Giustizia: Ue; Italia ripensi politica penale, non è possibile utilizzare carcere per ogni reato Ansa, 22 febbraio 2013 “Se si mette tutti in prigione, per qualsiasi reato, il risultato è il sovraffollamento, e condizioni orribili. La costruzione di nuove carceri non è la soluzione. Per questo si devono sviluppare misure alternative”. Lo ha detto il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muiznieks. Per il “tutti in prigione” si deve essere molto ricchi. L’Italia deve decidere quanto si sente ricca e quante persone può mantenere in prigione e pensare ad alternative, ha aggiunto. Giustizia: il ministro Severino; per risolvere sovraffollamento necessaria piena legislatura Adnkronos, 22 febbraio 2013 “Per risolvere il problema del sovraffollamento nelle carceri sarebbe necessaria una piena legislatura, perché solo un Parlamento che abbia una durata adeguata potrebbe varare tutte le leggi che sono necessarie per realizzare la deflazione dell’affollamento carcerario, e quindi per affrontare il problema in modo strutturale”. A sottolinearlo il ministro della Giustizia, Paola Severino intervenuta all’Università di Padova per la firma di un protocollo di intenti tra Ministero e Università per lo sviluppo degli studi universitari negli istituti penitenziari. Nel corso dell’incontro, il ministro ha spiegato: “Credo che anche il procedimento richiederebbe tempo: passare da un numero di detenuti che oscilla tra i 65 e i 66 mila, ed è già diminuito a seguito dei primi interventi del salva-carceri, e portarlo a livelli ben inferiori, richiederebbe comunque del tempo per tutti i provvedimenti che dovrebbero essere applicati. Si tratta di misure che richiederebbero tempo. La stessa Corte europea di Strasburgo - ha spiegato - ci ha dato un anno di tempo, quindi ha considerato che le misure strutturali non possono avere l’effetto di una bacchetta magica, in quanto misure strutturali hanno bisogno di tempo per poter produrre dei risultati visibili, sensibili, concreti per portare il numero dei detenuti a una misura rilevantemente inferiore”, ha concluso. Padova ha tracciato strada importante Il ministro della giustizia Paola Severino ha elogiato il sistema carcerario portato avanti, soprattutto con le attività lavorative interne, dal Due Palazzi di Padova. “Padova - ha detto il ministro, a margine di un convegno sullo studio universitario in carcere - ha tracciato una strada che credo vada approfondita e credo che questo solco vada indicato. La mia presenza qui - ha proseguito Severino - va proprio a segnalare che il carcere può essere diverso, che ci può essere una cultura della legalità che si acquisisce nel carcere, che ci può essere l’apprendimento di un lavoro, che ci possono essere delle strade alternative a una detenzione considerata semplicemente come privazione della libertà e Padova ne è la testimone e io sono qui per testimoniarlo”. Giustizia: Pagano (Dap), diversificare circuiti penitenziari, per maggior livello di sicurezza Adnkronos, 22 febbraio 2013 “Uno dei tre detenuti evasi dal carcere dei Varese è stato catturato”. Lo conferma all’Adnkronos il vice capo del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), Luigi Pagano. “Putroppo -aggiunge - quel carcere è fatiscente da anni e gli agenti fanno il loro lavoro con difficolta. Da oltre un ventennio si parla di dismetterlo”. Oltre alla costruzione di nuove carceri, come per Varese, il Dap rimarca la necessità di differenziare i circuiti. “Solo diversificando i circuiti e distribuendo meglio tutte le risorse - rimarca Pagano - potremmo controllare la situazione delle carceri italiane e intensificare i livelli di sicurezza distinguendoli in relazione alla pericolosità dei detenuti. Le circa diecimila persone che devono scontare una pena al di sotto dei 12 mesi - ribadisce il vice capo del Dap - potrebbero usufruire di misure alternative e non ingrossare le fila della popolazione detenuta facendoci disperdere le risorse e molte volte anche l’attenzione, senza poterci concentrare sui casi che più hanno bisogno di attenzione. Diversificare i circuiti non è una resa ma un’operazione intelligente e logica, oltre che prevista dalla legge”. Un percorso, questo, sul quale però alcuni sindacati - come il Sappe - non nascondono dubbi. “Mi sembra strano - risponde stupito Pagano - che il segretario del Sappe, Donato Capece, critichi la vigilanza dinamica, che non entra nel caso di Varese ma riguarda altre strutture penitenziarie. Ma come? Due anni fa il Sappe, per il ventennale del sindacato, tenne a Milano un convegno proprio sulla vigilanza dinamica e prendeva a modello il carcere di Bollate. Sono consapevole - prosegue - che faremmo meglio con migliaia di agenti ed educatori in più e risorse finanziarie illimitate, ma non le abbiamo. La scelta di puntare sui circuiti è la soluzione -conclude Pagano - anche per allocare tutte le risorse che abbiamo in una maniera ragionata e funzionale”. Giustizia: Beneduci (Rc); inaccettabili 24.000 detenuti in soprannumero, serve deflazione Adnkronos, 22 febbraio 2013 “I dati in nostro possesso dimostrano quanto deleteria, per le carceri italiane, sia stata la politica del governo Monti, esclusivamente a contenere e non a risolvere il problema delle carceri in Italia, tenuto conto che oramai sono oltre 24mila i detenuti in sovrannumero rispetto ai posti letto disponibili negli istituti di pena italiani”. A dichiararlo è Leo Beneduci, già segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) e attualmente candidato al Senato della Repubblica per il Lazio nella lista “Rivoluzione Civile” di Antonio Ingroia. “È infatti indubbio - continua - che, se riguardo alla crisi economica il governo Monti ha essenzialmente penalizzato le classi medie e i lavoratori dipendenti, il cui reddito non poteva essere nascosto malgrado la prevalente evasione fiscale in classi più abbienti - prosegue il candidato - altrettanto per le carceri, in luogo di provvedimenti rivolti alla tangibile deflazione del sistema, l’esecutivo ha ritenuto di limitare soltanto alcuni degli ingressi nel sistema, senza intervenire sulle maggiori cause del sovraffollamento e sulla sostanziale illegalità delle nostre carceri, che da tempo risultano estranee alla funzione risocializzante sancita dalla Costituzione repubblicana. In conseguenza, si hanno oggi in carcere oltre 66mila detenuti per meno di 42mila posti disponibili benché il titolo dei reati in esecuzione di pena, l’eccessivo utilizzo della custodia cautelare in carcere, le tossicodipendenze e le c.d. immigrazioni clandestine, consentirebbero ad oltre 25mila detenuti di uscire dalle patrie galere senza alcun danno per la Collettività e con un risparmio di spesa di oltre 1 mld di euro l’anno”. Inaccettabili 24 mila detenuti in più “A gravare, inoltre - sottolinea Beneduci -, sulle inefficienze del Sistema, come la recente evasione dei tre detenuti di Varese dimostra, la costante in riduzione nel numero e la crescente disorganizzazione nel coordinamento dei non oltre 39mila poliziotti penitenziari il cui organico è fermo al 1992 (quando i detenuti erano meno di 40mila), malgrado che gli evanescenti vertici dell’amministrazione penitenziaria centrale percepiscano compensi ingenti e analoghi a quelli della Polizia di Stato e dell’Arma dei carabinieri. Per tali motivi - conclude Beneduci - diviene irrinunciabile che il programma di Rivoluzione civile per le carceri e per la Polizia penitenziaria, a partire dall’abolizione della legge Bossi-Fini, dalla revisione della legge Fini-Giovanardi e dalla nuova Riforma del Corpo, trovi attuazione nel prossimo Parlamento e nei programmi del nuovo governo”. Giustizia: detenuti-studenti, grazie a un accordo le Facoltà Universitarie entra in cella di Francesco Dal Mas Avvenire, 22 febbraio 2013 L’accesso all’istruzione universitaria deve contare su “pari opportunità e uniformità” in tutto il territorio italiano. Anche quello delle carceri, perché è anche da qui che passa la riscoperta della legalità. È con questo spirito che il ministro delia giustizia Paola Severino ha sottoscritto a Padova, con il rettore dell’università Giuseppe Zaccaria, una