Non un giudice buono, ma un giudice responsabile… di Elton Kalica, Ristretti Orizzonti, 20 febbraio 2013 Il magistrato che ha chiesto il differimento della pena se il carcere è sovraffollato non è un giudice buono, è un giudice responsabile. La questione sollevata dal magistrato Marcello Bortolato la consideriamo anche un interessante tentativo di trovare un rimedio alla stangata ricevuta dall’Europa, una specie di “misura alternativa alla condanna” che l’Italia deve scontare. Il magistrato di Sorveglianza di Padova ha sollevato una questione di incostituzionalità domandando alla Corte Costituzionale di valutare se la norma che prevede il differimento della pena in casi gravi, non possa prevederlo anche per il sovraffollamento del carcere. Insomma al giudice è venuto il dubbio che forse la stessa legge che consente di sospendere la pena per chi sta male a tal punto che non può rimanere in carcere, dovrebbe consentire di sospendere la pena quando le condizioni di vita in un carcere strapieno sono simili a un trattamento inumano e degradante.. Ora la parola passa alla Consulta. Cosa succede ora? Senza nascondere il timore per le reazioni che parleranno di buonismo dei giudici, alla quale ricorrerà buona parte della politica e della stampa - mi vedo già i titoloni del tipo “Carcere pieno: niente più galera per chi delinque” - vorrei fare una riflessione sui giudici che si trovano ad esprimersi sulla condizione delle carceri. Se il magistrato di Sorveglianza di Padova Marcello Bortolato chiede se sia legale o no mettere in galera le persone nelle condizioni attuali, non lo fa perché è “buono”. Guardando il suo operato posso affermare che è un magistrato che non è affetto da “buonismo” quando si tratta di giudicare il percorso del condannato. Credo invece che la questione sollevata dal magistrato sia un atto dovuto allo stesso senso di giustizia e di legalità che ha portato il Presidente della repubblica a pronunciarsi più volte sulla situazione delle carceri. Ma credo nello stesso tempo che sia anche una risposta alla recente condanna che la Corte europea dei diritti umani ha inflitto all’Italia l’otto gennaio scorso, nel caso Torreggiani. Nel 2009 c’era stata un’altra sentenza simile, il caso Sulejmanovic: lo stato aveva (forse) risarcito il detenuto e la questione era finita lì. Questa volta però la sentenza è diversa: è una “sentenza pilota”, che significa che troverà applicazione in futuro a tutti i reclami contro l’Italia che hanno come oggetto analoghe questioni di sovraffollamento carcerario, anzi, troverà applicazione anche ai reclami che saranno sottoposti in futuro alla Cedu. E dato che la Corte non si è limitata solo a condannare, ma ha anche indicato delle misure generali che lo Stato dovrebbe adottare per contrastare tale situazione, come quella di ridurre il numero dei detenuti prevedendo, in particolare, l’applicazione di misure punitive non privative della libertà personale in alternativa a quelle che prevedono il carcere e riducendo al minimo il ricorso alla custodia cautelare in carcere (§ 94). Ecco che la questione sollevata dal magistrato Marcello Bortolato è da considerarsi anche un tentativo di trovare un rimedio alla stangata ricevuta dall’Europa, una specie di misura alternativa alla condanna che l’Italia deve scontare. Anche perché la Corte ha dato un anno di tempo all’Italia per provvedere ad adottare le misure raccomandate, altrimenti pioverà una cascata di condanne relative a centinaia di ricorsi già presentati, e altrettanti in arrivo. Se i magistrati di Padova non sono spinti da buonismo, tantomeno lo sono i giudici europei. Basta ricordare i vari ricorsi presentati contro l’Italia da detenuti sottoposti al regime previsto dall’art. 41 bis. Si tratta di un regime di isolamento particolare pensato per i mafiosi, dove i detenuti possono stare anche per anni, facendo solo un colloquio al mese con i famigliari, e attraverso un vetro divisorio. Tuttavia, la Corte ha sentenziato diverse volte che le condizioni di detenzione, le prescrizioni e le limitazioni che tale regime comporta non sono abbastanza gravi da superare la soglia necessaria a stabilire un trattamento inumano e degradante. Anche se la Corte ha ammesso che questo tipo di regime trova giustificazione in ragione degli sforzi compiuti dall’Italia nella lotta alla criminalità organizzata, ciò non toglie che si tratta di una posizione discutibile, dato che la tortura e i trattamenti inumani e degradanti sono forme vietate in assoluto, anche quando applicate ai mafiosi. Tornando alla sentenza Torreggiani, tra i membri della Corte c’era anche un giudice italiano, Guido Raimondi, che ha sostenuto la condanna dell’Italia perché era chiaro che sul problema del sovraffollamento delle carceri occorreva esprimere una linea intransigente da parte delle CEDU. Per concludere, da oggi, chi si occupa di carcere ripone molte speranze nella decisione della consulta, senza però aspettarsi di trovare in essa dei giudici buoni, ma solo dei giudici responsabili. Come lo sono stati i giudici della Corte costituzionale tedesca, che due anni fa hanno stabilito il che debba essere interrotta la detenzione quando essa è espiata in condizioni “disumane”. Anche perché le cosiddette liste d’attesa vengono largamente usate dai paesi del Nord Europa, dove l’elevato grado di civiltà è stato raggiunto anche grazie a una visione della giustizia meno degradante, che non significa necessariamente “buona”, e tanto meno “buonista”. Giustizia: la dignità dietro le sbarre non può essere in lista d’attesa di Mauro Palma (già Presidente del Comitato europeo contro la tortura) Il Manifesto, 20 febbraio 2013 Risonanze californiane, suggestioni tedesche o presa d’atto anche in Italia che la dignità di ogni persona, anche se reclusa, prevale su altre esigenze, inclusa quella di dare esecuzione a una pena inflitta? Il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha chiesto alla Consulta come sia possibile dare esecuzione a una pena qualora le condizioni di detenzione in cui dovrebbe attuarsi siano contrarie al senso di umanità e al rispetto della dignità della persona, cardini del nostro ordinamento costituzionale. La magistratura di sorveglianza ha posto così una questione di possibile incostituzionalità e ha richiesto alla Corte di esprimersi sulla possibilità di sospendere l’esecuzione, rinviandola, oltre che nel già previsto caso di grave infermità fisica, anche qualora questa possa attuarsi in condizioni tali da ricadere in quei “trattamenti o peni inumani o degradanti” vietati in modo inderogabile dall’articolo 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo. La pronuncia che si richiede è di quelle qualificate come “sentenze additive” che cioè indirettamente portano a includere altri casi oltre a quelli previsti dalla normativa vigente. Il tribunale costituzionale tedesco si era mosso in una simile direzione nel 2010 quando era intervenuto ricordando che l’esecuzione di una pena non deve porre lo stato in condizione di contrasto con il primo articolo della propria Legge fondamentale - quella che la Repubblica federale approvò nel 1949 e che afferma appunto: “La dignità dell’uomo è intangibile. È dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla”. Da qui la previsione del rinvio dell’esecuzione della pena, a cui si è dato a volte il nome di liste d’attesa. Oltreoceano, analoga è stata nel 2009 la decisione della corte suprema della California che di fronte a numerosi ricorsi per le condizioni di detenzione ha intimato al governatore dello stato di ridurre la popolazione di un terzo entro due anni. Anche qui l’affermazione è stata quella della prevalenza della dignità della persona sull’obbligo dell’esecuzione della sentenza. Naturalmente il termine lista d’attesa è bislacco, anche in considerazione delle molte attese e code che assediano la quotidianità. Ne va chiarito il senso e il modo con cui è possibile intervenire. Il senso: si tratta di persone che devono eseguire una sentenza per una condanna divenuta definitiva e che si trovano in stato di libertà; dovrebbero perciò entrare in carcere, venendo da fuori. Quindi, nessun allarme in termini di sicurezza. Il modo: certamente non si tratta di posticipare l’esecuzione in termini tali da attuarla dopo molto tempo, quando ci saranno posti disponibili. Si tratta piuttosto di commutare il tempo d’attesa in un’altra misura restrittiva, per esempio la detenzione domiciliare, fintantoché l’ingresso in carcere sarà una misura contraria a quel principio fondativo del nostro consesso sociale. La corte costituzionale non potrà intervenire in questa direzione e potrà eventualmente soltanto ampliare le possibilità di sospensione: vittoria relativa, visto che nel frattempo l’esecuzione penale non procederebbe. Tuttavia è importante che il tema sia stato posto con chiarezza. Il tema si estende chiaramente anche alla custodia cautelare in carcere e alla possibilità di prevedere che, qualora non intervengano gravi e specifiche necessità, essa possa essere disposta solo se le condizioni in cui si debba attuare lo consentano; altrimenti sia sostituita con altra misura. Questi punti sono parte di una proposta di legge d’iniziativa popolare per la riconduzione del carcere al dettato costituzionale, su cui un gran numero di associazioni che si occupano di diritti e di costruzione della democrazia, inizieranno domani la raccolta delle firme. Giustizia: Zanon (Csm); i giudici di sorveglianza hanno intercettato un problema enorme di Chiara Rizzo Tempi, 20 febbraio 2013 Intervista a Nicolò Zanon sulla questione sollevata alla Consulta: “I giudici di Sorveglianza hanno intercettato un problema enorme. Doveva essere la politica ad affrontare il problema, ma ha latitato”. Per la prima volta, un tribunale di sorveglianza, quello di Venezia, ha sollevato alla Corte costituzionale il problema del sovraffollamento carceri e delle pene in condizioni disumane. In attesa della decisione della Consulta, Nicolò Zanon, professore ordinario di diritto costituzionale alla Statale di Milano e membro del Consiglio superiore della magistratura, spiega a tempi.it: “I giudici di Venezia hanno intercettato un problema enorme e indicato una soluzione, forse provocatoria. Credo che debba essere la politica ad affrontare il problema del sovraffollamento e della pena oggi in Italia, ma si deve ammettere che essa è stata “latitante”. Perché il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha ritenuto di sollevare la questione di costituzionalità alla Consulta? Il Tribunale di sorveglianza di Venezia ha cercato una soluzione per un caso specifico, ma pensando più in generale. Il contesto è quello di un sovraffollamento delle carceri e di una condizione dei detenuti che, alla luce anche delle