Giustizia: premier Monti firma Decreto e destina 16 milioni di € per il lavoro dei detenuti Il Velino, 15 febbraio 2013 Durante il Consiglio dei ministri il presidente del Consiglio Mario Monti ha riferito di aver firmato il decreto, proposto dal Guardasigillli Paola Severino, che destina 16 milioni di euro agli interventi per favorire l’attività lavorativa dei detenuti. Lo rende noto il comunicato diffuso al termine del Cdm. Sul tema del lavoro per i detenuti, che ha particolarmente caratterizzato la sua azione di governo, oggi la guardasigilli Paola Severino partecipa al convegno dal titolo Lavoro-Carcere-Giustizia-Imprese che si tiene oggi alle ore 17:30 presso il Centro Congressi A. Luciani, promosso dal ministero della Giustizia in collaborazione con l’università patavina, la locale sezione di Confindustria e il Consorzio sociale Rebus. I lavori, coordinati da Nicola Boscoletto, presidente di Rebus, consorzio sociale che raccoglie le cooperative Giotto, Work Crossing e Cusl attive negli istituti penitenziari, sono introdotti dal saluto del sindaco Flavio Zanonato, da Giovanna Di Rosa, componente del Consiglio Superiore della Magistratura, e da Giuseppe Guerini, portavoce dell’Alleanza Cooperative Italiane. Intervengono Berto Enrico, vicepresidente Confindustria Padova e presidente Gruppo Giovani imprenditori, Piegiorgio Baita, presidente del gruppo Mantovani, Cesare Pillon, amministratore delegato del Gruppo AceagasAps, Marina Bastianello, vicepresidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. Le conclusioni sono affidate alla ministro della Giustizia Paola Severino e al presidente dell’Associazione Italia Decide Luciano Violante. Al centro dell’incontro il tema del rifinanziamento della c.d. Legge Smuraglia e la possibilità di incrementare le misure di sostegno già introdotte (riduzione della contribuzione INPS e/o crediti d’imposta) per le imprese pubbliche e private che organizzano attività produttive con l’impiego di detenuti internati o ammessi al lavoro esterno ai sensi dell’art. 21 dell’Ordinamento Penitenziario. Giustizia: Pannella (Radicali); le carceri sono luogo di tortura dello Stato Agi, 15 febbraio 2013 Il leader radicale Marco Pannella, capolista alla Camera dei Deputati in Abruzzo per Amnistia Giustizia Libertà ieri è tornato a far visita ai detenuti del carcere di Teramo. Con lui c’era Rita Bernardini. “Ho visto gente disperata che gridava giustizia”, ha raccontato Pannella stamane in una conferenza stampa e senza mezzi termini ha definito le carceri italiane “luogo di tortura dello Stato”. In particolare, uscendo dalla sezione femminile, ha raccontato il caso di “malagiustizia in cui una giovane madre detenuta, anziché beneficiare dei domiciliari, vive in carcere con un bimbo di due anni nato con una malformazione (ha un rene solo) e che da dieci mesi non riceve la visita di un pediatra”. “I provvedimenti sfolla carceri - sempre secondo Pannella - non hanno risolto il problema, il provvedimento di depenalizzazione deve marciare insieme all’amnistia”. Secondo Pannella in Italia il carcere uccide e non rieduca “perché esiste la morte per pena e non la pena di morte”. Pannella, che ha visitato il carcere di Teramo già la scorsa estate, ha concluso: in carcere “si registrano troppi suicidi e tentati omicidi, non solo a Teramo”. Giustizia: Vietti (Csm); costruire nuove carceri è soltanto un’illusione demagogica Adnkronos, 15 febbraio 2013 Il tema delle carceri è “una sfida con la quale si dovrà misurare la nuova classe politica, che dovrà affrontare un nodo troppo a lungo eluso” ma che va “ripensato profondamente”. È quanto ha detto il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, che ha invitato a “uscire dall’illusione demagogica che l’emergenza si risolva costruendo nuove carceri”. “Se ne parla dal 2001 e ancora non se ne sono viste”, ha ricordato Vietti, intervenuto alla presentazione di un libro all’Università Lumsa di Roma, sottolineando come non si possa “inseguire il numero crescente di detenuti con la costruzione di nuovi istituti”. “Così come è il carcere non funziona - ha ammonito Vietti - ci vanno molti che non dovrebbero andarci e non ci vanno molti che ci dovrebbero andare”. Sicuramente, ha concluso, “si deve imboccare la strada delle misure alternative”. Giustizia: sì ai provvedimenti di clemenza, ma poi si proceda con le riforme strutturali di Desi Bruno (Garante dei diritti delle persone private della libertàRegione Emilia-Romagna) Ristretti Orizzonti, 15 febbraio 2013 Prosegue incessantemente la battaglia contro le condizioni disumane delle carceri italiane. E non potrebbe essere altrimenti. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nella recente sentenza “Torreggiani ed altri contro l’Italia” ha condannato il nostro Paese al risarcimento dei danni morali subiti da sette detenuti italiani per il “trattamento inumano e degradante” delle nostre carceri, lasciandoci un anno di tempo per fronteggiare il problema con provvedimenti strutturali. In questo contesto, l’amnistia può costituire solo la premessa - e non certo l’esito - di un programma di riforme imprescindibili per l’affermazione dei più elementari diritti dei detenuti. Dal 1975 (anno della sua introduzione), l’Ordinamento Penitenziario è stato ripetutamente “martoriato” da interventi legislativi ispirati alle più diverse esigenze (correzionali, deflattive). Questa continua esigenza di “aggiustare il tiro” deriva da alcune ragioni strutturali: ancora oggi, si tende a dislocare verso il “basso” (ovvero verso il momento dell’esecuzione penale) la soluzione di problemi che non si riesce (o non si vuole veramente ) risolvere “a monte”. Questo accade perché, quando si supera qualunque soglia di tollerabilità nel numero di presenze negli istituti, volenti o nolenti qualcuno se ne deve occupare. Se il carcere non regge più, è lo stesso sistema complessivo della giustizia penale che rischia di precipitare: per questo motivo, le esigenze “burocratiche” di governo del carcere vengono ad assumere un’importanza decisiva e il legislatore è chiamato a tamponare l’emergenza. Ma, per affrontare strutturalmente il problema (come ci chiede la Cedu), questo non può bastare. La questione va affrontata alla radice, senza attendere ulteriormente: in primo luogo sostenendo con forza la fin troppo rinviata riforma del codice penale, con un programma ispirato ad un diritto penale minimo, “bloccato” da una riserva di codice e soprattutto con la previsione di un sistema sanzionatorio diverso e maggiormente articolato, che preveda la pena detentiva solo come una delle opzioni possibili (e solo per i reati molto gravi), accanto alle pene pecuniarie, interdittive, prescrittive e l’avvio ai lavori socialmente utili. L’altro intervento, peraltro comunemente auspicato, riguarda un diverso utilizzo della custodia cautelare in carcere: e, da questo punto di vista, non c’è nulla da inventare perché - per impedire a migliaia di persone di transitare dal carcere per pochissimi giorni - basterebbe farne un uso coerente con la normativa vigente. Non c’è dubbio: negli ultimi tempi sono stati messi in campo alcuni interventi legislativi condivisibili, come quella particolare tipologia di detenzione domiciliare che consente di scontare l’ultimo anno e mezzo della pena a casa propria o in altra idonea dimora. Altri sono rimasti in sospeso con l’interruzione anticipata della legislatura, come l’istituto della messa alla prova nel processo penale a carico degli adulti. Ma questi provvedimenti, da soli, non possono bastare. Occorrono riforme di ampia portata per incidere sulle molteplici questioni aperte dalla giustizia e dal carcere in un’ottica che non sia meramente emergenziale. Solo a queste condizioni sarà