Dichiarazione di intenti che impegna l’ateneo e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) a sviluppare un sistema integrato nazionale di studi destinati alle persone detenute. Già numerosi i poli universitari attivi dietro le sbarre: da Torino a Sassari, da Roma (Rebibbia) a Milano, salendo per Firenze e Padova. “Padova ha tracciato una strada che credo vada percorsa”, ha riconosciuto il ministro, tra l’altro evidenziando che ci vorrebbe un’intera legislatura per decongestionare puntualmente i penitenziari. “La mia presenza qui vuole segnalare - ha insistito - che il carcere può essere diverso, che la cultura della legalità può essere acquisita nel carcere, che dietro le sbarre si può imparare un lavoro, che ci possono essere strade alternative a una detenzione considerata semplicemente come privazione della libertà. Padova ne è la testimone”. Solo una settimana fa Severino era stata a Padova, per nuovi accordi sul lavoro nei penitenziari, valorizzando le cooperative sociali. Il progetto, sottoscritto ieri nella storica aula magna dell’ateneo, assegna a Padova il compito di coordinare le esperienze esistenti e di raccogliere proposte per uno schema di protocollo d’intesa. Il primo passo operativo è l’istituzione di un apposito gruppo di lavoro composto da rappresentanti di Dap, università e istituzioni territoriali. Il Dipartimento, dal canto suo, predisporrà strutture e locali adeguate per la permanenza dei detenuti-studenti e lo svolgimento delle attività didattiche. Altra interessante clausola dell’accordo è il comune impegno, dell’ateneo e del ministero, a diffondere la conoscenza del mondo penitenziario all’interno delle Università e, attraverso la riflessione del mondo accademico, alla società esterna. Sono sempre più numerosi i detenuti che hanno l’ambizione di diventare dottori. In Lazio, negli ultimi sette anni, sono aumentati del 570%. Nella casa circondariale di Prato l’università di Firenze ha una vera e propria sede didattica. A Bologna, l’Università e il Garante regionale dei detenuti si sono messi d’accordo, tra l’altro, per il finanziamento di una borsa di studio per un laureato in giurisprudenza perché possa completare una ricognizione sulle risorse del volontariato di assistenza penitenziaria e post-penitenziaria. Fin dal 2003 il carcere “Due Palazzi” di Padova ospita attività accademiche per tutti i detenuti del Triveneto che intendono laurearsi. Il contributo economico della Fondazione della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, attraverso l’Associazione Volontari Carcerari, ha assicurata la copertura delle spese relative alle tasse universitarie anche ai detenuti privi di mezzi e ha garantito il sostegno economico per il reperimento del necessario materiale didattico (libri, postazioni, materiale informatico). Circa una settantina gli iscritti, distribuiti tra i corsi di laurea in Lettere e Filosofia, Scienze Politiche, Scienze della Formazione, Giurisprudenza e Ingegneria. Presso la casa circondariale “Lo Russo e Cotugno”, di Torino, gli studenti per continuare devono superare almeno tre esami di profitto, oltre che partecipare all’opera di rieducazione. Al “Pausania” di Alessandria sono attivati il corso di laurea in Scienze politiche, il corso di laurea in Informatica giuridica e il corso di laurea in Informatica. Il polo di Reggio Emilia prevede la formazione a distanza. Giustizia: Fondazione “Con il Sud” emana Bando da 2,4 mln per le carceri del meridione Redattore Sociale, 22 febbraio 2013 La Fondazione lancia un bando da 2,4 milioni di euro per “progetti speciali e innovativi” a favore dei detenuti e delle loro famiglie nelle regioni meridionali. Invito rivolto a cittadini e organizzazioni, sia non profit che pubbliche. Scadenza: 12 aprile. Fino a 2,4 milioni di euro per promuovere progetti “speciali e innovativi” a favore di detenuti italiani o stranieri e delle loro famiglie. È quanto mette a disposizione la Fondazione con il sud invitando cittadini e organizzazioni (siano essi enti del terzo settore e del volontariato, istituzioni pubbliche o altro), a presentare “idee innovative” su un tema “sensibile e drammaticamente attuale come la condizione dei detenuti - minori e aduli - e il loro rapporto con le famiglie nel Mezzogiorno”. L’iniziativa vuole essere una risposta allo “stato di emergenza” decretato dal presidente del Consiglio dei ministri nel 2010, spiega la Fondazione, a causa del sovraffollamento e del degrado delle carceri italiane. “Sono circa 66 mila i detenuti reclusi nei 206 istituti di pena italiani (oltre 25 mila nelle sei regioni meridionali) - spiega la nota della Fondazione -, a fronte di una capienza regolamentare di 47 mila posti. Per questo, l’Italia è stata condannata più volte dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo per trattamenti degradanti e inumani ai detenuti”. Una situazione complessa a cui si sommano altre problematiche proprie del detenuto “in particolar modo la perdita del proprio ruolo nella società e nella propria famiglia - aggiunge la Fondazione -, con la conseguente privazione dei più elementari punti di riferimento esterni. Nel caso di carcerati con prole (nel Mezzogiorno il 47,8% dei detenuti è genitore), la perdita del proprio ruolo nei riguardi dei figli, il senso di inadeguatezza e la completa deresponsabilizzazione rendono più difficile un compito già altrimenti complicato”. Le “idee progettuali” devono essere presentate alla Fondazione con il sud entro il 12 aprile 2013, illustrando sinteticamente l’intervento proposto, l’innovatività della metodologia da applicare, indicando i beneficiari e i partner. Gli interventi dovranno essere realizzati nelle sei regioni meridionali (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia). “Verranno valutate positivamente le idee che, tra i requisiti richiesti, sappiano anche garantire, a progetto ultimato, la potenziale continuità e sostenibilità delle attività proposte - spiega la Fondazione -. La Fondazione provvederà, dopo un processo di verifica e valutazione di tutte le Idee Progettuali ricevute e considerate ammissibili, alla pre-selezione di quelle ritenute maggiormente in linea con lo spirito dell’iniziativa. Le idee pre-selezionate dovranno essere convertite in progetti esecutivi attraverso la presentazione di una proposta di progetto più dettagliata e completa”. Info e documentazione su www.fondazioneconilsud.it. Giustizia: amnistia, la cura peggiore del male di Mario Garavelli (ex presidente Tribunale di Torino) Il Fatto Quotidiano, 22 febbraio 2013 È vero che le carceri sono sovraffollate, ed è vero che i detenuti (ed anche gli agenti di polizia penitenziaria) vivono in condizioni penose. Ma il rimedio dell’amnistia, che periodicamente si ripropone malgrado gli insuccessi del passato, è peggiore del male. Questa cosiddetta forma di clemenza è profondamente sbagliata, perché: 1) è iniqua ed eticamente negativa; 2) è pericolosa; 3) è inutile. Sul primo punto, quando si afferma che lo Stato di diritto è violato dalla condizione carceraria, si finge di dimenticare che ancora più lo Stato di diritto viene leso da una legge che annulla una gran quantità di reati gravi in modo casuale, solo per quelli che li hanno commessi in un certo periodo, beffando le vittime che chiedono giustizia e creando una situazione di forte disuguaglianza rispetto a coloro che, commettendo gli stessi reati a partire dal giorno successivo al periodo in cui l’amnistia non è più in vigore, saranno duramente condannati, senza contare il discredito verso un ordinamento che da un lato minaccia pene severe e dall’altro cancella ogni conseguenza per i fatti ai quali esse si dovrebbero applicare. Non per nulla il diritto penale dei Paesi più evoluti non conosce praticamente un simile istituto, per l’abuso del quale l’Italia ha dovuto aumentare i vincoli parlamentari in tempi recenti; e non per nulla l’opinione pubblica, non solo perché preoccupata da ben altri problemi ma perché evidentemente non condivide questo buonismo ingiustificato, resta inerte di fronte a simili proposte. Ma l’amnistia è anche fonte di gravi pericoli: l’uscita dal carcere