pronunce della Corte europea, vien definita degradante e inumana, sulla base di parametri “numerici”. I detenuti del carcere cui fa riferimento l’ordinanza dei giudici di Venezia hanno, per esempio, a disposizione nelle celle uno spazio inferiore a 3 metri quadrati a testa, proprio quel limite che la Corte europea indica come il minimo per evitare una condizione disumana di detenzione. Il giudice di Venezia si è interrogato sugli strumenti messi a disposizione dal diritto vigente per rimediare a questa situazione. Ora, l’articolo 147 del codice penale prevede il “rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena”. Questa norma prevede che l’esecuzione di una condanna possa essere differita nel tempo, in presenza di alcune condizioni tassative. Tra le altre, le condizioni di grave infermità fisica del detenuto. I giudici di Venezia hanno tentato di applicare al caso specifico questa norma, ma si sono resi conto che il detenuto in questione non presentava condizioni di tal genere. Però - hanno osservato - la concreta condizione carceraria del soggetto in questione determina una evidente violazione di alcuni principi costituzionali e del diritto europeo, ovvero il divieto di trattamenti disumani, e la finalità rieducativa della pena. Inoltre, una violazione della sua dignità, tutelata dall’articolo 2 della Costituzione e dall’articolo 3 della Convenzione per i diritti dell’uomo. Il tribunale di sorveglianza, allora, non potendo estendere al caso concreto l’applicazione dell’articolo 147 nella sua forma attuale, si è appellato alla Consulta, definendolo incostituzionale proprio nella parte in cui esso non prevede la possibilità di rinviare l’esecuzione della pena anche quando essa si svolga in condizioni contrarie al senso di umanità. Secondo lei, che scenari si potrebbero aprire adesso alla Consulta? La Corte accoglierà la questione? È una valutazione difficile da fare. La Corte costituzionale dovrà fare ovviamente un ragionamento giuridico, ma non potrà evitare di considerare che questo tema viene sollevato dopo la sentenza della Corte europea del 15 gennaio, che ha bacchettato l’Italia proprio per le condizioni gravissime in cui si trova la nostra popolazione carceraria. Sul merito della soluzione proposta dal giudice di Venezia ho comunque qualche dubbio: infatti, l’articolo 147 del codice penale, nella sua forma attuale, si riferisce a differimenti disposti in ragione di condizioni soggettive del detenuto. Qui, invece, si vorrebbe che tale disposizione estendesse la sua applicazione a situazioni oggettive, relative alle condizioni complessive della detenzione e del luogo in cui essa avviene. Non so se sia possibile. Comunque, se la Corte accogliesse la questione, la sua pronuncia varrebbe in generale, e aprirebbe una strada che potrebbe essere usata da altri tribunali, quindi consentirebbe all’autorità giudiziaria di intervenire concretamente per rimediare a casi simili. Un altro dubbio che ho deriva dal fatto che il tribunale di sorveglianza ha chiesto al giudice costituzionale di fare una pronuncia “additiva” sull’articolo 147 del codice penale. Come dicevo, ha chiesto cioè che venga aggiunta, alle ipotesi che già esso prevede di differimento, quella del sovraffollamento che determini condizioni inumane di carcerazione. Ora, qui si apre un problema classico della giustizia costituzionale, perché “l’addizione” non può essere un’opera discrezionale, ma dovrebbe essere un’addizione a “rime obbligate”, che discenda inevitabilmente dalla Costituzione. E la domanda è: il differimento della pena è davvero l’unico strumento derivante dall’applicazione dei principi costituzionali per evitare condizioni carcerarie degradanti? È un passaggio impervio, che rende più difficile che la soluzione ipotizzata dai giudici di Venezia sia accolta. Se comunque la questione venisse accolta, accadrebbe che la Consulta, e il tribunale di sorveglianza, si sostituirebbero alle mancanze del legislatore, che ancora non ha trovato una soluzione al problema del sovraffollamento? Con la pronuncia in questione, il giudice intercetta un problema enorme e indica una soluzione, forse provocatoria, per risolverlo. Ciò darà quanto meno anche alla nostra Corte l’occasione di rivolgere un monito al legislatore. Naturalmente credo che debba essere la politica ad affrontare la questione, anche se si deve ammettere che essa è stata “latitante”, e che questo tema è mancato certamente nel dibattito preelettorale. Non si può nemmeno dimenticare che, nell’opinione pubblica, su questo tema, vi sono diverse sensibilità e di solito la politica intercetta più facilmente quelle contrarie alle misure alternative al carcere, e segue più facilmente sentimenti “manettari” e giustizialisti. Non escludo che a volte anche i giudici si sentano in difficoltà nella concessione di misure alternative alla detenzione carceraria. Il tribunale di Venezia ha ricordato alcuni casi analoghi avvenuti all’estero. Anche se adottate in giurisdizioni diverse, queste decisioni potrebbero avere un peso sulla nostra Consulta? I giudici di Venezia hanno citato i casi della Corte federale californiana, che nel 2009 ha intimato al Governatore di ridurre la popolazione carceraria, decisione riconfermata anche dalla Corte Suprema Usa; e quello della Corte costituzionale tedesca nel 2011, che ha riconosciuto che ogni reclusione disumana deve essere interrotta. Ora, la nostra Corte costituzionale non ignora affatto le pronunce straniere rilevanti, anzi, questi casi di diritto straniero diventano parte della valutazione, perché c’è una circolazione (quasi un dialogo) le tra corti, e questo è uno degli aspetti più interessanti del diritto costituzionale odierno. Come certamente avrà un peso la sentenza Torreggiani dello scorso gennaio della Corte Europea. Strasburgo ha in effetti intimato, con quella sentenza, all’Italia di introdurre “un ricorso o un insieme di ricorsi interni idonei ad offrire un ristoro adeguato e sufficiente per i casi di sovraffollamento carcerario, in conformità ai principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte”. Giustizia: è vero, le carceri scoppiano… ma le condanne devono essere scontate di Ennio Fortuna Il Gazzettino, 20 febbraio 2013 Il Tribunale di Sorveglianza di Venezia ha promosso un’importante eccezione di incostituzionalità di una norma del codice penale che se accolta determinerebbe effetti a dir poco catastrofici sull’intero sistema penitenziario. Di che cosa si tratta esattamente? Un condannato alla reclusione, ormai in via definitiva, ha chiesto la sospensione dell’esecuzione, motivandola specificamente con la nota situazione del carcere italiano, assolutamente invivibile per il sovraffollamento, e che costringe i detenuti a sopportare condizioni di convivenza subumane, al limite della vera e propria tortura. Come è noto, la sospensione è prevista logicamente solo per le eventuali condizioni di grave infermità dell’interessato, e il Tribunale chiede appunto alla Corte costituzionale di parificarle a quelle generali e attuali del nostro carcere, notoriamente disastrose per effetto del sovraffollamento. In pratica il Tribunale invoca una pronuncia cosiddetta additiva che aggiunge cioè alla norma denunciata un’ipotesi simile o equipollente ma di fatto non prevista espressamente. Ben difficilmente la Corte potrà accogliere l’eccezione: sarebbe introdotto surrettiziamente il principio del numero chiuso e della lista di attesa sotto condizione, e quindi la possibilità di sottoporre il condannato all’esecuzione solo quando e se il numero dei detenuti definitivi e in attesa di giudizio lo consenta. È evidente che se così fosse la regolamentazione della detenzione assumerebbe caratteri di assoluta ingestibilità per irrazionalità e ingovernabilità. Soprattutto sarebbe violata l’essenziale e ineludibile regola dell’uguaglianza tra i condannati. Ne conseguirebbe insomma una situazione di incostituzionalità ancora più grave e intollerabile di quella denunciata. Ha sbagliato allora il Tribunale? Non credo si possa arrivare ad una simile conclusione. Il giudice è a perfetta conoscenza delle conseguenze cui condurrebbe l’accoglimento dell’eccezione. Se l’ha avanzata ugualmente, lo ha fatto in parte perché convinto di non poterne fare a meno, e in parte perché comunque la denuncia rappresenta una forte provocazione in grado di sollecitare il governo e il parlamento a trovare una soluzione idonea. E non c’è dubbio che ormai la casa brucia, e che il carcere sta diventando ingovernabile. Sono di questi giorni le condanne ripetute della Corte di Giustizia nei confronti dell’Italia per le condizioni di invivibilità dell’intero sistema carcerario. Oggi interviene il Tribunale di Sorveglianza, domani non mancherà l’iniziativa di qualche altra struttura pubblica. Al momento, vista l’urgenza, credo che si possano incrementare le situazioni per ricorrere alla detenzione domiciliare e ancora di più agli arresti domiciliari per il caso della custodia cautelare, o addirittura per programmare e attuare un ulteriore condono. Qualcosa va fatto e va fatto subito. I detenuti non protestano e non danno vita ad agitazioni di massa solo perché temono di perdere il diritto ai premi e agli sconti. Non è però una buona ragione per fare finta di nulla, e per procrastinare gli interventi possibili. Anche perché se la situazione continua ad evolvere su questa linea, non è affatto escluso che la stessa Corte Costituzionale si induca a dichiarare l’illegittimità di questa o di quella norma, incrementando il caos o comunque l’ingovernabilità. Il carcere ormai scoppia, si è detto e ripetuto, e non c’è più tempo da perdere, l’ordinanza dei giudici è il campanello d’allarme che segnala inequivocabilmente che la misura è colma. Giustizia: il problema della detenzione in condizioni incostituzionali dura ormai da 30 anni di Massimo Bordin Il Foglio, 20 febbraio 2013 Il primo a porre il problema fu, negli anni Ottanta, il magistrato genovese Adriano Sansa quando rilasciò una intervista in cui affermava che non avrebbe più richiesto condanne che prevedessero la detenzione, visto lo stato delle nostre carceri (anche allora). Pannella, che già si batteva sulla questione, racconta un suo incontro con l’allora ministro della Giustizia Rognoni quando il democristiano lombardo, che pure non era un conservatore, gli sbandierò davanti il giornale con l’intervista dicendogli, visibilmente alterato: “Ma non lo vedi dove siamo arrivati? Siamo al punto che ci sono magistrati che rifiutano di fare il loro dovere!”