n. 9 del 2012. I criteri per la distribuzione tra le Regioni sono principalmente legati alla attivazione delle strutture alternative agli ospedali psichiatrici giudiziari ma anche al rafforzamento dei servizi residenziali e ambulatoriali di salute mentale. Al fine di conseguirli le Regioni dovranno presentare appositi progetti al Ministero della salute. In epoca non di vacche grasse le Regioni hanno a disposizione complessivamente per l’anno in corso 55 milioni di euro, che dovrebbero essere ben spesi, ovvero principalmente utilizzati per progetti individuali di sostegno alla persona. La ripartizione avviene dividendo il 50% delle risorse sulla base della popolazione residente in ciascuna regione o provincia autonoma e il restante 50% sulla base dei luoghi originari di residenza delle persone internate negli attuali ospedali psichiatrici giudiziari. Va ricordato che la sanità penitenziaria dal 2008 è di competenza delle regioni e non più del ministero della Giustizia. Tra le regioni a statuto speciale solo la Sicilia non ha adottato una legislazione in materia così provocando un pericoloso vuoto di tutela. Dal combinato disposto dei due criteri sopra citati emerge che la Regione che riceverà più fondi è la Lombardia con più di 10 milioni di euro. L’ultima è la Valle d’Aosta con poco più di 100 mila euro. Va ricordato che la legge del 2012 fu emanata dopo che il Comitato europeo per la prevenzione della tortura presieduto da Mauro Palma, la Commissione del Senato sulla sanità presieduta da Ignazio Marino e infine i Nas hanno certificato le drammatiche condizioni igieniche, sanitarie e detentive degli Opg. L’indignazione arrivò sino al capo dello Stato. Negli Opg sono reclusi, tra gli altri, coloro i quali pur essendo prosciolti, in quanto non capaci di intendere e volere al momento della commissione del fatto di reato, sono ritenuti socialmente pericolosi. Molti di costoro vi permangono anche quando non più ritenuti pericolosi dalla magistratura di sorveglianza che quindi proroga i provvedimenti di permanenza in Opg quando non rileva all’esterno idonee strutture di accoglienza. Il Comitato stop - Opg da tempo lancia l’allarme che le prossime strutture regionali possano a loro volta assomigliare ai vecchi Opg in via di chiusura e preme per un cambio globale di paradigma. Giustizia: arresti domiciliari per Alessio Burtone che uccise l’infermiera romena Maricica di Augusto Parboni Il Tempo, 28 febbraio 2013 “Non è un soggetto pericoloso e non può commettere di nuovo lo stesso reato”. Quindi può tornare a casa. Alessio Burtone, il giovane che ha ucciso l’infermiera romena Maricica Hahaianu, con queste motivazioni ha lasciato il carcere ed è tornato nella sua abitazione al Tuscolano, dove resterà agli arresti domiciliari. Una decisione che è stata presa dai giudici della Corte d’assise d’appello che hanno accolto l’istanza presentata dal legale dell’imputato, l’avvocato Fabrizio Gallo, secondo il quale il suo cliente non era pericoloso e che quindi gli poteva essere concessa una misura cautelare più lieve rispetto al penitenziario. Burtone ha colpito l’infermiera Hahaianu alla fermata della stazione della metropolitana di Anagnina l’8 ottobre del 2010. Da quel giorno l’infermiera Maricica ha passato una settimana in coma, prima che il suo cuore smettesse di battere. Dopo dieci giorni il ragazzo è stato arrestato. Nel corso dei due processi sono state molte le perizie e le consulenze effettuate dal pubblico ministero, dalla difesa e anche dai giudici per stabilire le cause della morte della donna. In primo grado, era il 16 marzo del 2012, Alessio Burtone è stato condannato a nove anni di reclusione anche se il sostituto procuratore al termine della requisitoria aveva chiesto alla Corte d’assise di infliggere 20 anni di galera contro il giovane per omicidio preterintenzionale aggravato. Passati nove mesi, ecco la sentenza di secondo grado, che ha abbassato la pena di un anno. “Siamo sorpresi da questa decisione dovuta anche a una condanna molto bassa per Alessio Burtone”, ha detto l’avvocato Alessandro Di Giovanni, difensore di parte civile nel processo nei confronti del giovane accusato di aver provocato la morte dell’infermiera. Il penalista ripete che i parenti della vittima volevano che Burtone scontasse fino all’ultimo giorno la sua pena. “Il marito però fin dalla sentenza di primo grado si è rassegnato di fronte alla nostra giustizia, soprattutto alla luce di una pena così bassa”. “Da quando mia moglie è morta, non lavoro più per stare accanto al bambino. Non ho un soldo e non posso permettermi di comprargli neppure un giocattolo”, aveva detto Adrian, marito di Maricica Haiaianu. E ancora: “Mia moglie faceva l’infermiera - aveva spiegato ai giudici della I Corte d’assise - lo faceva con passione, amava stare al servizio di chi aveva bisogno, e portava a casa almeno 1700 euro. Lavoravo come fabbro ma ora sono disoccupato”. “Esprimo soddisfazione per la decisione della Corte - ha detto il difensore di Burtone, l’avvocato Fabrizio Gallo - il mio cliente è stato stabilito che non è una persona pericolosa e che non può neanche reiterare il reato. È anche incensurato e credo che pure questo aspetto abbia convinto i giudici della Corte d’assise d’appello ha emettere questa decisione”. Liguria: “Una mano amica, oltre le sbarre”, il 2 marzo torna raccolta per aiutare detenuti Secolo XIX, 28 febbraio 2013 Sono tanti i problemi che ogni giorno affrontano i detenuti delle carceri genovesi e liguri. Proprio per questo il Centro Sportivo Italiano, Caritas, Azione Cattolica, Comunità di Sant’Egidio, San Vincenzo de Paoli, Federazione Operaia Cattolica Ligure e Veneranda Compagnia di Misericordia hanno dato via al progetto “Una mano amica, oltre le sbarre”, ovvero una raccolta benefica a favore dei detenuti delle carceri liguri, in collaborazione con le principali Coop della regione. “L’iniziativa si svolgerà sabato 2 marzo presso alcune delle principali Coop della Liguria, coordinata dalle principali associazioni di volontariato cattoliche e in collaborazione con le parrocchie - spiega Enrico Carmagnani, presidente del Centro Sportivo Italiano di Genova - Andremo a raccogliere prodotti per l’igiene personale e per l’igiene in generale, cioè quelli che non vengono passati dall’amministrazione carceraria. A tutte le persone con cui entreremo in contatto verrà consegnato il volantino con