Giustizia: elezioni politiche; i programmi dei principali partiti su sicurezza e carceri Ansa, 23 febbraio 2013 La lotta dura alla criminalità organizzata ed ai suoi patrimoni è al centro delle politiche per la sicurezza nei programmi elettorali dei principali partiti. Fa eccezione il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, che non dedica spazio al tema. Ecco le proposte in materia da parte delle liste che si presentano alle urne il 24 e 25 febbraio. PD - Il programma del Pd punta sulla difesa intransigente del principio di legalità, lotta decisa all’evasione fiscale, contrasto severo dei reati contro l’ambiente, rafforzamento della normativa contro la corruzione e sostegno più concreto agli organi inquirenti e agli amministratori impegnati contro mafie e criminalità. L’obiettivo è quello di “contrastare tutte le mafie, reprimendone sia l’azione criminale che l’immensa forza economica”. Va reciso ogni legame o sospetto di complicità di alcuni rappresentanti politici ed è inderogabile la rigorosa applicazione del codice etico approvato dalla Commissione antimafia per le candidature a tutti i livelli. Necessario poi il ringiovanimento e rafforzamento delle forze dell’ordine, che vanno liberate da attività burocratiche. Occorre inoltre prevedere l’assunzione di agenti di origine straniera o di seconda generazione per favorire un modello di ordine pubblico adeguato ad una società sempre più multiculturale. SEL - Per il partito di Nichi Vendola la lotta alle mafie e alla corruzione è parte essenziale di un grande e forte progetto di ricostruzione dei diritti sociali e delle politiche pubbliche. Al primo punto sulla legalità Sel pone quindi ‘il contrasto ai capitali e ai patrimoni dei corrotti e dei mafiosi per un loro riutilizzo sociale. Proponiamo la riscrittura dell’articolo 416ter riguardante il reato di voto di scambio politico mafioso e per tutti i reati di mafia riteniamo che la soglia di incandidabilità debba essere il rinvio a giudizio. PDL-LEGA - Stesso programma nel settore per gli alleati Pdl e Lega, che auspicano la prosecuzione dell’opera del Governo Berlusconi nel contrasto totale alla criminalità organizzata, l’incremento della lotta per la legalità, per il contrasto ai fenomeni della immigrazione clandestina e della criminalità predatoria, il potenziamento delle forze dell’ordine, assicurando il massimo sostegno sia economico che logistico e attuando la specificità per gli operatori della sicurezza. Si propone quindi un efficace presidio del territorio, attraverso il coinvolgimento di regioni ed enti locali nei Patti territoriali per la sicurezza. Pdl e Lega sottolineano poi l’attuazione di politiche di rimpatrio effettivo degli immigrati clandestini e la definizione di accordi bilaterali per scontare la pena detentiva nei Paesi d’origine. Infine, nuova legislazione per combattere il degrado nelle aree metropolitane. SCELTA CIVICA - Completare la riforma della giustizia civile. Tolleranza zero per corruzione, evasione fiscale e economia sommersa, con interventi finalizzati a identificare innanzitutto le grandi aree di illegalità. Essenziale introdurre meccanismi di tracciabilità dei pagamenti. Introdurre una coerente disciplina del falso in bilancio e completare la normativa su anticorruzione, antiriciclaggio e autoriciclaggio. Rivedere i termini di prescrizione per garantire una più adeguata azione di contrasto di diversi gravi reati. Introdurre una disciplina sulle intercettazioni e una più robusta disciplina sulla prevenzione del conflitto di interesse. Lotta alla criminalità organizzata e alle mafie. Le procedure per le gare d’appalto devono diventare più trasparenti facendo in modo che l’utilizzo della stazione unica appaltante diventi la regola. Scelta Civica invita inoltre a ‘tenere alta la guardia contro la progressiva infiltrazione delle mafie nelle zone dove erano meno presentì. Quanto alle infiltrazioni mafiose nella vita politica, si legge, la legge sull’incandidabilità manda un segnale preciso. Bisogna andare anche oltre, seguendo ad esempio il codice di autoregolamentazione dei partiti preparato dalla Commissione Antimafia. RIVOLUZIONE CIVILE - Il movimento di Antonio Ingroia, naturalmente, si pone in prima fila nella guerra alle mafie. L’obiettivo ultimo, si legge nel programma di Rivoluzione civile, è ‘non solo il contenimento ma l’eliminazione della mafia, che va colpita nella sua struttura finanziaria e nelle sue relazioni con gli altri poteri, a partire da quello politicò. Il totale contrasto alla criminalità organizzata, alla corruzione, il ripristino del falso in bilancio e l’inserimento dei reati contro l’ambiente nel codice penale sono, aggiunge, azioni necessarie per liberare lo sviluppo economico. M5S: Non c’è un vero capitolo sulla giustizia. A livello di “istituti giuridici”, propone l’introduzione di una vera class action. Nessun riferimento al tema sicurezza nel programma del Movimento cinque stelle. Giustizia: carcere, corruzione e tribunalini, queste le sfide per la politica di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 23 febbraio 2013 Carcere, corruzione, geografia giudiziaria: tre fronti aperti ma anche lasciati aperti dal governo Monti. Priorità indiscutibili nell’agenda del nuovo Esecutivo, su cui l’Italia si gioca onore, sicurezza, crescita. La strada è in salita, perché il cosiddetto “primo passo” si è rivelato subito inadeguato rispetto alla complessità dei temi e alla serietà delle risposte. Del resto, ne sembrano consapevoli più o meno tutte le forze politiche in campo. Si corre il rischio di brusche frenate o addirittura di marce indietro travestite da riforme. Rischio tanto più concreto se dalle urne uscirà un quadro politico frastagliato, alibi perfetto per continuare a diluire, nel tempo e nella sostanza, le misure strutturali di cui ha bisogno la giustizia per uscire dalla crisi di efficienza (9 milioni di processi arretrati, 10 anni per una causa civile, 5,5 per un processo penale; 128mila prescrizioni; 66mila detenuti per 46mila posti regolamentari nelle carceri: quanto basta per abbattere di un punto percentuale il Pil, per aumentare la recidiva e abbassare quindi la sicurezza collettiva, per consentire alla corruzione di pesare sull’economia per 60miliardi l’anno). In questo quadro, anche se i programmi elettorali delle diverse coalizioni dedicano spazio - chi più, chi meno - a carcere, corruzione, geografia giudiziaria, resta la preoccupazione che le intenzioni dichiarate si frantumino contro il muro di maggioranze fragili, politicamente e numericamente. Come peraltro è già avvenuto in passato. Carcere - Il tema è schizzato tra le priorità di tutte le liste dopo la condanna dell’Italia da parte della Corte dei diritti dell’uomo per trattamenti inumani e degradanti (i giudici ci hanno dato un anno per mettere in campo riforme “strutturali”) ma viene da lontano anche se nulla è stato fatto, forse con il retropensiero di approvare un’amnistia una volta superate le elezioni. Eppure non siamo all’anno zero, perché già esistono fior di studi e di progetti per affrontare l’emergenza subito e bene - con norme strutturali rapide ed efficaci - e per imboccare la strada delle misure alternative, come sta facendo il ministro della Giustizia francese Christiane Taubira per combattere la recidiva. Una strada che Pd e Rivoluzione civile indicano nei programmi, non anche la Lista Monti sebbene il suo leader ne abbia parlato (il programma giustizia dei grillini resta un mistero). Il Pdl, invece, tace sulle misure alternative al carcere e preferisce puntare sulla limitazione della custodia cautelare. Il programma più articolato è quello del Pd che scandisce addirittura i tempi (primi 100 giorni, primo anno, prima metà della legislatura, entro fine legislatura) delle riforme strutturali (tra cui modifiche alla ex Cirielli sulla recidiva, alla legge sulla droga e sugli immigrati) e che non esclude una, sia pur limitata, amnistia ma solo dopo le riforme. Sulla stessa linea, Monti e Ingroia. Berlusconi, invece, sponsorizza apertamente la clemenza. Corruzione - Il problema-carcere si salda con quello della corruzione e, più in generale, dell’efficacia del processo. Un processo inefficiente rende infatti vana la lotta alla corruzione (a causa della prescrizione) e tra le cause dell’inefficienza c’è anche la mole spropositata di reati, molti dei quali vanno depenalizzati. Così si abbandona anche l’idea che il carcere sia l’unica pena efficace (gli studi sulla recidiva dimostrano il contrario) e lo si riserva ai delitti più gravi, puntando per il resto su pene e misure alternative alla detenzione. In questa direzione si muovono Bersani e Ingroia. La lista Monti tace: alla giustizia dedica poche righe in cui però si parla di “completamento” della legge anticorruzione (riconoscendone l’assoluta inadeguatezza) con l’introduzione del falso in bilancio e del reato di auto riciclaggio. In linea con Bersani e Ingroia, che aggiungono il punto fondamentale della modifica della prescrizione. Silenzio del Pdl, che ripropone il copione della separazione delle carriere, responsabilità civile delle toghe, intercettazioni. Geografia giudiziaria - Era una costante di tutti i programmi elettorali ma ora che bisognerebbe impegnarsi ad attuare la riforma Severino, nessuno ne parla più. Tranne il Pd, che però punta a “correggere” le norme già varate, anche ripristinando alcuni dei 31 Tribunali soppressi e allungando i tempi della nuova geografia giudiziaria. Quanto basta per aprire un varco ad analoghe richieste del Pdl e a rendere concreto - viste le resistenze corporative e localistiche - il rischio di affossare la riforma. Giustizia: Anm; per carceri non stringere “filtri” in entrata, ma allargare quelli in uscita di Andrea Priante Corriere della Sera, 23 febbraio 2013 Il procuratore di Verona: “Rendere dignitosa la detenzione”. Interviene l’Anm: “Non si devono stringere i filtri in entrata delle prigioni, ma allargare quelli in uscita”. La soluzione allo “stato disumano” dei detenuti nelle carceri non è ridurre il numero degli arresti, ma rivoltare l’intero sistema. I magistrati veneti replicano così alla lettera con la quale il procuratore generale della Corte d’Appello di Venezia, Pietro Calogero, richiama al rispetto dell’articolo 27 della Costituzione: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Meglio quindi evitare - come ha spiegato lo stesso Calogero aprendo l’anno giudiziario - “una applicazione delle misure tanto estesa da configurare una indebita anticipazione delle pene irrogabili con il giudicato”. Le procure venete, però, appaiono più caute. E non soltanto quella di Venezia, con Luigi Delpino che ieri sul Corriere del Veneto si smarcava