. Pannella, come è noto, dopo trent’anni non ha cambiato idea, e neanche Sansa che scrive oggi grosso modo le stesse cose su Famiglia Cristiana. La novità, come scriveva ieri Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera, è che ora il problema è sollevato di fronte alla Corte costituzionale da un atto giudiziario, un’ordinanza del tribunale di Sorveglianza di Venezia a proposito di un ricorso di un detenuto che chiede la sospensione della detenzione sulla base di condizioni carcerarie “inumane e degradanti”, come sono definite in alcune sentenze del tribunale europeo che condannano lo stato italiano. Il nostro codice, questo in sintesi il ragionamento dell’ordinanza, non consente la sospensione della pena se non per grave malattia ma infliggere un trattamento inumano configura un reato che sarebbe commesso paradossalmente da un collegio giudicante. È esattamente quello che Pannella chiama “flagranza criminale del nostro stato”. Se la veda ora la Consulta, visto che il Parlamento e i ministri succeduti a Rognoni non sono riusciti a nulla. Giustizia: ora la flagranza di reato delle carceri viene condannata anche dai giudici italiani di Valter Vecellio Notizie Radciali, 20 febbraio 2013 Notizie da quel mondo, da quella comunità penitenziaria che secondo quanto scrive Roberto Saviano sull’Espresso non fa parte di nessun programma politico e non rientrerebbe nel dibattito elettorale di nessuna lista. E se ne ricava che Saviano ascolta poco o nulla “Radio Radicale”, e si informa attraverso “l’Espresso”. Se invertisse forse ne ricaverebbe qualche utilità. Ad ogni modo: dopo le ripetute sentenze della Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, si registra una sentenza importante e significativa anche in Italia. È il primo caso in Italia, e farà, come si dice, giurisprudenza. Un giudice di pace di Salerno ha condannato lo Stato italiano al risarcimento danni nei confronti di un detenuto del carcere di Fuorni a Salerno per le “pessime condizioni di detenzione” delle carceri. Il ministero dell’Interno dovrà pagare un risarcimento di mille euro al detenuto. E la motivazione è proprio nel sovraffollamento della casa circondariale. È una sentenza che potrebbe infatti aprire la strada a numerosi ricorsi che potrebbero trovare sempre fondamento in una situazione a dir poco vergognosa e lesiva della dignità della persona, pur se colpevole di un qualsiasi tipo di reato. E ora andiamo in Toscana, per una storia emblematica, raccontata dal “Tirreno”. In sostanza: il carcere di Empoli chiude, e la Villa dell’Ambrogiana a Montelupo prenderà il suo posto, non appena andrà in archivio l’esperienza dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario. Il progetto è contenuto nella circolare del 29 gennaio scorso, firmata dal Capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziari. Non c’è nessun riferimento particolare, riguardo i tempi. L’Opg doveva chiudere entro il mese di marzo, ma di fatto sembra che l’operazione sia destinata a slittare. Il fatto è che nel carcere di Empoli, che prima o poi verrà chiuso, dovevano esserci ospitate detenute transessuali nell’ambito di un progetto all’avanguardia. Ma l’allor ministro della Giustizia Angelino Alfano, era il 2010, non volle e questi detenuti speciali non arrivarono mai. L’istituto per oltre dieci anni è stato a custodia attenuta, anche in questo caso al centro di un’esperienza innovativa che ha portato a percorsi di recupero importanti. Poi, però, le detenute con caratteristiche tali da entrare in questo percorso non ce ne erano più. E le ultime tre sono state trasferite nel giugno del 2009. Con tempi non certo veloci, iniziarono in seguito i lavori per rafforzare la sicurezza. A inizio 2010 erano conclusi. Il 4 marzo, con decreto che era stato già approvato, il provveditorato toscano aveva fissato l’arrivo dei transgender: si passava da un’esperienza innovativa (quella della custodia attenuata per ragazze con reati legati soprattutto alla droga) a un’altra, quella delle transessuali. In tutto dovevano arrivare 25 detenuti da Sollicciano. Ma il ministro Alfano inspiegabilmente bloccò tutto. Con la struttura chiusa per un anno all’interno del carcere ci avevano comunque lavorato una ventina di persone. permessi. Considerando che uno stipendio medio lordo di una guardia carceraria si aggira sui 2.500 euro al mese, in un anno sono stati spesi 600mila euro inutilmente. E se si aggiungono le spese per le bollette si arriva a 700mila euro. Ascoltiamo ora una persona che la realtà carceraria la conosce, don Virgilio Balducchi, ispettore capo dei cappellani carcerari. “Dietro le sbarre”, dice, “si spera che qualcosa cambi”. E lanci un appello: “La politica non dimentichi il dolore dei detenuti”. “Anche sul mondo del carcere”, dice Balducchi intervistato dall’Adnkronos”, si stanno facendo tante promesse, spero che i politici mantengano ciò che dicono. Non devono restare parole nel deserto. Non vorrei che le parole di questo periodo cadano nel dimenticatoio. Sarebbe un’altra delusione tremenda per i detenuti. Senza contare che l’Italia rimedierebbe altre condanne dall’Europa. Nelle carceri ci sono i detenuti che seguono la campagna elettorale, soprattutto per i temi che riguardano l’emergenza sovraffollamento e le loro prospettive. Sul discorso della giustizia i detenuti sono vigili e attendono risposte. Per risolvere in modo strutturale i problemi della giustizia, i politici diano finalmente una svolta radicale che permetta di arrivare a un nuovo codice penale, in modo che il carcere resti l’estrema ratio”. È una realtà infame e infamante descritta nell’ultimo rapporto pubblicato dall’associazione Antigone: il tasso di sovraffollamento è del 146 per cento. Significa che ogni 100 posti ci sono 146 detenuti. La media europea è attestata sul 99,6 per cento. Tra le regioni più affollate la Liguria (176,8 per cento), la Puglia (176,5 per cento) e il Veneto (164,1 per cento). Quelle in cui i tassi sono “bassi” l’Abruzzo (121,8 per cento), la Sardegna (105,5 per cento) e la Basilicata (103 per cento). Il 37 per cento delle persone che si trovano nelle carceri italiane sono straniere. Il 30 per cento dei carcerati è composto da tossicodipendenti. “Ristretti Orizzonti” ha elaborato un dossier, “Morire di carcere”. Nel 2012 sono 60 i detenuti che si sono tolti la vita. E dall’inizio di quest’anno, in carcere sono già morte 23 persone, sei i suicidi. Giustizia: Sel, Rc e Pd; la soluzione per il sovreffollamento è cancellare norme criminogene Redattore Sociale, 20 febbraio 2013 I tre partiti si trovano d’accordo nell’abrogare o nel modificare pesantemente leggi come la ex Cirielli, la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi. In tema di droghe, Sel e Rivoluzione civile concordano sulla necessità della depenalizzazione Il tema delle carceri, della sicurezza e delle droghe sembra essere quello più sviluppato della forze politiche che hanno accettato di rispondere alle nostre domande. Sugli argomenti in questione è assente solo il contributo della Scelta civica per Monti. 1)Carcere e droghe - Nonostante vari provvedimenti, non si è riusciti finora ad arginare il sovraffollamento dei penitenziari, nè a migliorare di molto le condizioni detentive. Quali misure si devono adottare per decongestionare le carceri e migliorare il recupero sociale dei detenuti? L’uso di droghe “leggere” come cannabis e derivati va depenalizzato? Partito Democratico. “Via la ex Cirielli, interventi radicali sulla Fini - Giovanardi e sulla Bossi - Fini” “Quando la proposta di Governo toccherà a noi - si legge nel documento del Pd - metteremo in campo una serie di interventi per attuare una equilibrata politica di decarcerizzazione. Nel rispetto della sicurezza dei cittadini il carcere deve essere considerato l’extrema ratio. Le misure che metteremo in campo prevedono l’abolizione della ex Cirielli sulla prescrizione breve e interventi radicali sulla Fini - Giovanardi e sulla Bossi - Fini. Tutto questo senza trascurare l’indifferibile esigenza di modificare il codice penale, attraverso la previsione della reclusione per i soli reati più gravi e la trasformazione in pene principali delle attuali misure alternative alla detenzione - dalla detenzione domiciliare, alla sorveglianza speciale, all’affidamento in prova - oggi irrogate in sede di esecuzione della pena”. Droghe leggere, per il Pd “il problema non è tanto la depenalizzazione, perché già oggi l’uso personale delle droghe leggere non è reato. II problema è quello di intervenire semmai sui limiti quantitativi della detenzione di droghe leggere e sulla mitigazione delle pene detentive per il piccolo spaccio di droghe leggere (spesso messo in atto dal consumatore per reperire soldi o droga per uso personale), prevedendo anche pene alternative al carcere e la più agevole ed efficace attuazione dei programmi di trattamento terapeutico, volto al recupero dei tossicodipendenti” Rivoluzione civile. Droghe, “necessario depenalizzare il consumo” “Il sovraffollamento carcerario si risolve sia consentendo di individuare pene diverse dalla detenzione per gli imputati che hanno compiuto reati minori, sia incrementando la pratica delle misure alternative al carcere per coloro che sono già detenuti”. Da qui precise proposte: decarcerizzazione di reati minori sostituiti da programmi di riabilitazione territoriali, introducendo l’istituto di “messa alla prova”; abrogazione della Fini - Giovanardi per quanto riguarda la penalizzazione “pesante” dei micro reati connessi al consumo di sostanze psicoattive illegali, attivando programmi riabilitativi in alternativa alla detenzione; eliminazione della cd. “ex - Cirielli “, che impedisce l’accesso alle attenuanti e ai benefici per i “recidivi”; abolizione della Bossi - Fini e del “reato” di “clandestinità” per gli immigrati senza permesso di soggiorno e soppressione dei CIE; superamento definitivo degli Opg. In tema di droghe, “la legislazione per le dipendenze e i consumi a rischio di sostanze psicoattive illegali (tra cui la cannabis) e legali va rivista. Il sistema dei servizi sia nel pubblico che nel privato sociale è stato molto indebolito in questi anni, soprattutto per quanto riguarda la fase preventiva e la fase riabilitativa e di reinserimento sociale(...). Infine, “la legge Fini - Giovanardi del 2006 di fatto ha consentito l’imputazione penale e il carcere per molti giovani consumatori di hashish e marijuana. Depenalizzare il consumo in quanto tale è pertanto necessario non solo come misura per deflazionare il sovraffollamento carcerario e per evitare il carcere a molti soggetti fragili non in grado di sostenerlo, ma per consentire impostare, al di fuori dell’area penale una diversa politica di prevenzione del consumo”. Sinistra Ecologia Libertà (Sel). “Carceri da decongestionare, via le norme criminogene” Per Sel, “il modo migliore per decongestionare le carceri è quello di abrogare le norme criminogene dalla Bossi - Fini (reato di immigrazione clandestina) e della Fini - Giovanardi (detenzione di uso di droghe leggere che va depenalizzato)”. Giustizia: i direttori dei penitenziari aprono una stagione di lotta contro tagli di personale Dire, 20 febbraio 2013 Dopo gli agenti e i detenuti, adesso protestano anche i direttori dei penitenziari. Su di loro, infatti, incombe un taglio del Governo che dovrebbe ridurne il numero. Per questo, una serie di sigle sindacali ha proclamato lo stato di agitazione della categoria a cui arriva la solidarietà della Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno. Già nei mesi scorsi, insieme ai Garanti dei diritti dei reclusi, in una lettera congiunta al ministro della Giustizia Paola Severino, Bruno aveva stigmatizzato “il riesame della spesa dell’amministrazione penitenziaria, e oggi ribadisco con forza la contrarietà a provvedimenti che abbiano ad oggetto la riduzione del numero dei dirigenti penitenziari, paventando, in particolare, che in quelle carceri dove è assente la titolarità della direzione possa prevalere un’organizzazione della vita dell’istituto caratterizzata in termini di contenzione”. Già ora, peraltro, i direttori delle carceri scarseggiano tanto in Emilia - Romagna quanto su tutto il territorio nazionale, “il che comporta attribuzioni plurime delle direzioni”. Anche in regione si stanno accorpando più istituti sotto una direzione unica. “Ciò comporta disagi per chi riveste ruolo direttivo nell’organizzare la vita dell’istituto e assicurare la fondamentale presenza all’interno. Non va dimenticato - prosegue Bruno, come si legge in una nota - che è il direttore che svolge funzione di sintesi e di coordinamento tra le varie aree (della sicurezza, educativa, contabile) che si occupano del carcere”. Nel momento in cui l’amministrazione penitenziaria si accinge ad effettuare la sua “rivoluzione normale”, così come il Capo dipartimento ha definito la realizzazione dei circuiti regionali - e cioè una “razionalizzazione del sistema della detenzione per implementarne l’efficienza e l’efficacia, con un auspicato miglioramento delle iniziative trattamentali per la popolazione detenuta”, per Bruno “appare privo di logicità un intervento orientato a privare alcuni istituti penitenziari della figura di un direttore titolare, la cui funzione fondamentale è di propulsione, controllo e coordinamento dell’istituto, venendosi così, di fatto, a rendere non attuabile la riorganizzazione”. Bruno conclude così la sua presa di posizione: “Si ritiene che il Governo, ad una manciata di giorni dal finire della legislatura, non possa ulteriormente provare un sistema penitenziario ridotto ai minimi termini, riducendo anche il numero dei direttori, ma debba prioritariamente valutare l’opportunità politica di bandire un nuovo concorso per l’assunzione di figure direttive, risalendo l’ultimo ad oltre 20 anni fa”. Giustizia: appello degli Assistenti sociali; le carceri italiane devono rieducare, non umiliare Vita, 20 febbraio 2013 Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali, in questo momento di coinvolgimento delle Professioni sui temi nodali del Paese vuole mettere fortemente in rilievo l’emergenza del settore delle carceri, settore nel quale la Professione opera fin dal 1965, in Italia così come in tutti gli Stati del mondo. Nella scelta di presentare nella Tavola rotonda “Giustizia e legalità” del Professional Day 2013 il tema carceri, alla luce degli interventi politici ascoltati, Edda Samory, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine sottolinea che la professione di Assistente Sociale, insieme alle altre professioni ordinistiche, deve rappresentare una forza sociale e un interlocutore costante della Pubblica Amministrazione e del Governo cui far riferimento nel processo di crescita del Paese. I numeri delle carceri definiscono in modo significativo la situazione. Al 31 gennaio 2013, in Italia le carceri sono 206 per una capienza di 47.040 posti per 65.905 detenuti, di cui donne 2.818 (4,28%) - stranieri 23.473 (35,62%) - tossicodipendenti circa 22.500 (circa 34%). I non ancora definitivamente condannati sono 25.520 (il 38,72%) - i condannati sono 39.090 e di questi, al 31 dicembre 2012, 23.498 (60,79%) devono scontare meno di 3 anni, 2.314 più di 10 anni, 1.581 l’ergastolo; gli internati per misure di sicurezza sono 1.233, in misura alternativa sono 20.367 di cui in semilibertà 879 - in detenzione domiciliare 9.376 - in affidamento 10.112 compresi 3.195 tossicodipendenti. “La dichiarazione dello Stato d’emergenza sul sovraffollamento dei penitenziari viene riconosciuto formalmente con il decreto del 13 gennaio 2010 - dichiara Edda Samory. L’enorme disagio che si vive nelle carceri italiane ci impone l’obbligo, non solo morale, di dedicarvi maggiori risorse. Per la nostra professione, il carcere significa rieducazione, come scritto nell’art. 27 della Costituzione. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, e questo deve significare un adeguamento delle condizioni di vita nelle carceri che tenga conto dei principi basilari propri di uno stato democratico.” Gli Assistenti Sociali che giorno dopo giorno operano in numero sempre più ridotto rispetto alle esigenze reali per la riabilitazione dei detenuti, avvertono fortemente la necessità di discutere con loro il loro progetto di vita, per riuscire ad andare oltre il luogo di pena, verso il lavoro e il reinserimento nel tessuto sociale del nostro Paese. “Chiediamo quindi - continua Samory - che le nostre Istituzioni e chi si accinge a governare il Paese raccolgano finalmente l’avvertimento dell’Unione Europea e di quanti già si sono espressi su questa linea fortemente condivisa dalla Professione. Auspichiamo anche che si possa prevedere uno snellimento delle procedure burocratiche per pensare sempre meno alle detenzioni all’interno delle carceri e sempre più a impegni e percorsi di riabilitazione. Gli Assistenti Sociali, che si occupano del reinserimento sociale dei carcerati fin dal 1965, per uscire dall’emergenza, ritengono necessario e propongono di: creare una forte sinergia tra i Servizi Sociali del Ministero Giustizia e i Servizi Sociali territoriali con protocolli e accordi per lo sviluppo delle azioni condivise; mettere in cantiere un piano di informazione dell’opinione pubblica sul recupero della persona, per costruire una “sensibilità” atta a garantire una maggiore vivibilità e sicurezza del territorio; promuovere lavoro di Servizio Sociale di Comunità attraverso lo studio e l’incentivazione delle reti sociali territoriali a sostegno dei progetti personalizzati di riabilitazione o di inserimento sociale; monitorare e valorizzare l’affidamento dei detenuti in prova ai Servizi Sociali, per istituzionalizzare percorsi di pena alternativi. Come Ordine degli Assistenti Sociali confermiamo la nostra massima disponibilità a collaborare con le autorità e con le associazioni, per ripensare la riabilitazione dei carcerati mettendo finalmente al primo posto le persone, sia che si tratti di uomini, donne o minori, in un percorso comune di reinserimento sociale”. Giustizia: Ingroia (Rc); carceri vergogna Italia, ma Berlusconi vuole preservare i criminali Ansa, 20 febbraio 2013 “La sicurezza va data a chi la scorta la merita”. Lo ha detto il leader di Rivoluzione civile, Antonio Ingroia, a margine di una manifestazione elettorale a Trapani, poco prima di lasciare la città. Parlando con i cronisti, prima di salire su un’auto blindata, Ingroia ha detto che “il sovraffollamento delle carceri è una delle principali vergogne del Paese, frutto di scelte politiche che hanno determinato la carcerazione degli emarginati sociali, immigrati e tossicodipendenti, con le leggi Bossi-Fini e Fini-Giovanardi”. “Berlusconi non sa quanti escamotage inventare per preservare i criminali dal carcere”. Lo ha affermato il candidato premier di Rivoluzione Civile, Antonio Ingroia, oggi a Trapani per un incontro politico, commentando con i giornalisti la proposta del leader del Pdl Silvio Berlusconi di introdurre la cauzione per evitare il carcere a chi non ha avuto una condanna definitiva. Giustizia: Cassazione; sì reclamo a magistratura sorveglianza per rigetto “svuota-carceri” di Lucia Nacciarone www.diritto.it, 20 febbraio 2013 Non è ammesso, invece, il ricorso per Cassazione. A deciderlo sono proprio i giudici della Suprema Corte, e il ricorso avverso la decisione di rigetto della misura alternativa alla custodia cautelare in carcere viene convertito in reclamo per il principio della conservazione dell’impugnazione. La sentenza n. 7943 del 18 febbraio 2013 chiarisce che, in tema di esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ai diciotto mesi, misura introdotta dal D.L. 211/2011 (cd. svuota carceri), convertito in L. 9/2012, lo stesso decreto legge richiama per l’impugnazione del diniego del provvedimento il procedimento previsto dall’articolo 69 della legge sull’Ordinamento Penitenziario, e cioè il reclamo dinanzi al Tribunale di Sorveglianza. Nel caso di specie l’imputata era scappata dagli arresti domiciliari e perciò le misura era stata convertita in quella della custodia carceraria, negando quella alternativa dell’esecuzione presso il domicilio. Secondo la detenuta il fatto di essere scappata dagli arresti domiciliari non impedirebbe la concessione della misura alternativa, ma il mezzo per far valere le sua ragioni non è il ricorso immediato in Cassazione: infatti, precisano i giudici, tale rimedio è previsto solo contro le sentenza e non anche contro i decreti e le ordinanze. Alla regola non sfuggono neppure i provvedimenti sulla libertà personale contro i quali si può adire direttamente la Suprema Corte soltanto se non risulta esperibile un’altra forma di impugnazione. Giustizia: domani a Roma presentazione di campagna “Tre leggi per la giustizia e i diritti” Agenparl, 20 febbraio 2013 Domani, giovedì 21 febbraio 2013, a Roma, alle ore 13, presso la Sala Stampa della sede dell’Unione delle Camere Penali Italiane, in via del Banco di Santo Spirito 42, verrà presentata la Campagna Tre leggi per la giustizia e i diritti. Tortura, carceri, droghe agli esponenti delle principali forze politiche che si presentano al voto. Dalle 11 alle 16 sarà possibile per tutti sottoscrivere le proposte di legge. Tra i numerosi candidati dei diversi schieramenti politici che interverranno, hanno assicurato la propria partecipazione Ilaria Cucchi (Rivoluzione Civile), Donatella Ferranti (Pd), Mario Marazziti (Scelta civica con Monti per l’Italia), Flavia Perina (Fli), Irene Testa (Amnistia Giustizia Libertà), Nichi Vendola (Sel) e un rappresentante del M5S. Coordina l’incontro Mauro Palma (portavoce della Campagna). Saranno presenti anche i responsabili delle organizzazioni promotrici della Campagna: A Buon diritto, Acat Italia, A Roma, insieme - Leda