i prodotti da raccogliere per creare i kit che verranno consegnati ai detenuti tramite i cappellani delle varie carceri”. L’anno scorso è stato raggiunto un ottimo risultato. “Abbiamo raccolto migliaia di prodotti, riuscendo a consegnare un kit a tutti i carcerati della Liguria. Questo grazie alla grande presenza delle associazioni del territorio e una forte gioco di squadra - conclude Carmagnani. Il materiale in più verrà gestito dai cappellani e consegnato ai nuovi entrati, che purtroppo sono sempre molti”. Busto Arsizio: la Casa circondariale scoppia di nuovo, i detenuti oltre quota 400 di Rosella Formenti Il Giorno, 28 febbraio 2013 Di nuovo oltre la soglia dei 400 i detenuti la Casa circondariale bustese che da anni soffre di sovraffollamento. Negli ultimi tempi la struttura carceraria in via per Cassano è finita al centro dell’attenzione prima per la condanna della Corte europea dei diritti umani arrivata all’Italia per le condizioni dei detenuti in celle sovraffollate, poi per alcuni personaggi noti, finiti dietro le sbarre. Spenti i riflettori mediatici che si erano accesi sui detenuti famosi, la casa circondariale bustese si ritrova con i problemi che la riguardano da tempo, a cominciare dal sovraffollamento. Situazione difficile che tuttavia e per fortuna non impedisce di promuovere all’interno esperienze di lavoro importanti, come la cioccolateria e la panetteria, avviata con successo pochi mesi fa e già “affamata” di nuovi spazi per potenziare la produzione. Intanto sono di nuovo aumentati i carcerati. “Eravamo scesi a 380 - spiega il direttore Orazio Sorrentini - ora siamo di nuovo a 409 detenuti, a fronte di una capacità di 167 posti”. La maggior parte dei carcerati sono stranieri, oltre 60%, effetto della presenza di Malpensa. Due anni fa sembrava essere vicina la soluzione del grave problema del sovraffollamento grazie al protocollo d’intesa che l’allora Ministro della Giustizia Angelino Alfano aveva firmato con il Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. Era il mese di marzo 2011: l’intesa prevedeva interventi a Opera, Bergamo e Busto Arsizio. Per il carcere bustese si trattava di realizzare una nuova struttura con una capacità di 200 posti (costo 11 milioni di euro). La città di Busto Arsizio aveva addirittura ricevuto un encomio dal Ministero e dalla Regione per la tempestività con cui aveva dato la disponibilità all’ampliamento, segno di attenzione ai problemi della realtà carceraria. Invece quel piano è rimasto sulla carta, messo “nel cassetto” dai tagli decisi dal Governo Monti. Ma il sindaco Gigi Farioli è pronto a sollecitare i nuovi eletti in Parlamento affinché riconsiderino il progetto di ampliamento per il carcere bustese. Martedì 5 marzo sarà visitato dalla Commissione consiliare dei Servizi sociali del comune di Busto Arsizio, che di recente ha avviato in collaborazione con la casa circondariale un progetto di inserimento lavorativo per due detenuti. “Siamo pronti e siamo lieti per la visita della commissione consiliare - dice il direttore Sorrentini - è uno dei segnali importanti di attenzione da parte dell’istituzione”. Salerno: i familiari di Carmine Tedesco; è nostro diritto sapere perché è morto in carcere di Barbara Cangiano La Città di Salerno, 28 febbraio 2013 Sono passati più di tre mesi dalla morte di Carmine Tedesco, il detenuto 58enne deceduto al “Ruggi” per cause ancora da accertare. “Non sappiamo cosa sia emerso dall’autopsia, né se, come crediamo, vi siano delle responsabilità a carico di persone che non hanno curato nel migliore dei modi mio marito. Vogliamo conoscere la verità, pretendiamo che venga fatta giustizia”. Anna Sammartino, insieme ai suoi tre figli, è distrutta dal dolore e non sa darsi pace per quella che ritiene “una morte inspiegabile” e affinché la Procura faccia luce sulla scomparsa del detenuto, tramite l’avvocato Maurizio De Feo, ha sporto denuncia “per accertare le cause che hanno prodotto tale decesso ed eventuali responsabilità a carico di operatori carcerari e/o sanitari che con le loro opere e/o omissioni hanno prodotto o contribuito a produrre il verificarsi di tale evento doloroso”. Tedesco, residente a Montecorvino Rovella, era arrivato a Fuorni a marzo: avrebbe dovuto essere scarcerato il 29 dicembre. “Era affetto da una forma di diabete mellito ed assumeva, come unico farmaco, tre pillole di Glibonet al giorno - racconta la moglie - Doveva seguire una dieta specifica e tenere sotto controllo la glicemia, per il resto non aveva altre patologie”. Ma le sue condizioni di salute iniziano a vacillare pochi giorni dopo il trasferimento nella casa circondariale: “Lamentava che il valore del diabete non scendeva al di sotto dei 300 e che pur rivendicando di poter assumere il Glibonet, gli venivano somministrati altri farmaci, i quali non solo non abbattevano il valore glicemico, ma gli causavano spossatezza, collassi, mal di testa e tremori”. Tra agosto e settembre Tedesco chiese di poter essere visitato dal suo medico di fiducia, il diabetologo Gennaro Bottiglieri, ma non gli fu consentito. L’8 novembre, nel corso del consueto colloquio del giovedì, confessò alla moglie di avere delle piaghe sul corpo e di sospettare che fossero l’effetto di una terapia farmacologica non idonea. La situazione peggiora e il 12 novembre una telefonata dal carcere informa i familiari che il 58enne è stato trasferito al “Ruggi” per accertamenti. Moglie e figli tentano di contattare fino a sera la casa circondariale per avere notizie: ma è un buco nell’acqua, “perché ad ogni telefonata ci veniva detto, anche in malo modo, di richiamare più tardi”. Alle 19 un operatore riferisce che Tedesco era stato ricoverato per essere sottoposto ad un controllo: la moglie chiede se è possibile recarsi al “Ruggi” per fargli visita ed accertarsi di persona delle sue condizioni di salute, ma le viene ribadito che è necessario attendere il giovedì, giorno del colloquio. Sono le 20 del 13 novembre, quando, non avendo avuto risposte, Anna Sammartino e suo figlio Gianpiero provano a telefonare in ospedale, dove un infermiere invita a richiamare il giorno successivo per parlare con il medico di guardia. Poco prima delle nove del mattino del 14, però, dal “Ruggi” fanno sapere che Tedesco è deceduto nella notte. Il magistrato di turno dispone l’autopsia, che verrà effettuata dal medico legale Giovanni Zotti. “Da quel momento non abbiamo