possibile riattivare quel virtuoso percorso delle misure alternative previsto dalla legge Gozzini del 1986, che - nonostante i continui interventi normativi che tendono a ridurne l’operatività - continuano a sopravvivere nella legge ma che non vengono pienamente applicate nella prassi. Altre soluzioni che occorre mettere in campo riguardano la riscrittura della normativa sugli stupefacenti e sull’immigrazione, nonché l’abrogazione della legge cd. Ex-Cirielli sulla recidiva. Si tratta di scelte politiche che richiedono la disponibilità a valutazioni ponderate, lontane da quella logica del legiferare in via di emergenza, che tende sempre ad inasprire le pene e aumentare le figure di reato. È necessaria un’inversione di tendenza radicale, che accolga l’idea di una pena detentiva appannaggio esclusivo di quei comportamenti che ledono beni giuridici di primaria importanza e che annoveri tra le proprie opzioni anche modalità di esecuzione ispirate a finalità riparative e restitutorie nei confronti delle vittime dei reati e della collettività. Giustizia: le celle scoppiano, ma l’amnistia divide… e lo Stato non può essere sconfitto di Ignazio La Russa (Deputato del Pdl, esponente di Fratelli d’Italia) Panorama, 15 febbraio 2013 È vero, le carceri sono sovraffollate: soffrono i detenuti e soffrono gli agenti della polizia penitenziaria. Ma l’amnistia è una sconfitta dello Stato. Che fare? Costruire nuove carceri. Se ne parla da anni, però non si vede nulla. Si possono poi immaginare strutture con un grado di afflittività meno elevata per chi deve scontare pene inferiori ai due anni, riservando ai semiliberi strutture reperibili tra gli immobili dello Stato, come le caserme inutilizzate. Occorrerebbe poi occuparsi più attivamente delle pene alternative, senza dimenticare che il problema principale è la carcerazione preventiva. Gran parte della popolazione carceraria è in attesa di giudizio, spesso una misura non necessaria. Sono proposte realizzabili in tempi rapidi. Chiedere l’amnistia è facile, a volte con una motivazione ideologica; ma è un’ingiustizia, soprattutto nei confronti delle vittime di reato e dei loro familiari. E mi dà da pensare che gli stessi che si scapano magari giustamente contro il condono tombale poi si sbraccino a favore dell’amnistia. Giustizia: intesa tra Telefono Azzurro e Dap per i prossimi tre anni, un aiuto alle detenute di Marzia Paolucci Italia Oggi, 15 febbraio 2013 Celle e bambini: a pensarci niente di più lontano, eppure succederà ancora di trovarceli finché non saranno portate a compimento le strutture giuste per loro che niente dovranno più avere a che fare con il carcere. Telefono Azzurro, l’Onlus che da 25 anni si occupa dei minori, si schiera al loro fianco con un progetto mirato alla riqualifica degli spazi di incontro e convivenza familiare dei genitori detenuti con i propri figli. Sono circa 100 mila i bambini che ogni anno fanno visita a un genitore in carcere eppure solo il 35% degli istituti italiani è provvisto di locali adeguati ai colloqui dei detenuti con i figli, nel 75% dei casi manca negli istituti il personale specializzato per partecipare alle visite dei bambini e anche i bambini sono sottoposti a perquisizioni nel 40% dei casi. Per rispondere alla sofferenza dei più piccoli costretti a vivere in cattività in un ambiente innaturale quale il carcere e allo strazio della famiglia per l’altalenante distacco dai figli che vanno e vengono dal carcere dove incontrano periodicamente il genitore, l’Onlus mette a disposizione del Dap del ministero il suo progetto “Bambini e carcere” attivo già dal 1999. Il 4 febbraio scorso alla firma del relativo protocollo di intesa nella casa circondariale di Rebibbia a Roma con il Dipartimento amministrazione penitenziaria, era presente Simonetta Matone, vice capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il ministro della giustizia Paola Severino e il presidente di Telefono azzurro Ernesto Caffo. L’impegno è quello di creare per i bimbi stabilmente presenti all’interno degli istituti di pena e ora degli “istituti a custodia attenuata” che da gennaio 2014 dovranno essere obbligatoriamente attivati per legge come prevede la novella dell’art. 275 del c.p.p, apposite sezioni nido da zero a tre anni e delle ludoteche per bimbi e adolescenti in visita ai genitori. Con la recente riforma dell’articolo che vieta l’applicazione della custodia cautelare in carcere in determinate situazioni è stato infatti introdotta la figura dell’Istituto a custodia attenuata per detenute madri - Icam dove potranno essere trasferite le detenute incinte e le madri con i figli di età non superiore ai sei anni, limite che fino al 2011 era fissato ai tre anni di età del bambino. Si tratta di strutture di detenzione leggere come quella realizzata a Milano grazie a una convenzione sottoscritta a costo zero con la Provincia, senza sbarre e senza divise per gli operatori penitenziari che ci lavorino in un ambiente familiare e studiato per i bambini con l’obiettivo di far pesare loro il meno possibile la condizione di reclusione della madre. Nel protocollo di intesa valevole per tre anni ma rinnovabile, il progetto di Telefono azzurro che nel 2012 ha interessato 10.046 bambini, è segnalato come “un’opportunità per crescere come persona in qualità di genitore, con la consapevolezza che l’aiuto, la facilitazione sul piano della relazione con i propri figli sia importante anche per la crescita equilibrata di un minore che dovrà imparare a comprendere, accettare e vivere positivamente una situazione familiare così particolare”. Sarà costituito uno staffai direzione del progetto a partecipazione mista tra Dap e Telefono azzurro che attraverso i suoi volontari curerà in prima persona la progettazione, realizzazione e allestimento degli spazi adeguati ad accogliere i bimbi fino a tre anni, le “sezioni nido”, ma anche la ludoteca dove intrattenere pre e post colloquio bambini e adolescenti in visita ai genitori. In particolare, il progetto di allestire sezioni nido prevede la creazione all’interno delle carceri dei ed “angoli morbidi” per lo sviluppo psico-fisico del bambino, una rete di supporto per la madre a cominciare dalla figura del pediatra e regolari uscite di accompagnamento a nidi comunali, parchi gioco, giardini pubblici e ludoteche. Per quanto riguarda, invece, le ludoteche interne all’istituto destinate a intrattenere bambini e ragazzi con le loro famiglie nei momenti di visita al genitore, qui lo sforzo di Telefono azzurro sarà quello di organizzare attività di laboratorio ed eventi guidati dai volontari nei quali i minori e i loro genitori possano sperimentare esperienze nuove e arricchenti. Per il presidente dell’Onlus Ernesto Caffo, “Con la firma del protocollo, il ministero riconosce il ruolo fondamentale di un servizio che la nostra associazione svolge da 15 anni in 15 istituti, intervenendo per ricostruire un tessuto familiare lacerato ed evitando traumi e sofferenze a 10 mila bambini ogni anno”. Giustizia: Codice penale, norme da cambiare di Giovanni Iudica (Ordinario di diritto civile Università Bocconi di Milano) Corriere della Sera, 15 febbraio 2013 Di solito, quando si è invitati a cena, si arriva stanchi, con alle spalle una intensa giornata di lavoro, e si fa fatica a seguire con qualche interesse la conversazione che stenta ad avviarsi e poi a proseguire. Invece, nella serata conviviale di ieri, non sono mancati gli argomenti di discussione e tutti sono stati particolarmente coinvolgenti. Il primo argomento è stato, e non poteva essere altrimenti, le ragioni delle dimissioni del Papa. Giro di tavola: ciascuno ha prospettato una ragione diversa. Poi la conversazione è scivolata sul fatto di cronaca della scarcerazione, dopo