Colombini, Antigone, Arci, Associazione Federico Aldrovandi, Associazione nazionale giuristi democratici, Bin Italia, Cgil, Cgil-Fp, Conferenza nazionale volontariato giustizia, Cnca, Coordinamento dei Garanti dei diritti dei detenuti, Forum droghe, Forum per il diritto alla salute in carcere, Gruppo Calamandrana, Il Detenuto Ignoto, Libertà e Giustizia, Progetto Diritti, Ristretti Orizzonti, Società della Ragione, Unione Camere penali italiane, Vic-Volontari in carcere. Le tre proposte costituiscono un vero e proprio programma di governo per ripristinare la legalità nel nostro sistema penale e penitenziario e possono essere lette al sitowww.associazioneantigone.it. Lettere: la Società Italiana di Psichiatria sbaglia di grosso sugli Opg di Cesare Bondioli (Responsabile Carceri e Opg di Psichiatria Democratica) Ristretti Orizzonti, 20 febbraio 2013 La posizione della Società Italiana di Psichiatria (Sip) non mi stupisce perché l’associazione degli psichiatri italiani non è stata particolarmente presente in questi anni sul tema della chiusura degli Opg: bisogna considerare che il problema si è posto fin dall’aprile 2008 con l’approvazione del Dpcm che prevedeva il “graduale superamento degli Opg” e la legge del febbraio 2012 è solo l’ultimo atto di questo percorso. Nel frattempo ci sono state le ispezioni della commissione sull’efficienza e l’efficacia del Ssn presieduta dal Sen. Marino, il suo filmato sconvolgente, le dichiarazioni sdegnate del Presidente della Repubblica, ecc. senza che la Sip si esprimesse in maniera così netta come nell’ultimo comunicato. È vero che anche dopo l’emanazione della Legge che fissa i termini tassativi per la chiusura degli opg ci sono stati altri ritardi da parte degli organi ministeriali nell’emanazione degli atti di attuazione della legge. Il problema non è però nel chiedere, oggi una proroga, ma nel chiedere, con forza, come hanno fatto in questi anni varie associazioni, da Psichiatria Democratica a Stop Opg alle associazioni dei Familiari, il rispetto della legge e la chiusura degli Opg. Senza questa premessa fondamentale i richiami allarmistici a “gravi conseguenze” appaiono puramente strumentali al mantenimento dello status quo e a una permanenza, sine die, degli Opg (purtroppo abbiamo l’esperienza negativa, in molte realtà, dell’applicazione della 180 che si è trascinata per anni prima che venisse posto un termine tassativo con sanzioni per le regioni inadempienti). Anche il richiamo alle inadeguatezze dei dipartimenti di salute mentale a farsi carico dei pazienti internati “veramente gravi” è strumentale: chi lavora sul campo sa che tra i dimessi dagli Opg in questi anni e anche del tutto recentemente non ci sono solo autori di reati bagatellari ma anche persone gravemente malate e autori di gravi reati. La preoccupazione non è considerare, in astratto gravità della malattia e del reato, ma formulare per ciascun paziente da dimettere un programma terapeutico - riabilitativo individualizzato, e sulla base di questo trovare o creare, le risposte sul territorio. Solo questo lavoro che parte dai bisogni della persona e non dalla presenza di strutture dove collocarla, il che riprodurrebbe in una certa misura una logica emarginante e neo - istituzionale, può rispondere efficacemente ai bisogni assistenziali dei pazienti e rispondere anche all’eventuale allarme sociale. Solo una reale presa in carico da parte dei dipartimenti di salute mentale può evitare l’abbandono e prevenire il temuto reiterarsi di reati. Né d’altra parte, come ha mostrato il documentario girato dalla commissione Marino, non si può non prendere atto che il vero abbandono dei pazienti si realizza negli Opg (così come era stato nel manicomio) ma su questo la SIP non si esprime. Quindi non bisogna richiedere proroghe per una situazione insostenibile da tutti i punti di vista - umano, scientifico, sanitario, riabilitativo - ma chiedere con forza il rispetto della legge. Marche: l’informazione in carcere, ufficializzato Coordinamento della testata “Fuori riga” www.consiglio.marche.it, 20 febbraio 2013 Dare la possibilità ai detenuti di usare gli strumenti d’informazione come ponti di comunicazione con la realtà esterna; costituire una rete telematica per diffondere le notizie provenienti dagli Istituti penitenziari e sensibilizzare la comunità regionale sui problemi del mondo carcerario. Sono i principali obiettivi del Coordinamento regionale delle testate giornalistiche carcerarie che questa mattina si è presentato per la prima volta al pubblico con il proprio Documento di intenti. “Chi ha infranto la legge è giusto, come previsto dalla nostra Costituzione, che sconti la pena - ha affermato il presidente dell’Assemblea legislativa, Vittoriano Solazzi - ma è contestualmente importate che sia avviato un percorso di riabilitazione e reinserimento”. Solazzi ha ricordato le tante criticità del mondo carcerario marchigiano legate “al sovraffollamento, alla carenza di spazi e di organici inadeguati” e ha assicurato “la sensibilità e l’impegno dell’Assemblea legislativa, anche in futuro, per sostenere le iniziative legate all’informazione e alla comunicazione nelle carceri, che vanno nella direzione giusta per il reinserimento e la riabilitazione”. Il Coordinamento regionale delle testate giornalistiche carcerarie è composto dall’Ombudsman regionale e dai responsabili dei quattro giornali che attualmente vengono realizzati negli istituti penitenziari delle Marche: “Io e Caino” (Marino del Tronto, Ascoli Piceno), “Penna libera tutti” (Villa Fastiggi, Pesaro), “Fuori riga” (Montacuto, Ancona), e “Mondo a quadretti” (Casa di reclusione di Fossombrone)”. “Il coordinamento è nato istituzionalmente nei mesi scorsi, ha spiegato il Garante regionale dei detenuti, Italo Tanoni - ma oggi ne ufficializziamo la costituzione. Attraverso un protocollo d’intenti vogliamo sostenere è consolidare le esperienze già avviate nelle 4 realtà penitenziarie dove sono presenti testate giornalistiche carcerarie e cercare di diffonderle anche negli altri istituti di pena marchigiani. L’obiettivo è quello di creare un ponte tra il mondo delle carceri e la cittadinanza. Spesso la gente ha opinioni negative nei confronti della realtà carceraria. Attraverso la comunicazione, l’informazione, vogliamo creare un canale privilegiato per fare in modo che la gente possa rendersi conto di questa realtà in sofferenza”. Alla presentazione del documento d’intenti sono intervenuti anche i responsabili delle testate giornalistiche carcerarie che hanno brevemente illustrato esperienze e progetti futuri. Sicilia: il Garante Fleres; rimuovere tutti ostacoli per garantire diritto di voto dei detenuti Italpress, 20 febbraio 2013 “Non sono molti i detenuti che possono esercitare il diritto di voto, ma è necessario eliminare tutti i possibili ostacoli per coloro che, invece, possono esercitarlo”. Così il garante per la tutela dei diritti dei detenuti in Sicilia, Salvo Fleres, in merito al diritto di voto dei reclusi. “Con riferimento ai dati delle scorse competizioni elettorali che hanno registrato un numero di detenuti votanti particolarmente basso, ho inoltrato una nota - spiega Fleres - a tutti i Direttori delle strutture penitenziarie aventi sede in Sicilia, affinché, possano essere attivate, per tempo, tutte le procedure per la realizzazione dei seggi all’interno delle carceri. In tal senso - aggiunge Fleres - si è già mosso anche il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria emanando la Circolare n. 6/2013. Tale Circolare prende spunto da una risoluzione votata dalle Commissioni riunite (I e II) di Camera e Senato, votata l’11 dicembre 2012”. Modena: Garante Desi Bruno visita nuovo padiglione; serva a ridurre il sovraffollamento Ristretti Orizzonti, 20 febbraio 2013 “Sicuramente questo padiglione rappresenta un miglioramento per le condizioni detentive delle persone. L’auspicio è che contribuisca a ridurre il sovraffollamento regionale e non venga, invece, col tempo, riempito oltre la capienza regolamentare”. È quanto ha dichiarato Desi Bruno, Garante delle persone private delle libertà personale della Regione Emilia-Romagna, dopo la visita al padiglione di nuova costruzione nel carcere di Modena, aperto ma non ancora pienamente a regime. Il sopralluogo è avvenuto insieme al provveditore regionale alle carceri, Pietro Buffa, alla direttrice dell’istituto, Rosa Alba Casella, e al personale della Polizia penitenziaria. Il nuovo padiglione ha una capienza di circa 200 unità, distribuite su tre piani; gli ambienti appaiono congrui dal punto di vista degli spazi e della luminosità; le celle sono disposte su tre sezioni, una per ogni piano. Un ampio spazio per la socialità e le attività ricreative dei detenuti è previsto in ogni sezione. Attualmente sono ristrette 46 persone allocate al primo piano, 62 al secondo, mentre il terzo non è in funzione; nel complesso della struttura penitenziaria risultano presenti 382 detenuti, di cui 157 condannati in via definitiva. Al piano terra vi sono i locali in cui è prevista la nuova ubicazione degli uffici della Polizia penitenziaria, quelli per i colloqui con gli operatori, un ampio spazio per attività in comune delle sezioni detentive, la cucina. Si registra la mancanza di uno spazio appositamente adibito a refettorio, non previsto nella progettazione, in cui i detenuti possano consumare insieme i pasti. Nell’ambito della riorganizzazione degli istituti che l’Amministrazione penitenziaria sta operando, questa nuova ala viene a caratterizzarsi per l’adozione nelle sue sezioni del cosiddetto “regime aperto”, agevolando l’uso degli spazi comuni in modo che i detenuti vi possano trascorrere una parte significativa della giornata. Vi saranno destinate le persone condannate in via definitiva a cui restino da espiare 5 anni, anche tossicodipendenti, che non abbiano possibilità di accedere alle misure alternative alla detenzione. La vigilanza sarà garantita da un sistema di videosorveglianza contiguo, ma esterno alla sezione. Trento: il nuovo carcere è sovraffollato e isolato, con troppi detenuti e poco personale di Giuliano Lott Il Trentino, 20 febbraio 2013 Già la posizione decentrata, in aperta periferia, fa apparire il carcere come un luogo di estremo isolamento. Il “fortino” di Spini di Gardolo ha un aspetto impenetrabile, lontano dagli sguardi dei cittadini. Il vecchio carcere di via Pilati soffriva di certo altri difetti, ma era almeno in centro città, sotto l’occhio dei trentini: l’idea che se ne trae è che fosse più trasparente, più “controllato” dal comune senso civico. Ma indietro non si torna, tanto più dopo un investimento di oltre 112 milioni di euro, tanto è costata la struttura che doveva migliorare la vita dei detenuti rispetto alle vetuste celle del vecchio