saputo più nulla, né come mio marito è morto, nè se avrebbe potuto salvarsi, ecco perché abbiamo sporto denuncia”. Del caso è stata interessata anche la deputata dei Radicali Rita Bernardini, “nella speranza che possa aiutarci a fare chiarezza”. Livorno: 4mila le visite specialistiche nelle carceri, l’offerta sanitaria oltre ogni barriera www.ognisette.it, 28 febbraio 2013 Nel 2012 oltre 4mila le visite specialistiche nelle carceri della Provincia. Calamai: “Il cittadino, ovunque si trovi, al centro della nostro servizio”. Cantone (Provveditore regionale amm.ne penitenziaria): “Esempio da imitare” È stato presentato per la prima volta questa mattina con la partecipazione del Provveditore dell’amministrazione penitenziaria della Toscana, Carmelo Cantone, il nuovo progetto di telemedicina che permette di collegare la struttura di reclusione elbana di Porto Azzurro con la Dermatologia dell’ospedale di Livorno. Il reparto, in particolare, grazie al nuovo collegamento può acquisire in tempo reale immagini ad alta risoluzione di presunti melanomi o altre lesioni o infezioni cutanee e refertarle a distanza senza ricorrere a spostamenti di professionisti o di detenuti. “Il progetto - spiega Monica Calamai, direttore generale dell’Azienda USL 6 di Livorno - è il primo passo di una serie di servizi che potranno essere estesi con questo modalità al di là delle mura del carcere e prende spunto dalla volontà di assicurare a tutti i cittadini del nostro territorio, ovunque si trovino, uguali opportunità assistenziali. Offrire questo in strutture particolari come le carceri è sicuramente una sfida impegnativa, ma siamo convinti che la telemedicina possa garantire pari dignità non solo ai detenuti malati, ma anche al lavoro svolto dai nostri operatori all’interno degli istituti ponendo il cittadino, ovunque si trovi, al centro della nostro servizio”. Il progetto permette di accedere facilmente a risorse altamente specializzate, riducendo i tempi di attesa e, in prospettiva, permettendo di estendere la copertura medica ad aree e luoghi disagiati. “Grazie agli sforzi tecnologici e non solo compiuti dall’Azienda in tema di telemedicina e di sanità insulare, dove un ruolo primario è svolto anche dalla sanità penitenziaria - dice Andrea Belardinelli, responsabile dell’Area programmazione e innovazione dell’Azienda Usl 6 - i cittadini reclusi hanno opportunità sanitarie sempre più simili a quelle di tutti gli altri. Per assicurare questo abbiamo deciso di considerare gli ambulatori all’interno delle carceri come nostri presidi sanitari a tutti gli effetti dotandoli del necessario a partire dalle infrastrutture come la banda larga che ci permette di far entrare e uscire rapidamente grandi quantità di dati. Da oggi all’interno del carcere si potranno così creare cartelle cliniche informatizzate e consultarle come da un altro punto dell’Azienda. Questo permette non solo di potersi avvalere in ogni momento dell’apporto professionale di qualsiasi nostro operatore, ma anche di seguire i percorsi clinici dei pazienti che, nei casi dei detenuti, sono generalmente ancora più difficili da costruire e mantenere”. L’assistenza sanitaria in carcere dal 2008 costituisce un importante capitolo delle attività offerte dalle Aziende sanitarie che hanno assunto la titolarità della medicina penitenziaria, prima in carico al Ministero di Giustizia. Sono state oltre quattromila le viste specialistiche assicurate dall’Azienda Usl 6 nel 2012 all’interno delle strutture penitenziarie presenti sul territorio (Sughere, Gorgona, Porto Azzurro e Pianosa) delle quali circa 400 dermatologiche. “Si tratta di un risultato estremamente positivo - ricorda Maria Gloria Marinari, responsabile della Sanità carceraria per l’Azienda USL 6 - soprattutto se tenuto conto delle grandi e inevitabili difficoltà incontrate nell’offrire assistenza sanitaria all’interno di case reclusione dove risulta complesso tanto far entrare i nostri professionisti quanto uscire i detenuti. Le visite specialistiche ammontano, per la precisione a 1.931 a Livorno, 60 in Gorgona e addirittura 2.320 a Porto Azzurro, la realtà carceraria del territorio con il numero maggior di detenuti, circa 500. Di queste la parte preponderante è costituita da visite dermatologiche, in considerazione dell’alto numero di malattie della pelle riscontrate all’interno del carcere. Proprio in considerazione di questo il progetto di telemedicina dell’Azienda USL 6 è partito dalle refertazioni a distanza della Dermatologia, ma a breve sarà esteso ad altri servizi come la tele refertazione degli elettrocardiogrammi”. Il funzionamento è semplice e immediato: il medico del servizio di medicina carceraria acquisisce le immagini con una videocamera digitale a disposizione all’interno del carcere. “A quel punto - assicura Giovanni Bagnoni, direttore della Dermatologia dell’Azienda Usl 6 di Livorno - sarà lo specialista presente in reparto a occuparsi della diagnosi e dell’eventuale terapia. Il servizio, infatti, offre anche indicazioni sul percorso da intraprendere e sulla data di successivi controlli. In più, se l’analisi individua una situazione da approfondire, si ha la possibilità di accedere rapidamente a visite specialistiche dirette. L’esame eseguito in questo modo è assolutamente paragonabile in termini di qualità ed accuratezza a un visita fatta di persona”. La novità è stata salutata con vivo apprezzamento anche da parte di Carmelo Cantone, Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria in Toscana. “L’aspetto e la cura della sanità all’interno di un carcere - dice Cantone - è sicuramente uno degli aspetti strategici per la gestione di una realtà complessa come quella penitenziaria. Evoluzione innovative come quella presentata dall’Azienda Usl 6 sono sicuramente esempi da imitare oltre che una valida conferma della scelta compiuta qualche anno fa di demandare tale gestione alle aziende sanitarie locali”. Varese: Marsico (Pdl); siamo in emergenza, il ministero sblocchi le risorse per le carceri InInsubria, 28 febbraio 2013 Luca Marsico, vicepresidente della Provincia e neoconsigliere regionale proporrà al Pirellone un ordine del giorno sui problemi di sicurezza e sovraffollamento. “La questione carceri nel Varesotto ha criticità e situazioni di stallo ormai intollerabili che vanno affrontate e risolte”. Non perde tempo Luca Marsico, vicepresidente della Provincia di