appena dieci anni di prigione, di un ricco giovanotto dell’alta borghesia milanese che aveva assassinato e fatto a pezzettini una bella ragazza, sua amica, con quaranta coltellate. Su questo tema, la convergenza delle opinione dei presenti divenne totale. Mentre sulle dimissioni del papa era stato aperto un ventaglio dei più disparati motivi, sul fatto della liberazione dell’assassino l’indignazione è stata unanime e da tutti sostenuta, manifestata e condivisa senza sfumature. Tutti d’accordo nel negare cittadinanza alla pena di morte, ma anche tutti d’accordo nello stare dalla parte della povera vittima e non dalla parte del suo assassino. Ma cosa è successo alla nostra società? Ma non esiste più la pena, la pena adeguata al delitto commesso? Cosa c’è di più grave dell’assassinio dì una ragazza innocente? E come è possibile che gli assassini di Aldo Moro e della sua scorta fossero tutti al funerale dell’assassino Prospero Gallinari invece di stare chiusi nella loro cella? Per ottenere giustizia occorre ancora rivolgersi allo Stato o non resta che affidarsi alle mani sporche della mafia? Ma dove è finito il diritto penale? L’illustre penalista presente alla cena ha spiegato, norme alla mano, che nel caso di specie il giudicante ha applicato correttamente le regole del codice penale. Per compensazione tra aggravanti e attenuanti, per sconti dovuti a buona condottale per tutta una serie di meccanismi tecnici, la decisione del giudice è stata impeccabile. E allora tutti i commensali si sono detti d’accordo che non è sempre colpa dei giudici se le cose non vanno come dovrebbero. Spesso è colpa della legge che i giudici sono tenuti ad applicare. Tutti d’accordo nel ritenere che questo codice penale, così come è, non va. Tutti hanno preso atto che, dal codice Rocco a oggi, si è verificata una lacerante divaricazione tra norma penale e comune sentire. La gente sta dalla parte dei deboli, delle vittime, dalla parte di Abele. La legge penale attuale dalla parte di Caino. Sardegna: vista dei Radicali nelle carceri, detenuti sospendono sciopero fame Notizie Radicali, 15 febbraio 2013 A Nuoro i detenuti in 41bis aderiscono a mobilitazione nonviolenta promossa da Marco Pannella. Nella giornata di ieri, il deputato radicale Maurizio Turco, accompagnato dalla segretaria dell’Associazione Il Detenuto Ignoto, Irene Testa, candidata per le prossime elezioni politiche alla Camera dei Deputati per la Lista Amnistia Giustizia Libertà, e dagli altri candidati Maria Isabella Puggioni e Paolo Ruggiu, ha condotto due visite ispettive nelle carceri isolane di Massama e di Badu e Carros a Nuoro. Nel carcere di Massama ha avuto modo di verificare le ragioni dell’iniziativa nonviolenta di sciopero della fame intrapresa da più di 30 detenuti ospiti della struttura, che da alcuni giorni denunciano una serie di problematiche relative alla chiusura diurna dei blindi e alla mancanza di attività trattamentali. La visita ispettiva effettuata nell’istituto ha rilevato che, dopo circa quattro mesi dalla consegna dell’edificio, il nuovo carcere presenta gravi carenze strutturali, un alto tasso di umidità e copiose perdite d’acqua che hanno già comportato il subitaneo deterioramento di intere pareti dell’istituto. Risultano quindi numerosi gli spazi nella struttura inutilizzabili, che si sommano a diversi spazi strutturalmente inutili, in una struttura che è appena costata circa 40 milioni di euro alle casse dello Stato. La risposta dei Radicali alle istanze dei detenuti scioperanti ha per il momento consentito loro di poter sospendere la loro lotta nonviolenta, ma le problematiche emerse rimangono sul tappeto e dovranno necessariamente essere oggetto dell’azione politica futura dei Radicali e della prossima composizione parlamentare. I Radicali, candidati nella Lista Amnistia Giustizia Libertà, hanno inoltre visitato i detenuti del carcere nuorese di Badu ‘e Carros, che nei giorni scorsi hanno scritto un appello di adesione alle due prossime giornate di mobilitazione nonviolenta previste per il 18/19 febbraio, indette dal leader Marco Pannella. La pena afflittiva del 41 bis e dell’ergastolo ostativo a cui sono sottoposti i detenuti del carcere di Nuoro, è certamente una misura anticostituzionale che cancella definitivamente l’esistenza di queste persone al pari di una condanna a morte: fine pena mai significa murare vivi esseri umani a cui non è concesso nessun ravvedimento, in barba a quanto disposto dall’art. 27 della Carta, e collide con quanto ratificato dall’Italia in sede Onu dal 1988, configurandosi spesso quale atto di “tortura” qualora è il provvedimento viene sovente ritirato in seguito a una collaborazione da parte del condannato. Toscana: Garanti dei detenuti e Amministrazione Penitenziaria firmano patto per riforma Adnkronos, 15 febbraio 2013 Il sovraffollamento e le drammatiche condizioni delle carceri italiane rappresentano ormai un’emergenza da affrontare rapidamente e con soluzioni concrete. Per questo il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria e i Garanti dei diritti delle persone private della libertà attivi oggi in Toscana, sia a livello regionale che comunale, hanno stipulato un patto per la riforma del sistema carcerario. Il documento è stato siglato dal provveditore per la Toscana Carmelo Cantone, dal Garante dei detenuti della Toscana Alessandro Margara, dal Garante per il Comune di Firenze Franco Corleone, e per il comune di Livorno da Marco Solimano, per Pisa da Andrea Callaioli, per Pistoia da Antonio Sammartino, per la provincia di Massa Carrara da Umberto Moisè, per il comune di San Gimignano da Emilio Santoro. Il documento nasce da una scommessa di fondo: realizzare in Toscana un’alleanza fra tutte le parti in causa per tutelare i diritti dei detenuti, migliorare le loro condizioni di vita all’interno delle carceri e potenziare i percorsi di trattamento e reinserimento. L’obiettivo è quello di dar vita a un’esperienza pilota, e in questo senso il patto per la riforma si pone una serie di obiettivi concreti, che i firmatari si impegnano a realizzare già nel 2013. Numerosi i punti affrontati: dall’avvio di un monitoraggio al confronto con le Asl per rendere effettivo il passaggio della sanità penitenziaria al sistema sanitario nazionale; dalla promozione di percorsi di inserimento esterno, per lo svolgimento di lavori di pubblica utilità, alla chiusura effettiva dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. E ancora: la nascita delle case per le semilibertà in vari Comuni toscani all’istituzione di case per madri detenute con figli; il potenziamento dei programmi per tossicodipendenti con affidamenti terapeutici e detenzioni domiciliari, in caso di pene sotto i 18 mesi, e l’incremento dell’offerta culturale, formativa, lavorativa e sportiva all’interno del carcere. Migliorare poi le condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari rappresenta una priorità assoluta, e le parti si sono impegnate ad ampliare le possibilità di lavoro interno, a migliorare le aree destinate all’incontro con i familiari, soprattutto se minori, e a incrementare le misure alternative alla detenzione. Pollina (Fli): la politica deve occuparsi con urgenza della situazione “La situazioni nelle carceri italiane è sempre più insostenibile. Il sovraffollamento e le recentissime notizie di mancanza di adeguati controlli igienico-sanitari, sono cose incomprensibili per un paese civilizzato come dovrebbe essere l’Italia”. Angelo Pollina, Candidato per la Camera dei Deputati in Toscana e il Liguria per Futuro e Libertà, torna a parlare della situazioni delle carceri italiane in seguito alle recenti notizie di cronaca. “È incredibile la notizia del ritrovamento di escrementi di topo nel forno