di un gran numero di detenuti (un piccolo numero non servirebbe), in un periodo di crisi del lavoro e di ogni tipo di assistenza sociale, non può che favorire la commissione di nuovi reati, come si può arguire con il semplice buon senso, e come è stato ampiamente dimostrato con l’esperienza dell’ultimo condono, che ha visto l’impennata degli indici di illegalità subito dopo la sua concessione. L’argomento secondo cui solo una percentuale ridotta (il 40 per cento?) dei detenuti liberati ritorna a delinquere è del tutto falso, in quanto dell’infinità di reati dei quali non si scopre l’autore (per i furti circa il 90 per cento) nessuno può dire che non siano stati commessi proprio da costoro. Ma se anche quelle percentuali fossero vere, non si pensa alle vittime di quelle migliaia di delitti che si aggiungerebbero a quelli che ogni giorno ci affliggono, aumentando l’insicurezza di una società che ha già il triste primato di una criminalità, organizzata e non, sempre più aggressiva. Infine, e forse soprattutto, l’amnistia è inutile. Certo, la storia si dimentica facilmente, ma come fingere di non sapere che le continue misure di clemenza che si sono succedute, a distanza spesso di pochi anni, dal dopoguerra in poi, hanno prodotto un illusorio sollievo, dato che dopo breve tempo le carceri sono tornate alla situazione precedente? È evidente che, fermo restando il sistema che ha prodotto il sovraffollamento, esso sarà ripristinato in un termine breve, per cui di una simile abrogazione temporanea della legge si potrebbe parlare solo al termine di una radicale riforma della giustizia penale, e non come pseu-do rimedio isolato e irrazionale. Le cure sono ben altre: un significativo rafforzamento delle misure alternative, una corretta depenalizzazione, che colpevolmente il Parlamento ha lasciato cadere malgrado gli sforzi del ministro, l’ipotesi di espellere dall’Italia i detenuti stranieri sospendendo la loro pena, la costruzione di nuove carceri già avviata dal governo, in una parola la destinazione di maggiori attenzioni e risorse al mondo carcerario, che unisca le esigenze di sicurezza a quelle umanitarie e in particolar modo tenda effettivamente a quella rieducazione del condannato alla quale si richiama l’art. 27 della Costituzione, ed a cui il “liberi tutti” dell’amnistia non darebbe certo un contributo. Giustizia: l’allergia che fa evitare il carcere di Gian Antonio Stella Corriere della Sera, 22 febbraio 2013 Non può mangiare fave e piselli, ma la prigione non cambia il menu. E il prestanome del boss, condannato a 15 anni e mezzo, ottiene i domiciliari. Pane e cipolla, pane e cipolla, pane e cipolla. Se fosse un detenuto affidato alle sue cure, Joe Arpaio saprebbe bene come trattare il detenuto Michele Aiello, il “colletto bianco” accusato di essere il prestanome del boss Bernardo Provenzano e condannato a 15 anni e sei mesi. Non può mangiare fave e piselli perché è allergico a quei legumi e dunque potrebbe morire in carcere? Lo sceriffo di origine irpina che mesi fa è stato rieletto per la sesta volta sceriffo di Maricopa, in Arizona, non ci perderebbe tempo: mangi pane e cipolla. Che i suoi metodi siano così brutali da spingere le associazioni per i diritti umani a elevare vibranti e sacrosante proteste è fuori discussione, Joe Arpaio, convinto che chi va in galera se l’è meritata e deve costare il meno possibile ai contribuenti americani, è arrivato al punto di allestire in mezzo al deserto una prigione di tende con un altissimo e insuperabile sistema di palizzate e reticolati intorno dove in estate la temperatura arriva a 45 gradi: “Se possono resistere nelle tende i nostri soldati in Iraq o in Afghanistan possono starci anche i delinquenti”. Quanto alla dieta, si è vantato per anni di sfamare gli “ospiti” con 45 centesimi al giorno. Adesso pare sia stato costretto a raddoppiare: un dollaro. Cifra che, sicuramente, gli sembra uno spreco. Non ci piace, Joe Arpaio. E va ripetuto senza ambiguità: chi ha sbagliato ha diritto a essere rispettato. Fosse pure il peggiore criminale, chi è allergico al latte ha il diritto di non essere costretto a bere latte. Ovvio. Detto questo, la perizia che giorni fa è tornata a definire “incompatibile” con il carcere la situazione dell’ingegnere condannato insieme con Toto Cuffaro, da un anno agli arresti nella sua villa di Bagheria dopo essere stato scarcerato perché nella dieta del penitenziario in cui era rinchiuso c’erano tutti i giorni o le fave o i piselli, è sconcertante. Tanto più che si aggiunge ad altre scelte del passato che avevano sollevato perplessità e polemiche. Prima fra tutte la risposta del carcere di Sulmona, che si era detto impossibilitato a fornire al detenuto cibi senza quei legumi ai quali è allergico. Per non dire della tesi degli ispettori del ministero della Giustizia che, inviati ad accertare se non ci fossero irregolarità nella decisione del tribunale di sorveglianza dell’Aquila di concedere ad Aiello gli arresti domiciliari anziché imporre alla direzione del carcere abruzzese un menu “mirato”, hanno sostenuto, racconta la cronaca dell’Agi, che “queste disposizioni non spettano ai magistrati”. Ricevuta la perizia, la patata bollente è tornata ai giudici palermitani. Come la pensino i familiari delle vittime della mafia lo ha detto Giovanna Maggiani Cheli, dell’Associazione vittime della strage di via dei Georgofili, a Firenze: “Per favore, non sia insultata la nostra intelligenza”. E dopo avere ricordato che “il tritolo di via dei Georgofili fu comprato anche con i capitali per i quali Aiello ha fatto da prestanome”, la signora se l’è presa con i Tribunali di Sorveglianza: “Siamo così offesi che chiediamo con urgenza una legge affinché sia il Parlamento a decidere sul 41 bis, sui domiciliari e quant’altro quando i mafiosi ne fanno richiesta, così come si fa per i parlamentari quando bisogna decidere se devono essere indagati, arrestati o quant’altro, così finalmente capiremo chi sta con la mafia”. Una reazione comprensibile: se “ci deve esser bene un giudice a Berlino”, così ci deve esser bene una galera in Italia dove non si mangino fave e piselli... E se non c’è, uno Stato serio dovrebbe farla apposta, A costo di assumere un cuoco solo per cucinare pasta e riso in bianco per l’ingegnere Michele Aiello. Giustizia: Angelo Rizzoli resta in custodia cautelare; accuse inconsistenti, non mi arrendo Ansa, 22 febbraio 2013 “Ho lottato tutta la vita contro l’ingiustizia, non mi arrendo certo ora, se i magistrati mi consentono di sopravvivere”. Queste le parole dette dall’editore Angelo Rizzoli, in custodia cautelare all’ospedale Sandro Pertini di Roma, al deputato pdl Renato Farina, che oggi è andato a trovarlo. Rizzoli è stato arrestato il 14 febbraio con l’accusa di bancarotta fraudolenta. “L’editore - ha riferito Farina a termine dell’incontro - ha una paralisi alla gamba destra ed una al braccio destro. Ha una grave insufficienza renale, un forte diabete e una cardiopatia seria. Il tutto nel quadro di una sclerosi multipla. Rizzoli dopo aver rifiutato acqua e cibo è oggi nutrito via flebo e con sacche. Non può minimamente spostarsi perché è stato privato del bastone, che solo gli garantiva un minimo di possibilità motoria. Questa custodia cautelare francamente disumana, grava su un uomo assolutamente incensurato e che ha già scontato in passato tredici mesi di carcere salvo poi essere assolto. Con voce flebile Rizzoli - ha concluso Farina - ha voluto rimarcare la gentilezza e assiduità del personale e “l’assoluta inconsistenza di ogni accusa”. Giustizia: a 80 anni la “santona” Mamma Ebe torna in carcere per scontare pena residua Adnkronos, 22 febbraio 2013 Nel pomeriggio i carabinieri della stazione di Pietrasanta, in esecuzione di un ordine di carcerazione emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Bologna, hanno arrestato Maria Gigliola Giorgini, meglio conosciuta come Mamma Ebe, di 80 anni che era detenuta agli arresti domiciliari a Pietrasanta. È ritenuta responsabile del reato di associazione per delinquere finalizzata all’esercizio abusivo della professione medica con somministrazione di medicinali