Varese e neoconsigliere alla Regione Lombardia per il Pdl che ha fissato uno dei primi punti di cui si farà portavoce al Pirellone: quello dell’emergenza carceri nel Varesotto. “È un problema di sicurezza delle strutture ma è anche un problema di dignità dei detenuti - spiega - . Come neoconsigliere alla Regione Lombardia mi farò interprete presso il presidente della Regione, attraverso un ordine del giorno che presenterò in Consiglio, al fine di sollecitare il ministero di Giustizia a intervenire nelle questioni ancora irrisolte che vanno dai problemi di fatiscenza del carcere dei Miogni al sovraffollamento dell’istituto penitenziario di Busto Arsizio, una struttura che è al 240% della propria capienza per cui è arrivata recentemente la condanna della Corte dei diritti umani di Strasburgo”. Una situazione di cui si parla da tempo, considerato che la prevista nuova struttura carceraria a Varese continua a non vedere la luce a causa della mancanza di fondi che dovrebbero venire erogati dal ministero di Giustizia. E nel frattempo la casa circondariale dei Miogni lamenta condizioni indecorose che ne richiedono la messa in sicurezza, come dimostrano anche i recenti casi di evasione avvenuti la scorsa settimana. “A Busto Arsizio, poi - aggiunge Marsico - , il personale penitenziario è sottodimensionato e la popolazione carceraria è ampiamente oltre il consentito con 393 detenuti per 167 posti a disposizione. L’Italia è il Paese con le carceri più sovraffollate dell’Unione europea - conclude Marsico - . In totale i detenuti negli istituti italiani sono 66.685 contro una capienza di 46.795. E il Varesotto purtroppo paga questa criticità a causa della collocazione geografica, come crocevia, e per la presenza di Malpensa”. Un argomento spinoso e di attualità che dovrà essere finalmente affrontato. Reggio Emilia: Garante regionale Desi Bruno; difficile chiusura dell’Opg entro il 31 marzo Redattore Sociale, 28 febbraio 2013 Visita della garante alla casa circondariale, dove il sovraffollamento è la criticità principale (253 detenuti su una capienza di 132), e all’Opg dove si trovano 222 internati. Bruno (garante): “La sofferenza dei pazienti è palpabile”. Sovraffollamento e infiltrazioni di acqua dal soffitto in alcune sezioni e in cucina. Sono i problemi riscontrati dalla garante regionale dei diritti dei detenuti Desi Bruno durante la visita nella casa circondariale di Reggio Emilia. Nel carcere sono presenti 253 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 132 (151 i condannati in via definitiva, fra cui 6 donne, e 102 quelli in attesa di giudizio). La visita della garante ha interessato anche l’Ospedale psichiatrico giudiziario dove gli internati sono 222 di cui solo 53 residenti in regione. Dal prossimo 31 marzo gli Opg, e quindi anche quello di Reggio, devono essere chiusi e sostituiti dalle Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria gestite dalle Asl ma avverte Bruno, “molto difficilmente questa scadenza potrà essere rispettata”. Carcere. Le recenti nevicati hanno aggravato le infiltrazioni di acqua dal soffitto tanto da rendersi necessaria la chisura di 19 celle per inagibilità, con il conseguente spostamento dei detenuti in spazi già occupati. Una misura che impedirà di togliere dalle celle il terzo letto come invece si proponeva di fare la direzione. Servirebbero invece interventi strutturali al tetto e all’impianto di riscaldamento ma lo stanziamento di 1 milione e cinquantaseimila euro previsto dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria potrà garantire solo un terzo dei lavori necessari. Inoltre, aggiunge la garante, “i termosifoni sono appena tiepidi e in alcune celle non funzionano proprio. Nei corridoi occorre tenere spesso le finestre aperte per far circolare l’aria satura di fumo di sigaretta. Se i termosifoni funzionassero correttamente, la situazione sarebbe tuto sommato sotto controllo. Ma così la dispersione termica è notevolissima”. Opg. Su 222 internati sono 166 quelli realmente presenti (7 erano assenti perché in licenza e 49 in licenza di esperimento finale). La struttura è divisa in 3 piani con regimi differenziati a seconda del grado di compensazione del paziente. Chi ha una buona attitudine alla vita di comunità è nei reparti sanitarizzati a regime attenuato con celle aperte dalle 8 alle 20 e assistito esclusivamente da personale sanitario e in cui il personale di polizia penitenziaria interviene solo in caso di emergenza, su chiamata. Per le persone che non presentano attitudine alla vita di comunità, è invece presente un’apposita sezione (la “Centauro”) nella quale le celle sono prevalentemente chiuse. Su 6 sezioni 1 è chiusa per infiltrazioni di acqua dal tetto e notevoli sono le problematiche igienico - sanitarie dell’intera struttura, già segnalate dalla Asl. Qualcosa è stato fatto (in una sezione i lavori per il rifacimento delle docce sono stati svolti in economia dai detenuti impegnati nella manutenzione dell’istituto), ma permangono molteplici criticità. Al 31 marzo la questione Opg dovrebbe passare nelle mani delle Regioni che dovranno farsi trovare pronte con le strutture gestite da personale sanitario. Anche se sarà difficile rispettare la scadenza, “la chiusura nei termini dell’Opg potrebbe consentire di recuperare spazio per i detenuti della Casa circondariale, contribuendo a risolvere la situazione di sovraffollamento. Visitare un Opg - conclude - è sempre un’esperienza emotivamente complessa. La sofferenza dei pazienti è palpabile”. Brescia: detenuto con la tubercolosi, scatta il ricovero e la profilassi su reclusi e personale di Marco Toresini Corriere della Sera, 28 febbraio 2013 Tante volte i sospetti e i timori della vigilia si erano fortunatamente sciolti davanti ad un accertamento clinico con esito negativo, ad un test di Mantoux che non dava segni di positività. Questa volta non è andata così bene e l’ultimo accertamento (l’esame dell’escreato) disposto dai medici ha decretato, senza ombra di dubbio, la diagnosi: tubercolosi. Detto di un detenuto del carcere di Canton Mombello ha l’urgenza dell’allarme rosso, del rischio epidemia in un ambiente dove vivono 500 reclusi in un posto che ne tollera la metà. Subito è scattato il ricovero dell’uomo, un italiano di 42 anni, in cella da metà gennaio, nel reparto infettivi dell’Ospedale civile di Brescia dove, in isolamento, è iniziata la terapia