dicendo che “non posso dire ai miei pm di non arrestare, la scelta spetta al singolo magistrato”. A Verona il procuratore Mario Giulio Schinaia assicura: “Per quanto ci riguarda le cose funzionano già come suggerisce Calogero: arrestiamo solo quando è strettamente necessario. Il problema non è la magistratura, ma le carceri che non riescono ad assicurare la dignità delle persone”. Francesco Saverio Pavone, a capo dei pm di Belluno, ricorda che “gli arresti non dipendono dai procuratori ma dai giudici, e fanno riferimento sempre a fatti gravi”. E anche lui punta il dito sui centri di detenzione: “È compito del potere politico la costruzione di istituti penitenziari con condizioni più civili e umane. Da cinquant’anni non si mette mano alla questione, tentando di risolvere il problema attraverso condoni e amnistie. Ma è come dire che, se non ci sono posti nel reparto geriatrico di un ospedale, gli anziani dovrebbero essere soppressi. Assurdo. La vera soluzione è erigere carceri per rendere effettive le pene che lo Stato impone”. Per il presidente regionale dell’Associazione nazionale magistrati, Lorenzo Miazzi, il richiamo del procuratore generale della corte d’Appello di Venezia “è giusto e condivisibile”. Però - avverte - in Veneto non c’è un ricorso eccessivo al carcere. “Le misure cautelari non vengono adottate a cuor leggero. Inoltre il sistema giudiziario prevede delle continue verifiche, come quelle del tribunale del Riesame, che servono proprio a evitare il rischio che una persona sia privata delle libertà quando non è strettamente necessario”. La soluzione al problema, quindi, non si ottiene attraverso un taglio indiscriminato delle misure cautelari. “Non si devono stringere i filtri in entrata del carcere, ma allargare quelli in uscita”, spiega il presidente dell’Anm. “Per prima cosa occorre velocizzare i processi che vedono imputate persone detenute, in modo tale da arrivare nel più breve tempo possibile a una sentenza definitiva”. A questo si aggiunge la necessità di migliorare le condizioni in cui si ritrovano a vivere i carcerati. “Occorre supportare il lavoro di associazioni e volontari che, all’interno degli istituti di pena, si occupano della loro riabilitazione. In questo modo si può favorirne la messa in prova al di fuori della prigione!. E anche l’Anm punta il dito contro il sovraffollamento: “Assumere altre guardie consentirebbe di aprire quelle sezioni, all’interno delle carceri, che ad oggi restano chiuse proprio per la carenza di personale”. Infine - avverte Miazzi - l’ultimo passo è di carattere legislativo: “La politica deve fare la sua parte cambiando le norme, tenendo finalmente conto del fatto che quella detentiva non è l’unica pena esistente. Non si può continuare a credere che il carcere sia la punizione migliore per chiunque, dal rapinatore di banca all’imprenditore che fa bancarotta”. Anche le forze dell’ordine respingono l’idea che in Veneto ci siano “arresti facili”. “Non vedo un uso eccessivo delle misure cautelari”, assicura Silvano Filippi, segretario regionale del Siulp. “Il problema del sovraffollamento delle carceri si risolve cambiando le regole: per alcuni reati la punizione più efficace non è la prigione ma una salatissima sanzione pecuniaria”. Giustizia: Bernardini (Radicali); falsi dati su capienza delle carceri, denunciano ministero Adnkronos, 23 febbraio 2013 “Ho intenzione di denunciare il ministero della Giustizia per falso in atto pubblico” è quanto ha spiegato Rita Bernardini all’Adnkronos sottolineando come “l’oggetto del falso riguarda in particolare i dati pubblicati sul sito www.giustizia.it riguardo alla capienza delle carceri italiane”. La deputata radicale denuncia in particolare che sul sito sono state pubblicate le capienze regolamentari delle carceri, che sono però inesatte. “Per fare qualche esempio, le capienze dichiarate - ha sottolineato la deputata - delle carceri di piazza Lanza a Catania, di Gazzi a Messina e dell’Ucciardone a Palermo sono di qualche centinaio di posti superiori ai dati reali. Mi chiedo se quella cifra di 47mila posti disponibili, già di per sé non sufficienti perché i detenuti in Italia sono 66mila, sia una cifra gonfiata o inventata per coprire i gravissimi trattamenti inumani e degradanti che vengono perpetrati nelle nostre carceri. Basti pensare - ha concluso - che a Catania i posti realmente disponibili sono 155, ma sul sito del ministero ne sono stati dichiarati 355?. Giustizia: il caso Pistorius e il dramma dei detenuti disabili di Valentina Spotti www.giornalettismo.com, 23 febbraio 2013 Il caso Pistorius accende i riflettori sulle condizioni di vita disumane dei detenuti con problemi fisici. L’omicidio di Reeva Steenkamp e il conseguente arresto dell’atleta paraolimpico Oscar Pistorius, ha acceso i riflettori su una questione da molti ignorata: lo stato delle carceri sudafricane e le condizioni in cui i detenuti sono costretti a vivere, specialmente quelli - e sono più di quanti si possa immaginare - che presentano disabilità fisiche più o meno gravi. “Ho 50 anni e sono paraplegico” - Ne parla il Guardian, prendendo ad esempio il caso di un detenuto in attesa di processo che, come un terzo di tutti i detenuti sudafricani, non è stato colto in flagranza di reato. A dispetto del principio della presunzione di innocenza, sono 46.000 i detenuti in custodia preventiva, 46.000 