carcere. Sulla carta, sembra così. Ma basta grattare sotto l’apparente neutralità dei numeri e si scopre che il nuovo carcere soffre di sovraffollamento: ad oggi sono quasi 300 i detenuti, contro il limite massimo teorico di 240 (fissato da un preciso accordo tra Provincia e Stato), nei 18 mila metri quadrati compresi tra le robuste mura. Le celle sarebbero in teoria da due posti, ma ormai parecchie sono state arricchite di un letto a castello in modo da poter ospitare tre persone. A ciò va sommata l’endemica carenza di personale: gli agenti di polizia penitenziaria dovrebbero essere 240, ma in realtà sono 176, di cui solo 138 effettivi poiché gli altri 38 sono distaccati ad altri servizi. La principale conseguenza della scarsità di organico comporta che le celle rimangano chiuse per 20 ore su 24, di più rispetto agli altri carceri italiani. Per consentire un minimo di agio in più ai detenuti, servirebbero più agenti di sorveglianza. La penuria di organico si riflette in un servizio sovente rallentato, anche l’accompagnamento per una banale visita medica o per un colloquio con l’avvocato possono richiedere ore di attesa. A Gardolo la struttura carceraria, modernissima, gode di un efficiente impianto di videosorveglianza, ma mentre fino al 31 dicembre 2012 la cura e la manutenzione della casa circondariale era in capo alla Provincia, dal primo gennaio è passata in carico al ministero. Senza peccare di sfiducia, se per cambiare una lampadina serve il placet da Roma, immaginiamoci quanto bisogna attendere per riparare una delle preziose telecamere a circuito chiuso in avaria, o per risolvere la perdita di una tubatura nei bagni. Il carcere di Spini, per quanto all’avanguardia, soffre di alcune pecche legate alla progettazione, di parecchio antecedente alla “spending review”: forse il presidente del consiglio Monti inorridirebbe nel sapere che ogni mese la casa circondariale paga 25 mila euro di bolletta. Sui 18 mila metri quadri del carcere trentino non c’è nemmeno un pannello fotovoltaico. Basterebbe ricoprirne i tetti per abbattere in maniera drastica gli elevatissimi costi di gestione. Il carcere è al tempo stesso una struttura penitenziaria, dove si espia una pena definitiva, ma anche un luogo dove il detenuto dovrebbe poter cercare un riscatto per un concreto recupero sociale: scontata la pena, il condannato deve aver un’opportunità di reinserimento in società. Ciò avviene attraverso percorsi formativi, di cui si occupano diverse cooperative sociali attive all’interno del carcere: Kiné ad esempio sta digitalizzando i documenti cartacei del servizio acqua grazie al lavoro dei detenuti, Il Gabbiano impiega altri detenuti nel servizio lavanderia, Alpi e Caleidoscopio (coordinate da Consolida) si occupano dell’assemblaggio dei sacchetti di carta per raccogliere le deiezioni canine. E poi ci sono i volontari dell’Associazione Auto mutuo aiuto (Ama) e della Caritas. Ma sul versante del recupero, lo stato dell’arte non è incoraggiante. Ogni detenuto lavora in media due mesi all’anno. Poco, per poter imparare un mestiere, e anche per evitare di tornare in carcere: il condannato che consegue una qualificazione professionale ha una probabilità inferiore di incorrere in una recidiva (1%) rispetto a uno che passa il tempo a guardare dalla finestra (68%). Reggio Emilia: il direttore dell’Opg; non ritengo possibile una chiusura in tempi brevi Ansa, 20 febbraio 2013 “Il rispetto della Costituzione deve esserci: è la condizione perché l’amministrazione penitenziaria operi in un contesto di legalità. È assolutamente imprescindibile il rispetto dell’articolo 27. E credo che, pur con tutte le difficoltà che ci sono, a carattere strutturale e a livello di risorse umane, quel fine - il rispetto della Costituzione, dell’ordinamento penitenziario e delle leggi dello Stato - unisca tutta la struttura e tutti gli operatori”. Così Paolo Madonna, direttore dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia, rispondendo all’Ansa alla domanda se pensi che nella struttura la Costituzione sia attuata. Domanda nata dopo che il presidente Giorgio Napolitano, visitando San Vittore, ha ricordato che “la mancata attuazione delle regole penitenziarie europee conferma la perdurante incapacità del nostro Stato a realizzare un sistema rispettoso del dettato dell’articolo 27 della Costituzione sulla funzione rieducativa della pena e sul senso di umanità”. All’orizzonte c’è la scadenza del 31 marzo, che impone per legge il superamento degli Opg, ma quello reggiano sembra lontano dalla dismissione. “A me sembra improbabile che venga rispettata quella data”, ha spiegato il direttore. Per Gaddo Maria Grassi, direttore del dipartimento di salute mentale dell’Ausl di Reggio Emilia che opera nell’Opg, “questa legge permette finalmente, dopo più di trent’anni dall’approvazione della Basaglia, di superare queste strutture che sono anacronistiche e non idonee alla cura e alla riabilitazione”. Ci sono anche, spiega il comandante della Polizia penitenziaria Linda De Maio, le infiltrazioni d’acqua dai tetti, il freddo che gela in inverno celle e corridoi, il caldo che li arroventa in estate. Il problema, dice, è la carenza di risorse umane e materiali. In questo periodo forse più materiali che umane. Manca, ad esempio, la carta igienica, e le lampadine si guastano. “L’internato di Opg tende a distruggere quel che ha intorno in momenti di scompenso psichico”. Spesso si devono rifare le tinteggiature, perché “l’internato del reparto chiuso tende a non avere molta cura dell’igiene”. Ma il commissario è chiara: quel che manca maggiormente è la possibilità di far socializzare di più di quello che si fa gli internati. A Reggio Emilia solo in uno dei cinque reparti, gli ospiti (i più pericolosi perché aggressivi) devono stare chiusi in cella. Negli altri quattro reparti, di giorno, le porte sono aperte. Gli ospiti fanno attività di recupero, e possono tra le altre cose ritrovarsi in “piazzetta”, dove ci sono spaccio, schermo, ping pong e biliardini. È il posto dove, ogni tanto, si può perfino ordinare tutti assieme la pizza. È quella la zona che De Maio, se avesse la bacchetta magica, vorrebbe tenere aperta di più. Perché l’obiettivo, nonostante tutto, è sempre recuperare, non contenere. Sapendo che all’orizzonte c’è una scadenza, il 31 marzo, che impone per legge il “superamento” degli Opg. Ma girando tra i reparti si respira tutto tranne che aria di trasloco. “A me sembra improbabile che venga rispettata quella data - spiega il direttore Madonna. E non solo a me, agli addetti ai lavori. Quindi sicuramente ci sarà uno slittamento”. Ma per Gaddo Maria Grassi, direttore del Dipartimento di salute mentale della Ausl di Reggio Emilia, la contraddizione dell’Opg “è quella di un luogo che si chiama ospedale, ma di fatto è all’interno di un istituto di pena. I limiti dell’intervento sono evidenti a chiunque ci entri. Il futuro degli Opg è di essere superati. Credo che questa legge permetta finalmente, dopo più di trent’anni dall’approvazione della Basaglia, di superare queste strutture che sono anacronistiche e non idonee alla cura e alla riabilitazione. Aspettiamo indicazioni dalle istituzioni su come affrontare un periodo di transizione che credo sarà necessario. Ma che sia necessario un periodo di transizione significa solo riuscire ad applicare una legge che ci doveva essere”. I numeri: 164 ricoverati per 132 posti L’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia è uno dei sei ancora attivi in Italia. Dovrà, come gli altri, cessare l’attività, secondo quanto previsto dalla legge 9 del 2012, il prossimo 31 marzo. Una scadenza che, per stessa ammissione del direttore Paolo Madonna, difficilmente sarà rispettata. Le altre strutture sono a Castiglione delle Stiviere (Lombardia), Montelupo Fiorentino (Toscana), Secondigliano e Aversa (Campania) e Barcellona Pozzo di Gotto (Sicilia). In tutta Italia sono circa ottocento i malati mentali ricoverati in questi nosocomi per i reati commessi, e dovranno essere presi in carico da strutture sanitarie di assistenza alternative. A Reggio Emilia gli internati in carico sono 221, anche se quelli effettivamente ricoverati sono 164. Gli italiani sono 172, il resto stranieri. La capienza della struttura è 132 posti. Gli internati sono ospitati in cinque sezioni: solo una, la Centauro, che ospita i più pericolosi (ad oggi 34) è chiusa. Nelle altre di giorno le porte delle celle sono aperte e gli internati possono dedicarsi ad attività di recupero. Da quando il direttore ha assunto l’incarico nell’aprile 2011, ha lavorato molto, anche sul tema della contenzione. “Oggi la applichiamo solo esclusivamente per il Tso, con la stessa procedura che si usa per tutti i cittadini: solo con ordinanza del sindaco”. In servizio ci sono 87 agenti di polizia penitenziaria, e una ottantina tra infermieri, psichiatri, psicoterapeuti e operatori socio sanitari. Tutti dipendenti della Ausl di Reggio Emilia, il cui Dipartimento di salute mentale lavora direttamente da 4 anni nella struttura. Gli ospiti possono ricevere fino a sei visite al mese, quattro le telefonate. Ma i contatti con l’esterno e le famiglie sono uno dei punti dolenti: si tratta infatti per lo più di persone la cui malattia, e anche il cui reato, hanno creato drammi e dolori nei nuclei familiari d’origine. A volte i contatti con l’esterno (complici anche le distanze, visto che gli Opg in Italia sono solo sei) sono sporadici, per non dire nulli. Ogni giorno, chi sta nei “reparti liberi” dalle 8 alle 16 può dedicarsi alle attività di recupero: ci sono infatti una biblioteca, un laboratorio, l’aula di informatica, aule per le lezioni e una cappella. Messina: delegazione Radicali al carcere di Gazzi, chiedono “amnistia, giustizia e libertà” Gazzetta del Sud, 20 febbraio 2013 Chiesta amnistia, giustizia e libertà, ma a Messina hanno affrontato anche il delicato tema del secondo palazzo di giustizia. 9, come i milioni di processi arretrati in Italia. 10, come gli anni di attesa perché una sentenza diventi definitiva. 