antibiotica del caso. È il primo episodio di Tubercolosi che la direttrice Francesca Gioieni si trova ad affrontare dal suo arrivo in terra bresciana, in quello che tutta Italia considera un carcere di frontiera, il più sovraffollato della Penisola. “Appena abbiamo avuto il responso delle analisi - conferma la direttrice Francesca Gioieni - è stato disposto il ricovero in ospedale del detenuto e con la collaborazione dell’Asl è scattata la profilassi. Quando i detenuti vengono accolti nella struttura sono sottoposti ad una serie di accertamenti per valutarne lo stato di salute e quando nascono sospetti dell’esistenza di patologie infettive vengono fatti gli accertamenti del caso. Fino ad ora tutti i sospetti di Tbc che avevamo sui detenuti si erano sempre rivelati negativi, questa volta no e dobbiamo far fronte ad una situazione che, in una struttura sovraffollata come Canton Mombello, richiede molta tempestività”. Il detenuto era in cella con altre otto persone, subito sottoposte al test di Mantoux (la vecchia prova della “tubercolina” che anni fa agitava l’infanzia di molti) e alla profilassi prevista dai protocolli. Stesso trattamento per il personale di polizia penitenziaria e per gli altri carcerati che sono venuti a contatto negli spazi di socializzazione con il malato, che, non appena ha dato segni di sofferenza, è stato sottoposto a tutti gli accertamenti del caso (all’interno del carcere esiste una sezione clinica gestita dall’Ospedale civile di Brescia). Il caso di Tbc a Canton Mombello ha messo in allarme le autorità sanitarie, anche perché in una struttura a questi livelli di sovraffollamento (per denunciare il quale esistono 400 ricorsi pendenti davanti alla Corte Europea) una malattia infettiva potrebbe avere effetti epidemiologici incontrollabili. La casa circondariale, dopo un progressivo svuotamento avvenuto alcuni mesi fa, è tornata ai livelli degli anni più critici. Mentre le promesse di un dimezzamento degli ospiti con il trasferimento di circa 200 detenuti nel carcere ristrutturato e ampliato di Cremona è per ora lettera morta. Se ne parlò a dicembre. Oltre due mesi - e un caso di tubercolosi - fa. Palermo: Garante regionale Fleres; dopo due anni riprende servizio di ascolto per detenuti Dire, 28 febbraio 2013 “Dopo più di due anni di blocco delle attività di ascolto dei reclusi da parte dei funzionari dell’ufficio del garante, finalmente oggi è ripresa questa importante attività, essendo stati rimossi gli ostacoli che ne hanno a lungo impedito lo svolgimento e che sono oggetto di approfondimento”. Lo comunica il Garante dei diritti dei detenuti in Sicilia, Salvo Fleres, che specifica: “Si ricomincia con l’Ucciardone, a seguire il Pagliarelli e tutte le altre strutture aventi sede nella Sicilia Occidentale”. I detenuti interessati a un colloquio dovranno inviare richiesta all’ufficio del Garante. L’Aquila: tagli agli organici della Polizia penitenziaria, è scontro tra la Uil-Pa e il Dap Il Centro, 28 febbraio 2013 È scontro tra la Uil Penitenziari provinciale e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) dopo l’avvenuta “decretazione” delle nuove piante organiche degli istituti di pena della provincia aquilana: 57 agenti in meno a Sulmona e 30 a L’Aquila sono i contestatissimi numeri che la segreteria provinciale della Uil penitenziari, e che fa seguito a quanto evidenziato anche dalla Cgil, evidenzia dopo aver avuto conoscenza del decreto. “L’Aquila”, si legge in una nota sindacale, “ ha visto rideterminato il suo numero vedendolo passare dalle 247 a 217.Un decreto che contrariamente a quanto citato nello stesso non è stato elaborato sentendo in merito i sindacati ma in maniera del tutto unilaterale. Un decreto che falcidia le aspettative di coloro i quali da anni aspettano di far ritorno a Sulmona ma che grazie all’insipienza di amministratori, che evidentemente non conoscono le esigenze delle loro istituzioni consorelle, rimanderanno a chissà quando la data del loro rientro nella città che li ha visti nascere. Un decreto che azzera le possibilità di rendere supportabile e sopportabile una situazione che sia all’Aquila che a Sulmona va facendosi sempre più grave e delicata”. “A Sulmona”, si legge in una nota, “sono circa 10.000 le giornate di congedo in arretrato che spettano di essere concesse ma che per l’insostenibile situazione creatasi nel tempo non si è in grado di attribuire. Sia a Sulmona che all’Aquila non passa giorno ove molti agenti vengano richiamati in servizio pur avendo programmato per quel tale giorno un salubre riposo. Non mancano giornate dove la soppressione di posti di servizio e l’accorpamento con altri rendono meno sicuro e più pressante un lavoro che è tra i più delicati in assoluto e per tale motivo molto più considerato”. Ferrara: dall’Associazione “Noi per loro” volontari in aiuto al Tribunale di sorveglianza La Nuova Ferrara, 28 febbraio 2013 Si ispira a finalità di promozione di una cultura dell’inclusione sociale per carcerati ed ex carcerati la collaborazione che sarà avviata in forma sperimentale per sei mesi, con il supporto del Comune di Ferrara, tra l’associazione senza fini di lucro “Noi per loro”, l’associazione Agire Sociale - Centro servizi per il volontariato di Ferrara e il Tribunale di Sorveglianza di Bologna, per il superamento delle criticità organizzative manifestate da quest’ultimo. In base all’accordo, approvato ieri mattina dalla giunta nel corso della consueta seduta settimanale, le associazioni si impegneranno a mettere al servizio del Tribunale di Sorveglianza quattro volontari in grado di supportare l’esecuzione degli adempimenti burocratici necessari alle verifiche delle misure alternative per i detenuti, in relazione principalmente alla Casa circondariale di via Arginone. L’amministrazione comunale, dal canto suo, supporterà la messa in atto della collaborazione impegnandosi a rimborsare fino a un massimo di mille euro le spese delle due associazioni per il raggiungimento da parte dei volontari della sede del Tribunale di Bologna. La delibera che predispone questa forma di collaborazione è stata presentata dall’assessorato alla Sanità, Servizi alla Persona e Immigrazione, retto da Chiara Sapigni. Ancona: burattini dietro le sbarre di Montacuto, detenuti affascinati dagli spettacoli www.vivereancona.it, 28 febbraio 2013 Burattini in carcere. Per la prima volta, all’interno della Casa