persone che vivono in condizioni peggiori di coloro che, invece, stanno già scontando la propria condanna. “Ho cinquant’anni e sono paraplegico - racconta l’uomo ai giornalisti inglesi. Sto aspettando un processo da più di un anno, dopo che sono stato arrestato per frode nel dicembre 2011. Non cammino, non ho il controllo delle funzioni intestinali e devo indossare dei pannolini che la mia famiglia compra per me. Non sento nulla dalla vita in giù. Non ho una carrozzina. Il mio co-imputato è stato rilasciato su cauzione, io non posso permettere di pagare così tanto. Anche la mia pensione di invalidità (103 sterline, circa 120 euro) che usavo per mandare a scuola la mia bimba di sette anni è stata sospesa. Ma la mia famiglia ha messo insieme un po’ di soldi e spero in una nuova udienza”. In 88 in una cella per 32 - “Cammino spostando le gambe con le stampelle. Mi hanno sparato nella spina dorsale tre anni prima del mio arresto. Prima di essere trasferito ero nel carcere di Johannesburg, dove il medico mi aveva prescritto una carrozzina. Ma qui, non l’ho mai avuta”. E, come se non bastasse una grave disabilità fisica, si aggiunge il problema della sovrappopolazione delle carceri: “Vivere qui è dura - prosegue l’uomo - questa cella è pensata per ospitare 32 uomini: ma qui dentro siamo in 88, a volte anche di più. Dodici persone dormono in due letti a castello. Solo io ho il mio letto, ed è un privilegio: non lo devo dividere con nessuno per via della mia condizione. Quattro o cinque persone sono sieropositive. Mi sento vulnerabile. Non posso fidarmi di nessuno perché i miei compagni di cella cambiano continuamente. Preferirei essere morto piuttosto che stare qui”. Dimenticato - Completamente in balia di se stesso, l’uomo deve riuscire a provvedere da solo anche alle necessità più elementari, come il cibo: “Mi ci vuole mezz’ora per trascinarmi fino in cucina. Ecco perché non faccio colazione. Ci vado una volta al giorno, per pranzo. Le guardie non permettono agli altri prigionieri di portarmi del cibo. Dicono che devo arrangiarmi da solo. Devo pulire le mie piaghe da solo, due volte al giorno. Non ci sono medicinali e io ho continui dolori. Se ti ammali, puoi aspettare anche una settimana prima di vedere un medico”. “Problemi di ordine pratico” - Britta Rotmann, del dipartimento dei servizi correzionali, spiega che il sistema carcerario sudafricano prevede che ogni detenuto con disabilità riceva un adeguato trattamento: “Le condizioni di vita dei detenuti sono al centro del nostro lavoro, ma spesso ci si scontra con problemi di ordine pratico”. Grosseto: il Sindaco Bonifazi; no alla chiusura del carcere di via Saffi Il Tirreno, 23 febbraio 2013 Il carcere di via Saffi è destinato a chiudere i battenti. Questo l’orientamento statale. La scelta, scritta nero su bianco su una circolare del ministero di giustizia risalente al 29 gennaio scorso, non è però andata giù al sindaco Bonifazi che ammonisce: quell’istituto deve rimanere aperto. È così che il primo cittadino si fa carico delle molte perplessità fioccate all’indomani della notizia. “La decisione annunciata dallo Stato - attacca Bonifazi - ci vede assolutamente contrari. Anzi, trovo sia vergognoso che si possa anche solo ipotizzare una scelta del genere”. Anche perché, bene ricordarlo, non esiste un’alternativa valida. È vero, l’Amministrazione ha individuato un terreno ad hoc su cui poter costruire la nuova casa circondariale. L’area, presente nel regolamento urbanistico, si trova nel retro del deposito artiglieria su via Senese. Ma i quattrini per mettere in piedi l’opera - questo è chiaro a tutti - proprio non ci sono. E comunque dovrebbero spuntare dalle casse statali, non certo da piazza del Duomo. “Chiudere il carcere di via Saffi - prosegue il capo della giunta - significherebbe mettere a repentaglio un delicato equilibrio nel sistema della giustizia di tutto il territorio”. Senza considerare gli eventuali “gravi disagi per il personale attualmente in servizio e per tutta quella economia dell’indotto che non vogliamo certo ignorare”. Qui la mente torna all’allarme lanciato dal sindacato autonomo della polizia penitenziaria che aveva parlato di una cinquantina di lavoratori a rischio. Insomma, al Comune proprio non è andata giù “la logica della dismissione di una struttura che serve un vasto territorio, che rimane un anello fondamentale per il buon funzionamento della giustizia locale e che trova (e ha trovato) nell’Amministrazione pubblica la massima disponibilità a collaborare con gli enti preposti. E questo non solo per quanto riguarda la logistica - per la realizzazione di una nuova struttura, così come per la valorizzazione di quella esistente - ma anche attraverso percorsi di recupero e di inserimento dei detenuti con progetti educativi e di socializzazione mirati”. Tutto qui? Non proprio, Bonifazi approfitta dei riflettori accesi sulla “questione carcere” per andare oltre: “Allo Stato chiediamo che la casa circondariale di Grosseto sia nelle condizioni di garantire ai detenuti i diritti costituzionalmente riconosciuti”. Trovare una via d’uscita - anche e soprattutto in questo caso - non sarà per nulla semplice. Catanzaro: Golfo (Pdl); il carcere di Laureana di Borrello riaprirà entro aprile Giornale di Calabria, 23 febbraio 2013 “Ho appena avuto conferma ufficiale da parte del Ministro della