pericolosi per la salute pubblica, per il quale dovrà scontare la pena residua di un anno e tre mesi di reclusione. La donna è stata associata presso la Casa Circondariale di Pisa a disposizione dell’Autorità Giudiziaria. Toscana: Radicali; appello a nuovi parlamentari, loro primo atto sia di visitare un carcere Ansa, 22 febbraio 2013 “Nella prossima legislatura con buona probabilità non ci saranno dei Radicali in Parlamento, ci appelliamo a tutti gli eletti dalla Toscana perché inaugurino il loro mandato con una visita alle carceri toscane. Vedere con gli occhi la situazione ed ascoltare le storie dei detenuti e della polizia penitenziaria può far cambiare una posizione pregiudiziale nei confronti di un delinquente. E può anche far elaborare una serie di proposte”. Lo ha detto il senatore dei Radicali Marco Perduca, intervenendo oggi a Firenze. Perduca ha illustrato, tra gli altri, i dettagli di una serie di visite che i Radicali hanno svolto in sei penitenziari toscani negli ultimi giorni. “Una volta conosciuto il problema nel dettaglio - ha aggiunto - siamo certi che questi parlamentari arriveranno alla nostra conclusione, ovvero che c’è bisogno di un’amnistia per poi ripartire con una riforma della giustizia”. Perduca ha ricordato che anche “in Toscana esiste il sovraffollamento delle carceri e c’è un eccesso di reclusi del 30%, dovrebbero esserci 3100 detenuti ma sono 4.200. Qui siamo ben oltre l’emergenza e c’è uno stato conclamato di illegalità costituzionale”. Per manifestare contro l’emergenza carceri che non viene affrontata dalle trasmissioni televisive, domani una delegazione di Radicali organizzerà un presidio davanti alla sede Rai di Firenze. Vicenza: la Caritas su “Progetto Esodo”; conviene a tutti sostenere il reinserimento sociale Ansa, 22 febbraio 2013 C’è un progetto a Vicenza per il recupero alla società delle persone detenute che sta dando risultati lusinghieri, sia in termini di qualità che di risparmio economico. Lo sostiene la Caritas citando il caso del Progetto Esodo, iniziato nel 2011 (non solo nel vicentino ma anche nelle diocesi di Verona e Belluno) grazie ad un finanziamento della Fondazione Cariverona di 1,8 milioni nel 2011 e di 1,56 milioni nel 2012. La situazione degli istituti di pena italiani, ricorda la Caritas, è nota: sovraffollamento cronico, promiscuità, insufficienza delle politiche di riabilitazione, carenza di personale. Ne consegue un impoverimento della funzione rieducativa, che pure la Costituzione Italiana individua come prima finalità degli Istituti di pena. La necessità di agire con strategie educative efficaci è confermata anche dall’altissima quota della recidiva (70%) per chi sconta la pena in carcere (dati Sidipe - Sindacato Direttori Penitenziari). A fronte di questa situazione, risultano essere sempre più importanti, quindi, iniziative come il Progetto Esodo, che traccia percorsi alternativi al carcere e di recupero sociale delle persone detenute attraverso il lavoro. Percorsi vantaggiosi anche dal punto di vista economico, visto che ogni detenuto recluso in Italia nel 2012 è costato 3.511 euro al mese (dati Dap, ottobre 2012), mentre il costo mensile per una persona in misura alternativa al carcere seguita dal Progetto Esodo è stato nello stesso anno di 900 euro al mese. Palermo: Bernardini; 150 detenuti Ucciardone vogliono votare, chiedono seggio speciale Ansa, 22 febbraio 2013 Terza tappa siciliana per Rita Bernardini, capolista alla Camera nelle circoscrizioni Sicilia 1 e Sicilia 2 per la lista Amnistia Giustizia e Libertà. Dopo Catania e Messina, la deputata radicale anche a Palermo ha scelto l’ingresso di un carcere, l’Ucciardone, come teatro della sua conferenza stampa in vista del voto di sabato e domenica prossimi. Rita Bernardini, da parlamentare, ha visitato tante volte il penitenziario borbonico e ne ha denunciato la situazione di grande degrado e abbandono: le celle sono superaffollate, contengono 520 detenuti contro i 430 previsti per regolamento, e le condizioni igienico sanitarie sono allarmanti. ‘Nel sito della giustizia non si tiene conto che ci sono tre sezioni chiuse per lavoro. La 5, la 6 e la 7 - dice la candidata radicale. Quindi la situazione è ancora più drammatica”. Una buona notizia arriva dalle mura borboniche. “La direttrice del carcere ha fatto un ottimo lavoro di sensibilizzazione sulla partecipazione al voto all’interno dell’istituto di pena - aggiunge la Bernardini. In 150 hanno fatto richiesta di potere votare nel seggio speciale. La scorsa volta alle regionali aveva votato solo una persona”. La deputata radicale fonda sulla riforma del sistema carcerario e della giustizia i punti salienti del programma elettorale. “Fino a quando l’Italia non si porterà sui binari della legalità costituzionale su carcere e giustizia - spiega Bernardini - non potrà affrontare neanche i grandi temi economici e far ripartire il Paese. L’Europa non si fida più dell’Italia perché oggi non è uno Stato di diritto”. Il capolista al Senato dei radicali in Sicilia è l’avvocato Tommaso Farina Sciacca che non risparmia critiche ad Antonio Ingroia, candidato premier di Rivoluzione Civile. Credo nella separazione delle carriere dei magistrati non vedo bene il loro inserimento in politica - dice. Non si può votare Rivoluzione civile, un movimento fondato da tre magistrati e guidato dal Torquemada Ingroia. Non voglio uno Stato di polizia Como: Moroni (Fli); Polizia penitenziaria e detenuti sopravvivono tra difficoltà quotidiane Il Giorno, 22 febbraio 2013 L’onorevole Chiara Moroni, ha incontrato in carcere gli agenti di polizia penitenziaria del Bassone, per fare il punto sui problemi aperti. “La situazione delle carceri è così drammatica da mettere in discussione la civiltà del nostro Paese”. Questo l’esordio di Chiara Moroni, parlamentare di Fli, al termine della visita in carcere al Bassone avvenuta questa mattina. “Le condizioni in cui i detenuti sono costretti a scontare la pena - prosegue - sono spesso disumane: lo Stato deve assicurargli condizioni di vita compatibili con la dignità della persona che garantiscano il diritto alla rieducazione e al reinserimento in società. E non si può dimenticare che la situazione è insostenibile si ripercuote poi su chi nelle carceri lavora”. Durante la visita, la Moroni ha incontrato la Polizia penitenziaria durante l’assemblea del Sinappe (Sindacato Nazionale Autonomo Polizia Penitenziaria), in corso all’interno della struttura penitenziaria. “Il problema del sovraffollamento della carceri - ha aggiunto l’onorevole Moroni - è un tema di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile: il nuovo governo ha il dovere di intervenire in modo tempestivo e concreto per riorganizzare gli istituti penitenziari, prevedere un’edilizia carceraria e assicurare condizioni di detenzione normali. Oggi le prigioni italiane non hanno nulla di rieducativo e quelli che dovevano essere luoghi finalizzati al reinserimento si sono trasformati in palestre per ulteriore emarginazione e criminalità”. “La situazione di emergenza dovrebbe dettare la necessità di adottare misure di clemenza speciali e spingere a elaborare nuove normative. La carcerazione preventiva - ha concluso la deputata di Futuro e Libertà - è un istituto che dovrebbe corrispondere a tre caratteristiche: l’inquinamento delle prove, il pericolo di fuga e di reiterazione del reato. Tuttavia le carceri sono piene di detenuti in attesa di giudizio: l’uso a volte opinabile della carcerazione preventiva spesso come strumento coercitivo per l’acquisizione di prove è inaccettabile quando la misura cautelare potrebbe essere benissimo scontata ad esempio ai domiciliari. Sono tante le norme, o l’applicazione di certe norme, che contribuiscono all’affollamento delle carceri. La situazione della carceri è drammatica e si ripercuote su chi lavora in un ambiente insalubre e difficoltoso. Non si può inoltre dimenticare che la Polizia penitenziaria non è equiparata alla Polizia di Stato”. Venezia: il pg Calogero scrive ai procuratori; carceri sono sovraffollate, limitate gli arresti di Alberto Zorzi Corriere Veneto, 22 febbraio 2013 Il procuratore generale