Circondariale di Montacuto (Ancona), il Teatro alla Panna di Senigallia ha animato, con i suoi pupazzi e le sue storie, il pomeriggio delle persone detenute. Ad organizzare l’iniziativa, che si è svolta mercoledì 20 febbraio, i volontari senigalliesi che già operano all’interno dell’istituto facendo il corso di giornalismo Fuori Riga, che produce l’omonimo periodico trimestrale, e i corsi di musica (con la scuola di musica Musikè). Luca Paci e Roberto Primavera del Teatro alla Panna, un sodalizio artistico, il loro, che parte nel 1982, hanno divertito circa 80 detenuti con tre spettacoli. Tre spettacoli non certo per bambini, ma che raccontavano storie divertenti e spensierate per adulti. Il primo, liberamente ispirato alla storia biblica di Adamo ed Eva. Il secondo, in dialetto senigalliese, sul ravvedimento spirituale di un vecchio comunista che si sente vicino alla morte dopo aver mangiato e bevuto troppo alla Festa de l’Unità. Il terzo sulla lunga marcia di tre improbabili e caotici Re Magi verso la mangiatoia che accoglie il piccolo Gesù. Ad intervallare i tre spettacoli, Luca e Roberto hanno spiegato ai detenuti alcuni aspetti della loro arte: i vestiti che vengono cambiati ai burattini; le teste e le mani dei pupazzi, tutte in legno e dipinte a mano. Un momento unico, perché era la prima volta che entrava in carcere un’arte come quella dei burattini, che ha stupito i presenti tanto che un detenuto ha chiesto, a fine spettacolo: “È possibile chiamarvi per i compleanni dei miei figli? Ho 6 figli”. Alti il divertimento e l’interesse suscitati da Luca e Roberto tra i detenuti. E moltissime le risate, anche di agenti di polizia penitenziaria ed educatori, che hanno fatto da sottofondo agli spettacoli. Un primo esperimento che è riuscito e che verrà riproposto anche in occasione dei colloqui dei familiari con i detenuti per intrattenere i bambini. Napoli: verso la conclusione il tour del cantautore Luca Pugliese per l’Italia carceraria di Antonella Gucci www.musicalnews.com, 28 febbraio 2013 “Organizzo un tour a mie spese nelle carceri italiane, visto che anche la musica, l’arte e la cultura in questo paese sono ormai in prigione”. Questa la dichiarazione rilasciata dal fondatore dei Fluido Ligneo, Luca Pugliese, dopo il concerto da lui tenuto al carcere di Secondigliano, lo scorso 19 gennaio. Detto - fatto e, grazie alla collaborazione offerta dai direttori di diverse case circondariali italiane, il progetto di un tour per l’Italia carceraria è diventata realtà. Ripartendo da Rebibbia (Roma, 13 febbraio), di Sant’Angelo dei Lombardi, Av (14 febbraio) e di Benevento (15 febbraio)le prossime date saranno Casa di reclusione Opera (Milano, 7 marzo), Casa circondariale di San Vittore (Milano, 8 marzo) per poi concludersi alla casa circondariale di Poggioreale (Napoli, 20 marzo). Si concluderà quindi dalla città da cui tutto è iniziato il tour che ha cercato di mantenere alta l’attenzione sullo stato delle nostre carceri. Luca Pugliese punta il dito contro il degrado culturale del nostro paese e mette in gioco il ruolo sociale dell’arte. “Mai avuto pubblico così attento” continua Pugliese. “La dignità dell’uomo è un diritto universale che non ammette deroghe, e l’arte è un diritto di tutti. La musica è aria dipinta. Portarne un po’ in luoghi dove tutto è troppo poco e troppo stretto mi ha reso vivo e mi ha fatto sentire utile al mondo. L’Italia attualmente non sa cosa farsene dell’arte, degli artisti e dei detenuti!” . Anche gli ultimi 3 saranno concerti in versione solo, con un rocambolesco Luca Pugliese che, nella triplice veste di cantante, chitarrista e percussionista a pedale, delizierà il pubblico con le sonorità etniche della sua ultima fatica discografica, Dèjà vu (dicembre 2012), e con tributi alla tradizione cantautorale italiana, in particolare al compianto Lucio Dalla. Immigrazione: Sindaco Modena, al Cie c’è rischio situazione esplosiva Adnkronos, 28 febbraio 2013 “Lo stato dell’arte non consente di garantire la tutela dei diritti dei lavoratori e potrebbe trasformarsi in una situazione esplosiva anche dal punto di vista della sicurezza interna al Cie”. Lo ha affermato il sindaco di Modena Giorgio Pighi nel corso di un incontro cui ha partecipato questa mattina, insieme all’ assessore alle Politiche sociali, sanitarie e abitative Francesca Maletti, con una delegazione di operatori del Centro di identificazione ed espulsione e con la Cgil. “Solleciteremo un’azione della Prefettura e del Ministero degli Interni e chiederemo una visita del Garante dei detenuti per verificare le condizioni di salute dei trattenuti” ha aggiunto Pighi al quale operatori e i rappresentanti sindacali hanno ribadito di non aver ricevuto ancora le mensilità da metà novembre in poi, di non poter contare su un coordinamento interno e di temere che le condizioni non possano migliorare in futuro senza il ritiro da parte del Ministero della convenzione con la cooperativa Oasi, che gestisce il Centro dal luglio 2012 a seguito dell’aggiudicazione dell’appalto. “Siamo contrari per definizione - ha detto ancora Pighi - alle gare al massimo ribasso che spesso vedono vincere privati che propongono condizioni che non consentono poi di gestire i servizi”. Pertanto, ha concluso Maletti, “scriveremo a Prefettura e ministero segnalando che con 29 euro al giorno, pari al costo per ospite indicato dalla cooperativa, grazie al quale ha vinto l’appalto, non è possibile garantire il servizio”. Brasile: italiano accusato di duplice omicidio, la mamma lo raggiunge per cercare verità Brescia Oggi, 28 febbraio 2013 La madre del 28enne sospettato di un duplice omicidio parte per il Sudamerica per rompere la cappa di silenzio delle autorità. L’alibi dell’ex assicuratore sarebbe celato in un video ma l’avvocato difensore non riesce ad acquisirlo. È molto di più di un viaggio intrapreso per restare vicino a una persona cara nel momento più difficile della sua vita. Michelina Tosoni attraverserà l’oceano Atlantico alla ricerca della verità sulle terribili accuse che pendono sulla testa del figlio Massimiliano, sospettato in Brasile di essere la mente e l’esecutore materiale di un duplice omicidio a scopo di rapina avvenuto il 31 gennaio a Fortaleza. La voce del suo cuore parla il lessico dell’amore: le ripete che suo figlio è innocente. Ma provarlo sta diventando sempre più difficile in un Paese straniero apparentemente