170mila, come i processi che ogni anno finiscono con la prescrizione. E poi 65mila, come i detenuti che stanno nei 45mila posti disponibili nelle carceri, e 2mila, come le condanne della corte europea per i diritti umani che l’Italia ha già subito. Sono i numeri dei radicali. Numeri che riguardano il sistema giustizia nel nostro paese e che danno la misura del problema. Amnistia, Giustizia, Libertà sono le parole chiave della campagna elettorale dei radicali per le prossime politiche. Hanno scelto di chiamare così la lista, Amnistia Giustizia e Libertà. E hanno scelto le carceri italiane per il loro tour elettorale. Dopo l’incontro i radicali sono tornati all’interno del carcere di Gazzi per verificare di nuovo le condizioni in cui vivono i detenuti a Messina. Ma la Bernardini ha anche affrontato il tema del voto e denunciato le difficoltà che i detenuti incontrano per esercitare il proprio diritto. Chi potrebbe votare - persone in attesa di giudizio o condannati ai quali il diritto viene lasciato - spesso non lo fa per la scarsa informazione. Ma i radicali hanno toccato anche il tema del secondo palazzo di giustizia, chiamando in causa la procura per capire se ed eventualmente quali interessi si nascondano dietro questa storia. Roma: Presidente regionale Polverini a Rebibbia, inaugura sala colloqui reparti femminili Tm News, 20 febbraio 2013 La presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, ha inaugurato questa mattina la nuova sala colloqui del carcere femminile di Rebibbia. Insieme a Polverini sono intervenuti il direttore Lucia Zainaghi, l’assessore regionale alla Sicurezza, Giuseppe Cangemi, il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria del Lazio, Maria Claudia Di Paolo, il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, e il garante di Roma, Filippo Pecorari. “Sono contenta che il mio ultimo impegno istituzionale sia qui”, ha detto Polverini. “I momenti più belli da Presidente li ho vissuti nelle carceri del Lazio dove ho visto detenuti e personale felici per eventi che abbiamo promosso. Quello che abbiamo fatto nelle carceri del Lazio non ha precedenti e se sarò eletta in Parlamento intendo mantenere il mio impegno a sostegno degli istituti penitenziari”. La nuova sala, finanziata con fondi regionali, rispetta quanto stabilito dal nuovo regolamento penitenziario che richiede l’assenza di muri divisori nei locali di colloquio dei detenuti con i familiari. “Questa sala”, ha detto il direttore Zainaghi, “sostituisce il muro divisorio con tavoli che consentono un momento di reale comunione tra i detenuti e le loro famiglie”. Soddisfatto anche il provveditore Di Paolo che ha ringraziato “la Regione per gli interventi fatti per le carceri del Lazio. A breve, sempre attraverso un protocollo con la Regione Lazio, partirà anche il progetto di counseling psicologico per gli agenti di polizia penitenziaria, progetto unico in Europa”. Per il Garante Marroni “anche la realizzazione di questa sala va nella direzione di rispetta il dettato costituzionale laddove indica come la pena debba anche rieducare e non solo punire”. Asti: dentisti della Fondazione Andi incontrano i detenuti per promuovere la salute orale www.atnews.it, 20 febbraio 2013 Si è svolto ieri, martedì 19 febbraio all’interno del Carcere di Asti il primo di una serie di incontri di sensibilizzazione rivolti ai detenuti sul tema della salute e della prevenzione delle patologie del cavo orale. Promosso da Fondazione Andi - Associazione Nazionale Dentisti Italiani in collaborazione con Andi Piemonte e la sezione Andi Asti e con il Provveditorato Regionale dell’amministrazione penitenziaria per il Piemonte e la Valle d’Aosta, l’appuntamento ha visto la partecipazione di 50 detenuti a cui i medici volontari hanno spiegato le più comuni patologie orali e i rischi correlati, l’importanza di una corretta igiene orale e distribuito loro materiale informativo e kit composti da dentifricio e spazzolino. La corretta igiene di bocca e denti attraverso l’uso regolare corretto di spazzolino e dentifricio sono fondamentali per prevenire le tante malattie che possono colpire il cavo orale. Questa problematica, insieme all’altissimo rischio di trasmissione di virus e batteri, è particolarmente accentuata in realtà, come quella carceraria, in cui la forzata convivenza rende comuni cattive abitudini e promiscuità nell’uso degli strumenti di igiene. Per questo Fondazione Andi ha scelto di intervenire all’interno delle carceri italiane con il progetto “Salute orale negli Istituti Penitenziari” che, avviato con successo in Sicilia, è stato ora esteso anche al Piemonte. Il progetto nel suo complesso prevede, da una parte, un percorso di formazione sulla cultura della solidarietà e della prevenzione rivolto al personale di custodia, ai responsabili delle ASL e ai funzionari dell’Amministrazione penitenziaria e, dall’altra, la sensibilizzazione dei detenuti tramite incontri periodici. Padova: dal palcoscenico del carcere la lezione degli “Experti”, con Tam Teatromusica Il Mattino di Padova, 20 febbraio 2013 Esordirà nell’auditorium della casa di reclusione padovana Due Palazzi lo spettacolo “Experti”, frutto del laboratorio teatrale di Tam Teatrocarcere con alcuni detenuti del Due Palazzi: giovedì 21 e venerdì 22 febbraio 2013 alle 13.15, saranno in scena Belhassen, Giovanni, Abderrahim, Aioub, Abdallah, Ahmed, Luca, Temple, Mario, Pietro, Bruno e Mohamed. “Experti”, che prende spunto dalle suggestioni di “Relazione per un’accademia” di Franz Kafka, è ideato e diretto da Maria Cinzia Zanellato e Loris Contarini, con la collaborazione artistica di Benedicta Bertau e di Emanuela Donataccio. È un progetto di Tam Teatromusica, che vede il contributo della Regione Veneto e del Comune di Padova e la collaborazione con la casa di reclusione Due Palazzi di Padova. L’anteprima sarà anche l’occasione per far conoscere il lavoro ventennale di Tam nell’istituto penitenziario, attività per cui la compagnia padovana ha ottenuto notevoli riconoscimenti. Tam Teatrocarcere è infatti tra i gruppi fondatori del Coordinamento nazionale Teatro Carcere e fa parte della rete europea “Edgenetwork” del Centro europeo Teatro carcere. Il progetto si pone come un percorso di integrazione culturale tra la città e il carcere, e mira a creare una relazione tra la casa di reclusione e la realtà esterna attraverso diverse attività tramite le quali negli anni si è costruito un network con attori istituzionali e sociali del territorio: oltre al laboratorio teatrale multiculturale con i detenuti, ci sono iniziative per gli studenti grazie alla ormai consolidata collaborazione con l’Università e incontri con artisti impegnati sul piano civile e sociale. Proprio per questo motivo sono stati invitati allo spettacolo anche alcuni rappresentanti delle istituzioni, della magistratura, delle associazioni, dei sindacati, dell’università. Il racconto kafkiano a cui si ispira lo spettacolo è legato al tema della metamorfosi, ma in questo caso non è un uomo a trasformarsi in scarafaggio bensì uno scimpanzé, catturato in una spedizione di caccia. Nella condizione di prigionia può scegliere una via di uscita tra lo zoo o il varietà: opta per il secondo, perché la popolarità gli appare come la forma di accettazione sociale sul palcoscenico del mondo, anche se non di libertà. La trasformazione da animale a uomo di successo costituisce quindi l’impegno per la presunta salvezza. La fama raggiunta gli permette di essere invitato da un’università, dove tiene un discorso nel quale descrive con metodo empirico la propria “experienza”. Nello spettacolo, gli “Experti” sono i detenuti stessi, che hanno arricchito con testi propri e improvvisazioni il contenuto del racconto. Carichi delle loro esperienze di vita “fatte sul campo” - al centro l’unicità dell’esperienza umana e la loro condizione estrema di detenzione - si cimentano in una vera e propria “relazione accademica”, quindi un monologo, utilizzando gli strumenti più efficaci in loro possesso e che più conoscono: i corpi, le azioni e le parole. Anche se non è aperto al pubblico, lo spettacolo è in sé un momento di grande apertura verso l’esterno. La Spezia: prezzo manutenzione del carcere triplicato arrestate quattro persone per truffa La Repubblica, 20 febbraio 2013 Frode ai danni dello Stato, falso materiale e ideologico nei lavori di ristrutturazione del carcere spezzino: con queste accuse la Guardia di Finanza ha arrestato quattro persone: un imprenditore locale, due funzionari del Provveditorato alle opere pubbliche di Genova, ed un professionista. Certificavano lavori avvenuti che non erano stati compiuti con un danno per lo Stato di 1 milione e 700 mila euro. L’opera, inizialmente aggiudicata a una società spezzina per 7 milioni, è poi passata ad un’impresa romana con filiale a Sarzana con costo finale di 21 milioni. Secondo l’accusa i pubblici ufficiali del Provveditorato di Genova, assieme al legale rappresentante della società incaricata dal Ministero e al direttore di cantiere, avevano dichiarato la realizzazione di lavori mai compiuti, procurando un ingiusto profitto alla società appaltatrice dei lavori e a loro stessi, truffando lo Stato. Inoltre, i due funzionari pubblici hanno agevolato la liquidazione dei pagamenti all’impresa appaltatrice, corrispondendo le somme in anticipo senza poi verificare l’effettiva realizzazione e la corrispondenza dell’opera al progetto approvato, evitando altresì il pagamento dell’ingente penale prevista dal contratto (3.400 euro al giorno) per eventuali ritardi (costantemente verificatisi) nella consegna dei lavori, arrecando un ulteriore danno alle casse dello Stato. Le droghe nell’agenda politica www.fuoriluogo.it, 20 febbraio 2013 Franco Corleone commenta le prese di posizione sulla Fini-Giovanardi in vista delle prossime elezioni politiche per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 20 febbraio 2013. Alla vigilia delle elezioni è stata diffusa una lettera del segretario Pier Luigi Bersani indirizzata alle Comunità Terapeutiche associate in “Comunitalia”, che accompagna le proposte del Partito Democratico per “un cambio di passo” nella politica sulle droghe. È un documento molto articolato, che contiene affermazioni non generiche o rituali, ma affronta i nodi di scelte non fatte, che hanno pesato finora negativamente sul lavoro degli operatori dei servizi pubblici e del privato sociale. Bersani punta il dito contro le misure “inutilmente repressive se non controproducenti del duo Berlusconi/Giovanardi” e condanna l’inerzia di Andrea Riccardi, l’attuale ministro responsabile del governo tecnico. Il primo dei dieci punti chiede l’immediata abrogazione della Fini-Giovanardi. È confortante leggere a firma di Bersani la denuncia della incostituzionalità della legge del 2006 e dell’impatto di quelle norme nel determinare il sovraffollamento carcerario: i dati citati confermano poi che in carcere entrano soprattutto consumatori o piccoli spacciatori, con un notevole peso, tra le sostanze, della cannabis. Vi è poi una vera e propria persecuzione verso chi coltiva marijuana per uso personale. La riforma della legge antidroga è stata sostenuta anche da Vendola e Ferrero. È un buon risultato: il lavoro di approfondimento compiuto in questi sette anni sul carattere ideologico e antiscientifico della svolta repressiva con la pubblicazione di tre Libri Bianchi sulla legge antidroga e le sue conseguenze sul funzionamento della giustizia e sul carcere (condotto da associazioni