veneto sollecita i colleghi al rispetto della Costituzione. L’invito: ridurre le misure cautelari. Il procuratore di Venezia Delpino contrario. Quattro allegati, tutti di fonte prestigiosa e tutti centrati sulla necessità di usare il carcere in maniera più prudente possibile: il primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo, il procuratore generale Gianfranco Ciani, il procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati e infine il suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario a palazzo Grimani lo scorso 26 gennaio. E un’accompagnatoria brevissima, inviata a tutti i capi delle procure venete: “Invio la nota in oggetto con invito a farne oggetto di apposita direttiva di carattere generale nella auspicabile prospettiva di adeguare l’esercizio di richiesta e assenso delle misure cautelari personali all’art 27 comma 2 della Costituzione”. Firmato Pietro Calogero, procuratore generale della Corte d’appello di Venezia. Il quale dunque chiede ai pubblici ministeri di arrestare meno, visto lo stato “disumano” - termine usato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano-delle carceri italiane. “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”, dice infatti l’articolo 27 della carta fondamentale dell’Italia e Calogero, che oggi preferisce non commentare - “non ho nulla da aggiungere rispetto a quanto ho scritto”, l’aveva già citato appunto un mese fa, aprendo l’anno giudiziario del Veneto. “Sono categoricamente escluse - aveva detto allora nel suo intervento - una disciplina e una applicazione delle misure tanto estese da configurare una indebita anticipazione delle pene irrogabili con il giudicato”. Usare con eccessiva facilità il carcere rischia infatti di colpire troppo chi in quella fase è un semplice indagato, mentre dovrebbe essere la punizione finale al termine dei tre gradi di giudizio. D’altra parte anche Lupo lo aveva detto all’inaugurazione di Roma: “La Corte europea ha richiamato le raccomandazioni del comitato dei ministri che invitano non soltanto gli Stati, ma anche ciascun pubblico ministero e ciascun giudice, a ricorrere il più ampiamente possibile alle misure alternative alla detenzione, anche allo scopo di ridurre la crescita della popolazione carceraria”. “La privazione della libertà personale nella sua forma più gravosa, la custodia in carcere, è e deve rimanere l’extrema ratio”, aveva aggiunto Ciani. Pensieri che si erano concretizzati nella circolare di Bruti, proprio all’indomani della sentenza dell’8 gennaio con cui lo Stato italiano era stato condannato da Strasburgo a risarcire alcuni detenuti per le condizioni carcerarie. Principi che Calogero richiama e che però il procuratore distrettuale Luigi Delpino, capo dell’ufficio di Venezia, non si sente di “sposare”. “Le disfunzioni dello Stato - afferma riferendosi allo stato delle carceri - non possono andare a detrimento della giustizia, non mi pare la strada migliore”. Per ora dunque Delpino non ha intenzione di emanare nessuna direttiva: “Non posso dire ai miei pm di non arrestare, la scelta spetta al singolo magistrato”. Tra i corridoi veneziani però si ricorda che in laguna si arresta meno già da tre anni, da quando cioè l’ex procuratore Vittorio Borraccetti aveva stimolato i pm a seguire alla lettera il codice, laddove dice che in caso di arresto in flagranza per reati “da direttissima “va evitato il carcere, visto che in attesa del giudizio l’arrestato va trattenuto nelle camere di sicurezza presso questure, commissariati o caserme. Tutto questo, ovviamente, salvo diverse esigenze cautelari (per esempio per la pericolosità sociale). “Il mio provvedimento mirava soprattutto a ridurre il fenomeno del “turnover”, cioè di quei detenuti che entrano e, spesso dopo 24 o 48 ore, escono”, ricorda Borraccetti. All’epoca l’attuale membro del Csm finì sotto il fuoco incrociato e venne accusato anche dai sindacati di Polizia di vanificare il loro lavoro. “Di fronte alla situazione degli istituti penitenziari bisogna fare qualcosa, i detenuti non possono essere lasciati in quelle condizioni - conclude Borraccetti - anche un’eventuale amnistia sarebbe insufficiente: dopo qualche anno si tornerebbe da capo”. Catanzaro: l’Anm replica in merito alla presunta mancata attività ispettiva nel carcere www.catanzaro.informa.it, 22 febbraio 2013 Riceviamo e pubblichiamo. “Recentemente è apparso su Catanzaro Informa un articolo giornalistico in relazione ad una visita effettuata da un senatore del Pd unitamente ad un suo collaboratore presso l’istituto penitenziario di Catanzaro “Ugo Caridi”, articolo nel quale, oltre a denunciarsi le difficili condizioni di vita dei detenuti e le carenze strutturali dell’istituto, si afferma testualmente che “molti detenuti hanno lamentato la mancata attività ispettiva in carcere da parte del competente magistrato di sorveglianza ed il continuo rigetto di qualsiasi genere di richiesta rivoltagli”. Orbene, la giunta apprezza l’interessamento delle forze politiche e di tutti i cittadini alla drammatica situazione delle carceri italiane che ha addirittura portato il capo dello stato ad un accorato appello per soluzioni legislative alla problematica, anche per rendere sempre più effettiva la finalità rieducativa della pena ed evitare condanne in sede internazionale per trattamenti contrari al senso di umanità. Tuttavia, la diffusione a mezzo stampa di generiche lamentele di non meglio specificati detenuti circa presunte inadempienze della magistratura di sorveglianza, in assenza delle necessarie verifiche, ottiene l’unico effetto di minare la credibilità della magistratura senza apportare alcun beneficio alle condizioni dei detenuti stessi. Nella specie, infatti, il magistrato di sorveglianza competente per la vigilanza sull’istituto, sulla base della documentazione a disposizione presso gli uffici del tribunale di sorveglianza di Catanzaro, è risultato avere sempre pienamente adempiuto ai suoi compiti, tanto che a seguito delle sue accurate ispezioni nei locali -comprese le celle - e dei colloqui con i detenuti, ha inviato missive alle autorità competenti segnalando le criticità rilevate. Nel ribadire l’importanza dell’attenzione di tutto il paese sulla problematica carceraria, la giunta rileva come sia del tutto estraneo alla finalità perseguita, il richiamo, anch’esso generico e pericoloso, a non meglio specificati provvedimenti giurisdizionali di “rigetto di richieste dei detenuti” che ottiene l’unico effetto di un facile consenso nella popolazione carceraria a scapito del prestigio dell’istituzione giudiziaria”. La Giunta Distrettuale Anm di Catanzaro: Letizia Benigno, Luigi Maffia, Patrizia Maiore, Teresa Reggio, Lucia Monica Monaco, Sonia Damiani, Vincenzo Quaranta. Firenze: Perduca (Ri); per Opg di Montelupo mancano certezze, accelerare la dismissione Ansa, 22 febbraio 2013 A poche settimane di distanza dal termine fissato per legge per la chiusura degli Opg, “per quello di Montelupo manca ancora un quadro di riferimento certo per le 100 persone che vi sono ancora detenute”. Lo ha detto il senatore dei Radicali Marco Perduca, intervenendo oggi a Firenze sul tema delle carceri. “I detenuti considerati ancora pericolosi potrebbero essere trasferiti nel carcere di Empoli che però è piccolo e attualmente è adibito a penitenziario femminile. Chi ha invece solo problemi psichiatrici pare che dovrebbe essere destinato a una struttura a San Miniato (Pisa) che però non è attualmente a norma. Per questo l’edificio andrebbe abbattuto e ricostruito ma per fare questo intervento sarebbero necessari tre anni”. Secondo Perduca “in Toscana non mancano edifici che potrebbero essere recuperati per situazioni del genere. Ad esempio i vecchi ospedali potrebbero essere utilizzati per questo scopo. Perché il presidente della Regione Rossi non ha ancora trovato il tempo per fare il punto su questa situazione? Ci appelliamo al governatore affinché acceleri questo processo e lo finanzi”. Milano: la Garante comunale; per il voto dei detenuti allestiti quattro seggi speciali Adnkronos, 22 febbraio 2013 “In occasione delle elezioni di questo fine settimana, il Comune