sordo alle invocazioni di Massimiliano Tosoni, che si è sempre dichiarato estraneo all’episodio. Per smuovere la cappa di apparente apatia delle istituzioni diplomatiche italiane in Brasile, la mamma dell’ex assicuratore di Montichiari parte oggi per il Sudamerica. La sua agenda della speranza è fitta di appuntamenti. Per prima cosa chiederà un colloquio con il console di Fortaleza, Roberto Misici. Poi - grazie al canale aperto dall’avvocato di famiglia Alberto Scapaticci - incontrerà Angelo Biccirè, console di Recife. Michelina si augura soprattutto di ottenere il permesso di visitare il figlio detenuto nel carcere di Itaitinga, rompendo quell’inquietante velo di oblio calato sul caso, anche e soprattutto per il silenzio incomprensibile delle autorità consolari italiane. Al momento le uniche notizie sullo stato di detenzione e di salute di Massimiliano Tosoni sono filtrate grazie ad una parente di uno dei suoi compagni di cella. “È raffreddato ma sta abbastanza bene” rivela Alice, la compagna da cui Massimiliano ha avuto un figlio un anno fa. L’aspetto più pressante riguarda le indagini difensive che stentano a decollare. L’alibi che potrebbe scagionare il 28enne è racchiuso nei filmati girati dal sistema di videosorveglianza del suo residence, teatro del duplice omicidio. Video che il suo avvocato difensore non ha ancora potuto visionare. I fotogrammi testimonierebbero che Tosoni non è mai uscito durante la notte in cui è avvenuta la rapina della Toyota Corolla usata per il colpo sfociato nell’uccisione di Andrea Macchelli, imprenditore emiliano di 48 anni, e di Hedley Lincoln Dos Santos, funzionario di un istituto di cambio brasiliano di 25 anni. Il proprietario dell’auto ha puntato il dito contro il bresciano, ma se la sua testimonianza fosse confutata dalla prova del video, verrebbe minata l’intera impalcatura dell’accusa costruita essenzialmente sulla deposizione di due adolescenti della favelas arrestati poche ore dopo il bagno di sangue. I ragazzi hanno ammesso di essere complici della rapina scaricando la responsabilità del duplice assassino su Tosoni, che dopo una fuga di 18 giorni si è consegnato alla polizia. Stati Uniti: in calo incarcerazioni di afro-americani, in aumento quelle di bianchi e ispanici Tm News, 28 febbraio 2013 Negli Stati Uniti, dal 2000 al 2009 il tasso di incarcerazione di persone di origine afro - americana ha registrato un forte calo - soprattutto tra le donne - mentre il dato è cresciuto tra gli individui di razza bianca e ispanica. È quanto emerge da un rapporto pubblicato da Sentencing Project, gruppo di ricerca sulle prigioni con sede a Washington Dc. Si tratta di un cambio significativo che suggerisce come stia calando la disparità che hanno storicamente caratterizzato la composizione della popolazione nelle carceri. Nel periodo, il tasso di detenzione tra donne afro - americane è sceso del 30,7%: nel 2000, erano imprigionate sei volte di più di quelle di razza bianca, 2,8 volte nel 2009. Per gli uomini della stessa razza, il tasso di incarcerazione è sceso del 9,8%: 13 anni fa rischiavano di finire in prigione 7,7 volte di più dei bianchi e 6,4 volte nel 2009. In dieci anni sono le donne bianche ad essere finite in carcere maggiormente: il tasso di detenzione è salito del 47,1% contro un +8,5% per gli uomini della stessa razza. Anche tra gli ispanici è il gentil sesso ad avere registrato un incremento della probabilità di finire in prigione: +23,3% contro un calo del 2,2% tra i maschi. Attualmente, il 38% della popolazione carceraria è costituito da afro - americani e il 34% da bianchi. Iraq: il Governo; da inizio anno scarcerati 4.000 detenuti, per placare proteste dei sunniti Agi, 28 febbraio 2013 Dall’inizio dell’anno in Iraq sono stati scarcerati circa quattromila detenuti, centossessanta dei quali oggi stesso: lo ha rivendicato il vice primo ministro Hussein al-Shahristani, intervenendo alla cerimonia di liberazione di questi ultimi, nell’apparente tentativo di placare le proteste contro il governo guidato dal premier Nouri al-Maliki, sciita come Shahristani, in corso nell’intero Paese dalla fine di dicembre a opera della minoranza sunnita, che denuncia di essere sistematicamente discriminata dalle autorità, e tra le cui rivendicazioni c’è proprio il rilascio dei prigionieri. Il vice di Maliki ha quindi aggiunto che gli ex reclusi potranno fare richiesta di un indennizzo, qualora fossero stati tenuti in carcere senza essere colpevoli di alcun reato. È il caso di una delle persone liberate oggi, il cinquantenne Najeh Ali Shimmar, sposato e padre di due figlie, rimasto in cella per quasi un decennio senza che a suo carico si sia mai tenuto un processo. “Sto vivendo un sogno”, ha commentato l’uomo. “Non ci credevo finché non sono uscito da dietro le mura del penitenziario. Shimmar fu arrestato nell’ottobre 2003 dalle truppe americane per presunta violazione del coprifuoco allora in vigore a al-Madain, cittadina situata una quindicina di chilometri a sud di Baghdad. Due anni dopo fu consegnato alle forze irachene, che lo accusarono di tre omicidi che non poteva aver commesso, essendo rinchiuso. Attese quindi otto anni prima di comparire davanti a un giudice. “Persino lui rimase sconcertato, e decise di rilasciarmi immediatamente”, ha raccontato. Commentando la sua vicenda, il vice premier ha assicurato che “adesso la magistratura sta collaborando con noi per porre fine a casi del genere e semplificare le relative procedure”. Siria: almeno 12 civili morti per torture in carcere, quattro membri di una stessa famiglia Tm News, 28 febbraio 2013 Almeno dodici civili, fra cui quattro membri di una stessa famiglia, sono morti a causa delle torture subite in un carcere di Damasco: lo hanno reso noto fonti delle organizzazioni siriane per la difesa dei diritti umani. I familiari delle vittime avrebbero ricevuto ieri i documenti di identità dei loro congiunti, tutti residenti a Nahr Aishe, un quartiere meridionale della capitale siriana teatro di perquisizioni e rastrellamenti da parte delle forze regolari. Israele: ricoverato in ospedale detenuto palestinese in sciopero fame da oltre 200 giorni Ansa, 28 febbraio 2013 Si sono aggravate le condizioni di Samer Issawi, un palestinese detenuto in Israele impegnato in uno sciopero della fame da oltre 210 giorni. Ieri Issawi è stato trasportato dalla prigione di Ramle (Tel Aviv) al vicino ospedale