della cucina del carcere di Lucca dove vengono preparati i pasti per i detenuti. Credo che si sia raggiunto il limite. Dobbiamo subito intervenire affinché venga rispettata la dignità umana nelle carceri. Noi di Futuro e Libertà da sempre sosteniamo l’importanza della pena ma da molto tempo diciamo anche che è arrivato il momento di pensare a pene alternative. Il carcere deve essere un posto di redenzione e aiutare il giusto reinserimento all’interno della società di colui il quale ha infranto la legge. Ma mi sembra che ormai non sia più così da troppo tempo. E non mi riferisco solo al sovraffollamento delle carceri, condizione che già rende molto penosa la vita dei detenuti, ma anche alla mancanza di adeguati controlli igienico-sanitari. Un problema, questo che mette a serio rischio anche la salute dei carcerati, e non solo. La poca attenzione alle norme sull’igiene, ma anche lo stesso sovraffollamento rendono impossibili o comunque molto difficoltose le più elementari sicure di prevenzione anche per malattie molto gravi. La polizia penitenziaria, infatti, come gli stessi detenuti, sono periodicamente esposti a malattie come l’Hiv, la tubercolosi, la meningite, la scabbia e altre malattie che si ritenevano debellate in Italia. La politica, a tutti i livelli, deve intervenire e sanare questa situazione sempre più insostenibile”. Lazzeri: la Toscana è ancora impreparata allo svuota Opg “Chiusura Opg di Montelupo, rischio dismissioni selvagge in assenza di interventi strutturali che garantiscano la sicurezza dei pazienti e della comunità. Ma anche mancanza di un piano che assicuri il futuro lavorativo dei 23 operatori impiegati nella struttura”. È l’allarme lanciato dal consigliere del gruppo “Più Toscana” e membro della IV commissione “Sanità”, Gian Luca Lazzeri, che, a un mese dalla dismissione degli Ospedali psichiatrici giudiziari (fra cui quello di Montelupo) prevista dal cosiddetto “decreto svuota carceri” (il 211 del 2011), punta l’attenzione sulla mancanza di strutture alternative che garantiscano la gradualità del reinserimento dei pazienti. “A luglio - spiega - gli internati erano 107 e su di loro pendono condanne per omicidio, lesioni personali, omicidio aggravato, stupro di minore e piromania. Persone che dal primo aprile rischiano di trovarsi senza sedi alternative rimanendo privi di assistenza”. Un rischio denunciato anche dalla Società Italiana di Psichiatria con la proposta di una proroga al decreto per i sei Opg su suolo italiano, della quale il consigliere raccoglie l’appello. “La chiusura dell’Opg di Montelupo - prosegue l’esponete di Più Toscana - è una scelta storica per il nostro Paese, ma i problemi di gestione rischiano di trasformarla in un boomerang sanitario che potrebbe avere gravi conseguenze sul tessuto cittadino e toscano. La Regione avrà, infatti, solo sessanta giorni di tempo per presentare un piano di utilizzo risorse che stabilisca come allocare parte dei 173 milioni di euro sbloccati il 7 febbraio da Roma per finanziare il ricollocamento dei pazienti. E tutti sappiamo come “presto e bene” stiamo male insieme. La Toscana è impreparata ad accogliere e collocare questi pazienti, specie con fondi sbloccati praticamente la settimana scorsa a fronte di un progetto, quello della ricollocazione, che richiederebbe anni di lavoro per essere a prova di bomba e garantire i diritti dei malati”. Nodi da sciogliere che si aggiungono a quelli sul destino dei pazienti che dovranno continuare a scontare la loro pena in carcere. “Per queste persone - commenta - servono misure da attuare immediatamente come reparti dedicati negli istituti di pena che in Toscana sembrano un paradosso viste le condizioni dei carceri di Firenze, con 935 detenuti a fronte dei 450 previsti, o di Lucca, dove un giorno fa sono state rinvenute deiezioni di topi nelle cucine. Il patto per la riforma del sistema carcerario toscano - conclude Lazzeri - è un buon inizio, ma in assenza di un organismo di vigilanza con poteri sanzionatori rischia di restare una lettera dei desideri”. Molise: l’arcivescovo Bregantini in aiuto ad infermieri delle carceri, “il bando sia ritirato” www.primonumero.it, 15 febbraio 2013 L’arcivescovo Giancarlo Bregantini ha incontrato un gruppo di infermieri che operano nelle carceri molisane, che hanno esposto le loro problematiche al religioso. “Sono persone che svolgono un particolare compito di grande e grave responsabilità nel tessuto sociale- nella precisazione di Bregantini. Infatti l’ascolto delle prove, fisiche e spirituali, dei detenuti richiede a loro una particolare attitudine nell’ascolto e nell’accompagnamento. Tutto questo richiederebbe una maggior considerazione sociale del loro ruolo, tenendo anche presente che le carceri in questo momento stanno scoppiando, svolgendo così quel ruolo di “recupero sociale di chi ha sbagliato”, come vuole la nostra bella Costituzione Italiana. Invece, in merito a quanto appreso - dopo attento ascolto - dal personale infermieristico coinvolto, la Asrem della nostra Regione ha operato un bando per regolarizzare la situazione che non li tutela. Veri gli obiettivi di qualificazione, ma carenti i mezzi proposti. Perché, in realtà, a nostro giudizio come Chiesa che è sempre in ascolto dei più fragili, possiamo rilevare che vengono violati i diritti maturati dentro la legge 740/70 ed anche lo spirito del decreto Presidente Consiglio dei Ministri (1.4.2008), poiché alcuni infermieri prestano servizio da oltre 20 anni e che non trovano adeguate tutele nel bando proposto. Soprattutto non si tengono in conto le particolarissime esigenze che comporta essere infermieri in carcere a servizio della popolazione detenuta. Se infatti ogni otto mesi cambierà la figura dell’infermiere, in una continua immotivata turnazione, ci si chiede con quale animo il detenuto potrà essere seguito, ascoltato, capito ed accompagnato”. Il Vescovo perciò, chiede con forza e fiducia all’Asrem di seguire gli esempi positivi che sono già stati attuati dalle regioni confinanti, come l’Abruzzo, Puglia e Toscana. Queste ed altre Regioni hanno infatti saputo qualificare questo servizio infermieristico carcerario, senza violare diritti e competenze, maturate da decenni che ne garantiscono invece la speciale qualità. L’arcivescovo confida nella saggezza legislativa della Aasrem, “perché si venga all’opportuna scelta di ritirare il bando in questione”. Lazio: il 19 febbraio presentazione rapporto congiunto Garante-Cgil su carceri regionali Il Velino, 15 febbraio 2013 Martedì 19 febbraio a Roma alle 11 nella Sala Rossa FILT di piazza Vittorio Emanuele II, 113 sarà presentato il rapporto congiunto Cgil Fp e Garante dei detenuti sulla situazione delle carceri del Lazio. Il titolo della ricerca è “I diritti dei detenuti e le condizioni lavorative degli agenti di polizia penitenziaria”. All’incontro interverranno il Garante dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni, il coordinatore regionale Fp Polizia penitenziaria Stefano Branchi e Silvia Ioli, della segretaria regionale Cgil Roma - Lazio. Sassari: il Comune sollecita più lavoro e più studio, per riabilitare i detenuti La Nuova Sardegna, 15 febbraio 2013 Tossicodipendenza, disoccupazione, sovraffollamento. Sono ormai noti i problemi che affliggono le carceri, San Sebastiano in particolare. E di questi temi hanno parlato ieri vari esponenti del mondo penitenziario e non, convocati in un incontro chiuso alla stampa nelle sale del Comune dalla Garante per i detenuti, Cecilia Sechi, per “condividere informazioni e affrontare insieme tutte le criticità legate al mondo carcerario”. L’obiettivo dichiarato è quello di creare un organismo che possa sopperire alle mancanze di un sistema-carcere che non consente al detenuto