Giustizia Paola Severino che l’Istituto penitenziario di Laureana di Borrello riaprirà entro il mese di Aprile, ospitando 90 detenuti a basso indice di pericolosità. Le parole del Ministro chiudono una vicenda che mi ha visto oggetto di spiacevoli attacchi e minacce”. Lo scrive in una nota l’onorevole Lella Golfo. “Come ho affermato sin dall’inizio di questa sgradevole vicenda, la chiusura temporanea del carcere di Laureana è stata dettata da ragioni di forza maggiore e le accuse susseguitesi in questi mesi si sono sciolte come neve al sole. La riapertura entro i tempi previsti è la dimostrazione che esiste da parte del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e del Ministero della Giustizia piena consapevolezza dell’importanza dell’istituto di Laureana anche sotto il profilo di esempio e modello rieducativo segnalatosi per i risultati raggiunti. Non a caso nel 2009 è stato premiato dalla sottoscritta, in qualità di Presidente della Fondazione Marisa Bellisario come “progetto innovativo di recupero e reinserimento sociale di giovani condannati”. In Calabria più che mai la fiducia nelle istituzioni e la collaborazione con quanti lavorano ogni giorno per garantire la legalità e combattere la ‘ndrangheta, è fondamentale e deve continuare senza sosta. Le polemiche sterili e le critiche fini a se stesse sono pericolose e dannose. Bisogna piuttosto stabilire un dialogo aperto e una collaborazione costruttiva, come ho fatto io nel corso del mio mandato da parlamentare. E mi sento di rassicurare le centinaia di calabresi che in questi giorni mi hanno manifestato la loro solidarietà per la mia mancata candidatura, che la mia attenzione e il mio impegno per la mia Regione non verranno mai meno. Ringrazio il Dap e il Ministro Severino - conclude Lella Golfo - per la serietà, l’attenzione e sensibilità dimostrate”. Trento: laboratorio falegnameria in carcere, detenuti costruiscono le casette dei pipistrelli Il Trentino, 23 febbraio 2013 Che il carcere di Trento, a Spini di Gardolo, sia, per così dire, di ultima generazione, un modello per struttura e dotazioni, per quanto possa esserlo un istituto di pena, è piuttosto difficile da mettere in dubbio. Ma è altrettanto palese, stando ai numeri, che a poco più di due anni dall’inaugurazione tende al sovraffollamento dei detenuti e alla carenza di personale, come ha messo in evidenza in questi giorni l’inchiesta del Trentino. Ed è su questi aspetti che il direttore della Caritas, Roberto Calzà, interviene. “Anche a Trento - afferma - si rispecchia, nella sostanza, l’andamento nazionale. Non serve a niente che le mura siano nuove e belle se poi si ripresentano i vecchi problemi di sempre, il sovraffollamento e la carenza di personale. C’è ancora molto da lavorare, pure nella direzione della ricerca di un rapporto tra la realtà di Spini e la nostra comunità”. Un gruppo di 8 volontari della Caritas entra in carcere ogni quindici giorni per portare, su richiesta dei detenuti, vestiti e prodotti igienici. Ma è soprattutto l’aspetto relazionale che i volontari cercano di curare. “In particolar modo - prosegue Calzà - nei confronti dei più in difficoltà e dei più soli, tra cui molti stranieri. E poi cerchiamo di sensibilizzare la popolazione, come abbiamo fatto qualche tempo fa, raccogliendo nei negozi prodotti igienici offerti dai cittadini”. Sono diverse le cooperative che lavorano a Spini, ma anche fuori dall’istituto con chi ha avuto diritto alle misure alternative alla carcerazione, impiegando detenuti ma anche ex, più o meno una settantina. “Non sembri poco - sottolinea Tiziano Cestari, operatore di Kaleidoscopio - Bisogna tener conto del forte turnover, dei trasferimenti e dei fine pena. In un anno sono riuscito a coinvolgere nei nostri laboratori fino a 150 carcerati, attualmente sono 35”. Nei laboratori di Kaleidoscopio, uno anche di falegnameria, sono stati confezionati sacchetti per le deiezioni dei cani, ora si imbottigliano detersivi e si assemblano termostati e ripiani in vetro per i frigoriferi mentre è in arrivo una commessa per la realizzazione di casette in legno per pipistrelli. Ma è innanzitutto il versante della socialità e relazionale quello che Cestari tiene a sottolineare. Kinè offre un laboratorio di digitalizzazione di documenti impiegando, part time, 6 detenuti assistiti da un tutor. “Dopo un primo periodo di assestamento - afferma il direttore della coop Ambrogio Monetti - adesso le cose marciano. Però, a mio avviso, nonostante la voglia di partecipazione sono ancora pochi i detenuti coinvolti. Ed è anche una questione di commesse e, da questo punto di vista, gli enti pubblici dovrebbero essere più sensibili”. “Venature” svolge il servizio di lavanderia dentro la struttura ma ne ha uno anche fuori. Impiega 6 reclusi seguiti da un operatore. “Direi che si lavora bene - sostiene il responsabile Domenico Zalla. Gli ambienti sono adeguati e gli spazi pure. Buoni pure i rapporti con l’area educativa”. “Il Gabbiano” occupa 16 tra detenuti ed ex nella manutenzione del verde e la messa in posa dei parchi gioco ed ha pure carpenteria e falegnameria mentre in “Alpi” lavorano in 4 come operai, autisti e carrellisti. Varese: evasione dal carcere di Miogni, preso in Svizzera il secondo fuggitivo Ansa, 23 febbraio 2013 Victor Sorin Miclea è stato fermato e arrestato in un albergo in Svizzera. Continua la