Kaplan di Rehovot, dove risulta essere “in condizioni stabili”. Ieri due altri detenuti - Tareq Qaadan e Jafar Azzidin - hanno invece sospeso uno sciopero della fame intrapreso tre mesi fa, dopo aver ottenuto un impegno di massima che non saranno prolungati gli arresti amministrativi nei loro confronti. Qaadan ed Azzidin sono attualmente ricoverati in un ospedale presso Tel Aviv. Un quarto detenuto palestinese, Ayman Sharawne, prosegue invece nella sua cella uno sciopero della fame ad oltranza avviato diversi mesi fa. La loro lotta viene seguita con grande partecipazione nei territori palestinesi dove la popolazione è ancora turbata per la morte - avvenuta sabato in una cella israeliana - di Arafat Jaradat, un militante di al - Fatah. Secondo l’Anp la morte è stata provocata da torture, ma Israele nega recisamente: da più parti viene ora invocata una inchiesta internazionale. Due detenuti palestinesi interrompono sciopero della fame Due detenuti palestinesi in Israele hanno interrotto lo sciopero della fame, ma restano in cura in ospedale. Lo ha riferito un portavoce della direzione dei penitenziari israeliani, Sivan Weizman. Jaafar Ezzeddine e Tariq Qaadan hanno ripreso ad alimentarsi e ora sono solo due i prigionieri che continuano per protesta a rifiutare il cibo, Samer Issawi e Ayman Sharawn. I quattro da alcuni mesi si limitavano ad assumere liquidi e vitamine per denunciare l’ingiustizia della loro carcerazione. Ezzeddine e Qaadan decideranno se riprendere lo sciopero della fame dopo l’udienza di mercoledì prossimo in cui il tribunale militare di Ofer si dovrà pronunciare sulla loro detenzione amministrativa, un tipo di fermo deciso dal tribunale militare che può essere rinnovato di sei mesi in sei mesi per un numero di volte illimitato. La procura militare ha già fatto sapere che non chiederà il rinnovo della misura cautelare. Sudafrica: misteriosa morte di un tassista trascinato per strada dall’auto della polizia Corriere della Sera, 28 febbraio 2013 Dopo l’arresto, il tassista è stato trascinato per 500 metri dall’auto della polizia. Tassista ammanettato e trascinato per la strada dall’auto della polizia muore in ospedale. L’intera sequenza è stata ripresa dal cellulare di uno dei passanti vicino a una strada nella provincia sudafricana del Gauteng. Una scena che ha dell’incredibile e che sta indignando tutto il Sudafrica. Nel video si vede un giovane mozambicano di 27 anni, riconoscibile nella folla dalla maglietta rossa, che viene fermato dalle forze dell’ordine, in seguito ammanettato dietro al furgone della polizia e poi trascinato via dal pick-up per 500 metri lungo la strada. Non è chiaro cosa abbia fatto degenerare la situazione. L’uomo è morto poco dopo. Legato dietro al furgone e trascinato lungo le strade della township di Daveyton, periferia a est di Johannesburg, fino alla stazione di polizia. È successo martedì sotto gli occhi di numerose persone. Come riferisce il portale iAfrica, il giovane identificato come Mido Macia, un tassista originario del Mozambico, sarebbe stato arrestato in seguito a un divieto di sosta: avrebbe parcheggiato in una zona non consentita, creando un ingorgo stradale, e avrebbe opposto resistenza all’arresto. Il giovane è stato trovato morto poco dopo nella cella della stazione di polizia dove era stato trascinato e, secondo la stampa locale, sarebbe stato inoltre picchiato, presumibilmente dagli agenti di polizia. L’autopsia ha infatti rivelato che è deceduto in seguito alle ferite alla testa che hanno provocato un’emorragia interna. Le autorità hanno aperto un’inchiesta: “Indaghiamo su un incidente che coinvolge il decesso di un uomo, apparentemente a opera di poliziotti”, ha spiegato il portavoce delle forze dell’ordine. Il capo della polizia, Riah Phiyega, si è detto “profondamente scosso” dal video diffuso dal giornale Daily Sun. Le immagini, nel frattempo, stanno suscitando forti polemiche nel Paese. Nel video si sentono alcuni passanti gridare: “Stiamo filmando tutto, cosa ha fatto quest’uomo?”. In Sudafrica è nota la eccessiva brutalità usata dalla polizia. Questo non è un caso isolato, denuncia Amnesty International: in 12 mesi ci sono state 920 denunce per gravi aggressioni da parte dei poliziotti e 294 decessi in carcere. Venezuela: detenuto tenta di evadere nascosto in un trolley, scoperto al portone di uscita Agi, 28 febbraio 2013 Gavinson García, alto 1,60 metri, si era rannicchiato avvolgendo la testa tra le ginocchia. In Venezuela, d’ora in poi, i visitatori che entrano in un carcere non potranno più portare con sé valige o borsoni. Il motivo della nuova direttiva? Domenica scorsa, a Caracas, un detenuto ha cercato di evadere di prigione nascondendosi dentro una piccola valigia quadrata con le ruote. Gavinson García non ha portato a termine la bizzarra fuga: è stato scoperto dalla polizia carceraria davanti al portone dell’uscita. L’evasione era stata progettata con una visitatrice, la sua fidanzata 22enne, che aveva consegnato il baule all’uomo condannato per omicidio. García, alto un metro e 60 centimetri, si era rannicchiato dentro il trolley avvolgendo la testa tra le ginocchia. Tailandia: finto secondino estorceva denaro a parenti di detenuti promettendo sconti pena 9Colonne, 28 febbraio 2013 Somkiat Jandok potrebbe essere ricordato come l’uomo che entrava in carcere per commettere un reato. Come riporta il quotidiano thailandese Bangkok Post, i capi d’accusa sarebbero molteplici e frutto di un piano criminoso unico e fantasioso. Jandok, 37 anni, si era finto una guardia carceraria corrotta della prigione di Udon Thani, in Thailandia. Grazie al ruolo interpretato, era riuscito a far credere alla cugina di un detenuto di poter far ridurre la pena del familiare in cambio di 20 mila baht (circa 500 euro). La donna, inizialmente convinta ad accettare la corruzione carceraria, non aveva tenuto psicologicamente per il rischio di infrangere la legge, e quindi aveva denunciato il fatto alla polizia. Così, inscenando la consegna della cifra pattuita, e grazie all’aiuto della donna, martedì notte la polizia è riuscita ad arrestare Jandok. Secondo gli investigatori, l’uomo avrebbe utilizzato lo stesso schema con i parenti di numerosi altri detenuti, e altri ancora sarebbero caduti nel tranello. Già condannato a 25 anni di reclusione per traffico di droga, Jandok era uscito dal carcere nel 2011 per buona condotta.