la giusta riabilitazione. Chi conosce la realtà dietro le sbarre, come i tre magistrati di Sorveglianza - il presidente Antonia Vertaldi e i colleghi Gaetano Cau e Riccardo De Vito - hanno puntato l’accento sulla necessità di impiegare i detenuti in attività che ne consentano il reinserimento sociale. Vertaldi ha proposto di inviare un gruppo di detenuti sul litorale di Platamona, per ripulirlo dalle canne che invadono l’arenile. Un primo passo verso l’inserimento dei reclusi nei lavori socialmente utili. Altra proposta è arrivata da Cau, convinto che i tossicodipendenti “non possano stare in carcere, un posto dove non vengono curati”. Dopo aver ricordato che in carcere “ci sono solo i poveri, non certo i politici”, Cau ha proposto di creare una sorta di comunità per detenuti tossicodipendenti sull’isola dell’Asinara dove “potrebbero prendersi cura dell’ambiente, e occuparsi nell’unica attività che può davvero consentire la riabilitazione: il lavoro”. I rappresentanti delle Camere penali, il presidente Gabriele Satta, la collega Maria Claudia Pinna e il vice presidente dell’Unione nazionale dei penalisti Giuseppe Conti, hanno sviscerato l’aspetto normativo della cosiddetta “svuota carceri”, spesso difficile da applicare anche per questioni pratiche. La direttrice di San Sebastiano Patrizia Incollu ha ricordato i numeri del carcere che verrà, l’istituto di Bancali, che potrebbe essere aperto entro l’estate, mentre la responsabile dell’area sanitaria, Monica Murino, ha analizzato il passaggio di competenze nella sanità carceraria del ministero della Giustizia alle Asl. Tutti hanno convenuto sulla necessità di creare attività di socializzazione all’interno degli istituti: “La permanenza in una struttura carceraria di un detenuto inoperoso e privato di responsabilità e conseguente dignità - ha rilevato Cecilia Sechi - determina la possibilità di recidiva che oscilla dalle cinque alle sette volte maggiore, rispetto ai detenuti impegnati”. Ad avviare i lavori il discorso del sindaco Gianfranco Ganau. Pordenone: il recupero del castello? ci pensano i detenuti di Stefano Polzot Messaggero Veneto, 15 febbraio 2013 Mentre s’allontana sempre di più la possibilità del trasloco del carcere in via Castelfranco Veneto, ma anche nella caserma Dall’Armi di San Vito al Tagliamento, i detenuti nell’antico castello di piazza della Motta saranno coinvolti in un progetto che li vedrà protagonisti nel tentare di recuperare quanto architettonicamente e artisticamente c’è all’interno delle mura. Come spesso accade, l’iniziativa nasce dalla buona volontà del direttore del carcere, Alberto Quagliotto, e del direttore dei musei civici di Pordenone, Gilberto Ganzer. Prima una conferenza ai detenuti sulla storia del castello, quindi l’avvio di iniziative che coinvolgeranno i detenuti nel recupero parziale della struttura. “Ogni città - spiega Ganzer - vive in modo diverso la propria storia, perché questa deposita tracce di sé nell’inconscio dei suoi cittadini. La storia di Pordenone potrebbe essere definita la storia di una extra territorialità spesso turbolenta di un luogo conteso e passato di mano tra vescovi e signori tedeschi, Patriarcato prima e tra impero e Signoria veneta poi. Possedere Pordenone era controllare un importante nodo di comunicazione di terra e di acqua e dunque il suo castello non è solo un monumento della storia dell’architettura, ma qualcosa di più: un centro di riferimento dominante accanto al quale si organizzò la vita di una comunità”. Il recupero. Non è vero, come qualcuno sostiene, che la destinazione a carceri, sancita dal Governo italiano nel 1883, dopo che la struttura ospitò prigioni, ma anche magazzini del sale, scuole e sale da ballo, ne abbia stravolto le caratteristiche. “L’edificio - afferma Ganzer - contiene aspetti pregevoli dal punto di vista architettonico a partire dall’ingresso”. Elementi che saranno illustrati ai detenuti, insieme alla storia del maniero, nella conferenza a loro dedicata che si terrà lunedì. Un primo passo di un programma “che, legato a una serie di indagini, consentirà di stabilire com’era organizzata la struttura, rimettere in luce l’antico mastio e compendiarla da un’analisi archeologica”. Proprio la torre che oggi non c’è più potrebbe essere ricostruita anche perché da alcune sommarie analisi non solo il recupero è possibile ma anche l’edificazione visto che nemmeno il terremoto del 1976 ha creato danni alla struttura. Qui entrano in gioco nuovamente i detenuti. “Il direttore del carcere - sottolinea Ganzer - si sta impegnando a ottenere le autorizzazioni affinché, dopo la fase formativa, i detenuti possano partecipare al recupero parziale della struttura sotto la guida di esperti. In questo modo contribuirebbero alla valorizzazione di un luogo dove sono costretti a vivere”. Il passo successivo è quello volto a “rivedere la centralità del castello in piazza della Motta una volta liberato dagli edifici sul lato est che nascondono il maniero e il suo maestoso ingresso alla piazza. Ripensando così alla sua funzione nel cuore della città e mettendo a fuoco quello che rappresenta e può rappresentare nella sua contraddittoria esistenza”. Grazie al sostegno del Rotary club di Pordenone, Ganzer ha coordinato un progetto, curato da Luca Villa, che mira appunto a questo obiettivo. “Un progetto - precisa Ganzer - che prescinde dalla destinazione del maniero, nel senso che rimanga come penitenziario oppure abbia un altro utilizzo se verrà realizzato un nuovo carcere”. Come emerge dalle simulazioni che pubblichiamo, semplicemente “ripulire” l’area con l’eliminazione di alcuni edifici che rappresentano delle “superfetazioni” dell’immobile principale darebbe respiro all’intera piazza e riporterebbe in primo piano proprio il castello che oggi, come ricorda Ganzer, è un luogo dimenticato. I segreti da scoprire. Il progetto organico, che per essere attuato avrebbe necessità di sostegni economici, non particolarmente impegnativi, passa attraverso la ricostruzione della storia dell’edificio. “Già diversi studiosi se ne sono occupati - afferma Ganzer - ma una puntuale indagine negli archivi di Innsbruck, Vienna, Klagenfurt e Venezia potrebbe restituire una pagina fondante non solo della sua identità anche architettonica ma della stessa città e del territorio”. L’idea del direttore dei musei civici è di finanziare borse di studio per giovani laureati. “Sono convinto - commenta Ganzer - che la consultazione documentale ci permetterebbe di conoscere di più sulla parte interrata dell’edificio ancora inesplorata”. Modena: il carcere di Sant’Anna adesso è più grande, ma le carenze rimangono di Stefano Totaro Gazzetta di Modena, 15 febbraio 2013 Il carcere finalmente si è allargato e può toccare anche quota 600 ospiti. In sordina, con una breve nota inviata ai media, la direzione della casa circondariale Sant’Anna ha reso noto che la tanto decantata nuova ala è stata attivata: il nuovo padiglione a tre piani dell’istituto penitenziario modenese già ospita 85 detenuti. Nessuna cerimonia ufficiale, nessun rinfresco, qualche numero, qualche considerazione sulle migliorie apportate e tutti già al lavoro. Ma il coro che si leva non è univoco, anzi. Il principale sindacato, il Sappe, punta subito il dito ricordando che la situazione è sempre al limite nonostante l’entrata in funzione della nuova struttura: carenze di personale croniche, mezzi obsoleti, un nuovo sistema di sorveglianza paragonabile ad una “ronda” che altro non farà che abbassare i livelli di sicurezza, sistemi tecnologici anti evasione inesistenti. Ma facciamo parlare i numeri “nuovi”: il padiglione ha una capienza di 200 posti letto. Ospiterà “inizialmente 85 detenuti definitivi, che già erano presenti al Sant’ Anna - si legge nella nota - in attesa dell’assegnazione di altri detenuti, provenienti dagli istituti della Regione e tutti appartenenti al circuito della media sicurezza con pene entro i cinque anni”. Dunque questa è la specializzazione del nostro carcere: ospitare detenuti con pene inferiori ai 5 anni. “Per effetto dell’apertura del nuovo padiglione, le celle della struttura vecchia torneranno ad essere occupate soltanto da due persone e non da tre, migliorandone la vivibilità. Il Nuovo padiglione si sviluppa su tre piani detentivi più uno per i servizi ed è stato costruito secondo i nuovi criteri di edilizia penitenziaria, rispondenti alle indicazioni del regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario, che prevedono tra l’altro finestre più ampie e dotate di scuri, servizi dotati anche di doccia all’interno ed un piccolo angolo per la pulizia delle stoviglie. È il primo dei 4 padiglioni che si prevede di realizzare in altrettanti istituti della regione”. Ora i numeri “vecchi”: il Sant’Anna, senza la nuova ala, è una struttura creata per 221 detenuti e può arrivare a pienoni anche di 500: la media, comunque terribile, è sui 350-400 detenuti. Ora, per lo spostamento di alcuni ospiti dovuto all’emergenza terremoto, il numero era leggermente calato ma negli ultimi mesi si era ritornati in media. Tuona il Sappe: “In base ai numeri mancherebbero 60 unità, quelle che chiediamo da anni. Ne hanno inviate 37 ma nel contempo 10 non ci sono più, per trasferimenti e pensionamenti. Quindi 27 nuovi, grazie all’ultima assegnazione. Già quindi meno della metà di quelli necessari. I detenuti con pene a meno di 5 anni sono liberi di girare nella struttura dalla mattina alla sera: il servizio che dobbiamo fare viene chiamato “sorveglianza dinamica”, che altro non è che un accorpamento di servizi, una specie di ronda tra i vari piani per controllare, e poi ci lamentiamo della sicurezza, del fatto che la droga circoli dentro le carceri. Non dimentichiamo che oltre alla nuova ala sono tornati operativi quei reparti che erano da ristrutturare: siamo troppo pochi. Adeso si aprirà la corsa al Sant’Anna: le altre carceri che scoppiano cercheranno di riversare qui il surplus. E nelle celle, questione davvero di poco, tornerà presto la vecchia terza brandina. Il nuovo personale è arrivato con l’ultima assegnazione, non si sa quando ne sarà possibile un’altra”. Saluzzo (Cn): “Il Monviso dietro le sbarre”; 2 detenuti lavorano per Comunità Montana www.targatocn.it, 15 febbraio 2013 Per 130 ore ciascuno. Il progetto, cofinanziato, costa quasi 20.000 euro. La Comunità Montana del Monviso aderirà anche quest’anno al progetto “Il Monviso oltre le sbarre 2012” e impiegherà in opere e servizi di interesse locale socialmente utili - presumibilmente dal 15 marzo per la durata di 130 giornate lavorative ciascuno - due detenuti del carcere “Giorgio Morandi” di Saluzzo in stato di semilibertà, ammessi al lavoro all’esterno, affidati in prova al servizio sociale o in detenzione domiciliare. Si tratta dell’applicazione di un più ampio progetto finanziato in parte dalla Regione Piemonte atto a favorire l’inserimento sociale ed il recupero dei detenuti, attuato, d’intesa con i competenti organi del Ministero della Giustizia promossi d’intesa con gli Enti locali e da questi gestiti tramite cantieri di lavoro. Gli Enti interessati ad attuare gli interventi dovevano presentare all’Amministrazione Provinciale entro il 6 novembre i progetti che prevedevano l’impiego proprio di detenuti in semilibertà: così l’Ente guidato dal dottor Perotti ha fatto ed il suo progetto è stato e ammesso a co-finanziamento dalla Provincia di Cuneo - Area Servizi alla Persona - Settore Politiche del Lavoro. Il progetto “Il Monviso oltre le sbarre” avrà un costo di 19.515,63 euro: 10.528 (8.528 per l’indennità, 2.000 per dispositivi di protezione individuale ed attività di formazione) saranno a carico della Regione, i restanti 8.987, 63 (2.346,39 per oneri previdenziali, 3.000 per materiale, attrezzature e mezzi, 1.375,40 per buoni pasto, 200 quali contributo per le spese trasporto e 2.065,84 quali borsa lavoro) graveranno invece sulle casse della Comunità Montana. Lamezia Terme: Udc e Mpa intervengono sulla chiusura del carcere cittadino www.lametino.it, 15 febbraio 2013 Riceviamo e pubblichiamo la nota dei giovani dell’Udc in merito alla possibile chiusura del carcere di Lamezia Terme. “I giovani Udc di Lamezia Terme intervengono nuovamente, dopo l’appello lanciato nei mesi scorsi al ministro della giustizia Paola Severino, per auspicare l’intervento e la collaborazione di tutte le forze presenti sul territorio per salvare il carcere della piana a rischio chiusura. È necessario - sostengono i giovani Udc - che tutte le rappresentanze politiche ed istituzionali uniscano le forze per far sì che il carcere lametino non venga chiuso. Pur essendo una struttura vetusta e piccola rispetto al numero di detenuti presenti all’interno, una eventuale chiusura sarebbe estremamente dannosa per la nostra città e non solo. Piuttosto sarebbe necessario che le forze presenti sul territorio di concerto con il Ministero della Giustizia procedessero alla individuazione di un altro edificio maggiormente idoneo rispetto a quello attuale o, ancora meglio, ad un’area dove possa sorgere un’altra struttura che possa essere in linea con i parametri europei. È necessario una deroga speciale rispetto alla politica di “spending review” adottata visto soprattutto l’alto tasso di criminalità che si riscontra quotidianamente nella nostra città ed in Calabria, ma anche visto l’assoluto ed impellente bisogno che si ha in Italia di nuove carceri. Non sfugge a nessuno la situazione nazionale che vede una popolazione carceraria in enorme sovrannumero e con condizioni di vita dei detenuti che ci rendono simili a Paesi come lo Zambia per ciò che concerne i diritti umani ed in riferimento alla funzione retributiva, rieducativa e risocializzante della pena. È paradossale - continuano i giovani Udc - che nonostante le statistiche confermino gli elevati tassi di criminalità e micro criminalità, si pensi a chiudere le strutture penitenziarie anziché crearne di nuove o migliorarle, rafforzando anche il personale che molto spesso si trova a lavorare in condizioni estremamente disagiate e sotto organico rispetto alle effettive esigenze. Personale a cui va il nostro plauso per l’abnegazione con cui assolve quotidianamente al suo importantissimo compito. Dopo aver trascorso mesi travagliati con la paventata chiusura del Tribunale ancora una volta la città si trova di fronte ad un’altra emergenza che potrebbe rivelarsi dannosa per tutti i cittadini, pertanto per evitare decisioni che potrebbero rivelarsi assurde, anche in relazione a quella che deve essere la giusta armonizzazione e l’effettivo completamento del “sistema Giustizia” in Calabria ed a Lamezia Terme, auspichiamo che con il buon senso e l’intervento di tutte le forze politiche coese ed unite in questa battaglia si possa evitare che la nostra città venga ulteriormente defraudata”. Ruberto (Grande Sud-Mpa): salvaguardare carcere Lamezia Nota del candidato alla Camera con "Grande Sud-Mpa" Pasqualino Ruberto in merito alla chiusura del carcere di Lamezia. “In questi giorni si fa un gran parlare della paventata chiusura del carcere di Lamezia. Noi riteniamo che la struttura debba essere salvaguardata e che in attesa di una nuova costruzione, Lamezia ha il diritto di avere in città la Casa circondariale. Per questo motivo faremo di tutto, e in ogni sede, per non far passare logiche diverse che prefigurano la chiusura. La nostra città sta subendo troppi torti e la vicenda della faticosa permanenza del Tribunale dimostra come ci sono sempre in