fuga del terzo evaso, Daniel Parpalia, mentre Marius George Bunoro è stato rintracciato poche ore dopo l’evasione Catturato il secondo fuggitivo, era in un albergo in Svizzera, a Lugano. Victor Sorin Miclea, nato a Cluj il 28 marzo 1983, evaso dal carcere varesino dei Miogni lo scorso giovedì 21 febbraio, è stato catturato grazie al lavoro della polizia di Stato italiana e dei colleghi elvetici. Miclea è scappato insieme a due connazionali rumeni, Daniel Parpalia e Marius George Bunoro. Ora resta libero solo Parpalia, dato che la fuga di Bunoro è durata pochissime ore: è stato arrestato su un treno proprio mentre andava a Lugano. Miclea era detenuto dal 2011 per sfruttamento della prostituzione: ora lo aspetta il ritorno in cella. È finita in una stanza d’albergo di Lugano la fuga di Victor Serin Miclea, il 29enne romeno evaso dal carcere dei Miogni di Varese insieme a due connazionali, uno dei quali, il 23enne Marius George Bunoro, catturato a Melide, nelle vicinanze di Lugano nel pomeriggio dell’altro giorno e consegnato ieri alle autorità italiane. La cattura è avvenuta ieri sera quando la Polizia cantonale ticinese ha fatto irruzione nella camera della struttura alberghiera situata in centro città. Il giovane era solo e non ha opposto resistenza. Dagli accertamenti è risultato che per l’utilizzo della camera erano registrate tre persone: la compagna di Daniel Parpalia (ancora uccel di bosco) e due minorenni che secondo gli investigatori sarebbero solo nomi di comodo per nascondere Parpalia e Miclea, quest’ultimo sarà interrogato in giornata dal Ministero pubblico di Lugano. Roma: il Servizio Giardini organizza corsi di giardinaggio per le detenute di Rebibbia Il Tempo, 23 febbraio 2013 Antoana, Simona, Paola, Chiara, Romina hanno un debito con la giustizia e scontano pene da 3 a 30 anni nel carcere femminile di Rebibbia, in condizioni insostenibili di sovraffollamento e di igiene precaria. A Rebibbia le finestre sbarrate affacciano su un giardino interno cinto da siepi dove campeggiano alberi da frutto e ulivi; più in là un vitigno e due piccole serre. Alcune detenute sono impiegate nella manutenzione ordinaria di questi luoghi ma non hanno una formazione specifica e si affidano al buon senso, alle direttive delle più anziane. Sollecitato dal Garante comunale per i diritti dei detenuti, Filippo Pegorari, e dall’ex assessore all’ambiente, Marco Visconti, il Servizio Giardini ha avviato all’interno di Rebibbia il primo corso professionale di giardinaggio finalizzato alla creazione di posti di lavoro per le detenute. Antoana, Simona, Paola, Chiara e Romina, insieme ad altre 20 compagne prendono parte ai corsi 3 volte a settimana. In biblioteca imparano a riconoscere le malattie che colpiscono alberi e piante insieme a Francesco Messina, uno degli esperti comunali del servizio alberate. C’è poi la parte pratica che si svolge nel giardino e nelle serre dove i periti capitolini Piero Meloni e Vincenzo Lipoli insegnano a usare gli attrezzi e a riconoscere le varie piante. “Il corso è finalizzato al reinserimento sociale delle detenute che avvieranno la produzione in serra di piante da giardino che successivamente il dipartimento ambiente acquisterà per decorare le aiuole cittadine” spiega Pegorari. “Dopo questa prima fase le detenute che partecipano ai corsi avranno la possibilità di completare la loro preparazione presso la sede del Servizio Giardini dove impareranno a usare i macchinari complessi e, al termine del corso, otterranno un attestato comprovante la professionalità acquisita - ha aggiunto il garante comunale -. L’importanza di questo corso di studi non ha precedenti simili a Roma perché darà alle detenute una professionalità facilmente spendibile nella fase successiva alla detenzione”. Teramo: i detenuti coltivano l’orto nel carcere di Castrogno Il Tempo, 23 febbraio 2013 “Il verde oltre le mura”. È il progetto voluto e realizzato dalla direzione della casa circondariale di Castrogno in collaborazione con l’Istituto Professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente “Di Poppa - Rozzi” di Teramo. Un progetto che si traduce sinteticamente nel dare la possibilità ad alcuni detenuti di imparare l’arte dell’agricoltura, coltivando un vero e proprio orto all’interno del carcere. La finalità del progetto è quella di perseguire la riabilitazione psicofisica nonché il reinserimento socio-lavorativo dei reclusi più svantaggiati e a rischio di emarginazione, sviluppando, attraverso attività all’aria aperta, benefici effetti sulla salute. Inoltre lo scambio generazionale con gli studenti del “Di Poppa” sarà in grado di produrre interazioni positive per i detenuti, mentre l’allestimento di serre, giardini e la lavorazione del terreno creeranno aree verdi dove i genitori reclusi potranno incontrare i familiari senza barriere fisiche e sensoriali. Ieri mattina, tra l’entusiasmo dei detenuti coinvolti, il progetto è stato presentato dal direttore del carcere di Castrogno, Stefano Liberatore, e dalla responsabile dei servizi educativi, Elisabetta Santolamazza. Padova: teatro e carcere… una questione di dignità Andrea Porcheddu www.linkiesta.it, 23 febbraio 2013 Nel giorno in cui “la Repubblica” dava la notizia della condanna in appello a un anno e quattro mesi per Gian Luigi Gabetti e Franzo Grande Stevens, io entravo nel carcere Due Palazzi di