di Milano ha predisposto quattro seggi speciali per raccogliere il voto degli aventi diritto detenuti presso le carceri milanesi: due seggi speciali all’interno della casa circondariale di San Vittore e uno ciascuno per gli istituti di reclusione di Opera e Bollate”. Lo ha ricordato Alessandra Naldi, garante dei diritti delle persone private della libertà per il Comune di Milano. Naldi ha sottolineato come tutte le persone detenute di cittadinanza italiana e che non abbiano avuto una condanna definitiva che preveda la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici abbiano il diritto di voto negli istituti. “Per questa tornata elettorale - ha aggiunto la Naldi - è stato fatto uno sforzo enorme a tutti i livelli, dal Ministero dell’Interno, all’Amministrazione penitenziaria, ai Comuni interessati, per informare le persone detenute della possibilità di votare in carcere e per cercare di superare tutte le difficoltà che comporta l’esercizio del diritto di voto in situazione di detenzione. Infatti, per poter votare, la persona detenuta deve fare richiesta in anticipo alla Direzione del carcere che deve a sua volta mettersi in contatto con i servizi elettorali del Comune di provenienza dell’interessato e del Comune in cui ha sede il carcere; tutti questi passaggi sono necessari per provvedere all’iscrizione del votante nelle liste dei cosiddetti Seggi speciali. C’è poi una difficoltà aggiuntiva, che è quella che ancora impedirà a molte persone detenute di esercitare il diritto di voto: la necessità di procurarsi dal carcere la tessera elettorale o di farsi rilasciare un duplicato dal Comune di provenienza, perché senza tessera elettorale nessuno può essere ammesso al voto”. “Una speciale sollecitazione - ha concluso il garante - va ai candidati e le liste che si presentano in questa tornata elettorale affinché designino propri rappresentanti per assistere alle operazioni di voto nei Seggi speciali istituiti all’interno delle carceri milanesi, così come previsto dalla normativa elettorale. La presenza numerosa di rappresentanti di lista sarebbe un segnale importante, anche sul piano simbolico, dell’attenzione che il nuovo Parlamento e il nuovo Consiglio Regionale dovranno avere nei confronti del carcere e della tutela dei diritti delle persone detenute”. Volterra (Si): tornano Cene Galeotte, il ricavato sarà donato a “Il cuore si scioglie onlus” Il Tirreno, 22 febbraio 2013 Stasera alle 19.30, il carcere di Volterra sarà di nuovo scenario di una cena a sfondo benefico. Il ricavato sarà devoluto, come sempre, alla campagna internazionale “Il cuore si scioglie onlus” (www.ilcuoresiscioglie.it). Dal 2000, l’associazione si impegna, insieme a Unicoop Firenze, per la realizzazione di progetti umanitari, in particolar modo per le adozioni a distanza. Circa 120 persone potranno gustare i piatti preparati dai detenuti del carcere, che affiancheranno grandi e rinomati chef. Sarà il giovane Alberto Faccani del ristorante Magnolia di Cesenatico a deliziare anche i palati più esigenti durante la serata. Di origini bolognesi, sognava sin da piccolo di fare il cuoco e, dopo anni di gavetta, nel 2003 apre un ristorante tutto suo. La sua cucina, creativa e moderna, gli permette di aggiudicarsi, nel 2005, l’ambita stella Michelin. Membro dei JRE, Jeunes Restauraters d’Europe, Faccani è un esperto della cucina di mare, grande valorizzatore del pesce, prodotto tipico della zona in cui lavora. Ad accompagnare i suoi piatti durante la cena, ecco i vini della Cantina Produttori Cormons. Una cantina friulana nata alla fine degli anni 60 grazie ad oltre 200 viticoltori. L’iniziativa è realizzata grazie ad Unicoop Firenze, che fornisce le materie prime e assume i detenuti retribuendoli regolarmente, ed alla Fisar, delegazione storica di Volterra, che si occupa di selezionare le aziende vinicole, di parte del servizio sommelier e della formazione in sala dei carcerati. Cene Galeotte è svolto in collaborazione col Ministero della Giustizia, la direzione della Casa di reclusione di Volterra, l’associazione Fisar, la direzione artistica del giornalista e critico enogastronomico Leonardo Romanelli. Volterra, invito a cena senza delitto e con diletto fra detenuti e chef di Francesca Alliata Bronner (www.huffingtonpost.it) Paesaggi e assaggi di Toscana al di là (e al di qua) del carcere. Torna stasera l’appuntamento con le Cene galeotte, progetto solidale e gustoso, che da otto edizioni riunisce nella casa di Reclusione di Volterra, ricavata nella storica Fortezza Medicea che domina la città, detenuti “ai fornelli”, chef di fama, sommelier e tanti gourmet e curiosi. Al punto che ogni data in calendario fa con grande anticipo il tutto esaurito. Squadra vincente quindi non si cambia e la formula ormai consolidata resta invariata dalla prima edizione, tranne il cuoco e i vini cangianti secondo l’occasione. Questa sera tocca ad Alberto Faccani del ristorante Magnolia di Cesenatico (stella Michelin) per un menu ai profumi di mare bagnato dai vini friuliani di Cormons che, per la posizione geografica al confine con paesi diversi, creano anche il “vino della pace”. Qualche piatto in carta? Si parte con crocchette di baccalà e polenta, gazpacho di rapa rossa, piadina con alici e radicchio, tra i primi risotto con seppia in nero, poi rana pescatrice con ceci e rosmarino. Per chiudere bianco latte di capra, pecora e vaccino. I detenuti, seguiti passo dopo passo dallo chef, si cimentano per molte ore nella preparazione delle ricette previste nella cena (servita dalle 20 dopo un aperitivo nel cortile alle 19.30), nella cappella della casa di reclusione (costo della cena coi vini: 35 euro). In sala, con i sommelier della Fisar di Volterra (delegazione storica che si occupa di selezionare le aziende vinicole e della formazione in sala dei carcerati), altri detenuti nelle vesti di commis, per una serata che di certo ricorda. Dentro e fuori dal piatto. Grazie a questa iniziativa infatti, tutti i partecipanti assaporano un’esperienza unica in tutti i sensi: al di là del piacere di gusto e olfatto gli ospiti delle serate, sono testimoni in prima persona della vita del carcere e tornano a casa con un ricordo forte ed intenso quanto l’impegno offerto da tutte le persone coinvolte nel progetto. A cominciare dagli chef che trascorrono un’intera - a volte due - giornate all’interno della casa di reclusione, a fianco dei detenuti, per trasmettergli i loro saperi. I reclusi (a vita e a tempo) dal canto loro, hanno la possibilità di imparare un mestiere e di vivere un’esperienza che li fa sentire parte integrante della società: grazie, infatti, all’esperienza formativa in cucina con gli chef, e in sala con la Fisar di Volterra, acquisiscono un bagaglio formativo che in sedici casi si è tradotto in un vero impiego in ristoranti locali, secondo l’art. 21 che regolamenta il lavoro al di fuori del carcere. Nell’ultima edizione sono state circa novecento le persone partecipanti a queste cene benefiche, il cui ricavato è stato devoluto, come ogni anno, alla campagna internazionale Il Cuore si scioglie onlus, che dal 2000 vede impegnata Unicoop Firenze, insieme al mondo del volontariato. Dalla prima edizione ad oggi sono stati raccolti 100mila euro, tutti impiegati in operazioni di solidarietà. Prossime cene? Il 22 marzo, Osteria di Passignano (1 stella Michelin), 19 aprile, Locanda Vigna Ilaria di Lucca, 25 maggio, ristorante Bracali a Massa Marittima (1 stella Michelin) e il 28 giugno si chiude con l’Antica Trattoria di Sacerno di Calderara di Reno (Bologna). Prima e dopo il dolce ingresso in carcere, vanno godute anche le molte attrazioni che questo fascinoso spicchio di terra toscana offre: dalle antiche contrade alle colline della Valdera e Val di Cecina puntellate di vigneti pregiati e olivi che regalano uno degli oli più apprezzati d’Italia a un salto (in verticale) verso una delle “cento torri” di San Gimignano, la Manhattan del medioevo. Ma anche per visitare uno dei tanti laboratori bianchi di Volterra, conosciuta come capitale indiscussa dell’alabastro, dove viene magistralmente lavorata questa nobile pietra scoperta nel territorio