come Forum Droghe, Antigone, Cnca), ha finalmente fatto breccia. Di recente, il Consiglio Superiore della Magistratura ha proposto l’adozione di un decreto legge di modifica della Fini-Giovanardi per superare il sovraffollamento carcerario, indicazione disattesa colpevolmente dalla ministra Severino. Nelle settimane scorse il congresso di Magistratura Democratica ha varato una mozione finale che chiede la riforma della legge antidroga per superare l’illegalità delle nostre carceri, per la quale l’Italia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo. Per mettersi in regola vi è un anno di tempo ed è importante che al possibile capo del nuovo governo non sfuggano i termini della questione. Infine, vi è una critica dura al Dipartimento Antidroga per “come è stato impostato da Giovanardi e dal suo braccio operativo Serpelloni”. C’è da augurarsi che questo passaggio significativo sia letto anche dal sindaco di Reggio Emilia Delrio, che come presidente dell’Anci aveva siglato alla vigilia di Natale un accordo proprio con Serpelloni per la costituzione di un Consorzio Etico (sic!) in ogni città per una “community contro le droghe”, secondo principi elaborati dal Dipartimento stesso e fondati su messaggi terroristici e antiscientifici per i giovani. È una gaffe imbarazzante. Sembra dunque che il movimento sia riuscito a influire sull’agenda della politica. L’impegno continua con la raccolta di firme sulle tre leggi di iniziativa popolare su tortura, carcere e droghe. Israele: detenuto palestinese Issawi in tribunale dopo 213 giorni in sciopero della fame Aki, 20 febbraio 2013 Il detenuto palestinese Samer Issawi, da 213 giorni in sciopero della fame in un carcere di Israele, apparirà domani in Tribunale. Lo ha deciso la Magistratura israeliana. A darne notizia è la Campagna per la liberazione di Samer Issawi, che sulla sua pagina Facebook cita la sorella del detenuto, Sherine. Ieri era stata convocata una riunione d’emergenza della Magistratura israeliana per decidere se rispondere alla sua richiesta d’appello. Domenica la pagina Facebook mobilitata per la liberazione di Samer Issawi ha comunicato che le autorità israeliane avevano arrestato all’alba il fratello del detenuto palestinese, Shadi, mentre era in casa. Sabato la stessa Campagna aveva diffuso un messaggio di Samer Issawi nel quale diceva che la sua salute era peggiorata in modo drammatico, affermando che ora si trovava “tra la vita e la morte. Continuerò fino alla fine, fino all’ultima goccia di acqua nel mio corpo, fino al martirio. Il mio debole corpo sta collassando, ma sono ancora in grado di pazientare e continuo la resistenza”. Issawi ha aggiunto che i medici lo hanno avvertito del rischio di infarto per l’abbassamento del livello di zuccheri nel sangue e della pressione arteriosa. Issawi era stato rilasciato nell’ottobre 2011 nell’ambito dell’accordo tra Israele e Hamas per la liberazione del caporale Gilad Shalit in cambio di oltre mille detenuti palestinesi in carceri israeliane. Issawi venne riarrestato nel luglio dello scorso anno in base alla legge civile israeliana sulla detenzione che consente l’arresto di palestinesi in base alla minaccia che questi rappresentano per la sicurezza nazionale di Israele. Citriniti: “Continuerò finché la vita di Samer non sarà salva” (www.agoravox.it) Abbiamo raggiunto telefonicamente Rosario Citriniti, il mediattivista del Centro di Documentazione “Invictapalestina” di Pentone (Cz), da tre giorni in sciopero della fame in solidarietà coi detenuti palestinesi e con la drammatica protesta di Samer Issawi. Ecco il suo pensiero. Signor Citriniti fatti non solo parole, ma questo gesto serve? Quando si può fare poco e non si fa neppure quello… È un gesto, un tentativo di sensibilizzazione alternativo anche alle solite manifestazioni inascoltate da amministratori e politici totalmente prostrati ai poteri forti. Ho scelto un luogo sacro, sono davanti alla chiesa di Pentone, chi passa guarda, chiede, parla. È un’azione forse esasperata in un clima esasperato prodotto dalla mancanza d’ascolto per simili tematiche. Ha scelto di proposito gli ultimi giorni di campagna elettorale in Italia? I partiti sono proiettati sulla loro fiera delle vanità e delle promesse, tutti evitano di esporsi. Evitano responsabilità su ogni tema, figurarsi su una questione annosa come quella palestinese che crea divisione fra i potenziali elettori e finanche fra gli iscritti. I partiti girano alla larga dal prendere posizione su ogni cosa; princìpi come i diritti umani, il rispetto della vita - perché per un uomo come Issawi che può morire da un momento all’altro di questo si tratta - non li affrontano proprio. Neppure a sinistra? Qualcuno sensibile c’è. Il discorso delle visite ai campi profughi fu avviato anni fa da Stefano Chiarini (il compianto giornalista del Manifesto, ndr) che s’era candidato in un partito della sinistra. Chi sta nello stesso gruppo conserva quest’impegno. Ma piccoli partiti a parte, esistono solo strutture che organizzano delegazioni non dico inconcludenti però con obiettivi davvero minimi, minimi, minimi, perché alla fine non hanno nessun potere decisionale e nessuna ricchezza da distribuire per risolvere questioni pratiche. Perché anche figure sociali antagoniste - precari, disoccupati, licenziati - insomma coloro che da noi tuttora lottano paiono poco sensibili a queste tematiche? Le uniche prese di posizione concrete le ho trovate in alcuni centri sociali, chi è cosciente per una scelta militante ovviamente si mobilita. Oggi l’operaio e il disoccupato sono già afflitti da una quotidianità ossessionata dal carovita e da quella giungla che sono diventati i rapporti sociali e diventano poco propensi a guardare oltre. La solidarietà internazionale politicizzata o generica sono scomparse? Una personale accusa rivolta ai partiti riguarda la progressiva disincentivazione alla partecipazione. Stessa pratica diffusa dal sindacato che per più d’un ventennio ha attaccato la rappresentanza diretta. Queste tendenze hanno creato spettatori, più o meno plaudenti, non cittadini attivi e il panorama odierno non offre scenari migliori. Tutti noi torniamo a casa, accendiamo la tele, la sintonizziamo verso quell’informazione che crediamo più confacente al nostro pensiero o più alternativa e succhiamo. Si tratta in ogni caso di un’informazione che arriva dall’alto, senza confronti. Sarà forse l’irrisolutezza della questione palestinese a produrre certe indifferenze? Israele ha puntato a complicare la situazione, procrastinando nel tempo vicende che anziché risolversi s’ingarbugliavano. Se la questione fosse presentata come esplicito colonialismo o pulizia etnica d’un popolo la gente risponderebbe con maggiore risolutezza e speranza. Invece Israele ha abilmente diffuso l’idea d’una soluzione difficile, peraltro praticabile coi soli mezzi da lui usati: occupazione, guerra, morte, carcere. Gli argomenti per cui ora si sciopera. Sono forse inefficaci i metodi di sostegno? Qualsiasi metodo dà sempre un valore aggiunto alla lotta e alla solidarietà con la Palestina. Zero virgola zero zero uno sommato a qualsiasi quantità fa sempre quella quantità più zero virgola zero zero uno. Naturalmente serve anche fermarsi e vedere se gli sforzi sono commisurati ai risultati, ciascuna azione dovrebbe essere valutata per gli effetti positivi che produce. Credo che in questa fase per i palestinesi sia utile una rivendicazione basata sui diritti primari dell’uomo: diritto alla vita, all’istruzione, alla casa. Oppure, terza ipotesi, la forza d’Israele sta nel sostegno incondizionato e trasversale che riceve da tutti ovunque nel mondo? Molte volte mi sono chiesto cosa spinge Saviano a prendere le parti d’Israele; cosa spinge Erri De Luca a dire che negli anni passati in Israele i confini erano aperti. Sicuramente dietro questi discorsi ci sono opportunità di coloro che si pongono nell’area di pensiero filo israeliano. Lo Stato ebraico ha proposto campagne di reclutamento per artisti che possano trasformarsi in suoi propagandisti, negli anni passati al Salone del libro di Torino l’elenco degli intellettuali accreditati penso sia stato fatto dai ministeri degli Esteri e della Difesa non dei Beni Culturali. Personaggi noti servono da sostegno a precisi disegni geopolitici che richiamano, a mio avviso, razzismo, apartheid, colonialismo. Amos Oz scrive romanzi bellissimi ma scopriamo che appoggia la guerra in Libano. Se il “Muro di sicurezza” viene definito così da un israeliano o da un disinformato cittadino europeo forse lo si può accettare. Sentirlo definire così da un intellettuale che sa come su un confine di 350 km s’è costruita una barriera di 700 km tutta in territorio palestinese fa pensare alla malafede o a interessi precisi. Quanto durerà l’azione che ha intrapreso? Durerà i tempi che avranno Croce Rossa e Amnesty International a far valere le iniziative per salvare la vita a Samer Issawi. Stati Uniti: esecuzione condanna morte sospesa in extremis, detenuto ha problemi mentali Apcom, 20 febbraio 2013 Nelle ultime ore si è parlato molto, negli Usa e non solo, della condanna a morte inflitta in Georgia, a un 52enne con problemi mentali, Warren Hil, detenuto da 20 anni nel penitenziario di Jackson. Ebbene, all’1, ora italiana, a sorpresa, è stata sospesa l’esecuzione della pena capitale. I legali hanno asserito che Hill, condannato a morte per aver ucciso un suo compagno di cella, ha 70 di quoziente intellettivo. Iraq: saudita condannato a morte per legami con gruppo jihadista Aki, 20 febbraio 2013 Un cittadino saudita è stato condannato a morte da un tribunale iracheno con l’accusa di far parte di un gruppo jihadista attivo in Iraq. Lo ha annunciato il Consiglio supremo della giustizia di Baghdad. L’uomo, riferisce l’agenzia di stampa Dpa, è stato condannato per essere entrato illegalmente in Iraq dalla Siria e per essersi unito ai miliziani dell’Esercito islamico in Iraq con l’obiettivo di combattere contro le forze americane e di destabilizzare il Paese. Non è chiaro a quando risalga l’arresto del saudita. L’Esercito islamico in Iraq è apparso per la prima volta nel marzo del 2004 e, dopo aver annunciato la sua alleanza con al-Qaeda nella guerra alle forze della coalizione allora dispiegate nel Paese, ha rivendicato negli anni passati vari sequestri di stranieri e si è reso responsabile di molti attacchi. Il gruppo armato ha rivendicato anche il rapimento e l’uccisione del giornalista Enzo Baldoni. Le forze americane hanno completato il ritiro dall’Iraq nel dicembre del 2011. Iraq e Arabia Saudita starebbero negoziando un accordo per uno scambio di prigionieri: circa 60 sauditi sono detenuti nelle prigioni del Paese arabo, mentre sono un centinaio gli iracheni rinchiusi nelle prigioni del regno.