agguato alchimie politiche che tendono a defraudare Lamezia, costretta sempre a difendere quel poco che ha. La chiusura di qualsivoglia struttura per un territorio comunale di oltre 70mila abitanti e altri 150mila che vi gravitano, diventa un fatto grave e preoccupante anche da un punto di vista del ritorno per le già martoriata economia del territorio. Per ciò che riguarda nello specifico la struttura carceraria, vi è da dire che la stessa ha una storia antica che va tutelata. Durante l'occupazione francese, infatti, il convento dei riformati fu confiscato e divenne quartiere delle truppe. Dopo la partenza dei Francesi, vi fecero dimora alcune famiglie private e il 1818 divenne caserma della gendarmeria. Il 1862 il convento e la chiesa furono soppressi e, il 1867,il Governo li concesse in uso al comune di Nicastro. La chiesa di San Francesco, concessa in uso dal Comune al parroco di Santa Maria Maggiore il 1867, è rimasta sempre in possesso della sopradetta comunità parrocchiale, senza alcuna interferenza da parte dell'Amministrazione comunale. Questa situazione di fatto venne legalizzata dal Concordato dell’11 febbraio 1929,per cui rimasero una parte adibita a carcere ed una parte adibita a chiesa. Negli anni successivi la parte riguardante il carcere dopo apposita visita rispettiva personale fu dichiarata dal Generale Dalla Chiesa uno dei carceri più sicuri d'Italia, fu quindi utilizzato per la custodia dei detenuti a più alto rischio terroristico d'Italia. Una storia quindi la dice lunga sull’importanza che riveste per la città la Casa circondariale”. Piacenza: impegno Servizi Sociali Comune per anagrafe, lavoro e formazione dei detenuti www.piacenza24.eu, 15 febbraio 2013 Commissione servizi sociali straordinaria, per i consiglieri e il sindaco di Piacenza, quella svoltasi nel pomeriggio al carcere delle Novate. Grazie all’impegno del presidente Giulia Piroli, la delegazione ha avuto un confronto con la direttrice della struttura, Caterina Zurlo. “Un incontro decisamente operativo - ha commentato il primo cittadino, Paolo Dosi - che ci ha permesso di assumerci almeno tre impegni”. È stata il consigliere e presidente della Commissione 3 a spiegare il senso di questa iniziativa: “È nata alla luce della sentenza della Corte di Strasburgo. Se vogliamo applicare l’articolo 27 (funzione educativa della pena) dobbiamo garantire ai detenuti un futuro lavorativo”. In questo senso, ha spiegato Piroli, “avvieremo incontri con categorie economiche per vedere se c’è la possibilità di un reinserimento lavorativo”. Non solo, perché si è parlato anche del progetto delle “celle aperte”, cioè permettere ai carcerati di poter vivere maggiormente fuori dai ristretti spazi in cui sono reclusi (20 ore al giorno su 24). “Potrebbe diminuire i casi di autolesionismo” ha chiosato il presidente di Commissione. Maggior coinvolgimento delle categorie imprenditoriali locali, per il reinserimento lavorativo per i detenuti, che per alcune categorie di lavoro possono risultare di interesse per le aziende. La possibilità di poter interagire con il centro di formazione Tutor comunale per intraprendere percorsi formativi e la volontà di aprire uno sportello anagrafe all’interno del carcere. Da quanto emerso durante la Commissione 3 in esterna alle Novate, è stato fatto il punto anche sulla nuova struttura in costruzione che dovrebbe contenere circa 200 detenuti (Il reparto psichiatrico, invece, conterrà 4-5 pazienti). “Siamo a buon punto e saranno dei locali modello” ha detto Dosi appena concluso l’incontro, aggiungendo che “avrà nuovi spazi e servizi essenziali che sono particolarmente carenti oggigiorno”. I lavori pare che saranno conclusi entro l’anno. Tra i consiglieri presenti, Carlo Pallavicini ha invece esortato “le parti politiche anche contrapposte a fare un passo in più sul discorso della depenalizzazione di determinati reati. È la posizione anche di altre carceri - ha spiegato - perché a causa della Fini-Giovanardi si finisce in cella per limitate quantità di stupefacenti. È un vulnus della nostra legislazione”. Asti: dentisti della Fondazione Andi incontrano detenuti, per promuovere la salute orale www.atnews.it, 15 febbraio 2013 I Dentisti Andi Asti incontrano i detenuti nel Carcere di Quarto per promuovere la salute orale. “Il corretto igiene della bocca, l’uso regolare di spazzolino e dentifricio sono fondamentali per prevenire le malattie del cavo orale e generano riflessi positivi sul benessere psicofisico”. Questo è il claim che porta avanti la Fondazione Andi onlus, nata in seno all’Associazione Nazionale Dentisti Italiani che, con i suoi 23.000 soci, è l’associazione odontoiatrica maggiormente rappresentativa in Europa. Andi Fondazione è una onlus impegnata a realizzare iniziative di alto interesse sociale e di promozione della salute. La scelta di intervenire all’interno degli istituti penitenziari italiani, è dovuta alle enormi carenze nell’igiene orale di base insieme ad un altissimo rischio di trasmissione di virus e batteri. Nasce così il “Progetto Salute orale negli Istituti Penitenziari” che promuove l’igiene orale attraverso: 1) la sensibilizzazione e la formazione del personale infermieristico del personale di custodia degli Istituti Penitenziari 2) incontri rivolti ai detenuti con lezioni igiene orale, cenni all’ anatomia della bocca, la dieta sana la prevenzione delle infezioni crociate , la distribuzione di materiale informativo, insieme ad un kit di spazzolino e dentifricio. Dall’accordo di collaborazione tra Andi Onlus, Ministero di Grazia e Giustizia, Provveditorato alle Carceri del Piemonte è caduta la scelta sulla Casa Circondariale di Asti, grazie soprattutto alla gentile disponibilità offerta dal Direttore Dott.ssa Elena Lombardi Vallauri. La Casa Circondariale di Asti ospita 400 detenuti di cui 100 in regime di massima sicurezza e 300 in regime ordinario che sono per il 60% extracomunitari. Dopo la fase di incontro con il personale carcerario dello scorso dicembre, inizia martedì 19 febbraio la prima “lezione” rivolta a 50 detenuti in regime ordinario. L’incontro è il primo che si realizza nel Paese e servirà sia ad Andi Onlus che al Provveditorato alle carceri per testare il programma che si spera di diffondere in tutta Italia. “Andi Asti metterà a disposizione del progetto - dichiara Davis Cussotto, Presidente di Andi Asti - i supporti audiovisivi e i docenti volontari: la Dr.ssa Rosanna Mastio, Dr.essa Annalisa Bosco e il sottoscritto”. Vigevano (Pv): per i carri di Carnevale la sfilata è in carcere La Provincia Pavese, 15 febbraio 2013 Un carcere sovraffollato. La casa circondariale dei Piccolini ospita attualmente 497 detenuti, numero inferiore a quello di pochi mesi fa, pari cioè a 510, ma decisamente superiore alla capienza totale della struttura: 417 unità. “Il limite di 417 - commenta Davide Pisapia, direttore del penitenziario - è l’indice di tollerabilità, vale a dire celle occupate da uno massimo due detenuti. Siamo chiaramente al di sopra di questa soglia”. L’art. 3 della Convenzione sancita dalla Corte Europea dei Diritti dell’uomo stabilisce l’obbligo di compatibilità delle condizioni del detenuto, rispetto alla dignità umana a loro spettante. Il carcere dei Piccolini ospita 80 detenuti in più rispetto al suo limite. Il Carnevale entrerà in carcere. Domenica alle 10 la tradizionale sfilata dei carri allegorici varcherà le soglie della casa circondariale dei Piccolini e porterà la sua atmosfera di festa. “È la prima volta nella storia vigevanese - dice il dottor Davide Pisapia direttore del carcere - che i carri di Carnevale entrano nel nostro penitenziario. È un avvenimento molto importante, perché è il territorio che si propone a noi e non viceversa”. Fino ad