dagli etruschi, e tuttora considerata la più pregiata d’Europa per la sua compatezza, trasparenza, venatura. Ma che solo la manualità dei maestri locali lo sanno trasformare in pezzi d’arte e artigianato che invecchiando acquistano valore. Come il buon vino. Ancora più buono se condiviso dietro le sbarre. Qualche cenno storico sulla storia della Fortezza: costruita sul più alto ripiano del monte volterrano, è costituita da due corpi di fabbrica, la Rocca Antica e la Rocca Nuova, uniti insieme da una doppia cortina, coronata da un ballatoio sorretto da archetti pensili (bertesche) il cosiddetto Cammino di Ronda, mentre all’interno forma un vasto piazzale. La Rocca antica presso porta a Selci, include parti di più antica fortificazione resi visibili da recenti restauri, e la torre di forma semiellittica, detta volgarmente la Femmina, attribuita al Duca di Atene. La Rocca Nuova fu fatta innalzare da Lorenzo de Medici sul luogo dove esisteva il Palazzo dei Vescovi distrutto dai fiorentini nel 1472. È costituita da ampio quadrato di pietra panchina, i cui angoli terminano in baluardi circolari: al centro si innalza la Torre del Mastio, che si impersona e rende famosa la Fortezza, della quale è la parte più monumentale. Edificata ad uso militare fu, fin dall’inizio, utilizzata come carcere politico; nelle sue celle passarono sia gli oppositori dei Medici, sia i patrioti del nostro Risorgimento Nazionale. Oggi ospita reclusi a vita e a tempo, con una sezione di carcere giudiziario. Immigrazione: rifugiati nordafricani, niente proroga; a fine mese 500 € a testa e tutti via La Repubblica, 22 febbraio 2013 La gestione dell’emergenza - 50.000 profughi arrivati sulle nostre coste, un anno e mezzo fa - ha fruttato alle strutture di accoglienza un miliardo e trecento milioni di euro, non ha garantito i servizi dovuti né ha risolto il dramma del rimpatrio, volontario o assistito. In quest’ultimo caso, adesso, si offre ai migranti un “buono uscita”. Ma per andare dove? E tanti nel frattempo si sono già allontanati... L’accoglienza per i profughi del Nord Africa finisce il 28 febbraio. Questa volta non c’è proroga: dopo quella data, tutti via con 500 euro come “buono uscita”. A stabilirlo è una circolare del ministero dell’Interno datata 18 febbraio 2013. Ma la domanda è: via dove? Via dalle strutture di accoglienza, che grazie ai 50 mila profughi arrivati sulle nostre coste, un anno e mezzo fa, hanno raccolto un miliardo e trecento milioni di euro senza garantire i servizi dovuti dalla legge. La gestione dell’emergenza, affidata a inizio gennaio ai prefetti, era stata prorogata di due mesi per la “progressiva uscita dei profughi dal sistema, anche attraverso programmi di rimpatrio volontario e assistito”. Ma anche in questo caso, non c’è stata una gestione uniforme e controllata sul territorio. Il ministero dell’Interno ha sottolineato in apertura che “non tutte le regioni hanno attivato i tavoli di coordinamento “. Le mappa dei contributi d’uscita erogati dalle regioni è varia: si va dalla Lombardia dove i profughi hanno usufruito di una somma pari a 1000 euro, alle regioni come il Lazio, la Campania o la Puglia dove le cifre sono pari a zero. Di contro, adesso, la circolare prevede ulteriori fondi, pari a 2,5 milioni di euro, destinati al rimborso per gli enti locali per l’assistenza di minori stranieri non accompagnati. Tramite le prefetture, quindi, gli enti locali potranno chiedere la copertura delle spese per le procedure di “formalizzazione della domanda di asilo sino all’inserimento nelle strutture dello SPRAR”. Manca tuttavia una menzione a quali saranno i percorsi di integrazione nel territorio e di inserimento lavorativo. Manca, di nuovo, una direttiva mirata al potenziamento del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati costituito dalla rete degli enti locali e il terzo settore. L’ufficio stampa del ministero, contattato in merito a queste tematiche, ha risposto al telefono che “tutto quello che si può fare al momento è fornire la circolare (che alleghiamo a questo articolo) ma non ci sono risposte alle domande fatte”. Non ci sono risposte oggi, ma arriveranno in futuro? “Non ci sono risposte e basta”, hanno dichiarato. Per Laurens Jolles, delegato nel nostro Paese per l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati, la strategia di uscita dall’emergenza “andava programmata per tempo e il ritardo con cui è stato pianificato il passaggio in ordinario, effettivo solo dal 31 dicembre, resta inspiegabile. Le misure aggiuntive contenute nella circolare, a dieci giorni dalla chiusura, potrebbero non essere sufficienti”. Tra le procedure volte a favorire i percorsi di uscita rientrano i programmi di rimpatrio volontari e assistiti, affidati all’Oim (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni), che stabiliscono la somma di 500 euro per le modalità di uscita dalle strutture di accoglienza. Ben poco, se si considera che, per tutto il periodo della loro permanenza nei Cara, centri di accoglienza per richiedenti asilo, o presunti tali, ogni migrante valeva fino a 46 euro al giorno. In molti, in realtà si erano già allontanati. Il punto è, dove. “Questa è una preoccupazione che abbiamo anche per i rifugiati che escono dal sistema ordinario di accoglienza - aggiunge Jolles - che purtroppo non è sufficiente per tutti e ha una durata di soli sei mesi. Assistiamo all’aumento di insediamenti spontanei ed occupazioni di edifici abbandonati in molte città con il rischio di emarginazione sociale. È per questo che abbiamo più volte ribadito la necessità di ampliare la rete di accoglienza e di assicurare un adeguato sostegno all’inserimento lavorativo e sociale delle persone che fuggono da violenze e persecuzioni. Sia chiaro, i rifugiati non sono persone che vogliono vivere di assistenzialismo, è per questo che chiediamo ancora una volta alle autorità di dare una risposta più adeguata ai loro bisogni di integrazione”. Chi sceglie di andare in un altro paese, anche in possesso di un permesso di soggiorno unito a un titolo di viaggio (che corrisponde al passaporto), ha diritto a restare lì solo 90 giorni, ma senza poter lavorare. Saranno in giro, quindi, nella totale assenza di un percorso di integrazione, come i profughi ritrovati nel Salaam Palace di Roma, il caso che ha fatto scalpore anche all’estero. La speranza è che le mura dei palazzi dismessi nelle nostre città siano abbastanza forti da reggere la disperazione di chi non ha un futuro. Droghe: Gasparri e Giovanardi (Pdl); italiani pagheranno cara liberalizzazione cannabis Il Velino, 22 febbraio 2013 “Gli italiani si preparino a pagare caramente le conseguenze, se vincerà la sinistra, della proposta di legge presentata oggi da Nichi Vendola assieme ad esponenti del Pd, lista Monti, Fli, M5S e lista Ingroia, che prevede di modificare la legge Fini- Giovanardi, attualmente in vigore, per prevenire le tossicodipendenze. Poiché il consumo personale delle sostanze in Italia è già depenalizzato, il punto forte della proposta è quello di cancellare le sanzioni amministrative (segnalazione al prefetto, ritiro della patente, ritiro del porto d’armi, ritiro del passaporto) per chi fa uso di droghe, che i presentatori non si capisce a che titolo definiscono leggere. Questa proposta, che costringerebbe l’Italia a violare tutte le convenzioni internazionali sottoscritte per limitare l’uso della droga, avrà come unico effetto di lasciare i cittadini inermi davanti a comportamenti, provocati dall’uso di cannabinoidi, che non soltanto danneggiano la salute e l’equilibrio di chi ne fa uso, ma mettono a rischio l’incolumità e la sicurezza di chi ne subirà inevitabilmente le conseguenze. Il presidente del Consiglio Mario Monti ci dica come la pensa, visto che la proposta è stata presentata anche da Mario Marazziti, capolista della lista Monti a Roma e braccio destro del ministro Riccardi che ha la delega nel Governo di contrastare e non diffondere l’uso delle droghe”. Lo dichiarano il presidente del gruppo Pdl al Senato Maurizio Gasparri ed il senatore Carlo Giovanardi, responsabile politiche antidroga del Pdl. Droghe: Associazioni; Giovanardi