Padova. Assieme a me, molti altri, chiamati dal Tam Teatromusica - storica compagnia del miglior teatro di ricerca italiano - ad assistere ad uno spettacolo fatto con i detenuti della struttura detentiva padovana. Attraversando i cancelli, i doppi controlli di rito, percorrendo i lunghi corridoi dove troneggiano affreschi che riproducono famose opere pittoriche, mi chiedevo se Gabetti e Grande Stevens - questi nomi “bene” che fanno tremare tutta Torino e mezza Italia - sarebbero mai andati a finire dietro le sbarre. E chissà se poi, una volta dentro, si sarebbero dedicati al teatro. Ma in carcere, si sa, vanno solo i disgraziati. La situazione del sistema carcerario italiano è noto a tutti. Una volta la detenzione doveva servire a redimere e riabilitare il colpevole, che - scontando la giusta pena - avrebbe avuto poi modo di rientrare in società. Forse non è mai stato così: ti buttano dentro, in situazioni di vita impossibili, e là resti. A far niente, ad aspettare, a cercare di sopravvivere a quel mondo. Due Palazzi è una città nella città. Poco dopo lo stadio di calcio, è una specie di fortino di cemento: molto meglio di tante altre strutture carcerarie d’Italia, certo, ma non fa eccezione rispetto alla infamante regola che ha fatto condannare l’Italia perché, in ambito europeo, viola sistematicamente i diritti dei detenuti. Non dimentichiamolo: i detenuti hanno diritti - lo ricordava, con la passionale lungimiranza, Alexander Langer proprio a Padova si presentò nel 1994 con sottobraccio la “Carta dei Diritti e dei Doveri del Detenuto”. Sono 20 anni che il Tam - con la gentile determinazione di Maria Cinzia Zanellato e, per quest’anno, di Loris Contarini - lavora nel carcere Due Palazzi. Nonostante mille difficoltà e - spesso - la distrazione dei politici, il progetto prosegue. Quest’anno, ritrovato il sostegno della Regione Veneto e del Comune di Padova, il Tam ha scelto di affrontare un testo noto e bellissimo di Franz Kafka: la Relazione all’Accademia. Ne è scaturito un lavoro, dal titolo Experti, di grande intensità, leggerezza, poeticità. Il gruppo di detenuti - o meglio: la “compagnia” come loro stessi vogliono definirsi - è varia per accenti e provenienze. Si avvertono subito dialetti del Sud Italia, un po’ di romanesco, poi l’arabo, l’anglo-africano. Ovvio, perché in carcere raramente potremmo sentire l’r moscia di nobili avvocati o consulenti finanziari. E allora in quelle lingue - che sono i suoni, i sapori di un’umanità che sta pagando i propri errori - l’apologo narrativo del praghese perde i contorni di astrazione e allucinazione per toccare territori di aspra verità. Qualcuno ricorderà la storia della Relazione: la metamorfosi di un primate in un civile, educato, acuto cittadino modello. Catturata sulle rive di un fiume, la scimmia deve presto decidere come affrontare il suo destino: se accettare lo zoo, oppure trasformarsi in qualcosa - o qualcuno - di nuovo. L’intelligente lavoro drammaturgico di Zanellato e Contarini ha moltiplicato le voci del monologo kafkiano, interpolandolo con acute testimonianze personali (frasi come “quando mi hanno catturato”, “quando mi hanno ferito” diventano aspramente reali se messe in bocca a carcerati che, con molta autoironia, giocano con la propria sorte), ma anche con rap inediti e struggenti o con il “S’io fossi foco” di Cecco Angiolieri. Ma il tutto è raccontato con grande lievità, con allegria quasi: sono molti gli inserti comici, gli sketch, senza escludere frecciatine ai vincitori dell’Orso d’oro di Berlino... Poi però, quando si parla di libertà, di “vie d’uscita”, quando si sente affermare “voglio diventare come un uomo” allora questo Experti affonda drammaticamente nella verità: sono davvero esperti, quegli uomini là, del doloroso percorso raccontato da Kafka. La scena, stretta nello spazio-cinema del carcere, è costituita da semplici parallelepipedi di legno: casse, insomma, chiuse ai tre lati, che diventano gabbie, celle, troppo strette per viverci. “Il teatro deve essere là dove succedono le cose” diceva tempo fa Ascanio Celestini, parlando dell’Ilva, del Sulcis, e dei tanti luoghi in cui la dignità umana è offesa e umiliata. Il Tam Teatromusica di Padova ha portato il teatro in carcere. Ed è bello, allora, che alla fine dello spettacolo, la “compagnia” abbia voluto dedicare il lavoro a uno di loro che li ha lasciati, Khaled: suicida in carcere lo scorso novembre. Chissà se Franzo e Gian Luigi, o i tanti come loro, conosceranno mai gli alfieri di questa dignità. Bari: il Teatro Kismet Opera torna ad aprire le porte del carcere minorile di Fornelli La Repubblica, 23 febbraio 2013 “Giardino come metafora della propria condizione esistenziale, della propria identità. Del proprio stare al mondo”. Nelle parole del regista Lello Tedeschi, il senso-guida del laboratorio teatrale intitolato Questo è il mio giardino, condotto con giovani detenuti. Il Teatro Kismet Opera torna ad aprire le porte del carcere minorile Fornelli di Bari al pubblico, invitato stasera e domani alle 20,30 alla presentazione del primo esito del percorso scenico condotto da Tedeschi (ingresso libero, con prenotazione obbligatoria; info 080.579.76.67). Un’altra stagione che perfeziona l’incontro del Kismet col mondo dei giovani reclusi, ne segue i passi, ne suscita sentimenti, nel corso di un lavoro pluriennale e denso di significati. Per