oggi, infatti, le poche volte in cui i detenuti hanno avuto contatti con il mondo esterno è stato frutto di qualche loro iniziativa: laboratori teatrali, laboratori di creazioni sartoriali o di cucina. Tutte occasioni in cui, la stampa e qualcuno della cittadinanza è stato invitato a varcare il cancello d’ingresso. Ora è la città, grazie all’associazione Carnevale Vigevanese, presieduta da Carmelo Tindiglia, che suona il campanello della casa circondariale e chiede di poter entrare. Per ragioni logistiche, non sfileranno tutti i carri che domenica scorsa hanno colorato le vie del centro storico, ma solo tre di loro, per motivi di “altezza”: la scarpa, la torre del Bramante e l’antica Roma. “Parteciperanno molte persone - aggiunge Tindiglia - forse anche alcune di quelle che hanno sfilato a margine dei carri. Sarà quindi un Carnevale per tutti, uomini e donne, dato che tutti hanno contribuito alla realizzazione dei fiori, ben 12 mila fiori multicolori, che hanno decorato i nostri carri. In questi mesi ci sono stati molti contatti: prima per insegnarli come si creavano i fiori, poi per vedere come proseguiva il lavoro. È nato un buon rapporto e ora vogliamo ringraziarli con questa iniziativa”. Tra le decorazioni dei carri allegorici, infatti, spiccavano anche i moltissimi fiori fabbricati dai detenuti. In particolare la calzatura, realizzata quasi esclusivamente di fiori. “Un Carnevale non solo per festeggiare, ma anche per far vedere quanto si vale”, questo era, ed è, il significato che la festa che ha assunto per alcuni detenuti del carcere. “Abbiamo verificato - conclude Tindiglia - che i detenuti coinvolti in altre attività “educative” hanno un indice di reinserimento in società pari al 76%. Significa, in buona sostanza, che difficilmente rientrano nuovamente in carcere, una volta scontata la pena”. La sfilata partirà quindi da viale dei Mille intorno alle 10 di domenica, arriverà ai Piccolini, entrerà in carcere e proseguirà lungo il muro di cinta. Sicuramente potranno partecipare attivamente i detenuti che hanno contribuito alla realizzazione dei fiori, ma non è escluso che il permesso venga concesso anche ad altri. Chi non volesse o non potesse partecipare alla sfilata, potrà guardarla dalla finestra della cella detentiva. Immigrazione: 19enne della Costa D’Avoria si dà fuoco a Fiumicino, doveva essere espulso di Emanuela De Crescenzo Ansa, 15 febbraio 2013 Disperato dal dover ritornare in patria, non vedendo alternative dopo che la sua domanda di asilo era stata rifiuta, un 19enne della Costa d’Avorio, stamani si è cosparso di benzina e si è dato fuoco all’aeroporto di Fiumicino. Ma per bloccare l’iter amministrativo dell’espulsione dall’Italia avrebbe potuto presentare una nuova domanda per richiedere l’asilo politico e nel frattempo essere detenuto al Cie di Ponte Galeria. Forse lo ignorava, forse è stato mal consigliato, forse non voleva stare in una cella ed è stato travolto dalla disperazione. Ora è ricoverato all’ospedale Sant’Eugenio di Roma in gravi condizioni, ma non corre pericolo di vita. Anche un agente che ha tentato di fermarlo è rimasto ustionato ad un braccio. Il giovane arriva in Italia e chiede asilo politico, ma il 23 gennaio scorso gli viene notificato il diniego della Commissione italiana. Aveva 15 giorni di tempo per presentare ricorso contro questa decisione, ma il giovane decide di lasciare l’Italia ed andare in Olanda. Quando la polizia olandese lo ferma ad Amsterdam, in base al “Regolamento di Dublino” viene rinviato nel paese in cui ha chiesto asilo. E ieri il 19enne viene portato a Fiumicino con l’obbligo di ripresentarsi stamani agli uffici della Polizia di Frontiera per l’attuazione del decreto di espulsione. E l’ivoriano stamani si è presentato in quegli uffici che si trovano nel Terminal 3, settore partenze, poco dopo le 10. Qui ha mostrato agli agenti di turno il decreto di espulsione emesso dalla Questura di Roma. Improvvisamente ha estratto da un borsone una tanica di benzina e ha cominciato a versarsi addosso il liquido infiammabile, cercando di darsi fuoco con un accendino. Gli agenti hanno tentato di fermarlo, ma l’uomo si è divincolato: è uscito dalla stanza e, tornando sui suoi passi, ha acceso il liquido infiammabile a ridosso della parete esterna di un piccolo ufficio dell’Alitalia. Sentendo le grida è intervenuta con un estintore una funzionaria della Dogana dell’aeroporto, Tiziana Guarna: “Li ho salvati? Me ne sono resa conto solo dopo, lì per lì ho pensato soltanto ad agire. Ho sentito delle grida provenire dall’ufficio vicino e ho visto prima il poliziotto e ho spento il fuoco. Poi mi sono accorta dell’altro, ormai steso a terra. C’era chi mi urlava: Spegnilo, Spegnilo, ho scaricato l’estintore sul suo corpo”. A Fiumicino è scattato l’allarme con attimi di paura da parte dei passeggeri, anche per il fumo che si era propagato in tutto quel settore del Terminal 3. È intervenuta una ambulanza del Pronto Soccorso aeroportuale. Alcuni infermieri hanno adagiato l’uomo su una barella, lo hanno protetto con una coperta e poi, aprendosi un varco tra la folla di passeggeri che si era nel frattempo radunata, lo hanno caricato su una ambulanza che lo ha trasportato all’ospedale Sant’Eugenio di Roma. Nello stesso ospedale è ricoverato l’agente della Polaria, in codice giallo: ha riportato ustioni al braccio destro. L’intero settore del Terminal 3 è stato interdetto ai passeggeri per consentire i rilievi della Scientifica e poi riaperto alle 11.30. Per Christopher Hein direttore del Consiglio Italiano Rifiugiati (Cir), che critica fortemente il “Regolamento di Dublino”, questo gesto “ci chiede di aprire gli occhi davanti alla disperazioni di richiedenti asilo e rifugiati”. Per il presidente della Croce Rossa Italiana Francesco Rocca, è “l’accoglienza e l’inserimento dei migranti nel nostro tessuto sociale, è una delle più importanti sfide umanitarie per il nostro Paese”. Un gesto “estremo - ha detto il responsabile immigrazione dell’Arci Filippo Miraglia - che dovrebbe far riflettere tutti su cosa può significare per una persona veder distrutti tutti i sogni di futuro a causa di un pezzo di carta che, con la freddezza del linguaggio burocratico, dispone l’allontanamento dal paese in cui si era deciso di tentare l’avventura della vita”. India: negli ultimi dieci anni una condanna a morte ogni tre giorni Asca, 15 febbraio 2013 Negli ultimi 10 anni l’India ha condannato a morte 1.450 persone, per un media di 132,27 persone all’anno, una ogni tre giorni. A denunciarlo è il Centro Asiatico per i Diritti Umani (Achr) nel rapporto sulla pena di morte in India, stilato sulla base dei dati forniti dal ministero dell’Interno di Nuova Delhi raccolti tra il 2001 e il 2011. L’organizzazione si batte per l’abolizione della pena di morte nel paese, dove centinaia di detenuti vivono ancora nel braccio della morte e dove si ricorre spesso alla pena capitale anche se non ci sono basi empiriche o scientifiche che giustifichino l’utilizzo del boia come deterrente contro il crimine. “L’esecuzione dell’assassino del padre della nazione, Mahatma Gandhi, non ha agito da deterrente contro l’assassinio di altri leader politici di spicco tra cui l’ex primo ministro Indira Gandhi e Rajiv Gandhi, l’ex ministro del Punjab Beant Singh, Lalit Maken e molti altri importanti leader politici”, ha dichiarato al Times of India Suhas Chakma, coordinatore della campagna per l’abolizione della pena capitale e direttore dell’Achr, che invita riflettere sul fatto che in India da tempo l’applicazione della pena di morte è diventata una routine, poiché viene applicata anche ai casi più rari in cui la dottrina prevede la possibilità di ricorre al boia, trasformando così l’eccezione in una regola.