parla di quello che non sa… o mente sapendo di mentire Dire, 22 febbraio 2013 Comunicato stampa dei promotori della campagna “Tre leggi per la giustizia e i diritti”. “Carlo Giovanardi accusa i firmatari della nostra proposta di legge di iniziativa popolare sulle droghe di volere una liberalizzazione delle sostanze. Delle due l’una: o mente sapendo di mentire, o - come probabile - parla senza nemmeno aver letto il testo. All’ex sottosegretario vogliamo ricordare che il solo risultato della sua fallimentare legge sugli stupefacenti è stato di riempire le nostre prigioni di persone che di certo non dovrebbero stare in cella, contribuendo così in maniera determinante al grave stato di sovraffollamento dei nostri istituti di pena. Ad oggi, infatti, i detenuti per violazione della legge sulle droghe sono più del 38 per cento del totale. Ed è proprio questo il dato da cui siamo partiti quando abbiamo lanciato - insieme a quelle per l’introduzione del reato di tortura e la legalità nelle carceri - la nostra proposta di legge di iniziativa popolare per modificare la Fini-Giovanardi. L’obiettivo della nostra proposta è di ridurre l’impatto penale di questa legge ideologica, che risponde con la detenzione a un fenomeno che richiederebbe invece strumenti terapeutici e un ricorso molto più ampio alle misure alternative, fondamentali per abbattere la recidiva. Soluzioni concrete - che certamente non insidiano la sicurezza dei cittadini, ma al contrario la favoriscono - su cui siamo ben felici di aver incassato disponibilità dei numerosi politici che hanno sottoscritto le nostre leggi “Per la giustizia e i diritti” impegnandosi a portarle avanti nella prossima legislatura. La campagna “Tre leggi per la giustizia e i diritti” è promossa da: A Buon diritto, Acat Italia, A Roma, insieme - Leda Colombini, Antigone, Arci, Associazione Federico Aldrovandi, Associazione nazionale giuristi democratici, Bin Italia, Cgil, Cgil - Fp, Conferenza nazionale volontariato giustizia, Cnca, Coordinamento dei Garanti dei diritti dei detenuti, Forum droghe, Forum per il diritto alla salute in carcere, Gruppo Calamandrana, Il detenuto ignoto, Libertà e Giustizia, Progetto Diritti, Ristretti Orizzonti, Società della Ragione, Unione Camere penali italiane, Vic-Volontari in carcere. Marazziti: non aderito a nessuna “Legge Vendola” “Non ho aderito a nessuna “Legge Vendola”, che non esiste, come raccontano l’on Giovanardi e Gasparri che cercano in campagna elettorale di spaventare gli italiani parlando di cannabis. Ma esiste un problema”. Lo afferma in una nota Mario Marazziti di “Scelta Civica con Monti per l’Italia”. “Le Comunità di Accoglienza, le Cnca, e gran parte di quanti davvero si occupano di prevenire le tossicodipendenze, e quanti hanno a cuore la sicurezza, sanno che la Fini-Giovanardi è una delle cause principali del sovraffollamento illegale delle carceri: 66 mila detenuti per 47 mila posti, di cui un terzo tossicodipendenti, quando in Francia e Germania i tossicodipendenti sono il 14 per cento e non il 33 per cento dei detenuti - prosegue Marazziti - l’attuale Fini-Giovanardi è una delle cause per cui l’Italia è fuorilegge, mentre crescono le tossicodipendenze nuove, da video-poker e video-giochi, incrementate dagli emendamenti Pdl poco prima delle elezioni. Che il carcere non sia la soluzione per le tossicodipendenze solo chi è in malafede può pensarlo e chi non ha a cuore i problemi veri delle persone e i chi sta male. Il carcere non può essere l’unica sanzione, fallimentare, visto che il 67 per cento di chi sconta tutta la pena ormai è recidivo e il carcere produce carcere. La legge Fini-Giovanardi va modificata radicalmente, punendo chi commette crimini e non mettendo in carcere e a rischio chi va trattato in maniera terapeutica o riabilitato socialmente”. Francia: sulla morte di Daniele Franceschi il procuratore chiede un supplemento indagini Ansa, 22 febbraio 2013 Potrebbero esserci novità in vista sulla morte di Daniele Franceschi avvenuta nel carcere francese di Grasse, il 25 agosto 2010, quando il ragazzo aveva 36 anni. Il Procuratore della Repubblica francese ha chiesto infatti un supplemento di indagini e si ipotizza che possa essere coinvolto il personale civile dell’ospedale di Grasse. Il giudice istruttore francese, secondo quanto appreso dai legali italiani che assistono la madre del giovane, Cira Antignano, avrebbe invece chiuso le indagini che vede indagati almeno un medico e due infermieri del carcere di Grasse. Il 28 di questo mese è fissata l’udienza in cui si dovrà decidere se respingere la richiesta del procuratore francese, oppure se procedere con altre indagini che significherebbe prolungare ulteriormente i tempi per conoscere in qualche modo chi sono in pratica i veri responsabili del decesso di Daniele, i cui organi come richiesti dalla famiglia non mai stati restituiti dal Governo francese. Belgio: detenuto picchiato a morte da due agenti in caserma, video- shock diffuso sul web Ansa, 22 febbraio 2013 Un Paese sotto shock dopo il terribile video in cui si vede la vittima, Jonathan Jacob, nudo in cella, massacrato senza pietà dagli agenti. Violente polemiche in Belgio per un video shock in cui si vede un detenuto viene picchiato a morte da diversi agenti, armati di manganelli e scudi, nella cella stretta in un commissariato di polizia. La vittima, Jonathan Jacob, di 26 anni, sotto l’effetto di anfetamine mostrava un comportamento aggressivo. Nelle immagini si vede Jacob nudo, piangere e urlare. Un medico entra nella cella ma il 26enne è morto. Un agente è stato rinviato a giudizio. L’uomo fu fermato il 6 gennaio 2010, ma il video è stato diffuso soltanto di recente dalla tv Vrt. I medici avevano consigliato il ricovero di Jacob in un ospedale psichiatrico, ma il direttore dell’ospedale aveva rifiutato l’internamento. Così il giovane era stato condotto in cella. Nelle immagini si vede Jacob nudo, piangere, disperarsi, urlare. La polizia di Mortsel chiede aiuto all’equipe d’assistenza speciale della polizia di Anversa. I fotogrammi rivelano come al loro ingresso i poliziotti lanciano un razzo luminoso, poi stringono il detenuto in un angolo e gli sono addosso. Lo picchiano selvaggiamente. Gli somministrano anche un’iniezione. Ma tutto è inutile: Jacob è morto. L’autopsia stabilirà che la causa del decesso è stata un’emorragia interna provocata dalle botte ricevute dai poliziotti. Oltre all’agente rinviato a giudizio, sotto accusa anche il medico dell’ospedale psichiatrico per omissione colposa. Medio Oriente: sciopero fame detenuti, secondo giorno di scontri tra palestinesi e israeliani Aki, 22 febbraio 2013 Scontri tra palestinesi e forze della sicurezza israeliana sono scoppiati per il secondo giorno consecutivo in Cisgiordania e a Gerusalemme Est a margine delle manifestazioni per chiedere il rilascio dei detenuti in sciopero della fame in Israele. Un portavoce dell’esercito israeliano ha dichiarato che tra i 300 e i 400 palestinesi hanno lanciato pietre contro i soldati israeliani a Hebron. Scontri si sono registrati anche nei pressi di due checkpoint fuori Ramallah e in tre altre località nel nord della Cisgiordania. Decine di manifestanti sono stati feriti, la maggior parte per l’inalazione del gas lanciato dai lacrimogeni o per essere colpiti da pallottole di gomma. A Hebron è intervenuta anche la polizia palestinese per contenere la rivolta. Due dei quattro detenuti palestinesi in sciopero della fame, Samer Issawi e Ayman Sharawneh, sono stati rilasciati nell’ottobre 2011 nell’ambito dell’accordo tra Israele e Hamas per la liberazione del caporale Gilad Shalit in cambio di oltre mille detenuti palestinesi in carceri israeliane. Issawi venne riarrestato nel luglio dello scorso anno in base alla legge civile israeliana sulla detenzione che consente l’arresto di palestinesi in base alla minaccia che questi rappresentano per la sicurezza nazionale di Israele. Issawi ha rifiutato cibo per oltre 200 e pesa meno di 50 chili. Ieri è stato condannato a otto mesi di carcere per aver lasciato Gerusalemme violando i termini dell’amnistia in base alla quale era stato rilasciato.