questa stagione si abiterà un giardino praticando, come racconta il regista “la scena con i giovani detenuti e l’incontro con gli spettatori, di dentro e di fuori, a partire dalle parole che raccontano questo stare al mondo”. Il racconto di sé al centro dello studio perché “dire di sé è un pretesto, è sempre un po’rappresentare se stessi, reinventarsi, spesso sognarsi”. I visitatori - spettatori seguiranno la narrazione della vita quotidiana che anche qui, come spesso accade, assume forme e abiti immaginifici fino a giugno, data dell’evento conclusivo “e sarà come prendere sul serio i sogni”. Immigrazione: ieri sera disordini al Cie di Torino, 4 arresti, contusi cinque poliziotti Adnkronos, 23 febbraio 2013 Disordini ieri sera al Centro di identificazione ed espulsione di Torino dove un gruppo consistente di ospiti ha dato vita a una rivolta bruciando materassi e lanciando oggetti. Cinque poliziotti - fanno sapere le forze dell’ordine - sono rimasti contusi e la struttura ha riportato diversi danni. La situazione è stata riportata alla calma poco prima delle 22. Quattro uomini di origine nord africana sono stati arrestati per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato. La piena funzionalità della struttura è già stata ripristinata - spiegano dalla Questura di Torino - dopo che i danni sono stati riparati. India: caso marò, concesso permesso di 4 settimane per tornare in Italia a votare Ansa, 23 febbraio 2013 Massimiliano Latorre e Salvatore Girone potranno venire in Italia per le elezioni. La Corte suprema indiana ha concesso stamane un permesso di quattro settimane per i due marò detenuti da un anno in India. I due fucilieri del battaglione San Marco vennero arrestati in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori indiani, scambiati per pirati mentre erano a bordo della nave Enrica Lexie. Latorre e Girone hanno già beneficiato di un permesso, lo scorso Natale, per poter trascorrere le festività a casa. La sentenza è slittata di tre mesi. “Grande soddisfazione” del ministro degli Esteri, Giulio Terzi, per la concessione di un permesso elettorale di quattro settimane ai due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. “È uno sviluppo molto positivo e provo grande soddisfazione - ha affermato il titolare della Farnesina. Anzitutto perché consentirà ai nostri due ragazzi di esercitare il loro diritto di voto e di trascorrere quattro settimane con i loro familiari in Italia, ma anche perché la decisione di oggi conferma il clima di fiducia e collaborazione con le autorità indiane e lascia ben sperare per un positivo esito della vicenda”. Germania: il neurologo Gerhard Roth; un buco nel cervello, ecco da dove nasce il crimine Affari Italiani, 23 febbraio 2013 C’è una zona nel cervello in cui si annida il male. Una sorta di buco nero situato nella parte frontale del cervello che gli assassini, gli stupratori, i criminali hanno mentre gli altri no. Questa la teoria di un neurologo tedesco che per anni ha studiato i peggiori criminali nelle prigioni tedesche sottoponendoli a radiografie e studi. Secondo Gerhard Roth sarebbe proprio questo buco ad essere responsabile del comportamento criminale del soggetto che commette un delitto efferato. La sua scoperta deriva da studi su assassini e stupratori perpetrati per anni nelle carceri tedesche. “Quando sottoponiamo assassini, stupratori e ladri a una radiografia la zona cerebrale rivela quasi sempre gravi carenze nella parte frontale-inferiore” ha dichiarato in un’intervista il professore.? “Abbiamo mostrato ai soggetti alcuni cortometraggi e misurato le onde cerebrali prodotte al momento della visualizzazione: per ogni azione brutale e scena squallida mostrata non si è prodotto alcun tipo di emozione”. “Nell’area del cervello che regola la compassione e la pena non succedeva nulla” ha aggiunto. Secondo la teoria vi sarebbero delle predisposizioni genetiche alla violenza ma non solo. Ci sarebbero malattie che inducono atti criminali. “Ci sono stati casi di aumento dei comportamenti violenti a causa di un tumore in quell’area del cervello”. Una volta rimosso il carcinoma i soggetti perderebbero l’istinto alla violenza. La base genetica è quindi un elemento fondamentale che si intreccia con l’ambiente in cui cresce il soggetto e la sua storia clinica. Ma il professore si spinge oltre: “Quando vedo in un giovane dei disturbi dello sviluppo nel lobo frontale inferiore sono sicuro: al 66% sto osservando un potenziale criminale, un violento in divenire”. Secondo la teoria non è quindi difficile scoprire la tendenza criminale persino su un bambino. “È facile individuare i comportamenti anti-sociali fin dalla tenera età” I ragazzini che ai raggi X mostrano una massa oscura in quella zona del cervello per Roth vanno destinati alla rieducazione. Il medico ha anche classificato i criminali per tipologia. Esisterebbero tre categorie di persone potenzialmente pericolose: Le persone ‘psicologicamente sanè ma che sono cresciute in un ambiente in cui il furto, la violenza fisica e l’omicidio sono all’ordine del giorno. Poi ci sono quelli che presentano disturbi mentali e ai quali basta un’occhiata storta per esplodere e adottare comportamenti violenti. Infine un terzo gruppo, quelli che Roth ha definito “psicopatici puri”. A questi ultimi, secondo il ricercatore, appartenevano Hilter e Stalin.